Skip to main content

Il sindaco di Ferrara e l’assessore alla cultura sbeffeggiano i difensori del parco urbano

Cominciamo dalla furbissima, e assai offensiva tattica di chi governa Ferrara (per chi non lo sa, a Ferrara da 3 anni e mezzo impera la Lega per Salvini). In poche parole: vi facciamo aspettare fino alle 8 di sera con interventi e sproloqui per dirvi: a che servono le firme, a che servono le petizioni, i flash mob, gli striscioni? A niente, tanto noi abbiamo già deciso mesi e mesi fa. Il concerto si farà al parco, punto e basta.
Ma non basta neppure il piglio decisionista, cari difensori degli uccellini, vi prendiamo anche in giro….

“ Questa petizione è stata proposta da 593 firme, cioè lo 0,4% dei cittadini. Allora vuol dire che il 99,6% dei ferraresi è favorevole al concerto. Ma, democraticamente, anche allo 0,4% è concesso di esprimersi”. Così l’assessore alla cultura Marco Gulinelli inizia il suo intervento nel Consiglio comunale di Ferrara, sbeffeggiando l’utilizzo degli strumenti di partecipazione popolare.

La Giunta comunale di Ferrara ha così bocciato i tre quesiti della petizione, proposta per chiedere di spostare la sede del Grande Concerto del prossimo 18 maggio, quando arriverà in città Bruce Springsteen per la prima tappa del suo atteso tour europeo. La maggioranza del Consiglio Comunale ha avallato quella bocciatura, dopo una prolissa relazione dell’assessore, che ha dedicato pochi minuti ai tre quesiti posti dalla petizione, e altri 50 all’autocelebrazione dell’evento, peraltro mai messo in discussione dai proponenti.

Le firme erano state raccolte per iniziativa del Comitato Save the Park con l’unico obiettivo di salvaguardare l’area del Parco Urbano, intitolato allo scrittore e fondatore di Italia Nostra Giorgio Bassani, dall’assalto dei circa 50.000 possessori dei biglietti.
Si tratta di un’area agricola rinaturalizzata e piantumata oltre 30 anni fa, a ridosso delle mura della città patrimonio dell’Unesco, ormai sede di avifauna stanziale e migratoria, destinata ad essere martoriata da tir, installazioni di servizio, decine di migliaia di bipedi, decibel sparati senza ritegno. Un ecosistema complesso che, tra montaggio, due giorni di musica e smontaggio, per due settimane subirà effetti deleteri e non reversibili, naturalmente negati dagli esperti convocati nella cabina di regia municipale.

Circa 30 attivisti si sono turnati per tutto il pomeriggio di lunedì 30 gennaio nel settore riservato al pubblico con indosso le magliette di battaglia con la scritta “Save the Park”, in attesa che l’ordine del giorno del Consiglio arrivasse alla discussione del punto atteso.
Nel frattempo la Polizia municipale ha sequestrato striscioni e scritte, la cui esibizione è vietata in Consiglio.

I quesiti della petizione chiedono di spostare la sede del concerto “in un’area a sud della città” e di attrezzare quel luogo anche per futuri eventi simili.
L’assessore Gulinelli e il sindaco Fabbri hanno invece insistito furbescamente a lungo sull’importanza del concerto di Springsteen per “l’economia e il turismo della città”, come se il comitato fosse contrario al concerto in quanto tale. Ed è stato evocato perfino il presidente della giunta regionale Bonaccini come estimatore dell’evento.
Ma nel merito della questione, i due esponenti della maggioranza hanno perso la livrea del Gatto e della Volpe, per indossare quella di Pinocchio, quando Colaiacovo (Pd) e Mantovani (5 stelle), carte alla mano, hanno platealmente smentito l’impossibilità e il diniego dei gestori di due zone aeroportuali a sud della città, di concedere le aree in loro dotazione per la sede del concerto.

Gran tempo ha dedicato poi Gulinelli nello sminuire il “valore giuridico” delle quasi 50.000 firme raccolte nei mesi scorsi dal comitato in una petizione online, come se a quelle firme non si sia attribuito da sempre un valore propagandistico e di informazione. Ma, superando con agilità l’asticella del ridicolo, l’assessore si è detto sicuro che i 50.000 fan di Springsteen, “composti in gran parte da nuclei familiari educati”, avranno gran cura nel rispettare l’ambiente del Parco Urbano “Giorgio Bassani”. E, tranquilli, in ogni caso, ognuno degli acquirenti del biglietto “è geolocalizzato, con nome e cognome”. Per finire: il sound tecnogreen del Boss sarà magicamente proiettato solo in avanti, senza dispersioni laterali a disturbare le covate primaverili, tanto care agli ambientalisti. Da non credere.

Il Comitato Save the Park ha già dato mandato ad un legale esperto di proporre un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, e di inviare un esposto documentato alla Procura regionale della Corte dei Conti.

La petizione popolare  online “Salviamo il parco Giorgio Bassani di Ferrara #Save the Park“ ha già raggiunto ad oggi le 43.462 firme. Se non l’hai ancora fatto, leggi e firma qui la petizione

Riproduciamo di seguito la lettera del presidente pro tempore di Aeroporto Aguscello S.r.l. che dimostra la disponibilità ad ospitare l’evento, al contrario di quanto sostenuto in Consiglio Comunale dal Sindaco Fabbri e dall’Assessore Gulinelli.

Cover e foto nel testo di Pier Luigi Guerrini e Alessandro Tagliati

Parole e figure /
Un postino nel bosco

Il fascino misterioso delle lettere. Ho sempre adorato quelle buste che arrivano da lontano. Se poi queste missive viaggiano nel bosco, la formula magica è completa.

Oggi è allora il turno di un curioso postino, silenzioso e solitario che, sulla sua veloce bicicletta rossa, porta tante lettere. Un personaggio delicato che ci fa riscoprire il valore della parola scritta. Quella che resta.

È il protagonista di Lettere nel bosco, scritto da Susanna Isern e illustrato ad acquerello da Daniel Montero Galán (che abbiamo già letto ne Il Bigliettino), Edizioni Logos, collana gli albi della Ciopi.

In sottofondo, il bosco, con i suoi colori tenui, i suoi cieli, i suoi cespugli e alberi e le loro radici. I nascondigli e le tane degli animali, i laghetti con i pesci, gli uccellini cinguettanti, le nuvole, le stradine che lo attraversano, come rigoli di ruscelli frizzanti. E poi le foglie.

Ogni mattina questo simpatico postino sfreccia nel bosco per consegnare la posta, pedala a destra e a manca: una fitta corrispondenza anima le giornate degli animali del bosco. Molto riservato e timido, non dà confidenza a nessuno, poche chiacchiere, non accetta alcun invito, nemmeno un caffè. Corre, corre, sollevando polvere.

Di porta in porta, suona i campanelli e consegna la posta allo scoiattolo e al riccio, che ricevono messaggi di scuse reciproche, dandosi appuntamento per chiarirsi su un malinteso. Arriva poi il turno del picchio che si scusa con il ghiro per aver picchiettato sull’albero accanto al cespuglio dove lui pacificamente dormiva.

Anche le farfalle ricevono l’invito dalla tartaruga a prendere il sole sul suo carapace, dove c’è spazio in abbondanza, in pieno relax. E se dovesse piovere, si può sempre entrare a riscaldarsi con un tè profumato.

L’orso invita il coniglio che non sa nuotare a salire sulla sua imponente schiena per farsi trasportare sul lago come su un grande gommone.

Le lettere arrivano al lupo, al cervo, alle rane, alla marmotta, alla volpe, ai pesci. C’è posta per tutti. Tutti ricevono la loro, tutti sono impegnati a leggere, finché il postino, all’imbrunire torna a casa, sfinito, con la cartella vuota. Alberi e sole che tramonta fanno da splendida cornice. I colori sono soffusi e invitano al riposo ristoratore.

E ogni notte, occhiali sul naso, nella sua casetta calda, alla luce fioca di una candela, scrive, fino ad addormentarsi, come un sasso, sulla pesante macchina da scrivere.

Finché un bel giorno, al tintinnio del campanello arrugginito al quale nessuno ha mai suonato, riceve una lettera pure lui…. Chi mai sarà?

C’è tanta armonia nelle pagine e nelle storie. Un’armonia che qualcuno vuole e guida.

Per gli animali il vecchio postino è un vero e proprio sconosciuto, ma quel carattere sfuggente deve per forza nascondere qualcosa, e, infatti, il postino generoso e instancabile custodisce un segreto… di quelli belli però.

Susanna Isern, è una scrittrice spagnola di libri per bambini. I suoi libri sono pubblicati in più di 19 lingue con più di 500.000 lettori in tutto il mondo. Vive a Santander. Alla passione per la scrittura unisce quella per la psicologia. Ha lavorato come terapeuta infantile, è professoressa universitaria di psicologia. Negli Stati Uniti, ha ricevuto la Medaglia d’Oro dei Moonbeam Children’s Book Awards 2013 e alcuni dei suoi libri fanno parte della selezione della Junior Library Guild.

Daniel Montero Galán è nato a Madrid nel 1981. Lavora come illustratore da oltre 15 anni e ha pubblicato più di 30 libri.

Fra questi El gran Zooilógico (Jaguar, finalista al premio Golden Pinwheel della CCBF China Shanghai International Children´s Book Fair nel 2016),  Lettere nel bosco (Logos) e Mistero nel bosco (Logos).

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara.

Ora e sempre (La) Resistenza!

Ora e sempre (La) Resistenza!

COMUNICATO 31/01/23

Domenica 29 gennaio si è tenuta un’assemblea pubblica al CPS La Resistenza dove è stata presentata la programmazione delle attività gennaio/luglio 2023.

All’incontro hanno partecipato più di cento cittadine e cittadini di tutte le età, studenti, lavoratori e pensionati, che nell’occasione hanno aderito alla campagna di tesseramento ANCeSCAO 2023.

La Resistenza è uno spazio di ricerca e confronto per Ferrara da ormai dodici anni in cui si sono alternate differenti gestioni tutte impegnate a far incontrare generazioni diverse durante le numerose iniziative messe in piedi, dai corsi di teatro a quelli di yoga, dai dibattiti ai pranzi sociali del 25 aprile, dalle presentazioni di libri ai concerti; tante collaborazioni come quelle con il Laboratorio di Studi Urbani di UNIFE e l’Istituto di Storia Contemporanea o la più recente con la libreria indipendente del centro storico, La Pazienza.
Domenica all’assemblea erano presenti molteplici realtà culturali che hanno contribuito a tracciare un excursus storico dell’attività ultradecennale dello spazio.

Sono state presentate le seguenti attività:
Estranee-Corpi di donne in movimento. Un laboratorio atto alla riappropiazione del corpo tramite azioni politiche danzate curato da Francesca Caselli e patrocinato dal Comune di Ferrara (5 novembre 2022/1 luglio 2023)
Pazienza & Resistenza. La rassegna letteraria che traccia un sentiero tra due luoghi di cultura e ricerca sociale a Ferrara impegnati quotidianamente nel sostenere la cultura indipendente (settembre 2022/giugno 2023), curata da Marco Belli e Michele Ronchi Stefanati.
Link Studenti Indipendenti Out Ferrara. L’aula studio autogestita aperta a tutt* tutti i weekend dalle 9 alle 19.
Associazione C.A.R.P.A.. Un laboratorio di creazione teatrale a cura di Veronica Ragusa, Gaia Pellegrino, Giada Carniel e Marco Luciano del Teatro Nucleo tutti i mercoledì fino al 28 giugno 2023 e tutti i terzi weekend del mese.
Ferro e Martello. Laboratorio aperto di ferri, uncinetto e cucito tutti i lunedì fino a luglio 2023, progetto che mira alla realizzazione di un’iniziativa denominata “Le coperte di Elizabeth”.
SessFem Ferrara. Laboratorio gratuito di esplorazione e apprendimento collettivo per ridefinire i concetti di corpo, piacere ed educazione.
La scelta del corpo. Laboratorio di Danza Contemporanea e Improvvisazione di Francesca Caselli e Mariastella Zangirolami.
Progetto Biblioteca Comunale “S. Tassinari”.

Infine la programmazione musicale/culturale de “I Martedì della Resistenza” che porta a Ferrara da dodici anni una proposta musicale lontana dai canoni mainstream e offre la possibilità di esibirsi agli artisti locali emergenti.

Il CPS La Resistenza porta avanti tutte queste iniziative grazie al volontariato di decine di uomini e donne che riescono da sempre a tracciare dei ponti tra generazioni riunendosi ogni giorno in un luogo che fa dialogare intelligenze e sensibilità.

Luoghi come il CPS La Resistenza, in grado di mettere seduti allo stesso tavolo una studentessa universitaria siciliana e un ultranovantenne ferrarese DOC, a raccontarsi storie sono da preservare e valorizzare.

Durante la scorsa settimana, tramite una comunicazione ufficiosa al comitato di gestione è giunta la notizia di un imminente provvedimento volto a revocare la concessione dello stabile all’associazione. Sembra che la delibera sia già firmata pronta a essere depositata dalla giunta comunale questo giovedì, 2 febbraio.

La preoccupazione è lecita fra le decine di volontari e operatori del centro, i più di 200 tesserati nel solo mese di gennaio e i semplici interessati alle attività dello spazio.

La domanda che ci poniamo tutti è:
Che ne sarà di un’esperienza sociale che dura da più di dieci anni?
Se davvero la revoca della concessione è così imminente, perché non c’è stato un confronto tra il Comune di Ferrara e l’Associazione?
C’è forse un altro spazio simile in pieno centro città, capace di accogliere questa pluralità di realtà culturali, che il Comune può offrire all’associazione?
Com’è possibile che non ci si sia preoccupati che nella programmazione sono presenti progetti patrocinati o addirittura finanziati dallo stesso Comune di Ferrara?

Le volontarie e i volontari della Resistenza

Silvia Guerini: dal corpo neutro al cyborg postumano

Io e Silvia Guerini ci siamo incontrate sul tema della maternità surrogata.
Lei da tempo si occupava di tecnoscienze e di come queste teconolgie, al servizio della scienza, alterino profondamente la realtà e il senso stesso di umanità attraverso una trasformazione del linguaggio che cambia le parole e i loro significati fino a rendere accettabile ciò che non lo era. Io mi ritrovavo a riflettere sulla maternità surrogata perchè l’impatto di questo tema ha avuto su di me un effetto profondo, viscerale direi. Sentivo che era una pratica aberrante ma dovevo elaborare argomenti che spiegassero la mia reazione. Ho scritto un romanzo, appunto, per giungere a comprendere a fondo il mio no di pancia a questa pratica.

E dal nostro incontro è nata un’amicizia profonda.
Ci siamo scambiate idee e pensieri a partire da due storie apparentemente distanti ma che in realtà avevano in comune un profondo sentire : la difesa della sacralità della vita e del suo mistero e il valore del senso stesso di umanità.
Perché dico lontane: perchè veniamo da mondi e storie molto diverse. Lei  bergamsca, anarchica, femminista radicale, atea, studiosa appunto di tecnoscienze e del transumanesimo, da sempre attivista politica. Io invece, genovese,  borghese, cattolica  che però a 40 anni ha sentito l’esigenza di dirsi femminista e di iniziare una forma di attivismo politico su temi che riguardavano la donne per poi capire che altro non era che la difesa strenua di uno sguardo sul mondo in opposizione  allo sfruttamento estrattivo capitalista della natura e degli esseri umani, un sistema che affonda le sue radici nel patriarcato.

Silvia mi ha introdotto nel mondo delle tecnoscienze, mi ha fatto riflettere sulle trasformazioni e sull’impatto che queste avevano sulla realtà che ci circondava.
Un impatto  potente che avveniva nel silenzio generale dell’opinione pubblica, senza alcun dibattito pubblico e intellettuale,  e che trasformava anche profondamente i valori etici che da sempre sono stati a fondamento della nostra società. E’ la prima che mi ha introdotto nel mondo del transumanesimo, ideologia di cui non avevo mai o, quasi mai, sentito parlare ma che affonda le radici nel secolo scorso e con molta pazienza mi ha aiutato a unire temi apparentemente molto distanti fra  loro aiutandomi a vedere come e quale era il disegno che stava dietro a chi vuole realizzare una società post umana, transumanista appunto.

