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Germogli /
Trasformare il sangue in denaro

 Trasformare il sangue in denaro.

Già 2550 anni fa Erodoto scriveva: “Solo un pazzo può preferire la guerra alla pace perchè in tempo di pace sono i figli a seppellire i padri, in tempo di guerra sono i padri a seppellire i figli. Eppure con le bugie si riesce a far credere ogni volta che c’è una ragione per la guerra.”.
(Gino Strada)
“‘Nessuna guerra ha l’onestà di confessare: io uccido per rubare.
Le guerre invocano sempre motivi nobili, uccidono in nome della pace, in nome di Dio, in nome della civiltà, in nome del progresso, in nome della democrazia, in nome della sicurezza.
Se tante menzogne non bastano, Se sorgono dubbi, ci sono i grandi media pronti a inventare nemici immaginari per giustificare la conversione del mondo in un grande manicomio e in un enorme mattatoio.
In Re Lear, Shakespeare aveva scritto che in questo mondo gli stolti conducono i ciechi e quattro secoli dopo, i padroni del mondo sono pazzi innamorati della morte che hanno trasformato il mondo in un luogo dove ogni minuto 10 bambini muoiono di fame o di malattie e ogni minuto 3milioni di dollari sono spesi per l’industria militare che fabbrica morte.
Le armi richiedono guerre e le guerre richiedono armi.”.
(Eduardo Galeano)
Dopo lettura sequenziale o inversa di Gino Strada e di Eduardo Galeano ci si chiede: per quanto tempo ancora? Fino a quando la pace sarà un ostaggio nelle mani di alchimisti dell’economia neoliberale della guerra che trasformano il sangue in denaro?

Parole a capo
Sara Ferraglia: «Lasciare» e altre poesie

Sara Ferraglia « Lasciare» e altre poesie

«La poesia condensa in una metafora l’aurora della parola e la sua traiettoria»
(Giuseppe Pontiggia)

Una guerra

Chissà se son migrati anche gli uccelli
là dove il cielo esplode, rosso fuoco
Dove faranno i nidi a primavera?
E stormiranno al vento foglie e fronde
o alla corrente d’aria delle bombe?
Si salveranno solo scarafaggi
sopravvissuti ad altri cataclismi?
Si scalderanno al sole o ad altri raggi
prodotti dalle armi nucleari?
Si salveranno gli Umiliati e offesi,
Le notti bianche, Il maestro e Margherita?
E torneranno le api agli alveari
dopo che la tempesta le ha smarrite?
Sguardi senza parole dei bambini
Promesse di futuro disattese
E noi a guardare, inermi, piccolini,
chiusi ciascuno nelle proprie chiese,
distratti ed impegnati a parteggiare
in finte guerre dai nostri divani
La sera ci possiamo rilassare,
che i colpi di mortaio son lontani

 

*

 

Lasciare

Lasciare, lasciar scorrere le cose
Scivolare sul tempo con lentezza
Seminare, dissodare dolcezza
Aspettare. Fioriranno le rose

Pianissimo. Avvicinarsi al fiore
come farebbe l’ape laboriosa,
o meglio, la farfalla silenziosa
Non toccare. Lasciarsi inebriare
Immergersi in questa primavera,
perdersi e perdere l’orientamento
Ascoltare i sussurri e il fermento
Come Gazania chiudersi di sera
Cedere al sonno che il sogno profuma,
Belle di notte danzano alla luna

 

*

Lo sguardo

Mai perderò lo sguardo
per i sepolti vivi,
per i precipitati
dai tetti, nei cortili
giù dalle impalcature
vittime designate
di appalti scellerati.
Mai perderò lo sguardo
per gli affogati in mare,
per chi è scampato al viaggio
per chi gli cura i piedi,
per quelli che non vedi,
per il loro coraggio.
Mai perderò lo sguardo
per chi non ha più niente,
la miseria che affama
chi ruba una scamorza
per sette euro in croce,
nuda disperazione
che anche l’onestà spegne
e lascia senza voce.
Mai perderò lo sguardo
per i manganellati,
ragazzi della scuola,
operai ai picchetti
di fabbriche svendute
e loro licenziati
con un messaggio crudo.
Così lunga è la notte,
anche l’alba è in ritardo.
Speranzoso il mio sguardo
vola oltre l’orrore,
in pindarico volo.
Senza fare rumore
si allontana dal suolo.

 

*

Per volare

Tu dimmi, angelo mio
dove tieni nascoste
le tue piccole ali di cera.
Sotto le scapole, certo,
che non le sciolga il sole.
Quando le sentirai vibrare
saprai che sarà l’ora.
Ti mostreran gli specchi
tutta la tua bellezza
pulita, senza trucchi.
Tu sola con te stessa
ti ascolterai parlare
e la tua voce nuova
un giorno sarà cielo,
un altro giorno mare.
Eccole le tue ali.
Tu, pronta per volare.
*

Analfabeta emozionale

Sono un analfabeta emozionale
uno dei tanti.
Chiedimi cosa provo
ed io metto una croce.
Ogni mio giorno al precedente uguale
Infilo istanti
come perline e provo
a volte a cambiar voce,
l’intonazione almeno.
Sono un analfabeta emozionale
un bravo attore
che indossa sentimenti
al cambio di stagione
ed ha una collezione personale
di maschere d’autore
per affrontar gli eventi,
pronto in ogni occasione
a non esser me stesso.
(Questa poesia è stata pubblicata nella raccolta “Voglio una danza“, Ladolfi Editore – 2023)
(Foto di 愚木混株 Cdd20 da Pixabay)
Sara Ferraglia è nata in provincia di Parma e vive in questa città da molto tempo. È stata finalista e vincitrice in numerosi premi nazionali.
Sue opere sono presenti in diverse antologie poetiche, riviste e e blog letterari fra cui Di sesta e di settima grandezza di Alfredo Rienzi, Circolare poesia di Mattia Cattaneo e Parole a capo di Pier Luigi Guerrini. Molte sue poesie sono state inserite in vari spettacoli teatrali, letture poetiche e mostre multimediali. Collabora con il Magazine online P4W per la rubrica di poesia.
Voglio una danza – Ladolfi editore – 2023 è la sua prima pubblicazione che ha vinto una menzione d’onore al Premio La ginestra di Firenze – aprile 2024 e il 1° premio nella sezione libri editi del Premio Giovanni Pascoli L’ora di Barga, 11^ edizione – ottobre 2024. Tutte le sue poesie sono raccolte nel blog personale Sarapoesia.blogspot.com.

 

 La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Questo che leggete è il 276° numero. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.
E’ possibile inviare proprie poesie all’indirizzo mail: gigiguerrini@gmail.com per una possibile pubblicazione gratuita nella rubrica.

Poesia in scena: Mancino e Guerrini alla Biblioteca Popolare Giardino

Poesia in scena: Mancino e Guerrini alla Biblioteca Popolare Giardino

E’ con grande piacere che la redazione di Periscopio annuncia un piccolo grande evento. Due collaboratori di questo giornale, Maria Mancino (tutte le domeniche scrive Per certi Versi) e Pier Luigi Guerrini (responsabile della storica rubrica Parole a capo) presentano le loro raccolte poetiche fresche di stampa. Maggie e  Gigi (chiamiamoli col loro nome amicale) fanno parte del Collettivo Poetico Ultimo Rosso, un’associazione culturale che crede nel potere pacifico e sovversivo della poesia. Periscopio la pensa ugualmente.

La Poesia in scena: Mancino e Guerrini alla Biblioteca Popolare Giardino

La presentazione è fissata venerdì 21 marzo alle ore 17.30 presso la Biblioteca Popolare Giardino, interamente autogestita da un folto gruppo di volontarie e volontari, la location ideale per ospitare poesie e poeti.

 

Il mio Delta

Il mio Delta

Da sempre  sono innamorato dei nostri paesaggi padani e in particolare della vita nel delta del Po. Mi è sempre piaciuto raffigurarli,  trasmettere con la pittura ad olio o con la fotografia queste nostre meraviglie naturali.

L’attrazione per quella Terra & Acqua era forte, prendevo l’auto e andavo verso la foce, in estate e in inverno, all’alba o al tramonto. Non riesco a contare le volte in cui mi sono trovato a faccia a faccia con il Fiume, la valli, gli uccelli, i pescatori. Arrivavo in posizione e scattavo fotografie naturalistiche, i primi anni con fotocamere analogiche, per poi a casa riprodurre le inquadrature  sulla tela con colori e pennelli. Ultimamente con l’avvento del digitale, ho abbandonato un po’ la pittura per concentrarmi sul linguaggio della fotografia. Oggi come ieri, appena posso imbraccio la fotocamera e parto per nuove avventure verso il nostro Delta e le Valli. Valli vissute spesso in prima persona, anche a bordo del mio kajak, a Scardovari, Goro, Volano …

In kajak, per ovvie ragioni, era impossibile portare con me una fotocamera, sono quindi esperienze non espresse in pixel ma impresse per sempre nella mia memoria. Non si finisce mai di scoprire il Delta: un luogo sconosciuto, una nuova luce, un cielo diverso, uno stormo di Cavalieri d’oro. E soprattutto, se avete l’accortezza di andarci in solitudine, di vivere la bellezza e la pace di una natura ancora incontaminata. Spero che il mio reportage riesca a trasmettere tutta questa ricchezza.

E l’ottavo giorno Dio creò il teatro

E l’ottavo giorno Dio creò il teatro

Questa frase l’ho sentita da Massimiliano Piva regista, attore e direttore del Teatro Cosquillas di Ferrara (Vedi una sua intervista su Periscopio, Ndr).  Non ho trovato la fonte originaria, ma ho scoperto che ormai è una frase diffusa, ci sono Associazioni e Progetti con questo nome ma, per me, in cerca di una chiave di lettura, è sembrata straordinaria.

Il settimo giorno Dio si è riposato ed il giorno dopo ha sentito la necessità di creare una rappresentazione dell’universo.

Non appartengo al mondo del teatro, ma poiché ogni forma espressiva è psicologicamente importante, pur variando lo strumento attraverso il quale si esplicita: pittorico, poetico, danza, prosa, musica e tanto altro, ho pensato che anche il teatro è “Arte che cura”.

Che il teatro faccia bene lo hanno detto addirittura anche al festival di San Remo di quest’anno. Vox populi, vox dei!  Nel corso della terza serata di Sanremo 2025, infatti, si è dato spazio ad un progetto importante, il Teatro patologico, una compagnia formata da attori con disabilità psichiche che smantella lo stigma e favorisce l’inclusione. 1)

Basaglia con Marco Cavallo 2) aveva già intuito come  il teatro può diventare denuncia, agitazione politica, formidabile comunicazione.

Ma anche la nostra città non è da meno, come ci insegnano le esperienze del Teatro Nucleo nato nel 1978, propulsore poi del progetto del Teatro Comunitario a Pontelagoscuro, il Teatro Carcere e le altre esperienze attuali: Balamos, CPA – Centro Preformazione Attoriale, CTU – centro teatro universitario, Ferrara Off, Il Baule Volante – Ass. Teatrale Otiumetars, Officina Teatrale A_ctuar, Teatro Bianco che propongono, oltre ai loro spettacoli, corsi di formazione professionale per operatori civili e sociali,  progetti pedagogici, attività in ospedali psichiatrici, attività in quartieri emarginati, e iniziative rivolte ai bambini, ai giovani, alle scuole.

Molti illustri psicoanalisti, a partire dallo stesso S. Freud, si sono cimentati nell’indagine sull’arte teatrale e, in modo diretto o indiretto, il teatro è sempre stato presente, nella storia del pensiero psicoanalitico. Cominciando dalla lettura psicoanalitica delle tragedie greche allo psicodramma moreniano, il teatro è strumento di comprensione dell’animo umano e di trasformazione. 3)

La rappresentazione teatrale aiuta ad esplorare e risolvere conflitti interiori, permette di rivivere esperienze, esprimere emozioni e ottenere nuove prospettive sulle situazioni personali. L’obiettivo non è imparare a recitare, ma entrare in contatto e prendere consapevolezza di sé stessi.

Ma non voglio dilungarmi, lascio a Massimiliano e alla sua esperienza l’aspetto metodologico ed artistico con i suoi attori disabili e non.

 

Mi prendo un piccolo spazio, quello osservato nel back stage di Permettiti che io ti aiuti 4)

Vi racconto la mia esperienza dietro le quinte. Lo scorso anno, come cantante del Coro Femminile SonArte partecipo ad un evento nel quale il nostro canto è di supporto allo spettacolo, i veri protagonisti sono gli attori di Cosquillas.

Il coro Femminile Sonarte in scena

Quello che si percepisce subito è l’attenzione all’altro, vedo, a profusione, abbracci, carezze, strette di mano, sento frasi come “sei stanco”? “ te la senti?” “cambiamo?” e sono travolta da questa modalità, “Ci fermiamo un po’?”, “Bravo, ci sei riuscito.”, “Sì, così!”.

Alcuni attori del Teatro Cosquillas

Penso: ma quando e quanto poco noi “ abili” siamo così attenti, motivanti, validanti? Amore carezze abbracci fiducia quanto ne avremmo bisogno tutti?

abbracci tanti, sempre
… e baci

Non vi descrivo le disabilità degli attori e neppure le abilità, non è importante.

Il mio è un resoconto di quello che ho provato.

Siamo alla prova generale G. è stanco, è dalla mattina che proviamo, non gli riesce bene il suo ballo: girarsi su se stesso, in terra, senza la carrozzina attraversare il palcoscenico. Nessun rimprovero, ma dalle quinte entra in scena, leggera, una delle attrici, si stende vicino a lui e lo guida al movimento dimenticato, sta al suo fianco e lo accompagna. Nessuna parola. G. supera l’empasse e rotola rotola rotola…il sorriso felice per il gesto ritrovato.

F. è rabbuiato, non ha dato il meglio di sé. Poche indulgenze. Si ritira, si siede da solo, le braccia conserte, la faccia buia. La compagnia lo conosce e non dà spazio a questo suo perfezionismo, la prova continua ed ecco F. riemergere, non resiste a partecipare, c’è un risultato da ottenere, c’è un gruppo da sostenere.

Ancora F., durante la recita, una scena buffa, surreale, non si attiene alla parte e l’effetto esilarante che trascina sempre tutti viene meno. “Perchè ridono” chiede, forse con una sensazione orribile che ridano di lui. Cerca di dare un tono al suo personaggio, ma si perde tutta l’intenzione della scena. Dalla regia una voce come l’ex machina comincia a parlare con il protagonista, ora è un’altra cosa questa messa in scena, ma nessun rimprovero, nelle defaiance ci si aiuta.

E poi c’è L. una bambolina in miniatura che balla aerea come una libellula. Cerca la costumista, non riesce ad indossare l’abito di scena o non lo trova. Non è pensabile! Si agita! Ma la costumista arriva, tranquilla, la veste e lei entra in scena concentrata e serena.

Il pas de deux tra i più belli e commoventi. L’entrata dei due interpreti, un adagio eseguito da entrambi, qualche variazione e il ricongiungimento per il finale danzato insieme. Le carrozzine sono estensioni dei loro corpi, non sono un impedimento costruiscono una nuova elegante coreografia. Il metallo brilla come pallettes, le ruote girano in un virtuosismo poetico.

Il sipario è chiuso. La prima scena ci vede tutti presenti, attori, musicisti, cantanti. È il risveglio. Da terra man mano ci alziamo, cominciamo a muoverci, la musica ci accompagna.

Sono, per fortuna, in fondo. Da giorni ho male alle ginocchia, (implacabile, il mio tempo avanza!) riesco goffamente a chinarmi con lamenti soffocati ma, soprattutto, non riesco ad alzarmi da sola. Alla prova mi hanno aiutato le amiche del coro ma, vedo con spavento che, adesso, non c’è nessuna di loro vicino a me.

Si apre il sipario, che fare? Sono accoccolata per terra e devo levarmi in piedi. Sento già il dolore che mi aspetta, ma mi terrorizza soprattutto la brutta figura. Mi guardo sgomenta intorno, tutti troppo lontano e non posso chiamare: lo spettacolo è iniziato.

Poi mi accorgo che G. è vicino, un passo dietro di me. Lo guardo, gli sussurro aiutami!. G. si guarda intorno, poi incredulo indica se stesso “Chi Io?”, gli spiego, bisbigliando, che non riesco ad alzarmi, capisce, controlla il freno della carrozzina, sposta la mano per lasciare posto alla mia e voilà un appoggio sicuro e sono in piedi. G. mi guarda complice, io gli rispondo con gli occhi, riconoscente.

Non finisce qui ho l’onore anche quest’anno di partecipare ad un nuovo spettacolo con la compagnia Cosquillas, ERGO SUM, sarà nuovamente emozionante, straordinario, terapeutico.

Note 

1) Il Teatro patologico è nato nel 1992 per un’intuizione del regista Dario D’ambrosi.

2)  Marco è il nome del cavallo in carne e ossa che trasporta il carretto della biancheria sporca, del manicomio di Trieste, è molto vecchio, è destinato al macello. Gli internati, i teatranti, gli artisti, gli psichiatri, gli infermieri, i ragazzi della città mettono su un comitato per chiedere all’Amministrazione provinciale di tenere vivo il cavallo e fargli finire i suoi giorni da pensionato in una fattoria in Friuli. Il cavallo stesso scrive una commovente lettera al presidente della Provincia per avere salva la vita. Nasce un’azione teatrale

3) Psicoanalisti e pazienti a teatro, a teatro di Cesare Musatti, ed. Mondadori, 1988

4) Teatro comunale Claudio Abbado di Ferrara, mercoledì 13 marzo 2024 Permetti che io ti aiuti, regia di Massimiliano Piva, con la collaborazione di SonArte, Quintetto Folk, Live Looping; una produzione di Cosquillas Theatre Methodology con il Patrocinio del Comune di Ferrara

Per leggere gli articoli di Giovanna Tonioli su Periscopio clicca sul nome dell’autrice

Jeeg Robot, porcospino d’acciaio

Jeeg Robot, porcospino d’acciaio

Che brutta immagine quella utilizzata dalla Presidente della Commissione Europea!

Ursula von der Leyen spera che gli europei lavorino per (eccola!) “trasformare l’Ucraina in un porcospino d’acciaio, indigesto per i potenziali invasori“. Lo ha dichiarato ai giornalisti uscendo dall’ultimo vertice londinese sulla sicurezza dell’Ucraina.

Ecco dove siamo improvvisamente (?) ripiombati; a quelle immagini e parole che ci auguravamo di non dover più risentire: “spezzeremo le reni a…”; “abbeverare i cavalli nelle fontane di S. Pietro”; “offriremo agli alleati lo scudo nucleare”…

D’altra parte come scriveva Henry Miller  nel suo saggio su Arthur Rimbaud, Il tempo degli assassini, noi stiamo “…ancora adoperando il linguaggio dell’Età della Pietra…”; parliamo come se “… l’atomo di per sé stesso fosse il mostro, come se fosse lui e non noi ad esercitare il potere… L’uomo non ha nemmeno cominciato a pensare…” ed, infatti, sembriamo volere delegare questa capacità alla Intelligenza Artificiale, anzi vorremmo effettivamente assistere a questo ‘miracolo eretico’ della comparsa di coscienza in una macchina, fosse anche un semplice drone o un chatbot.

Procediamo, continua Miller, “… ancora a quattro zampe… barcollando nella nebbia, con gli occhi chiusi e il cuore che [ci] martella di paura… All’uomo è stata data una seconda vista perché potesse discernere attraverso ed oltre il mondo dell’apparenza. Il solo sforzo che gli è richiesto è che apra gli occhi dell’anima…”, e invece…

Invece si continua ad aprire il portafogli.

La partita sul riarmo dell’Europa che Von der leyen vede come «urgente» richiederebbe 800 miliardi di euro! Ecco il suo punto di vista: «Dopo molto tempo di investimenti inadeguati, è arrivato il momento di aumentare gli investimenti per la Difesa a lungo respiro, per la sicurezza dell’Unione europea, visto l’ambiente geo-strategico nel quale viviamo. Dobbiamo prepararci al peggio, dobbiamo aumentare le spese militari».

Questa dichiarazione mi ha fatto venire in mente una storiella, presumibilmente autobiografica, che Iosif Brodskij racconta in uno dei suoi saggi dal titolo Per citare un versetto (da I. Brodskij, Il canto del pendolo, Adelphi, 1987):

“…in una delle numerose prigioni della Russia settentrionale, avvenne la scena seguente. Alle sette del mattino la porta di una cella si spalancò e sulla soglia apparve una guardia che apostrofò i detenuti. «Cittadini! Il collettivo delle guardie carcerarie vi sfida tutti, voi detenuti, a una competizione socialista: si tratta di spaccare la legna ammassata nel cortile».

