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Vite di carta /
“Un loden senza inverno” di Roberto Dall’Olio

Vite di carta. Un loden senza inverno di Roberto Dall’Olio

Chi vorrebbe indossare un loden, pur bello e di qualità, che non è della sua misura esatta? Aprire l’anta dell’armadio e preferirlo all’altro più nuovo e calibrato sulla propria figura. Lo vuole il figlio, se, come accade in questa recente raccolta di Roberto Dall’Olio, autore storico di Periscopio con oltre 300 poesie pubblicate e tra i fondatori del sodalizio poetico Ultimo Rosso. Questo loden racchiude in sé la memoria del proprio padre, il “babbo” che dopo la morte attraversa liricamente le oltre cento poesie del libro.

Sono tante le cose che vorremmo sentir dire a Roberto nel corso della presentazione che stiamo per iniziare alla Biblioteca Popolare Giardino. È l’ultimo giorno di gennaio e a quest’ora fuori si è fatto buio. Quando si apre la porta gli amici che entrano a piccoli gruppi sono delle epifanie. Li riconosciamo e ci avviciniamo per salutarli. Per Maria Calabrese e per me, che abbiamo pronta una scaletta con le domande, l’emozione, anziché lasciarsi addomesticare, si fa più densa.

Con questo comincia il ciclo di cinque incontri poetici alla BPG il cui titolo, Quando tace il rumore della folla, allude alla poesia come silenzio e in silenzio la sala strapiena ascolta la presentazione che faccio delle numerose pubblicazioni che Roberto ha al suo attivo.

Poi Maria cala dentro a Un loden senza inverno, dentro il forte sentimento di bene che lega figlio e padre e le tante modulazioni con cui trascolora pagina dopo pagina.  Lì la seguo a mia volta per aggirarmi tra temi, nomi, oggetti, percorsi che il figlio compie dentro il ricordo del padre Orfeo e ne riemerge con uno sguardo rinnovato sul sé.

Che dire di una raccolta così intima in presenza dell’autore e di amici. A noi che la presentiamo piace dare conto della comunicazione intercorsa tra il poeta e chi non è più, indagare sulle parole che ridisegnano il vissuto col padre e il presente senza di lui. Maria legge alcuni testi, ne ricava i luoghi attraversati insieme dal padre e dal figlio, il DNA familiare che ha legato Roberto al “babbo” e a “mia mamma”.

L’amico Alberto Poggi si unisce al dialogo con la sua chitarra e con la voce e allarga gli spazi dell’immaginario che condividiamo qui stasera.

Mi inserisco e vado dentro ai testi in cui compaiono le foto scattate da Orfeo con competenza e passione, a Roberto fa piacere ricordare che suo padre è stato allievo del medicinese Enrico Pasquali, uno dei fotografi più importanti del neorealismo italiano.

Respiro e raggiungo la poesia dedicata alla “bici”, è lì che voglio arrivare per ricordare anche il mio di padre. So che i presenti possono perdonare questa incursione nella mia perdita personale perché, nel momento in cui delego alla scrittura poetica di Roberto l’espressione della mia malinconia per le infinite pedalate della giovinezza, sento che posso farlo anche a nome di tutti. Glielo dico: la tua poesia parla sul mondo anche per me.

Che sia questo il senso più largo della poesia confessionale a cui aderisce la poesia di Roberto? Fa i nomi di Robert Lowell e Anne Sexton, poeti del pieno Novecento statunitense che ora andrò a leggere.

Maria intanto legge passi da alcuni testi in cui sono evidenti i caratteri della poesia civile a cui si è votata a lungo la scrittura di Roberto. Basti ricordare Irma, il libro dedicato alla lotta che Irma Bandiera ha condotto da partigiana contro il Male assoluto, oppure La Storia insegna, il poema storico-civile abitato tra le altre dalla figura di Antonio Gramsci.

Ci piacerebbe leggere di più, aggiungere riferimenti alle altre raccolte. Maria ritrova una poesia dedicata a Bologna anche in Se tu fossi una città, il brillante volume uscito nel 2019.

Mi sono distratta: sto seguendo un’intuizione che mi è nata da quella nota di poetica sulla poesia confessionale. Non sarà che anche la narrativa, intima e insieme universale, con cui stanno emergendo nel panorama letterario italiano scrittrici come Maria Grazia Calandrone e Claudia Durastanti si può definire narrativa confessionale ?

Eccomi di nuovo dentro ai testi del Loden per porre l’accento sulla forma, do esempi di quei grumi lessicali che hanno emozionato Maria e me, veri scudisci che spiazzano chi legge, specie se posti alla fine del testo: “A volte/è proprio difficile/accettare il passaggio/Accettare/Ha un che/di spaccare/Forse non a caso/Causa/Un dolore bianco/Primitivo/Senza/pausa

“Ma li terrò/Tutti i dischi/Di quell’America/Che era nei tuoi scaffali/E diventò patrimonio/Del mio UNESCO/La mia giovinezza/La mia vita”.