È come se Silvia , con tutti i suoi numerosi studi, avesse reso possibile dare un nome alla verità che usciva dalla mia pancia.
Tutte quelle motivazioni che mi avevano spinto a scrivere un romanzo, una storia che parlasse di umanità ma anche di natura, di quella arcaica che in qualche modo ci parla ancora e fa  parte delle saggezze ancestrali, trovavano una spiegazione razionale nella scoperta di tutti quei passaggi che lei così sapientemente e instancabilmente evidenziava nei suoi studi. Studi difficili faticosi che trovavano resistenza in ogni dove perchè la tesi andava in senso ostinato e contrario a quanto era percepito come vero progresso! Non a caso la mia protagonista che vive a Los Angeles, il mondo così detto” primo”, scoprirà il senso stesso di maternità sotto la cupola argentea della foresta amazzonica, a contatto con le popolazioni indigene ye quana, e non nelle super cliniche della fertilità.
Il mio rifiuto istintivo a certe pratiche avevano una spiegazione logica, bisognava solo avere il coraggio di cambiare prospettiva e di riguardare a quanto ci veniva detto e a quanto avevamo studiato da un’altra prospettiva, avendo il coraggio di accettare che molte credenze, sulle quali avevamo poggiato il nostro sapere si sgretolassero al suolo.

Da allora si è aperto un mondo di passaggi che non avevo compreso e che mi hanno obbligata a riguardare alla storia del progresso occidentale , da un punto di vista  critico,  e provare a disvelare quei meccanismi di linguaggio che avevano reso eticamente accettabile ciò che non lo era mai stato senza che nessuno (ovviamente non Silvia e molti suoi compagni che gridano nel deserto da decenni),  opponesse resistenza.

E arriviamo a oggi, all’accelerazione di certi processi, che sono avvenuti proprio durante la pandemia e che in molti di noi hanno invece creato una reazione potente. Se prima non ci accorgevamo delle trasformazioni profonde che stavano avvenendo, che stavano modificando persino il concetto di bene e di male, di senso del limite etc, durante la pandemia, per molti c’è stato un risveglio di pensiero critico.

Davvero il limite è stato superato in molte occasioni e il senso che certa scienza si occupi dell’umano come di una macchina e solamente di una macchina, che non si interessa più alle sue differenze, persino ontologiche, penso al postumano neutro , no femmina no maschio semplicemente quello che uno vuole sentirsi, e fa dei corpi e delle cure solo mercato svincolando il senso della materia dallo spirito in modo definitivo, è parso evidente a una minoranza che però con il passare del tempo si fa sempre più ampia.

Il successo della proiezione di Invisibili, il documentario che parla dei danni collaterali dal vaccino anti covid e che sta facendo il giro delle città italiane, ne è un segno tangibile. La cura ,quella umana ,quella basata sulla relazione tra medico e paziente, sembra un ricordo lontano e questo ha innescato un pensiero critico non solo in chi ha subito danni collaterali da vaccino ma in molti di noi che non li abbiamo subiti ma che abbiamo iniziato a riflettere sulla direzione che ha preso certa medicina, certe scelte politiche, certa economia, certa scienza e  la stessa filosofia.

Ecco perché oggi è così importante leggere il libro di  Silvia Guerini DAL CORPO NEUTRO AL CYBORG POST UMANO perchè diventa possibile provare a tracciare quel filo rosso che unisce molte delle scelte che sono state fatte nei vari campi , politico, economico, medico scientifico etc e disvelare il disegno che si cela dietro a queste scelte.
Provare a chiederci in che direzione siamo diretti e se è questo quello che vogliamo.
Siamo a un bivio epocale, è bene approfondire e ascoltare anche nuove voci, nuove visioni per fare in modo che non scelgano per noi!

Intervista di Roberta Trucco a Silvia Guerini

 

Zelensky al festival di Sanremo: spegniamo la TV, spegniamo la propaganda di guerra!

Da:  Europa per la Pace

Dopo che abbiamo lanciato la nostra iniziativa di boicottaggio si sono alzate altre voci critiche: lo hanno fatto personaggi famosi come Vauro Senesi e Moni Ovadia, se ne parla in alcune trasmissioni televisive, circola una petizione e si sta anche organizzando una manifestazione davanti all’Ariston.

Tutte ottime iniziative, ma riteniamo che il boicottaggio, in questo momento, sia lo strumento più forte e incisivo.

Il boicottaggio si fonda sul “vuoto” e sulla “non collaborazione” e colpisce i violenti in quello che per loro è la cosa più importante: i soldi. Questo è ovvio quando si decide di non comprare più un prodotto, ma lo è anche nel caso di un servizio. Le reti televisive vivono grazie alle pubblicità, il cui valore dipende dagli ascolti che ha quella rete o quello specifico programma.

Ma il boicottaggio ha anche un significato più grande: la gente comincia a prendere coscienza del proprio potere, della propria forza e della possibilità reale di influire sulle decisioni prese “in alto” sopra le proprie teste.

Ovviamente, per ottenere un risultato è necessario il coinvolgimento di un gran numero di persone e al momento attuale la cosa sembra molto difficile. Tutti i sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani vuole una soluzione diplomatica al conflitto, ma è difficile informare queste decine di milioni di persone ed ancora più difficile comunicare l’importanza di questa iniziativa.

Oltre ai media, che mai daranno notizia di questo boicottaggio, c’è anche un altro nemico, una malattia endemica, una vera pandemia: la sfiducia. Oggi è difficile credere che con la propria “piccola” azione si possa cambiare qualcosa, così come è difficile credere che “altri” si possano sommare a questa impresa. Ma la sfiducia cronica è essenziale allo stesso sistema violento in cui viviamo. Come potrebbe quest’ultimo esercitare il suo potere se la gente non fosse sfiduciata e divisa? Oggi, infatti, è quasi impossibile convergere in una attività comune.

Vi chiediamo perciò di appoggiare questo tentativo diffondendo questa iniziativa, in modo che arrivi a quante più persone è possibile. È la convergenza in una direzione dell’impegno e della creatività che aiuta a volte a raggiungere un risultato.

Ma al di là del risultato, che sappiamo difficile da raggiungere, è il tentativo in sé stesso che è importante: è un seme che può germogliare nel futuro.

Sappiamo che la direzione degli avvenimenti va verso un sempre maggiore coinvolgimento della società in questa folle guerra. Diffondere e fare conoscere le idee, gli strumenti e la forza della nonviolenza attiva è di grande importanza.

Zelensky al festival di Sanremo: spegniamo la TV, spegniamo la propaganda di guerra!

L’iinvito a Sanremo di Volodymyr Zelensky indigna la maggioranza degli italiani. Portare la guerra in una manifestazione artistica cosi importante è solo propaganda. Il presidente ucraino sembra essere diventato il testimonial di una continua raccolta fondi per gli armamenti. Al contrario la musica, l’arte e la cultura dovrebbero essere veicolo di pace e non di guerra!

Al di la dell’opinione che ognuno ha sulla guerra in Ucraina, questo invito al festival di Sanremo assomiglia ad un’operazione di marketing, a una pubblicità alle industrie delle armi, diffondendo il messaggio che la pace debba necessariamente passare per il supporto militare all’Ucraina.

I soldi che siamo obbligati a pagare per il canone RAI non devono essere usati per imporre un’idea ma per creare un’informazione che rispetti la diversità delle opinioni e dei punti di vista. Sappiamo dai numerosi sondaggi fatti negli ultimi mesi che la maggioranza degli italiani vuole una risoluzione diplomatica e immediata del conflitto e non buttare benzina sul fuoco inviando armi.

Liberiamo Sanremo dalla guerra! Invitiamo cantanti e partecipanti a dare un chiaro segno di dissenso e invitiamo tutto il pubblico da casa a spegnere la TV la sera in cui Zelensky parlerà dal palco dell’Ariston.

La Nonviolenza si esprime con il vuoto, con la non partecipazione e non collaborazione con la violenza e l’arroganza.

Spegniamo la TV, spegniamo la propaganda di guerra!

Europa per la Pace  #EuropeForPeace

In copertina; March 14, 2022, Kyiv, Ukraine: Ukrainian President Volodymyr Zelenskyy delivers an address marking the 19th day of the Russian invasion, March 15, 2022 in Kyiv, Ukraine. (Credit Image: Global Look Press/Keystone Press Agency) – Su licenza

Io sono una scuola

Io sono una scuola.
Mi chiamo “scuola di Cocomaro di Cona”.
Cocomaro e Cona non sono i nomi del mio papà e della mia mamma ma è il nome del paese dove abito.
Da alcuni anni mi chiamano anche “scuola Bruno Ciari”. Neanche lui è il mio papà ma il nome di un insegnante che ha sempre creduto nelle scuole come me.

Io sono una piccola scuola… uguale a tante altre scuole.
Però sono una scuola unica e diversa, come tutte le altre scuole.

Sono uguale perché dentro di me si fanno le stesse cose che si fanno nelle altre scuole e sono unica e diversa perché ogni scuola ha bambini diversi, insegnanti diversi, genitori diversi, bidelli diversi quindi i modi in cui si impara e si sta insieme sono diversi.

I miei genitori mi hanno voluto tanto bene. Loro desideravano che io diventassi una scuola dell’infanzia; io invece sognavo di diventare una scuola elementare (o primaria, come si dice adesso).

Un proverbio africano dice: “Se si sogna da soli, è solo un sogno. Se si sogna insieme, è la realtà che comincia“. Così, sognando insieme alla comunità del paese, sono cresciuta e sono riuscita a realizzare il mio sogno.

Sono cresciuta nel periodo in cui tutti i genitori pensavano ad una scuola a tempo pieno cioè una scuola che stesse aperta 8 ore al giorno, che proponesse  alternative educative rispetto alla scuola tradizionale, che rispettasse i tempi di apprendimento dei bambini, che curasse la loro crescita globale, il loro atteggiamento di ricerca, che potesse essere accogliente ed ospitale e che si occupasse dell’osservazione dell’ambiente, della comunicazione con diversi linguaggi, della socializzazione con i compagni e con gli adulti. Insomma una scuola che si preoccupasse di educare i bambini e le bambine ad avere un’intelligenza autonoma, critica e creativa.

La gazzetta del cocomero, il giornale dei bambini della scuola primaria “Bruno Ciari” di Cocomaro di Cona

Quando io ero piccola, sono stata accolta molto bene nel paese e tutti mi hanno aiutata a crescere. Hanno proposto che, a scuola, ci fosse la cucina; si sono inventati una sperimentazione per l’uso di fonti alternative al libro di testo su cui imparare a leggere e a studiare; tutti mi volevano invitare a casa loro; hanno realizzato un giornale dei bambini che si chiama “La Gazzetta del Cocomero (che quest’anno compie 30 anni); si sono riuniti in un’associazione che si chiama “I bambini del Cocomero”, hanno sistemato il cortile della scuola togliendo l’asfalto e mettendo l’erba e hanno fatto tante altre cose.

Tutte quelle persone mi hanno aiutato a capire che si può imparare meglio insieme, divertendosi, anche uscendo dalla scuola ma soprattutto che si può insegnare ed imparare ascoltando le persone.

I primi giorni di ogni anno scolastico, qualche bambino ha un po’ paura di me ma ciò succede perché io sono grande e i bambini sono piccoli e ancora non mi conoscono.

Del resto succede così anche agli adulti, anche loro hanno un po’ paura delle cose che non conoscono, anche se non lo dicono perché tutti abbiamo paura di qualcosa e perfino il buio, che di solito spaventa, ha un po’ paura della luce. Una volta che i bambini hanno imparato a conoscermi, la paura scappa via e lascia il posto alla voglia di venire da me tutti i giorni.

Dentro la scuola i bambini fanno e pensano tante cose, ne imparano e ne insegnano molte e si divertono insieme ai loro compagni e ai loro maestri.
Dentro e fuori dalla scuola si gioca insieme: anche con la terra, i rametti, le foglie e i sassi.
Vicino alla scuola, i bambini imparano a saltare i fòssi perché questo li aiuta ad affrontare i rischi, a sconfiggere le paure e a conoscersi meglio.

Dentro la scuola i bambini imparano a non saltare i fóssi perché le maestre e i maestri gli insegnano a vedere le cose anche da altri punti di vista e, ad esempio dopo un litigio, chiedono: “Cosa avresti fatto tu se fóssi stato nei panni del tuo compagno?”

Mi piace stare aperta fino a tardi la sera.
Mi piace sentir ridere i bambini e le bambine.
Mi piace stare con le finestre aperte sul mondo.
Mi piace quando vengono degli ospiti a trovarmi.
Mi piacciono le storie inventate, i disegni, i colori, l’erba.
Non mi piace quando rimango sola il sabato e la domenica.
Non mi piace quando mi lasciano aperta per le elezioni perché non ci sono i bambini a farmi compagnia.
Non mi piace l’estate perché ho paura che mi abbiano abbandonata (anche se negli ultimi anni mi sono divertita quando nel mio cortile sono venuti a fare delle feste: mi sono sentita più utile).

Per me, non ci sono scuole più brave o scuole meno brave: ci sono scuole che sanno ascoltare i bambini e scuole che vogliono essere ascoltate; ci sono scuole che vogliono insegnare ad imparare e scuole che vogliono imparare ad insegnare; ci sono scuole a cui piace cambiare e scuole che vogliono rimanere sempre uguali.

Io posso solo dire che non sarei la scuola che sono se non avessi conosciuto i bambini, i genitori, le maestre, i maestri, le bidelle, le cuoche, le educatrici e tutti gli ospiti che sono venuti a trovarci.

Nella mia esperienza ho incontrato tanti bambini tante bambine e ho capito che da tutti, ma proprio da tutti, c’è da aspettarsi qualcosa di bello, perché ognuno porta a scuola qualcosa di diverso e di importante: se stesso.

I bambini dicono che la scuola è un posto dove…

  • si impara con gli amici;
  • puoi imparare a studiare e farti dei nuovi amici;
  • si imparano le lettere e i numeri;
  • si impara mentre ci si diverte;
  • si impara a non aver paura;
  • si impara ad affrontare il futuro;
  • si possono fare nuove amicizie;
  • si fanno anche lezioni di vita;
  • si possono risolvere i propri problemi quando si è tristi;
  • si imparano cose nuove e si sta bene con gli amici;
  • ci si diverte e si gioca;
  • far sorridere gli altri;
  • non si deve aver paura di imparare;
  • ti insegnano molte cose bellissime;
  • è divertente stare con gli amici;
  • uno va a imparare ad essere grande;
  • si può essere felici.

Io penso che per fare una SCUOLA non basti la scuola.

Per fare una scuola ci vogliono i bambini e per fare i bambini ci vuole l’amore.
Per fare una scuola ci vogliono gli insegnanti e per fare gli insegnanti ci vuole la passione.
Per fare una scuola ci vuole un paese e per fare il paese ci vogliono tante idee, l’impegno e la partecipazione.
Per fare una scuola ci vogliono la passione, l’amore, tante idee, l’impegno e la partecipazione.

Per fare il futuro ci vuole la scuola.

Ferrara, lunedì 30 gennaio ore 15,00:
in Consiglio Comunale per difendere il Parco Urbano Bassani

 

Lunedì 30 gennaio è un giorno importante. All’ordine del giorno della seduta del Consiglio Comunale di Ferrara c’è la presentazione, la discussione e la votazione della mozione popolare, firmata da centinaia di ferraresi. La richiesta è sempre la medesima: spostare il megaconcerto di Bruce Springsteen dal Parco Urbano G. Bassani, in un luogo più idoneo, salvaguardando così il fragile equilibrio ambientale e l’avifauna del parco.

L’appuntamento per tutti è alle 15,00 di lunedì 30 gennaio sotto lo scalone del Comune in piazza Municipale. 