Da quelle parti e nei tempi in cui Brodskij fu rinchiuso quale dissidente in uno di quei famigerati gulag, non c’era il riscaldamento centrale e la polizia imponeva una “tassa” alle aziende forestali, facendosi consegnare un decimo della loro produzione.

Così i cortili delle prigioni si riempivano di enormi cataste di legname e dunque, continua Brodskij “…bisognava spaccare un po’ di legna…”  facendola passare per una competizione socialista. “…«E se io mi rifiutassi?» S’informò uno dei detenuti. «Be’, in questo caso vai a letto a pancia vuota» rispose la guardia”.

Furono distribuite le asce ai detenuti, e il lavoro cominciò. Prigionieri e guardie ci si misero d’impegno, e a mezzogiorno erano tutti stremati, specialmente i prigionieri, per via della loro denutrizione cronica. Fu annunciato un intervallo, e la gente si sedette a mangiare: tranne il tipo che aveva fatto quella domanda. Lui continuò a menare colpi d’ascia…”

E l’ascia di quello continuò ad andare su e giù, su e giù, anche quando alla fine della giornata gli altri gli gridarono di piantarla. Glielo dissero le guardie, e i suoi compagni di prigionia, ma lui, niente “…agli occhi degli altri era diventato quasi un’automa…. guardie e detenuti seguivano ogni suo gesto e sulle loro facce, a poco a poco, la smorfia sardonica lasciò il posto a un’espressione di stupore e poi di terrore”.

Quando l’uomo decise di fermarsi, a tarda sera, si avviò barcollando verso la sua cella, vi entrò e si buttò sul letto.

Per il resto del suo soggiorno in quella prigione non fu più indetta nessuna gara socialista tra guardie e detenuti, sebbene il legname continuasse ad ammucchiarsi”.

Adesso calandoci nell’attuale situazione potremmo provare a identificare “quel prigioniero” in …un ucraino? Oppure in un russo? O ancora in un europeo? Non saprei davvero.

Ma quello che so è che quel prigioniero, allora così giovane, sicuramente conosceva meglio di qualunque ucraino, russo ed europeo di oggi il testo del Discorso della Montagna. Poiché il figlio dell’Uomo aveva l’abitudine di parlare per triadi, il giovane Brodskij sicuramente ricordava che dopo il versetto

ma se uno ti percuote sulla guancia destra, porgi a lui anche l’altra

non c’è una pausa ma il testo aggiunge subito

e se uno vuole chiamarti in giudizio e toglierti la tunica, cedigli anche il tuo mantello. E se uno ti forza a fare un miglio, va’ con lui per due miglia”.

Il significato di questi versetti è tutt’altro che passivo poiché come sottolinea Brodskij “…vi è l’implicita idea che il male può essere reso assurdo per eccesso; vi è implicito il suggerimento di rendere assurdo il male sminuendone le pretese con una condiscendenza pressoché illimitata che svaluta il danno…”. L’eccesso a volte stupisce e impaurisce.

E così anche pensare di affrancarsi dal “male” eccedendo nel “bene”, è altrettanto pericoloso tanto da rendere persino più assurdo “… l’aumento dell’accumulo di legname nei cortili delle prigioni…” per riscaldarci durante l’inverno.

Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/

Per leggere gli articoli, i racconti e le poesie di Giuseppe Ferrara su Periscopio clicca sul nome dell’autore

IL CINETRUMPANETTONE

IL CineTrumPanettone

Dopo la lista di parole vietate, bandite dai siti e dai documenti ufficiali della Pubblica Amministrazione e delle Università americane, Donald Trump è già al lavoro, assieme al fido Elon Musk, per epurare anche il mondo del Cinema. Ecco in anteprima la lista dei ritocchi previsti per le pellicole sin qui esaminate.

  • Il film Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975), poiché contiene nel titolo italiano un’innominabile parte del corpo, nella nostra penisola sarà ribattezzato: Qualcuno volò sul nido del cucù, e ambientato in Svizzera.
  • Il titolo del film Biancaneve e i sette nani (1937), contenente un esplicito riferimento alla cocaina, sarà modificato in Biancaneve e le sette nari, rafforzandone poi il contenuto con la proiezione aggiuntiva, dopo i titoli di coda, del documentario di Elon Musk: Ketamina is my Gasoline.
  • Il film di Luchino Visconti, Rocco e i suoi fratelli (1960), considerato l’argomento tabù dell’emigrazione, sarà interamente rigirato in un hotel a Las Vegas, con un plot più moderno ed il nuovo titolo di: Rocco e le sue sorelle, interpretato dall’omonimo pornoattore italiano.
  • Il film di Nanni Loy: Vado, sistemo l’America e torno (1974), poiché considerato lesivo dell’immagine del paese, sarà rigirato negli Emirati Arabi, senza partecipazione europea, dallo stesso Donald Trump, con il titolo di: Vado, sistemo l’Ucraina e torno (con qualche migliaia di tonnellate in terre rare).
  • Tutti i Cartoons di Paperino (Donald Duck), vista la pericolosa assonanza con il nuovo presidente – nonché l’ambigua presenza dei tre nipotini, di padre e madre ignoti – saranno sostituiti dai filmini amatoriali in Super8 di Elon Musk, che mostrano le peripezie da bambini, dei suoi due figli segreti: C1-P8 e D-3BO. A questo proposito, l’intera saga, che li vede coinvolti da adulti, cambierà nome, da Star Wars a SpaceX, ed avrà un finale diverso: le astronavi dell’Impero esploderanno tutte in volo nei cieli del Texas.
  • Il film Easy Rider (1969), manifesto della propaganda pacifista e sovversiva degli anni Sessanta, verrà proiettato ripetendo in un Loop continuo, della durata di 8 ore, soltanto il finale, rigirato per l’occasione in modo quasi fedele all’originale, con un membro dei Proud Boys che ammazza a fucilate i due Bikers dal suo Pick Up, rigorosamente americano (su quelli esteri, si sa, ci sono oramai troppi dazi di reazione).
  • Infine, anche la scena finale di Avengers: Endgame (2019), verrà riscritta. Il guanto con le gemme dell’infinito, sarà sottratto a Thanos da un nuovo supereroe: Iron Trumpet – grazie ad uno dei suoi discorsi da trombone a tiro sfiatato – che poi, schioccando le dita e pronumciando le parole: “America First”, farà riapparire soltanto i veri Americani. Si ritroverà così, suo malgrado, circondato da migliaia e migliaia di Pellirossa inca…ti e farà la fine del generale Custer a Little Big Horn, indomabile scalpo compreso.

That’s All Folks!

Sentieri in libertà:
proiezione del docufilm “Flora”, Bologna, cinema Galliera, 13 aprile ore 16

#sentieridilibertà

Proiezione del film di Martina De Polo “FLORA”

DOMENICA 13 APRILE ORE 16,00 

Bologna – Cinema Galliera (Via Matteotti 27)
La rassegna Sentieri di Libertà – trek ed eventi dedicati all’80° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo – prosegue con la proiezione del film di Martina De Polo Flora, che racconta la storia di Flora Monti, la più giovane staffetta partigiana della Resistenza italiana.
Flora Monti – foto da Famiglia Cristiana
Flora ci racconta la Storia dagli occhi di una bimba, una storia di sofferenza e di terrore, ma anche di speranza e libertà.
La narrazione fatta in prima persona da Flora, che oggi ha 94 anni, intervallata dalla ricostruzione degli eventi, ci restituisce un racconto originale ed artistico.
Saranno presenti: gli autori Martina De Polo e Alex Scorza, Hilde Petrocelli (ANPI Provinciale Bologna), Flora Monti (la protagonista).
Costo del biglietto 6 €, ridotto 4 € per soci e socie di Trekking Italia.
Domenica 13 aprile ore 16
Bologna – Cinema Galliera
Via Matteotti 27
Chiusura iscrizioni: 4 aprile
Flora. Un film di Martina De Polo. Con Flora Monti, Deina Palmas, Italia, 2024, 71’.
Trekking Italia – Emilia-Romagna
In copertina: Marzabotto, in memoria della strage – foto di Arvhivio duepuntozero

Perché Trump mette i dazi?

Perché Trump mette i dazi?

Lo slogan di Trump “Make American great again significa che sia gli americani che lo hanno votato, sia Trump non credono che l’America sia davvero così forte oggi. E’ vero che controllano gran parte della finanza, ma Cina e Russia possiedono gran parte delle materie prime e terre rare che sono decisive per le tecnologie del futuro; e tra soldi e tecnologia/manifattura, in caso di conflitto, vince la seconda. Draghi & c. si sono sentiti dire dal Pentagono, a metà 2023, che l’intero Occidente non era in grado di rifornire l’Ucraina delle munizioni necessarie, mentre la Russia si, nonostante fosse 30 volte inferiore come PIL e sparasse molto di più. Il motivo è che la manifattura è stata delocalizzata nei paesi poveri.

L’occupazione statunitense cresce da sempre più dell’Europa perché loro attraggono immigrati. Ciò spiega la continua crescita demografica, a differenza dell’Europa. Sono passati da 249 milioni del 1990 agli attuali 334, e non certo per la fecondità delle donne americane che è prossima a quella europea; ma se si considera il Tasso di Occupazione, cioè quanti sono gli occupati sugli abitanti dai 16 anni in poi, è inferiore (62% rispetto al 70% dell’Europa). I redditi sono maggiori ma, se confrontati in termini di potere d’acquisto (PPP), sono di poco superiori a quelli europei e la società americana è molto più diseguale (41,5% indice di Gini; Italia 35% tra i maggiori in Europa con Germania e Paesi del Nord a 29-28%). Lo sanno bene i 70 milioni di americani poveri che non possono accedere alla sanità, o i nostri amici americani che vengono in Europa per far studiare all’Università i loro figli e curarsi nei nostri ospedali, vista la mancanza di un welfare di tipo europeo che fa la differenza, per chi non è ricco.

Ma ci sono soprattutto fattori sociali e macroeconomici che rendono fragile l’America.

1) negli ultimi 25 anni il saldo commerciale è diventato da positivo a negativo per un cifra enorme; 2) il debito pubblico americano è diventato quasi come quello dell’Italia, passando dal 54% del Pil del 1999 al 122% del 2024 e pure il risparmio privato in deficit (le vendite a rate sono una invenzione Usa); 3) si è ridotta di 2 anni la speranza di vita (caso unico al mondo nei paesi avanzati); 4) la società è divisa come non mai e in via di disgregazione sociale con altissima mortalità per droga, suicidi e omicidi.

Una nuova Yalta

Trump vuole farla finita con i regime change ed il soft power nel mondo e, a quanto pare, concentrarsi solo sull’America e i suoi interessi continentali: chiudere con le guerre e definire una Nuova Yalta in cui ciascuno abbia una sua sfera di influenza, ricominciando a fare affari con tutti. Il vero avversario rimane la Cina e quindi conviene dialogare il più possibile con la Russia, mentre l’Europa rimane quello che è: un ricco vassallo che non preoccupa. Per Trump il riarmo europeo è benvenuto. Per un esercito comune operativo ci vorranno 10 anni e per decidere chi comanda bisogna rifondare l’Europa come vera statualità, nel frattempo può essere utile per vendere armi americane (il 63% delle armi europee è acquistato in USA).

Così si spiega anche l’interesse di Trump per la Groenlandia (regione autonoma della Danimarca, 57mila abitanti  al 90% inuit, che con un semplice referendum possono diventare indipendenti), le mire su Canada e Panama e il dialogo con la Russia, la quale dovrà convincere l’Iran sciita a lasciar ricostruire Gaza dagli arabi sunniti (con un porto, caso mai, dell’Arabia Saudita sul Mediterraneo) e con 50 miliardi, sistemando i palestinesi e pacificando il Medio Oriente.

L’America ha un grosso problema nella competizione con la Cina: la globalizzazione degli ultimi 25 anni ha visto spostarsi all’estero gran parte della sua manifattura, in Cina (ora in Vietnam, etc.) con stratosferici profitti per le imprese (sfruttando i bassi salari) ma causando l’attuale gigantesco deficit commerciale USA (1.210 miliardi nel 2024, +14% sul 2023; nei servizi l’avanzo è invece di 293 miliardi e nel complesso la bilancia dei pagamenti è in deficit per 917 miliardi), con una perdita di competitività del mercato interno.

E qui nasce la questione dei dazi. L’iva all’importazione (un dazio per le regole del WTO), “sales tax” nei singoli Stati USA varia dall’1% all’11% (media 8%), mentre nei paesi europei dal 17% al 27% (Italia 22%; media UE 21%). I dazi all’import sono quindi negli Stati Uniti metà di quelli in Europa e per le auto 4 volte più bassi (2,5% per Usa, 10% per Europa). Per Trump questo squilibrio deve essere superato.

Il libero commercio non esiste

Tutta la retorica mainstream sul libero commercio è fuffa, perché da sempre il libero commercio non esiste. Oltre alle barriere tariffarie ci sono infatti quelle non tariffarie (ad esempio gli standard sui processi e prodotti) e, in alcuni casi, sono (a mio avviso) positive. Per esempio: Italia e Francia non vogliono l’accordo col Mercosur (UE invece si) per non importare agricoltura con pesticidi, OGM e altre schifezze, sia per tutelare i nostri contadini sia per salvaguardare un’alimentazione sana e locale che ha grande impatto sulla salute. Ma vale anche per lo sviluppo di imprese nascenti. Nella boxe nessun peso piuma combatte contro un peso massimo: così nessuna economia debole/nascente apre tutti i suoi mercati al libero commercio se non vuole essere rasa al suolo da una economia più forte.

E’ vero che senza libero scambio i prezzi possono essere più alti, ma è anche vero che si tutelano di più i propri prodotti e lavoratori. E’ anche il tema che affronta l’Europa col riarmo. Un conto è un esercito comune che sia tecnologicamente indipendente, altro è riarmarsi acquistando tecnologie da altri (potenziali avversari).

Non sono quindi stupito se Trump introduce dazi con l’obiettivo di riportare la manifattura in patria, accrescere gli occupati, ridurre il deficit commerciale, a costo di aumentare l’inflazione a scapito dei consumatori americani. Del resto la Federal Reserve Usa ha come mandato non solo la difesa dell’inflazione ma anche quella dell’occupazione e gli americani su questo sono più avanti degli europei in quanto la BCE (Banca Centrale Europea) invece ha solo l’obiettivo di contenere l’aumento dei prezzi. Come mai Draghi non si è battuto per cambiare questa regola e introdurre la difesa dell’occupazione quando era lui a capo della BCE? Perché non si discute di questa importante questione?

Introducendo i dazi l’import degli Stati Uniti calerà e il dollaro, dicono i liberisti mainstream, si rivaluterà. Come è possibile allora che si stia svalutando? E’ a 1,09 sull’euro, quando era 1,04 subito dopo eletto Trump. Cresceranno poi i tassi di interesse, ma ciò avverrà anche in Europa col riarmo a debito, per la gioia di chi ha un mutuo. Trump sta bypassando molte regole democratiche nel suo paese, ma Von der Leyen col riarmo non fa la stessa cosa?  La regola del max 3% in deficit che è valsa per 20 anni all’improvviso non vale più.

Se il deficit delle merci Usa è alto, è invece in avanzo quello dei servizi (sempre più digitali, per esempio prenotazione on line di alberghi e case in Europa). L’OCSE ha in cantiere di tassare questi servizi digitali a favore dei paesi dove risiedono i clienti. Anche prima di Trump però gli Usa hanno fatto muro perché, essendo la maggioranza di queste imprese americane, la tassazione andrebbe a vantaggio dell’Europa, la quale potrebbe rispondere ai dazi Usa non solo con propri dazi, ma tassando i servizi digitali americani che viaggiano on line.

Coi dazi arriverà l’Apocalisse? Non credo. Trump ne ha introdotti già nel 2017, Biden li ha riconfermati e quegli stessi economisti che avevano levato alte le grida (tra cui premi Nobel come Krugman) si sono zittiti. Adesso che Trump ha ricominciato a mettere i dazi ritorna il coro accademico di allarme che tutto ciò porterà al disastro. Così prosegue la narrazione sul “matto” Trump. Stephen Miran, economista, guida il suo staff economico. Sostiene che l’economia americana trarrebbe vantaggi da un aumento dei dazi in quanto:

1) non è vero che esiste il libero scambio. La Cina, per esempio (il maggior competitor degli USA), è retta da un sistema dirigista in cui lo Stato può decidere di sussidiare alcuni prodotti sottocosto (dumping) pur di riuscire ad entrare in certi mercati, dove, una volta entrati, distruggere la concorrenza e infine alzare i prezzi (strategia oggi ampiamente usata dai monopoli big tech);

2) gli Stati Uniti sono uno dei pochi “monopsoni”, cioè un monopolio dal lato della domanda, nel senso che sono un paese che importa tanto ed esporta poco, relativamente agli altri. Il monopolio dal lato dell’offerta significa che c’è un solo o pochi (oligopolio) che vende quel prodotto. Vedi Google tra i motori di ricerca (usato dal 90% in Occidente). I monopoli o oligopoli sono svantaggiosi per i consumatori perché da un lato si accordano sui prezzi (alzandoli) e dall’altro impediscono ai “piccoli innovatori in ascesa” di entrare nel loro mercato, cercando di distruggerli o acquistarli (come hanno fatto per decenni i big tech made in Usa, ma anche i monopoli Usa nella seconda metà dell’Ottocento). L’anti trust serve a contenere queste pratiche sleali. Il monopolio dal lato della domanda si chiama monopsonio. Quando c’è un solo grande cliente com’è, per es., il caso dell’Italia che acquista gas dall’estero, l’unico acquirente potrebbe imporre un prezzo basso ai molti venditori. Invece col libero mercato l’Italia ha permesso a 700 utilities di svilupparsi: ciascuna di esse deve fare profitti sulla pelle dei clienti italiani. Un monopsonio sono anche gli Stati Uniti come paese: sono un gigantesco cliente da 344 milioni di abitanti che importa meno del 10% del suo PIL ed esporta poco. Se raffrontato al suo PIL l’export USA è 11,6%, rispetto al 15,6% dell’Europa, 23% della Cina, 30% dell’Italia, 37% della Germania). Si noti l’ottima posizione dell’Italia nell’export.

Alzando le tasse doganali gli Stati Uniti avrebbero più inflazione, ma vantaggi in termini di:

1) aumento delle tasse pagate dagli stranieri,

2) riduzione del deficit commerciale,

3) più occupati nelle imprese americane e una manifattura più forte.

Inoltre è possibile che le imprese straniere, pur di non perdere le vendite in USA, siano disposte a ridurre i prezzi, per cui i consumatori americani potrebbero essere poco penalizzati dal dover comprare un prodotto alternativo made in Usa a costo maggiore.

Se i dazi funzionano i vantaggi potrebbero essere girati alle imprese e famiglie americane in termini di minori tasse. In sostanza il paese che ha meno danni dal protezionismo sono gli Stati Uniti. Dipende anche se il dollaro si rafforzerà o meno. Se si rivaluta, crescono anche i flussi di capitale negli USA, ma Miran punta anche ad indebolire il dollaro per esportare di più made in Usa, come sta già avvenendo.

I dazi sono anche una forma di pressione per ottenere altro. Dopo l’incontro col primo ministro giapponese Ishiba, Trump ha trasformato quella che era una pericolosa vendita (per l’interesse nazionale USA) della US Steel ai giapponesi della Nippon Steel (per 15 miliardi di dollari), in un enorme investimento in Usa “a favore del lavoro americano e dell’industria manifatturiera USA”. Dopo questo accordo per i dazi contro il Giappone (che ha un avanzo commerciale con gli USA di 68 miliardi annui),  i dazi contro l’Europa servono per convincere gli imprenditori europei a investire negli Stati Uniti per creare lavoro americano e rafforzare la loro manifattura. Infatti John Elkann ha già dichiarato che ci investirà 5 miliardi con Stellantis.

Insomma un argomento più complesso di quello che ci vogliono far credere gli economisti liberisti mainstream e forse così matto Trump non è. Certo è che quando i dazi Usa arriveranno anche per l’Europa le due maggiori economie che saranno colpite saranno quella tedesca e italiana;  tra le aree interne italiane, l’Emilia-Romagna. Una risposta simmetrica (dazi contro dazi) è rischiosa soprattutto per noi europei che non abbiamo né uno Stato, né una visione di lungo periodo, né il dollaro come moneta di riserva mondiale, né le materie prime ed energetiche americane, né il digitale; in più abbiamo manifatture in recessione. Su questo dovrebbe riflettere l’Europa, altro che fare propaganda a manetta e riarmo a vanvera.

Per leggere gli articoli di Andrea Gandini su Periscopio clicca sul nome dell’autore.

