Skip to main content

Una poesia sul canaròl, che assieme al brazànt, al pascadór e al scariulànt abitavano il Delta del Po. Negli endecasillabi dell’autore sono efficaci le immagini del lavoro come sopravvivenza: la fatica (i fas bumbà ch’i péśa cóm al piómb), la miseria (… chi caśón tirà su con tri pal e uη muć ad cana), l’ambiente ostile (pùntagh, saηguétul, bis, vèsp e ziηzàll,), la fame (par amìga la fam, e da magnàr aη gh’jéra gnént).
Avviso ai lettori:
Al cantóη fraréś , l’appuntamento con il dialetto e i suoi autori vi terrà compagnia tutti i venerdì. Non perdetevelo. 
(Il curatore della rubrica: Ciarìn)

 I canaròl dal Délta

I źóvan j’a-n al sà quànta fadìga
l’à fat, chi źó int la bàsa, tanta źént
quand che la gh’éva, sóla, par amìga
la fam, e da magnàr aη gh’jéra gnént.
Bén, tra sta źént a gh’jéra i canaròl
coi pié intrigà int la màlta dal bunèl
par tut ‘n iηvéran (ill n’è mina fòl!)
a cójar cana ch’taja cmé uη curtèl,
la faza e ill man e tut chi miśar straz
ch’i s’è infasà ch’i par di buratìn;
e indóv an taja ill cann, al róśga al giaz
cla càran d’póvar stiàη séηza destìn.

Iη cla spianàda d’cann a gh’è l’iηféraη:
pùntagh, saηguétul, bis, vèsp e ziηzàll,
mó lór j ‘à da tajàr, pr’un témp etéran;
e quànd s’avśìna al scur sóra la val
j’a-s càrga sóra ill spall i fas bumbà
ch’i péśa cóm al piómb, ch’j’agh stróηca j’òs
che’ gnàηca ill cann ill par avér pietà
d’st’j’óman e dònn con źa la mòrt adòs.

A s’è fat óra ormài d’andàr in tana:
l’è quést al nóm più giùst par chi caśón
tirà su con tri pal e uη muć ad cana
indóv j’a-s cùcia d’nòt sóra i pajóη
che quànd sul délta a sùpia fòrt la buóra
i fnìs a mój, senz’usta, d’na marèa
ch’a par ch’l’a-s gòda a far pagàr ηcóra
àltar suplìzî a źént sémpr’in trincéa.
E al vént ch’l’intìzia iηcóntr’a lór al mar
al squàsa chi caśón e al spiηź al fum
źó dal camìn e, acsì, tant par scarzàr,
al śmòrza dal carbùro l’ùltim lùm.
Sóra na fiàma stràca ch’la trabàla,
una scudèla coi faśó par zéna;
l’è cvérta d’mufa la pulénta zala,
l’aqua dal Po da bévar, l’è na péna.

Chi dì ch’a pióv o quànd dal mar l’arìva
una fumàna ch’par una muràia,
an s’véd, là sul bunèl, n’ànima viva
ch’j aspèta, i canaròl, sóra la paia
sperànd ch’al témp a s’tira su a la svélta,
e coη peηsiér ch’j’a-s màśara int al mój,
acsì cóm ill marzìs ill cann dal délta
a i dì d’iηquó, che più nisùn a cój.
di Bruno Zannoni

Traduzione dell’autore
I cannaiuoli del Delta (del Po)
I giovani non sanno quanta fatica / ha fatto, qui giù nella bassa [1], tanta gente / quando aveva, sola, per amica / la fame, e da mangiare non c’era niente. / Ebbene, fra questa gente c’erano i cannaiuoli[2] / coi piedi affondati nel fango del bonello[3] / per tutto un inverno (non sono mica storie!) / a raccogliere canna tagliente come un coltello, / il viso e le mani e tutti quei miseri stracci / con cui si sono fasciati, che sembrano fantocci[4]; / e ove non feriscono le canne, ròsica il ghiaccio / quella carne di povera gente senza destino. /

In quella spianata di canne c’è l’inferno: / topi, sanguisughe, rettili, vespe e zanzare, / ma loro devono tagliare, per un tempo eterno; / e quando si approssima il buio sopra la valle / si caricano sulle spalle i fasci inzuppati / che pesano come il piombo, da stroncargli le ossa / poiché nemmeno le canne sembrano avere pietà / di questi uomini e donne con già la morte addosso. /

Si è fatta l’ora ormai di andare nella tana: / è questo il termine più giusto per quei casoni[5] / tirati su con tre pali e un mucchio di canna, / dove si accucciano di notte sopra i pagliericci / che quando sul delta soffia forte la bora / finiscono a mollo, senza rispetto, di una marea / che sembra si diverta a far pagare ancora / altri supplizi a gente sempre in trincea. / E il vento che aizza contro di loro il mare / sconvolge quei casoni e spinge il fumo / giù dal camino e, così, tanto per scherzare, / spegne l’ultimo lume del carburo. / Sopra una fiamma stanca che traballa, / una scodella con i fagioli per cena; / è ricoperta di muffa la polente gialla, / l’acqua del Po da bere, è una pena. /

Nei giorni in cui piove o quando dal mare arriva / una nebbia che sembra un muro, / non si vede, là sul bonello, un’anima viva / poiché aspettano, i cannaiuoli, sopra la paglia / sperando che il tempo si rimetta al più presto, / e con i pensieri che si macerano nell’umido, / così come marciscono le canne del delta / ai giorni nostri, poichè nessuno più le raccoglie.

[1] La zona del territorio della provincia di Ferrara che si trova a ridosso del delta del fiume Po.
[2] Così venivano chiamati, nei primi anni del 1900, i raccoglitori di canne palustri delle quali, nelle plaghe del delta del fiume Po, si faceva incetta, per quattro soldi, per la fabbricazione di scope e di graticci.
[3] Bonello (terreno buono): piccola porzione di terreno emergente in una valle.
[4] I cannaiuoli cercavano di proteggersi dalle canne taglienti, fasciandosi volto e mani con miseri stracci.
[5] Abitazioni improvvisate, costruite con pali e canne palustri, ove si ricoveravano i cannaiuoli per rifocillarsi e riposare.

Poesia premiata al Concorso Nazionale di poesie dialettali “Vittorio Monaco” di Pescara del 2016.

Bruno Zannoni (Bagnacavallo 1940)
Ha lavorato per decenni al petrolchimico di Ferrara, impegnandosi nel Sindacato Chimici Confederali. Oggi svolge attività volontaria per il Centro studi e ricerche socio-economiche CDS. Nato in Romagna, vive da decenni a Ferrara. Scrive in entrambi i dialetti, con ampie soddisfazioni nei concorsi nazionali. Ha recentemente pubblicato: I miei dialetti. Rime in romagnolo e in ferrarese (con traduzione a fronte), Napoli, Kairòs Edizioni, 2018.

Cover: Foto di scena tratta dallo sceneggiato televisivo Il mulino del Po di Sandro Bolchi, 1963

tag:

Ciarin


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it