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In questo chiaroscuro nascono i mostri

“Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”: eh sì caro Nino, tu lo scrivesti un secolo fa e a tutt’ora il mondo nuovo tarda a comparire. Con una grossa differenza rispetto ai tuoi terribili anni, tu, voi, avevate la speranza che il mondo nuovo fosse diverso, migliore, giusto, libero. Noi no, non vediamo nessun mondo nuovo alle porte che non sia ancora peggiore di quello che stiamo vivendo ora.

Il mondo vecchio muore, per eccesso di egoismo, vittorioso e tronfio nel liberismo più sfrenato, dove il privato è bello anche nei beni primari, nella salute, nella sanità, nella scuola, nell’ambiente, nella vita. Dove col denaro si acquista tutto, dove il guadagno, il target, il budget, la ricchezza senza limiti viene perseguita sui cingoli dei carri armati, sulle ali degli aerei da guerra, sui sofisticati droni killer. Un mondo, quello nostro, dove le guerre non sono tutte uguali, dove gli eserciti di occupazione cambiano nome a seconda di chi li sta guardando. Guerre a difesa dei confini, guerre a difesa della democrazia, guerre contro il pericolo nero, guerre contro il pericolo rosso, guerre al terrorismo, guerre contro i dittatori, guerre di liberazione, guerre difensive, guerre primordiali, guerre per il petrolio, guerre per l’acqua, guerre per la terra.

Il mondo nuovo, Nino, non sarà baciato dal sole dell’avvenire, ma oscurato dal pulviscolo atomico, incendiato dai raggi prepotenti del sole, dalla polvere della siccità, dai venti impetuosi dei cambiamenti climatici. Una transizione da un terribile mondo ingiusto a un terribile mondo invivibile, dove solo i ricchi potranno galleggiare.

Quanto vorrei che nascesse un nuovo Antonio Gramsci, un nuovo Marx, una nuova Rosa Luxemburg, quanto vorrei ritrovarvi vivi. Ma forse lo siete già, basta sfogliare un libro, basta leggere e comprendere ciò che da un paio di secoli ci dite.

Ray Bradbury nel suo visionario e distopico romanzo Fahrenheit 451 lo aveva capito, che in un terrificante futuro il mondo avrebbe visto i libri come primo e totale nemico. Le parole scritte, i sogni, le utopie, non muoiono con la morte dei loro autori, ma rimangono a disposizione per sempre, divenendo sempre più pericolose, perché alle volte descrivono il futuro.
Nel romanzo le squadre speciali di Vigili del fuoco, appiccano gli incendi nelle case di chi detiene libri, uccidendo spesso anche le persone che vi abitano, così come effetto collaterale, inevitabile e naturale. Nel cielo volano aerei da guerra, come presagio, che poi alla fine si avvererà. Rimangono, mal vestiti, affamati e ammalati solo sparuti gruppi di detentori di cultura, che conoscono alcuni libri a memoria, nella speranza che dopo la fine, dopo la distruzione totale, si potrà far rivivere l’umanità a partire dalla stampa di quelle vecchie parole scritte.

Come è possibile essere ottimisti in questo nostro spietato mondo moderno? Ci si trincera dentro le mura della propria casa e della propria famiglia, per chi ce l’ha. Al di fuori tutto brucia, macerie in ogni dove, i sogni rimangono nelle menti dei bambini, non riusciamo nemmeno più a sperare in un noi.

Chi ci rappresenta Nino, chi ci presta una spalla a cui poterci aggrappare, chi cammina con noi e dipinge la speranza di un mondo nuovo e più giusto, dove i confini siano orizzonti, dove le armi siano al bando, dove la guerra sia una medioevale prassi senza significato?

Le stesse parole oggi non hanno più lo stesso contenuto, un agguato fascista diventa una zuffa tra ragazzi, anche la stessa maledetta e schifosa parola guerra ha mille significati e mille sfumature, diviene pure giusta a seconda dello specchio sulla quale è riflessa. Oppressore, invasore, assassino, cambiano volto a seconda di chi li dipinge, dire che la guerra, così come Peppino disse della mafia, è una grande montagna di merda suscita dei se, dei ma e dei però.

Non esiste un assolutismo della vita e dell’amore, esiste un totalitarismo latente o palese della morte.

Dove sono le masse che hanno cambiato in meglio il mondo? Sono tutti morti? Sono vecchi e stanchi? O siamo noi figli del benessere, creato grazie agli altri, ad essere automi schiavi di circuiti elettrici che tramite interruttori ci fanno aprire o chiudere la bocca in un sorriso indotto?

Il potere, i potenti, i sultani, sono esseri umani che occupano quello spazio, perché una moltitudine silente non glielo impedisce, perché gli schiavi indossano una divisa, una tuta, un’uniforme, un abito firmato, sono spogli e nudi.

Siamo noi.

Nino, tu potessi vedere lo scempio di questo mondo moderno, fatto di luci, lustrini, schermi al litio da una parte e una umanità morente, assetata, affamata, bombardata e ammalata dall’altra.

Il benessere, la libertà e i sogni voi volevate fossero per tutti, non solo per quelli che se li potevano comprare.

Cosa c’era di sbagliato in questi tuoi pensieri? Perché ad un certo punto della storia sono stati messi da parte, sono diventati il male, sono diventate idee dalle quali vergognarci, sono state derubricate a ideologie assurde ed irraggiungibili?

Perché?

C’è stato un momento preciso in cui il tuo pensiero è stato ritenuto superato? E io che sono nessuno, ma che credo ancora in quelle tue folli idee, chi sono o meglio cosa sono? Un antico, un superstite, un ottuso, vivo scollegato dalla modernità, sono un bivalve agganciato allo scoglio del rassicurante passato?

Troppe domande e nessuna avanguardia in grado di rispondermi.

E comunque Nino, io ti voglio bene. Non me ne vergogno, anzi credo che le tue parole siano futuro e non passato, credo che siano la speranza, scritte dietro le sbarre della dittatura quasi un secolo fa, che volino laggiù verso la primavera.

E’ quello Nino il nostro cammino, e barcollando, depresso, ammaccato ma vivo, continuerò a camminare verso il rosso di quell’alba lontana.

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Cristiano Mazzoni

Cristiano Mazzoni è nato in una borgata di Ferrara, nell’autunno caldo del 1969. Ha scritto qualche libro ma non è scrittore, compone parole in colonna ma non è poeta, collabora con alcune testate ma non è giornalista. E’ impiegato metalmeccanico e tifoso della Spal.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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