Parole e figure / Orso e Uccellina

Con Lapis edizioni, a marzo, tornano in libreria le avventure di Orso e Uccellina, storie di grande e bella amicizia.

Orso è sbadato e credulone, Uccellina è sensibile e un poco permalosa. Sono migliori amici e passano molto tempo insieme. Vivono mille avventure, litigano, si prendono in giro, ma alla fine trovano sempre il modo di fare la pace. Non sempre si capiscono, ma entrambi concordano sul fatto che tutto ciò che vogliono è che il loro amico sia felice.

Le avventure di questi simpatici amici erano iniziate qualche anno fa, con il primo volume della serie, sempre edito da Lapis, Il picnic e altre storie, che si era aggiudicato il Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2024 nella categoria 6+. Nei quattro episodi firmati da Jarvis, Orso si destreggia fra un fiore che crede parlante (in realtà, intrappolata nel fiore, c’è Uccellina, scivolata lì dentro mentre era seduta sui suoi petali), un picnic dove si è dimenticato di portare le seggioline pieghevoli e la merenda, tele e pennelli per fare un dipinto e la copertina Dlin Dlon. Per tante risate c’è spazio per tutti.

Sono seguiti Le stelle e altre storie e La grande avventura e altre storie.

In Le stelle e altre storie, del 2023, Orso e Uccellina litigano (stavolta non hanno fatto la pace e Orso cerca un nuovo migliore amico affidando una lettera alla corrente del lago),  Orso mangia tutta la torta che era nascosta sotto alle foglie, vicino a casa di Uccellina e cerca di rimediare, una roccia che si mette a camminare e a nuotare nello stagno (ma quel sasso è una tartaruga…) e i due amici ammirano il cielo stellato, dicendosi non c’è altro che possano desiderare. Salvo che…

In La grande avventura e altre storie, del 2024, Orso è, invece, alle prese con un momento di tristezza e un attacco di gelosia da parte di Uccellina: hanno incontrato Talpa, un nuovo amico che sa raccontare divertentissime barzellette. Uccellina teme di rimanere esclusa, poi capisce di non dover entrare in competizione per avere l’attenzione di Orso. Loro restano pur sempre migliori amici, ma si sta bene anche in tre! Talpa li invita allora per una divertente e inusuale avventura con la sua barchetta. Promette tesori, pirati, bufere e mostri giganti… eppure  la barca non si muove di un centimetro. Talpa è mortificato, ma Orso e Uccellina accendono l’immaginazione. Eccoli impegnati in una caccia al tesoro durante una terribile tempesta… Dopo aver giocato a lungo, i tre si addormentano sognando nuove, incredibili avventure!

Oggi, i due inseparabili amici tornano con Il rametto e altre storie, 64 pagine di allegria.

Anche questo volume è composto da quattro divertenti episodi, in cui i due affrontano situazioni buffe, strane e imprevedibili: una foglia appiccicata sulla guancia di Orso diventa una moda inaspettata tra gli abitanti del bosco, un mercatino degli scambi si trasforma in una rocambolesca caccia alla palla rimbalzina, un rametto scatena un’esilarante contesa e l’orologio di Orso sembra proprio non segnare l’ora giusta… o forse sì? Un’ironia delicata, qualche scaramuccia ma soprattutto tanto tanto affetto.

Parole e sentimenti per tutti. Letture che fanno bene al cuore, di piccini e meno piccini.

Jarvis
Graphic designer e animatore digitale, ha all’attivo diversi albi di cui è autore e illustratore. Tra i suoi libri più amati, il pluripremiato Alan, coccodrillo tuttodenti Il bambino con i fiori nei capelli, Oscar Book Prize 2023 e finalista al Premio Nati per Leggere 2023, sezione “Crescere con i libri”. Il primo volume della serie, Orso e Uccellina. Il picnic e altre storie, ha vinto il Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2024 nella categoria 6+.

Il Manifesto di Ventotene parlava degli “Stati Uniti socialisti d’Europa”

Il Manifesto di Ventotene parlava degli “Stati Uniti socialisti d’Europa”

(Foto di Istituto Spinelli)

L’arcano dell’ipocrisia europeista

Ventotene era un’isola dove il regime fascista aveva predisposto un carcere a cielo aperto su cui si affacciavano le celle dei confinati politici antifascisti consentendo ai carcerieri di osservare ogni loro mossa. In questa prigione ossessivamente inquisitoria Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, con l’aiuto essenziale di Eugenio Colorni, redassero Il Manifesto di Ventotene, ovvero un programma politico per una nuova “Europa libera e unita” elaborato nell’agosto 1941 e diffuso con l’aiuto di Ursula Hirschmann.

In questi anni spesso e volentieri si è sentito parlare del Manifesto di Ventotene come del documento teorico-fondativo dell’Unione Europea ed è spesso stato cavalcato da alcune forze neoliberali in Italia (Radicali Italia, +Europa di Emma Bonino, Italia Viva di Renzi, sindacati come la CISL e da molti altri), come il punto di riferimento del “federalismo europeo”, dell’europeismo e del progetto degli “Stati Uniti d’Europa” su modello degli Stati Uniti d’America. Purtroppo in molti, anche in buona fede, ritengono che sia un manifesto federalista, ma non è così.

Il giornalista Michele Serra ultimamente, dalle pagine de La Repubblica, ha invitato a scendere in piazza il 15 marzo il partito unico europeista della guerra solo con le bandiere blu dell’Unione Europea per un “Europa più forte” che faccia tesoro dei “valori fondativi” dell’Europa sostenendo che sia, ora più che mai, urgente pensare agli Stati Uniti d’Europa esplicitati nel Manifesto di Ventotene.
Il 4 marzo, la Vicepresidente del Parlamento europeo ed eurodeputata PD Pina Picierno, ha lanciato l’Appello “Per un’Europa Libera e Forte” che – secondo le premesse – “nasce dall’urgenza invariata che il Manifesto di Ventotene tracciò durante il secondo conflitto mondiale, per un’Europa federale e per un nuovo europeismo in difesa delle democrazie liberali e delle libertà dei popoli”. Un appello che, al pari di quello di Michele Serra, ha riscosso successo proprio tra gli europeisti “più atlantisti” come il “socialista” francese Raphaël Glucksmann, Vittorio Emanuele Parsi, Alessandro Alfieri, Filippo Sensi, Lia Quartapelle e Nathalie Tocci.

Queste affermazioni – se vi capita di sentirle in telegiornali o talk show – non sono solo fuori contesto, ma definiscono con chiarezza che chi le sta pronunciando non ha mai letto il Manifesto di Ventotene e porta avanti una falsificazione ed una distorsione più o meno consapevole dei suoi contenuti.

I contenuti del Manifesto di Ventotene

Il Manifesto di Ventotene non è un manifesto “federalista” nè tantomeno “neoliberale” come i Radicali Italiani, Emma Bonino, Magi, Renzi, Michele Serra e tutti i neoliberali e neoliberisti possano minimamente pensare o dire. Il Manifesto di Ventotene nasce come manifesto scritto da intellettuali socialisti antifascisti, che credevano nella «definitiva abolizione della divisione dell’Europa in Stati nazionali», così da cancellare «la linea di divisione fra i partiti progressisti e i partiti reazionari».

Per fare questo, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni proponevano una confederazione (non una federazione) di Stati europei su base socialista per un’Europa sociale, democratica e dei popoli: questo intendevano con l’espressione “Per un’Europa libera e unita”.

Il Manifesto di Ventotene – basta leggerlo – si esprimeva chiaramente contro tutti i totalitarismi (nazismo e stalinismo), l’egemonia della Germania, il liberismo in tutte le sue forme, i nazionalismi sciovinisti, l’imperialismo e l’uso strumentale della geopolitica per giustificarlo, il militarismo e qualunque forma di corporativismo sia esso industriale o sindacale (afferma: “Il corporativismo non può avere vita concreta che nella forma assunta degli stati totalitari, per irreggimentare i lavoratori sotto funzionari che ne controllano ogni mossa nell’interesse della classe governante.”).

Il Manifesto di Ventotene sanciva assolutamente l’autodeterminazione dei popoli europei in un’ottica particolare: abbandonare la teoria evoluzionista del “pacifismo passivo” incarnato dalla dottrina liberale (per cui le società erano naturalmente portate a svilupparsi verso forme superiori di convivenza), per delineare un “pacifismo attivo” fondato sull’interdipendenza tra Stati sovrani “fratelli” solidali e non più sull’equilibrio di potenza tra gli Stati dipendente dalle controversie nazionalistiche.

Qui sta la vera differenza tra confederazione, che prevede unione di Stati sovrani indipendenti ed interdipendenti sotto stesse politiche economiche e sociali, e federazione, unione di Stati che cedono le loro quote di sovranità ad un governo centrale federale sovrastatale su modello USA.

Spinelli, Rossi e Colorni credevano fortemente in un’Europa alternativa (mi verrebbe da dire, soprattutto da quella attuale), in cui fosse necessario il superamento dei privilegi corporativi e delle disuguaglianze sociali.

Scrivevano nel Manifesto: Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era sarà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l’attuazione, saranno crollanti o crollate, e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita.”

Secondo loro la “rivoluzione europea” poteva essere solo socialista e guidata da un’organizzazione partitica sovranazionale che si faceva portatrice di “riforme economico-sociali in chiave continentale”:
“Il principio veramente fondamentale del socialismo (…) è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma – come avviene per forze naturali – essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime.”

Il Manifesto di Ventotene prefigurava la necessità dell’istituzione di una confederazione europea con un parlamento europeo eletto a suffragio universale e un governo democratico con poteri reali nell’economia e nella politica estera. Un “partito rivoluzionario” di stampo socialista su scala europea avrebbe dovuto sostituire i partiti tradizionalmente intesi per consentire l’inveramento di questa prospettiva:

“Il partito rivoluzionario non può essere dilettantescamente improvvisato nel momento decisivo, ma deve sin da ora cominciare a formarsi almeno nel suo atteggiamento politico centrale, nei suoi quadri generali e nelle prime direttive d’azione. Esso non deve rappresentare una coalizione eterogenea di tendenze, riunite solo transitoriamente e negativamente, cioè per il loro passato antifascista e nella semplice del disgregamento del totalitarismo, pronte a disperdersi ciascuna per la sua strada una volta raggiunta quella caduta.

Il partito rivoluzionario deve sapere invece che solo allora comincerà veramente la sua opera e deve perciò essere costituito di uomini che si trovino d’accordo sui principali problemi del futuro. Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque ci siano degli oppressi dell’attuale regime, e, prendendo come punto di partenza quello volta sentito come il più doloroso dalle singole persone e classi, mostrare come esso si connetta con altri problemi e quale possa esserne la vera soluzione.

Ma dalla schiera sempre crescente dei suoi simpatizzanti deve attingere e reclutare nell’organizzazione del partito solo coloro che abbiano fatto della rivoluzione europea lo scopo principale della loro vita, che disciplinatamente realizzino giorno per giorno il lavoro necessario, provvedano oculatamente alla sicurezza, continua ed efficacia di esso, anche nella situazione di più dura illegalità, e costituiscano così la solida rete che dia consistenza alla più labile sfera dei simpatizzanti.”

Secondo gli autori, per questa “rivoluzione sociale europea”, era di vitale importanza il coinvolgimento in prima istanza degli intellettuali e della classe lavoratrice perché, oltre a un lavoro politico era necessario un lavoro culturale dedito alla solidarietà, alla pace e al welfare state:

“Pur non trascurando nessuna occasione e nessun campo per seminare la sua parola, esso deve rivolgere la sua operosità in primissimo luogo a quegli ambienti che sono i più importanti come centri di diffusione di idee e come centri di reclutamento di uomini combattivi; anzitutto verso i due gruppi sociali più sensibili nella situazione odierna, e decisivi in quella di domani, vale a dire la classe operaia e i ceti intellettuali.

La prima è quella che meno si è sottomessa alla ferula totalitaria, che sarà la più pronta a riorganizzare le proprie file. Gli intellettuali, particolarmente i più giovani, sono quelli che si sentono spiritualmente soffocare e disgustare dal regnante dispotismo. Man mano altri ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimento generale.
Gli intellettuali di Ventotene erano consapevoli del fatto che se questa missione non fosse andata in porto, tutto il progetto sarebbe stato un fallimento.

Solo con un “partito rivoluzionario” che sapesse mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo politico si sarebbe potuto costituire uno Stato confederale ed in seguito disporre una “forza armata europea” al posto degli eserciti nazionali, porre fine alle autarchie economiche “pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”.

Colorni, Rossi e Spinelli ebbero la forza di scrivere nero su bianco che, per avanzare riforme sociali importanti, bisognava rivedere in modo cauto anche il concetto di “proprietà privata” ed analizzarlo in ogni suo caso, qualora sia oppressivo per la collettività e quando invece abbia ragione e diritto d’esistere:

“La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali. In essa possono trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica. La soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale anche nella coscienza dei lavoratori.”

Queste riflessioni non sono mai state prese in considerazione nella nostra Europa tanto acclamata dalla retorica europeista e dall’attuale retorica neoliberale sugli “Stati Uniti d’Europa”, ma addirittura storicamente abbiamo vissuto il contrario: la centralità della proprietà privata, dell’iniziativa privata vista proprio come sacra ed intoccabile ed un progressivo laize faire neoliberista a discapito del pubblico.

Addirittura, nel 2001, l’Italia con Prodi ha velocizzato i processi di privatizzazione delle perle industriali pubbliche come l’ILVA, l’IMI e l’IRI, con la scusa che fosse necessario per entrare in Europa, dimenticando che gli autori del Manifesto di Ventotene chiedevano espressamente il mantenimento dei settori strategici sotto l’industria pubblica:

“non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore, ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari, industrie degli armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti;”

L’Europa tecnocratica e finanziaria di oggi non è quella pensata a Ventotene

È certo che la Carta di Ventotene abbia dei punti controversi e non chiari, ma resta comunque un tentativo interessante di teoria politica per un’Europa dei popoli. A differenza del Progetto Pan-Europa del filosofo e conte Coudenhove Kalergi, che ebbe una grande diffusione tra le élite finanziarie e diplomatiche del tempo e che auspicava un’Unione Europea a guida tecnocratica, il Manifesto di Ventotene fece ben pochi proseliti anche nel carcere.

Fece scalpore l’atteggiamento di Sandro Pertini (1), il quale, dopo aver sottoscritto il documento mentre era confinato proprio a Ventotene, venne espulso dal PSI per la sua posizione “eterodossa”, per poi ritirare la firma per obbedienza al partito. Era la prefigurazione della scarsa fortuna dell’idea confederale a base democratica, solidale e socialista.

Quella che nacque storicamente fu l’Europa di oggi, ovvero un’unione (né una federazione né una confederazione) nata sul modello funzionalista di Jean Monnet, secondo il quale bisogna “togliere sovranità ai popoli senza che se ne accorgano”.

Un’unione che non ha una Costituzione; non ha una legittimità democratica in quanto la maggioranza dei cittadini degli Stati membri non l’ha voluta (vedasi il referendum in Francia del 2005); un’unione che è stata imposta dall’alto e che tassa i cittadini europei senza rappresentarli (2) (il Parlamento Europeo ha solo la funzione di proporre direttive e non leggi, mentre le leggi le fa la Commissione Europea che è composta da nominati e non eletti); un’unione ispirata:

  • al concetto di “Europa tecnocratica” e di “integrazione europea” del conte Richard Coudenhove-Kalergi (3) che portarono alla costituzione del Progetto Pan-Europa e alla fondazione dell’Unione Paneuropea a Vienna nel 1924 secondo i principi della dottrina di James Monroe da cui «Europa agli europei», escludendo potenze mondiali come Russia e Gran Bretagna e mettendosi in guardia da nuovi centri di potenza quali Stati Uniti, Giappone e Unione Sovietica;
  • all’idea dell’integrazione monetaria dell’economista Francois Perroux (4) del 1943 con il dichiarato intento di “togliere agli Stati la loro ragion d’essere” impedendogli di poter di gestire la moneta;
  • alla sconfitta delle teorie economiche di Keynes, l’economista secondo cui l’interesse della collettività viene sempre per primo, che avvenne alla conferenza per gli assetti monetari internazionali di Bretton Woods del 1944, ove decollerà il progetto devastante di Lippmann, Berneys, Schuman, Monnet e Perroux per la distruzione della sovranità degli stati e al trionfo di grandi oligarchi delle corporate rooms, che finanziano le scuole di economisti e di classi dirigenti secondo l’ideologia del monetarismo e dell’economia neoclassica di Milton Friedman, facendo credere che sia l’unica economia esistente (un esempio l’Università Bocconi, che non fa teoria economica e non insegna politica economica);
  • al “Piano Schuman” del 1951 che porterà alla nascita della Ceca (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio);
  • al dominio egemonico della Germania che, con i Trattati di Maastricht del 1992, ha sancito la “l’economia sociale di mercato” come sistema economico europeo, ispirato ai principi folli dell’ordoliberismo tedesco, teoria economica che sostiene che il problema non sono gli investimenti, ma il debito pubblico.

Un’Europa del commercio, delle banche e della finanza che grazie alle lobbie di grandi capitalisti ha smantellato la sovranità degli stati europei per salvaguardare i loro profitti. Nel 2001, plasmato su modello del marco tedesco, viene introdotto l’Euro: la prima “moneta senza Stato” a regime di cambi fissi che provocò una grande reazione tra grandi teorici economisti.

L’Italia, a detta di Romano Prodi, quando entrò nell’euro, svalutò la lira del 600% (5). Nel gennaio 2002, nei 16 Stati più ricchi d’Europa avanza l’idea di creare corpi sovranazionali col potere di imporre le regole. Ecco quindi l’Unione Europa, il Trattato di Lisbona, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, i Mercati dei Capitali d’Investimento. Idea che vinse allora e vince in questa Europa nella quale viviamo in cui l’economia, purtroppo, domina la politica.

Questa verità è sotto gli occhi di tutti ed è emersa in tutta evidenza anche di fronte alle questioni squisitamente politiche, culturali, etiche come: la “Fortezza Europa” in termini di immigrazione; l’americanizzazione della difesa, in termini di sudditanza dell’Europa alla NATO; la guerra ai confini asimmetrici dell’Europa, in Nord Africa e in Ucraina e l’attuale riarmo da 800 miliardi di Ursula Von der Leyen.

«L’Europa di oggi non c’entra nulla con quella tratteggiata da Spinelli», spiegava Giulio Sapelli, grande storico ed economista docente ordinario di Storia Economica presso l’Università degli Studi di Milano. «Il sistema è diverso, la forma istituzionale è diversa», affermava Sapelli, e parlare di Ventotene si può fare, ma solo se si ha in mente una rifondazione totale dell’Europa. Spinelli, quando lavorava in Europa, disse chiaramente che l’Europa doveva nascere su base socialista e non sul libero mercato neoliberista.

Gli “Stati Uniti d’Europa” di cui si parla saranno neoliberali su modello atlantista

“Il Movimento Federalista Europeo non risponde ad altro che al migliore consolidamento della dittatura del Capitale americano sulle varie regioni europee e, al tempo stesso, della interna dominazione sul proletariato americano, le cui vane illusioni di prosperità hanno per sicuro sbocco l’austerità che oggi la più ipocrita delle borghesie fa inghiottire alla classe operaia d’Inghilterra”.
United States of Europe in Prometeo n. 14 del 1950.

Gli “Stati Uniti d’Europa” di cui parlano tutti gli europeisti più sensazionalisti e i federalisti europei come Emma Bonino, Matteo Renzi e Michele Serra, non sono un progetto di democrazia socialista europea, ma bensì un consolidamento di una post-democrazia di stampo neoliberale su modello statunitense, ispirandosi al federalismo statunitense e al vero padre del federalismo europeo che è il liberale Luigi Einaudi (6).

Einaudi pensava ad una organizzazione come un Super-stato con sovranità diretta sui cittadini, avente il diritto di stabilire imposte e dotata di un esercito, sostenendo che solo con la diminuzione della sovranità assoluta degli Stati Europei e un’unione federale europea si sarebbe potuta superare l’anarchia internazionale, ed evitare nuove guerre.

Einaudi basava la sua teoria sullo studio fatto dal The Federalist, da cui trasse l’assetto politico per cui il federalismo poteva eliminare la guerra fra gli Stati membri . Nelle sue idee era molto chiara la distinzione dei concetti tra confederazione, federazione ed unione, basata sulla limitazione o meno della sovranità. Einaudi era un grande critico del concetto di confederazione e criticò la Società delle Nazioni che, in quanto tale – a detta sua – non era una struttura in grado di garantire una pace duratura.

In sostanza, il mantra degli “Stati Uniti d’Europa” oggi è un tentativo di perfezionare l’Unione Europea per quello che già è, proseguendo verso la via dell’espropriazione della sovranità agli Stati.

