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Il progetto di ricerca del gruppo “Ferrara, le donne e la città”: Dal vivere gli spazi al progettare i luoghi

Pubblichiamo questo importante documento frutto del progetto di ricerca promosso da gruppo “Ferrara, le donne e la città” per sollecitare una nuova consapevolezza dei bisogni, delle difficoltà e dei diritti delle donne nel vivere urbano.
(Redazione di Periscopio )

WOMEN’S WISE WORKSHOPS
“DAL VIVERE GLI SPAZI AL PROGETTARE I LUOGHI”

PROGETTO PARTECIPATIVO WWW. ATTRAVERSARE CONOSCERE COPROGETTARE 

Responsabile scientifico: Letizia Carrera, docente di Sociologia del territorio presso l’Università di Bari, coordinatrice del Laboratorio di Studi Urbani URBALAB 

Il progetto di ricerca è stato promosso dal gruppo “Ferrara, le donne e la città” al fine di sollecitare  una nuova consapevolezza dei bisogni e dei diritti delle donne nell’esperienza urbana, mettere in luce  le difficoltà e i problemi che le donne affrontano nella vita quotidiana riguardo alla mobilità, alla  sicurezza, ai servizi, agli spazi di relazione, ripensare in concreto gli spazi della città, le periferie, la  mobilità, la cura dell’ambiente urbano attraverso il confronto con le esigenze e le esperienze di vita  vissuta per giungere a possibili proposte di interventi sulla città.  

Attraverso esperienze di laboratori urbani e di riflessione collettiva, le partecipanti al processo di  ricerca-azione hanno esplorato lo spazio urbano, condividendo percezioni, bisogni e proposte per  rendere la città più inclusiva e attenta alle esigenze delle donne. 

I risultati vengono resi pubblici e presentati agli Amministratori con l’auspicio di contribuire a creare,  in prospettiva, le condizioni per una migliore qualità della vita delle donne e degli altri attori urbani  nella città. 

“La città accogliente e friendly per le donne è una città che sa tendere all’obiettivo di essere inclusiva,  sostenibile e people friendly“. 

Il laboratorio WWW trova la sua matrice teorica nel principio del “diritto alla città” tematizzato dal filosofo francese Henri Lefebvre e che si declina sia come diritto a vivere pienamente la città, sia come diritto a partecipare alla sua progettazione.  

Questa teorizzazione è il fondamento dei principi di democrazia territoriale – il diritto a una città di qualità a prescindere dallo specifico luogo di residenza andando oltre il limite della città “spezzata” tra centro e periferie -, e di quello di giustizia sociale – diritto a poter fruire delle opportunità e dei servizi messi a disposizione dalla città a prescindere dalla specifica dotazione individuale di risorse economiche, culturali e sociali. Il richiamo evidente è alla teoria della capabilities di Amartya Sen e Martha Nussbaum che ritiene imprescindibile centrare l’attenzione sulle reali opportunità fruibili dai soggetti (opportunities) più che sulla loro mera presenza nello spazio urbano 

PREMESSA 

Le città sono storicamente progettate secondo un immaginario maschile, che spesso ignora i bisogni e le esperienze quotidiane delle donne. L’adozione del “gender mainstreaming” nella pianificazione urbana può permettere di superare alcuni limiti di questo approccio, favorendo un accesso equo ai servizi e una maggiore partecipazione ai processi decisionali. 

“Le donne vivono ancora la città con una serie di barriere fisiche, sociali, economiche e simboliche che condizionano la loro vita quotidiana” ( Leslie Kern 2019), ma è proprio a partire da questi ostacoli

che proprio loro possono generare una nuova visione urbana: più sensibile, più umana, più sostenibile. 

Le città infatti non sono neutre. Sono state progettate da urbanisti maschi per soddisfare modelli maschili di vita centrati sul lavoro produttivo, su spostamenti lineari, su tempi rigidi, su strutture pensate per un uomo adulto, sano, motorizzato. Ma la vita reale, quotidiana, è ben più complessa e a pagarne il prezzo sono soprattutto le donne, con le loro giornate frammentate tra lavoro, cura, spostamenti multipli, carichi familiari. 

Da queste analisi discende la seconda declinazione del diritto alla città a cui si è fatto riferimento, che richiama in modo stringente la necessità che gli amministratori e i progettisti dialoghino in modo continuo e sostanziale con i cittadini e, naturalmente con le cittadine, riconosciuti quali portatori di specifiche competenze e di un sapere connesso alla pratiche quotidiane 

Molte città hanno già iniziato a integrare la parità di genere nelle politiche urbanistiche, sociali e culturali: a Vienna, a Barcellona, ad Amsterdam, a Bilbao si sono realizzati interventi che, soddisfacendo i bisogni e i diritti delle donne, hanno contribuito ad attivare processi di uguaglianza dei diritti e percorsi di transizione ecologica. 

Per il cambiamento è necessaria un approccio sistemico abbandonando una visione unicamente economica del mondo per assumere una visione ecologica, in grado di collegare le complesse dinamiche della vita quotidiana con la tutela dei beni comuni ( aria, acqua, suolo) e la garanzia dei servizi ai cittadini ( educazione, sanità, trasporti ). Le donne, per la loro esperienza di vita, sono portatrici di una visione sistemica, complessa, capace di tenere insieme tempi, relazioni, spazi e necessità. Oggi più che mai è di questa complessità che abbiamo bisogno. 

“Le donne possono dare un contributo determinante a immaginare un nuovo modello di convivenza urbana, con la forza delle loro idee, con i loro bisogni e desideri, mettendo a nudo quello che non funziona e che potrebbe cambiare, rivelando le asimmetrie nella ripartizione del potere e delle responsabilità”( Elena Granata 2023 ). 

Da queste premesse deriva l’urgenza di iniziare ad elaborare, con la partecipazione diretta delle donne e sulla base dell’analisi dei loro bisogni, proposte concrete di modifica della città da sottoporre agli Amministratori. Proposte che parlino di trasporti più accessibili, di spazi pubblici sicuri e accoglienti, di orari urbani compatibili con la vita reale, di servizi di prossimità. 

OBIETTIVI  

  • Rilevare le percezioni femminili dello spazio e delle sue pratiche d’uso: comprendere come le donne vivono e percepiscono gli spazi urbani, identificando aree che favoriscono o ostacolano la loro mobilità e sicurezza. “Spazi e luoghi gender friendly per progettare città people friendly”. 
  • Promuovere l’empowerment sociale e politico: incoraggiare le donne a diventare agenti attive nel processo di progettazione urbana, fornendo loro strumenti per rilevare esigenze e bisogni ed esprimere proposte.
  • Influenzare le politiche urbane: utilizzare i dati raccolti durante i laboratori urbani per avviare un dialogo con le amministrazioni territoriali e proporre soluzioni concrete di infrastrutturazione urbana per garantire una maggiore inclusività e attenzione alle esigenze di genere. 

METODOLOGIA 

Poiché l’intento prioritario era dare voce alle donne della città, si è adottato il consolidato metodo della ricerca sociologica qualitativa che consente di esplorare fenomeni sociali complessi e di acquisire comprensione delle dinamiche sociali, tramite il punto di vista dei soggetti e il significato che essi attribuiscono alle loro esperienze. 

QUI un testo esplicativo di Letizia Carrera, docente che ha curato la ricerca. 

DAL «progettare per» AL «progettare con» 

Il progetto Women’s Wise Walkshops è centrato sulla premessa di riconoscere la competenza delle cittadine e dei cittadini che abitano i luoghi. È fondato su un processo partecipativo complesso che persegue un duplice obiettivo: ascoltare, dare struttura e amplificare le voci di chi abita la città e promuovere il coinvolgimento civico e la connessione tra attori sociali diversi al fine di una progettazione urbana partecipata. 

FASI e STRUTTURA del progetto e impianto delle attività di ricerca-azione 

  1. Identificazione, in collaborazione con associazioni locali e gruppi organizzati del territorio, di donne che presentino tratti sociali differenziati in una logica intersezionale. 
  2. Conduzione di interviste semi-strutturate con le donne residenti nei quartieri selezionati come riferimento territoriale per i laboratori urbani. 
  3. Organizzazione di focus group basati sui risultati iniziali emersi dai protocolli di intervista e misurazione degli iniziali investimenti individuali sulle pratiche partecipative. 
  4. Implementazione di walkshop urbani, progettati sulla base del modello delle dérive situazioniste, ma con una maggiore declinazione sociale, che coinvolgano donne di diverse età e background sociali. 
  5. Creazione di mappe tematiche basate su metodologie partecipative e rivalutazione del livello di engagement delle cittadine coinvolte nei diversi percorsi. 
  6. Sviluppo di un documento condiviso che sintetizzi le osservazioni e i rilievi raccolti dalle tre fasi precedenti, delineando infine una serie di raccomandazioni di politiche urbane e interventi concreti per gli spazi urbani. 
  7. Realizzazione di tavoli di confronto con la cittadinanza e con gli amministratori locali, sulla base dei dati emersi per un dialogo e una riflessione condivisa sui risultati per l’elaborazione di specifiche politiche urbane.

Fasi di realizzazione della ricerca  

  • Individuazione di due quartieri, uno centrale e uno periferico, diversi per caratteristiche e problematicità in cui svolgere la ricerca: quartiere Arianuova-Giardino e quartiere Krasnodar. 
  • Realizzazione di 65 interviste semistrutturate e realizzate in presenza rivolte a un campione di donne dei due quartieri diverse per estrazione socio-culturale, lavorativa ed età. Fasce di età 18/35, 36/65, over 65. Interviste semistrutturate finalizzate alla raccolta di dati relativi a comportamenti, valutazioni, rappresentazioni dello spazio urbano e delle pratiche quotidiane, e di proposte per il miglioramento della qualità della vita del territorio. 
  • Realizzazione di 2 focus groups: uno per quartiere, coinvolte complessivamente 25 residenti, diverse per estrazione socio-culturale, lavorativa ed età. Discussione di gruppo, a partire dai macrotemi emersi dall’elaborazione e dell’analisi delle interviste condotte nella fase precedente, finalizzata a raccogliere esperienze, idee, riflessioni, proposte delle partecipanti sui diversi temi urbani. 
  • Realizzazione di 2 walkshops: uno per quartiere, coinvolte complessivamente 26 residenti, diverse per estrazione socio-culturale, lavorativa ed età. Laboratori urbani organizzati in due diverse fasi: a) realizzazione di camminate osservazionali (dérive) attraverso i luoghi urbani individuati come oggetto della riflessione condivisa con lavoro individuale: ogni partecipante osserva, riflette e prende appunti. b) Confronto sul tema individuato e sulle osservazioni ottenute, all’interno di uno spazio chiuso. 
  • Realizzazione di 2 incontri, uno per quartiere, con tutte le partecipanti al focus group e al laboratorio urbano, per la discussione di gruppo sui materiali emersi dal lavoro complessivo trattati con il metodo delle Word Clouds per l’analisi del contenuto e con quello dell’analisi tematica. 
  • Elaborazione di un documento condiviso che avanzi ipotesi di (ri)progettazione dello spazio urbano inteso quale elemento materiale e immateriale; 
  • Realizzazione di un evento pubblico nel quale sono stati presentati e discussi i risultati emersi dall’analisi dei materiali esito del percorso di ricerca. 