Ecco il testo della mozione in discussione 

PROPOSTA DI DELIBERAZIONE
Oggetto: Spostamento concerto di Bruce Springsteen del 18 maggio 2023 dal Parco Urbano “ Giorgio Bassani” in un’area idonea nella zona Sud della città
IL CONSIGLIO COMUNALE
premesso che:
– l’Amministrazione Comunale è fortemente impegnata nell’organizzazione di un grande concerto con la partecipazione di Bruce Springsteen presso il Parco Urbano
“Giorgio Bassani” per il 18 maggio 2023, ritenendolo idoneo per questo ed altri eventi simili che si potrebbero svolgere nella suddetta area;
– il Regolamento del Verde pubblico e privato del Comune di Ferrara, redatto nel 2013, nella Premessa riporta che: “Il verde urbano deve essere concepito come ‘valore aggiunto’ da tutelare, perché svolge importanti funzioni climatiche ed ecologiche, urbanistiche e sociali. Contribuisce al miglioramento della qualità urbana rivestendo anche un importante ruolo di educazione ambientale. Il verde, inoltre, svolge funzioni essenziali per la salute pubblica contrastando l’inquinamento atmosferico, termico ed acustico”;
– sempre lo stesso Regolamento all’art.9, comma 7, sottolinea che nel periodo tra marzo e luglio la tutela dell’avifauna sia particolarmente delicata e che gli
abbattimenti di essenze arboree vadano assolutamente evitati
considerato che:
– il Parco Urbano Bassani è stato concepito e costruito, sin dalla sua progettazione, come un’opera di rinaturalizzazione di uno spazio cerniera tra l’area urbana, quella agricola e il fiume, con una vocazione che non si presta allo svolgimento di eventi con le caratteristiche di quello sopra previsto;
– la sede del concerto potrebbe essere compromessa seriamente, soprattutto in caso di maltempo, per quel che riguarda il manto erboso, la tutela igienico-ambientale degli specchi d’acqua e il rispetto della biodiversità della nicchia ecologica costituita dalla galleria vegetale arbustiva, formatasi negli anni lungo la massicciata dell’ex-ferrovia Ferrara-Copparo, come anche per quel che riguarda l’avifauna stanziale e stagionale che nidifica in loco;
– un ampio tratto delle Mura storiche patrimonio dell’UNESCO sarebbe potenzialmente e pericolosamente coinvolto nell’evento;
– una petizione on line organizzata dal comitato civico Save the Park, che chiede che il concerto venga spostato in altra sede, ha raggiunto circa 40.000 sottoscrizioni
IMPEGNA IL SINDACO E LA GIUNTA COMUNALE
– a comunicare pubblicamente lo stato dei rapporti, nonché gli eventuali impegni di carattere economico, tra l’Amministrazione Comunale e gli organizzatori del concerto previsto di Bruce Springsteen per il 18 maggio 2023 – a individuare nell’area Sud della città, e in particolare in quella di pertinenza del demanio statale, il luogo idoneo per lo svolgimento di tale evento in data 18 maggio 2023 e procedere conseguentemente, anche mediante uno studio e un approfondimento apposito
– a sviluppare un nuovo Parco urbano nell’area suddetta, anche con la vocazione di tenere grandi eventi con caratteristiche simili a quello sopra descritto.
Intanto, per conto di alcune ass0ciazioni ecologiste e ambientaliste, è stata spedita  una lettera diffida al Sindaco di Ferrara [leggi il testo su Periscopio]. Essendo già trascorso il termine senza ricevere alcuna risposta da parte del Sindaco, le associazioni stanno preparando un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
La petizione popolare  online “Salviamo il parco Giorgio Bassani di Ferrara #Save the Park“ ha già raggiunto ad oggi le 43.412 firme.
Se non l’hai ancora fatto, leggi e firma qui la petizione

Per certi versi /
Novantesimo minuto

Novantesimo minuto

La domenica sera
Non ha finito
Di travasare
La damigiana
Dei volti
I resoconti
Le immagini
La sigla
Delle partite di calcio
Le cartoline e le voci
Dei giornalisti
Così tipiche
Col loro folklore
Un po’ tifose
Ma con parsimonia
Era inverno
Come adesso
Le domeniche sera
Col riso nel latte
Per stare leggeri
Il cuore nelle ciabatte
E un po’ di candore

Ogni domenica periscopio ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’OlioPer leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

La morte annunciata di Juan Carrito.
Ora ne rimangono solo 50

La morte annunciata di Juan Carrito. Ora ne rimangono solo 50

di Andrea Turco @AndreaTurco5
(da Valigia blu, 25.01.2023)

Il simbolo dell’Abruzzo, una mascotte per grandi e piccini, uno di noi, un simpatico Gian Burrasca, un orso che negli esseri umani voleva trovarci qualcosa di buono: la morte dell’orso marsicano M20, più noto come Juan Carrito per via del nome di una frazione di un piccolo paese abruzzese dove fu avvistato per la prima volta, ha colpito in questi giorni la sensibilità comune.

Juan Carrito era probabilmente l’esemplare di orso più noto in Italia, fotografato e ripreso decine di volte in questi anni nel suo peregrinare tra i parchi nazionali della Maiella e d’Abruzzo, Lazio e Molise, protagonista anche di un documentario. Corrispondeva, a sua insaputa e suo malgrado, all’immagine tenera dell’orso che cinema, animazione e fumetti hanno veicolato nel corso degli anni. In un rafforzamento dell’antropocentrismo per cui ogni animale è a nostro servizio, perché la tesi dell’uomo come “misura di tutte le cose”, per dirla con le parole del filosofo greco Protagora, è ancora quella preminente. Così come, allo stesso tempo, appare fuorviante la retorica di affidare all’orso sentimenti e volontà antropomorfizzate o la tendenza a voler ricavare a tutti i costi dalla morte di un animale una lezione per gli esseri umani.

Juan Carrito è stato investito nei pressi di Castel di Sangro, in provincia de L’Aquila, il 23 gennaio. A darne notizia tra i primi è stato proprio il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

Nel frattempo in quelle ore sui social e su alcune testate online sono circolate le immagini strazianti dell’orso in agonia, che qui vi risparmiamo. Nonostante il buio della sera, le condizioni dell’auto testimoniano che lo schianto con l’animale è stato abbastanza violento: ciò lascia presupporre che il limite orario dei 50 chilometri orari, che vige in quel tratto di strada, sia stato superato. La morte di Juan Carrito è particolarmente delicata: si trattava di uno dei 50 esemplari di orso marsicano ancora esistenti in Italia, con numeri così bassi che evidenziano come si tratti una razza in via d’estinzione. La scomparsa di un maschio, tra l’altro, inciderà negativamente sulla possibile riproduzione. A distanza di alcuni giorni c’è una domanda che nelle tante polemiche sulla morte dell’orso non è stata adeguatamente affrontata: si poteva evitare?

Le misure che si sarebbero dovute adottare

Ad aprile 2022 il giornalista ambientale Ferdinando Cotugno su L’Essenziale, in un articolo che già dal titolo chiedeva “più spazio per gli orsi”, partiva nel suo racconto proprio dall’esemplare abruzzese:
Tecnicamente, Juan Carrito è un “orso confidente”: la sua educazione animale gli ha insegnato a non avere paura degli umani. Che gli orsi non si sentano più in pericolo è una buona notizia, ma è anche una nuova complessità per un territorio così piccolo. Juan Carrito era uno dei cuccioli di Amarena, che nell’estate del 2020 avevano imperversato nella zona di Scanno: sono stati avvistati di continuo, rincorsi dalle auto, fotografati e nutriti. Una volta diventato adulto, ha applicato quella lezione e lo scorso inverno ha trascorso il risveglio dall’ibernazione per le vie di Roccaraso, la più affollata destinazione sciistica della regione. Le sue avventure sono un’antologia di video buffi con titoli come “l’orso che gioca col pastore tedesco” o “l’orso che aspetta il treno in stazione”.

Di più: sono numerose le testimonianze che raccontavano di persone a caccia di un selfie con Juan Carrito o che lasciavano volutamente il cibo in bella vista in modo da attirare l’animale. Gli allarmi su questa eccessiva confidenza, sulla sottovalutazione del fatto che si trattasse pur sempre di un onnivoro e sulla valutazione turistica del fenomeno si susseguivano da tempo, tanto che il WWF ha definito  la morte di Juan Carrito una “tragedia annunciata”.

In una puntata del podcast Dolittle, realizzato da Leonardo Mazzeo ad aprile 2022, venivano già segnalati alcuni facili accorgimenti che si sarebbero potuti adottare immediatamente:
Il miglioramento delle infrastrutture, con barriere e/o passaggi pensati proprio per gli animali, e con una segnaletica più puntuale sia per gli automobilisti che per gli orsi, è il primo passo da fare, ma non basta (…) Al di là dei discorsi sui nuovi impianti sciistici che tolgono spazi vitali, non bisogna mai avvicinarsi troppo agli animali selvatici. C’è da trovare il giusto equilibrio tra il potenziale attrattivo dell’orso e la sua protezione dalle ingerenze umane. Per il bene di tutti, animali ed esseri umani.

Sui passaggi pensati per gli animali, poi, ha sollevato l’attenzione più volte anche Augusto De Sanctis, attivista del Forum H20 e della Stazione Ornitologica Abruzzese, che a Valigia Blu aggiunge come sia “assurdo che nella regione dei cosiddetti parchi, in 30 anni, non si sia costruito un solo ecodotto”. Di cosa si parla? Lo spiega su Il Corriere Nazionale Adriano Pistilli, responsabile tecnico gestione rifiuti ed esperto di diritto ambientale:
Sono ponti, oppure sottopassaggi, le cui prime tracce si ritrovano nella Francia degli anni Cinquanta, e che oggi, anche se in pochi ne sono a conoscenza, sono centinaia in tutto il mondo. Attraverso gli ecodotti, gli animali che vivono in luoghi come foreste e parchi naturali sono liberi di spostarsi senza rischi e attraversare in sicurezza le barriere create dall’uomo come le autostrade. Sono moltissime le specie di animali, dai mammiferi più grandi agli anfibi ai crostacei più piccoli che usufruiscono oggigiorno di questi servizi creati dall’uomo per rimediare almeno parzialmente ai danni degli habitat naturali messi in atto con le sue costruzioni.

Nuovi Impianti di sci e nuovi gasdotti nei territori preferiti dall’orso

L’associazione Salviamo l’orso nasce nel 2012 e da allora, come si legge sul sito, “lavora per salvare l’orso marsicano dall’estinzione, raccogliendo intorno a sé tutti coloro che hanno a cuore le sorti del plantigrado e del suo habitat naturale”. Un’attività complicata, quella dell’associazione, che deve fare i conti con gli interessi e le pressioni economiche. Come quelle che, nonostante la crisi climatica in corso che ha fatto comparire le prime nevi in Abruzzo soltanto negli scorsi giorni, intendono far realizzare nuovi impianti di sci. Il più grande di questi è previsto nel bacino Passolanciano-Maielletta, dove con 23,7 milioni di euro di fondi pubblici si intendono costruire nuovi impianti di risalita (a Roccamorice), un mega-progetto da 6,7 milioni di euro per l’innevamento artificiale e tre parcheggi. Proprio in zone molto frequentate dagli orsi.

Orso Juan Carrito

Il giorno dopo la morte dell’orso Juan Carrito, si è tenuta una conferenza stampa che è stata promossa da 15 associazioni abruzzesi in opposizione al progetto del gasdotto Linea Adriatica, su cui l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) ha lanciato una consultazione pubblica. La nuova infrastruttura, promossa da Snam, prevede in Abruzzo la realizzazione di una centrale di compressione a Sulmona e il raddoppio dell’attuale metanodotto. Che c’entra con la tutela dell’orso la politica energetica italiana? Nel corposo dossier di 25 pagine inoltrato dalle associazioni ad ARERA si segnala che:
La centrale è incompatibile con la tutela dell’orso bruno marsicano, specie ad altissimo rischio di estinzione e protetta in Europa dalla Convenzione di Berna e dalla direttiva Habitat. I Parchi Nazionali della Maiella e dell’Abruzzo, Lazio e Molise, nonché  la Riserva regionale di Monte Genzana, hanno infatti attestato che tra i territori sempre più frequentati dall’orso, sia come corridoio faunistico che come sito di alimentazione, c’è quello di Case Pente dove Snam ha localizzato la costruzione della centrale.

D’altra parte già a luglio 2021 Stefano Civitarese Matteucci, professore ordinario all’università di Chieti e Pescara, in una lunga e articolata riflessione pubblicata sulla rivista “Orizzonti di Diritto Pubblico” aveva spiegato come “la sopravvivenza dell’orso bruno marsicano” passasse anche dal Green New Deal e dalla transizione energetica. Affermando inoltre che:
Anni fa il MITE (oggi MASE, nda) – lo stesso che oggi ha rilasciato l’autorizzazione per la centrale vicino Sulmona nell’area di Case Pente – ha promosso un Piano d’Azione Nazionale per la Tutela dell’Orso bruno Marsicano (PATOM) per apprestare politiche di tutela di questa specie oltre gli storici confini del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM). Il PATOM mira a coordinare tutte le amministrazioni comunque coinvolte nella gestione dell’orso, compresi gli enti parco e le regioni. Un piano di azione è un insieme di misure per assicurare la tutela e il ripristino della biodiversità mediante la gestione integrata delle specie e dei loro habitat. Adottare un approccio cosiddetto specie-specifico rappresenta in molte circostanze la soluzione più idonea per perseguire obiettivi più ampi di tutela degli ambienti naturali. Concentrare gli sforzi di conservazione su alcune specie a rischio di estinzione innesca un effetto a cascata su altre specie e sull’ambiente in cui vivono e, quindi, sulla biodiversità. Questo è l’approccio raccomandato dal Consiglio d’Europa per conservare le specie a più elevato rischio di estinzione. Le campagne di conservazione di alcune specie dotate di particolare carisma – le cosiddette specie bandiera – possono, inoltre, esercitare un impatto tale sull’opinione pubblica da facilitare l’avvio di azioni di sensibilizzazione per la tutela di interi ecosistemi.

Come scrive lo stesso ministero dell’Ambiente, “per dare continuità al Piano d’Azione per la Tutela dell’orso bruno marsicano, APA PATOM 2019-2021, scaduto in data 31 dicembre 2021, è stato predisposto un nuovo accordo PATOM 2022-2024. Il nuovo accordo mira a favorire azioni sinergiche tra tutti i soggetti coinvolti nella gestione della popolazione di orso bruno marsicano e a rispondere a precise esigenze di risoluzione di problemi di convivenza uomo-orso”.

L’ultima riunione del PATOM si è tenuta a luglio 2022 e in essa si è discusso del progetto di ricerca dell’Università La Sapienza di Roma, intitolato “Stima e monitoraggio della popolazione di orso bruno marsicano sull’intero areale di presenza – Valutazione di fattibilità e definizione di scenari di campionamento tramite l’utilizzo di modelli cattura-ricattura spazialmente espliciti”.

Dalla parte dell’orso (e di tutti gli animali)

La morte dell’orso Juan Carrito, temuta e prevista allo stesso tempo, arriva a quasi un anno di distanza dalla riformulazione degli articoli 9 e 41 della Costituzione che hanno introdotto una maggiore tutela dell’ambiente. Se all’art.41 si prevede che “l’iniziativa economica privata non può svolgersi in danno alla salute e all’ambiente”, ancora più importante è la modifica dell’art.9. Non solo perché si è intervenuti per la prima volta nella storia della carta costituzionale sui cosiddetti principi fondamentali, quelli cioè compresi tra l’articolo 1 e l’articolo 12, ma anche perché il nuovo comma prevede l’arrivo di una nuova legge che “disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Una legge di cui, al di là delle facili ironie, si sente l’esigenza. A patto che riesca a uscire fuori dall’antropocentrismo che ci fa occupare di “loro”, gli animali, come se fossero comunque una cosa nostra, di cui poter disporre, e non di esseri senzienti con il proprio diritto alla libera circolazione, senza che questa sia considerata un intralcio e, in maniera speculare, da valorizzare in chiave turistica o comunque umana.