Anche riscritti così di seguito, i versi mostrano la loro brevità, il testo che li aggrega è affusolato come una stalattite di parole che colano verso il basso chiamate da una legge interna di gravità. Nel commentare Tutto brucia tranne i fiori, l’opera dedicata alla storia passionale e intellettuale di Abelardo ed Eloisa, il grande critico Andrea Battistini riconosce a Roberto “un modernissimo stile franto, con versicoli perfino monosillabici…a inseguire un flusso di coscienza senza punteggiatura che perfino nel perseguire il monologo interiore è sempre rivolto a un interlocutore, a un “tu” poetico che esclude la solitudine”.

Da sinistra Alberto Poggi, Roberta Barbieri, l’autore e Maria Calabrese

Gli chiediamo se nel Loden la comunicazione col padre, dando espressione e voce al dolore, lo ha potuto emendare.

In parte, risponde. Ma il discorso sarebbe lungo.

La ricchezza poetica dei testi di Roberto è una cattiva bussola che quasi non ce ne ha fatti accorgere, ma l’orologio segna l’ora in cui dobbiamo concludere questo incontro a più voci.

Il resto lo fa l’amicizia, e insieme andiamo fuori a ritrovare l’inverno.

Nota bibliografica:

  • Roberto Dall’Olio, Un loden senza inverno, Pendragon, 2024
  • Roberto Dall’Olio, Se tu fossi una città, L’Arcolaio, 2019
  • Roberto Dall’Olio, La Storia insegna. Poema storico-civile, Pendragon, 2007
  • Roberto Dall’Olio, Irma, L’Arcolaio, 2017
  • Roberto Dall’Olio, Tutto brucia tranne i fiori, Moretti e Vitali, 2015

Cover e immagini nel testo fornite dalla Biblioteca Popolare Giardino

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

Il mio Delta
l’avventura di un fotografo verso la foce

Il mio Delta:
l’avventura di un fotografo verso la foce

“… le cose sono là che navigano nella luce, escono dal vuoto per aver luogo ai nostri occhi. Noi siamo implicati nel loro apparire e scomparire, quasi che fossimo qui proprio per questo”
Gianni Celati (1989)

Sacca di Scardovari
Valli di Comacchio, Argine Agosta
Valli, Scardovari

Da sempre  sono innamorato dei nostri paesaggi padani e in particolare della vita nel delta del Po.

Mi è sempre piaciuto raffigurarli,  trasmettere con la pittura ad olio o con la fotografia queste nostre meraviglie naturali. L’attrazione per quella Terra & Acqua era forte, prendevo l’auto e andavo verso la foce, in estate e in inverno, all’alba o al tramonto. Non riesco a contare le volte in cui mi sono trovato a faccia a faccia con il Fiume, la valli, gli uccelli, i pescatori. Arrivavo in posizione e scattavo fotografie naturalistiche, i primi anni con fotocamere analogiche, per poi a casa riprodurre le inquadrature  sulla tela con colori e pennelli. Ultimamente con l’avvento del digitale, ho abbandonato un po’ la pittura per concentrarmi sul linguaggio della fotografia.

Faro di Goro
Valli di Comacchio, Casone
COMACCHIO, BILANCIONI

 

Oggi come ieri, appena posso imbraccio la fotocamera e parto per nuove avventure verso il nostro Delta e le Valli. Valli vissute spesso in prima persona, anche a bordo del mio kajak, a Scardovari, Goro, Volano … In kajak, per ovvie ragioni, era impossibile portare con me una fotocamera, sono quindi esperienze non espresse in pixel ma impresse per sempre nella mia memoria.

Non si finisce mai di scoprire il Delta: un luogo sconosciuto, una nuova luce, un cielo diverso, uno stormo di Cavalieri d’oro. E soprattutto, se avete l’accortezza di andarci in solitudine, di vivere la bellezza e la pace di una natura ancora incontaminata.

Spero che il mio reportage riesca a trasmettere almeno un po’ di questa grande bellezza..

Valli di Comacchio, Boscoforte

 

In copertina: Valli di Comacchio al tramonto. tutte le foto sono di  Valerio Pazzi

Altre parole per la ricerca   su Periscopio: Delta; Valli di ComacchioGianni Celati

Per vedere tutto il reportage di Valerio Pazzi è sufficiente scorrere in basso la homemage di Periscopio.

Vite di carta
“Se il cielo fosse femmina” e gli alberi fossero blu

Vite di carta. Se il cielo fosse femmina e gli alberi fossero blu

Può accadere, e accade martedì 21 gennaio in una sala dipinta a colori accesi, con alberi dal tronco blu e col fogliame verde tenero. Quando entriamo le classi coinvolte nell’incontro di oggi – quarta V, quinta B, quinta S – hanno già occupato le sedie disponibili e aspettano che la presentazione del romanzo Se il cielo fosse femmina di Anna Chiara Venturini abbia inizio. L’autrice è arrivata, so che come mi è già accaduto di vedere presenterà da sé il proprio libro, suscitando una conversazione partecipata con i ragazzi.