I risultati emersi dal laboratorio WWW Ferrara mostrano con nettezza le potenzialità di questo metodo di indagine sociale in grado sia di cogliere dimensioni e rappresentazioni sottostanti i comportamenti e sia di mettere a valore un sapere pratico e quotidiano di esperibilità dei luoghi. 

Premessa necessaria dalla quale non si può prescindere è il riconoscimento di elevati livelli di fiducia nutrito dai cittadini nei confronti dell’amministrazione e la convinzione di essere parte di un percorso condiviso e sinergico per implementare nuovi progetti per migliorare l’infrastrutturazione materiale e immateriale dello spazio e quindi garantirne una maggiore vivibilità per tutti i diversi tipi di cittadini. 

I dati emersi, al pari di quelli generati dalle altre esperienze metodologiche, non vanno quindi interpretati come sterili critiche rivolte all’amministrazione, quanto, invece, come un percorso partecipato di ripensamento e di miglioramento degli elementi materiali e immateriali della città per aumentarne il livello di vivibilità.

RISULTATI 

Per risultati si intendono le proposte operative emerse dal lavoro di ricerca al fine di riprogettare la città secondo una prospettiva di genere, per una città a misura di tutti i suoi abitanti: “una mappatura sociale per policy urbane di città gender/people friendly”. 

Proposte sintetizzate esposte per aree tematiche 

Mobilità 

  • Pianificazione di una mobilità dolce, sicura e intermodale che si confronti con i tragitti complessi e frammentati spesso compiuti dalle donne ( lavoro, accompagnamento figli, acquisti, cura di persone anziane). 
  • Rafforzamento della rete pedonale e ciclabile, migliorando l’illuminazione, la visibilità e la sicurezza (anche quella percepita). 
  • Progettazione e implementazione del trasporto pubblico con attenzione a frequenza, orari serali, segnaletica accessibile, sicurezza alle fermate e veicoli facilmente accessibili. 
  • Predisposizione di parcheggi di scambio e navette elettriche di collegamento (park & ride). Diminuzione del costo del biglietto del bus o estensione della durata della validità. Spazi pubblici 
  • Adeguamento strutturale degli spazi pubblici per l’accesso di soggetti con disabilità permanente e temporanea. 
  • Riprogettazione degli spazi pubblici con una maggiore infrastrutturazione materiale e immateriale adeguata alla fruizione differenziata dei luoghi: più panchine, più bagni pubblici, più illuminazione, marciapiedi più larghi e ben manutenuti, rimozione barriere architettoniche. 
  • Creazione di spazi verdi diffusi e migliore cura del verde esistente. 

Sicurezza 

  • Applicazione del principio di “prevenzione ambientale del crimine” (CPTED) con criteri di progettazione orientati alla sicurezza: visibilità, presenza umana, illuminazione, assenza di barriere visive. 
  • Contrasto dell’abbandono e della marginalità degli spazi pubblici tramite l’attivazione sociale e culturale sostenuta dall’amministrazione pubblica e da una rete multiattoriale. 
  • Collaborazione con centri antiviolenza, associazioni e comitati per mappare aree a rischio e progettare interventi mirati. 
  • Sostegno agli esercizi commerciali di prossimità come presidi di presenza di vitalità della zona e presidio di sicurezza.

Servizi per i cittadini 

  • Progettazione della città in funzione dei tempi di vita e di lavoro delle persone, promuovendo la “città dei 15 minuti” che consenta di accedere a servizi essenziali (scuole, centri di medicina territoriale, commercio, verde pubblico) in prossimità dell’abitazione. 
  • Potenziamento dei servizi di prossimità (nidi, centri anziani, consultori, sportelli sociali, …) accessibili a tutte le fasce della popolazione. 
  • Creazione di spazi pubblici flessibili, multifunzionali e intergenerazionali che incentivino la socialità e un nuovo modello di cura e di responsabilità sociale condivisa. 
  • Investimento sugli esercizi commerciali di prossimità da considerare non solo come valore economico ma anche per il loro ruolo di veri presidi civici. 

Spazi associativi 

  • Censimento e riqualificazione di edifici e spazi, in modo diffuso nella città, per garantire luoghi pubblici di incontro (anche al chiuso). 
  • Biblioteche, cinema, palestre diffuse per creare occasioni di consumi culturali e di socialità. 
  • Predisposizione di piani sociali (co-progettati) per aumentare il senso di sicurezza percepito dagli abitanti e consentite di fruire di queste possibilità anche la sera. 
  • Case di quartiere (vedi https://www.retecasedelquartiere.org/cos-e-la-rete-delle-case/). Partecipazione 
  • Attivazione di processi partecipativi che includano donne, giovani, anziani, persone con disabilità, caregiver e altri gruppi sottorappresentati nei processi decisionali, con un’attenzione anche alle diverse etnie presenti nella città. 
  • Utilizzo di metodologie di ricerca-azione come i “gender walk” (camminate esplorative di genere),le mappe partecipate e i laboratori di quartiere per raccogliere dati qualitativi sull’ esperienza urbana, da combinare con quelli statistico-demografici. 
  • Favorire la presenza paritaria di donne e uomini nei tavoli decisionali per la progettazione urbana e in quelli connessi alle politiche sociali territoriali. 
  • Favorire le associazioni e i comitati attraverso il finanziamento di una progettazione mirata alla rigenerazione (materiale e immateriale) dello spazio urbano. 

Lo strumento degli attraversamenti urbani, elemento innovativo rispetto alle attuali pratiche e ai  metodi di conoscenza dei luoghi su base partecipativa, si è confermato in grado di garantire, anche in  combinazioni con altre tecniche di indagine, una conoscenza approfondita e generativa dei territori in  vista della possibilità di percorsi collaborativi con le amministrazioni del territorio per una  riprogettazione e un miglioramento condivisi dello spazio urbano e delle forme dell’abitare.

Ferrara, le donne e la città
Ringrazia tutte le associazioni che hanno reso possibile questo lavoro partecipativo

 

Cover: Foto di Ezequiel Octaviano da Pixabay

Ferrara Film Corto Festival ‘Ambiente è Musica’ a Venezia 82

All’Italian Pavillon dell’Hotel Excelsior del Lido di Venezia, il compositore Andrea Guerra ha presentato il Premio intitolato al padre Tonino Guerra, presieduto da Laura Delli Colli e rese note le date della VI edizione di Luoghi dell’Anima Film Festival (LAFF), sotto la direzione artistica di Steve Della Casa.

Andrea Guerra, presidente del Museo Centro Studi Tonino Guerra, ha anche introdotto la collaborazione, iniziata nel 2024, con il Ferrara Film Corto Festival ‘Ambiente è Musica’ (FFCF), che proseguirà nella prossima edizione del LAFF, che si terrà dal 10 al 14 dicembre fra Santarcangelo di Romagna, Pennabilli e Rimini. In tale occasione, il FFCF presenterà una selezione dei propri corti dell’edizione corrente.

Si tratta di uno dei primi gemellaggi con altri festival nazionali e internazionali di prestigio che il FFCF presenterà alla sua VIII edizione, che si terrà nel centro storico della città estense dal 22 al 25 ottobre 2025, alla presenza di vari direttori artistici e di personalità del cinema, fra le quali lo stesso Andrea Guerra.

Il Premio “Tonino Guerra” presentato a Venezia sarà consegnato, tra il 15 e il 17 novembre, al regista russo Aleksandr Sokurov, che ha collaborato con Tonino Guerra nel documentario Elegia moscovita del 1987, diretto dallo stesso Sokurov dove Guerra appare come intervistato. Sokurov è presente quest’anno a Venezia con il film Director’s Diary.

Aleksandr Sokurov e Andrea Guerra, cortesia storyfinders

Presente in sala, Sokurov ha ricordato l’amicizia fra i due artisti, oltre che l’importanza del taccuino e del diario nel lavoro di regia cinematografica, agganciandosi al lavoro di riscoperta e digitalizzazione dei diari di Tonino, in corso.

“Avevo la sensazione di essere suo parente”, ricorda Sokurov in sala, “la sua arte era viva per questo motivo. Oggi nel mio diario scriverò: ho toccato la mano di Tonino Guerra e ne scoprirò il senso in divenire”.

Un omaggio a un grande fra i grandi.

Foto in evidenza Eugenio Squarcia, Direttore Artistico FFCF e Andrea Guerra, presidente Museo Centro Studi Tonino Guerra

La contemporaneità di Elio Pagliarani e dei suoi Epigrammi ferraresi

La contemporaneità di Elio Pagliarani e dei suoi Epigrammi ferraresi

 

Il 21 maggio del 1957 il poeta Elio Pagliarani (Viserba 1927-Roma 2012) pubblicò la seguente poesia:

È difficile amare in primavere

come questa che a Brera i contatori

Geiger denunciano carica di pioggia

radioattiva perché le hacca esplodono

nel Nevada in Siberia sul Pacifico

e angoscia collettiva sulla terra

non esplode in giustizia.

                                   Potrò amarti

dell’amore virile che mi tocca, e riempirti

se minaccia l’uomo

nel suo genere?

 

O trasferisco in pubblico stridore

che è solo nostro, anzi tuo e mio?