A dicembre 2022, appena un mese e mezzo prima della morte dell’orso Juan Carrito, l’associazione Salviamo l’orso ribadiva che:
Mettere in sicurezza le strade in Appennino centrale è fondamentale per le persone e per gli animali. Negli ultimi due anni –  rileva l’osservatorio di ASAPS Italia, l’Associazione sostenitori e amici della Polizia stradale –  si sono verificati 360 incidenti che hanno coinvolto la fauna selvatica e sono stati classificati come gravi. In Senato si attendono risposte su questo tema: lo scorso 23 novembre è stata infatti presentata un’interrogazione parlamentare a firma di un gruppo di senatori del M5S che chiede interventi ai ministri delle Infrastrutture, dei Trasporti, dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Nei primi 10 mesi del 2022 l’Osservatorio ASAPS ha già registrato 118 incidenti nei quali sono morte 10 persone e 151 sono rimaste ferite. Il 94,9% degli incidenti è avvenuto con animali selvatici e il 5,1% con animali domestici,  98 incidenti sono avvenuti di giorno e 20 di notte, 9 in autostrada e 109 sulla viabilità ordinaria.

Insomma: la convivenza tra umano e animale è una priorità per ciascuna specie.

In copertina: Orso marsicano in Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise via Facebook

Immaginario /
la Biga

la Biga

la biga, come la chiamano a Ferrara, non è solo un mezzo di trasporto. per molto tempo ha scatenato sogni di gloria prima con Coppi e Bartali, dopo un po’ meno con Pantani. lo sport certo, ma c’è anche altro. le bighe sono diventate oggetto di culto, simbolo vintage, quelle vecchie e malandate sono per non fartele fregare, ti portano all’università, al mercato o a fare commissioni.

poi le super tecnologiche, pieghevoli, assistite sono nate per viaggiare o per caricarle sui treni e andare a lavoro. un mezzo ecologico per eccellenza che ti porta da un punto all’altro, anche lontanissimi. ma non solo per le gare sportive. sulle pagine di Periscopio il viaggio di Valentina, durato due anni, è stato raccontato con dovizia di particolari e corredato da foto mozzafiato. una sfida dal Vietnam all’Italia, in solitaria, passando per mezzo Oriente. altri come lei, semplicemente a portare in giro la macchina fotografica per fissare il mondo attraversato e magari cercare di cambiarlo, un po’ di più, un km alla volta.

ecco di cosa parliamo. la bicicletta è partire. ti permette di osservare il paesaggio e di sudarti il viaggio una pedalata dietro l’altra. un viaggio che forse fa incontrare se stessi col fiato corto, i denti stretti e le gambe stanche. e a ogni giro di ruota ti porta in avanti nel vento, nel sole e nella pioggia. ma poi, la biga è un po’ anarchica, a lei dai un codice della strada tutto tuo. per non farti male, quando la guidi, per un tratto puoi anche decidere di seguire la ciclabile. ma il più delle volte la guidi sui marciapiedi, in mezzo alla folla o in controsenso. solo i semafori forse, quelli per non farsi troppo male.

Cover: foto di Ambra Simeone

Il bue scuoiato (Marc Chagall, 1947) e la memoria corta della scuola

Il bue scuoiato (Marc Chagall, 1947) e la memoria corta della scuola

Chagall dipinge questa opera a due anni di distanza dalla fine dell’Olocausto.
Il gigantesco animale scuoiato è un monumento a sei milioni di vittime innocenti.
In alto a destra si vede il nonno del pittore in volo.
Sopra di lui c’è una candela simbolo di pace.

A sinistra. in basso il gallo che preannuncia l ‘alba è il simbolo di resurrezione.

Oggi 27 gennaio in classe ho  l’appuntamento con la Giornata della memoria.
Nei giorni scorsi la visione di alcuni film mi ha aiutato a preparare il terreno.
La mancanza di testimoni diretti non lascia alternative più efficaci.
Il film è un genere simpatico ai ragazzi.
Usa le immagini e l’immagine è il totem della nostra civiltà nel bene e nel male.
Ma desidero sottolineare  un aspetto, che però qui desidero  trattare in modo consapevolmente colloquiale, al fine di provare a far capire a chi non è in classe tutti i giorni, la realtà emozionale scolastica odierna e i grandi problemi che oggi si nascondono dietro la facciata di una Scuola sempre presente nella nostra società.
Anni fa l’impatto emotivo di questi film sulla Shoah era molto più forte sui ragazzi.
Durante la proiezione non era raro vedere visi di ragazzi rigati dalle lacrime.
Pochi anni or sono al Teatro Nuovo di Ferrara venne la Segre per un incontro con alcune classi delle scuole di Ferrara.
Io ero presente con una mia quinta.
Ad un certo punto la senatrice smette di parlare.
La platea di conseguenza rimane muta, e immobile aspetta la ripresa della relazione.
Io interpreto questo comportamento come un momento di grande commozione dovuto al rivivere in un racconto  momenti di vita personale così drammatici.
Mi sbagliavo.
Dopo pochi lunghissimi minuti di silenzio la senatrice si alza in piedi e con voce ferma invita  alcuni ragazzi di una scuola media seduti nelle prime file  a uscire dal Teatro in quanto evidentemente non interessati a ciò di cui si stava parlando.
I ragazzi infatti non avevano ascoltato nulla del racconto sviluppato da Liliana Segre ma avevano parlottato bellamente  fino a quel momento  tra loro fregandosene delle tante immagini di disperazione offerte dal racconto.
Non avevo mai visto fino a quella giornata tanto disinteresse verso un argomento cosi  naturalmente coinvolgente da un punto di vista emotivo.
Quando si separa una madre dal proprio bambino affinché entrambi trovino una  morte del tutto assurda mi pare non servano molte parole di spiegazione, il cuore viene colpito immediatamente!
L’ Olocausto è un argomento infatti che solitamente suscita forti sensazioni da un punto di vista emotivo.
La rappresentazione del Male assoluto tiene il livello di attenzione molto alto nei giovani!
Qualcosa però  negli ultimi anni è cambiato e sta cambiando sotto i nostri occhi.
E questo qualcosa riguarda il contesto generale all’interno del quale avvengono questi racconti. E mi riferisco a cosa l’ambiente culturale e politico generale di riferimento chiede come esigenza prioritaria alla Scuola.
Chiede ancora consapevolezza, autonomia di giudizio critico, formazione insieme classica e scientifica, conoscenza di linguaggi umanistici, sviluppo di personalità complete?
Direi che purtroppo la risposta  è negativa.
Ma se vogliamo capire cosa è la Scuola di oggi, dobbiamo sapere COSA CHIEDE LA SCUOLA oggi ai ragazzi e ai loro docenti !!!
Cosa chiede la politica alla Scuola e cosa chiede l’Europa alla politica per la Scuola.
Interessante vedere come le risposte emotive dei ragazzi si modifichino a seconda del tipo di richiesta culturale portata avanti dal sistema di riferimento
Ma soprattutto risulta molto significativo un secondo aspetto del cambiamento dei comportamenti dei ragazzi.
E questo secondo aspetto riguarda il loro vissuto.
Mi riferisco alla loro capacità di prendere dentro, di accogliere spiritualmente se stessi e l’altro da sé, del livello di empatia, di compartecipazione al dolore dell’altro, di condividere esperienze interiori…
Qui come siamo messi?
Quali anime arrivano nelle nostre scuole insieme a quei corpi, corpi così pesantemente investiti oggi di grande interesse da parte dei ragazzi fino alla loro auto distruzione!
E soprattutto la Scuola che concime possiede per la loro crescita?
Siamo proprio sicuri, per esempio, che la ricetta per lo sviluppo armonico e armonioso della personalità dei ragazzi passi per il totale superamento della lezione frontale del proprio docente come ultimamente si proclama da parte di miopi burocrati della innovazione scolastica?
Ma la lezione frontale, quella “bella” “seducente” , è soprattutto relazione tra due persone sulla base dell’interesse per la conoscenza!
Ma chi lo crea questo interesse, questa motivazione se non l’anima, gli occhi e la bocca di un docente!
Un interesse e una relazione mediata da una macchina funziona all’interno nello stesso modo?
Tutta questa tecnologia, utilissima per certi aspetti, perché oggi  è invocata dagli spiriti innovativi come principale ancora di salvezza non solo sociale ma anche per la crescita individuale?
Il pane per la crescita individuale è e sarà sempre l’altro!
L’altro quello accanto a noi è quello lontano nei secoli che solo la Scuola rende miracolosamente sempre vivo!
Al contrario, Ulisse sarebbe già morto da tempo!
E invece i suoi tormenti, le sue passioni, le sue paure, i suoi amori la Scuola li rende reali, quasi si arriva a toccarli!
Solo la parola del docente riesce a  restituire loro la vita  quando arrivano in tal modo al cuore di nostro figlio!

Presto di mattina /
Zakhor, ricorda!

Un silenzio di attesa

La memoria è un silenzio che attende
L’eredità del silenzio.
I libri si accumulano per casa.
Coprono le pareti, riempiono gli scaffali dell’armadio.
Ci aspettano in silenzio
con le loro pagine serrate dove si infiltrano polvere e umidità.
Disciplinati, mostrano solo il dorso ricurvo ricoperto di pelle,
oppure sottile, stretto, cartaceo.
La memoria è un silenzio di attesa,
una prova di pazienza.
Ana Hatherly

Zakhor, ricorda!

‘Ricorda’, è l’imperativo stesso della fede e così risponde all’appello il salmista:

«In me si rattrista l’anima mia;
perciò di te mi ricordo
dalla terra del Giordano e dell’Ermon,
dal monte Misar.
Un abisso chiama l’abisso
al fragore delle tue cascate;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sopra di me sono passati.
Mia roccia!
Perché mi hai dimenticato?
Perché triste me ne vado,
oppresso dal nemico?
Mi insultano i miei avversari
quando rompono le mie ossa,
mentre mi dicono sempre:
Dov’è il tuo Dio?»
(Sal 42,7-8; 11).

«Quando nel mio letto di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne
A te si stringe l’anima mia:
la tua destra mi sostiene»
(Sal 63,7; 9).

«Mi ricordo di Dio e gemo,/ medito e viene meno il mio spirito»
(Sal 77,4).

E l’abisso risponde all’abisso rompendo il fragore del suo silenzio per bocca del profeta Ezechiele:
«Ma io mi ricorderò dell’alleanza conclusa con te al tempo della tua giovinezza e stabilirò con te un’alleanza eterna» (Ez 16,60).

Eredità di silenzio è la memoria, come biblioteca interiore e silente. Lo stesso vale per i libri sugli scaffali, alle pareti, negli armadi di casa, in attesa, muti. Essi sono la biblioteca che ci circonda, teca delle memorie, eredità del silenzio a noi più cara. I libri e la memoria sono così ai nostri occhi una quotidiana prova di pazienza. Entrambi sembrano chiederla anche per noi, chiamandoci a dimorare nella loro silenziosa e vivente attesa.

Personalmente vi cedo volentieri. E ancora una volta mi sono lasciato prendere da questo esercizio di pazienza. Ho raccolto nuovamente l’invito con tremore e timore perché ricordare, leggere e poi scrivere è far vivere sé stessi, farci uscire dall’oblio, liberarci dalla paura.

Ma anche provare a illuminare l’ignoranza di chi non sa ancora o smascherare l’inganno di chi si ostina a non voler sapere, negando la realtà. È una chiamata a varcare la soglia dei silenzi pieni di memorie, che attendono sempre di nuovo riscatto e liberazione. Memorie che hanno la loro fonte e il loro culmine nel memoriale per antonomasia: quello della Pasqua.

«Questo giorno sarà per voi un memoriale» (Es 12, 14). ‘Memoriale’, che traduce l’ebraico zikkarôn, è parola centrale nel Primo Testamento tanto da essere citata 24 volte. Si richiama al verbo zakhar, ricordare, che è presente 288 volte. In italiano l’espressione rimanda al cuore: un riportare al cuore per riaprilo alle memorie passate. Non pare quindi eccessivo affermare che ricordare è il verbo con cui si origina e si declina la fede stessa.

Nachman il Rabbi cantastorie

Ho cercato così due libri di Nachman di Braslev: uno curato da Martin Buber, Le storie di Rabbi Nachman, (Guanda, Parma 1994); l’altro La principessa smarrita, a cura e con un saggio di Giacoma Limentani e Shalom Bahbout (Adelphi, Milano 1981).

Rabbi Nachman diceva: «Il mondo è come un ponte molto stretto e l’essenziale è non aver paura». La sapienza è quella luce che attraversa questo ponte e accende nell’oscurità e negli abissi del mondo tante piccole luci. Queste piccole luci sono coloro che l’accolgono; scintille del trascendente nel mondo, che lo dispongono all’attesa della salvezza che verrà con il Messia; anzi ne affrettano la venuta, il disvelamento della sua presenza nascosta.

Aperture: «dall’esilio alla stabilità, dal grido al canto gioioso»

Nachman fu uno dei grandi maestri del Chassidismo, anche se durante la sua vita fu molto osteggiato ed ebbe molti detrattori. Il Chassidismo – scrive Martin Buber – sorto alla metà del XVIII secolo, l’ultimo e il più nobile stadio di sviluppo della mistica ebraica, di cui esso costituisce insieme il proseguimento e la confutazione.

Il Chassidismo è la Kabbalà divenuta ethos. Ma la vita che esso insegna non è ascesi. Al contrario è gioia in Dio. La parola chassid significa ‘pio’, ma quella cui qui ci si riferisce è una pietà inserita nel mondo. Il Chassidismo non è una forma di pietismo. Esso è privo di qualsiasi sentimentalismo e rifugge dall’ostentazione dei sentimenti.

Esso trasporta l’al di là nell’al di qua, lo fa dominare sulle realtà di questo mondo e dar loro forma, come l’anima dà forma al corpo. Il suo nocciolo consiste nell’addestrare all’estasi come all’apice dell’esistenza, nel modo più realistico possibile. Ma l’estasi qui non significa, come nella mistica tedesca, una «trasformazione» dell’anima, bensì la sua apertura» (Buber, Le storie, 13- 14);

Il Rabbi di Breslav diceva che «con la gioia la mente diviene stabile, con la malinconia invece va in esilio». Per lui cantare è la forma più gioiosa del narrare e più coinvolgente della stessa sapienza di Dio; e il chassidismo ha sempre attribuito una grande forza di elevazione mistica al canto e alla danza come luoghi di incontro e unione con Dio:

«Sappi che ogni sapienza che esiste al mondo ha un suo canto particolare. Un certo canto è particolare di una certa sapienza e un altro canto deriva da un’altra sapienza … A seconda del suo aspetto e del suo livello, ogni sapienza ha un canto particolare a essa relativo… La fede ha anch’essa un suo canto particolare, abbraccia tutti i canti» (La principessa smarrita, 322-323)

Così per il Rabbi ogni sapienza che risuona nel mondo ha un suo canto particolare e questo canto egli non lo esprimeva in detti o aneddoti come gli altri chassidim, ma lo faceva raccontando storie, inventando racconti, la cui finalità – ricorda Martin Buber – era quella di rivestire le dottrine spirituali e mistiche al fine di renderle visibili: le vie della mistica “non avevano vestito” e perciò attraverso le storie, rivestite di esse, potevano essere comprese e praticate, esse «dovevano costituire il vestito delle dottrine, erano storie che dovevano “risvegliare” ad una Presenza di Dio nel mondo».

Egli – scrive Buber – «voleva far germogliare nel cuore dei discepoli un’idea mistica o una verità di vita. Ma senza che lo avesse già in mente, il racconto prendeva forma nella sua bocca, cresceva al di là delle sue intenzioni ed esplodeva nella sua fioritura, finché non era più una dottrina, ma una fiaba o una leggenda.

Non per questo le storie hanno perduto il loro carattere simbolico, ma esso è diventato più segreto e intimo. Rabbi Nachman si ispirò a una precedente tradizione di fiabe popolari ebraiche… Tutto ciò che esisteva prima di lui era creazione anonima; qui per la prima volta c’è una persona, un’intenzione e una forma personale. Le storie furono messe per iscritto dai suoi discepoli, specialmente dal discepolo prediletto, Natan di Nemirov» (Buber, 36-37).

