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La contemporaneità di Elio Pagliarani e dei suoi Epigrammi ferraresi

La contemporaneità di Elio Pagliarani e dei suoi Epigrammi ferraresi

 

Il 21 maggio del 1957 il poeta Elio Pagliarani (Viserba 1927-Roma 2012) pubblicò la seguente poesia:

È difficile amare in primavere

come questa che a Brera i contatori

Geiger denunciano carica di pioggia

radioattiva perché le hacca esplodono

nel Nevada in Siberia sul Pacifico

e angoscia collettiva sulla terra

non esplode in giustizia.

                                   Potrò amarti

dell’amore virile che mi tocca, e riempirti

se minaccia l’uomo

nel suo genere?

 

O trasferisco in pubblico stridore

che è solo nostro, anzi tuo e mio?

[Da Inventario privato, Veronelli, Milano 1959]

 

Sono versi questi che per la prima volta legavano il tema atomico della bomba hacca a quello amoroso: una chiara testimonianza della modernità  del poeta romagnolo. E sono versi, soprattutto quelli finali, che chiedono alla poesia (e dunque al poeta) quale debba essere il suo ruolo. Negli anni  della guerra fredda, dei test nucleari e del “miracolo economico” italiano, Elio Pagliarani grazie a una nuova presa di coscienza della funzione della poesia, istituiva la cosiddetta poesia-racconto.

Occorre ricordare che, praticamente nello stesso periodo, Gregory Corso, il poeta americano della beat generation, scrisse una vera e propria poesia d’amore alla Bomba con dei versi che  furono stesi sulla pagina in modo da assumere la forma di un fungo atomico.

Come i poeti beat in America, Pagliarani si distinguerà dunque, da questa parte del mondo occidentale, per lo sperimentalismo e per quelle tipiche proiezione verso il futuro (partendo dal passato) che in pratica servivano a sottolineare una rinnovata fiducia nell’atto poetico.

Oltre ai famosi poemetti o romanzi in versi, La Ragazza Carla e la Ballata di Rudi, che lo impegneranno lungo il corso della vita, le sue composizioni poetiche più significative (Lezione di fisica e Epigrammi ferraresi) rappresentano proprio il frutto di queste proiezioni  temporali che rendono la sua poesia contemporanea e la …contemporaneità, di fatto, poetica.

Il ruolo del poeta è sempre stato molto complicato e ambiguo soprattutto quando la pressione della realtà diventa più complessa, contraddittoria e violenta, come accadeva appunto in quegli anni. E forse proprio perché ci troviamo in un momento storico analogo a quello, oggi riusciamo a comprendere meglio quell’immaginario distopico già ipotizzato in quegli anni da uno dei padri fondatori della beat generation, William S. Burroughs II, che cominciò a vedere nell’identità e nel linguaggio veri e propri  virus per la nostra specie.

Cosicché tutte le grandi narrazioni di allora tradotte in linguaggio venivano di fatto falsificate, anzi, per così dire, infettate nell’essere affermate o negate, tramite questi virus.

E dunque, in un contesto così degenerato dal virus-parola, il poeta come aveva già compreso Pagliarini, è chiamato a dare o a restituire un vero significato al nostro “ essere umani” attraverso un’altra esposizione, un’altra negazione, un’altra denuncia che potessero andare oltre la semplificazione della narrazione e del racconto cronologico di UNA e UNA SOLA “infettata” verità. Ed ecco dunque circoscritto, in opposizione negativa, il ruolo della poeta e della poesia.

Come è stato ricordato «Pagliarani…è un precursore: fra i primi del Novecento, a innestare nel ramo della lirica la gemma della plurivocalità che conferisce ai suoi testi quell’inconfondibile impostazione epica e polifonica…».

La poesia e la figura del poeta vengono così messe al servizio di una “specifica” riduzione dell’io e di uno ricercato declino del poetese. Pagliarani riesce a fare questo regalando liricità  a un lessico mutuato  da altri settori disciplinari, mischiando linguaggio ‘alto’ e ‘basso’, lavorando sulla dimensione orale della poesia che si trasforma quasi in un agire poetico e, addirittura, in una sorta di interpretazione teatrale ( prima di qualunque  poetry slam!) fino alla identificazione con l’eretico Savonarola espressa nei suoi Epigrammi ferraresi (Piero Manni Editore, 1987)

In un tale nuovo (ma antico) registro Pagliarani con parole vibranti e con-temporanee – nel senso di possedere una “ubiquità temporale” – continua a denunciare l’abbrutimento  e la decadenza della società in cui viveva ( e nella quale SI continua a vivere contemporaneamente).