[Da Inventario privato, Veronelli, Milano 1959]

 

Sono versi questi che per la prima volta legavano il tema atomico della bomba hacca a quello amoroso: una chiara testimonianza della modernità  del poeta romagnolo. E sono versi, soprattutto quelli finali, che chiedono alla poesia (e dunque al poeta) quale debba essere il suo ruolo. Negli anni  della guerra fredda, dei test nucleari e del “miracolo economico” italiano, Elio Pagliarani grazie a una nuova presa di coscienza della funzione della poesia, istituiva la cosiddetta poesia-racconto.

Occorre ricordare che, praticamente nello stesso periodo, Gregory Corso, il poeta americano della beat generation, scrisse una vera e propria poesia d’amore alla Bomba con dei versi che  furono stesi sulla pagina in modo da assumere la forma di un fungo atomico.

Come i poeti beat in America, Pagliarani si distinguerà dunque, da questa parte del mondo occidentale, per lo sperimentalismo e per quelle tipiche proiezione verso il futuro (partendo dal passato) che in pratica servivano a sottolineare una rinnovata fiducia nell’atto poetico.

Oltre ai famosi poemetti o romanzi in versi, La Ragazza Carla e la Ballata di Rudi, che lo impegneranno lungo il corso della vita, le sue composizioni poetiche più significative (Lezione di fisica e Epigrammi ferraresi) rappresentano proprio il frutto di queste proiezioni  temporali che rendono la sua poesia contemporanea e la …contemporaneità, di fatto, poetica.

Il ruolo del poeta è sempre stato molto complicato e ambiguo soprattutto quando la pressione della realtà diventa più complessa, contraddittoria e violenta, come accadeva appunto in quegli anni. E forse proprio perché ci troviamo in un momento storico analogo a quello, oggi riusciamo a comprendere meglio quell’immaginario distopico già ipotizzato in quegli anni da uno dei padri fondatori della beat generation, William S. Burroughs II, che cominciò a vedere nell’identità e nel linguaggio veri e propri  virus per la nostra specie.

Cosicché tutte le grandi narrazioni di allora tradotte in linguaggio venivano di fatto falsificate, anzi, per così dire, infettate nell’essere affermate o negate, tramite questi virus.

E dunque, in un contesto così degenerato dal virus-parola, il poeta come aveva già compreso Pagliarini, è chiamato a dare o a restituire un vero significato al nostro “ essere umani” attraverso un’altra esposizione, un’altra negazione, un’altra denuncia che potessero andare oltre la semplificazione della narrazione e del racconto cronologico di UNA e UNA SOLA “infettata” verità. Ed ecco dunque circoscritto, in opposizione negativa, il ruolo della poeta e della poesia.

Come è stato ricordato «Pagliarani…è un precursore: fra i primi del Novecento, a innestare nel ramo della lirica la gemma della plurivocalità che conferisce ai suoi testi quell’inconfondibile impostazione epica e polifonica…».

La poesia e la figura del poeta vengono così messe al servizio di una “specifica” riduzione dell’io e di uno ricercato declino del poetese. Pagliarani riesce a fare questo regalando liricità  a un lessico mutuato  da altri settori disciplinari, mischiando linguaggio ‘alto’ e ‘basso’, lavorando sulla dimensione orale della poesia che si trasforma quasi in un agire poetico e, addirittura, in una sorta di interpretazione teatrale ( prima di qualunque  poetry slam!) fino alla identificazione con l’eretico Savonarola espressa nei suoi Epigrammi ferraresi (Piero Manni Editore, 1987)

In un tale nuovo (ma antico) registro Pagliarani con parole vibranti e con-temporanee – nel senso di possedere una “ubiquità temporale” – continua a denunciare l’abbrutimento  e la decadenza della società in cui viveva ( e nella quale SI continua a vivere contemporaneamente).

Anche in questa riscrittura che omaggia Savonarola ritornano sotto forma di una lingua inconsueta – quasi a intravederne l’antidoto stesso a quel virus – tutti i temi principali della sua poesia: la condanna della cupidigia e della sete di potere, l’indignazione per le offese riservate agli individui più deboli e vulnerabili; e si comincia a percepire, più netta di prima,  l’eventualità di una rivolta, l’istigazione alla disobbedienza civile.

La fine dell’ideologia diventa per il poeta una precisa poetica di negazione oppositiva, intesa come azione di estrema resistenza.

Il poeta non può fare altro che far reagire il linguaggio per spingere il lettore a interrogarsi, per aiutarlo a  uscire dagli automatismi epidemici del virus-parola che i mezzi di comunicazione di massa continuano a diffondere, e quasi utilizzando un approccio omeopatico, Pagliarani comincia a usare il virus-parola come vaccino.

Dal verso lungo, a fisarmonica, della Ballata di Rudi e di Lezioni di fisica, si passa così a un’espressione poetica breve e concisa degli Epigrammi ferraresi.

Si consideri che gli Epigrammi uscirono nella famosa epoca della “Milano da bere” quando una lenta e inesorabile restaurazione del sistema neoliberista si rinnovava nel fenomeno dello yuppismo e dell’ “edonismo reaganiano” a seguito delle acerbe e in parte sterili contestazioni del ’68. La società scivolava verso un torpore dal quale non si sarebbe più ripresa.

Al poeta deluso non rimaneva che affidarsi all’icasticità delle parole di Savonarola e grazie a queste costruire un discorso criptico. Se il verso lungo rappresentava lo svolgersi di un ragionamento ma anche il grado di diffusione di un’epidemia del virus-parola, gli epigrammi potevano costituire l’antidoto alla società contemporanea completamente indifferente alle ingiustizie che la attraversavano grazie al controllo dei mezzi di informazione e alle famose…”narrazioni”. Quante altre ne sono seguite a quella! Il virus-parola continua la sua azione epidemica.

Pagliarani stesso fornisce sibillinamente la chiave interpretativa della sua nuova operazione poetica: basta leggere con attenzione i suoi epigrammi e in particolare l’ultimo verso del secondo.

Resta sempre difficile, anche oggi, amare in primavere come questa e Pagliarani ci aiuta a capire come… guarire.

I

Nell’insipienza mia dico che mi bisogna parlare.

Costoro dicono che è beato chi ha roba.

Quelli sei con la mannaia in mano furono tutti angeli.

II

La profezia non è cosa naturale né procede da causa naturale;

la immaginano molti sgorgata da disposizione individua

con purga e salasso: quanto più un uomo ha purgato dai vizi

volontà e affetto delle cose al mondo

tanto meglio le cose future sa divinare.

Questo non è vero e mòstrasi: perché la profezia è stata data ancora alli cattivi

come fu Balaam huomo sceleratissimo.

Come è sera rompi il muro: non uscire dalla porta.

III

Onde la terra sempre per il suo appetito naturale va in giù

e l’amore è accidente.

IV

Fanciulli voi non avete fatto ogni cosa.

Lavate via il resto tutta questa quaresima.

Lavate via l’anatema: voi avete la maledizione in casa.

(Hanno tanta roba che vi affogano dentro).

V

Ma li miracoli terminano a cosa finita

come è illuminare un cieco, che termina alla luce

o resuscitare un morto, che termina alla vita.

 

[da Epigrammi ferraresi (1987)]

In copertina: Ferrara, Statua di Savonarola. particolare.

Per leggere gli articoli, i racconti e le poesie di Giuseppe Ferrara su Periscopio clicca sul nome dell’autore

Vite di carta /
Alma e l’identità difficile nell’ultimo romanzo di Federica Manzon

Vite di carta. Alma e l’identità difficile nell’ultimo romanzo di Federica Manzon

Ha vinto il Premio Campiello 2024 il romanzo sulla identità difficile che ha per titolo il nome della protagonista, Alma, e per spazio la città di Trieste. Ho appena finito di ascoltare un’intervista all’autrice, ho rimesso a fuoco i motivi narrativi e i temi del racconto, smettendo di ascoltare quando ho creduto che di modi della scrittura non si sarebbe parlato.

Non della terza persona in cui si esprime la voce narrante, una scelta su cui si fonda tutto il libro e me lo ha reso aspro da leggere all’inizio. La scrittura così intima fin dalle prime pagine non riuscivo ad assorbirla e a sentirla all’unisono con l’onniscienza del narratore.

Questo è un romanzo che guadagnerebbe in immediatezza se fosse raccontato dalla protagonista stessa, con lo spessore dei suoi ricordi e delle consapevolezze accumulati in trent’anni di lontananza da Trieste, la città in cui è nata e in cui ha vissuto fino a vent’anni una infanzia e una adolescenza inquiete.

Adottare il suo punto di vista non basta. Per di più, risultano ambigue certe parti in cui la voce narrante dice cose che il personaggio non sa eppure continua a usarne il registro intimo, asciutto e disposto alla verità, sfiorando il discorso indiretto libero.

Verrebbe spontaneo mettere le virgolette alle descrizioni degli stati d’animo così come ai riferimenti storici, credere che siano le parole di Alma nel suo parlare di se stessa e dei due mondi che le sono appartenuti di qua e di là dal confine tra Italia e Jugoslavia.

La conosciamo quando ha superato i cinquant’anni, è diventata una apprezzata giornalista e vive a Roma. Il libro contiene i tre giorni in cui torna a Trieste a ricevere l’eredità che morendo le ha lasciato il padre. Sono giorni in cui ripercorre strade e zone della città che hanno marchiato la sua infanzia, ma per prima ha voluto rivedere l’isola di Brioni, dove la portava suo padre e dove alla fine degli anni Settanta aveva conosciuto il maresciallo Tito, l’uomo sempre vestito di bianco.

Rivedere Trieste implica che Alma si volti verso il suo passato con uno sguardo orfico, dice bene Francesca Peligra nella sua recensione. L’esercizio della memoria, da cui si è tenuta lontana fuggendo a vivere a Roma trent’anni prima, si riattualizza con forza e le butta addosso le storie di famiglia, il rapporto particolare con la madre e soprattutto col padre, con la figura mai veramente esorcizzata di Vili.

Ricorda i nonni materni e la cura che le hanno prestato quando era bambina. Il loro era un mondo borghese venato di nostalgia per l’impero austroungarico, fondato su sicurezze ed eleganze di cui Alma non trovava traccia quando tornava a casa dalla madre. Lì trovava il disordine e l’inventiva con cui la mamma ribelle dedicava la vita di ogni giorno a curarsi dei matti, quelli liberati da Franco Basaglia, e ad aspettare il marito.