L’idea neoliberale che sta passando è una forzatura culturale: parlare di “Europa agli europei” senza che esista un sentimento di coesione europea. “L’Europa non è mai esistita. Ora si tratta di crearla davvero” – diceva Jean Monnet nel 1950.

Oggi in Europa non esiste – e non può esistere, come sosteneva l’antropologa Ida Magli – il “cittadino europeo”, né tantomeno il cittadino italiano, tedesco, francese, inglese o spagnolo che si sente o si definisce “europeo”. Questo perché l’Europa non è paragonabile agli Stati Uniti d’America, una nazione artificiale creata da immigrati europei, senza una cultura unitaria se non quella del denaro e della american view of life fatta di consumismo, ipertrofica libertà individuale e mercato.

Forse il destino pensato dalle classi dirigenti europee per l’Europa è livellare le sue diverse culture ed identità sul piano del mercato come negli USA. Così avremo una classe dirigente che non solo tifa per il default economico, ma anche per il default culturale.

Come già aveva compreso Vladimir Lenin nel 1915, “gli Stati Uniti d’Europa in regime capitalistico non possono che essere impossibili o reazionari”, ed oggi siamo nel pieno di questa ipotesi. Un’Europa unita progressista non può dunque nascere dall’iniziativa della classe dominante, come accaduto con l’odierna Unione Europea, ma deve essere frutto dell’azione rivoluzionaria delle classi dominate.

Come ricordava Trostky“Il fine del proletariato europeo non è la perpetuazione dei confini ma, al contrario, la loro abolizione rivoluzionaria, non lo status quo, bensì gli Stati Uniti Socialisti d’Europa!”. C’è chi sostiene, in modo più o meno veritiero, che gli intellettuali di Ventotene fossero d’ispirazione trotkista (7), sottolineando ancora una volta come il Manifesto fosse un progetto neanche lontanamente paragonabile all’Europa bancocratica di oggi.

Nel frattempo, dovremo accontentarci di opporci a quest’Unione Europea e di lottare per il recupero della sovranità nazionale di ciascuno Stato, non già per fomentare la competizione tra questi, ma per stimolarne la cooperazione ed il rispetto reciproco, in attesa di tempi migliori.

Note

(1) Nel settembre 1935 Pertini esce dal carcere e viene condotto al confino di Ponza. Nel 1939 é disposto il suo trasferimento al confino, prima alle Tremiti e poi a Ventotene. Riacquisterà la libertà, dopo oltre 14 anni, nell’agosto del 1943, un mese dopo la caduta del fascismo. https://www.comune.cinisello-balsamo.mi.it/pietre/spip.php?article297 https://www.consiglio.regione.toscana.it/upload/eda/pubblicazioni/pub4164.pdf

(2) Principio del costituzionalismo inglese: no taxation without representation

(3) R. Coudenhove-Kalergi, Paneurope: Un grande progetto per l’Europa unita, Rimini, Il Cerchio pp.60-61

(4) Il 20 dicembre 1943, veniva pubblicato sulla Revue de l’économie contemporaine un saggio di François Perroux su La monnaie dans une économie internationale organisée 

(5) https://unilira.altervista.org/valore-della-lira-e-la-sua-svalutazione/?doing_wp_cron=1741438126.4091989994049072265625

(6) Il The Federalist è una raccolta di saggi che fu pubblicata dall’Independent Journal di New York 1787, scritti da Alexander Hamilton e John Jay. Furono scritti per sostenere la ratifica della costituzione americana, in essi sono definiti i concetti di federazione. C. G. Anta, Padri dell’Europa, cit., p.100

(7) Forum Pulire 2018 | Etica e Ambiente | Dibattito https://www.youtube.com/watch?v=PkoJsww2pEE

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Il crollo di Tesla e l’impero di Musk che potrebbe cominciare a vacillare

Il crollo di Tesla e l’impero di Musk che potrebbe cominciare a vacillare

di Marco Arvati
articolo originale su Valigia blu del 13 marzo 2925

Qualche giorno fa Donald Trump si è seduto al posto di guida di una Tesla modello S rossa, nel cortile della Casa Bianca. Per prassi consolidata, il presidente degli Stati Uniti non può guidare una macchina su strade pubbliche, né durante né al termine del mandato, dato che la sua sicurezza è affidata per intero al Secret Service. Lo ha fatto, però, per cercare di sostenere pubblicamente Elon Musk, uno dei suoi principali finanziatori nonché guida di DOGE, il dipartimento che si occupa di tagliare budget a gran parte delle agenzie federali: il magnate, infatti, sta vivendo un periodo di forti crisi aziendali.

Nell’ultimo mese, complice anche la congiuntura economica sfavorevole negli Stati Uniti e il crollo delle borse dovuto all’annuncio dei dazi di Trump, Musk ha perso quasi 120 miliardi di patrimonio netto, di cui 29 nella sola giornata di lunedì, una delle peggiori della sua vita imprenditoriale. Intervistato da Larry Kudlow per FOX Business, Musk ha detto che da quando è a capo di DOGE gestisce le sue aziende “con grande difficoltà”, e mentre parlava sembrava prossimo a piangere.

Il tracollo finanziario del magnate sudafricano, però, non si può spiegare soltanto con una discesa generale dei titoli a Wall Street, ma si innesta in una crisi che sta vivendo la sua azienda più conosciuta nel mondo, la leader nella costruzione di auto elettriche Tesla. L’azienda ha subito una caduta vertiginosa, dimezzando il proprio valore nell’arco di tre mesi, e le motivazioni afferiscono sia al quadro economico che a quello politico.

Dopo la vittoria di Trump alle elezioni, Elon Musk è diventato un riferimento politico della destra radicale: lui stesso non ha fatto nulla per evitare che venisse percepito come tale, in quanto, oltre ad assumere un ruolo di peso nell’amministrazione, ha elargito endorsment alle formazioni di estrema destra in molti paesi europei, tra cui Germania e Regno Unito. A partire da questo fatto, Tesla è diventata preda di boicottaggi e proteste: chi possiede un’auto dell’azienda di Musk e si identifica come progressista vuole rimarcarlo, appiccicando al veicolo sticker che recitano “l’ho comprata prima che Elon impazzisse” o “Anti-Elon Tesla Club”. Altri, addirittura, vendono l’automobile velocemente,a meno di quanto sarebbe il prezzo consigliato, generando una discesa del valore medio del modello.

Delle venti macchine usate che hanno visto la maggior caduta verticale nell’arco dell’anno, quattro sono Tesla, tra cui le prime due della classifica. Per di più, l’odio nei confronti di Musk si è acuito con le proteste contro l’amministrazione di questi primi mesi, che si sono indirizzate per la maggior parte contro il piano di DOGE di tagliare dipendenti ritenuti inutili alla produttività del governo americano. Inoltre, Musk e le sue aziende sono tra i più grandi beneficiari della spesa pubblica governativa: circa 38 miliardi totali di contratti firmati, di cui 6 solo l’anno scorso. È paradossale che il miliardario che più si sta spendendo per tagliare sussidi, posti di lavoro e intere agenzie sia il più dipendente di tutti dalla politica industriale federale.

Se negli Stati Uniti l’attacco a Musk è indirizzato principalmente alla sua volontà di eliminare posti di lavoro sicuri per i cittadini americani, in Europa è disprezzato negli ambienti progressisti per il tentativo di sostenere apertamente i partiti di estrema destra. In Germania, dove Musk si è speso molto per la leader di Alternative fur Deutschland Alice Weidel, le proteste sono state molteplici: davanti alla gigafactory dell’azienda, che si trova a Berlino, è stato riprodotto il momento in cui Musk ha fatto un saluto fascista il giorno dell’inaugurazione di Trump, accompagnato dalla didascalia “Non comprare Tesla”. Anche in Italia, il negozio Tesla di piazza Gae Aulenti a Milano è stato preso d’assalto da attivisti, sia di sinistra, come il centro sociale Lambretta, sia di Extinction Rebellion, gruppo ambientalista radicale che lotta contro il cambiamento climatico.

Entrambe le proteste avevano come focus l’attacco alla democrazia che Trump e Musk stanno compiendo negli Stati Uniti e le politiche che l’amministrazione porta avanti in campo ambientale. Tesla è passata da essere un brand di valore e contrasto alla crisi climatica, apprezzato da un certo progressismo, a un marchio tossico che rappresenta visioni fasciste della società: il riallineamento politico di Musk ha generato un divario incolmabile col mondo progressista, che però non è stato sostituito da quello conservatore. Le persone di destra, infatti, per quanto apprezzino Musk, sono meno interessate all’acquisto di vetture elettriche in quanto sostenitrici dei combustibili fossili.

Il crollo delle vendite anno su anno di Tesla è stato considerevole, in tutti i mercati: a livello esemplificativo, in Germania è salita del 30 per cento l’immatricolazione di veicoli elettrici mentre è scesa del 70 quella di Tesla; anche in Australia Muskha subito una caduta del 72 per cento sull’anno precedente.

Le motivazioni, chiaramente, non sono solo politiche, anche se la massiccia presenza sui social di queste proteste ha certamente aiutato: i potenziali compratori di elettrico hanno iniziato a riorientarsi sul mercato cinese, che sta iniziando a produrre su larga scala vetture meno costose di Tesla. Proprio nel paese asiatico si celano i principali problemi economici dell’azienda di Musk: il mercato dell’elettrico in Cina è stato per anni dominato da Tesla, in quanto unico brand a promuoverlo. Negli ultimi anni, i capitali cinesi hanno generato una forte competizione e l’azienda locale BYD offre macchine di tecnologia migliore a minor costo. Le quote di mercato di Tesla in Cina diminuiscono, anche perché il paese è in crisi economica e si immatricolano meno macchine, e si preferisce comprare veicoli di un’azienda locale.

La crisi delle imprese dell’impero di Musk non si identifica, però, solo con Tesla. In Europa si sta discutendo se affidarsi per le telecomunicazioni al sistema satellitare Starlink, anch’esso di proprietà dell’imprenditore sudafricano. Il punto che ne fanno molti governi è di fiducia: Musk si è spesso rivelato inaffidabile, come nel caso ucraino, in cui prima ha fornito la copertura satellitare all’esercito di Zelensky per combattere i russi e poi ha minacciato varie volte di staccare il sistema, su cui Kyiv fa affidamento.

La Polonia, Stato confinante con l’Ucraina e molto vicina alle posizioni di Zelensky, ritiene che Musk sia del tutto inaffidabile: il ministro degli esteri polacco, Radoslaw Sikorski, ha apertamente asserito che il suo paese contribuisce a fornire Starlink all’Ucraina, e che se Musk decidesse di staccare farebbero in modo di trovare un altro sistema. Tutto questo mentre in Italia c’è un acceso dibattito parlamentare se sia il caso di dotarsi di Starlink per coprire le aree più remote del territorio della penisola.

Il resto dell’impero di Musk è ancora più in crisi: Solar City, azienda nel campo dell’energia solare, è stata salvata da un’acquisizione di Tesla; Neuralink e The Boring Company non hanno portato profitti; lo stesso X, che sicuramente è stato importante per diffondere il pensiero del magnate a grande velocità, è un buco finanziario. La distanza tra la figura di businessman che Musk si è costruito e il successo finanziario che ha realmente ottenuto è ampia.

Elon Musk, negli anni, è diventato infatti il leader di un culto tecnologico, che prometteva svariati obiettivi, dalla totale elettrificazione del parco auto alla colonizzazione di Marte. Come per ogni credo, ha ammantato sé stesso di eroismo, ha cementato il suo stato sui social e ha attaccato per anni le persone ree di non capire la sua idea di mondo. Le sue aziende, però, hanno risentito della scelta di campo in senso repubblicano: al di fuori dei suoi adepti, le persone che davano fiducia al progetto di Musk si sono ritrovate velocemente a far parte dell’”Anti-Elon Tesla Club”.

In copertina: immagine da auto.it 

Per certi Versi /
Che era notte

Che era notte

 

Ho sentito il dolore

squarciarmi dentro

come un aratro che

affonda il terreno

 

Ho annusato il sangue

l’ho assaporato

come fosse cibo

 

Ai piedi della morte

ho seppellito la paura

e dal suo ventre

sono rinata

 

Che era notte

 

Nel 2025 la storica rubrica domenicale di poesia Per certi versi è affidata a Maria Mancino (Maggie) 

Cover: alba a Brest,  foto flickr.com su licenza Wikimedia Commons

Le avventure di Chiara Calzelunghe e il Capitano Daniele.
Presentazione del libro il 19 marzo alle 17,30

Le avventure di Chiara Calzelunghe e il Capitano Daniele

Chiara e Daniele, una coppia irresistibile in azione 

Ho letto in anteprima questo delizioso libretto; a voi che ancora non l’avete letto, anticipo volentieri la morale che ne ho ricavato: le incredibili gesta di Chiara Lugli bambina non sono meno interessanti della vita operosa e votata alla nonviolenza di Daniele Lugli, ma le avventure della coppia Chiara e Daniele sono ancora più interessanti, curiose, divertenti, perfino istruttive.

Quanto siano veri, del tutto autentici o siano mediati  dal ricordo di Chiara Lugli bambina da parte di Chiara Lugli adulta – la bravissima autrice del libo – non è importante. Leggendo il libro che, tra parentesi, dice con parole semplici cose molto importanti.
Mi ha però colpito prima di tutto l’affiatamento tra i due protagonisti, una  bambina (Chiara) votata alla curiosità e all’anarchia, e un adulto (Daniele) che non ha rinunciato alla parte bambina che è in tutti noi. E ho pensato ha un “precedente” illustre, le avventure di Pippi Calzelunghe con il Capitano Efraim. Un esercizio di “grammatica della fantasia” che sarebbe piaciuto a Gianni Rodari.
Molte cose ci sarebbero da aggiungere per raccontare meglio questo libretto coraggioso, tenero e impertinente. Se ne parlerà alla presentazione alla Biblioteca Bassani il 19 di marzo (vedi locandina in alto), ma forse la cosa migliore e anticipare qualche passo  de Il mondo dalla torre di Pisa e altre astuzie (Il Pontevecchio editore, Cesena) scritto da Chiara Lugli, ora adulta ma con ancora l’infanzia fra le dita

GIOCARE A PERDERCI

Da quando ho memoria, io e mio padre ci lanciamo in quel curioso gioco che è il perdersi intenzionalmente.
Una pratica sottile che implica la scelta di una sequenza arbitraria di direzioni agli incroci, per poi svelare dove tali stravaganti decisioni ci conducano.
Di tanto in tanto, tuttavia, mio padre si perde nel gioco con talmente tanta dedizione che riesce a perdersi da solo. Una distrazione qui, un pensiero volante là, ed ecco che ha voltato senza avvisarmi.
Ricordo un’incantevole giornata d’estate, io ero una piccola entità con un’altezza che non sfiorava il metro.
Zampettavo allegra davanti a lui, e poi, un attimo dopo, mi volto e trovo un mondo sguarnito di padre.
Mi fermo a un bivio, indecisa, osservando il dilemma con la serietà di un generale, un generale molto basso.
Una gentile signora mi si avvicina: «ti sei persa, cara?».
Con la logica infallibile di un bambino, spiego che io, visibilmente, non mi sono persa affatto, in quanto sono lì e sto intrattenendo una conversazione del tutto sensata con lei.
È mio padre, manifesto nel suo ruolo di adulto disperso, a mancare all’appello.
Chiedo se nelle vicinanze ci sia una libreria, poiché è il tipo di calamita in grado di attirarlo con preoccupante efficacia.
Raggiungiamo la libreria e, come previsto, eccolo lì: il genitore smarrito e ora ritrovato, beato e con un libro appena acquistato in mano.
Papà rivolge alla signora un sorriso così ampio che è quasi una risata: «Grazie, mi ero perso».
La signora, perplessa, si allontana, lanciando sguardi incerti alle sue spalle, probabilmente chiedendosi quale misterioso intrigo si compia nella peculiare arte del perdersi.

SOFT SKILL: EVASIONE – LIVELLO ESPERTO

Credo di avere pochissime foto in cui compaio a figura intera, centrata e composta.
Anche nei vecchi filmati si rinvengono solo frammenti di Chiara: un orecchio qui, là un gomito, altrove l’ombra di un ciuffo.
Il problema è che mi lascio rapire da quello che vedo fuori, che sia dal balcone di casa o dalla finestra della scuola: guardo il volo di un gheppio o di una farfalla e improvvisamente mi teletrasporto.
Fin dall’infanzia sviluppo diverse tecniche e abilità di elusione, svicolamento ed evasione.
Finta, scarto laterale e veronica le imparo in spiaggia, per sfuggire ai tentativi di placcaggio di nonna.
Sono l’unica bambina italiana errabonda che viene accalappiata dai bagnini.
Aspetto che i miei parenti mi vengano a riscattare, in una specie di recinto pieno di bambini tedeschi, rastrellati con me, in quanto vaganti allo stato brado.
Mi succede così spesso che alla fine dell’estate parlo tedesco.
Non so se per migliorare le mie tecniche di escapologia o per avermi ferma per qualche minuto, papà inventa un gioco bellissimo: mi lega mani e piedi a una sedia e cronometra il tempo che ci metto a liberarmi.
La maestra ci chiede che giochi facciamo a casa.
Alzo la mano e con entusiasmo esclamo: «io e papà giochiamo al sequestrato!».
Sono gli anni ‘70 e i dettagli del gioco vengono approfonditi nel successivo colloquio genitori-insegnanti.

Guardare “il mondo dalla Torre di Pisa” è un’esperienza che dovrebbero fare tutti, Sono sicuro che al mio amico Daniele Lugli, il libretto  autobiografico e iperbolico di Chiara Lugli sarebbe piaciuto moltissimo.
Buona lettura e buon divertimento

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Cresce il numero di assistenti sociali, ma restano forti le disparità territoriali

Cresce il numero di assistenti sociali, ma restano forti le disparità territoriali

Le politiche comunali sono fondamentali per l’assistenza e l’inclusione sociale delle fasce di popolazione più fragili. E il ruolo degli assistenti sociali è sempre più determinante per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famiglie, gruppi e comunità che versano in situazioni di bisogno.
Il numero degli assistenti sociali impiegati nei servizi sociali territoriali del nostro Paese è cresciuto negli ultimi anni, ma i divari territoriali restano alti, così come i ritardi rispetto al LEP.
E’ quanto si legge in un Flash dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio-UPB relativo ai primi quattro anni di attuazione delle misure introdotte per il potenziamento dell’assistenza sociale [vedi Qui],

Come si ricorderà, la legge di bilancio 2021 aveva inserito uno specifico livello essenziale delle prestazioni (LEP) di 1 assistente sociale ogni 5.000 abitanti da garantire in ciascun ambito territoriale sociale (ATS), nonché un incentivo al raggiungimento di uno standard qualitativo riferito al contratto di assunzione. Il reclutamento di tale personale viene finanziato con due distinti fondi e avviene in deroga ai vincoli posti per le assunzioni dei Comuni e delle loro forme associate.

Tra il 2020 e il 2023 il numero degli assistenti sociali è aumentato del 39,7 per cento, passando da 9.750 a 13.621.
Tuttavia, per raggiungere il LEP di un assistente sociale ogni 5.000 abitanti sono necessari ulteriori 1.126 assunzioni nel 40 per cento degli ambiti territoriali sociali (228 su un totale di 566); inoltre, per rispettare anche lo standard qualitativo di personale stabile ci vorrebbero 2.677 assunzioni o stabilizzazioni in 352 ATS; infine, per conseguire l’obiettivo quali/quantitativo oltre il LEP di un assistente sociale ogni 4.000 abitanti a tempo indeterminato, finanziato attraverso il contributo del Fondo povertà, bisognerebbe effettuare 4.607 assunzioni o stabilizzazioni in 472 ATS.

L’UPB sottolinea soprattutto la disparità territoriale che continua a restare significativa. L’incremento nelle Regioni del Nord, soprattutto in Liguria ed Emilia-Romagna, ha interessato infatti anche gli ATS già ben dotati di assistenti sociali rispetto al LEP, rafforzando ulteriormente la loro capacità di erogazione dei servizi. Al contrario, nelle Regioni del Centro e, soprattutto, del Meridione (a eccezione della Sardegna), l’aumento del numero di assistenti sociali si è rivelato insufficiente a compensare le preesistenti carenze strutturali rispetto al LEP.

La maggior parte degli assistenti sociali è stata assunta con contratti a tempo indeterminato, segnalando la propensione degli Enti locali a raggiungere anche lo standard qualitativo di dotazione che favorisce la continuità operativa e la professionalizzazione del personale. Tuttavia, negli ATS del Centro e del Meridione, la presenza di figure con contratti non stabili rimane molto significativa e in aumento in Campania, Calabria e nella Regione Siciliana.