Le storie aprono vie di trascendenza

Le storie tracciano sentieri sull’abisso. Nel cammino delle parole i passi dell’uomo, le sue storie.

Nachman fu il pronipote del fondatore del chassidismo Ba’al Shem Tov/il Maestro del Buon Nome. Anche per lui era fondamentale la luce della preghiera, per scorgere gli oscuri cammini che portano nel mondo all’incontro con la redenzione promessa; che fanno avvicinare e ridestano la speranza della venuta del Messia.

Ma quando egli vedeva che i “canali superiori” si erano oscurati a tal punto che non era possibile percorrerli con la preghiera, il Rabbi di Breslav li ritrovava attraverso il racconto di storie. Diceva infatti che molte cose nascoste e molte cose elevate, anche se disperse, sono come le scintille di luce, indicano la presenza del divino nel mondo.

Nelle sue storie egli ammira il cammino della Parola: «La parola provoca una vibrazione d’aria che si trasmette di particella in particella, finché raggiunge l’uomo che accoglie la parola del compagno e con essa accoglie la sua anima e ne viene risvegliato» (ivi, 25).

La parola che sale dal profondo dell’anima – ricorda ancora Buber – è da considerarsi non già opera dell’anima, ma l’anima stessa, la sua presenza nascosta nel travaglio dell’umanità, nel processo che opera la redenzione. E nel suo insegnamento egli non pronunciò alcuna parola che prima non fosse passata attraverso il dolore e la nostalgia del suo popolo: che non fosse “cresciuta nelle lacrime”.

«Talvolta le mie parole entrano come in silenzio nell’ascoltatore e riposano in lui e agiscono più tardi, come un lento farmaco; talvolta le mie parole non agiscono subito nell’uomo a cui io parlo, ma quando lui poi parla a un altro esse ritornano verso di lui, entrano nel suo cuore in grande profondità e portano a perfezione la loro opera» (ivi).

Il mosaico della memoria nel mosaico delle parole narranti

Scrivere storie e raccontarle è mestiere di mendicanti. Così ho pensato leggendo il racconto de I sette mendicanti. Il termine kavzan, ‘mendicante’, significa anche ‘colui che raccoglie’. I sette mendicanti di Nachman sono come i cantastorie, che girano il mondo raccogliendo i frammenti di gioia che vi si trovano dispersi, per donarli agli uomini semplici. Con le loro storie tengono unito il mondo perché non si disperdano le scintille di gioia e di luce in esso.

Scrivere storie allora è come comporre un mosaico: una pratica di condivisione che spezza la solitudine che rinchiude, aiuta a guardare avanti, mostrando nuove strade nel futuro impenetrabile. Aggiungendo racconto a racconto come combinando tessera a tessera, memoria a memoria di un puzzle infinito, le nostre storie si scoprono illuminate dal di dentro, abitate da una presenza che come la principessa smarrita viene ritrovata e liberata dal “non bene”.

È questo il tema centrale del racconto: il ritrovamento della Shekinah – la principessa smarrita – prigioniera del “non bene”. Il termine è tradotto con “egli causò di dimorare”, dunque lo stabilirsi della presenza divina o la dimora di Yhwh sulla terra nascosto tra gli uomini. Alla ricerca della principessa parte il viceré, che simboleggia sia ogni persona, sia il popolo d’Israele, collaboratori di Dio nell’opera redentrice che consentirà l’avvento del Messia.

Raccontare storie poi libera dalla prigionia e dalla solitudine dei propri ricordi opprimenti, che imprigionano nel passato. Narrare storie aiuta a sopravvivere al dolore, libera dal suo irrigidimento (Hannah Arendt), perché dischiude un senso nascosto con cui costruire nuova memoria; è un tenere unita la propria memoria con la memoria collettiva, come in un mosaico infinito che non isola nessun tassello – anche quello più insignificante – inserendolo in un orizzonte più grande: l’abisso dell’immanenza umana congiunto e abitato da quello della trascendenza divina.

Fate memoria che questo è stato

«Meditate che questo è stato:/ Vi comando queste parole./ Scolpitele nel vostro cuore (Primo Levi).

Zakhor, ricorda! Non è solo un imperativo per l’uomo, ma anche per il Santo, Benedetto è detto infatti di Lui nel libro della preghiera/tehillìm:

«Si ricordò della sua alleanza con loro
e si mosse a compassione,
per il suo grande amore»
(Sal 106, 45; Sal 105, 8, 42).

«Il Signore si ricorda di noi, ci benedice:
benedice la casa d’Israele,
benedice la casa di Aronne»
(Sal 115, 12)

«Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele»
(Sal 98, 3)

«Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi,
perché il suo amore è per sempre».
(Sal 136, 23).

La parola appartiene a tutti

Scrive Giacoma Limentani: «Dicono i Maestri ebrei che lo zikkaron, la memoria, è il più prezioso tesoro che la vita mette a nostra disposizione. Come tale va tenuto in gran conto perché le esperienze passate, storiche come personali, aiutano a non ripetere gli errori commessi: solo in base a un loro ricordo critico si può vivere il presente in funzione del futuro…

Nachman dice che del passato si devono dimenticare i sentimenti provocati da eventi che hanno fatto soffrire. Se ci si libera l’anima da questi sentimenti, che a eventi trascorsi dovrebbero venir superati, è possibile oggettivare le cause che li hanno suscitati, e giudicarle con l’obbiettività indispensabile a ogni proficuo apprendimento morale.

La gioia si può e si deve ricordare perché la gioia aiuta ad amare, e infatti con profonda volontà di dare gioia Nachman lastrica le tavole del palcoscenico su cui pone i personaggi delle sue storie. Chassidim vi si mescolano alla pari con principesse vestite di luce, re, imperatori, giganti, briganti e animali parlanti. Su quel palcoscenico la parola appartiene a tutti. Vita vissuta e parola narrata vi si confondono in modo da dire e non dire, per trarre in inganno l’Altra Parte (il Non Bene, il Maligno).

Soprattutto con le sue favole Nachman insegna che trarre in inganno e rendere inoffensiva l’Altra Parte equivale a far risplendere la verità che costruisce questa parte: la parte in cui le creature di Dio devono tornare a vivere affratellate dalla consapevolezza di discendere tutte dall’unico Padre comune» (Nachman racconta. Azione scenica in due atti, Giuntina, Firenze 1993, 23-24).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica di Andrea Zerbini, clicca [Qui]

 

VIDEO-SETTING. VIDEOARTE: ORIGINI E SPERIMENTAZIONI
Dal 28 gennaio alla galleria Zanzara arte contemporanea

VIDEO-SETTING. VIDEOARTE: ORIGINI E SPERIMENTAZIONI

Zanzara arte contemporanea nasce nel cuore della città di Ferrara con l’obiettivo di sviluppare mostre e progetti con artisti nazionali e internazionali, riavvicinando e riconnettendo l’arte contemporanea al tessuto urbano e sociale della città. Con un programma espositivo che ha visto l’apertura al pubblico di due spazi, sviluppa virtuose connessioni al fine di promuovere il lavoro di artisti mid-career e artisti riconosciuti, partendo dall’assunto che “l’arte è una zanzara dalla mille ali” (Beuys, 1981). All’organizzazione di mostre interne agli spazi, si affianca il lavoro dell’associazione culturale che rivolge la sua attenzione all’esterno delle mura, per aprire dialoghi e costruire sinergie con il territorio e le altre realtà che operano in ambito culturale. L’intento di zanzara arte contemporanea è quello di promuovere e diffondere l’arte contemporanea in ogni sua forma, dotando la città di Ferrara di un nuovo centro di arte contemporanea, intesa come campo di ricerca trasversale e multidisciplinare. Proponendosi come nuovo centro per l’arte contemporanea, si posiziona nel panorama culturale della città come un punto di riferimento per artisti, curatori, studenti, addetti ai lavori e appassionati; luogo di incontro e contaminazione di idee.

L’associazione intende valorizzare la produzione culturale innovativa, con particolare attenzione alla sostenibilità dal punto di vista ambientale, economico e sociale, ed innescare processi di riqualificazione urbana e rigenerazione culturale. Aumentare l’indotto sul territorio, coinvolgendo artisti nazionali e internazionali, con lo scopo di aumentare nei residenti il senso di orgoglio e appartenenza alla comunità locale e al territorio.

Zanzara arte contemporanea ha iniziato il suo percorso a settembre 2022 inaugurando due mostre patrocinate dalla Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Ferrara: Odessa Sole mio di David Grigoryan, fotoreporter e street-photographer ucraino e Anomaliae di Elisa Leonini, riconosciuta artista ferrarese. L’associazione ha collaborato nel mese di ottobre e novembre 2022 con il CNA di Ferrara nella costruzione dell’ultima edizione del Festival Cardini – Esperienze di Videoarte. Il programma espositivo prevede inoltre, lo sviluppo di una Project Room che si configura come contenitore sperimentale – collaterale e temporaneo – che accoglie proposte progettuali esterne, selezionate dal team curatoriale.

VIDEO-SETTING 

VIDEOARTE: ORIGINI E SPERIMENTAZIONI

Sabato 28 gennaio 2023 alle ore 16.30 prende il via la rassegna Video-Setting con conferenza e video proiezioni a cura di Carlo Ansaloni e l’apertura della mostra di Marco Caselli Nirmal.

 

Video-Setting – il cui titolo vuole rievocare Videoset, una delle manifestazioni di importanza internazionale promosse dal Centro Video Arte di Palazzo dei Diamanti di Ferrara negli anni Ottanta – si configura come una rassegna annuale la cui prima edizione, intitolata Videoarte: Origini e Sperimentazioni, si suddivide in 2 fasi. E’ articolata in sei conferenze sul tema, un’esposizione fotografica, alcune proiezioni video e due importanti mostre.

 

Video-Setting / Videoarte: Origini e Sperimentazioni sotto la direzione artistica di Maurizio Camerani, è organizzata da zanzara arte contemporanea con il supporto tecnico di Feedback APS e il patrocinio del Comune di Ferrara. La rassegna vede il coinvolgimento di alcuni tra i massimi esperti del settore e intende ripercorrere le tappe che tra gli anni Settanta e Ottanta hanno segnato la diffusione della videoarte in Italia – momento in cui il Centro Video Arte di Palazzo dei Diamanti ha rivestito un ruolo di assoluto rilievo – e offre una panoramica della scena contemporanea che illustra i percorsi in cui tale pratica è andata diversificandosi e modificandosi nel corso dei decenni.

 

Rivolgere l’attenzione alla videoarte e in particolare al Centro Video Arte, significa riappropriarsi e mantenere viva la memoria di ciò che ha reso Ferrara centro nevralgico di un’esperienza importante delle arti contemporanee.  Il Centro Video Arte, diretto da Lola Bonora con la collaborazione di Carlo Ansaloni, la cui pionieristica attività è documentata all’interno degli archivi delle Gallerie dArte Moderna e Contemporanea di Ferrara, è stato infatti la prima istituzione pubblica italiana dedicata alla videoarte. Grazie alla precedente esperienza e al lascito importante dell’esposizione ‘Videoarte a Palazzo dei Diamanti. 1973/1979. Reenactment’ organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara nel 2015, che ha permesso di riportare alla luce una selezione di opere video degli anni ‘70 restaurate presso i laboratori La Camera Ottica e CREA del DAMS di Gorizia (Università di Udine), disponiamo di un patrimonio artistico la cui rilevanza storica è tra i temi centrali affrontati dai relatori.

 

Ad accompagnare gli interventi e nel corso della fase 1 della rassegna Video-Setting, sarà allestita una selezione di scatti del fotografo Marco Caselli Nirmal, a cura di Massimo Marchetti, che documenta l’attività del Centro Video Arte di Ferrara intorno agli anni Ottanta. Nel corso della rassegna, saranno inoltre proiettati alcuni video a cura di Carlo Ansaloni, Lisa Parolo e Maurizio Marco Tozzi che insieme a Cosetta G. Saba, Francesco Spampinato e LIUBA, sono i relatori della prima edizione di Video-SettingLa fase 1 di Video-Setting/ Videoarte: origini e sperimentazioni comprende i primi 3 incontri, elencati nel programma e si svolgerà dal 28 gennaio 2023 presso le Ex scuderie di zanzara arte contemporanea, in Via del Podestà 14A a Ferrara. La fase 2 partirà nel mese di settembre 2023. Le mostre e gli incontri della rassegna sono a ingresso libero.

 

PROGRAMMA

Video-Setting / Videoarte: origini e sperimentazioni Fase #1 | gennaio – febbraio

 

SABATO 28.01.23 | Opening Video-Setting | 1° incontro

– ore 16.30 | Set 1978-1988 / il Centro Video Arte nelle fotografie di Marco Caselli Nirmal

La mostra a cura di Massimo Marchetti, propone una selezione di fotografie di Caselli che ripercorre alcuni momenti importanti dell’attività del Centro Video Arte di Ferrara.

ore 17.00 | TALK | Il Centro Video Arte di Ferrara: le origini, la collezione

Relatore: Carlo Ansaloni, tra i fondatori del Centro Video Arte di Ferrara.

La conferenza, accompagnata da una selezione video a cura di Carlo Ansaloni, intende ripercorrere le principali tappe del Centro Video Arte di Ferrara, dalle origini ai successivi sviluppi. Intervengono: Carlo Ansaloni, Maurizio Camerani, Massimo Marchetti.

 

SABATO 11.02.23 | 2° incontro

ore 16.00 | TALK | La collezione video della Galleria del Cavallino di Venezia

Relatore: Lisa Parolo, AU di ArchiveOn Srl.

La conferenza, accompagnata da una selezione di video a cura di Lisa Parolo, mette in luce le pratiche artistiche e sperimentali di alcuni degli artisti più vicini alla Galleria del Cavallino che negli anni Settanta hanno collaborato con Paolo e Gabriella Cardazzo alle attività promosse dell’omonimo centro di produzione di videoarte (dal 1974 al 1980 circa). Intervengono: Lisa Parolo, Maurizio Camerani, Massimo Marchetti.

 

SABATO 18.02.23 | 3° incontro

ore 16.00 | TALK | Il Festival Internazionale di videoarte Over The Real

Relatore: Maurizio Marco Tozzi, direttore di Over The Real (Lucca)

La conferenza vuole essere una riflessione sulle Nuove Poetiche Digitali e di come la continua evoluzione tecnologica ha contribuito alla nascita di nuovi scenari nel campo del linguaggio audiovisivo. Intervengono: Maurizio Marco Tozzi, Massimo Marchetti, Maurizio Camerani.

Informnazioni utili

Video-Setting è un progetto di zanzara arte contemporanea
Date incontri fase 1: 28.01.23 (h17)– 11.02.23 (h16) – 18.02.23 (h16)
Date mostra fase 1: 28.01.23 al 18.02.23|giovedì h10-13/venerdì e sabato h15-18.
Luogo: zanzara arte contemporanea | via del Podestà 11/11A e 14A Ferrara

contatti
email  info@zanzaraartecontemporanea.it  
sito     www.zanzaraartecontemporanea.it
Instagram  | Facebook

ufficio stampa
email  press@zanzaraartecontemporanea.it

+39 3334573298/+39 3333942252

Storie in pellicola / Hometown – La strada dei ricordi

 

Una passeggiata per Cracovia, a ripercorrere difficili momenti della vita, l’idea molto speciale di due giovani registi polacchi Mateusz Kudla e Anna Kokoszka – Romer. Quella di restituire, con ironia, una memoria molto dolorosa, scegliendo, in tale avventura, due grandi artisti, il grande fotografo Ryszard Horowitz e il regista-attore-produttore Roman Polanski, tornati in Polonia per condividere i ricordi più personali della loro infanzia e giovinezza.

È Hometown – La strada dei ricordi, un prezioso e toccante dono, nell’ennesima Giornata della Memoria: dopo la proiezione alla Festa del Cinema di Roma, lo scorso 20 ottobre, il docufilm è appena uscito in sala, il 25 gennaio.