Alma lo aspetta come lei, è il padre indecifrabile e amato dei giri sull’isola di Brioni, delle presenze fugaci e delle ripartenze improvvise per tornare di là a lavorare per il maresciallo. Un giorno con lui è entrato nella casa caotica sul Carso anche Vili, un bambino in fuga da Belgrado che i genitori hanno voluto allontanare per salvarlo dalla guerra. Dalle guerre Jugoslave, per meglio dire. Quelle che vorticano attorno alla vita di Alma e agli altri a cui Alma vuole bene, senza che lei adolescente possa capirle.

Sono iniziati gli anni Novanta, gli anni del disfacimento della ex Jugoslavia nel dopo Tito. Il destino del padre ne è segnato, anche il percorso con cui Vili diventa uomo e lavora come fotografo di guerra oltre il confine prende la piega a cui lo ha condotto la Storia:  Alma, che pure vive di qua dai conflitti, dà consistenza alla propria vita adulta continuando a prescindere dalla presenza del padre e si avvia alla professione di giornalista.

Si stacca da Vili, amandolo ma non potendo più condividerne l’inquietudine. Finché si sono sentiti entrambi sradicati da abitudini e regole nel loro crescere nella casa sul Carso, finché si è trattato di sentirsi estranei in via esistenziale a una vita saldamente codificata ci hanno guadagnato la libertà di muoversi negli spazi della città.

Si sono mossi senza vincoli anche tra i suoi linguaggi e fra le lingue lasciate in eredità dal mondo asburgico e da quello slavo. Ma Vili ha dentro la smania di chi ha perso da bambino il proprio paese, è più dell’identità soggettiva quello che ha smarrito.

Vivendo a Roma Alma si è difesa per trent’anni da un di più di consapevolezza: “Tu non sai niente” è la frase che le hanno rivolto sia Vili che il padre nelle occasioni in cui lei ha cercato di definirli, di collocarli nello scacchiere dei popoli e dei posizionamenti politici.

Nei tre giorni che passa a Trieste ritrova Vili e gli oggetti-amuleto che le ha lasciato il padre. Riattualizza pezzi di passato che solo ora si fanno conoscere per quello che autenticamente hanno significato nella Geografia della Storia.

Nella intervista che ho ascoltato Federica Manzon dice di avere avuto in mente un personaggio, Alma, che stia lì a dimostrare quanto sia complessa, non univoca e non semplice, l’identità di cui siamo fatti. Aggiungo, come la si componga nel tempo, a volte anche dopo decenni lungo le linee tortuose della vita, come accade qui.

Nota bibliografica:

  • Federica Manzon, Alma, Feltrinelli, 2024

Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

“Voci e suoni da un’avventura leggendaria”:
dal 7 al 12 aprile al Centro Teatro Universitario di Ferrara

Lo spettacolo di Teatro Ragazzi “voci e suoni da un’avventura leggendaria” alla conclusione del progetto teatrale “Sguardi Diversi” 2024 – 2025.

Giunto alla conclusione la dodicesima edizione del progetto teatrale “Sguardi Diversi”, finanziato con i fondi regionali dei Piani di Zona, promosso dal Comune di Ferrara, Assessorato alle Politiche Giovanili e la collaborazione del Centro Teatro Universitario di Ferrara. Il percorso ha coinvolto gli alunni delle prime classi medie della scuola secondaria “T. Tasso” ed è stato condotto da Michalis Traitsis, regista e pedagogo teatrale di Balamòs Teatro.

Il progetto “Sguardi Diversi” si concluderà con cinque repliche dello spettacolo voci e suoni da un’avventura leggendariariservate alle scuole di Ferrara e Provincia e una replica riservata ai familiari e il pubblico adulto. Tutte le repliche si svolgeranno presso il Centro Teatro Universitario di Ferrara (via Savonarola 19).

Lo spettacolo di Teatro Ragazzi voci e suoni da un’avventura leggendaria è diretto da Michalis Traitsis con le musiche a cura di Martina Monti, ed è tratto dall’incredibile avventura di Odisseo e i suoi compagni all’isola dei Ciclopi. Eroiche avventure, miti e leggende senza tempo raccontate con leggerezza e ironia dagli allievi del laboratorio: Lena Abate, Ziyu Chen – Matthew, Ada Colombari, Pietro Gilioli, Claudia Grechi, Niccolò Grechi, Luca Pistone, Edwin Yesid Menegatti Fregnan.

il programma delle repliche:

Lunedì 7 Aprile, ore 10.15, Centro Teatro Universitario di Ferrara, scuole di Ferrara e provincia

Martedì 8 Aprile, ore 9.45, Centro Teatro Universitario di Ferrara, scuole di Ferrara e provincia

Giovedì 10 Aprile, ore 09.45, Centro Teatro Universitario di Ferrara, scuole di Ferrara e provincia

Venerdì 11 Aprile, ore 9.45, Centro Teatro Universitario di Ferrara, scuole di Ferrara e provincia

Sabato 12 Aprile, ore 17.00, Centro Teatro Universitario di Ferrara, replica per adulti e familiari

Il progetto di pedagogia teatrale di Balamòs Teatro attuato alla scuola secondaria “T. Tasso” di Ferrara a partire dall’anno scolastico 2013-2014, nonostante tutte le difficoltà che affronta il mondo della scuola oggi, rappresenta un’ottima opportunità di formazione attraverso le pratiche di laboratorio teatrale per le giovani generazioni.

L’anima della proposta è il desiderio di stare insieme, di raccontarsi più che mostrarsi, di mettersi alla prova, di navigare insieme per scoprirsi e scoprire altri orizzonti possibili, di affrontare insieme paure, giudizi, conflitti.

Con una metodologia che tende, attraverso stimoli precisi, a rendere ciascuno protagonista del proprio percorso, dei propri personaggi e delle proprie interpretazioni.

Con il regista che si propone come pedagogo teatrale, accompagnatore, facilitatore, disponibile a navigare con i ragazzi tra i moti calmi e ondosi del lavoro teatrale, tra scoperte e frustrazioni, tra le bonacce e tempeste della crescita.

Lo spettacolo voci e suoni da un’avventura leggendaria con gli alunni delle seconde classi medie della scuola “T. Tasso” di Ferrara e un gruppo di persone detenute, è stato presentato Giovedì 27 Marzo 2025 alla Casa Circondariale Santa Maria Maggiore di Venezia nell’ambito del progetto teatrale Passi Sospesi di Balamòs Teatro negli Istituti Penitenziari di Venezia e in occasione della Giornata Mondiale del Teatro (International Theatre Institute – Unesco) e la Giornata Nazionale di Teatro in Carcere (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Coordinamento Nazionale Teatro in Carcere).

Locandina voci e suoni da un’avventura leggendaria – Aprile 2025

programma di sala voci e suoni da un’avventura leggendaria – Ferrara – Aprile 2025

Vite di carta /
Anno 2025: quanta povertà

Vite di carta. Anno 2025: quanta povertà

Palazzo Naselli Crispi, sabato 5 Aprile: Monsignor Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, sta esponendo il recente Rapporto sulla povertà di Caritas Italiana e vengono i brividi a sentire certi numeri e a condividere le relative riflessioni. Il titolo del rapporto, Fili d’erba nelle crepe, mi pare indicativo dell’opera che svolge la Caritas a livello nazionale.

A fine mattinata alla Caritas Diocesana verrà assegnato il Premio Stampa 2025, a cura della Associazione Stampa Ferrara che celebra i 130 anni dalla fondazione.  Nel seminario che precede il momento della premiazione, intanto, viene posto al centro del dibattito cittadino il tema delicato delle vecchie e nuove povertà e il ruolo svolto dalla informazione.

Nel primo dei quattro interventi previsti tocca a Monsignor Perego fornire le cifre e fornirne una prima lettura critica: un dato nazionale vale per tutti e riguarda il numero record di famiglie, oltre due milioni e duecentomila, che vivono in condizioni di povertà assoluta.

Segue l’ intervento di Monsignor Massimo Manservigi sulla attività svolta dalla Caritas di Ferrara dalla sua fondazione nel 1973 a oggi, nel ricordo particolare di Don Paolo Valenti. Non poteva mancare, conoscendo le sue competenze in fatto di cinema, un bel video che mostra il lavoro quotidiano dei volontari.

Don Marco Pagniello, Direttore della Caritas Nazionale, presenta subito dopo l’importante progetto di microcredito della Caritas per il Giubileo, Mi fido di noi, in sostegno delle persone e delle famiglie in difficoltà.

Mi colpisce la coppia di parole esclusione finanziaria, ne afferro al volo la portata e la aggiungo alle altre di cui sto sentendo parlare nella galassia lessicale della povertà. Papa Francesco chiama “lavoro povero” quello che non garantisce di vivere decorosamente a un 8% di lavoratori.

Figuriamoci quanto debbano pesare gli altri elementi che determinano la povertà, intermittente o costante che sia. Assoluta o relativa. Associata a povertà culturale, a sfiducia e depressione, attaccata a una percentuale in paurosa crescita di bambini e di anziani soli, di stranieri, di persone che non hanno una dimora fissa o hanno condizioni abitative precarie.

Mentre ascolto l’intervento conclusivo del giornalista economico Matteo Nàccari e recepisco le difficoltà in cui si dibattono molti gruppi editoriali negli anni della intelligenza artificiale e sotto la pressione della informazione digitale, realizzo in quali termini anche la qualità dell’informazione vada preservata proprio perché non è esente da rischi. Povera la retribuzione riconosciuta ai precari, ma non solo; a rischio la qualità dei testi prodotti, tra il bisogno economico che impone di puntare sulla quantità e la concorrenza di testi standardizzati creati dalla I.A.

I miei due sogni, essere insegnante e giornalista, in quali mondi mi hanno cacciata. Letteratura mia, soccorrimi.

Riportami la voce atona di Génie la mattache mi arriva dal libro che ho letto in questi giorni. L’ha scritto Inès Cagnati, l’autrice francese di origine italiana morta nel 2007 di cui Adelphi ha recentemente pubblicato due romanzi, Génie nel 2022, Giorno di vacanza nel 2023 e nel 2024 la raccolta di racconti I pipistrelli.

Una scrittrice nata nel 1937 a Monclar, figlia di contadini immigrati dal Veneto nel sud ovest della Francia insieme a migliaia di altri italiani in fuga dalle persecuzioni fasciste e senza lo sbocco dell’America in seguito alle politiche migratorie transoceaniche restrittive.