Anche in questa riscrittura che omaggia Savonarola ritornano sotto forma di una lingua inconsueta – quasi a intravederne l’antidoto stesso a quel virus – tutti i temi principali della sua poesia: la condanna della cupidigia e della sete di potere, l’indignazione per le offese riservate agli individui più deboli e vulnerabili; e si comincia a percepire, più netta di prima,  l’eventualità di una rivolta, l’istigazione alla disobbedienza civile.

La fine dell’ideologia diventa per il poeta una precisa poetica di negazione oppositiva, intesa come azione di estrema resistenza.

Il poeta non può fare altro che far reagire il linguaggio per spingere il lettore a interrogarsi, per aiutarlo a  uscire dagli automatismi epidemici del virus-parola che i mezzi di comunicazione di massa continuano a diffondere, e quasi utilizzando un approccio omeopatico, Pagliarani comincia a usare il virus-parola come vaccino.

Dal verso lungo, a fisarmonica, della Ballata di Rudi e di Lezioni di fisica, si passa così a un’espressione poetica breve e concisa degli Epigrammi ferraresi.

Si consideri che gli Epigrammi uscirono nella famosa epoca della “Milano da bere” quando una lenta e inesorabile restaurazione del sistema neoliberista si rinnovava nel fenomeno dello yuppismo e dell’ “edonismo reaganiano” a seguito delle acerbe e in parte sterili contestazioni del ’68. La società scivolava verso un torpore dal quale non si sarebbe più ripresa.

Al poeta deluso non rimaneva che affidarsi all’icasticità delle parole di Savonarola e grazie a queste costruire un discorso criptico. Se il verso lungo rappresentava lo svolgersi di un ragionamento ma anche il grado di diffusione di un’epidemia del virus-parola, gli epigrammi potevano costituire l’antidoto alla società contemporanea completamente indifferente alle ingiustizie che la attraversavano grazie al controllo dei mezzi di informazione e alle famose…”narrazioni”. Quante altre ne sono seguite a quella! Il virus-parola continua la sua azione epidemica.

Pagliarani stesso fornisce sibillinamente la chiave interpretativa della sua nuova operazione poetica: basta leggere con attenzione i suoi epigrammi e in particolare l’ultimo verso del secondo.

Resta sempre difficile, anche oggi, amare in primavere come questa e Pagliarani ci aiuta a capire come… guarire.

I

Nell’insipienza mia dico che mi bisogna parlare.

Costoro dicono che è beato chi ha roba.

Quelli sei con la mannaia in mano furono tutti angeli.

II

La profezia non è cosa naturale né procede da causa naturale;

la immaginano molti sgorgata da disposizione individua

con purga e salasso: quanto più un uomo ha purgato dai vizi

volontà e affetto delle cose al mondo

tanto meglio le cose future sa divinare.

Questo non è vero e mòstrasi: perché la profezia è stata data ancora alli cattivi

come fu Balaam huomo sceleratissimo.

Come è sera rompi il muro: non uscire dalla porta.

III

Onde la terra sempre per il suo appetito naturale va in giù

e l’amore è accidente.

IV

Fanciulli voi non avete fatto ogni cosa.

Lavate via il resto tutta questa quaresima.

Lavate via l’anatema: voi avete la maledizione in casa.

(Hanno tanta roba che vi affogano dentro).

V

Ma li miracoli terminano a cosa finita

come è illuminare un cieco, che termina alla luce

o resuscitare un morto, che termina alla vita.

 

[da Epigrammi ferraresi (1987)]

In copertina: Ferrara, Statua di Savonarola. particolare.

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Giuseppe Ferrara

Giuseppe Ferrara – Nato a Napoli. Cresciuto a Potenza fino alla maturità Classica presso il Liceo-Ginnasio Q.O. Flacco. Laureato in Fisica all’Università di Salerno. Dal 1990 vive e lavora a Ferrara, dove collabora a CDS Cultura . Autore di cinque raccolte poetiche; è presente in diverse antologie. In rete è possibile trovare e leggere alcune sue poesie e commenti su altri poeti e autori. Tiene un blog “Il Post delle fragole”: https://thestrawberrypost.blogspot.com/

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PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
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