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Parole a capo /
Fabrizia Laroma Jezzi: Alcune poesie d’amore e di resistenza

Fabrizia Laroma Jezzi: Alcune poesie d’amore e di resistenza

Le poesie, che pubblichiamo questa settimana, fanno parte del volumetto “Camminando sui crinali selvaggi” scritto dalla poetessa Fabrizia Laroma Jezzi per le Edizioni Montaonda, 2023. Dalla presentazione riportiamo queste parole: “Queste poesie hanno preso forma nell’arco del 2022, dalla primavera all’inverno successivo, per dare anima e voce al movimento di opposizione alla costruzione dell’impianto industriale eolico sul crinale di Villore, sopra Vicchio, in Mugello. Hanno tratto ispirazione dalle camminate sul Sentiero dell’aquila Gaia, dalla Colla della Maestà a Monte Giogo di Villore, che si snoda su crinali ancora inviolati e inviolabili, tra faggete e antichi pascoli, immergendosi nel fitto di boschi maturi“.

Il nostro amore

Il nostro amore
è nato sui crinali
liberi e resistenti

cresce sugli alberi
da loro accudito
e sostenuto

è piccolo
come i fiori
di montagna

è grande
come le montagne
di faggete e castagni

è forte come le aquile
che sorvolano le cime
ad ali spiegate

il nostro amore
è il coraggio
dell’innocenza

contro la violenza
della finta politica
a servizio del dominio.

 

C’è poesia

C’è poesia
la sento nell’aria

c’è aria di poesia
che si nasconde furtiva

c’è aria di festa
nel bosco

c’è aria nel cuore
vento nei capelli

vento sui crinali
tra le chiome delle faggete

e tanta pace
nei tanti colori.

 

Nemico o custode

Nel tempio
di buio e di luce

dimora il sacro
parla il vero

sei quello che sei
frusciano le foglie

agli alberi non si mente
sei nemico o custode?

Le faggete sono un tempio
come puoi abbatterlo?

 

Parole gentili

Piove nel bosco…
Goccioline come parole gentili
si posano sul volto

il vento tra le foglie
canta la sua tenue canzone

al passaggio
gli alberi s’inchinano

piedi e radici
camminano insieme

proseguire è possibile
solo con le mani congiunte.

Fabrizia Laroma Jezzi è nata a Firenze e vive attualmente a Londa nel Mugello. Laureata prima in Teologia e poi in Lettere e Pedagogia, ha un Master in Counseling olistico. Madre di tre figli, ha insegnato 35 anni nella scuola pubblica secondaria. Scrive poesie e racconti illustrati per bambini e adulti, dipinge immagini che esprimono l’intimo legame della Madre Terra con tutti gli esseri viventi.

 

Per acquistare il volumetto di Fabrizia Laroma Jezzie per vedere tutto il catalogo di Montaonda Edizioni clicc[Qui]

 

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio.
Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

Bologna Children’s Book Fair : 60 anni e non sentirli

Bologna Children’s Book Fair : 60 anni e non sentirli

Quest’anno la Bologna Children’s Book Fair (BCBF), la fiera del Libro per Ragazzi più importante del mondo, compie 60 anni. A Bologna dal 6 al 9 marzo. Naturalmente l’abbiamo visitata.

Tante sono le iniziative per piccini e grandi (soprattutto) dove immergersi. Con grande spensieratezza, nella bellezza dei colori e delle pagine illustrate più belle del mondo. Lasciando tutti i pensieri e le preoccupazioni fuori, almeno per qualche giorno.

Le attività sono tantissime, un poco ci si perde ma è quel perdersi gioioso in una dimensione di fantasia che fa bene all’anima, al cuore e alla mente.

Girando per i padiglioni festanti e colorati si incontrano tantissimi autori, giovani illustratori immersi nella creatività e in pennellate di acquerelli o tratti di pennarelli che disegnano sui muri tanta bellezza per tutti.

Gli espositori vengono da tutto il mondo, si parlano tante lingue: nelle hall affollate inglese, francese, tedesco, portoghese, spagnolo ma soprattutto arabo, la presenza degli Emirati Arabi Uniti quest’anno è importante.

Sono oltre 1400 gli espositori che prendono parte a questa edizione, provenienti da circa 90 paesi e regioni nel mondo, i più grandi nomi dell’illustrazione mondiale sono riuniti per questa occasione a Bologna: ci sono le eccellenze italiane con le figure dedicate a Italo Calvino, l’anniversario nell’anniversario, illustrazioni dedicate all’Ucraina.

Attesi in fiera, tra gli altri, Beatrice Alemagna, Rotraut Susanne Berner, Marc Boutavant, Rebecca Dautremer, Laura Carlin, Sarah Mazzetti, Fabian Negrin, Alessandro Sanna, Susanna Tamaro.

All’entrata ci accoglie il muro verde acqua con l’opera vincitrice del Premio Internazionale d’Illustrazione BCFB – Fundación SM, nel 2022: il messicano Andrés Lopez con un potente inno alla Natura, alla sua bellezza delicata e un invito a salvaguardarla, rivedendola e rileggendola, a proteggerla con tutte le proprie forze ed energie.

Tra le attese celebrazioni in programma la mostra Landscapes and Portraits of BCBF, festoso omaggio all’estetica della fiera con tante illustrazioni ispirate ai colori del logo e scelte fra le candidate a un contest rivolto a tutti i vincitori delle dieci passate edizioni della mostra illustratori.

Bellissimo il palcoscenico del progetto di live painting che invita tutti gli illustratori in visita a lasciare un ricordo di Bologna applicando la loro arte ai colori del logo BCFC.

La fiera rende omaggio a Italo Calvino con Eccellenze italiane. Figure per Italo Calvino che espone 120 illustrazioni ispirate alla produzione letteraria del grande autore tra opere già pubblicate e inedite, vincitrici di un concorso internazionale promosso dalla fiera.

E ancora, è la mostra che festeggia i primi 10 anni dell’ARS IN FABULA – Grant Award, con un focus sulla categoria opera prima, giunta alla 15ª edizione, quella della Mostra Illustratori (4345 gli illustratori candidati, nuovo record per la fiera, con 21725 tavole inviate e 79 set di illustrazioni selezionati), con le iniziative collegate e la riedizione del progetto sperimentale internazionale BEYOND SIGHT/OLTRE LA VISTA.