Génie la matta è il suo secondo romanzo, uscito in Francia nel 1976 e solo da poco immesso nel panorama della narrativa italiana con la traduzione dal francese di Ena Marchi. Le recensioni che ho letto esprimono l’intensità dell’impatto.

Il libro ha una scrittura essenziale e scabra e racconta il dramma di una bambina: potrebbe chiamarsi Nedda, come la protagonista della celebre novella verghiana, e invece si chiama Marie. In una natura bellissima e spietata, Marie vive esclusa dal villaggio con sua madre Eugénie, che tutti chiamano Génie la matta.

Vittima di uno stupro, Génie è stata ripudiata dalla famiglia, “la migliore famiglia del paese”, dopo che ha dato alla luce la bambina concepita da quell’abuso. Vive con la piccola in una casupola sperduta e si chiude nell’isolamento e nel silenzio. “Non ho avuto niente, io” è ciò che ripete spesso Génie la sera, prima di coricarsi sfinita dalla giornata di lavoro nei campi. Nel microcosmo crudele del villaggio e delle fattorie attorno fatica dall’alba al tramonto per un po’ di cibo e qualche abito dismesso con cui nutre e ricopre sé stessa e la figlia.

Marie la ama visceralmente. La segue come può di giorno, quando non è a scuola. La aspetta di sera lungo il sentiero della casupola, costantemente terrorizzata di non vederla tornare. Una madre anaffettiva ma adorata è tutto quello che Marie possiede per attraversare l’infanzia.

Nella storia di entrambe, narrata pagina dopo pagina con lo stile segmentato di Inès Cagnati, con frasi ripetute e immagini che tornano ossessive, non c’è possibilità di riscatto. Nessuna via di fuga verso le felicità che potrebbero realizzarsi: avere la compagnia di un animale, trovare un compagno che conosce terre bellissime in cui andare a vivere, essere oggetto di amore in seno a una famiglia.

Per fortuna, la letteratura pare farsi più alta quando dà voce allo straniamento di lingua, cultura, classe sociale e genere, come è stato per Inès Cagnati da bambina. Quando trova le parole per accedere a squarci di verità e bellezza.

Nota bibliografica:

  • Inès Cagnati, Génie la matta, Adelphi, 2022
  • Inès Cagnati, Giorno di vacanza , Adelphi, 2023
  • Inès Cagnati, I pipistrelli, Adelphi, 2024

Cover: foto dell’autrice presenta i relatori del Seminario “Vecchie e nuove povertà: il ruolo dell’informazione” – Ferrara, Palazzo Naselli Crispi, 5 Aprile 2025. Da sinistra il moderatore Alberto Lazzarini, vice Presidente dell’Ordine dei giornalisti E.R., Matteo Nàccari, giornalista economico, Mons. Gian Carlo Perego, Don Marco Pagniello e Mons. Massimo Manservigi.

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Vite di carta /
“Avevamo studiato per l’aldilà…” di Eugenio Montale e altri segnali

Vite di carta. “Avevamo studiato per l’aldilà…” di Eugenio Montale e altri segnali

Stamattina mi trovo all’ufficio anagrafe, primo di una nutrita serie di altri uffici a cui rivolgermi, perché ho smarrito documento di identità e tessera sanitaria. In testa ho i pochi straordinari versi che Eugenio Montale ha dedicato alla moglie Drusilla, scomparsa qualche tempo prima, in una poesia della raccolta Xenia (1964 – 1966):“”Pregava?” “Sì, pregava Sant’Antonio/perché fa ritrovare/gli ombrelli smarriti e altri oggetti/del guardaroba di Sant’Ermete”./Per questo solo?” “Anche per i suoi morti/e per me”./”È sufficiente” disse il prete”.

Cara Drusilla Tanzi, dove sarà finita la piccola busta con i miei documenti. Eccomi qui a subire la trafila delle procedure che mi restituiranno i duplicati, grata tuttavia di poterli ottenere, veri ombrelli della identità sociale di cui ho necessità di riappropriarmi.

Sono con Montale in questo chiamare in causa l’aldilà di fronte ai momenti della vita di ogni giorno in cui occorre un supporto alla nostra sensibilità, una piccola spinta alla forza d’animo che abbiamo, ma che può vacillare nei continui labirinti della quotidianità.

Lo faccio anche oggi, sempre più convinta che le connessioni con l’aldiqua non vadano escluse. Da molti anni le sento e le legittimo.

Il 19 febbraio scorso assisto presso la sede della Fondazione ADO di Ferrara alla presentazione di Sordo “Muta”, il libro intenso che Roberta Marrelli ha scritto in ricordo della sorella Paola scomparsa in giovane età e a beneficio dei lettori che vogliano condividere la sua particolarissima esperienza comunicativa e la fiducia che la vita esiste anche nel dopo. Siamo al terzo incontro della Rassegna ADOttiamo un autore, alla sua prima promettente edizione presso il salotto accogliente della sede di Via Oriana fallaci. Mi emoziono, rifletto, parlo con l’autrice nel corso della conversazione del gruppo intervenuto all’incontro. Torno a casa con una sensazione di pace totale.

Mi ritorna in mente ora un altro testo da Xenia, in cui Montale esprime la reciprocità della comunicazione tra il qui e l’oltre: non rivolgiamoci solo noi ai nostri morti, concordiamo con loro una modalità per continuare a parlarci, contaminiamoci dell’altra dimensione.  “Avevamo studiato per l’aldilà/un fischio, un segno di riconoscimento./Mi provo a modularlo nella speranza/che tutti siamo già morti senza saperlo”. Quante volte ho lanciato e avvertito quel fischio verso e da un altrove che non riesco a sentire lontano. Sono i miei cari a condurmici.

Ho avvertito segnali, e li racconto a Roberta Marrelli dopo che lei ha aperto a noi la sua storia: suscitata dalle domande di Matteo Tosi che le è amico e attore come lei, ci ha appena detto del legame profondo con la sorella affetta da sordità ma forte di carattere e felice della vita. Arresa a un tumore che gliel’ha tolta a quarantacinque anni, ma capace di fare avvertire la sua presenza amorevole in più occasioni, dopo la sua scomparsa.

La reciprocità nel mandarsi segnali d’amore fa parte della storia che ha legato le due sorelle, un capitolo di questa storia viene semplicemente scritto dopo il 29 maggio 1995, giorno del funerale di Paola. La reciprocità si traduce, poi, narrativamente nell’alternarsi delle voci narranti: il corsivo restituisce le parole di Paola: sono racconti di vita, ricordi degli stretti legami familiari, rinforzi affettivi verso Romy-Roberta che nella pagina seguente prende di nuovo la parola per ricordare il vissuto che hanno condiviso. Una citazione per tutte da Paola: “Io ho avuto la fortuna di poter contare su di te per tutta la mia vita”.

Lo stesso che Montale riconosce a Drusilla quando scrive del “radar di pipistrello” con cui la moglie poteva riconoscere anche al buio gli imbecilli col loro “bla bla”, altro che miopia. Lei sì ci vedeva e si faceva bussola per il poeta nell’incedere dentro la vita.

Nei giorni e nei mesi che seguono la scomparsa di Paola accadono fatti che la razionalità spiega a modo suo, ma che per la sensibilità di Roberta Marrelli conducono a sentire la vicinanza della sorella e a crederci. Lo comprendo. Torno a casa sentendomi in cordata con lei e con chi ha modo di staccarsi dal logos per lasciar entrare dentro al proprio spazio-tempo i segnali di un oltre che non va escluso.

Nota bibliografica:

  • Roberta Marrelli, Sordo “muta”, Al.Ce.Editore, 2017
  • Eugenio Montale, Xenia (ultima sezione della raccolta Satura), in Montale. Tutte le poesie, Mondadori, 1990

Cover: tomba di Eugenio Montale e Drusilla Tanzi presso il cimitero di San Felice a Ema, su licenza wikimedia commons

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Vite di carta /
In treno con Giorgio Bassani

Vite di carta. In treno con Giorgio Bassani

È martedì 4 marzo 2025 e mentre le reti televisive ricordano che oggi Lucio Dalla compirebbe ottantadue anni mandando immagini di repertorio sulle note di 4 Marzo 1943,  avvio l’auto in direzione Ferrara per andare a ricordare al mio Liceo il giorno della nascita di Giorgio Bassani, avvenuta in questo stesso giorno nel 1916.

Accade ogni anno al Liceo Ariosto che nelle Giornate Bassani si raccolgano nell’atrio che porta il suo nome docenti, studiosi dell’opera bassaniana e classi di studenti che hanno lavorato nell’ambito scelto di volta in volta come campo di approfondimento sulla complessa opera dell’autore.

Ho ricevuto l’invito a partecipare a questa XXIII edizione che ha per titolo: “La cifra che risolva in un canto il mio grido” (Preludio, in rima e senza). Giorgio Bassani poeta (1945- 1982).  Non so contare da quanti anni la prof.ssa Monica Giori si occupi dell’iniziativa con impegno e competenza. Mentre sono in auto penso a Bassani che dal 1926 al 1934 è stato studente dell’Ariosto e dunque i ragazzi di oggi possono essere motivati a studiare uno di loro, che si è seduto sugli stessi banchi un po’ di anni fa. A me è successo di cominciare il ginnasio in questo Liceo più o meno quarant’anni dopo.

I saluti, al mio arrivo, sono di quelli che mi fanno sentire di essere tornata a casa. Non conosco questi nuovi ragazzi che espongono i loro lavori, proiettando immagini montate con sapienza tecnica. Leggono le poesie con una dizione a tratti imprecisa, ma con una disponibilità che emenda ogni loro fragilità nell’esprimersi.

Dalla prima fila in cui sono seduta scatto foto alle slide che vengono proiettate e uno di seguito all’altro ai tre relatori.  Il loro è stato un nome scritto sul pieghevole, fino a poco fa, un nome che mi ha fatto decidere di venire ad ascoltarli oggi. Bravi, bravissimi, sia le due ex colleghe che i due ex studenti tornati qui in veste di esperti. Ognuno con un punto di osservazione precipuo, lo sguardo della loro disciplina che è entrato in profondità nei testi di Bassani e anche nella vita.