Pochi minuti per i saluti con la Dirigente e con le docenti referenti per l’evento: in fondo oggi ci accade di ritrovarci in una ulteriore occasione di scambio e di condivisione. Dall’anno scolastico 2022-23 la Associazione degli Amici della Biblioteca Ariostea sostiene le attività legate alle lettura all’interno dell’Istituto Einaudi.

La presidente Paola Zanardi e noi che rappresentiamo il Direttivo ricordiamo con soddisfazione di essere state qui nello scorso ottobre a incontrare il Gruppo di lettura Gli occhi di minerva e a inaugurare la Biblioteca Scolastica finalmente allestita in una delle aule dopo un intenso lavoro da parte di docenti e studenti volontari che hanno realizzato magnifiche decorazioni floreali alle pareti.

Dalla prima fila dove prendiamo posto vediamo bene l’autrice anche nella mimica del volto, gli studenti alle nostre spalle sono in silenzio. La sentiamo raccontare come le è nata l’idea di scrivere una storia tutta ferrarese ambientata nella Certosa, spiegare che si tratta di un luogo straordinario per bellezza e quiete. Cercare nei ragazzi le domande che vengono più spontanee, a fronte di una scelta narrativa così: dove Cecilia, la protagonista, impara a convivere con il dolore della perdita più struggente e insieme prova un giorno dopo l’altro a rinascere.

Gli studenti che hanno dialogato con l’autrice insieme alla prof. Giarratana

I ragazzi intervengono: molti di loro hanno letto il libro e sanno essere precisi nel porre le domande. Prima di tutto il titolo: perché Se il cielo fosse femmina? Perché anche il cielo può essere rovesciato, può esserlo la vita che si trasforma in morte prematura e improvvisa. Cecilia nello stesso giorno ha perduto la bimba che portava in grembo, Celeste, e il suo compagno. Per lunghi mesi le riesce impossibile vivere, finché lavorando dentro il cimitero monumentale della Certosa impara a tessere di nuovo relazioni autentiche con gli altri: con gli addetti al restauro delle opere d’arte e con il Direttore del complesso, con alcune visitatrici del luogo che come lei portano lì il loro dolore ma anche segnali di vita.

Il cielo che può diventare femmina contiene una ipotesi di rinascita, così come una morte, la morte, può lasciare il posto alla vita. Nelle forme a cui Cecilia è più sensibile: con il restauro delle vetrate più belle, con il fiorire di tulipani che ha piantato nel prato dei bambini insieme a Lea, la Signora Velata che come lei ha perduto la sua bambina.

Vengono lette alcune parti del romanzo, emergono altre figure che ci raccontano storie altrettanto inusuali. Anche Rosalinda è una frequentatrice della Certosa e riempie i vialetti e i prati della sua eleganza leggiadra e della sua solitudine. Rosalinda la addolcisce con il suo essere fedele alla bellezza, confeziona abiti preziosi prendendo come modello le statue di certe cappelle e poi torna lì a esibirli.

Anna Chiara Venturini sa bene come stare insieme ai ragazzi intorno a un libro: ammette di avere trovato l’ispirazione per il personaggio di Rosalinda in una figura di donna incontrata nella sua giovinezza. Racconta di avere passeggiato in una luminosa mattina d’estate nei vialetti della Certosa e di avere avuto la prima idea di questo libro. Ma sa anche esplorare le parti rielaborate dalla sua penna, fa riflettere sul valore del silenzio come segno di pace interiore, sul rispetto verso chi non è più e su tutti i gesti d’amore.

Non può che raccomandare il valore della memoria, che è radice dentro Cecilia e dentro la storia di tutti.

Alla fine consiglia ai ragazzi di fare visita alla Certosa, e di sedersi magari sotto uno dei porticati che abbracciano lo spazio davanti a San Cristoforo. Aprire un libro ed entrare in un raccoglimento che può portare quiete e adesione a se stessi.

I ragazzi la sorprendono. Lei non può vedere le locandine che hanno preparato per l’incontro, sono affisse al tavolo da cui parla e sono rivolte verso il pubblico. Sono bellissime. In basso, sotto alla foto di lei e del suo libro ritratto in un prato di margherite, c’è una foto più grande. Sotto il porticato in ombra, con il sole che intanto inonda il prato e gli alberi davanti alla Chiesa, siede una ragazza: ha lasciato lì accanto la borsa, ha disteso le gambe e si è messa a leggere un libro.

Nota bibliografica:

  • Anna Chiara Venturini, Se il cielo fosse femmina, Giovane Holden Edizioni, 2024

Cover: la platea degli studenti e sullo sfondo la dirigente Marianna Fornasiero mentre saluta l’autrice insieme alle docenti Carmen Ada Giarratana e Roberta Runza

Immagini della copertina e nel testo fornite dall’Istituto Einaudi

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