Bellissime le personali di Suzy Lee, vincitrice dell’edizione 2022 dell’ H.C. Andersen Award e autrice della cover dell’Illustrators Annual.

Tornano i grandi premi internazionali dedicati all’editoria per bambini e ragazzi: il BolognaRagazzi Award dedicato ai miglior libri illustrati pubblicati nel recente periodo a livello internazionale che quest’anno ha come categoria speciale la fotografia; il BolognaRagazzi CrossMedia Award, dedicato ai migliori progetti editoriali che hanno espanso il loro universo narrativo verso altri media; il BOP-Bologna Prize for the Best Children’s Publisher of the Year al miglior editore scelto per ciascuna delle sei aree del mondo; e ancora il Premio Strega Ragazze e Ragazzi che giunge all’ottava edizione e in fiera premia il libro vincitore della categoria di concorso “narrazione per immagini”, alla sua seconda edizione. Per i giovani illustratori l’ormai tradizionale Premio Internazionale di Illustrazione Bologna Children’s Book Fair – Fundación SM riservato agli Under 35 della Mostra Illustratori e l’ARS IN FABULA Grant Award per gli under 30. Ancora, il concorso di traduzione In Altre Parole e il Premio Poesio dedicato alla più originale tesi di laurea italiana in letteratura per l’infanzia. Grande attenzione all’annuncio dell’Astrid Lindgren Memorial Award e alla suite list di IBBY per il biennale Hans Christian Andersen Award che verrà assegnato nel 2024.

Vi sono poi molti incontri sui grandi temi del dibattito attuale e futuro del mondo dell’editoria globale: dalla censura nei libri per bambini con un focus sull’opportunità di aggiornare o meno le opere di autori del passato partendo dagli ultimi casi di attualità fino al nuovo ruolo dell’intelligenza artificiale, alla promozione della lettura in aree del mondo svantaggiate fino alle opportunità e difficoltà dell’editoria africana. Grande attenzione anche al nuovo volto dell’illustrazione Ucraina, strumento di divulgazione e di resistenza: in fiera Oleg Gryshxhenko e Anna Sarvira, artisti e cofondatori del Pictoric Illustrators club e, per la prima volta a Bologna, una grande area dedicata a PublishHer, il movimento fondato dall’editrice Bodour Al Qasimi per portare parità di genere nell’editoria mondiale. Spazio anche al crescente settore dei comics e uno sguardo interessante alla Storia dell’editoria per l’infanzia attraverso tanti dei suoi rappresentanti eccellenti, a partire da uno dei grandi protagonisti di questa edizione Italo Calvino.

Sono circa 150 gli appuntamenti tra masterclass, workshop e portfolio review curati da editori, art director, illustratori, agenti e professionisti del settore: torna anche quest’anno l’appuntamento più atteso dagli illustratori in fiera, The Illustrators Survival Corner, lo spazio professionale a cura di Mimaster Illustrazione.

C’è pure un nuovo spazio nella fiera: accanto all’International bookshop apre, per la prima volta, il Book Lovers’ Bistrot, area a cura della libreria Giannino Stoppani dedicata a presentazioni, conferenze e panel sia nazionali che internazionali.

La Fondazione del Monte accoglie Le cose preziose. L’ostinata ricerca di Beatrice Alemagna, l’importante personale dedicata all’illustratrice che nel 2022 ha ricevuto dalla fiera il Premio speciale The extraordinary award for an extraordinary artist.

Giorni intensi, ce n’è per tutti i gusti.

Vite di carta /
La vita intima di un’occidentale

Vite di carta. La vita intima di un’occidentale

L’ho visto a Che tempo che fa intervistato da Fazio e ho pensato ‘compero e leggo subito il suo ultimo libro’. Lui è Niccolò Ammaniti e il libro è uscito il 17 gennaio scorso col titolo La vita intima. Eccolo lì esposto alle domande del conduttore, a disagio come sempre, ma sempre reattivo e profondo nelle risposte.

Dice di essere tornato alla scrittura dopo otto anni di silenzio, in cui ha curato la regia di due serie televisive. Poi ha sentito di voler riempire il vuoto del lockdown  scrivendo un romanzo come questo, psicologico, per andare oltre nello scandaglio del personaggio, come la letteratura può fare, meglio di altre arti come il cinema.

Dell’intervista che è corsa via veloce ricordo più che altro lui e la sua barba brizzolata, i capelli pure, e l’aria da adulto complesso che ha messo su. Sicché ho cominciato a leggere il libro senza ricordare nulla o quasi della trama.

Maria Cristina Palma, che ne è la assoluta protagonista, compare al centro fin dalla prima pagina e trionfa immediatamente per l’opulenza della sua casa, un grande attico nel cuore di Roma, e la cura della sua bellezza, che le occupa questo inizio di giornata, il 21 febbraio di un anno non precisato, uno di questi che viviamo.

Ecco un’altra bellissima che occupa la scena, speriamo che anche il resto del libro non sia banale’: con questo pensiero vado cercando un altro romanzo che ho letto di recente, Nel guscio di Ian McEwan, il cui narratore è un bambino in procinto di nascere.
Uno che aspetta di uscire dalla pancia della sua mamma bellissima e intanto indaga sul mondo che lo accoglierà, raccogliendo ogni possibile indizio. Uno che la sa lunga, come si apprende leggendone le riflessioni, e che verso la fine del libro deve constatare la colpevolezza della madre in un reato gravissimo. Perciò, per l’amore che le porta, tenta fino allo stremo di difenderla pensando così: “Non riesco a scacciare il pensiero assurdo che i bellissimi dovrebbero vivere in base a codici particolari”.

Mi pare il primo banco di prova per Maria Cristina, che vengo a sapere è moglie del Presidente del Consiglio e madre di Irene che ha dieci anni. A che scopo Ammaniti può avere scelto un personaggio che ha ricchezza, bellezza e potere? Certo, ha attraversato gravi dolori e lutti familiari dolorosissimi e prematuri. Ma che donna è? Cosa può avere da raccontare dall’alto del suo codice particolare di vita?