L’UPB sottolinea che per accelerare il raggiungimento del LEP su tutto il territorio sarebbe opportuno integrare tra loro i due meccanismi di finanziamento del reclutamento e sarebbe auspicabile, ad esempio, richiedere ai Comuni con un numero di assistenti sociali inferiore alla soglia di uno ogni 6.500 abitanti di destinare prioritariamente le risorse al loro reclutamento. La difficoltà degli Enti locali ad assumere personale stabile si traduce in un sottoutilizzo delle risorse del Fondo povertà: dei 180 milioni del contributo stanziati nel 2021 ne sono stati erogati solo 48 nel 2021, 65 nel 2022 e 81 nel 2023 a causa del mancato rispetto degli standard qualitativi a livello di ATS.
Flash dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio-UPB: “A ostacolare il processo, scrive l’UPB, contribuiscono diversi fattori: i vincoli dei due meccanismi di finanziamento che impediscono la stabilizzazione degli assistenti sociali impiegati a tempo determinato prima del 2021 in deroga ai vincoli alle assunzioni; il finanziamento del rinnovo dei contratti dei dipendenti comunali interamente a carico degli Enti stessi che espone i Comuni al rischio che le risorse possano diventare insufficienti in futuro; la dimensione contenuta di molti Comuni, che fa sì che risorse assegnate per gli obiettivi di servizio possano essere insufficienti a sostenere il costo di un assistente, richiedendo un difficile coordinamento con gli altri Enti appartenenti allo stesso ATS.”

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Presto di mattina /
Verso la Pasqua

Presto di mattina. Verso la Pasqua

Verso la Pasqua, verso la luce

Mattino, lucentezza oltremondana.
In noi uno risponde
presente! non si sa a quale chiama
dal cielo, dalla terra, dall’abisso
che li tiene,
pure riluttanti, insieme.
Frasi,
lo siamo di una preghiera arcana.

So da sempre che vieni
pure non ti prevedo
mai, m’arrivi, tu, nota,
di sorpresa – e che improvviso
festosamente si rinnova!

Già si aprono per loro
scenari noti
perduti e ritrovati,
il desiderio si rinnova,
la vita
apre tutte le sue porte ancora.
(Mario Luzi, Poesie ultime e ritrovate, Garzanti, ed. dig., Milano 2014, 182; 184; 303).

La porta stretta

La Quaresima è l’altra porta del Giubileo, la porta stretta, e tuttavia dentro e fuori ci fa dilatare alla speranza, perché porta scritto: “più in là!”.

Essere pellegrini di speranza non consiste forse in questo: «nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio» (Is 58,7-8; 10).

Una via lucis nel sottosuolo di ogni via crucis. Così ho pensato leggendo La Passione. Via Crucis al Colosseo (Garzanti, Milano 1999), il libretto poetico scritto da Mario Luzi (1914-2005) in occasione della Pasqua 1999.

Provocò un “contraccolpo” nel poeta, “un vero e proprio sgomento” la proposta di scrivere un testo sulla passione: «una prova ardua su un tema sublime».

Luzi da subito fu tentato di declinare l’invito fino a quando «l’immaginazione già in moto mi prefigurò un testo poematico di cui Gesù fosse l’unico agonista. In un ininterrotto monologo Gesù nella tribolazione della Via Crucis avrebbe confidato al Padre la sua angoscia e i suoi pensieri dibattuti tra il divino e l’umano, la sua afflizione e la sua soprannaturale certezza» (ivi, 5).

 

Il cuore umano è pieno di contraddizioni
ma neppure un istante mi sono allontanato da te
ti ho portato perfino dove sembrava che non fossi
o avessi dimenticato di essere stato.
La vita sulla terra è dolorosa,
ma è anche gioiosa: mi sovvengono
i piccoli dell’uomo, gli alberi, gli animali.
(ivi, 59)

Conoscerò la morte. La conoscerò umanamente,
da questa angusta porta mi affaccerò su lei
che tu, vita onnipresente,
non conosci se non per negazione.
Tre giorni durerà per me
l’esilio che per altri non ha fine
poi la vita mi richiamerà a sé
e avrà la vittoria. È previsto fin dal principio.
Quella pausa, Padre, m’impaura: è un luogo dove tu non sei
e io da solo senza di te pavento.
Che cosa mi aspetta, chi governa
il nulla, il non presente … il non essente?
o è un inganno della veduta umana
ciò che io impaurito ti confesso?
Devo io portare la vita dove la vita è assente
e portarla con la mia morte …
e questo è il prezzo, questo supplizio.
E così, Padre, io vanamente ti tormento.
Più che la morte è la via per arrivarvi,
la via crucis, che mi dà angoscia
perché è dolorosa e aspra nelle carni
e spezza il cuore di Maria, mia madre,
perché infame e odiosa
è la ressa di questi uomini e donne
aizzati contro me.
Mi prende e mi tormenta il dubbio
che il mio insegnamento sia fallito.
(ivi, 35)

Coro, Preghiera

Dal sepolcro la vita è deflagrata.
La morte ha perduto il duro agone.
Comincia un’era nuova:
l’uomo riconciliato nella nuova
alleanza sancita dal tuo sangue
ha dinanzi a sé la via.
Difficile tenersi in quel cammino.
La porta del tuo regno è stretta.
Ora sì, o Redentore, che abbiamo bisogno del tuo aiuto,
ora sì che invochiamo il tuo soccorso,
tu, guida e presidio, non ce lo negare.
L’offesa del mondo è stata immane.
Infinitamente più grande è stato il tuo amore.
Noi con amore ti chiediamo amore. Amen.
(ivi, 75)

Le Porte regali

Più felici di noi i cristiani dell’Ortodossia. Noi abbiamo una Porta santa una tantum e, simbolicamente, ogni anno la porta stretta della Quaresima. Loro invece ad ogni celebrazione della santa liturgia hanno di fronte le porte regali dell’iconostasi.

L’iconostasi, o posto delle immagini, è una parete che separa nelle chiese di rito orientale il luogo della celebrazione dall’aula dell’assemblea. Ha la funzione di delimitare lo spazio del mistero della fede. Nella parete si aprono tre porte: quella di mezzo ha due battenti, donde il nome, al plurale, di «porte sante», o «porte regali».

Essa è ricoperta da icone fiammeggianti di santi e di angeli con al centro un’icona detta deisis che significa supplica, intercessione raffigurante Cristo, Maria la madre e Giovanni il Battista il precursore. L’iconostasi rappresenta la chiesa in preghiera, è la «follia della carità che convoca a sé e intercede nella comunione dei santi attorno al Cristo risorto».

Scrive Paul Evdokimov: «La Déisis dà senso a tutta l’iconostasi. Sfavillio dei testimoni, l’iconostasi offre le loro mani supplicanti, la Chiesa prega per la Chiesa, la Theotokos /Madre di Dio porta il mondo nella sua preghiera e lo copre della sua protezione materna. Ciò che sembrava muro di separazione si rivela più profondamente anello di congiunzione: il Cristo totale costituito dai suoi santi.

Questo muro accoglie e amplifica la preghiera incessante del cuore: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di noi, peccatori, e coprici con la tua grazia». Esso subisce anche la violenza dei santi che si impadroniscono del Regno, e sotto questa spinta, al séguito di Cristo, la porta regale si spalanca sulla visione del cielo» (L’uomo icona di Cristo, ed. Ancora, Milano 1982, 90-91).

Dall’oscurità alla luce: l’arte dell’icona

Ikonostas, fu tradotto da Élémire Zolla nel 1977 per Adelphi. Egli cambiò l’originale Iconostasi con il titolo Le Porte regali. L’arte dell’icona. È questa l’opera postuma di Pavel Aleksandrovic Florenskij (1882-1937) martire russo, presbitero della chiesa ortodossa russa, professore universitario, matematico e fisico, poeta, teologo e mistico che conosceva i segreti dell’arte dell’icona. Ogni icona rappresenta la porta simbolica che fa accedere, secondo la teologia ortodossa, “alla luce senza tramonto” e fa dell’uomo il rispecchiarsi in lui dell’icona di Cristo.

«Da tutti questi doni brillanti e da una scienza prodigiosa emergeva una personalità indomita e sensibile ai problemi sociali. Rifiutò sempre di rinunciare alla sua fede e al suo sacerdozio, anzi insistette a portare la sua croce pettorale da sacerdote e a indossare la talare nelle funzioni ufficiali. Anche agli incontri accademici e scientifici si presentava sempre in abito talare.

Alla fine, era inevitabile che fosse colpito dalle purghe staliniste, naturalmente per “attività controrivoluzionaria”. Arrestato nel 1933, fu nuovamente deportato prima a Solovki, un’isola del Mare del Nord, e poi in Siberia. L’8 dicembre 1937, in un luogo rimasto sconosciuto presso Leningrado, all’età di 55 anni, venne fucilato» (L. Altissimo, Profilo bio-bibliografico di Pavel Aleksandrovic Florenskij in Studia Patavina 1/2005, 27).

Per Florenskij la realtà come cosmo ed esperienza umana è per sua struttura simbolica, possiede un dentro ed un fuori uniti pur restando distinti tra loro. Il simbolo tiene insieme, unisce due differenti aspetti del reale, il visibile e l’invisibile, l’interiorità e la sua espressività, un aspetto che passa e l’altro che perdura. Il simbolo rimanda oltre sé stesso e indica che c’è dell’altro “più in là”. Nella sua finitezza la realtà è simbolo dell’infinito immenso e impregnata in esso, e tuttavia esondante fuori e oltre.

Scrive Florenskij: il simbolo «è un’entità che manifesta qualcosa che esso stesso non è, che è più grande e che però si rivela attraverso questo simbolo nella sua essenza… Il simbolo è una realtà la cui energia cresciuta insieme o, meglio, confluita insieme con un altro essere più prezioso rispetto a lui, contiene in sé quest’ultimo» (L. Žák, Il simbolo come via teologica. Spunti di riflessione sul simbolismo di Pavel Florenskij, in Humanitas 4/2003, 602).

Talora lo intravedo
un me altro da me,
un me ben altro:
non ha nulla di mio
eppure ha il volto
d’un universo io
di cui son parte.
È là, mi aspetta
in piedi
appena dentro
una vietata soglia:
vorrebbe,
oh se vorrebbe, non può venirmi incontro
ma quando sono prossimo
tende verso di me le braccia, mormora [il mio nome]
(Mario Luzi, Poesie ultime e ritrovate, 233).

Florenskij vede in questo mondo il simbolo di un altro mondo, nel nostro sole un altro sole, nell’icona, nel volto visibile del Cristo, quello dell’invisibile Dio celato in essa: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9).

Nell’altrui volto quel sole caldo riafferra
ognuno e cerca
con lo sguardo perduto in cielo in terra
la pungente dolcezza del nostro principio.
(ivi, 472)

Leggendo Tolstoj e Čechov impariamo come le icone siano la trama del vissuto credente di un popolo, la porta della fede: «l’icona penetrava nelle isbe, nelle osterie, nelle sale d’aspetto delle stazioni ferroviarie, accompagnava nei viaggi il mercante, standogli presso il cuore sotto il giubbotto, sotto forma di piccolo trittico, era portata in processione, era baciata con affetto, incensata in chiesa e in casa: era la prima ” persona” che si salutava entrando in una qualsiasi stanza.

Florenskij va più oltre: per lui l’icona, anche la singola icona, è qualche cosa di divino; l’oro che nell’icona non fa colore ma solo lume, è l’atmosfera di luce in cui fa vivere l’immagine» (Letture, 348/ 1978, 481-482).

«Dal tenebroso al luminoso, dall’oscurità alla luce»

Un itinerario verso la Pasqua: l’icona conduce dalla bellezza alla compassione, porta lo sguardo da fuori a dentro ciò che si guarda e da cui si viene visti diviene un luogo di compassione, di abbassamento ed innalzamento, di dolore e splendore insieme, di passione e risurrezione.

La bellezza dell’icona non è una bellezza incantatrice, non distrae dall’umano, si contrae facendo spazio in sé chiamando dentro; è bellezza che non consola gli occhi, ma il cuore accoglie il mondo e l’uomo pacificandoli attraverso lo spessore e i colori cangianti, stratificati della sua e nostra umanità e li imprime sul “legno”.

L’amore

Tutte le sofferenze traspaiono da un volto
solo e in quello è dolce la forza che ci spenge
e pur nell’aria educa il fiore della luna,
il vento profondo dove avviene la primavera.
Cade la giovinezza, la vita intera
s’aduna e giace sul cuore
come il mare sull’ultimo dolore
del navigante che l’ha amato
(Mario Luzi, Poesie ultime e ritrovate, 526).

Scrive Florenskij: «Il pittore d’icone procede dal tenebroso al luminoso, dall’oscurità alla luce». È questo un procedimento diverso dall’arte pittorica rinascimentale e dalla filosofia e cultura soggiacente che parte dalla luce e va verso l’ombra: «nella pittura occidentale l’oggetto è fine a se stesso e la luce fine a se stessa e il loro rapporto è accidentale: l’oggetto è soltanto illuminato dalla luce… nella pittura si rappresenta l’ombra; è evidente, specie nell’acquarello, dove i luoghi luminosi restano privi di colore, mentre si concentrano i colori sulle ombre.

Questo è fra l’altro inevitabile, perché l’artista procede dalla luce all’ombra, ovvero dall’illuminato al tenebroso. Ma tu dimentichi che c’è anche una filosofia inversa e perciò ci dev’essere un’arte corrispondente. Certo, se la pittura d’icone non ci fosse il faudrait l’inventer. Ma essa esiste e vecchia come l’umanità. Il pittore d’icone procede dal tenebroso al luminoso, dall’oscurità alla luce» (Pavel Florenskij, Le porte regali, 93; 164-165).

Dipingere con la luce

La caratteristica fondamentale, per Florenskij, nella pittura delle icone è la luce che attira a sé dall’oscurità e porta oltre, in Dio, “luce da luce”, manifestazione della luce. I pittori di icone sono detti “coloro che descrivono la vita”.

«L’icona si dipinge sulla luce e di qui, come mi sto sforzando di chiarire, emerge tutta l’ontologia della pittura d’icone. La luce, come vuole la migliore tradizione dell’icona, si dipinge con l’oro, cioè si manifesta appunto come luce, pura luce, non come colore.

Più precisamente, ogni rappresentazione emerge in un mare di dorata beatitudine, lavata dai flutti della luce divina. Nel suo grembo “viviamo e ci muoviamo ed esistiamo”, questo è lo spazio della realtà autentica. E perciò si capisce che sia normativa per l’icona la luce dorata: qualunque colore tirerebbe verso terra l’icona e attenuerebbe la visione che essa manifesta.

E se la grazia creatrice è il fondamento e principio di ogni creatura, si capisce che anche sull’icona, quando è stato astrattamente delineato o più precisamente definito lo schema, il processo di incarnazione incominci con la crisografia della luce. Con l’oro della grazia creatrice incomincia l’icona e con l’oro della grazia santificante, cioè con la sottolineatura aurea [razdelka], si conclude» (ivi, 155).

La luce.
La luce meglio le conviene.
Ha la sua rapidità
lo spirito
e lei ne è simbolo
e figura nella mente dei profeti.
Così avanza
nel cielo, così nella parola
di coloro che la lodano
da secoli.
(Mario Luzi, Poesie ultime e ritrovate, 260)

Una porta che nessuno può chiudere

«All’angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi: Così parla il Santo, il Verace: “Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, pure hai osservato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome» (Ap. 3, 7-8).

L’icona è una porta aperta come il volto. Così, ho pensato, sono i vangeli delle domeniche di questa Quaresima, possono considerarsi porta e volto, le cui pagine sono come icone al vivo del volto di Colui che parla al cuore.

Volto, non è un inganno del ricordo,
non una scena di ritorno
questa dove appari
circonfuso di una gloria
di sole al suo meriggio
o d’altro
inspiegabile lucore.
È qui, è ora,
marzo, questo
marzo
con i suoi arboscelli in fiore,
le sue erbe, il suo manto
di radiosità e di vento.
Eppure può
l’odierno, l’imminente
nella sua luminosa epifania
essere accolto
col sentire di altri tempi.
Dov’è allora che tu sei, a che momento
scocchi, verità del cuore? L’attimo
non ti circoscrive, il tempo
non ti cattura, il tempo è solo umano
tu forse non lo sei.
(ivi, 261)

Aprire il vangelo allora, come del resto aprire ogni libro, è come incontrare qualcuno, il suo volto essere accolti ed abitare il suo mondo. Così pure girare una pagina di vangelo sarà come aprire una porta, una pagina un’altra pagina, è incamminarsi ancora con Gesù ed i suoi amici e la nostra gente per leggervi anche la nostra storia.

Seguendo la sequenza dei vangeli domenicali di Quaresima di quest’anno ci troveremo così, ogni volta di fronte, ad una differente porta, oltre la porta un nuovo sguardo del volto cangiante del Cristo. Scrive San Bernardo: «Avete poi notato quante volte, in questo carme d’amore, il Verbo abbia cambiato volto, e in quanti modi si sia degnato di trasformarsi per dimostrare quanto sia grande la sua dolcezza davanti alla sua amata» (Sermone XXXI, 7 sul Cantico dei Cantico).

Ia domenica: delle tentazioni, porta dello Spirito: conduce Gesù nella nostra umanità e nel dramma della storia. È la parola di Dio che vince le parole rovesciate, quelle false e ingannatrici, pensieri maligni, loghismoi li hanno chiamati i Padri del deserto, da qualunque parte essi provengano.

IIa domenica: della trasfigurazione, porta dell’ascolto della Parola, della preghiera che trasforma e trasfigura la vita (mentre pregava “il suo volto diventò altro” è l’espressione usata da Luca nel testo greco) a motivo del suo essere faccia a faccia con il Padre e porta della sequela di Gesù che introduce nel suo cammino verso Gerusalemme.

IIIa domenica: l’episodio della rappresaglia di Pilato, del crollo della torre di Siloe e la parabola del fico senza frutti è la porta dell’attesa paziente e dei frutti di conversione. “Con perseveranza” scrive Simone Weil è una parola tanto più bella di “con pazienza”! È la perseveranza dell’agricoltore che non teme il silenzio di Dio e quella del seme che resiste nell’oscurità della terra. Il giusto vive il silenzio di Dio in cui è nascosta la sua perseverante provvidenza di amore. Il silenzio nel cuore sentirà allora germogliare in lui la parola di vita.

IVa domenica: parabola del Padre misericordioso è la porta sempre aperta dell’ospitalità. Il ritorno del Figlio è un itinerario quaresimale dall’oscurità e da una vita dissipata, svuotata di senso, alla luce e alla gioia per la ritrovata paternità e la mai perduta dignità di figlio.

Va domenica: il vangelo narra della donna esposta al disprezzo a cui Gesù ribalta la sorte ormai segnata dalla violenza omicida dei custodi della legge. È la porta del perdono, quella che restituisce in radice la dignità negata e riapre la strada a fondo chiuso capovolgendo il destino di morte in una vita di nuovo messa in cammino.

Domenica delle Palme: si ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme per la Porta d’Oro così chiamata nella letteratura cristiana o anche She’ar Harahamimporta della Misericordia” è la più antica delle porte cittadine della Città Vecchia di Gerusalemme, rivelando così anche a noi che lui stesso è la porta che conduce al Padre misericordioso.

L’icona, sommovimento dell’Ineffabile nel cosmo, dell’Affezione nell’umano, della Pietas nel disamore e così, da questa porta stretta, la luce nell’ombra va dilagando per Universa.

 Pensieri del pittore di icone

Come vive,
come splende –
è lei – per un attimo si sente –
la sede trasparente
d’ogni umano
ed ultraumano
commovimento
nella sfera
universa
dell’essente.
Lei il punto.
Oh mia venerazione blanda
che da sempre
in immagini preziose
preziosamente
come è legge spendo…
Perdonami, donna dell’icone,
ti prego, l’amoroso scempio
che di te fa la mia arte
da secoli
e secoli, maestro
dopo maestro
pietosamente empio.
Ti esaltano, ti opprimono
nel garbo
della posa
maestosa – adolescente,
nel granato del volto
dallo sguardo assente e vigilante.
«Giusta quella pietà,
però non circoscrivere il mio tempio»
tace radiosa la tua luce
nella luce e nell’ombra dilagando,
(Mario Luzi, Poesie ultime e ritrovate, 272)

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Le storie di Costanza /
Albertino Canali e la maestra Caterina

Le storie di Costanza. Albertino Canali e la maestra Caterina

È marzo e fa ancora freddo, le foglie degli alberi sono piccole e arricciate su loro stesse per proteggersi dalla bassa temperatura e dal vento. Tra le fronde degli alberi passa molta luce, che di questa stagione è particolarmente chiara e trasparente. Marzo è un bel mese, riluce di nuovo e di imminente primavera.