Sei anni di differenza, il primo nato a Cracovia nel 1939, il secondo a Parigi nel 1933, a Cracovia hanno frequentato lo stesso liceo artistico. Camminando per le strade dell’ex capitale polacca, la coppia Horowitz-Polanski ripercorre il passato e ricordano i momenti dolorosi della loro esistenza, durante l’Olocausto, quando si incontrarono nel ghetto ebraico costruito dai nazisti.

I due registi, che firmano anche la sceneggiatura e il montaggio del film, li seguono, invisibili e silenziosi, con discrezione e rispetto, fin dal loro incontro in aeroporto. Con essi rivedono la piazza principale della città, una sala cinematografica di quartiere, gli appartamenti in cui hanno abitato, il cimitero dove sono sepolti i cari, la scuola ebraica, la sinagoga, il muro della memoria, il ghetto. Luoghi che parlano da soli.

Raccontano una storia di sopravvivenza: come Horowitz, deportato piccolissimo ad Auschwitz, divenne uno dei bambini più giovani salvati dall’imprenditore Oskar Schindler (motivo per cui lo si intravvede in una rapidissima apparizione in Schindler’s List di Steven Spielberg) e come Polanski si nascose in un piccolo villaggio, dopo essere fuggito dal ghetto, nella casa di una povera famiglia contadina.

E pur molto diversi, la loro passione li ha tenuti insieme. Hanno saltato la scuola per andare al cinema, sviluppato le loro prime fotografie e si sono innamorati dell’arte. Nella triste realtà della Polonia comunista, contro il volere dei governi, hanno studiato i grandi artisti, scoperto la bellezza del jazz e iniziato a pensare di lasciare il paese.

Da quando Polanski ha lasciato Cracovia per girare film e Horowitz è fuggito a New York per perseguire la sua carriera nel campo della fotografia, non hanno mai avuto la possibilità di rivedersi in Polonia. Ora, dopo molti anni, tornano a vedere tutti i luoghi che li hanno resi quelli che sono oggi. E tornano non come artisti di fama mondiale, ma come persone con una lunga esperienza vissuta, i cui successi affondano radici nella consapevolezza della guerra e del totalitarismo, del trauma e dell’alienazione.

Due anime che parlano di argomenti che toccano ogni essere umano, come il passaggio del tempo, la memoria, la ricerca del senso e il tentativo di definire la propria identità.

Mi sembra tutto un sogno. Come avrei potuto pensare, da ragazzino del ghetto, che un giorno sarei stato accolto nella mia città con un tale applauso?”, ha detto Roman Polanski, pensando a lui e al suo amico d’infanzia che non solo sono sopravvissuti, ma hanno anche trovato il loro posto nel mondo, raggiunto incredibili successi e riconoscimenti a livello mondiale che, si direbbe, i ragazzi del ghetto di Cracovia non avrebbero mai potuto sognare.

Grande merito ai giovani registi, quello di aver gestito due geni, ognuno nel suo settore, fotografia o cinema. Li hanno resi spiritosi, grandi storyteller, e hanno rubato delle emozioni così private e antiche da creare un piccolo capolavoro. Muovendosi fra fantasmi e paure.

Dice, infine, Horowitz: “Le persone non imparano dalla storia. Non traggono alcuna lezione. La mancanza di rispetto per le religioni diverse, per le origini diverse o il colore della pelle è una cosa molto crudele, che dimostra che la storia si ripete. Tutto si ripete, dopo qualche decennio, la guerra o qualche disordine. Le persone sono sempre crudeli“. Amara verità.

Hometown – La strada dei ricordi, di Mateusz Kudla, Anna Kokoszka-Romer, con Roman Polanski, Ryszard Horowitz, Bronislawa Horowitz Karakulska, Stanislaw Buchala, Polonia, 2021, 75 minuti

Mateusz Kudła, classe 1991, è regista e produttore di film premiati, inclusi i famosi documentari Polanski, Horowitz. Città natale e Photo Film People. Per 11 anni ha lavorato per la televisione indipendente polacca TVN creando i suoi rapporti originali per TVN24 e per le notizie di prima pagina del più grande notiziario polacco Fakty.

Anna Kokoszka-Romer, classe 1988, è autrice di articoli sulla stampa e su internet. Ha lavorato in una stazione televisiva, oggi associata all’edizione principale del programma informativo e ha una laurea in Giornalismo, Comunicazione social e Culturale presso la Jagiellonian University. Nella tesi Il mito in bianco e nero dell’icona della cultura pop si è concentrata sulla presentazione dell’immagine di Roman Polanski nei media. È stata premiata con “The Audience Award” al Krakow Film Festival.

Immagini Robert Sluszniak, cortesia ufficio stampa Eliseo Entertainment

Mostra fotografica alla Biblioteca Bassani: Il giorno della Memoria sulle tracce del dottor Fadigati

 

Arcigay Ferrara riporta alla biblioteca Bassani la mostra curata da Roberto Carrara e Luciana Passaro

Arcigay Ferrara “Gli Occhiali d’oro” celebra il Giorno della Memoria ricordando la figura del dottor Fadigati, personaggio nato dalla penna di Giorgio Bassani, con la mostra  “Sulle tracce del dottor Fadigati – Immagini e luoghi interiori  IERI | OGGI” che sarà inaugurata sabato 28 gennaio alle ore 10 presso la biblioteca comunale Giorgio Bassani, in via Giovanni Grosoli, 42, e sarà visitabile fino all’11 febbraio.

La mattinata si aprirà con un intervento di Manuela Macario sul tema “Triangolo rosa: lo sterminio dimenticato” . A seguire si terrà l’inaugurazione della mostra fotografica, con la partecipazione di Silvana Onofri componente della Fondazione Giorgio Bassani e presidente di Arch’è.

L’esposizione mette a confronto passato e presente in una correlazione di fotogrammi tratti dal film “Gli Occhiali d’Oro” di Montaldo e immagini fotografiche realizzate dall’autrice Luciana Passaro.
Fotogrammi nei quali affiora il senso di emarginazione e solitudine del protagonista del romanzo, il dottor Fadigati, “reo” di essere omosessuale, costretto, come altri, a negare la propria identità, a vivere all’ombra di incontri fugaci, di desideri abortiti, di sentimenti non corrisposti. Immagini del presente nelle quali i protagonisti dell’oggi si sono riappropriati della propria identità, hanno conquistato la libertà di vivere alla luce del sole desideri e sentimenti.

La mostra, ideata e curata da Roberto Carrara e Luciana Passaro, già esposta in Ripagrande 12 nel 2020, è parte di un più ampio progetto dedicato al romanzo Gli Occhiali d’oro, e in questa occasione, a distanza di due anni, viene accolta e riproposta dalla Biblioteca Comunale Giorgio Bassani, in memoria dell’omonimo scrittore ferrarese e a eterna memoria di chi pagò con la vita la propria diversità.

Ai Ferraresi piace partecipare. Sempre di più: 100 persone all’ultima assemblea di quartiere contro il progetto Fe.ris.


Si è concluso mercoledì nel tardo pomeriggio,
il tris delle assemblee di quartiere direttamente colpite dal progetto Fe.Ris.

La riunione del Comitato via Scandiana – ex caserma ha radunato quasi cento partecipanti (in totale oltre 250 presenze nelle tre assemblee di quartiere effettuale, Ndr.), assiepati anche in piedi nella sala del Csv e nell’atrio.
Alessandra Guidorzi del Forum Ferrara Partecipata, l’architetto Malacarne di Italia Nostra e Marcello Toffanello, residente e storico dell’arte, hanno aperto i lavori illustrando i vari aspetti del progetto urbanistico della Giunta. “Questi incontri specifici dei Comitati di quartiere – ricorda Alessandra Guidorzi – hanno lo scopo di concretizzare la mobilitazione dei cittadini, ignari della vera portata dello sciagurato progetto della Giunta. Il Forum Ferrara Partecipata sta ridando voce alle persone, che invitiamo ad esprimere il proprio sogno di città. Nel nostro sito ferrarapartecipata.it, si trovano tutte le informazioni tecniche e organizzative”.

“Sventrare la zona Scandiana, abbattendo i muri per creare una piazza nel bel mezzo del quartiere – argomenta Andrea Malacarne – è uno sfregio alla storia della città. Il centro storico è una risorsa di cui vanno identificate le nuove funzioni con un processo democratico e trasparente, come è stato per il recupero delle mura della città con i fondi Fio.”

“Dove è finita la cucitura urbanistica tra Schifanoia, Bonaccossi, Marfisa? – si chiede Toffanello – Il parcheggio in via Volano e gli edifici nuovi incombenti su Schifanoia, previsti da Fe.Ris. ne fanno un progetto che smentisce il marchio Unesco sulla città”.

Nasce un dibattito vivace che declina dalla rassegnazione (“Se hanno firmato il preliminare per la ex caserma, c’è poco da fare. Purtroppo è una classica speculazione edilizia, come tante altre in passato”), alla creatività (“Bisogna fare manifestazioni e poi progettare usi innovativi degli spazi per piccole nuove imprese”), alla concretezza (“Bisogna bloccare il progetto e basta: dobbiamo aumentare la mobilitazione perché i politici promettono di ascoltarci per discutere, poi non si fanno più sentire, come l’assessore Balboni. Allora saremo noi ad informare i cittadini e ad approfondire con i tanti esperti che hanno aderito al Forum”).

C’è anche chi invoca la scesa in campo di Vittorio Sgarbi: “Un suo intervento sarebbe decisivo”), ma Andrea Malacarne fredda gli entusiasmi: “Lo abbiamo già invitato ad esprimersi durante un convegno di Italia Nostra, ma ha svicolato senza dire niente”. E’ proprio Italia Nostra ad aver presentato ricorso al Tar contro Fe.Ris., puntando il dito sulla palese assenza di interesse pubblico in tutto il progetto, e quindi la impossibilità di invocare la deroga alle norme del piano regolatore vigente.

In conclusione, è stata annunciata la prossima iniziativa del Forum: un flash mob nella mattina di sabato 4 febbraio in via Scandiana, proprio davanti al portone della ex caserma, di fronte alla Cavallerizza.

Saluti dal Parco Urbano:
un podcast sull’impatto ambientale dei concerti

La musica può ancora cambiare il mondo? Nel bene e nel male, la risposta non può che essere affermativa. Per più di cinquant’anni ci abbiamo provato a suon di canzoni, eppure, ciò di cui abbiamo bisogno adesso è una presa di posizione: delle semplici parole e dei piccoli gesti con cui i musicisti più influenti del pianeta possono sensibilizzare l’opinione pubblica, aiutandoci a ripensare alcune delle nostre abitudini.

Il podcast che ho realizzato assieme a Nicola Cavallini parla proprio di questo, cioè di una questione con cui abbiamo appena iniziato a fare i conti: l’impatto ambientale dei concerti sul nostro pianeta. Nel farlo, abbiamo preso spunto dalla vicenda più vicina a noi, ossia il chiacchierato e attesissimo concerto di Bruce Springsteen a Ferrara, del quale abbiamo già parlato più volte da queste parti.

Greetings from Bassani Park è quindi un mezzo per approfondire ulteriormente la questione, ponendo l’accento sulla responsabilità di tutti noi: dai fan ai musicisti, passando per gli organizzatori.
Il podcast è ascoltabile su Spotify [Qui] e Spreaker [Qui], nonché cliccando sul player qui sotto.

Ascolta “Greetings from Bassani Park – Il concerto di Springsteen a Ferrara e l’impatto ambientale dei tour” su Spreaker.

Parole a capo
Vito Antonio Conte: “Monolocale” e altre microstorie

Ogni evento può essere spremuto, concentrato in una poesia. Ogni fatto contiene in sé una carica che la poesia è pronta e in grado di raccogliere.
(Wisława Szymborska)

Monolocale

mi disse vieni
entrai
mi prese per mano
e salendo
su una scala a chiocciola in ghisa
mi portò sull’ammezzato
così basso che dovetti chinare il capo
per non toccare la volta
una di quelle volte di antica costruzione
a stella le chiamano quaggiù
e mi sembrò davvero
di essere in cielo
e di poterlo toccare
quando lei fu su di me
e
muovendosi piano
cominciò a sussurrarmi
parole mai più ascoltate

da “POLVERE DI SESSO
e altre (brevi) storie
(Luca Pensa Editore – 2004)

XXXIV

viaggio insieme
alla delusione di un momento
sotto questa luce lunare
che allunga le ombre
delle chiome degli ulivi

nella sterminata campagna
dove la mia tristezza
è vicina soltanto
alle carcasse delle cicale
schiattate
dopo tanto cantare

da “DI IMMUTATI RESPIRI
(Luca Pensa Editore – 2006)

XXV

T’ho baciata
Senza neppure sfiorarti
Per godere del tuo sorriso

da “RARE RONDINI A PRIMAVERA
(sempre più gabbiani lontani dal mare)
(Edizioni i Quaderni del Bardo Edizioni – 2016)

INEDITO (1)

Forte vento di scirocco
Spazzola un paio di grigi
(Forse più)
Mescolandoli nel cielo
Il cielo su di me
Poi la pioggia sferzante
(Non è giorno per la solita scrivania)
Potrei deviare verso Sud
Lasciare l’auto nello sterrato dei pini
Liberarmi della mia giacca di pelle consunta
Mettere sul piatto un vecchio vinile
Regalarmi tre note blues
E perdermi lassù insieme al volo del falco
Sognando un po’ intanto che foglie danzano

INEDITO (2)

a volte penso cose strane
(tra le tante) tipo:
quante cravatte
dio che gran quantità di cravatte
un numero pazzesco di cravatte
tutte le cravatte che ho avuto fin qui
tutte quelle che non ho più
(come tant’altro ormai)
nella smania di liberarmi
dell’inutile e del superfluo
adesso le campane che suonano a mezzogiorno
e il canto estenuante delle ranocchie
s’accordano bene a quel che indosso
(insomma niente di normale)
ma si sa importa come qualunque cosa
si porta in giro nell’altrui incedere

Vito Antonio Conte è nato per caso in uno dei tanti Sud e nonostante tutto e tutti lì sempre torna, spesso sta (anche quando non vorrebbe, ma gli tocca).
La sua scrittura è stata pubblicata (prevalentemente) da Luca Pensa Editore: un paio di romanzi brevi (o racconti lunghi, che dir sii voglia) e una decina di sillogi poetiche.
Suoi scritti sono anche presenti in diverse scritture corali, pubblicate sia in cartaceo che sul web.
La sua ultima pubblicazione è “Perse tra le carte” (Luca Pensa Editore, 2020). D’altro chi vorrà sapere, cercherà.
La rubrica di poesia Parole a capo, curata da Pier Luigi Guerrini, esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio.
Per leggere i numeri precedenti clicca[Qui]

“Profondo Lago”, l’ultimo libro di Gaetano Sateriale sulla difficile e gloriosa stagione sindacale al Petrolchimico di Ferrara

 

E’ il titolo del libro scritto da Gaetano Sateriale, la storia della più grave crisi della chimica italiana dei primi anni ’80, che colpì non solo il  Petrolchimico di Ferrara ma anche quelli di Mantova, Marghera e Ravenna. Ciò portò ad una durissima ristrutturazione e alla perdita di migliaia di occupati nel famoso “quadrilatero padano” a causa soprattutto del disinvestimento di tanti impianti produttivi in assenza di sostituzioni.

Nel libro di Sateriale, che sarà presentato il 26 gennaio, presso la mensa del Petrolchimico di Ferrara, la premessa recita: “Pochi sanno quanto sia (stato) decisivo il sindacato nella innovazione delle imprese e del lavoro: non lo sanno i partiti, non lo sanno le istituzioni. Delle relazioni industriali non c’è più memoria, nemmeno tra gli imprenditori e i sindacalisti. Qui una serie di sequenze dal vero di quei difficili anni. Quando, passato l’autunno caldo, arrivarono i momenti duri delle ristrutturazioni nelle aziende. Dove bisognava sporcarsi le mani per difendere i posti di lavoro e non bastava più sventolare le vecchie bandiere rosse. Faccia chi vuole le differenze tra allora e oggi. Era ieri, sembra passato un secolo”.