Il narratore in terza persona racconta per lei e ne adotta il punto di vista con tanta adesione da far sbiadire ogni filtro linguistico e restituircene intatti i pensieri, per esempio quando Maria Cristina riceve delle vecchie foto da un ex fidanzato che ha rincontrato per caso il giorno prima. Sono foto di un’estate passata insieme da ragazzi quando Alessio, il fratello di lei, era ancora vivo: “Una fitta d’emozione le serra la gola mentre si rivede lì con suo fratello, i due orfani felici. Liberi dai nonni, con tutta la vita davanti”.

La lingua che usa Ammaniti fotografa del resto, con lucidità a tratti spietata, le costrizioni a cui è legata nella vita quotidiana come moglie del premier, una assistente personale la monitora continuamente, la sicurezza la segue in ogni movimento. Il marito le chiede di sostenerlo con la sua decorativa presenza a ogni occasione ufficiale, anche se Maria Cristina si tiene lontana dalla politica.

Ammaniti fotografa alle spalle della protagonista anche gli intrighi del palazzo, il cannibalismo della politica e finisce per ritrarre “la strepitosa autobiografia di una nazione che passa dal ritratto di questa donna che a tutti un poco somiglia”, come sostiene Concita De Gregorio dalle pagina di La Repubblica. Somiglia a una icona della contemporaneità e per buona parte del libro la vediamo attaccata tenacemente al mito della esteriorità, alla bellezza tutto glamour.

Otto capitoli del libro ci raccontano quel che le accade in una settimana. Di mercoledì ritrova, come dicevo, una vecchia fiamma, si incontrano anche il giorno seguente e lei elude il programma fissato per la giornata e gli sta vicino.

Insieme ricordano il passato e Alessio, il fratello che non c’è più.Quando lui le manda oltre ad alcune vecchie foto un video compromettente su di loro, la vita interiore di Maria Cristina ne resta sconvolta. Sei giorni per sconvolgere il suo mondo: il terrore che il video possa andare in rete e rovinare se stessa e la carriera politica del marito la costringe a rivedere ogni lato della propria persona.

Si leggono d’un fiato i capitoli dal secondo all’ottavo, in un susseguirsi di svelamenti su chi sia davvero l’ex fidanzato, su chi siano i collaboratori del marito e le persone che ha intorno, chi il marito stesso. Su cosa possa dare senso alla vita, visto che così come l’ha vissuta fino a ieri sembra non averne uno autentico.

Unici punti fermi l’amore luminoso che prova per la figlia Irene e la antica amicizia con il compagno dell’infanzia che le vive accanto come prezioso tuttofare. Tutti gli altri volti le vorticano intorno avendo perduto i vecchi ancoraggi, dal passato come da una fucina dei sentimenti vengono i legami più forti. I valori e le convinzioni, le propensioni che l’hanno formata ora paiono non rinunciabili. Sente di voler aderire a se stessa.

“La paura finisce dove comincia la verità” si legge verso la fine del libro. In questa storia la verità di Maria Cristina si fa avanti a strappi, le si ribalta davanti più di una volta. E lei decide un po’ alla volta cosa vuole fare di se stessa. Quale dei due uomini, il marito o l’ex, sono la persona con cui condividere la vita. Cosa farsene del potere che hanno i social di alzare o abbassare il pollice per la vita o per la morte.

Maria Cristina fa la sua scelta, “lancia il cuore oltre l’ostacolo” come Ammaniti dice rivolto a Fazio. Due anni dopo (e siamo giunti al nono e ultimo capitolo) riappare in mezzo a una bella natura marina e ha accanto le due persone più care, la figlia Irene e il suo uomo, quale dei due non va detto.

Il libro finisce, ma le mie reazioni di lettura non si fermano. In fondo non mi pare che lei, che pure è stata definita la donna più bella del mondo, abbia vissuto in base a una codice particolare. Ha seguito una delle parabole di vita possibili a tutti ed è passata dalla inautenticità di una esistenza fatta di lustrini, successo e finzione a scelte più autentiche.

Rileggo anche il giudizio di Marilù Oliva che ho trovato in internet: ”Un romanzo che ci fa riflettere sulle più insidiose deviazioni dei giorni nostri: l’individualismo, l’apparenza, la mistificazione della esteriorità, la superficialità, la tendenza a cannibalizzare, fagocitare, appiattire. Sono i mostri contemporanei che Ammaniti ci consegna per ricordarci che aleggiano tra di noi, ma, forse, non tutto è perduto”.

Questo che dice Oliva è vero, la fotografia scattata dal libro sul nostro mondo funziona e dal canto suo il lieto fine è in grado di lasciare aperta la speranza. A chi, però mi domando e resto perplessa.

Il messaggio positivo che Ammaniti ci ha lasciato nel suo insuperato Io non ho paura  mi è sembrato, quello sì, rivolto a tutti: anche lì ha avuto la meglio il coraggio, il coraggio di un bambino di nove anni che ha fatto la sua scelta. Ha salvato la vita a un altro bambino suo coetaneo sull’onda del senso di giustizia naturale che ha trovato dentro di sé.

Nella vicenda di Maria Cristina, pur raccontata benissimo, aleggia (l’ho sentito in ogni pagina) un messaggio elitario, che potrei definire il senso del privilegio. Vi troneggia la compagine valoriale dell’occidente del mondo, declinata per di più in un paese come il nostro che fatica a scrollarsi di dosso il suo provincialismo.

Mi pare che in questo  romanzo abbia avuto più coraggio Maria Cristina, nella sua vita di carta, che non lo scrittore che l’ha creata.