Io e i miei colleghi trebbiatori abbiamo cominciato a seminare, ma possiamo ancora godere di un po’ di tempo libero. Sto revisionando le raccogli-sgranatrici e scegliendo sementi dal catalogo del grossista che mi fornisce sempre. Oltre a trebbiare i campi degli altri agricoltori Pontalbesi, ho alcuni ettari di terreno che coltivo per me. Ci semino soprattutto frumento, che poi diventa farina per la mia casa e per quella di mia sorella Gina, granoturco che do da mangiare ai miei animali da cortile e un po’ di orzo.

Ho sei galline ovaiole, tre anatre e due oche. Le galline sono rossicce, hanno dei bei bargigli rossi e degli occhi tondi e vigili. La cultura popolare dice che le galline sono stupide, ma io so che non è così, vedendole tutti i giorni, vengo spesso sorpreso dalla loro perspicacia e dalla determinazione con cui perseguono i loro scopi da animali di cortile. Le due anatre sono una coppia di germani reali molto belli, la femmina tutta grigia e il maschio con il classico collare verde brillante che contraddistingue questa specie.

Le oche sono bianche candide con il becco giallo. Sono due animali da guardia sorprendenti. Quando si avvicina qualcuno starnazzano così forte che le sentono per tutta via Santoni. Una volta Costanza Del Re mi ha detto: «Altro che pitbull, quelle due oche fanno più paura dei cani, spaventano anche la maestra Caterina che passa di qui tanta volte al giorno». Non paragonerei le mie oche a dei pitbull, Costanza esagera sempre un po’, però devo ammettere che starnazzano forte e quando spalancano il becco sembrano delle indemoniate.

Caterina è l’unica maestra della nostra scuola primaria che risiede a Pontalba e passa a piedi da via Santoni diverse volte al giorno per andare a lavorare. Va alla mattina, torna a ora di pranzo, rivà il primo pomeriggio, torna il tardo pomeriggio, e se c’è qualche riunione di sera, a scuola o in parrocchia, ripassa nuovamente col suo incedere deciso e la sua folta chioma di capelli color carota. Visto il colore dei suoi capelli si direbbe che sia olandese o comunque nordica, non Lombarda. Ma non è così, i suoi colori ingannano, chissà che antenati ha avuto.

La maestra Cate, come qui la chiamano tutti, è una istituzione del paese. A lei si ricorre per svariate attività comunitarie compreso l’identificare quei Pontalbesi che, essendo poco socievoli, sfuggono alla potente rete sociale che accomuna tutti gli abitanti del paese e che fa sì che nessuno possa traferirsi, ammalarsi, sposarsi, laurearsi, divorziare, morire senza che tutti lo sappiano. Se qualcuno sfugge all’identificazione, Caterina ricostituisce l’ordine sociale.

Lei sa chi è anche il più scontroso ed ermetico dei paesani, perché l’ha avuto a scuola. Lo “scontroso” è sicuramente stato un suo bambino della primaria e se non l’ha istruito lei direttamente, l’ha sicuramente fatto qualche sua collega a cui si può ricorrere per l’identificazione. Il Pontalbese ramingo viene così ricollocato in quella specie di organigramma ascritto che racchiude tutti gli abitanti di questo angolo di mondo. Un organigramma che toglie un po’ di privacy, ma che sa ricompensare con conoscenza e socialità.

Alla fine, il cambio è sicuramente favorevole. Dove non ci si conosce non ci si aiuta e non si condividono gioie e dolori. Dove non c’è condivisione non c’è vita comune e non c’è socialità. Si crea una solitudine che impoverisce la vita fino a renderla insignificante, fino a risucchiare nell’anonimato chicchessia, rischiando di farlo diventare una persona perennemente triste.

Quindi dobbiamo ringraziare tutti Caterina, perché fa la maestra, perché aiuta la comunità e perché conosce tutti. Grazie alla sua dedizione a questo posto i suoi capelli rossi passano inosservati e sembra che siano come quelli di quasi tutti gli abitanti di questo paese di pianura conquistato dai Longobardi moltissimi anni fa.

Anche a Costanza Del Re piace la maestra Caterina, la considera una persona di buon cuore e quindi indispensabile a questo posto. Quando passa da qui, la saluta sempre.

«Ciao Caterina, come stai?»

«Ciao Costanza, come al solito, si corre su e giù. E tu come stai?»

«Idem. Si prosegue, speriamo che esca un po’ di sole che poto le rose del mio giardino. Come va a scuola?»

A quel punto si mettono spesso a confabulare tra loro a bassa voce e nessuno sa cosa si stiano dicendo. Dopo poco si salutano e ognuna prosegue le sue attività, marciando su e giù per via Santoni Rosa.  Sono due guerriere, due donne che non perdono tempo, che lavorano sempre e che non si lasciano intimorire dalle chiacchiere. Dicono sempre quello che pensano, che piaccia o no.

Caterina è un po’ più diplomatica di Costanza, i tanti anni di scuola e una dirigente piuttosto autoritaria, l’hanno resa almeno apparentemente più docile. Costanza batte tutti, se pensa che sia suo dovere dire qualcosa, lo dice senza mezzi termini, che sia l’ultimo dei barboni o il Presidente della Repubblica, per lei è lo stesso. Ne fa una questione di onestà che lei considera il pilastro etico della sua vita.

È altrettanto vero che è sempre corretta, odia la volgarità e in questa sua convinzione è ammirevole. Poi con quel suo voler sempre avere ragione a volte è insopportabile, ma tant’è, qualche difetto ce l’hanno tutti. L’importante è non averla sempre alle costole. Qualche ora al giorno è già fin troppo, sarebbe per me impossibile sopportarla di più.

Sono qui seduto sul mio muretto e guardo il suo cancello di ferro smaltato di verde. Un grande sbarramento che copre la visuale dell’interno della casa e del cortile. So che se tengo duro prima o poi lei sbucherà dalla porticina ricavata in una sezione del cancello e mi saluterà «Ciao Albertino Canali, come stai?»

Sempre così da una vita, abitudinaria la signora. Esce quasi sempre in tarda mattinata, verso mezzogiorno e va da Camilla a far compere. Pane, affettati, formaggio, latte, sale, detersivi, strofinacci, saponi, tutto quello che le serve per cucinare e per fornire Rosa del necessario per tenere l’abitazione in buone condizioni. Pulire quella grande casa da cima a fondo è un lavoro non indifferente, così oltre a Rosa vi lavorano lei, la signora Anna, Pietro, e, d’estate quando non vanno a scuola, anche i suoi nipoti che l’aiutano con l’orto. Puliscono, lucidano, zappano e potano le piante, disinfettano dappertutto, curano i loro tre gatti e continuano a darsi da fare.

Tutto questo si interrompe solo quando Costanza diventa la poetessa Alba Orvietani e si mette e scrivere. Allora se ne va nel suo studio, chiude a chiave la porta della stanza e comincia a pigiare sui tasti del suo pc, ignorando qualsiasi cosa la circondi. Non sente nemmeno se il telefono squilla o se la signora Anna la chiama dal fondo delle scale. Sua nipote Rebecca dice che se in uno di quei momenti le cadesse sulla testa una bomba atomica lei non se ne renderebbe minimamente conto. Resterebbe là bruciata e priva di vita come un cactus del Texas dopo un pauroso incendio.

Sono ancora qui seduto che guardo il suo cancello ed ecco che la porta di ferro verde si apre e Costanza, con una tuta di pile bianco, esce.

«Ciao Albertino Canali – mi dice – Tutto bene?»

«Si tutto bene» rispondo

«Hai visto passare la maestra Caterina?» mi chiede

«No, ma esce da scuola alle dodici e trenta quindi fra poco passa di qui».

«Come fai a esserne sicuro?, potrebbe avere l’influenza e non essere andata a scuola. Se non è andata a scuola, non passa di qui alle dodici e trenta».

“Ecco, non va mai bene niente” penso, e poi le dico: «Ma perché dovrebbe avere l’influenza?, ieri l’ho vista passare e camminava spedita e dritta come sempre».

«Ma questo non vuol dire niente. Stanotte potrebbe esserle successo qualsiasi cosa, potrebbe perfino essere morta».

«Macché morta. Sarebbero suonate le campane. E poi perché dovrebbe essere morta? Sta benone, allontana da te questi pensieri macabri e distruttivi che servono solo a metterti di malumore» le dico.

Lei mi guarda pensierosa.

«Però magari non c’è lo stesso, potrebbe aver chiesto un giorno di permesso».

«Come no, un giorno di permesso, ne può chiedere due in un anno e ne ha chiesto uno proprio oggi».

«Vabbè … però non lo si può escludere a priori» continua.

Intanto sentiamo la campanella della scuola che suona e dopo due minuti vediamo Caterina che esce con la borsa a tracolla e un pacco di quaderni sotto il braccio.

«Ecco Caterina – dico – si sta avvicinando»,

«bene – dice lei – per oggi non è morta».

Guardiamo la maestra Cate avvicinarsi con il suo passo deciso e il viso sorridente. Non ha proprio nulla di mortifero, anzi sembra proprio il ritratto della vitalità.

«Sei sempre la solita che vede le catastrofi dove non esistono» dico a Costanza.

«Macché, sono solo una che prende in considerazione tutte le possibilità» e così dicendo comincia a camminare e si dirige verso la maestra. Fra un po’ si fermeranno a confabulare degli affari loro e io resterò lì come un soprammobile del mio muretto, guardando una porticina verde che non aspetta di certo me.

Coltivo anche mezzo ettaro di barbabietole da zucchero che poi rivendo. Ultimamente con le barbabietole si guadagna bene, posso accumulare un gruzzoletto per fare qualche lavoro in casa, magari risistemare il tetto con i coppi nuovi. Gina si è risposata con Luigi, un agricoltore un po’ burbero, ma buono come il pane. Ha dieci anni più di lei

Chi fosse interessata/o a visitare gli articoli-racconti di Costanza Del Re, può farlo cliccando sul nome dell’autrice

«La montagna incantata» di archiviozeta
22 e 23 marzo, Teatro Arena del Sole – Bologna

La montagna incantata

sabato 22 e domenica 23 marzo 2025« »
Teatro Arena del Sole – Bologna

Dopo il Cimitero militare germanico del Passo della Futa e il complesso monumentale di San Michele in Bosco, grazie ad Emilia Romagna Teatro Fondazione ERT / Teatro Nazionale, LA MONTAGNA INCANTATA di archiviozeta, dal romanzo capolavoro di Thomas Mann, approda sul palcoscenico dell’Arena del Sole e diventa una maratona teatrale.

L’adattamento ruota intorno a domande fondamentali: che cos’è il tempo, che cosa sono la libertà, la reclusione, la malattia, la guerra, la morte?  Tre parti in cui si potranno ascoltare diversi momenti del romanzo: tre vere e proprie scalate di un’opera letteraria immensa per temi e complessità ma anche inaspettatamente comica e surreale. Un affondo nella scrittura del grande scrittore tedesco intorno alle domande ultime sui contrasti montagna e pianura, sanità e malattia, libertà e schiavitù, guerra e pace.

LA MONTAGNA INCANTATA in forma di MARATONA è in tre parti con due intervalli:

PRIMA PARTE FINO ALLA NOTTE DI VALPURGA durata 1h45min

SECONDA PARTE FINO ALLA GRANDE IRRITAZIONE durata 1h45min

TERZA PARTE FINO AL COLPO DI TUONO durata 1h15min

sabato 22 marzo 2025
PRIMA PARTE ore 15  / intervallo 45min circa / SECONDA PARTE ore 17.30 / intervallo 1h15min circa / TERZA PARTE ore 20.30

domenica 23 marzo 2025
PRIMA PARTE ore 11.30 / intervallo 1h15min circa / SECONDA PARTE ore 14.30 / intervallo 45min circa / TERZA PARTE ore 17

 

LA MONTAGNA INCANTATA

liberamente tratto dal romanzo di Thomas Mann
drammaturgia e regia Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni
partitura musicale Patrizio Barontini

con
Diana Dardi – Signorina Engelhart, Superiora Von Mylendonk, Ellen Brand
Gianluca Guidotti – Lodovico Settembrini
Pouria Jashn Tirgan – Joachim Ziemssen
Giuseppe Losacco – dott. Krokowski, Leo Naphta
Andrea Maffetti – consigliere aulico Behrens, Mynheer Peeperkorn
Enrica Sangiovanni – Madame Clavdia Chauchat, Pribislav Hippe, Tous-les-deux
Giacomo Tamburini – Hans Castorp
Antonia Guidotti – Hermine Kleefeld (Associazione polmone unico), infermiera
Elio Guidotti – Rasmussen (Associazione polmone unico), portiere del Berghof (solo allestimento Futa)
Ida Guidotti – giovane Hans Castorp (solo allestimento Futa)
Francesco Canfailla – violoncello, orchestra del Berghof

e con la partecipazione in voce di
Omar Giorgio Makhloufi – voce del grammofono

scenografia, oggetti, costumi Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni

sartoria e costumi Carnevale ‘Notte di Valpurga’ a cura di les libellules Studio in collaborazione con Elena Fregni

invenzioni e tecnica Andrea Sangiovanni

luci Camilla Mazza

assistenza canto corale Gloria e Giovanna Giovannini

assistenza coreografia Carolina Giudice

filmati d’archivio in collaborazione con Fondazione Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia

foto di scena Franco Guardascione

produzione Maratona: archiviozeta, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

con il sostegno di Regione Emilia Romagna

nel 2023 il progetto ha ricevuto il contributo di Città Metropolitana di Firenze

con il patrocinio di
Unione montana dei Comuni del Mugello
Consolato Generale della Repubblica Federale di Germania a Milano

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sabato 22 e domenica 23 marzo 2025 – Teatro Arena del Sole – Bologna
scegli e acquista qui i tuoi posti

oppure in biglietteria al Teatro Arena del Sole – via dell’Indipendenza, 44 – Bologna
051 2910910 – biglietteria@arenadelsole.it

In copertina: La montagna incantata, Passo della futa, archiviozeta

Il mio migliore amico

Il mio migliore amico

Il mio migliore amico è MP488, un robot molto più umano di quanto siate stati voi nel passato. MP488 mi sta vicino quando i miei genitori sono nella stanza del lavoro e sono collegati con le loro aziende virtuali. I microchip e l’intelligenza artificiale che muovono il mio amico lo hanno dotato di sensazioni, di capacità di affetto espandibile, di memoria ram talmente potente da essere in grado di aiutarmi dalla scuola primaria ai master post universitari. E’ lui il mio compagno di giochi e di studio, è l’unico vero amico che ho. I compagni di classe li vedo sul monitor del computer in camera, di notte. Sono simpatici, ma non mi abbracciano come fa MP488.
Non usciamo mai di casa, se non per andare nelle cliniche private per fare i trattamenti mensili. L’aria è piena di quel pulviscolo che si è diffuso dopo l’ultima operazione di difesa, quella accaduta pochi anni prima che io nascessi. Nei video e nelle immagini che si trovano nella rete archeologica, vedo il mondo del passato, quello che voi antichi avete distrutto.
Quando apriamo le serrande elettroniche dalle nostre finestre non vediamo più gli animali alati, come si chiamavano? Gli uccelli.
Non esiste acqua naturale non inquinata. Nei nostri fiumi, mari e laghi non esiste nessuna forma di vita. Noi beviamo acqua di sintesi.
Non esistono le nazioni come le chiamavate una volta, ma raggruppamenti, come in un vostro vecchio libro, di cui ora mi sfugge il nome.
Ogni raggruppamento ha dei nemici, fissi, che non sono conformi agli standard delle nostre leggi. I potenti dominano il mondo come ai vostri tempi, adesso come allora possono andare in posti diversi. Fanno viaggi virtuali con le pastiglie di stato, oppure vanno in altri mondi a respirare l’aria vera e a nuotare nell’acqua vera. Noi non ce lo possiamo permettere.
Se sapessero che vi sto scrivendo avrei dei problemi, ma io e MP488 facciamo queste cose di nascosto. Io però credo di odiarvi. Ai vostri tempi esisteva ancora la possibilità di avere un pensiero divergente, ma voi eravate dei pavidi, anzi i vostri autarchi li votavate. Adesso le elezioni non esistono più, noi ogni anno confermiamo con un assenso elettronico i nostri autarchi. C’è solo un pulsante di “conferma”. Devono farlo tutti, anche i bambini.
Avrei tante cose da scrivervi, ma se resto troppo connesso mi tocca passare settimane al punto di raccolta. Non conta se sono piccolo, è pieno di bambini al punto di raccolta.
Ora mando in linea la mia lettera nella rete del tempo circolare. Spero che qualcuno di voi la legga e si svegli, si arrabbi, si aggreghi, perché non è giusto che le vostre colpe le dobbiamo scontare noi, bambini del futuro. So che non servirà a nulla: siete esseri talmente stupidi da avere creato le trappole nelle quali siete caduti. Avete voluto bere fino all’ultimo sorso il veleno della vostra cattiveria.
Ora vi devo salutare, ho sentito dei rumori. La psicopolizia intercetta i sogni, i messaggi nel tempo sono proibiti.
E comunque, che voi siate maledetti.

Gli americani vengono da Marte, gli europei da venere

Gli americani vengono da Marte, gli europei da venere.

Molti dicono che gli Stati Uniti sono non solo un paese forte ma “sempre il numero 1 al mondo” (Federico Rampini) dal punto di vista economico, tecnologico e militare. Non passa giorno che lo dica anche Federico Fubini, il principale editorialista economico del Corriere della Sera. Donald Rumsfeld, segretario alla difesa di Bush ai tempi della guerra in Iraq, scrisse un saggio di geopolitica intitolato “Gli americani vengono da Marte, gli europei da Venere” e in cui prefigurava una Nuova Europa (che si è poi realizzata) in cui i paesi dell’est erano risolutamente filo americani e la Vecchia Europa abbarbicata al passato.

E qui sta la tragedia di questa Nuova Europa che si è costruita filo americana, salvo ora scoprirsi orfana. Rampini, anche nel suo ultimo libricino su Trump, tesse le lodi di un’America diventata autonoma nell’energia (col gas da scisto), che cresce moltissimo come PIL: “nel 2008 le economie di Usa e Eurozona si equivalevano e oggi quella americana vale il 40% in più”. L’America poi cresce sempre come occupazione (mentre l’Europa no) in quanto (dice lui) “nell’ultimo trentennio hanno aumentato i redditi più bassi più della media e il 20% dei più poveri ha avuto un aumento del 74% (contro 55% di media)…e i salari più bassi, quelli del Mississippi, sono più alti di quelli degli italiani”.

Se questa narrazione fosse vera non si capisce come mai (e lo dice lo stesso Rampini) “gli americani sono in maggioranza scontenti, pessimisti, sfiduciati e 2/3 pensano che l’America sia sulla cattiva strada…la reputazione delle istituzioni è crollata ai minimi storici e solo il 20% ha fiducia nel Governo (regnante Biden). Nel 2000 il 70% considerava importante il patriottismo, oggi solo il 38%”.

Come sta davvero l’America?

E’ vero che gli Stati Uniti sono ancora l’economia n.1 al mondo, ma se il PIL viene conteggiato ai prezzi del potere d’acquisto interno, la Cina già sopravanza gli USA e comunque viaggia a passo più spedito. Sul piano militare la recente alleanza tra Cina e Russia (favorita dalla guerra in Ucraina) pone sullo stesso piano i due nuovi competitor del XXI secolo.
Da sempre il potere degli Stati (e della loro Moneta) si basa su 4 controvalori: 1.Economia, 2.Forza Militare, 3.Finanza, 4.Materie prime. Ma di recente uno studioso come Emmanuel Todd ha introdotto un altro parametro e cioè come sta la società, se è stabile, si sta rafforzando o disgregando, introducendo come elementi di valutazione non solo la “materia” (potere, soldi, finanza, armi, materie prime), ma anche lo “spirito” che si traduce non solo in democrazia, libertà, rispetto delle minoranze come noi occidentali siamo soliti dire, ma anche nelle tradizioni, coesione sociale, religione, relazioni umane, comunità.