Prendo appunti e mi assegno nuovi e vecchi testi da rivedere, percorsi di lettura che prendono forma da ciò che vedo e ascolto. Sono venuta qui per imparare ed eccomi accontentata.

Poi, al rientro a casa, ecco che si accende il filo luminoso del ricordo personale sugli anni della giovinezza che ho passato tra l’Ariosto a Ferrara e la facoltà di Lettere a Bologna. Apro “Un mirabile sogno”. L’apprendistato letterario di Giorgio Bassani, il bel saggio che la studiosa Rosy Cupo oggi mi ha donato e leggo la parte iniziale, la collego alla esposizione che ne ha fatto ai ragazzi e vado cercando…un treno.

Di tutto un mondo letterario e biografico, così bene esplorato nel volume, mi attrae salire con Bassani sul convoglio che lo portava ogni giorno da Ferrara a Bologna. Lui studente di Lettere dal 1935, io dal 1975 presso la stessa amata facoltà.

Dopo quarant’anni sono toccati in sorte anche a me i sedili di legno scomodi ma più igienici di quelli in cui capitava di sedere a volte, in un velluto rosso polveroso e pieno di macchie. I vagoni inclinati verso l’esterno alle fermate, per cui si saliva sentendo la spinta all’indietro e dopo lo sforzo di andare su si ammarava tra le gambe dei passeggeri seduti.

Al ritorno da Bologna la temperatura interna era gradevole nei mesi freddi ma rovente d’estate, le carrozze si riempivano velocemente di pendolari di ritorno da fabbriche e scuole e io guardavo fuori dal finestrino, chiusa nel mio posto con i libri sulle ginocchia e la borsa tenuta stretta.

Scendevo a Poggio Renatico, laddove Bassani ricorda che avveniva ogni mattina la prima fermata del suo treno diretto a Bologna. Ne parla ne Gli occhiali d’oro e ancora oggi non trovo lusinghiero il suo accenno ai “villani” che salivano alla stazione del mio paese.

Oggi l’amica Rosy Cupo ha segnalato che il primo racconto edito nel 1935 da Bassani, III classe, ricorda proprio gli spostamenti in treno di Bassani giovane matricola. Ritrovo tra le mie carte ora ingiallite quello che ho scritto nel giugno del 1979: “Ero in treno. Guardavo da sempre il colore del grano, oppure alberi. E ripensavo a quando, camminando con mio padre, portavo il naso in su annusando l’aria per aspirare il profumo dell’erba. E il contadino che l’aveva appena falciata arrotava la falce, senza guardare chi passava”.

Mi piace trovare le parole di Bassani così vicine alle mie, con colori e odori della natura che seguono la curvatura del giorno. In una delle poesie che hanno presentato gli studenti, Verso Ferrara, scrive: ” È a quest’ora che vanno per calde erbe infinite / verso Ferrara gli ultimi treni, con fischi lenti” e poi sente i profumi:” Dai finestrini aperti l’alcool delle marcite / entra un po’ a velare il lustro delle povere panche”.

Ma torniamo a III classe: parlano anche per me le considerazioni del giovane Bassani sui discorsi che sente fare ai vicini di posto, e anche lo sguardo ironico verso alcune macchiette dall’abbigliamento sgargiante o dalla voce querula. Scenette di vita quotidiana pronte a entrare nella penna, vera materia di vita da trasfigurare in parole esatte come stigmi.

Quando Cupo espone agli studenti un altro racconto giovanile, Caduta dell’amicizia, del 1937, emerge un altro tratto del mondo bassaniano che ritrovo in ciò che ho appuntato negli anni dell’università.

Nel parlare ai ragazzi lo definisce “vizio della memoria” e riprende un passo da Il Giardino dei Finzi Contini in cui Giorgio e Micol riconoscono di avere una sensibilità affine, in quel girare la testa all’indietro in cerca del passato.

Paola Bassani, che nella postfazione a “Un mirabile sogno” allarga lo sguardo alla poetica complessiva del padre, riconosce che nella fase giovanile: “Si vede insomma come Bassani…impronti nuove strade, si batta per una nuova letteratura, intimamente connessa alla realtà dell’oggi, aperta alla bruciante attualità, tutta vibrante di carica morale e di imperioso dovere della memoria”.

Correvo a casa a finire in famiglia il tempo rimasto. I nuovi gesti della sera mi facevano ricordare la giornata appena trascorsa e i suoi piccoli accadimenti. E proprio ripensandoli come passati me ne appropriavo veramente.

Null’altro che questo, il ritrovare nelle opere letterarie la sintonia con ciò che ero e sono mi conforta. Finché ho insegnato ho condiviso con i ragazzi il valore della memoria dentro la Storia, oggi ho ripercorso per un tratto la mia. Se tornare a scuola significa rileggere e rileggersi ho fatto bene ad avviare l’auto in direzione Ferrara.

Nota bibliografica:

  • Rosy Cupo, “Un mirabile sogno”. L’apprendistato letterario di Giorgio Bassani, Giorgio Pozzi Editore, 2021
  • Giorgio Bassani, Gli occhiali d’oro, Einaudi, 1958
  • Giorgio Bassani, Il Giardino dei Finzi Contini , Oscar Mondadori, 1980
  • Giorgio Bassani, III classe, in Racconti, diari, cronache (1935-1956) a cura di Piero Pieri, Feltrinelli, 2014
  • Giorgio Bassani, Caduta dell’amicizia, in Racconti, diari, cronache (1935-1956) a cura di Piero Pieri, Feltrinelli, 2014

La cover è dell’autrice e ritrae da sinistra le prof.sse Rosy Cupo e Silvana Onofri nell’Atrio Bassani del Liceo Ariosto (XXIII Giornata Bassani, 4 marzo 2025)

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20 marzo 2025: Ferrara Film Corto Festival ‘Ambiente è Musica’: and the winner is…

Giovedì 20 Marzo 2025, alle ore 20:30, Ferrara Film Corto Festival ‘Ambiente è Musica’ (FFCF) organizza una rassegna dei cortometraggi vincitori della sua VII edizione
presso la sala di  “Notorious Cinema The Experience” in via Darsena 73.

La collaborazione con “Notorious Cinema The Experience” è stata avviata lo scorso anno, all’insegna della sostenibilità ambientale e dell’inclusione sociale.

Un’occasione per chi non ha potuto partecipare alla scorsa edizione.

Apertura porte alle ore 20:00, ingresso a entrata libera.

Per iscriversi: https://www.ferrarafilmcorto.it/event-details/and-the-winner-is-20-marzo-2025 

I titoli in programma:

  • “It takes a village“, di Ophelia Harutyunyan, Vincitore delle categorie “Ambiente è Musica” e “Miglior attrice”
  • “Vision d’été”, di Anna Crotti, Lucrezia Giorgi e Anaïs Landriscina, Vincitore della categoria “Buona la Prima”
  • “Tu Quoque”, di Luca Fattori Giombi, Vincitore della categoria “Indieverso”
  • “Home”, di Valerio Armati e Nina Baratta, Vincitore del premio “Miglior documentario”
  • “Benzina”, di Daniel Daquino, Vincitore del premio “Miglior attore”
  • “Trinidad”, di José Manuel Azuela Espinosa e José Azuel, Vincitore del premio “Migliore fotografia”
  • “DR. VAJE“, di Carmelo Raneri, Vincitore del premio speciale “#CLIMATECHANGE”
  • “The one note man”, di George Siougas, Vincitore del premio speciale “Musica Indie”

It takes a Village – Armenia, durata 23’

Sinossi: Mariam vive in un remoto villaggio armeno senza uomini. Il giorno del suo compleanno le speranze di riunirsi col marito per i festeggiamenti vanno in frantumi.

Ophelia Harutyunyan. Regista armena basara a New York, con Alex Gibney e Suzanne Hillinger, ha recentemente diretto e prodotto “Totally Under Control” (NEON). Produce inoltre “Crazy, Not Insane” (HBO), presentato in anteprima al Festival del Cinema di Venezia, e “Red Apples” (OUAT Media), presentato in anteprima al T.I.F.F.. È alunna della Berlinale Talents e i suoi film sono stati proiettati in numerosi festival come Sundance, SXSW, IDFA, AFI, Clermont Ferrand ecc.

Vision d’été – Italia, durata 20’

Sinossi: Chi siamo noi essere umani e come ci rapportiamo alla Natura? Abbiamo un’educazione innata nei confronti della Terra?

Nel mezzo di un’estate torrida, in cui una volta di più il cambiamento climatico appare in tutta la sua inarrestabile potenza, la protagonista, una giovane francese, chiama sua madre confidandole, in maniera concitata, di sentirsi stritolata dall’atmosfera cittadina e dalla crescente gentrificazione del territorio su cui sorge la sua città natale, Marsiglia. È l’inizio di un viaggio, di una fuga che non troverà risposte ma solo altre domande.

Anna Crotti. Nata a Bergamo nel 1998, si laurea in Informazione e Sistemi Editoriali con tesi “Il riutilizzo delle immagini del passato nel cinema d’autore italiano contemporaneo” e in Scienze Sociali con tesi “Il documentario come strumento di ricerca antropologica”. È selezionata per la terza edizione del programma  di mentoring “Becoming Maestre”, organizzato dall’Accademia dei David di Donatello e da Netflix, nella sezione montaggio.

Lucrezia Giorgi. Nata nel 1994, dopo la laurea in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali presso l’Università di Bologna con un focus in African Studies, consegue il Master in Arti del Racconto: Letteratura, Cinema, Televisione dello IULM di Milano. I suoi grandi amori sono la Letteratura e il Cinema che cerca sempre di far coesistere nelle sue creazioni. Lavora in editoria.

Anais Landriscina. Nata a Milano nel 1999, si laurea in Scenografia Arti Drammatiche e Performative alla Libera Accademia di Bella Arti di Brescia. La sua continua ricerca interiore la riporta sempre a un canale preciso, quello dell’immagine. La comunicazione visiva ai suoi occhi rende reale e comprensibile anche ciò che può essere astratto. Attualmente lavora come fotografa e videomaker.

Tu Quoque – Italia, durata 11’

Sinossi: È trascorso molto tempo dall’ultima volta che ha visto sua sorella Sarah, ma Abdel non può più aspettare, deve parlare con lei. Ne scaturirà un incontro che segnerà in maniera irreversibile la dimensione più profonda del loro rapporto.