Note bibliografiche:

  • Niccolò Ammaniti, La vita intima, Einaudi Stile libero, 2023
  • Ian Mc Ewan, Nel guscio, Einaudi, 2016 (traduzione di Susanna Basso)
  • Niccolò Ammaniti, Io non ho paura, Einaudi, 2001

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di cartaclicca [Qui]

Ferrara, marzo – maggio 2023
Un ciclo di incontri sulla città (futura) che vogliamo

 

CICLO DI INCONTRI SULLA CITTÀ RIFLESSIONI E PROPOSTE PER LA CITTÀ FUTURA 
Primo Appuntamento: 10 marzo ore 17 alla Sala Macchine della Factory Grisù :
RIGENERAZIONE URBANA E CONSUMO DI SUOLO: PRATICHE NON RETORICHE

IL PROGAMMA DEI 4 INCONTRI

Ciclo di incontri pubblici organizzati dall’Università di Ferrara, Dipartimento di Architettura_CITERlab e LSFD e dal Forum Ferrara Partecipata

Gli incontri proposti tratteranno temi generali importanti per il futuro delle città che si possono riscontrare sia nell’Agenda 2030 dell’ONU (Obiettivo 11) che in numerose esperienze che si stanno compiendo non solo in Italia. Gli incontri riguardano la rigenerazione e il consumo di suolo, la natura, il verde urbano e gli spazi pubblici, la mobilità, il diritto alla casa, la salute urbana, la partecipazione dei cittadini. Tali temi saranno trattati da ricercatori e esperti di diverse università italiane e da esperti di settore.

 

IL PRIMO APPUNTAMENTO

Venerdì 10 marzo ore 17,  Factory Grisù, via Poledrelli 21
RIGENERAZIONE URBANA E CONSUMO DI SUOLO: PRATICHE NON 
RETORICHE

Romeo Farinella (architetto-urbanista, Dipartimento di Architettura-UNIFE)
Gabriele Bollini (urbanista, valutatore ambientale, Dipartimento di Ingegneria-UNIMORE)
ne parlano con Francesca Cigala Fulgosi (Forum Ferrara Partecipata)

L’iniziativa è nata grazie all’incontro tra il laboratorio di Ricerca CITERlab del Dipartimento di Architettura dell’Università, il Laboratorio didattico LSFD entrambi diretti dal Prof. Romeo Farinella e il Forum Ferrara Partecipata costituitosi come luogo di riflessione sul futuro di Ferrara e di cittadinanza attiva finalizzato al coinvolgimento dei cittadini nelle scelte future che riguardano la città. Come è noto l’occasione che ha portato alla nascita del Forum è stato il dibattito scaturito dal Progetto Feris, ma l’obiettivo è più ampio e riguarda la volontà di consolidare a Ferrara un luogo di discussione sul futuro urbano, aspetto strutturale di ogni ipotesi o strategia di transizione ecologica.

Insieme all’Università di Ferrara il Forum organizza dunque questo ciclo di incontri pubblici rivolti alla cittadinanza per l’approfondimento di tematiche relative alla qualità del vivere e dell’abitare in città, preliminari all’elaborazione di proposte e visioni per la Ferrara di domani. Si intende pertanto coinvolgere i cittadini nelle scelte che riguardano la città, avviare un percorso di cittadinanza attiva finalizzato alla formulazione di idee innovative, orientate alle necessità future e alla costruzione di una visione condivisa della trasformazione urbana. Un’esperienza che rientra anche nel campo del public engagement che sempre più connota i rapporti tra le università e i loro territori. Anche per tale motivo la scelta delle sedi dove si svolgeranno gli incontri si sono orientate verso luoghi della città consoni all’esercizio del dibattito pubblico, come si evince dal programma allegato.

C’è bisogno di una visione più consona alla situazione di crisi eco climatica, economica e sociale in cui ci troviamo. Non si può continuare con le vecchie logiche di “sviluppo” a base di cemento, plastica e combustibili fossili. La città va ripensata, come stanno facendo in molte città europee, con più verde, senza automobili private, con trasporti collettivi efficienti, con più spazi per attività sociali e culturali, salvaguardando il patrimonio culturale e naturale, riducendo l’inquinamento, garantendo a tutti l’accesso ad alloggi adeguati, difendendo i beni comuni e i servizi pubblici.

Forum Ferrara Partecipata
forumferrarapartecipata@gmail.com
https://ferrarapartecipata.it

Una maledizione ispirata
è in libreria il nuovo romanzo di Sergio Kraisky

Una maledizione ispirata.
È in libreria il nuovo romanzo di Sergio Kraisky

A volte, per fortuna, s’incontrano dei libri che è possibile recensire senza essere costretti a contorsionismi o equilibrismi. È il caso de La maledizione di Raspùtin, di Sergio Kraisky (Voland, Roma 2022). Infatti, per comunicare al lettore tutto quello che c’è veramente da dire su questo romanzo basterebbe una sola parola: leggilo.

Questa aurea raccomandazione vale, quindi, anche per il lettore di Periscopio, il quale – se si fida – può anche interrompere qui lo scorrimento di queste righe e procurarsi senz’altro il volume.

Per chi, invece, volesse saperne di più, diremo che i destini di Raspùtin sfiorano soltanto le pagine del libro: il punto d’intersezione è costituito dalla venuta al mondo del personaggio centrale – Pavel Krotovskij – in prossimità della Rivoluzione d’Ottobre e in coincidenza giusto della messa a morte dello starec siberiano “in una notte d’inverno del 1916”.

Già che le vicende narrate partono appunto da questi dintorni e approdano al presente, che fa da prologo ed epilogo al tutto, va da sé che le vicende della famiglia Krotoskij (la quale ha in sé scorta di sangue ebraico) s’intrecciano a tutto il palinsesto del ‘secolo breve’ e postumi.

In questo tragitto, la famiglia s’incontra e s’incrocia con un’altra stirpe non grata al Novecento, quella degli Schmidt, sì che la leggendaria maledizione di Rasputin imprigiona i personaggi attraverso le concretissime trappole del destino che li attendono dal nord dell’Unione Sovietica al sud dell’Italia, dall’est dell’Afghanistan all’ovest del Sud-America.

Trappole che non solo sconvolgono le vite dei protagonisti, ma sono destinate a irretirli  in un limbo di ferite e di recriminazioni che non si risolve con la morte, in una condizione intermedia che richiama, esplicitamente, quella dei defunti di Bobok.
È, infatti, questo il racconto ‘minore’ di Dostoevskij al centro del labirinto di carte lasciato in eredità da Pavel ad Aleksandr, al quale non resta che tentare di “fare ordine tra i ricordi dei morti”, come gli consiglia la moglie australiana Amber, perché non vi è altro modo “per mettere a tacere i fantasmi”.