In effetti sembra molto lontano quel tempo fatto di una grande partecipazione, di dibattiti, confronti (anche aspri), ecc. che hanno portato a soluzioni e innovazioni fondamentali nel confronto tra le aziende e i sindacati su come ristrutturare l’assetto industriale, modificare l’organizzazione del lavoro, difendere l’occupazione, la professionalità, la parità di genere, la formazione continua, il rispetto dell’ambiente, ecc.

Fra queste importanti innovazioni,  un esempio è l’Accordo del 10 luglio 1986  sottoscritto tra il sindacato dei chimici, la società Himont e la  regione Emilia Romagna (rappresentata allora da Pier Luigi Bersani), col quale si stabilirono modalità e tempi di formazione e delle assunzioni presso il Centro Ricerche Giulio Natta di Ferrara, di 20 giovani all’anno (sia maschi che femmine) per il periodo 1986-90, con il quale iniziò la presenza delle donne negli impianti pilota a ciclo continuo.

Ferrara si caratterizzò inoltre per essere riuscita a raccordare la fase della ristrutturazione (che vide il ridimensionamento degli occupati) con la contestuale assunzione di donne e giovani grazie ad una capillare contrattazione  reparto per reparto dei fabbisogni necessari a rilanciare la fabbrica “ombra”, quella del futuro che aveva bisogno sia dell’esperienza dei lavoratori senior che dell’entusiasmo e dei talenti di nuovi giovani. Una scommessa completamente vinta perché su quelle basi avvenne il rilancio dell’impresa.

Una via del tutto originale che prevedeva l’aggancio tra coloro che erano vicini alla pensione e l’ingresso in organico della nuova generazione.  Un’esperienza che sarebbe opportuno riproporla più che mai oggi, mantenendo al lavoro in modalità part-time i lavoratori senjor (con mantenimento della paga fra stipendio aziendale e quota pensionistica) e assumendo giovani il cui costo sarebbe compensato dal minor esborso dello Stato per i prepensionamenti o altri strumenti economici di sostegno alla disoccupazione. In sostanza, una nuova fase di contrattazione  win-win, in cui cioè tutti vincono: i giovani, le imprese, lo Stato (che spenderebbe il meno possibile).

Al tempo delle vicende raccontate da Sateriale nel suo libro “Profondo lago”, i sindacati si avvalevano anche di studi a cui partecipò Cds coop, come in occasione di quella formidabile esperienza che introdusse nel Petrolchimico di Ferrara (prima grande azienda in Italia) la cassa integrazione a rotazione (quadri e tecnici inclusi) che poi si estese a tante altre realta industriali italiane con la legge del 1984 sulla solidarietà passiva e attiva: una buona pratica che oggi nessuno mette in discussione. L’esperienza fatta nel Petrolchimico  ferrarese fu soprattutto possibile (e Sateriale ne evidenzia tutta la sua portata innovativa ) grazie all’alta sindacalizzazione della fabbrica che vedeva uniti operai a tecnici e quadri, che insieme possedevano ampie conoscenze dei processi industriali e organizzativi aziendali.

Il petrolchimico di Ferrara è stato, insieme ai computer di Adriano Olivetti, uno dei pochi casi in cui l’Italia ha avuto la leadership mondiale nelle tecnologie.

A Ferrara fu inventato il polipropilene (che fruttò a Natta il premio Nobel) e che diede via al secolo della plastica (la produzione mondiale è oggi di circa 400 milioni di tonnellate). Poi, negli anni ’80, proprio nel Centro Ricerche di Ferrara, in particolare nella Sezione CER-TEP sotto la validissima  direzione organizzativa di Pino Foschi, le innovazioni proseguirono con i fenomenali breakthrough del processo Spheripol, caratterizzato da notevoli risparmi energetici ed enormi vantaggi ecologici, seguito alcuni anni dopo dal processo Catalloy. Tutti processi inventati a Ferrara e applicati oggi in oltre cento aziende in tutto il mondo e per molte delle quali il sito ferrarese svolge ancora attività di consulenza.
Un patrimonio italiano che purtroppo è stato gradualmente ceduto, così come successe con Olivetti, ad aziende straniere.

Merito, comunque, di Sateriale averne rievocato col suo libro la memoria della capacita professionale delle maestranze; capacità, questa, che ha saputo perpetuare e rinnovarsi con le nuove generazioni, divenendo esse motore di consolidamento dello stabilimento ferrarese, nell’intento di garantirne un futuro sicuro.

IL VOLUME:  Gaetano Sateriale, Profondo Lago, Roma, Futura Editrice, dicembre 2022, € 20,00

Vite di carta /
Le realtà convesse e concave di Escher

 

Fino al 26 marzo è possibile fare visita al genio di Maurits Cornelis Escher presso lo Spedale degli Innocenti a Firenze. È possibile entrare nello spazio museale al piano terra dello storico brefotrofio costruito nel primo Quattrocento su progetto di Filippo Brunelleschi e per primo incontrare il buio di un breve corridoio. Sono andata avanti a passi incerti seguendo la voce registrata che illustra l’opera dell’artista olandese, incisore e grafico scomparso nel 1972 ma ancora attualissimo nella sua visione multiprospettica della realtà.

Non so agli altri visitatori, a me l’assenza di luce ha tolto ogni filtro, ha fatto tabula rasa di ogni resistenza ricettiva. Mi sono messa davanti alle opere – circa 200 – e una dopo l’altra ho lasciato che occupassero il campo visivo. Proprio così: un mondo immaginifico, i mondi che Escher mette in contatto tra loro – tra arte e matematica, tra fisica e design – hanno occupato l’ampiezza del mio sguardo, come se aspettassi da tempo una visione così totale.

Prima i paesaggi italiani riprodotti nelle opere  delle prime sale, con le vedute dei luoghi dove Escher ha vissuto o dove è passato negli anni della sua permanenza nel bel Paese, tra il 1922 e il 1935. Immagini della Toscana, di Roma, della Campania, immagini geometrizzate e tuttavia piene di lirismo e di un languore implicito che mi è sembrato di percepire con immediatezza.

M.C. Escher, Metamorphosis, 1939-1940

Poi opere come Metamorphosis, che dipana per i suoi quattro metri di lunghezza la lusinga della trasformazione dalle parole alle forme geometriche, agli animali che escono dal loro alveare per divenire pesci e poi uccelli librati nell’aria. Uccelli che nello stilizzarsi si deformano in cubi e finalmente in case arroccate attorno a una chiesa, da cui esce una scacchiera e finalmente il reticolo dei suoi quadrati si dissolve nelle parole iniziali da cui era partita l’opera. Anzi, è la stessa parola Metamorphose ripetuta in orizzontale e in verticale che forma un reticolo analogo a quello della scacchiera. Ho dovuto camminare a lato della lunga xilografia e ho fruito delle immagini come se mi parlassero del tempo che scorre: del suo sviluppo lineare e insieme della sua circolarità, come dire che diventiamo continuamente altro ma dentro un intervallo di esperienze pronte a riprodursi ciclicamente.

Quando mi sono accostata a opere quali Mani che disegnano o Relatività, ho percepito la forza espressiva della tridimensionalità che interseca piani di profondità diversa e volumi intrecciati dagli effetti paradossali.

Nel primo quadro sporgono da un piano di fondo due mani che si fronteggiano, entrambe impugnano una matita, ma è una sola che è all’opera per riprodurre l’altra nel medesimo atto di scrivere.

M.C.Escher, Mani che disegnano, 1948

Nella seconda si vedono delle figure umane salire le scale in ogni direzione, seguendo il movimento di ognuna si arriva a vedere uno scorcio sul mondo di fuori diverso ogni volta, ora sviluppato in orizzontale, ora in verticale. Come dire, è sempre questione di punti di vista.

M.C. Escher, Relatività, 1953

Quando comincio a realizzare che la Weltanshauung del mio amato Pirandello non è bastata più all’esile signore qui riprodotto in gigantografia, alto e barbuto e che si chiama Escher, mi invade un beato senso di familiarità. Sono a casa. Mi muovo leggera per entrare nella camera degli specchi dove la mia immagine si duplica in ogni direzione. Mi paro davanti a un’opera costituita da un pannello translucido che forma bolle qua e là a forma di mezze sfere riflettenti. Lì ci sono tutte le immagini fondamentali che posso avere di me: frontale non deformata sulla superficie piana, a testa in su ma deformata e come rimpicciolita sulle semisfere concave, a testa in giù in quelle convesse. Sono le mie io, che dipendono dalla relatività e dalla mutevolezza delle realtà di cui sono fatta.

La forza di Escher è avere coinvolto le scienze, di averle rese complici di una epistemologia costruita sulla capacità deformante del soggetto nel suo guardare il mondo. Lipersguardo, se posso chiamarlo così, è lo strumento per vedere le sue opere. Servono abitudine speculativa e immaginazione, più che i cinque sensi.

Scatto poche foto, non riesco a selezionare tra le opere che mi parlano con forza. Mentre esco fotografo uno spicchio di cielo che si infila nel chiostro dello Spedale e rimbalza sulla sfera gigantesca sistemata in un angolo.

Sotto la grandine vado al mio appuntamento all’Osteria dei Centopoveri. Sono attesa da una decina di persone sconosciute che vedrò tra poco. Di loro so che vengono da paesi diversi, me ne ha parlato la persona che mi ha dato il passaggio in auto fino a Palazzo Vecchio e che oggi sarà festeggiata durante il pranzo. Seduti a un tavolo per dodici ci scambiamo nomi e cortesie di approccio, poi ognuno ordina i piatti che desidera.

Durerà un paio di ore l’abbondante pranzo fatto di voci e accenti e mentalità diverse. Tra le domande gentili che mi vengono rivolte, una mi fa davvero sorridere: “Ti è piaciuta Firenze?”. Dovrei dire che la conosco da tanti anni, che ci sono venuta una numero imprecisato di volte, molte portando le classi in viaggio di istruzione. Ma dico solo “Si, anche stavolta mi è piaciuta moltissimo, ho visto una mostra che mi ha davvero colpita.”

E il discorso delle signore svia sulla bontà dei piatti, su alcune ricette delle loro terre, l’Albania, il Marocco, Cuba. Due sole commensali sfoggiano la parlata toscana, la lingua del sì della nostra storia linguistica. E di parola in parola vedo le nostre figure piegarsi su piani ora concavi ora convessi, come se fossimo entrati tutti nelle opere di Escher. Un gioco serissimo, in cui ognuno forgia l’immagine dell’altro mettendoci la lente deformante delle aspettative che aveva, sommate alle impressioni provvisorie che riceve. Tutte piccole facce del poliedro che ognuno è propenso a mostrare di sé in un momento così, a tavola, in un giorno di pioggia.

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di cartaclicca [Qui]

Cover: fotografia dell’autrice

Ferrara: la partecipazione è contagiosa. Assemblea per dire No al progetto privatistico della ex caserma

E nato da poco ma sta crescendo in fretta.  Il Forum Ferrara Partecipata  è stato costituito a dicembre 2022 ma è già un protagonista della società e della politica cittadina. Ad oggi, hanno aderito al Forum una ventina di associazioni e circa 200 cittadine e cittadini di Ferrara.
Il primo obbiettivo del Forum è bloccare il progetto privatistico e ‘mangiaverde’ che la Amministrazione Comunale vuole imporre senza l’approvazione dei cittadini: l’ormai famoso Fe.Ris. (ne abbiamo già parlato ampiamente su Periscopio).

Ma il lavoro collettivo e la mobilitazione di Ferrara Partecipata, come suggerisce il suo stesso nome, non si ferma al No al Feris, ma si occuperà di tutte quelle questioni che interessano la cittadinanza e su cui i cittadini vogliono dire la loro: I Beni Comuni, la mobilità urbana, la politica culturale ecc.

Per conoscere questa realtà, espressione della società civile, assolutamente indipendente e autonoma dai partiti, c’è un bellissimo sito da consultare: https://ferrarapartecipata.it/

Intanto, all’interno del Forum Ferrara Partecipata sono nati 3 comitati di quartiere, proprio dove dovrebbero essere realizzati gli interventi previsti dall’inaccettabile Progetto Fe,ris. I comitati si sono già riuniti e  hanno in cominciato a informare gli abitanti del quartiere , distribuendo un volantino casa per casa.

Le assemblee dei residenti nei quartieri orientali della città “Caldirolo LIbera” svoltasi il 20 gennaio e quella della zona di San Giorgio il 23 gennaio hanno registrato circa 200 partecipanti e decine di interventi. Oggi ( 25 gennaio, alle ore 18, 30 presso il Centro Sevizi Volontariato di via Ravenna) è la volta  dell’assemblea dei residenti di Ferrara Centro.

Intanto, all’indirizzo del Forum Ferrara Partecipata e anche alla redazione a Periscopio, sono arrivati messaggi  di cittadini del quartiere via Bologna e del quartiere Barco che vogliono riunirsi in assemblea per discutere i loro problemi e avanzare proposte dal basso.

Evidentemente la partecipazione è contagiosa, ne sono una prova i lenzuoli  contro il Fe.ris che incominciano a spuntare a qualche finestra

 

mercoledì 25 gennaio, ore 18,30 

 

 

Dietro la supercazzola dantesca di Sangiuliano c’è il complesso d’inferiorità e l’ignoranza della Destra

Ci si è focalizzati del tutto sulla lunare affermazione del ministro della cultura, su Dante quasi fondatore del fascismo…. I più autorevoli dantisti, si sono incaricati, e divertiti, di smontare questa bufala. Impresa facile, a dire il vero, per contesti storici e valori politici del tutto imparagonabili.
“… se non sai collocare in che secolo ha vissuto Raffaello, non capirai mai l’artista che era..” scriveva Umberto Eco.
Contesto storico di Dante e valori, quindi, che, però, al più eminente intellettuale del governo Meloni, erano ignoti o sfuggiti. Eppure è, o dovrebbe essere, un uomo di cultura, perdio, dicono i suoi… E, in ogni caso, è pur sempre il ministro della cultura. Capisco il grave imbarazzo del governo per la benzina, ma non si può mica piegare perfino Dante alla ragion di stato delle accise…. A meno che l’illustre personaggio, il Ministro, sia davvero quello che si è palesato. E allora, amici della destra al potere, siete ancora una volta messi proprio male.
Perché, a mio parere, la parte più grave della spericolata esternazione del ministro, non sta su Dante (ovviamente di gravità estrema), ma peggio ancora sul….. contorno.
Esibendosi in una arrampicata davvero ardita, ha detto, infatti, che il fondamento della sua tesi, Dante ispiratore del pensiero politico della destra appunto, sta nella comunanza di valori fra il grande fiorentino e i vari Meloni, La Russa e i loro accoliti corifei.
E questo a partire dall’umanesimo dantesco, al rispetto dei diritti umani, delle persone, delle relazioni interpersonali e giù di lì di ciancia in ciancia….
Dante uguale a Meloni /La Russa, insomma.
E il mito del duce e del fascismo, che proprio a destra riemergono così spesso ancora orgogliosamente intatti?
O la nostalgia per il MSI, erede diretto di Salò e del fascismo, che è celebrato con commossi sentimenti nostalgici?
Oppure lo zoccolo duro dell’ elettorato di destra, fatto di Casa Pound, Forza Nuova e la miriade di gruppuscoli neo fascisti e neo nazisti sempre col braccio alzato, e mai veramente condannati?
Tutto questo è fantasia della sinistra, o realtà di ogni giorno nel nostro paese?
La nostra premier ha deprecato le leggi razziali e la shoah, ma, a differenza di Fini, non ha mai condannato il fascismo.
Si è limitata ai frutti, praticamente, ma non ha mai toccato l’albero. Forza Meloni è dura, ma prima o poi ce la farai… Intanto invece plaude ai golpisti Trump e Bolsonaro, due nemici dichiarati della democrazia (leggere interviste…). Amoreggia con Orban e Kashinsky, campioni europei di disprezzo dei diritti…. e in più anche un tantino razzisti: accolgono milioni di bianchi ucraini, e meno male, ma non qualche decina di neri africani…
Potremmo aggiungere tanto ancora. Ma quel Sangiuliano li, è scemo o ci fa? Queste cose le sa’ o è sceso da Marte? Io credo che non può non saperle, anche perché qualche volta le ha dette perfino il suo Tg2…. E allora è solo un problema di onestà intellettuale. Che viene meno quando dignità culturale, spirito di indipendenza e libertà personale, vengono barattati per un po’ di potere e qualche gallone.
Ma sei il ministro, perdio, Sangiuliano! E per giunta il Ministro della Cultura, quello cioè che dovrebbe “illuminare” gli intelletti di tutti, a partire proprio dal governo e fino a tutti noi.
Io, che pure credo di avere sempre avuto il culto delle istituzioni, affermo – cosa che non fregherà a nessuno e soprattutto a lui, lo so – che non lo riconosco come il “mio” ministro della cultura, tanto si è autodelegittinato.
La verità è che l’antico complesso di inferiorità culturale, che la destra ha sempre sofferto (e che, anche in questa occasione, il Nostro si è lasciato sfuggire richiamando l’egemonia gramsciana), ancora resiste. Nonostante che la destra possa vantare fior di intellettuali, ma che, evidentemente più attenta ai muscoli che al cervello, non ha saputo valorizzare come meritavano.
Certo, se crede di recuperare con questi “campioni” di intellettuali, poveri noi e, soprattutto, poveri loro.. Dal Ministro della Cultura, il minimo che ci si aspetta sono due cose: una solida cultura, appunto (e qui già nasce qualche dubbio), e soprattutto onestà intellettuale, dove dubbi non ce ne sono perche’, invece, difetta chiaramente alla grande.
Di sicuro, questo incidente di Sangiuliano, è l’ennesimo e, forse il più significativo e maldestro, esempio della fragilità strutturale e sostanziale di un governo che, nato con tanta sicumera e prosopopea, si rivela ogni giorno sempre più inadeguato alle sfide della realtà, della competenza, della intelligenza come capacità di competere in tempi difficili, in un mondo complesso.
Non durerà i cinque anni che dice la Meloni… Ma se dovesse accadere, dove porteranno questo paese una banda di improvvisati statisti come questa, che ad ogni curva sbanda o sbaglia strada?