Luca Fattori Giombi. Nato a Fano, dopo la laurea in Comunicazione Pubblicitaria presso l’università di Urbino “Carlo Bo”, frequenta corsi di sceneggiatura e produzione e, successivamente, inizia un percorso di collaborazione con alcune produzioni indipendenti, lavorando nel comparto creativo come redattore testi. In tale contesto si inserisce la partnership con Eclettica e Guasco Cinema, che sfocia nella produzione del suo cortometraggio “Il battito che sento” (2016), distribuito in diversi festival di settore. Scrive il documentario “Nouvelle Noire” e realizza “Tu quoque”, cortometraggio prodotto da Combo Cooperativa e Black Cut, completato nel 2023.

Home – Italia, durata 17’

Sinossi: Un palazzo occupato: 60 stanze, 70 famiglie, 50 bambini. Due registi: Valerio che ha 9 anni e Nina che ne ha 39. Due autori con in comune una grande sensibilità si uniscono per documentare una realtà delicata e complessa, per raccontare cosa significa vivere in occupazione. Le interviste agli abitanti, attraverso risposte fatte di numeri cercano di portare ordine nello spazio sconosciuto dell’occupazione mentre i tableau vivant mostrano cristallizzata la realtà di quei luoghi, lasciando a chi guarda il tempo per respirarli e farli propri. Un percorso immersivo che oscilla tra la fantasia e la realtà, e che porta dentro questo mondo spesso distante e strumentalizzato in modo semplice e diretto, senza retorica.

Valerio Armati. Di soli 11 anni, vive a Tor Marancia, Roma, e frequenta la quarta elementare. Nel 2022, partecipa al Moscerine Film Festival con il cortometraggio “Buchi Neri” e vince i premi come Miglior Film e Miglior Idea Originale. Nel 2022 inizia anche le riprese del corto-documentario “HOME” con la regista Nina Baratta.

Nina Baratta. Inizia fin dai 14 anni a realizzare documentari e cortometraggi. Continua il suo percorso artistico realizzando documentari e reportage su tematiche sociali, approfondendo in particolare la figura della donna e della maternità. Nel 2020, fonda il collettivo “Tutte a casa” con 16 donne professioniste del mondo dello spettacolo, con cui realizza il film documetario “Tutte a casa – memorie digitali da un mondo sospeso”, andato in onda a marzo 2021 su La7 e La7d. Nel 2022 dà vita al Moscerine Film Festival, realizzato e dedicato ai bambini di 0/12 anni. Nel 2022, fonda la società di produzione cinematografica “Tadàn Produzioni”.

Benzina – Italia, durata 20’

Sinossi: Vincenzo gestisce un distributore di benzina su una strada provinciale. Soffre di un disturbo ossessivo compulsivo che rende la sua vita piena di gesti e rituali maniacalmente ordinati. Passano le ore, le canzoni allo stereo, le macchine e gli scherzi di due ragazzini. Solo una donna sembra accorgersi di Vincenzo e accendere in lui qualcosa che lo fa reagire in modo inaspettato.

Daniel Daquino. Scrive sceneggiature, dirige documentari, cortometraggi e videoclip musicali. Nel 2015, dirige “Neve Rosso Sangue”, un mediometraggio di fiction che ricostruisce l’eccidio di nove partigiani garibaldini nel marzo ’45 in Valle Varaita. Suona la batteria con i Cani Sciorri e condivide il palco con band nazionali e internazionali. Nel maggio 2019 registrano il nuovo disco a Los Angeles a cui segue il primo tour negli USA con i texani We Are The Asteroids.

Trinidad – Messico, durata 11’

Sinossi: Ambientato negli anni Cinquanta, questo western messicano racconta la storia di tre bambini che, desiderosi di conservare il ricordo del nonno, ne rubano le ceneri dal cimitero.

Jos Azuela. Creatore multidisciplinare influenzato dal realismo magico e dal surrealismo. Ha vinto premi nazionali e internazionali in concorsi d’arte e festival di cinema e animazione.

José Manuel Azuela Espinosa. Regista specializzato nella scrittura e nella narrazione di storie della campagna messicana, il suo cortometraggio “Aguero” è stato premiato nel 2018, tra gli altri, al GIFF, al FICMA e al Mexico City Independent Film Festival.

DR.Vaje – Italia, durata 20’

Sinossi: In un barrio marginale dell’Avana, vive e lavora “Dr. Vaje” un filosofo-calzolaio che dona nuova vita a scarpe oramai logore, nel rispetto della Madre Terra.

Carmelo Raneri. Classe 1965, si Laurea in Scienze Politiche (indirizzo politico-internazionale) presso l’Università La Sapienza di Roma, nell’anno accademico 1993-94. Dal 2002 ha collaborato con diverse testate televisive in qualità di redattore; nel 2003 è stato tra i fondatori della società di produzione TRX1 che si occupa di tematiche sociali; Dal 2004 al 2009, ha realizzato vari lavori di documentazione video, clip musicali, e documentari, in qualità di regista ed editor.

The one note man – Regno Unito, durata 22’

Sinossi: Un musicista vive una vita premurosa. Ogni giorno è esattamente come il successivo, proprio come piace a lui. Un giorno, però, la sfortuna e il destino si scontrano, interrompendo la sua routine e sconvolgendo il suo mondo per sempre.

George Siougas. Originario di Atene, si trasferisce nel Regno Unito per studiare alla London Film School, dove realizza 5 cortometraggi che partecipano a oltre 70 festival in tutto il mondo. Torna in Grecia nel 2002 per dirigere “Close Your Eyes”, serie che diventa una delle più popolari nella storia della TV greca e che vince 5 premi agli Hellenic TV Awards del 2003. Burning Heads (alias “To Gala”), il suo lungometraggio d’esordio, è del 2012. Viene nominato a 11 premi dalla Hellenic Film Academy, incluso quello per il miglior regista. Nel 2012, George e la sua famiglia si trasferiscono a Cipro, dove nei quattro anni successivi dirige numerose serie televisive. Nel 2015 torna nel Regno Unito, dove si afferma come regista.

Vite di carta /
“Un loden senza inverno” di Roberto Dall’Olio

Vite di carta. Un loden senza inverno di Roberto Dall’Olio

Chi vorrebbe indossare un loden, pur bello e di qualità, che non è della sua misura esatta? Aprire l’anta dell’armadio e preferirlo all’altro più nuovo e calibrato sulla propria figura. Lo vuole il figlio, se, come accade in questa recente raccolta di Roberto Dall’Olio, autore storico di Periscopio con oltre 300 poesie pubblicate e tra i fondatori del sodalizio poetico Ultimo Rosso. Questo loden racchiude in sé la memoria del proprio padre, il “babbo” che dopo la morte attraversa liricamente le oltre cento poesie del libro.

Sono tante le cose che vorremmo sentir dire a Roberto nel corso della presentazione che stiamo per iniziare alla Biblioteca Popolare Giardino. È l’ultimo giorno di gennaio e a quest’ora fuori si è fatto buio. Quando si apre la porta gli amici che entrano a piccoli gruppi sono delle epifanie. Li riconosciamo e ci avviciniamo per salutarli. Per Maria Calabrese e per me, che abbiamo pronta una scaletta con le domande, l’emozione, anziché lasciarsi addomesticare, si fa più densa.

Con questo comincia il ciclo di cinque incontri poetici alla BPG il cui titolo, Quando tace il rumore della folla, allude alla poesia come silenzio e in silenzio la sala strapiena ascolta la presentazione che faccio delle numerose pubblicazioni che Roberto ha al suo attivo.

Poi Maria cala dentro a Un loden senza inverno, dentro il forte sentimento di bene che lega figlio e padre e le tante modulazioni con cui trascolora pagina dopo pagina.  Lì la seguo a mia volta per aggirarmi tra temi, nomi, oggetti, percorsi che il figlio compie dentro il ricordo del padre Orfeo e ne riemerge con uno sguardo rinnovato sul sé.

Che dire di una raccolta così intima in presenza dell’autore e di amici. A noi che la presentiamo piace dare conto della comunicazione intercorsa tra il poeta e chi non è più, indagare sulle parole che ridisegnano il vissuto col padre e il presente senza di lui. Maria legge alcuni testi, ne ricava i luoghi attraversati insieme dal padre e dal figlio, il DNA familiare che ha legato Roberto al “babbo” e a “mia mamma”.

L’amico Alberto Poggi si unisce al dialogo con la sua chitarra e con la voce e allarga gli spazi dell’immaginario che condividiamo qui stasera.

Mi inserisco e vado dentro ai testi in cui compaiono le foto scattate da Orfeo con competenza e passione, a Roberto fa piacere ricordare che suo padre è stato allievo del medicinese Enrico Pasquali, uno dei fotografi più importanti del neorealismo italiano.

Respiro e raggiungo la poesia dedicata alla “bici”, è lì che voglio arrivare per ricordare anche il mio di padre. So che i presenti possono perdonare questa incursione nella mia perdita personale perché, nel momento in cui delego alla scrittura poetica di Roberto l’espressione della mia malinconia per le infinite pedalate della giovinezza, sento che posso farlo anche a nome di tutti. Glielo dico: la tua poesia parla sul mondo anche per me.

Che sia questo il senso più largo della poesia confessionale a cui aderisce la poesia di Roberto? Fa i nomi di Robert Lowell e Anne Sexton, poeti del pieno Novecento statunitense che ora andrò a leggere.

Maria intanto legge passi da alcuni testi in cui sono evidenti i caratteri della poesia civile a cui si è votata a lungo la scrittura di Roberto. Basti ricordare Irma, il libro dedicato alla lotta che Irma Bandiera ha condotto da partigiana contro il Male assoluto, oppure La Storia insegna, il poema storico-civile abitato tra le altre dalla figura di Antonio Gramsci.

Ci piacerebbe leggere di più, aggiungere riferimenti alle altre raccolte. Maria ritrova una poesia dedicata a Bologna anche in Se tu fossi una città, il brillante volume uscito nel 2019.

Mi sono distratta: sto seguendo un’intuizione che mi è nata da quella nota di poetica sulla poesia confessionale. Non sarà che anche la narrativa, intima e insieme universale, con cui stanno emergendo nel panorama letterario italiano scrittrici come Maria Grazia Calandrone e Claudia Durastanti si può definire narrativa confessionale ?