Ma Aleksandr-Kraisky non è lo scrittore di incerte fortune Ivan Ivanovič e i suoi morti non sono semplicemente imprigionati nei ruoli e nelle maschere della vita che li ha abbandonati: piuttosto, alla vita essi sono stati crocefissi con i chiodi smisurati della storia e quelli sottili delle loro scelte.

Dal primo punto di vista, le fortune dei Krotovskij e degli Schmidt tramontano al sorgere del ‘900: essi vengono – come i Tunda e i Trotta di Joseph Roth – investiti rovinosamente dallo tsunami della contemporaneità: “scompariva tutto un mondo, le crepe di quel terremoto attraversavano la Russia in lungo e in largo, laceravano le famiglie e si insinuavano dentro l’anima delle persone”.

Appare però degna di nota la differenza essenziale (chissà se legata in qualche modo ai pochi decenni che intercorrono tra le catastrofi degli uni e quelle degli altri) nel tratto maschile dei personaggi di Kraisky rispetto a quelli di Roth. Per questi ultimi, infatti, la sottrazione del loro mondo costituisce anche il personale e completo sradicamento dall’esistenza, ciò che li rende infine – come nello scintillante explicit di  Fuga senza fine – essenzialmente “superflui”.

I maschi Krotovskij, al contrario, non sono di quelli che si siedono tranquilli nel cuore di Parigi, accettando il cartellino rosso della Storia. Al contrario, mettono in campo un vitalismo narcisista che si orienta nei tempi cercando di coglierne le opportunità, come nel caso di Pavel che sfrutta ogni chance di diversione, di eclissi e di fatuità che la sovversione delle antiche regole – il demone dell’anomia, direbbe Durkheim – pone a sua disposizione.

Spetta allora alle donne sostenere dalle radici piante così ondivaghe, sì che stavolta sono loro a venir sradicate e fagocitate nel vuoto feroce di questi passatempi maschili. E quando Sigrid (Schmidt) tenta di sottrarsene, allontanandosi da Pavel e tentando di recuperarsi nell’Afghanistan della propria infanzia, in realtà va solo incontro a un’ulteriore e atroce declinazione – transculturale, verrebbe voglia di dire – di questa ferocia distratta, quasi burocratica.

La penna di Kraisky sostiene autorevolmente questo doppia declinazione della vicenda al maschile e al femminile, inerpicandosi, dal lato tragico,  verso un’asciuttezza di linguaggio e una linearità narrativa che fa correre ancora una volta il pensiero a Roth.

Sull’altro versante, un’analoga sobrietà strutturale si colora però degli effetti di uno sguardo impietoso e ironico che porta a provare verso Pavel e soci il sentimento equivoco di una simpatia nauseata.

È un esperimento di scrittura davvero ben riuscito, che progressivamente sospinge il lettore ad abbandonarsi a quella complessità della vita che non si decompone nella morte, ma che anzi sopravvive alle cellule e permette a Pavel di rompere finalmente il silenzio con Aleksandr proprio da quella condizione intermedia, per avvertirlo che “il paradiso è qui, sottoterra. L’inferno, come si sa, è in terra, mentre in cielo, figlio mio, in cielo non c’è assolutamente nulla”.

Sono queste le ultime parole, ma forse anche le prime, che egli può dire al suo Saša. La maledizione di Raspùtin è dunque rotta, la pagina ha fatto infine ordine tra i ricordi dei morti e pacificato i fantasmi, ha permesso loro di trovare la via del silenzio autentico, così diverso dal mutismo terreno.

Eppure, scivolando verso la fine del testo, si ha come l’impressione di sentire Pavel – il quale aveva per professione una certa dimestichezza con la letteratura – bisbigliare ancora una parola, stavolta libera e rivolta a noi tutti: ”Leggetelo”.

Il volume:
Sergio Kraisky, La maledizione di Raspùtin, Roma, Voland, 2022, € 17,00

Sergio Kraisky, romano, oltre che sociologo e romanziere, è anche un autore di Periscopio. Leggi i suoi racconti e i suoi articoli [Qui] 

In copertina: Joseph Roth (primo a sinistra) con alcuni amici artisti e intellettuali olandesi in un caffè di Amsterdam (www.kuenste-im-exil.de).

Parole e figure /
Birbe nella vita, detto, fatto

Birbe nella vita, detto, fatto

Oggi vi presentiamo due novità in libreria, storie fresche fresche, profonde e divertenti: le avventure di due bambini un po’ ribelli a confronto con i guai della vita.

Ulf Stark, l’autore più letto e amato nel Nord Europa (dopo Astrid Lindgren di Pippi Calzelunghe), firma un racconto tenero e senza tempo sulla profondità del rapporto che può instaurarsi tra un bambino e un animale e i benefici per entrambi.

Il cane Ajax dal lungo naso rosa ha sette anni quando, nell’accogliente famiglia in cui vive, nasce Johan; tra loro è subito amicizia. Solo Ajax, con le sue leccatine sotto i piedi e dentro l’orecchio, sa placare il piccolo strillo-urlatore, soprattutto la sera, prima di dormire. Vi dico solo che la prima parola che pronuncia il bimbo non è né mamma né papà, ma BAU! Per stare in piedi si attacca alla pelliccia del suo fedele amico, se cade lui lo tira su. Avere un amico significa avere qualcuno che ci aiuta a rialzarci e ci fa ridere. Così come lo è avere qualcuno che ti gratta il collo o con cui dividere una salsiccia.

Così, tra giochi, passeggiate, merende condivise, pappine, lotte, corse sullo slittino soto la neve, battute di caccia a mosche e farfalle e tante cose da vedere (vasi di fiori, scarpe, calzini, il sole, il cielo blu, l’erba, le case e un cavallo), Johan cresce felice. Di notte i due amici inseparabili guardano le stelle, sono molte di più di tutti i calzini del mondo…

Intanto, fra un indovinello e l’altro, Ajax invecchia, è stanco e non vuole più correre, finché un brutto giorno, quando Johan ha sette anni, muore. Sognando, è volato in cielo, dice la mamma, lì può giocare allegramente e mangiare sempre cose celestiali.

