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Parole a capo
LAVORARE MANCA

LAVORARE MANCA

 

L’INSEGNANTE PRECARIA

Il mio sogno era fare la maestra
fin da bambina innamorata persa
della mia dolcissima insegnante.
Ho studiato davvero con impegno
mi sono laureata a pieni voti
con baci abbracci strette di mano e allori.
Di lì cominciava la mia vita
nel lavoro
che amavo e che pensavo ripagato
dall’amore dei piccoli, la cosa
per me più bella al mondo.
E invece ho cominciato una catena
senza fine: concorsi graduatorie
le speranze deluse e le supplenze
su e giù per lo stivale
di pochi giorni o poche settimane.
Finalmente un incarico annuale,
un passo alla felice conclusione…
Ma sono passati gli anni, tanti anni,
ho già i capelli grigi
continua il precariato ed ogni anno
lascio bambini appena conosciuti
che mi sembra tradire.
E l”attesa angosciosa di una nomina
per l’anno successivo…
E quando torno a casa dai miei figli
io temo che mi leggano negli occhi
di giorno in giorno la mia delusione
e mi sento precaria come mamma

(MARTA CASADEI)

 

*

 

SONO CIÒ CHE RESTA

 

Un braccio,
Un pezzo inutile,
Smembrato.
Urlo atroce dal suolo.
L’orrore di vedersi
Altro da se’,
Negata l’umanità.
Non gettarmi! rantola
Da corpo incompleto,
Rotto, avariato…
Guai, solo guai…
Sono, sarò, ciò che sono stato:
Solo un essere umano .
Sono ciò che resta
Di un’illusione…
Un arto gettato,
Un corpo martoriato,
Abbandonato sul selciato.
Una croce da portare
per chi resta.

(CECILIA BOLZANI)

 

*

 

E’ NATO UN FIGLIO AL FABBRICANTE

 

Concepito nel quarto anno di guerra,
punta il timone – dicevano – bambino bello
alla volta della Polonia di Londra agli albori
tra i fiumi della Manchester polacca!
Nulla ti mancherà, neanche il latte d’uccello.

Qui mancano gli uccelli, sono volati via
al cupo rimbombare della terra
che il fronte riprendeva a colpi di cannone.
Sono arrivati i soldati sovietici,
i polacchi – i nostri, li chiamava il popolo.
Ma il popolo non è tutta la gente.
Né quella di città, né duella di campagna.
C’è un’indipendenza degli operai.
C’è un’indipendenza dei piccoli agricoltori.
Quelli che sono corsi fuori a salutare
hanno sentito la Prima libertà nei cuori.

E’ nato un figlio al fabbricante
ma in altra epoca da quella attesa.
Ormai non è più un fabbricante il padre,
gli resta una manciata di monete d’oro,
a comandare in fabbrica sono gli operai,
le azioni frusciano come foglie secche,
sono rimasti solo gli oggetti preziosi,
soltanto gli album di fotografie.

Il ragazzo intanto cresce. Presto a scuola
conoscerà il sorriso dei propri coetanei,
la vita lo accarezzerà col suo calore,
rientrare a casa gli comincerà a pesare.
Il socialismo è giustizia sociale.
Quando il ragazzo capirà queste parole,
non avrà più il marchio d’infamia sulla fronte,
anche se ha preso i tratti dal volto dal padre.
Allora fisserà lo sguardo della mente
su un mondo degno della giovinezza.
E solo i genitori non potranno capire
che per il figlio quella è la ricchezza.

–  Mamma, la sciarpa non mi serve.
– Papà, fuori c’è un Maggio enorme!
Fa caldo nei cortei, fa caldo al lavoro.
Non appartengo a voi. Vado con loro!

( WISLAWA SZYMBORSKA)

 

*

 

PAESAGGIO

 

Il ciliegio è fiorito
tra lacrime di nero appassito.
Campagna in chiusura
da lavoro
sotto un sole spaurito
che si è ripreso l’oro,
senza chiedere permessi,
lasciando liberi i lavoratori
da loro stessi.

(PIER LUIGI GUERRINI)

(Cover del celebre quadro “Quarto Stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo)

 

“Parole a capo” è una iniziativa dell’Associazione culturale “Ultimo Rosso”.
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La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Questo che leggete è il 282° numero. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.
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Pierluigi Guerrini

Pier Luigi Guerrini è nato in una terra di confine e nel suo DNA ha molte affinità romagnole. Sperimenta percorsi poetici dalla metà degli anni ’70. Ha lavorato nelle professioni d’aiuto. La politica e l’impegno sono amori non ancora sopiti. E’ presidente della Associazione Culturale Ultimo Rosso. Dal 2020 cura su Periscopio la rubrica di poesia “Parole a capo”.

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PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)