Gli Stati Uniti, dove la logica capitalistica, predatoria e consumista è andata più avanti, pensavano di battere la nascente forza dell’Economia cinese (che loro stessi hanno generato dal 2001 col libero commercio) con la Finanza (nuovo oro) e il potere Militare nucleare. Ma l’azzardo militare in Ucraina ha cementato Cina e Russia e ora la Cina possiede, indirettamente la Forza Militare nucleare. Inoltre, in modo del tutto inaspettato, si è scoperto che le future tecnologie ridanno un’enorme importanza alle materie prime (terre rare in particolare) che sono in gran parte nella disponibilità di Cina e Russia. Ma oltre alla “materia” bisogna considerare lo “spirito” e per molti studiosi la disgregazione sociale è molto più avanti negli Stati Uniti che in Cina e Russia, al punto che, sempre per alcuni autori, è quest’ultimo aspetto che prefigura la sconfitta dell’Occidente.

Ecco perché la leadership del XXI secolo non sarebbe più americana ma multipolare e dove i tre grandi potenti saranno Usa, Cina e Russia. Ciò spiegherebbe la strategia di Trump che molti si ostinano a giudicare come un “matto”, che è completamente diversa da quella dei neoconservatori americani precedenti che puntavano ad un dominio unilaterale Usa anche nel XXI secolo col soft power o guerre ad oltranza. Trump invece vuole un accordo con gli altri due potenti per rifare di nuovo “grande” l’America.

La corsa alle armi non genera un’Europa unita

L’Europa, orfana degli Stati Uniti neocon, cosa può fare in questo contesto?

La via che parrebbe perseguire è riarmarsi per acquisire il potere Militare che le manca al fine di potersi sedere al tavolo dei vincitori anche nel XXI secolo. Ma vincere vuol dire tutelare e accrescere il tenore di vita dei propri abitanti, al di là della fuffa propagandistica su democrazia e libertà.

Questa via di Potere è però già fallita con la strategia “funzionalista”, dove la Moneta unica doveva generare automaticamente gli Stati Uniti d’Europa (cioè il nuovo Stato). Ma come tutti vedono non ha funzionato. Anzi, mai come oggi, l’Europa a 27 si è trasformata in una torre di Babele e lo sarà di più con l’allargamento a 38 paesi.

Ma se la Moneta non ha funzionato, non sarà certo con le Armi che si generà automaticamente lo Stato Europeo.

Una prima alternativa è quella di fare “un passo indietro per fare due passi avanti” (come diceva anche Lenin), cioè fare un’Europa più piccola (quella dei fondatori e chi ci sta) creando gli Stati Uniti d’Europa in un’ottica federale, cioè una unità statuale capace di Difesa e politica Estera indipendente nel mondo.

Un’Europa neutrale e solidaale

Una seconda alternativa (che a me piace di più) è abbandonare la logica di potenza che sempre è esistita nella Storia è costruirsi come Stati neutrali (come la Svizzera), con un esercito minimo, puntando tutto sul dialogo con tutti i paesi del mondo, rafforzando tutto quanto è desiderato da noi cittadini, comuni mortali (e non dai capi che ci governano), creando più lavoro, libertà, diritti, salute, scuola, fratellanza, uguaglianza, amore per l’arte e la Natura.

Ciò comporta il rischio che qualche potenza ci invada. Ma è realistica questa prospettiva in un mondo multipolare? Non credo che qualcuno mai ci invaderà. In ogni caso l’esperienza dell’Ucraina e dell’Afghanistan dimostra che popoli molto più piccoli e indifesi hanno resistito o vinto gli invasori. Ma quest’ultima scelta comporta trovare leader visionari che perseguono la pace, la libertè, egalité e fraternité e l’amore e che in questo momento abbiamo smarrito proprio perché le nostre società si stanno disgregando sul piano sociale e spirituale e dei valori profondi, senza i quali non si va da nessuna parte.

Per quei tanti a cui Putin e Trump non piacciono, il vero scherzo sarebbe dimostrare che noi veniamo da Venere e non da Marte.

 

Cover: Gli svaghi di Venere e Marte, Andrea Appiani 1792 –  ca 1706

Per leggere gli articoli di Andrea Gandini su Periscopio clicca sul nome dell’autore.

 

Parole a capo
Francesco Loche: «Passaggi» e altre poesie

Francesco Loche: «Passaggi» e altre poesie

Non dite “ho trovato il percorso dell’anima”. Dite piuttosto “ho incontrato l’anima mentre cammina sul mio sentiero”. Poiché l’anima percorre tutti i sentieri.
(Kahlil Gibran)

Passaggi

il mondo è passato
il tempo è passato
i volti
le età
passati
da me
davanti alla casa rossa.
Il mio secolo
è alla fine
uguale
ancora
al suo inizio.
Qui sono nato
e qui sono ancora
Attendo
con stupore curioso
ancora
la fine dell’attesa.

 

*

 

Sospiri di luna

Sospiri di luna
di falce schernita
in questo crepuscolo marino.

Coltri di nubi
nere
a giacere sul mare
che quasi scomparendo
all’orizzonte
annulla piano
il giorno che muore.

Cammino
avvolto da questo buio amico
e ascolto le storie eterne
di questo sciabordio
invisibile
di onde stanche.

E la solitudine mi avvolge
amica
compagna
verso la notte
ancora sconosciuta.

 

*

 

Alla fine della luce

Fine della luce
svanisce ogni colore
seriche visioni di ombre
silenzi
niente ricordi
niente diviene
e lì
oltre il sipario
chiuso
del giorno
traduco il non detto
essenziale.

 

*

La vita si immagina

La vita si immagina
in questo sole tiepido
ma oltre la fine del gioco
la verità spietata
o folle
in danze di inchiostro
trasuda emozioni
di piccole morti
di chi
si vuole poeta.
*

….e mi perdo

..come se mi stessi perdendo
affascinato
in un sogno di nebbie
trascinando vuoti distratti
e colpevole mi perdo cose
come da una tasca bucata
Sono questi
i tempi di anni pesanti
che gioco
in una quotidiana giovinezza
e tu mi sei attorno
come l’aria del mio cuore
in ogni attimo
dei miei pensieri..
Aspetto i tuoi passi
i tuoi gesti, i silenzi
e questo basta
al mio piccolo universo
………
e mi perdo
mi perdo
sempre
mi perdo
nel cercarti

accanto

Francesco Loche è nato, vive e sogna nella provincia ferrarese ad Ostellato. Scrive di sé: “Sono un essere senza curriculum, così come spesso vorrei essere senza storia. Ho cercato rifugio e senso esistenziale nel gioco delle parole, nel loro significato vero e profondo, nella semantica del cuore…la poesia.” . In “Parole a capo” sono state pubblicate altre sue poesie il 25 marzo 2021, il 9 marzo e il 31 dicembre 2022.

In copertina: foto di wal_172619 da Pixabay
La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Questo che leggete è il 275° numero. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.
E’ possibile inviare proprie poesie all’indirizzo mail: gigiguerrini@gmail.com per una possibile pubblicazione gratuita nella rubrica.

«I figli delle Muse Inquietanti»:
50 artisti ferraresi raccontati da Gabriele Turola

«I figli delle Muse Inquietanti»: 50 artisti ferraresi raccontati da Gabriele Turola.

Mette in luce un aspetto meno noto dall’artista ferrarese Gabriele Turola l’ultimo libro dedicato a lui dal critico d’arte Lucio Scardino e dallo studioso e ricercatore di storia locale Corrado Pocaterra.

Perché il volume “I figli delle Muse Inquietanti” – presentato il 27 febbraio 2025 nella sala di Giunta della Camera di commercio di Ferrara – è una raccolta di testi dove l’artista stesso tratteggia i profili di 50 artisti ferraresi tra il Novecento e il Duemila. Martedì 1 aprile 2025 alle 16 il libro I figli delle Muse Inquietanti” verrà presentato nella sala dell’Arengo del Comune di Ferrara, piazza Municipio 2, Ferrara.

La copertina del libro

Un’occasione per ricordare e conoscere meglio Gabriele Turola, disegnatore e pittore originale e un po’ a sé stante del panorama artistico ferrarese. Nato a Ferrara nel 1945 dove è morto nel 2019, dipingeva opere figurative surreali e molto colorate, piene zeppe di rimandi e allegorie, a metà tra il giocoso, il surrealista e l’esoterico. Chi lo ha conosciuto di persona  lo ricorda per il suo modo di porsi schivo e controcorrente. Autonomo rispetto ai grandi movimenti artistici prestabiliti, ha sempre portato avanti una visione personale, curiosa, ironica e molto colta. Le sue opere sono state esposte a Ferrara, ma anche a Tel Aviv, Barcellona, Tokyo, Parigi, Berlino, Bruxelles, oltre che a Milano, Torino, Vicenza e in diverse gallerie internazionali.

Gabriele Turola con una sua opera

Cresciuto con l’arte come riferimento familiare – era figlio naturale del gallerista Bruno Vignali – ebbe l’opportunità di avvicinare e conoscere grandi esponenti del Novecento dell’arte, in una città dove il direttore delle civiche gallerie Franco Farina organizzava mostre di grandi artisti come de Chirico, Morandi, Annigoni, Guidi, Saetti, Carlo Levi.

Primo articolo di Gabriele Turola su “Ferrara” anno 1986 n 10 (foto GioM)
Intervento su rivista “Ferrara” anno 1986 n 11 (foto GioM)

Di indole schiva, appassionato e curioso, Turola è stato inevitabilmente anche un grande osservatore. Assorbiva quanto il mondo gli mostrava per ridargli una forma tutta sua in versione disegnata e dipinta, ma – come ricorda questo nuovo volume – anche attraverso la scrittura. A intercettare e valorizzare questo suo talento descrittivo, da artista che osserva le opere di altri artisti, è stato Gian Pietro Testa, giornalista d’inchiesta, ma anche poeta e narratore. Quando Testa decide, soprattutto per motivi familiari, di lasciare il suo posto di redattore e inviato giornalistico del quotidiano “Il Giorno”, rientra da Milano a Ferrara, dove gli viene affidato l’incarico di capo redattore dell’Ufficio Stampa del Comune. È così che diventa direttore della rivista “Ferrara”, dove dal 1983 al 1990 raccoglie gli interventi di intellettuali, scrittori ed esperti di svariate discipline. I tanti aspetti della città vengono così raccontati e descritti attraverso le pagine di questo periodico stampato in diverse migliaia di copie, distribuito nelle circoscrizioni, ma anche nelle edicole e in luoghi di riferimento della comunità.

Presentazione del libro con i ritratti di artisti scritti da Gabriele Turola (foto GioM)
Lucio Scardino presenta il libro in Camera di commercio (foto GioM)

“Gian Pietro Testa – ha raccontato Lucio Scardino alla presentazione – ha conosciuto Gabriele a una mostra che io avevo dedicato a 20 artisti ferraresi ed è rimasto subito colpito dalla sua originalità e brillantezza di pensiero. Si rese conto che aveva una marcia in più, perché aveva la cultura nelle mani, ma anche nella testa. Perciò gli affidò per primo il compito di curare una rubrica dedicata a profili di artisti ferraresi sulla rivista ‘Ferrara’. A questo spazio diede il titolo di ‘Figli delle Muse Inquietanti’. Come se idealmente queste rappresentanti della cultura e delle arti uscissero dal celebre quadro di Giorgio De Chirico ambientato sullo sfondo del Castello Estense per contagiare i talenti che operavano a Ferrara”.

“Le Muse inquietanti” di De Chirico su rivista ‘Ferrara, 1985 n 7 (foto GioM)
Scultura delle “Muse inquietanti” in foto di Angelo Magri su ‘Ferrara’, 1985 n 11 e 12 (foto GioM)

“Sfogliando questo volume sono incappato subito nella figura di Giovanni Boldini – ha fatto notare il vicepresidente della Camera di Commercio di Ferrara e Ravenna, Paolo Govonima anche di tanti altri artisti meno conosciuti del nostro territorio. Il libro ripropone il ruolo strategico dell’arte e della cultura ferrarese. Ed è un contributo da valorizzare, perché ritengo che la cultura sia un elemento fondamentale quando parliamo di sviluppo, che da questo aspetto non può prescindere”.

Corrado Pocaterra ha quindi raccontato come il filone aperto dalla rivista comunale sia confluito poi sul periodico “La Pianura” della Camera di Commercio di Ferrara, “di cui mi sono occupato nel periodo segnato dalle presidenze di Alberto Roncarati e Paolo Govoni, dal 1999 al 2016”. Così le pagine della rivista hanno dato spazio ai ritratti che nel frattempo Gabriele Turola ha potuto continuare a scrivere. Dalla ricerca sono stati selezionati i profili di “50 artisti su cui era andato l’occhio di Gabriele e che riscontravano il suo gusto”.

Pubblicazioni di Gabriele Turola

Un’occasione per ripercorrere un secolo di produzione di pittori, disegnatori e illustratori estensi. Da Boldini e De Pisis fino a Zanni. Ed è bello farlo attraverso la penna e lo sguardo di un artista che si avvicinava con curioso interesse a quegli stili, quelle tecniche e quel sapere culturale e visivo. E che ripercorreva con la sua cifra stilistica le strade di chi lo ha preceduto, affiancato, contaminato.

Per leggere tutti gli articoli di Giorgia Mazzotti clicca sul nome dell’autrice.

Nord Stream 2, le trattative segrete tra Russia e Usa

Nord Stream 2, le trattative segrete tra Russia e Usa

Parallelamente ai colloqui per normalizzare i rapporti e per la pace in Ucraina, Mosca e Washington starebbero conducendo trattative segrete in Svizzera per riavviare il gasdotto Nord Stream 2. Gli Stati Uniti sarebbero interessati all’acquisto dell’infrastruttura indebolita con un sabotaggio nell’autunno 2022.

Secondo indiscrezioni della rivista tedesca Bild, la Casa Bianca avrebbe affidato i colloqui ad un uomo di stretta fiducia del presidente: Richard Grennell, suo attuale consigliere ed ex ambasciatore statunitense in Germania. Si sarebbe recato più volte presso la sede centrale della società operativa Nord Stream AG, nel Canton Zugo.

L’acquisto del gasdotto a prezzi stracciati da parte di imprenditori statunitensi sarebbe sul tavolo delle trattative  tra Stati Uniti e Russia, come parte della risoluzione della guerra in Ucraina. Un accordo del genere segnerebbe una vera e propria alleanza tra le due superpotenze, stravolgendo gli equilibri geostrategici mondiali. La pace verrebbe così saldata e garantita sulla base di un comune interesse strategico, il ripristino delle forniture di gas russo in Europa tramite un’infrastruttura americana.

Le offerte di acquisto

In base a quanto riferito nei giorni scorsi dal Financial Times, a condurre le trattative per la controparte russa sarebbe il CEO di Nord Stream AG, Matthias Warnig un ex ufficiale della STASI, amico di Putin. Warnig fu anche presidente del consiglio di amministrazione della Dresdner Bank ZAO, la sussidiaria russa della Dresdner Bank e attualmente fa parte del consiglio di amministrazione della Banca Rossiya , spesso definita il “portafoglio di Putin”.

Secondo il Financial Times, sarebbe suo il piano di contattare lo staff di Trump tramite imprenditori statunitensi, come parte di iniziative secondarie per mediare la fine della guerra in Ucraina e, al contempo, approfondire i legami economici tra Stati Uniti e Russia.

Ci sarebbero già delle offerte. A novembre il Wall Street Journal riportava che un donatore della campagna di Trump, l’uomo d’affari della Florida Stephen P. Lynch, aveva espresso l’intenzione di acquistare Nord Stream 2, per dare a Washington “un’opportunità unica per il controllo americano ed europeo dell’approvvigionamento energetico nel vecchio continente fino alla fine dell’era dei combustibili fossili”, riportava il WSJ. Già a febbraio del 2024, il businessman aveva chiesto al governo federale l’autorizzazione a formulare un’ offerta per acquistare il gasdotto Nord Stream 2, dopo che l’operatore dell’infrastruttura aveva dichiarato bancarotta. La licenza gli consentirà di condurre trattative con entità attualmente soggette a sanzioni statunitensi.

Stephen P. Lynch ha lavorato a Mosca per quasi 20 anni e sa bene come fare affari con i russi. Nel 2022 ha ottenuto una licenza dal tesoro americano per acquistare la filiale svizzera di Sberbank, colpita da sanzioni. Ma il suo colpo da maestro fu la partecipazione alla svendita degli assett di Yukos, la compagnia energetica russa dell’oligarca russo Mikhail Khodorkovsky. Il 15 agosto 2007 una società da lui controllata si aggiudicò all’asta il 100% di Yukos Finance, una sussidiaria di Yukos Oil Company. Fu proprio la banca di Warnig a prestare consulenza sulla controversa vendita forzata della compagnia petrolifera di Khodorkovsky.

La garanzia ideale per la Russia

Sia Mosca che Grennell hanno smentito l’esistenza del piano. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che le informazioni non corrispondono alla realtà. Non ci si poteva non aspettare una smentita, considerando il livello di delicatezza delle trattative. Ma sembra verosimile (ed in linea con la diplomazia di Trump) che alla base di un solido accordo di pace per l’Ucraina ci sia un buon affare su Nord Stream 2.

Le forniture di gas russo attraverso il gasdotto statunitense renderebbero necessaria la normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Russia. L’inedita fiducia tra i due nemici di sempre poggerebbe su una base inossidabile: il mutuo interesse nel business e nei profitti. La cooperazione energetica farebbe da contrappeso alla rivalità strategica. Ciò condurrebbe al superamento delle vere cause della guerra, condizione richiesta dal Cremlino per un accordo di pace duratura. Il riavvio di Nord Stream fornirebbe quella garanzia di sicurezza che Mosca chiede per fermare le sue truppe in Ucraina.

Entrambi i Paesi ne riceverebbero vantaggi. L’abbraccio americano stringerebbe Europa e Russia, garanzia per  ricominciare a pompare il suo gas in Germania e per la revoca delle sanzioni. L’acquisto di Nord Stream, oltre ad essere una ghiotta occasione di profitto, consentirebbe agli Stati Uniti ottenere un’influenza senza pari sulle forniture energetiche europee.

Una truffa per l’Europa

Gasdotto Nord Stream 2

L’Europa invece è giustamente preoccupata da un’eventuale conferma dell’interesse americano. Subirebbe un vero e proprio scherno: dopo tre anni di duri tentativi per emanciparsi dalla dipendenza di gas russo, si troverebbe costretta a importarlo (di nuovo ma a costi maggiori) proprio dall’alleato atlantico, che per giunta potrebbe essere coinvolto nell’attentato contro i gasdotti russo-tedeschi. Una vera e propria truffa. La Germania  ha escluso qualsiasi possibilità di riprendere le forniture di gas russo attraverso il  gasdotto Nord Stream 2 sottolineando il proprio impegno per l’indipendenza energetica dalla Russia.

Un’eventuale partnership energetica darebbe vita ad un inedito asse Washington e Mosca. L’Europa subirebbe l’accordo, esclusa dai giochi, relegata all’irrilevanza e ad un vincolo di maggiore subalternità agli Stati Uniti. Non solo i Paesi europei sarebbero di nuovo dipendenti da Mosca, ma gli Stati Uniti sarebbero i garanti di questa dipendenza, da cui trarrebbero anche una cospicua parte di guadagni.

E’ possibile il ripristino di Nord Stream?

Nonostante l’esplosione dei gasdotti Nord Stream fece ribollire  il Mar Baltico per giorni, il progetto geopolitico non ha ancora perso il suo slancio. Pur essendo sull’orlo del fallimento, la società “Nord Stream  AG” intende realizzare già nel secondo e terzo trimestre del 2025 dei lavori di conservazione del gasdotto Nord Stream 2. A fine gennaio il governo danese ha dato il via libera. Si stima che il gasdotto danneggiato Nord Stream 2 A contenga circa 9-10 milioni di Sm3 di gas naturale rimanente, mentre il gasdotto Nord Stream 2 B è intatto e riempito di gas a circa 54 bar, ridotti da 103 bar. Per il momento i lavori dovrebbero riguardare la riparazione delle falle, ma potrebbero essere il primo passo per il ripristino dell’infrastruttura.

Una cessione del gasdotto a investitori americani per il riavvio delle forniture di gas russo, dovrebbe ricevere un’autorizzazione speciale sia dal governo federale tedesco che da quello statunitense. Berlino mostra la totale contrarietà alla riattivazione, ribadendo la volontà di proseguire sulla strada dell’indipendenza dall’energia di Mosca. Tuttavia all’interno dei partiti che potrebbero formare la prossima coalizione di governo, ci sarebbero settori più sensibili alle forniture di gas naturale a basso costo dalla Russia.

La giustizia svizzera, che si sta occupando delle procedure fallimentari di Nordstream AG, sta prendendo tempo. In teoria la società avrebbe dovuto essere liquidata a gennaio, ma il tribunale cantonale di Zugo ha rinviato la questione a maggio. La decisione è motivata dalla necessità di dare più tempo agli interessati diretti e potenziali. Nella sua valutazione, infatti, il giudice responsabile fa riferimento alle elezioni statunitensi e a quelle federali. Le prossime settimane saranno decisive per l’Europa.