Ma l’affetto e l’amore, che tutto possono e ovunque arrivano, spingono Johan a cercarlo in cielo e, dritto dritto fino allo spazio cosmico, dopo un lungo viaggio a cavallo, oltrepassati supermercato e benzinaio, vedrà finalmente un musetto in una piccolissima stella.

Con una svolta fantastica, Ulf Stark intreccia vita e morte – tema difficilissimo da narrare ai bambini (già ne avevamo accennato con Bigoudì) – grazie al filo potente dell’amicizia, in un cerchio che si chiude su una delicata nota di speranza. Un racconto allegro, tenero e intenso che sdrammatizza i piccoli-grandi guai della vita di ogni bambino.

Ulf STARK, Una stella di nome Ajax, illustrazioni di Stina Wirsén, Iperborea, collana I Miniborei, prima edizione 22 febbraio 2023, 64 pp.

Per tutti quelli che considerano i bambini degli adorabili angioletti, invece, questo albo di Barbro Lindgren ed Eva Eriksson sarà la prova dell’esatto contrario. Storia di un bimbo che non sa stare fermo. Un divertente classico contemporaneo, in rima.

Imprevedibile e temerario, sempre in cerca di avventure, il buffo Bimbo birbone non sa stare davvero fermo. Di notte, quanto tutto tace, lui salta come un grillo, gioca a fare l’aquila e l’orsetto, fa sempre quello che gli pare. Libero e indipendente, fin da piccolo.

Un bel giorno, molto noioso, ha proprio voglia di fare un gioco divertente: sale a bordo di una cassetta di legno, prende lo spazzolone e vi issa il grembiule della mamma come vela, fa scorta di girandole alla cannella e arruola la sua fidata ciurma di pupazzi: sor Coniglio, sor Giraffo e Trottolino. Il tappeto blu diventa il mare aperto e via, comincia il grande viaggio, dopo il saluto malinconico, con tanto di fazzoletto, della mamma. Il bimbo birbone, prode, temerario, impavido e coraggioso, ama i pericoli e le sfide, anche se i suoi amici strillano per lo spavento. Nessuno lo può fermare.

Naso dritto al vento, fra tempeste, un luccio ingordo, un gallo naufrago e un’immensa balena (che ricorda Pinocchio), niente può fermare l’intrepido capitano in erba quando è all’opera la sua fantasia, tanto meno la sua rassegnata mamma, che chiama per il pranzo.

Barbro LINDGREN, Bimbo birbone e il viaggio per mare, illustrazioni di Eva Eriksson, prima edizione 8 febbraio 2023, Iperborea, collana I Miniborei, 32 pp.

Ulf Stark (1944-2017)

È stato uno dei più importanti scrittori svedesi per l’infanzia e tra i più amati dai giovani lettori. Pubblicato con successo in tutto il mondo, ha ricevuto molti riconoscimenti, tra cui l’Astrid Lindgren Prize e il Nordic Children’s Book Prize. Iperborea ha pubblicato Sai fischiare, Johanna? (2017), vincitore del Premio Andersen 2018, Il bambino dei baci (2018), Il bambino mannaro (2019), Tuono (2019), Il bambino detective (2019), La grande fuga (2020), Piccolo libro sull’amore (2020), Animali che nessuno ha visto tranne noi (2021) e Ulf, il bambino grintoso (2021).

Stina WIRSEN (1968)

Nata a Stoccolma, è una delle illustratrici più rinomate della Svezia. Ha lavorato come illustratrice professionista sin dalla sua laurea presso la Konstfack University College of Arts, Crafts and Design nel 1992. Con grande esperienza nell’illustrazione di tutti i generi, è nota per i suoi libri per bambini e per i suoi ritratti nel campo della moda.

Barbro LINDGREN (1937)

È una delle autrici di libri per bambini più amate della Svezia. Dal suo debutto nel 1965 ha scritto libri per ogni età, tradotti in oltre 30 lingue. I suoi libri hanno ricevuto numerosi premi svedesi e internazionali. Nel 2014 ha ricevuto l’Astrid Lindgren Memorial Award. Iperborea ha pubblicato Povero AmletoStoria di un signore piccolo piccolo e Bimbo Birbone.

 

Eva ERIKSSON (1949)

Nata a Halmstad, illustratrice e scrittrice, ha illustrato libri di Barbro Lindgren, Ulf Stark, Ulf Nilsson, Viveca Lärn e altri, ottenendo molti riconoscimenti, tra cui il Premio Astrid Lindgren. Dal 2003 al 2012 è stata membro dell’Accademia di Svezia per i Libri per Bambini.

 

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti. Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

Viaggio in Italia: Ro Ferrarese

Viaggio in Italia: Ro Ferrarese

Poche case, abbastanza da formare un Paese, seguendo tre direttrici da Piazza Umberto I. Un parco alberato e recintato da mura in stile Impero, così come la Villa Comunale, all’interno dello stesso, che ospita il Municipio. Una Chiesa Barocca dal campanile a cuspide bombata. Attorno la fitta rete dei canali di irrigazione, che separano i coltivi, sui quali sorgono le abitazioni di chi li possiede, in regime di piccola proprietà. Quattro magnifiche Ville, su cui spicca quella dei potenti conti Saracco-Riminaldi, che possedevano terra fino al mare. Ma soprattutto Lui, a poca distanza dal paese, il grande fiume padre della Pianura, il Po, capace con la sua presenza di influenzare l’ambiente e l’umore degli abitanti, tra secche e minacce di rotta.

Poi il bosco, artificiale, ovvero di piante da coltura, residuo di quello ceduo di pioppi e altri alberi che sorgeva un tempo, fitto e intricato. Questa è zona di Terre Vecchie, solo parzialmente bonificate, quel tanto che basta per garantire un eccellente scolo delle acque piovane, in punti segnalati dalla presenza delle stazioni idrovore di pompaggio.

A poca distanza dal Paese, sorge poi un meraviglioso ponte romano: al Pont di Tri Occ’ (il Ponte dai tre occhi), con riferimento alle tre arcate in pietra antica che lo compongono, a sfiorare la superficie dell’acqua.