Parole e figure / Il bigliettino generoso

Un leporello, parola magica, poco nota, non contemplata dai dizionari. Vocabolo interessante che deriva dal nome di Leporello, personaggio buffo dell’opera Don Giovanni di Mozart (è il servo di Don Giovanni), con libretto di Lorenzo Da Ponte.

Ma qui l’antonomasia non si riferisce tanto al suo modo di essere – arguto – quanto è connessa a una specifica azione scenica. Precisamente al momento in cui il servo, per sfuggire a una donzella già sedotta e abbandonata dal suo Don e rinforzarne il concetto di collezionista impenitente, tira fuori la lista (che lui cura) delle conquiste carnali del padrone. […] Guardate / questo non picciol libro: è tutto pieno / dei nomi di sue belle. / Ogni villa, ogni borgo, ogni paese / è testimon di sue donnesche imprese.

A noi interessa proprio questo libro di annotazioni che Leporello porta con sé. Da Ponte, sceneggiando, non precisa come dovesse essere rappresentato in scena fisicamente questo libretto e le regie hanno avuto secoli per sbizzarrirsi, contando che la prima rappresentazione fu a Praga nel 1787. C’è chi l’ha reso come un libro vero e proprio, chi come un fascio di fogli, chi come una serie di taccuini, chi con un rotolo a mo’ di papiro, e tanto altro. Qualcuno ha immaginato che fosse un libretto a fisarmonica. Ed ecco che in legatoria, soprattutto in quella artigianale, il leporello è diventato un libro / opuscolo che si apre a fisarmonica, che si presta a un’apertura a cascata che può riservare mille sorprese. Una rilegatura versatile, in pratica un foglio unico piegato a zig-zag, che può permettere una lettura consueta di pagina in pagina (di piega in piega) ma anche infilate complesse per tutta la sua lunghezza… se poi la carta è pergamenata il gioco è fatto.

Proprio in questo simpatico e curioso formato scenografico (la sorpresa più grande è che, alla fine, si apre a poster) è il libro che vi presentiamo oggi, Il Bigliettino, di Pilar Serrano Burgos (testo) e Daniel Montero Galán (illustratore), edito da Kalandraka.

È un racconto che regala una passeggiata nel quartiere di una città brulicante, affollata e affaccendata, sulle tracce di un messaggio curioso e sorprendente che scopriremo solo alla fine (e su cui non abbiamo intenzione di fare alcuno spolier…).

Un libro pieno di figurine e dettagli da sfogliare fino a distenderlo completamente su un soffice tappeto colorato per una lunghezza di quasi due metri. Ci si perde con la fantasia.

Il bigliettino misterioso si ritrova, suo malgrado, fra le mani di tante persone, nessuna delle quali lo trattiene per sé, ma generosamente lo fa passare, lo regala. Perché conterrà un fantastico dono, fatto di parole che salvano e che ormai non si ascoltano quasi più.

Ci sono Eva che va sempre di fretta per arrivare puntuale a scuola, chiacchierona e che da grande vuole lavorare nella fabbrica di Babbo Natale, che lo perde dal suo zaino mentre estrae i quaderni e lo appoggia sull’astuccio del suo compagno José, artista incompreso che non ama la scuola, che lo trova e, dopo averlo letto, lo lancia dalla finestra come se fosse un aeroplanino. Agustìn il socievole corriere che dispensa consigli lo lascia sul parabrezza dell’auto di Ana, la farmacista che prepara da mangiare per alcuni mendicanti, che, dopo aver temuto una multa, lo lancia per aria, per farlo catapultare nella carrozzina verde del figlioletto di Luisa, tecnico ambientale che lavora da casa.

Tutti lo leggono, tutti lo passano, nessuno lo trattiene.

Il bigliettino arriva al pediatra, poi a Vera e al suo papà che lo lascia su una panchina del parco dove i bambini giocano su un bellissimo e alto scivolo verde dalla bandierina svolazzante. L’attivista per la solidarietà Marisa passeggia – e qui, viaggio circolare in un linguaggio che sa di cinema, si ruota il leporello -, e, dopo la sua tranquilla camminata, si siede su quella panchina che accoglie anche un gattino. Il bigliettino è lì ad attenderla, finisce nel cestino della bici dell’amico architetto Miguel che porta con sé una lunga canna da pesca, pescare è il suo hobby preferito.

Mentre dalle finestre illuminate delle case si vede tanta vita che scorre, sottofondo del viaggio di quelle parole svolazzanti, il bigliettino continua la sua inarrestabile corsa.

Tanti tasselli di un’unica bella storia che desta crescente curiosità.

Tanti personaggi: vicini, bambini, genitori, amici, pensionati, commercianti, artigiani, professionisti. Le loro storie al completo, con mille originali dettagli, sono nel retro del libro, insieme a quelle di alcuni animaletti loro fedeli compagni, in una sorta di poster curioso che si apre come un immenso fazzoletto bordato di giallo…

Da un lampione cui è finito appeso, il bigliettino passa a un tavolino di un bar all’aperto dove Luis prende un caffè per portarlo al bancone dove la cameriera Manuela lo legge. C’è scritto…

Il bigliettino, di Daniel Montero Galán, Pilar Serrano Burgos, Kalandraka, 2022, 40 p., Libri per bambini +3

Daniel Montero Galán è nato a Madrid nel 1981. Lavora come illustratore da oltre 15 anni e ha pubblicato più di 30 libri. Fra questi El gran Zooilógico (Jaguar, finalista al premio Golden Pinwheel della CCBF China Shanghai International Children´s Book Fair nel 2016),  Lettere nel bosco (Logos) e Mistero nel bosco (Logos).

Pilar Serrano Burgos è anch’essa nata a Madrid, nel 1977. Lavora come maestra in una scuola pubblica dalla quale tate molte delle sue storie, che elabora e combina. Crede che i libri non abbiano età, perché “se funzionano con i più piccoli, funzioneranno anche con i più grandi”. Innamorata del suo lavoro e appassionata di letteratura d’infanzia, inizia a pubblicare nel 2014. Da allora non si è più fermata.

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara.

Dalla Crisi post pandemia si può uscire a Sinistra ma anche a Destra. Vincerà chi conquisterà il consenso dei ceti deboli

 

A Davos si incontra il gotha dei “potenti” della Terra (2.700 tra politici, banchieri, finanziari, imprenditori) invitati da Scwhab, presidente del World Economic Forum (Wef).

L’Italia quest’anno lo snobba, ci va solo il ministro dell’Istruzione Valditara. Il 2023 è un anno ‘novus’, perché la guerra in Ucraina ha rotto uno schema globalista e neo-liberista che andava avanti da 23 anni.

Con la pandemia (2020-21) la finanza e le grandi multinazionali avevano raggiunto i massimi profitti, guadagnando in 2 anni più che negli ultimi 20 anni. Ma nel 2022 la guerra ha sovvertito tutto e fatto perdere solo alle 5 principali big tech un terzo di capitalizzazione in borsa (mille miliardi su tremila).

Le cose non vanno troppo bene per il “business” e c’è molta preoccupazione tra i partecipanti a Davos (dice Scwhab) perché il 2023 porta con la guerra in Ucraina vari problemi:
1. una forte inflazione (che durerà per almeno due anni) con conseguente ulteriore impoverimento delle fasce povere (ma anche del ceto medio) sia in America che in Europa.
2. Il debito pubblico e privato  che è altissimo (360% del Pil mondiale, era al 100% a fine anni ‘70).
3. conflitti geopolitici con Cina e Russia che possono portare a guerre (Taiwan,…).
4. Potenziale nuovo sistema monetario mondiale con relativo declino del dollaro e difficoltà nei rifornimenti energetici e di materie prime.
5. crisi climatica che, da un lato, reclama radicali cambiamenti nel modo di produrre e consumare, dall’altro potrebbe confliggere con i nuovi business dell’ambiente se si traducono in ulteriori sacrifici, date le enormi disuguaglianze, per le classi più povere e il ceto medio, che potrebbero “rivoltarsi contro il sistema”.

C’è anche una “gara” tra sinistra e destra per avere i voti dei ceti più deboli (già impoveriti negli ultimi 20 anni), ma che lo saranno ancora di più in futuro.
Tra i banchieri e la finanza c’è la coscienza che dopo le “magnifiche sorti e progressive” del neo-liberismo avviato dopo il crollo dell’URSS, la crisi del 2008, sfociata col fallimento di Lehman Brothers, non è affatto superata. La modifica avviata nel 1999 su come operano le banche e la finanza accentua le disuguaglianze e non aiuta imprese e famiglie a prosperare nell’economia reale.
La forte spinta alla recente iper inflazione è venuta proprio dalla speculazione di 54 banche occidentali e 154 fondi finanziari che hanno acquistato tutto il possibile alla borsa del gas Ttf di Amsterdam un anno prima dell’invasione dell’Ucraina, con aumenti del prezzo del gas già dieci mesi prima dello scoppio del conflitto russo-ucraino e hanno contribuito all’inflazione più della guerra stessa.
Poiché nel frattempo l’Europa politica non è nata e gli Stati si sono indeboliti, chi domina è la finanza, mentre i cittadini subiscono le conseguenze degli speculatori e delle grandi corporations.

Adesso ci si è messa di mezzo anche la Russia, invadendo il Donbass ucraino e ciò costringe a vari dilemmi: negoziare con Cina-Russia e riprendere la vecchia via o sperare di sconfiggere la Russia a costo di un allungamento del conflitto (o di un conflitto nucleare) con un ulteriore impoverimento anche dei nostri cittadini (e non solo di ucraini e russi)?
Se si sconfiggesse la Russia si potrebbe togliere alla Cina un partner importante, ma quali sarebbero le conseguenze geopolitiche della “scomparsa” della Russia? E se la crisi continua e si fa lunga, come voteranno in futuro i ceti deboli?
Rafforzeranno la destra estrema o la sinistra estrema? Difficile infatti pensare che di fronte a un radicalizzarsi delle condizioni, continuino a votare per soluzioni moderate vicine all’attuale establishment che governa l’Occidente.

Non è la prima volta che sinistra e destra si sfidano per l’egemonia sui ceti più deboli.
Quando scoppiò la crisi nel 2008, il protagonismo fu assunto da movimenti sociali di sinistra (Indignados, Occupy Wall Street, Nuit debout,…costruendo il retroterra per la nascita di formazioni politiche nuove (Podemos, France Insoumise,…) o per la svolta a sinistra di partiti democratici (Labour in UK, Sanders in Usa,…).
Ma col tempo la destra si è mostrata più capace di attrarre consensi, specie con Trump: matto come un cavallo, ma che ha difeso i salari e l’occupazione local a costo dell’uscita dalle guerre Usa e dell’imposizione di dazi, che hanno reso più caro il made in China del 13%. Anche i paesi dell’Est Europa lavorano molto sul nazionalismo e la difesa dei propri cittadini, della propria identità e infatti in Spagna sta crescendo l’estrema destra di Vox. In Svezia ha vinto dopo decenni la destra.

Se si guarda ai primi passi del Governo Meloni, si nota l’intento di smarcarsi da un allineamento solo europeista-americano (non sulla guerra), favorendo la Germania (Lufthansa preferita al fondo finanziario Usa in Ita, la cordata cipro-israeliana per il polo chimico di Priolo anziché il fondo Usa; un ruolo maggiore dello Stato che gli stessi operai vorrebbero: all’Ilva votano per la nazionalizzazione, per esempio, il 98%).
Ci sono alcune politiche attente verso i ceti deboli (110% che diventa 90% escludendo le seconde case e limitato ai redditi più bassi, i bonus per l’energia alle fasce deboli…).
Già negli anni Venti e Trenta l’avvento del fascismo dimostrò che le ipotesi dei socialisti della II internazionale, i quali pensavano che da una crisi nascesse per forza una svolta a sinistra e una società più giusta, non erano così scontate.

Rosa Luxemburg (ma soprattutto Gramsci) scrissero invece che un impoverimento poteva proprio creare il terreno ideale per le forze di conservazione. Forze che oggi  sono (a mio avviso) le multinazionali e la finanza, che si vantano di essere innovatori perché propongono il digitale e l’intelligenza artificiale.

Gli Stati sono accusati dai globalisti  / neo-liberisti di essere la causa del nazionalismo, del populismo, del sovranismo che impedisce politiche comuni, per esempio a favore della natura. La Polonia difende il suo carbone e si oppone al new deal europeo dell’ambiente. Ma è anche vero, come dice Daniele Conversi in Cambiamenti climatici – Antropocene e politica ( Mondadori) che gli Stati possono cambiare, proteggendo i propri cittadini e diventando protagonisti di buone pratiche di eguaglianza e di sostenibilità.

La sfida è coniugare il nuovo sviluppo con la difesa delle classi deboli. Si pensi al problema dell’efficienza energetica delle case per ridurre l’inquinamento. L’Europa chiede che entro il 2030 le case abbiano una efficienza di classe E (tipo gli edifici costruiti tra gli anni ‘90 e i 2000 in Italia, che consumano 91-120 chilowattora al metro quadro), per poi progredire entro il 2033 alla classe D (con 71-90 kWh per mq), un salto che richiede il taglio del 25% dei consumi.
Ma oggi il 60% delle case in Italia (le più povere) è in classe F o G. Se questi ceti deboli non venissero aiutati ci sarebbe un enorme rivolgimento contro l’Europa, che sarebbe vista come la longa manus delle multinazionali dell’immobiliare, pronte ad acquistare le case svalutate da una, in teoria, “giusta” politica di riconversione ambientale.

Cover: Le prime fasi di spostamento del quadro di Pellizza Da Volpedo “Il Quarto Stato” nella Galleria del Futurismo al museo del ‘900 a Milano, 27 aprile 2022 (ANSA/MOURAD BALTI TOUATI)