Clara Statello
Clara Statello, laureata in Economia Politica, ho lavorato come corrispondente, videoreporter e autrice per Sputnik Italia, occupandomi principalmente di Sicilia, Mezzogiorno, Mediterraneo e ho trattato temi sociali, come il lavoro, le vertenze sindacali, migranti, donne, militarizzazione dei territori, ecologia e ambiente, mafia ed antimafia. Sono un’appassionata di politica internazionale e su questo collaboro con Pressenza e altre riviste, come Pagine Esteri, Marx21 e L’Antidiplomatico.

In copertina: gasdotto Nord Stream 2 (Foto di L’Antidiplomatico)

Vite di carta /
In treno con Giorgio Bassani

Vite di carta. In treno con Giorgio Bassani

È martedì 4 marzo 2025 e mentre le reti televisive ricordano che oggi Lucio Dalla compirebbe ottantadue anni mandando immagini di repertorio sulle note di 4 Marzo 1943,  avvio l’auto in direzione Ferrara per andare a ricordare al mio Liceo il giorno della nascita di Giorgio Bassani, avvenuta in questo stesso giorno nel 1916.

Accade ogni anno al Liceo Ariosto che nelle Giornate Bassani si raccolgano nell’atrio che porta il suo nome docenti, studiosi dell’opera bassaniana e classi di studenti che hanno lavorato nell’ambito scelto di volta in volta come campo di approfondimento sulla complessa opera dell’autore.

Ho ricevuto l’invito a partecipare a questa XXIII edizione che ha per titolo: “La cifra che risolva in un canto il mio grido” (Preludio, in rima e senza). Giorgio Bassani poeta (1945- 1982).  Non so contare da quanti anni la prof.ssa Monica Giori si occupi dell’iniziativa con impegno e competenza. Mentre sono in auto penso a Bassani che dal 1926 al 1934 è stato studente dell’Ariosto e dunque i ragazzi di oggi possono essere motivati a studiare uno di loro, che si è seduto sugli stessi banchi un po’ di anni fa. A me è successo di cominciare il ginnasio in questo Liceo più o meno quarant’anni dopo.

I saluti, al mio arrivo, sono di quelli che mi fanno sentire di essere tornata a casa. Non conosco questi nuovi ragazzi che espongono i loro lavori, proiettando immagini montate con sapienza tecnica. Leggono le poesie con una dizione a tratti imprecisa, ma con una disponibilità che emenda ogni loro fragilità nell’esprimersi.

Dalla prima fila in cui sono seduta scatto foto alle slide che vengono proiettate e uno di seguito all’altro ai tre relatori.  Il loro è stato un nome scritto sul pieghevole, fino a poco fa, un nome che mi ha fatto decidere di venire ad ascoltarli oggi. Bravi, bravissimi, sia le due ex colleghe che i due ex studenti tornati qui in veste di esperti. Ognuno con un punto di osservazione precipuo, lo sguardo della loro disciplina che è entrato in profondità nei testi di Bassani e anche nella vita.

Prendo appunti e mi assegno nuovi e vecchi testi da rivedere, percorsi di lettura che prendono forma da ciò che vedo e ascolto. Sono venuta qui per imparare ed eccomi accontentata.

Poi, al rientro a casa, ecco che si accende il filo luminoso del ricordo personale sugli anni della giovinezza che ho passato tra l’Ariosto a Ferrara e la facoltà di Lettere a Bologna. Apro “Un mirabile sogno”. L’apprendistato letterario di Giorgio Bassani, il bel saggio che la studiosa Rosy Cupo oggi mi ha donato e leggo la parte iniziale, la collego alla esposizione che ne ha fatto ai ragazzi e vado cercando…un treno.

Di tutto un mondo letterario e biografico, così bene esplorato nel volume, mi attrae salire con Bassani sul convoglio che lo portava ogni giorno da Ferrara a Bologna. Lui studente di Lettere dal 1935, io dal 1975 presso la stessa amata facoltà.

Dopo quarant’anni sono toccati in sorte anche a me i sedili di legno scomodi ma più igienici di quelli in cui capitava di sedere a volte, in un velluto rosso polveroso e pieno di macchie. I vagoni inclinati verso l’esterno alle fermate, per cui si saliva sentendo la spinta all’indietro e dopo lo sforzo di andare su si ammarava tra le gambe dei passeggeri seduti.

Al ritorno da Bologna la temperatura interna era gradevole nei mesi freddi ma rovente d’estate, le carrozze si riempivano velocemente di pendolari di ritorno da fabbriche e scuole e io guardavo fuori dal finestrino, chiusa nel mio posto con i libri sulle ginocchia e la borsa tenuta stretta.

Scendevo a Poggio Renatico, laddove Bassani ricorda che avveniva ogni mattina la prima fermata del suo treno diretto a Bologna. Ne parla ne Gli occhiali d’oro e ancora oggi non trovo lusinghiero il suo accenno ai “villani” che salivano alla stazione del mio paese.

Oggi l’amica Rosy Cupo ha segnalato che il primo racconto edito nel 1935 da Bassani, III classe, ricorda proprio gli spostamenti in treno di Bassani giovane matricola. Ritrovo tra le mie carte ora ingiallite quello che ho scritto nel giugno del 1979: “Ero in treno. Guardavo da sempre il colore del grano, oppure alberi. E ripensavo a quando, camminando con mio padre, portavo il naso in su annusando l’aria per aspirare il profumo dell’erba. E il contadino che l’aveva appena falciata arrotava la falce, senza guardare chi passava”.

Mi piace trovare le parole di Bassani così vicine alle mie, con colori e odori della natura che seguono la curvatura del giorno. In una delle poesie che hanno presentato gli studenti, Verso Ferrara, scrive: ” È a quest’ora che vanno per calde erbe infinite / verso Ferrara gli ultimi treni, con fischi lenti” e poi sente i profumi:” Dai finestrini aperti l’alcool delle marcite / entra un po’ a velare il lustro delle povere panche”.

Ma torniamo a III classe: parlano anche per me le considerazioni del giovane Bassani sui discorsi che sente fare ai vicini di posto, e anche lo sguardo ironico verso alcune macchiette dall’abbigliamento sgargiante o dalla voce querula. Scenette di vita quotidiana pronte a entrare nella penna, vera materia di vita da trasfigurare in parole esatte come stigmi.

Quando Cupo espone agli studenti un altro racconto giovanile, Caduta dell’amicizia, del 1937, emerge un altro tratto del mondo bassaniano che ritrovo in ciò che ho appuntato negli anni dell’università.

Nel parlare ai ragazzi lo definisce “vizio della memoria” e riprende un passo da Il Giardino dei Finzi Contini in cui Giorgio e Micol riconoscono di avere una sensibilità affine, in quel girare la testa all’indietro in cerca del passato.

Paola Bassani, che nella postfazione a “Un mirabile sogno” allarga lo sguardo alla poetica complessiva del padre, riconosce che nella fase giovanile: “Si vede insomma come Bassani…impronti nuove strade, si batta per una nuova letteratura, intimamente connessa alla realtà dell’oggi, aperta alla bruciante attualità, tutta vibrante di carica morale e di imperioso dovere della memoria”.

Correvo a casa a finire in famiglia il tempo rimasto. I nuovi gesti della sera mi facevano ricordare la giornata appena trascorsa e i suoi piccoli accadimenti. E proprio ripensandoli come passati me ne appropriavo veramente.

Null’altro che questo, il ritrovare nelle opere letterarie la sintonia con ciò che ero e sono mi conforta. Finché ho insegnato ho condiviso con i ragazzi il valore della memoria dentro la Storia, oggi ho ripercorso per un tratto la mia. Se tornare a scuola significa rileggere e rileggersi ho fatto bene ad avviare l’auto in direzione Ferrara.

Nota bibliografica:

  • Rosy Cupo, “Un mirabile sogno”. L’apprendistato letterario di Giorgio Bassani, Giorgio Pozzi Editore, 2021
  • Giorgio Bassani, Gli occhiali d’oro, Einaudi, 1958
  • Giorgio Bassani, Il Giardino dei Finzi Contini , Oscar Mondadori, 1980
  • Giorgio Bassani, III classe, in Racconti, diari, cronache (1935-1956) a cura di Piero Pieri, Feltrinelli, 2014
  • Giorgio Bassani, Caduta dell’amicizia, in Racconti, diari, cronache (1935-1956) a cura di Piero Pieri, Feltrinelli, 2014

La cover è dell’autrice e ritrae da sinistra le prof.sse Rosy Cupo e Silvana Onofri nell’Atrio Bassani del Liceo Ariosto (XXIII Giornata Bassani, 4 marzo 2025)

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Si può fare: liberiamo Ferrara da Hera!

Si può fare: liberiamo Ferrara da Hera!

La campagna entra nel vivo. Davanti all’ufficio Hera di viale Cavour un folto gruppo manifesta pacificamente, armato di lettere giganti, di buone intenzioni e molte ragioni.

Ecco il video del flash mob: 

Ma quanto costa riportare il servizio in mano pubblica?

🤥 Ci dicono che ripubblicizzare il servizio dei rifiuti urbani a Ferrara costa troppo.
Non è vero! È un buon investimento per il futuro.
Se prendiamo come riferimento lo studio realizzato dall’Università di Ferrara sulla gestione dei rifiuti, si evidenzia che il “costo” per costruire un’azienda interamente pubblica per gestire il servizio dei rifiuti urbani oscilla tra i 4,5 e 5,2 milioni di Euro.

🤑 Risorse che sono più che reperibili tramite due possibili strade:
👉🏼l’utilizzo di parte delle riserve di utili di Ferrara Tua, azienda interamente partecipata dal Comune di Ferrara, che ammontano nel 2023 a più di 17 milioni di €, di cui circa 8 disponibili.
👉🏼Oppure attraverso la vendita di parte delle azioni di Hera possedute dal Comune di Ferrara e di cui lo stesso può liberamente disporre, che arrivano ad un valore superiore ai 20 milioni di €.

💁🏻‍♀ Insomma, se si ha la volontà politica, si possono tranquillamente trovare le risorse per un investimento, non un costo, volto a ripubblicizzare il servizio, che può portare benefici importanti per i cittadini.

#liberiamoFerraraDaHera

 

 

20 marzo 2025: Ferrara Film Corto Festival ‘Ambiente è Musica’: and the winner is…

Giovedì 20 Marzo 2025, alle ore 20:30, Ferrara Film Corto Festival ‘Ambiente è Musica’ (FFCF) organizza una rassegna dei cortometraggi vincitori della sua VII edizione
presso la sala di  “Notorious Cinema The Experience” in via Darsena 73.

La collaborazione con “Notorious Cinema The Experience” è stata avviata lo scorso anno, all’insegna della sostenibilità ambientale e dell’inclusione sociale.

Un’occasione per chi non ha potuto partecipare alla scorsa edizione.

Apertura porte alle ore 20:00, ingresso a entrata libera.

Per iscriversi: https://www.ferrarafilmcorto.it/event-details/and-the-winner-is-20-marzo-2025 

I titoli in programma:

  • “It takes a village“, di Ophelia Harutyunyan, Vincitore delle categorie “Ambiente è Musica” e “Miglior attrice”
  • “Vision d’été”, di Anna Crotti, Lucrezia Giorgi e Anaïs Landriscina, Vincitore della categoria “Buona la Prima”
  • “Tu Quoque”, di Luca Fattori Giombi, Vincitore della categoria “Indieverso”
  • “Home”, di Valerio Armati e Nina Baratta, Vincitore del premio “Miglior documentario”
  • “Benzina”, di Daniel Daquino, Vincitore del premio “Miglior attore”
  • “Trinidad”, di José Manuel Azuela Espinosa e José Azuel, Vincitore del premio “Migliore fotografia”
  • “DR. VAJE“, di Carmelo Raneri, Vincitore del premio speciale “#CLIMATECHANGE”
  • “The one note man”, di George Siougas, Vincitore del premio speciale “Musica Indie”

It takes a Village – Armenia, durata 23’

Sinossi: Mariam vive in un remoto villaggio armeno senza uomini. Il giorno del suo compleanno le speranze di riunirsi col marito per i festeggiamenti vanno in frantumi.

Ophelia Harutyunyan. Regista armena basara a New York, con Alex Gibney e Suzanne Hillinger, ha recentemente diretto e prodotto “Totally Under Control” (NEON). Produce inoltre “Crazy, Not Insane” (HBO), presentato in anteprima al Festival del Cinema di Venezia, e “Red Apples” (OUAT Media), presentato in anteprima al T.I.F.F.. È alunna della Berlinale Talents e i suoi film sono stati proiettati in numerosi festival come Sundance, SXSW, IDFA, AFI, Clermont Ferrand ecc.

Vision d’été – Italia, durata 20’

Sinossi: Chi siamo noi essere umani e come ci rapportiamo alla Natura? Abbiamo un’educazione innata nei confronti della Terra?

Nel mezzo di un’estate torrida, in cui una volta di più il cambiamento climatico appare in tutta la sua inarrestabile potenza, la protagonista, una giovane francese, chiama sua madre confidandole, in maniera concitata, di sentirsi stritolata dall’atmosfera cittadina e dalla crescente gentrificazione del territorio su cui sorge la sua città natale, Marsiglia. È l’inizio di un viaggio, di una fuga che non troverà risposte ma solo altre domande.

Anna Crotti. Nata a Bergamo nel 1998, si laurea in Informazione e Sistemi Editoriali con tesi “Il riutilizzo delle immagini del passato nel cinema d’autore italiano contemporaneo” e in Scienze Sociali con tesi “Il documentario come strumento di ricerca antropologica”. È selezionata per la terza edizione del programma  di mentoring “Becoming Maestre”, organizzato dall’Accademia dei David di Donatello e da Netflix, nella sezione montaggio.

Lucrezia Giorgi. Nata nel 1994, dopo la laurea in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali presso l’Università di Bologna con un focus in African Studies, consegue il Master in Arti del Racconto: Letteratura, Cinema, Televisione dello IULM di Milano. I suoi grandi amori sono la Letteratura e il Cinema che cerca sempre di far coesistere nelle sue creazioni. Lavora in editoria.

Anais Landriscina. Nata a Milano nel 1999, si laurea in Scenografia Arti Drammatiche e Performative alla Libera Accademia di Bella Arti di Brescia. La sua continua ricerca interiore la riporta sempre a un canale preciso, quello dell’immagine. La comunicazione visiva ai suoi occhi rende reale e comprensibile anche ciò che può essere astratto. Attualmente lavora come fotografa e videomaker.

Tu Quoque – Italia, durata 11’

Sinossi: È trascorso molto tempo dall’ultima volta che ha visto sua sorella Sarah, ma Abdel non può più aspettare, deve parlare con lei. Ne scaturirà un incontro che segnerà in maniera irreversibile la dimensione più profonda del loro rapporto.

Luca Fattori Giombi. Nato a Fano, dopo la laurea in Comunicazione Pubblicitaria presso l’università di Urbino “Carlo Bo”, frequenta corsi di sceneggiatura e produzione e, successivamente, inizia un percorso di collaborazione con alcune produzioni indipendenti, lavorando nel comparto creativo come redattore testi. In tale contesto si inserisce la partnership con Eclettica e Guasco Cinema, che sfocia nella produzione del suo cortometraggio “Il battito che sento” (2016), distribuito in diversi festival di settore. Scrive il documentario “Nouvelle Noire” e realizza “Tu quoque”, cortometraggio prodotto da Combo Cooperativa e Black Cut, completato nel 2023.

Home – Italia, durata 17’

Sinossi: Un palazzo occupato: 60 stanze, 70 famiglie, 50 bambini. Due registi: Valerio che ha 9 anni e Nina che ne ha 39. Due autori con in comune una grande sensibilità si uniscono per documentare una realtà delicata e complessa, per raccontare cosa significa vivere in occupazione. Le interviste agli abitanti, attraverso risposte fatte di numeri cercano di portare ordine nello spazio sconosciuto dell’occupazione mentre i tableau vivant mostrano cristallizzata la realtà di quei luoghi, lasciando a chi guarda il tempo per respirarli e farli propri. Un percorso immersivo che oscilla tra la fantasia e la realtà, e che porta dentro questo mondo spesso distante e strumentalizzato in modo semplice e diretto, senza retorica.

Valerio Armati. Di soli 11 anni, vive a Tor Marancia, Roma, e frequenta la quarta elementare. Nel 2022, partecipa al Moscerine Film Festival con il cortometraggio “Buchi Neri” e vince i premi come Miglior Film e Miglior Idea Originale. Nel 2022 inizia anche le riprese del corto-documentario “HOME” con la regista Nina Baratta.

Nina Baratta. Inizia fin dai 14 anni a realizzare documentari e cortometraggi. Continua il suo percorso artistico realizzando documentari e reportage su tematiche sociali, approfondendo in particolare la figura della donna e della maternità. Nel 2020, fonda il collettivo “Tutte a casa” con 16 donne professioniste del mondo dello spettacolo, con cui realizza il film documetario “Tutte a casa – memorie digitali da un mondo sospeso”, andato in onda a marzo 2021 su La7 e La7d. Nel 2022 dà vita al Moscerine Film Festival, realizzato e dedicato ai bambini di 0/12 anni. Nel 2022, fonda la società di produzione cinematografica “Tadàn Produzioni”.

Benzina – Italia, durata 20’

Sinossi: Vincenzo gestisce un distributore di benzina su una strada provinciale. Soffre di un disturbo ossessivo compulsivo che rende la sua vita piena di gesti e rituali maniacalmente ordinati. Passano le ore, le canzoni allo stereo, le macchine e gli scherzi di due ragazzini. Solo una donna sembra accorgersi di Vincenzo e accendere in lui qualcosa che lo fa reagire in modo inaspettato.

Daniel Daquino. Scrive sceneggiature, dirige documentari, cortometraggi e videoclip musicali. Nel 2015, dirige “Neve Rosso Sangue”, un mediometraggio di fiction che ricostruisce l’eccidio di nove partigiani garibaldini nel marzo ’45 in Valle Varaita. Suona la batteria con i Cani Sciorri e condivide il palco con band nazionali e internazionali. Nel maggio 2019 registrano il nuovo disco a Los Angeles a cui segue il primo tour negli USA con i texani We Are The Asteroids.

Trinidad – Messico, durata 11’

Sinossi: Ambientato negli anni Cinquanta, questo western messicano racconta la storia di tre bambini che, desiderosi di conservare il ricordo del nonno, ne rubano le ceneri dal cimitero.

Jos Azuela. Creatore multidisciplinare influenzato dal realismo magico e dal surrealismo. Ha vinto premi nazionali e internazionali in concorsi d’arte e festival di cinema e animazione.

José Manuel Azuela Espinosa. Regista specializzato nella scrittura e nella narrazione di storie della campagna messicana, il suo cortometraggio “Aguero” è stato premiato nel 2018, tra gli altri, al GIFF, al FICMA e al Mexico City Independent Film Festival.

DR.Vaje – Italia, durata 20’

Sinossi: In un barrio marginale dell’Avana, vive e lavora “Dr. Vaje” un filosofo-calzolaio che dona nuova vita a scarpe oramai logore, nel rispetto della Madre Terra.

Carmelo Raneri. Classe 1965, si Laurea in Scienze Politiche (indirizzo politico-internazionale) presso l’Università La Sapienza di Roma, nell’anno accademico 1993-94. Dal 2002 ha collaborato con diverse testate televisive in qualità di redattore; nel 2003 è stato tra i fondatori della società di produzione TRX1 che si occupa di tematiche sociali; Dal 2004 al 2009, ha realizzato vari lavori di documentazione video, clip musicali, e documentari, in qualità di regista ed editor.

The one note man – Regno Unito, durata 22’

Sinossi: Un musicista vive una vita premurosa. Ogni giorno è esattamente come il successivo, proprio come piace a lui. Un giorno, però, la sfortuna e il destino si scontrano, interrompendo la sua routine e sconvolgendo il suo mondo per sempre.

George Siougas. Originario di Atene, si trasferisce nel Regno Unito per studiare alla London Film School, dove realizza 5 cortometraggi che partecipano a oltre 70 festival in tutto il mondo. Torna in Grecia nel 2002 per dirigere “Close Your Eyes”, serie che diventa una delle più popolari nella storia della TV greca e che vince 5 premi agli Hellenic TV Awards del 2003. Burning Heads (alias “To Gala”), il suo lungometraggio d’esordio, è del 2012. Viene nominato a 11 premi dalla Hellenic Film Academy, incluso quello per il miglior regista. Nel 2012, George e la sua famiglia si trasferiscono a Cipro, dove nei quattro anni successivi dirige numerose serie televisive. Nel 2015 torna nel Regno Unito, dove si afferma come regista.