Questo, in sintesi, il Paesaggio più caro al mio cuore, quello di Ro Ferrarese, dove sono cresciuto, sin dall’età di cinque anni. Il paese di Vittorio Sgarbi, il critico d’Arte più amato/odiato d’Italia per le sue posizioni estreme ed i suoi improvvisi scoppi d’Ira televisivi. Contrariamente a lui, che sin da giovanissimo ha frequentato un Collegio, ho potuto passare l’infanzia e l’adolescenza vagando, ogni pomeriggio che Dio manda in terra, per le campagne circostanti. Ho imparato a costruire una canna da pesca, usando come galleggiante un tappo di sughero forato e la parte finale d’una penna di gallina. Ancora oggi potrei, scegliendo il salice giusto e qualche camera d’aria rossa da bicicletta, oramai introvabile, ma indispensabile per realizzare i tiranti, fabbricarvi una fionda che non ha niente da invidiare a quelle da caccia moderne che si vendono nei negozi. Oppure se preferite, una cerbottana o un fucile a gommini, tutte armi con cui divisi per bande, si faceva letteralmente la guerra, affrontandoci in campo aperto, nei giardini del Municipio oppure al campo sportivo. Certo, non eravamo molto attenti alla non-violenza, al pacifismo, valori che ho conosciuto soltanto alle Superiori, poiché alle Scuole medie “Leonardo da Vinci”, rigorosamente in paese, quasi ogni giorno volava qualche pugno, nel cortile, terminate le lezioni. Ricordo la frase di rito: “Ti aspetto fuori” e dovevi difenderti, c’era poco da fare. Era una violenza ereditata dalle generazioni precedenti – mio padre a Codigoro, negli anni Cinquanta, faceva le stesse cose – affatto calmierata dai Docenti, che ne erano ahimè, complici involontari, poiché non assistevano che a qualche schermaglia iniziale nelle classi. Però era una violenza “bonaria” – sempre ammesso che esista il  termine – alla Peppone e don Camillo: due pugni, quattro sberle e il giorno dopo amici come prima, almeno nella maggior parte dei casi. Ora so che quelle dinamiche sono molto pericolose, ma allora, essendovi immerso, non me ne rendevo conto. Oggi, divenuto a mia volta Docente, presto la massima attenzione e smorzo sul nascere ogni episodio di sopraffazione, partendo da quella verbale, come è giusto che sia. Dopo questa doverosa precisazione, devo dire che sicuramente noi eravamo meno fragili dei miei alunni, certo non grazie alla violenza, ma in virtù delle maggiori relazioni sociali. Liberi di scorrazzare per il paese – poche automobili, zero criminalità o spaccio di droga verso gli adolescenti – ognuno di noi imparava ad essere autonomo in tutto. Se avevi fame, staccavi una mela, una pesca, qualche albicocca o molte ciliegie dagli alberi, nei campi, che non erano nemmeno recintati. I contadini sapevano e – chi più, chi meno – tolleravano, quando non ti sparavano a sale, ma lo facevano soltanto quelli più avari, e noi, una volta individuati, li evitavamo come la peste. Poi c’erano gli alberi di Rusticani, in dialetto, con parola veneta:  Amoli, una specie di pruno selvatico di cui si mangiavano i frutti ancora acerbi, verdi e dal sapore amarognolo, che cresceva spontaneo lungo i fossi; qualche albero di fichi o un grande noce solitario, sotto le cui fronde passavi il tempo a schiacciare i frutti con un sasso per mangiarne il delizioso gheriglio.

Negli anni Settanta il paese era popolato e florido, ricco di attività. L’annuale fiera di San Giacomo era attesa da tutti noi ragazzi, perchè arrivava l’autoscontro, e soprattutto quella giostra pazza che viene comunemente chiamata Calcinculo, nome triviale che però restituisce da subito il funzionamento. Infatti, per poter prendere la coda sintetica, appesa ad un filo penzolante da un pennone, mentre i seggiolini incatenati giravano vorticosi a pochi centimetri da terra, allargandosi per forza centrifuga, occorreva mettersi a coppie. Uno dei due, quello dietro, teneva stretto il seggiolino dell’altro e, al momento giusto, lo lanciava verso il pennone dandogli una forte spinta con le gambe (il calcio-in-culo, appunto), o – i più forti – con le braccia. Chi prendeva la coda, staccandola dal filo, vinceva un giro gratis.

Il momento più atteso era però l’Albero della Cuccagna, antica tradizione medioevale, che consisteva nel dare la scalata ad un lungo palo verticale, infisso nel terreno e cosparso di olio da motore e grasso, formando una piramide umana. Naturalmente chi stava sotto doveva avere una forza notevole, per reggere la fila verticale che si andava formando, così come chi saliva doveva essere, man mano che la piramide cresceva, sempre più leggero ed agile, per riuscire a “scalare” tutti quei corpi, ed arrivare alla ruota posta in cima da cui pendevano prosciutti e salami. Tutt’attorno al palo veniva gettata molta paglia, per attutire eventuali scivolate e crolli di fila, che puntualmente si verificavano, mentre i componenti delle piramidi umane si inzaccheravano d’olio scuro e di grasso giallognolo, nel tentativo di arrivare in cima, fra le risa del pubblico disposto a cerchio attorno al palo.

L’Estate era poi tempo grato. La scuola chiudeva per le vacanze tanto attese e noi ci riversavamo per i campi o, in età adolescenziale, nei bar e nella gelateria del paese. Nostri luoghi di ritrovo erano il bar della Mercedes, una buffa signora attempata dal camice azzurro, sempre sorridente, che partecipava ridendo ai gavettoni di Ferragosto, lanciandoci divertita bicchieroni di acqua gelida. Qui potevi trovare le fiamme, paste dolci al cioccolato, prodotte dalla pasticceria Gallerani del vicino paese di Copparo, dove mio padre ci portava in auto, la Domenica, per gustare i loro fantastici bignè alla panna. L’altro luogo di ritrovo era la gelateria Stoppa, dove la titolare faceva granatine al gusto di amarena, menta, limone o tamarindo, tritando il ghiaccio in pezzi grossi dentro bicchieri da birra con il manico, e versandovi sopra un concentrato di coloranti: lo sciroppo. Faceva anche gelati buonissimi, in pochi gusti: crema, dal sapore di limone, cioccolato, panna e panna ed amarena, ma soprattutto aveva un calcino, o calcio-balilla, attorno al quale passavamo le giornate sfidandoci in partite tiratissime, gioco in cui, modestamente, sono ancora oggi molto bravo.