Eccomi di nuovo dentro ai testi del Loden per porre l’accento sulla forma, do esempi di quei grumi lessicali che hanno emozionato Maria e me, veri scudisci che spiazzano chi legge, specie se posti alla fine del testo: “A volte/è proprio difficile/accettare il passaggio/Accettare/Ha un che/di spaccare/Forse non a caso/Causa/Un dolore bianco/Primitivo/Senza/pausa

“Ma li terrò/Tutti i dischi/Di quell’America/Che era nei tuoi scaffali/E diventò patrimonio/Del mio UNESCO/La mia giovinezza/La mia vita”.

Anche riscritti così di seguito, i versi mostrano la loro brevità, il testo che li aggrega è affusolato come una stalattite di parole che colano verso il basso chiamate da una legge interna di gravità. Nel commentare Tutto brucia tranne i fiori, l’opera dedicata alla storia passionale e intellettuale di Abelardo ed Eloisa, il grande critico Andrea Battistini riconosce a Roberto “un modernissimo stile franto, con versicoli perfino monosillabici…a inseguire un flusso di coscienza senza punteggiatura che perfino nel perseguire il monologo interiore è sempre rivolto a un interlocutore, a un “tu” poetico che esclude la solitudine”.

Da sinistra Alberto Poggi, Roberta Barbieri, l’autore e Maria Calabrese

Gli chiediamo se nel Loden la comunicazione col padre, dando espressione e voce al dolore, lo ha potuto emendare.

In parte, risponde. Ma il discorso sarebbe lungo.

La ricchezza poetica dei testi di Roberto è una cattiva bussola che quasi non ce ne ha fatti accorgere, ma l’orologio segna l’ora in cui dobbiamo concludere questo incontro a più voci.

Il resto lo fa l’amicizia, e insieme andiamo fuori a ritrovare l’inverno.

Nota bibliografica:

  • Roberto Dall’Olio, Un loden senza inverno, Pendragon, 2024
  • Roberto Dall’Olio, Se tu fossi una città, L’Arcolaio, 2019
  • Roberto Dall’Olio, La Storia insegna. Poema storico-civile, Pendragon, 2007
  • Roberto Dall’Olio, Irma, L’Arcolaio, 2017
  • Roberto Dall’Olio, Tutto brucia tranne i fiori, Moretti e Vitali, 2015

Cover e immagini nel testo fornite dalla Biblioteca Popolare Giardino

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Il mio Delta
l’avventura di un fotografo verso la foce

Il mio Delta:
l’avventura di un fotografo verso la foce

“… le cose sono là che navigano nella luce, escono dal vuoto per aver luogo ai nostri occhi. Noi siamo implicati nel loro apparire e scomparire, quasi che fossimo qui proprio per questo”
Gianni Celati (1989)

Il mio Delta
Sacca di Scardovari
Valli di Comacchio, Argine Agosta
Valli, Scardovari

Da sempre  sono innamorato dei nostri paesaggi padani e in particolare della vita nel delta del Po.

Mi è sempre piaciuto raffigurarli,  trasmettere con la pittura ad olio o con la fotografia queste nostre meraviglie naturali. L’attrazione per quella Terra & Acqua era forte, prendevo l’auto e andavo verso la foce, in estate e in inverno, all’alba o al tramonto. Non riesco a contare le volte in cui mi sono trovato a faccia a faccia con il Fiume, la valli, gli uccelli, i pescatori. Arrivavo in posizione e scattavo fotografie naturalistiche, i primi anni con fotocamere analogiche, per poi a casa riprodurre le inquadrature  sulla tela con colori e pennelli. Ultimamente con l’avvento del digitale, ho abbandonato un po’ la pittura per concentrarmi sul linguaggio della fotografia.

frammento d'amore
Faro di Goro (Ferrara) – Foto di Valerio Pazzi,
Valli di Comacchio, Casone
COMACCHIO, BILANCIONI

 

Oggi come ieri, appena posso imbraccio la fotocamera e parto per nuove avventure verso il nostro Delta e le Valli. Valli vissute spesso in prima persona, anche a bordo del mio kajak, a Scardovari, Goro, Volano … In kajak, per ovvie ragioni, era impossibile portare con me una fotocamera, sono quindi esperienze non espresse in pixel ma impresse per sempre nella mia memoria.

Non si finisce mai di scoprire il Delta: un luogo sconosciuto, una nuova luce, un cielo diverso, uno stormo di Cavalieri d’oro. E soprattutto, se avete l’accortezza di andarci in solitudine, di vivere la bellezza e la pace di una natura ancora incontaminata.

Spero che il mio reportage riesca a trasmettere almeno un po’ di questa grande bellezza..

Valli di Comacchio, Boscoforte

 

In copertina: Valli di Comacchio al tramonto. tutte le foto sono di  Valerio Pazzi

Altre parole per la ricerca   su Periscopio: Delta; Valli di ComacchioGianni Celati

Per vedere tutto il reportage di Valerio Pazzi è sufficiente scorrere in basso la homemage di Periscopio.

Vite di carta
“Se il cielo fosse femmina” e gli alberi fossero blu

Vite di carta. Se il cielo fosse femmina e gli alberi fossero blu

Può accadere, e accade martedì 21 gennaio in una sala dipinta a colori accesi, con alberi dal tronco blu e col fogliame verde tenero. Quando entriamo le classi coinvolte nell’incontro di oggi – quarta V, quinta B, quinta S – hanno già occupato le sedie disponibili e aspettano che la presentazione del romanzo Se il cielo fosse femmina di Anna Chiara Venturini abbia inizio. L’autrice è arrivata, so che come mi è già accaduto di vedere presenterà da sé il proprio libro, suscitando una conversazione partecipata con i ragazzi.

Pochi minuti per i saluti con la Dirigente e con le docenti referenti per l’evento: in fondo oggi ci accade di ritrovarci in una ulteriore occasione di scambio e di condivisione. Dall’anno scolastico 2022-23 la Associazione degli Amici della Biblioteca Ariostea sostiene le attività legate alle lettura all’interno dell’Istituto Einaudi.

La presidente Paola Zanardi e noi che rappresentiamo il Direttivo ricordiamo con soddisfazione di essere state qui nello scorso ottobre a incontrare il Gruppo di lettura Gli occhi di minerva e a inaugurare la Biblioteca Scolastica finalmente allestita in una delle aule dopo un intenso lavoro da parte di docenti e studenti volontari che hanno realizzato magnifiche decorazioni floreali alle pareti.

Dalla prima fila dove prendiamo posto vediamo bene l’autrice anche nella mimica del volto, gli studenti alle nostre spalle sono in silenzio. La sentiamo raccontare come le è nata l’idea di scrivere una storia tutta ferrarese ambientata nella Certosa, spiegare che si tratta di un luogo straordinario per bellezza e quiete. Cercare nei ragazzi le domande che vengono più spontanee, a fronte di una scelta narrativa così: dove Cecilia, la protagonista, impara a convivere con il dolore della perdita più struggente e insieme prova un giorno dopo l’altro a rinascere.

Gli studenti che hanno dialogato con l’autrice insieme alla prof. Giarratana

I ragazzi intervengono: molti di loro hanno letto il libro e sanno essere precisi nel porre le domande. Prima di tutto il titolo: perché Se il cielo fosse femmina? Perché anche il cielo può essere rovesciato, può esserlo la vita che si trasforma in morte prematura e improvvisa. Cecilia nello stesso giorno ha perduto la bimba che portava in grembo, Celeste, e il suo compagno. Per lunghi mesi le riesce impossibile vivere, finché lavorando dentro il cimitero monumentale della Certosa impara a tessere di nuovo relazioni autentiche con gli altri: con gli addetti al restauro delle opere d’arte e con il Direttore del complesso, con alcune visitatrici del luogo che come lei portano lì il loro dolore ma anche segnali di vita.

Il cielo che può diventare femmina contiene una ipotesi di rinascita, così come una morte, la morte, può lasciare il posto alla vita. Nelle forme a cui Cecilia è più sensibile: con il restauro delle vetrate più belle, con il fiorire di tulipani che ha piantato nel prato dei bambini insieme a Lea, la Signora Velata che come lei ha perduto la sua bambina.

Vengono lette alcune parti del romanzo, emergono altre figure che ci raccontano storie altrettanto inusuali. Anche Rosalinda è una frequentatrice della Certosa e riempie i vialetti e i prati della sua eleganza leggiadra e della sua solitudine. Rosalinda la addolcisce con il suo essere fedele alla bellezza, confeziona abiti preziosi prendendo come modello le statue di certe cappelle e poi torna lì a esibirli.

Anna Chiara Venturini sa bene come stare insieme ai ragazzi intorno a un libro: ammette di avere trovato l’ispirazione per il personaggio di Rosalinda in una figura di donna incontrata nella sua giovinezza. Racconta di avere passeggiato in una luminosa mattina d’estate nei vialetti della Certosa e di avere avuto la prima idea di questo libro. Ma sa anche esplorare le parti rielaborate dalla sua penna, fa riflettere sul valore del silenzio come segno di pace interiore, sul rispetto verso chi non è più e su tutti i gesti d’amore.

Non può che raccomandare il valore della memoria, che è radice dentro Cecilia e dentro la storia di tutti.

Alla fine consiglia ai ragazzi di fare visita alla Certosa, e di sedersi magari sotto uno dei porticati che abbracciano lo spazio davanti a San Cristoforo. Aprire un libro ed entrare in un raccoglimento che può portare quiete e adesione a se stessi.

I ragazzi la sorprendono. Lei non può vedere le locandine che hanno preparato per l’incontro, sono affisse al tavolo da cui parla e sono rivolte verso il pubblico. Sono bellissime. In basso, sotto alla foto di lei e del suo libro ritratto in un prato di margherite, c’è una foto più grande. Sotto il porticato in ombra, con il sole che intanto inonda il prato e gli alberi davanti alla Chiesa, siede una ragazza: ha lasciato lì accanto la borsa, ha disteso le gambe e si è messa a leggere un libro.

Nota bibliografica:

  • Anna Chiara Venturini, Se il cielo fosse femmina, Giovane Holden Edizioni, 2024

Cover: la platea degli studenti e sullo sfondo la dirigente Marianna Fornasiero mentre saluta l’autrice insieme alle docenti Carmen Ada Giarratana e Roberta Runza

Immagini della copertina e nel testo fornite dall’Istituto Einaudi

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