Vite di carta /
Alma e l’identità difficile nell’ultimo romanzo di Federica Manzon
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Vite di carta. Alma e l’identità difficile nell’ultimo romanzo di Federica Manzon
Ha vinto il Premio Campiello 2024 il romanzo sulla identità difficile che ha per titolo il nome della protagonista, Alma, e per spazio la città di Trieste. Ho appena finito di ascoltare un’intervista all’autrice, ho rimesso a fuoco i motivi narrativi e i temi del racconto, smettendo di ascoltare quando ho creduto che di modi della scrittura non si sarebbe parlato.
Non della terza persona in cui si esprime la voce narrante, una scelta su cui si fonda tutto il libro e me lo ha reso aspro da leggere all’inizio. La scrittura così intima fin dalle prime pagine non riuscivo ad assorbirla e a sentirla all’unisono con l’onniscienza del narratore.
Questo è un romanzo che guadagnerebbe in immediatezza se fosse raccontato dalla protagonista stessa, con lo spessore dei suoi ricordi e delle consapevolezze accumulati in trent’anni di lontananza da Trieste, la città in cui è nata e in cui ha vissuto fino a vent’anni una infanzia e una adolescenza inquiete.
Adottare il suo punto di vista non basta. Per di più, risultano ambigue certe parti in cui la voce narrante dice cose che il personaggio non sa eppure continua a usarne il registro intimo, asciutto e disposto alla verità, sfiorando il discorso indiretto libero.
Verrebbe spontaneo mettere le virgolette alle descrizioni degli stati d’animo così come ai riferimenti storici, credere che siano le parole di Alma nel suo parlare di se stessa e dei due mondi che le sono appartenuti di qua e di là dal confine tra Italia e Jugoslavia.
La conosciamo quando ha superato i cinquant’anni, è diventata una apprezzata giornalista e vive a Roma. Il libro contiene i tre giorni in cui torna a Trieste a ricevere l’eredità che morendo le ha lasciato il padre. Sono giorni in cui ripercorre strade e zone della città che hanno marchiato la sua infanzia, ma per prima ha voluto rivedere l’isola di Brioni, dove la portava suo padre e dove alla fine degli anni Settanta aveva conosciuto il maresciallo Tito, l’uomo sempre vestito di bianco.
Rivedere Trieste implica che Alma si volti verso il suo passato con uno sguardo orfico, dice bene Francesca Peligra nella sua recensione. L’esercizio della memoria, da cui si è tenuta lontana fuggendo a vivere a Roma trent’anni prima, si riattualizza con forza e le butta addosso le storie di famiglia, il rapporto particolare con la madre e soprattutto col padre, con la figura mai veramente esorcizzata di Vili.
Ricorda i nonni materni e la cura che le hanno prestato quando era bambina. Il loro era un mondo borghese venato di nostalgia per l’impero austroungarico, fondato su sicurezze ed eleganze di cui Alma non trovava traccia quando tornava a casa dalla madre. Lì trovava il disordine e l’inventiva con cui la mamma ribelle dedicava la vita di ogni giorno a curarsi dei matti, quelli liberati da Franco Basaglia, e ad aspettare il marito.
Alma lo aspetta come lei, è il padre indecifrabile e amato dei giri sull’isola di Brioni, delle presenze fugaci e delle ripartenze improvvise per tornare di là a lavorare per il maresciallo. Un giorno con lui è entrato nella casa caotica sul Carso anche Vili, un bambino in fuga da Belgrado che i genitori hanno voluto allontanare per salvarlo dalla guerra. Dalle guerre Jugoslave, per meglio dire. Quelle che vorticano attorno alla vita di Alma e agli altri a cui Alma vuole bene, senza che lei adolescente possa capirle.
Sono iniziati gli anni Novanta, gli anni del disfacimento della ex Jugoslavia nel dopo Tito. Il destino del padre ne è segnato, anche il percorso con cui Vili diventa uomo e lavora come fotografo di guerra oltre il confine prende la piega a cui lo ha condotto la Storia: Alma, che pure vive di qua dai conflitti, dà consistenza alla propria vita adulta continuando a prescindere dalla presenza del padre e si avvia alla professione di giornalista.
Si stacca da Vili, amandolo ma non potendo più condividerne l’inquietudine. Finché si sono sentiti entrambi sradicati da abitudini e regole nel loro crescere nella casa sul Carso, finché si è trattato di sentirsi estranei in via esistenziale a una vita saldamente codificata ci hanno guadagnato la libertà di muoversi negli spazi della città.
Si sono mossi senza vincoli anche tra i suoi linguaggi e fra le lingue lasciate in eredità dal mondo asburgico e da quello slavo. Ma Vili ha dentro la smania di chi ha perso da bambino il proprio paese, è più dell’identità soggettiva quello che ha smarrito.
Vivendo a Roma Alma si è difesa per trent’anni da un di più di consapevolezza: “Tu non sai niente” è la frase che le hanno rivolto sia Vili che il padre nelle occasioni in cui lei ha cercato di definirli, di collocarli nello scacchiere dei popoli e dei posizionamenti politici.
Nei tre giorni che passa a Trieste ritrova Vili e gli oggetti-amuleto che le ha lasciato il padre. Riattualizza pezzi di passato che solo ora si fanno conoscere per quello che autenticamente hanno significato nella Geografia della Storia.
Nella intervista che ho ascoltato Federica Manzon dice di avere avuto in mente un personaggio, Alma, che stia lì a dimostrare quanto sia complessa, non univoca e non semplice, l’identità di cui siamo fatti. Aggiungo, come la si componga nel tempo, a volte anche dopo decenni lungo le linee tortuose della vita, come accade qui.
Nota bibliografica:
- Federica Manzon, Alma, Feltrinelli, 2024
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Roberta Barbieri
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
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