Oggi il paese è ridotto ad un dormitorio, tanto per usare un eufemismo. Le bande di ragazzi in bicicletta, il nascondino notturno con quaranta persone all’aria aperta, i gelati, le trattorie e i bar, sono solo un lontano ricordo. Resta qualche buon Agriturismo, diversi ristoranti, la riproduzione di un vecchio mulino sul Po, qualche bar, pochi negozi. In cuor mio spero che il paese si riprenda, per non so quale miracolo, poiché mi addolora vederlo così ristretto, anche se ogni tanto il richiamo del passato è così forte che non posso non percorrere in macchina quel paesaggio che amo, poi, parcheggiare in Piazza Umberto I e camminare silente per il paese, nella speranza di incontrare qualcuno di amico, che allarghi nuovamente il mio cuore, rinnovando i ricordi di un tempo.

Questo testo è apparso recentemente su: Il giornale di Rodafà

In copertina: Al Pont di Tri Occ’ (il ponte dei tre occhi), via Ponte Tabarro, Ro Ferrarese (FE) – foto di Stefano Agnelli

La Russia, il nuovo oro e il futuro ordine mondiale (con l’Europa ai margini)

La Russia, il nuovo oro e il futuro ordine mondiale (con l’Europa ai margini)

Il Fondo Monetario Internazionale (con sede a Washington) ha pubblicato le previsioni del Pil per il 2023, da cui si desume che la Russia crescerà di +0,3% (anziché di -3,4% come previsto in precedenza, per non parlare dei numerosi esperti occidentali che parlavano di una contrazione di oltre il 10%). Poco, ma più di paesi come Germania (+0,1%) e Inghilterra (-0,6%) e non distante da quello dell’Italia (+0,6%).

L’inflazione in Russia sarà del 5-7%, simile a quella in Europa e in Italia. Ma la cosa più sconcertante è che le previsioni del FMI per il 2024 siano di una crescita della Russia maggiore di quella degli Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Francia e Italia.Com’è possibile – si chiede Federico Rampini sul Corriereche il paese colpito dalle più grandi sanzioni della storia, abbia una crescita maggiore della nostra?”.

Il problema di Rampini e di gran parte dell’élite occidentale è che sono rimasti all’idea che la finanza anglosassone, che ha guidato la globalizzazione negli ultimi 20 anni, avrebbe conferito quel potere “definitivo” per dominare il mondo anche nel XXI secolo. Ma così non è, perché nel frattempo è cresciuta la Cina con un inedito potere nelle mani, quelle materie prime oggi fondamentali per tutte le innovazioni tecnologiche.

E’ inoltre cresciuta la galassia dei paesi “non allineati”, che non sono più disponibili a sottostare al dominio americano e che ora esportano verso la Russia ciò che non fa l’Occidente “sanzionatore”: Emirati Arabi Uniti, India, Armenia, ex repubbliche sovietiche, Hong Kong, Turchia (che pure è nella Nato) per non parlare di Iran, Cina e molti altri, che smistano verso la Russia quelle merci che l’Occidente non esporta più (inclusi i microchip per le armi). Il paradosso è che è stata proprio la globalizzazione e la finanziarizzazione dell’economia a creare quella fitta rete di snodi che oggi by-passa le sanzioni.

Ciò spiega la graduale ripresa dell’economia russa. Metà degli Stati nel mondo non hanno approvato le sanzioni (73 paesi astenuti all’ONU il 14 novembre; 14 contro; 93 a favore) e non vogliono compromettere i loro rapporti con Cina e Russia. Molti di questi paesi aggirano le sanzioni occidentali ed esportano verso la Russia: ciò spiega come mai chip e ricambi arrivino quasi come prima.

Il New York Times ha rivelato i meccanismi che consentono alla Russia di aggirare le sanzioni ed esportare gas e petrolio, indirizzandoli verso altri paesi. Secondo il sito Kpler, in gennaio la Russia ha consegnato via mare 158 milioni di barili, uno dei livelli più alti dell’ultimo anno, grazie a Cina e India, che hanno aumentato le importazioni. Il Wall Street Journal racconta la storia della Gatik Ship Management, una compagnia indiana, che fino al 2022 non gestiva neppure una nave, ma ora controlla 25 petroliere che fanno la spola tra la Russia e i mercati asiatici. Così dicasi per la greca TMS Tankers, che in un solo mese ha fatto 14 viaggi per consegnare il greggio di Mosca, o la sussidiaria del Cremlino Sovcomflot con sede a Dubai.

A volte il petrolio viene travasato da un cargo all’altro in acque internazionali, come fanno anche Iran e Corea del Nord. Del resto, se venisse a mancare in molti paesi l’export russo di petrolio succederebbe quello avvenuto col gas: i prezzi andrebbero alle stelle. Il blocco all’export di chip e pezzi di ricambio occidentali è aggirato dall’import da paesi amici, come l’Armenia, che ha aumentato l’import di smartphone di 10 volte per poi probabilmente esportarli in Russia. Ciò spiega come mai l’import di chip in Russia sia addirittura cresciuto dal 2021 al 2022 da 1,8 a 2,5 miliardi (fonte International Finance), grazie a Cina, Hong Kong, Turchia, Bielorussia, Kazakhstan e Kirghizistan che si prestano ad operazioni simili (dalle lavatrici ai pezzi di ricambio per le auto).

Su La Stampa Oleg Smirnov scrive che “le sanzioni dell’Occidente non hanno sortito l’effetto che molti prevedevano”, nonostante il blocco di 300 miliardi di dollari delle riserve russe presso le banche occidentali estere, la forte riduzione delle importazioni di materie prime ed energia, il blocco dell’export di tecnologie occidentali e l’esclusione delle banche russe dal sistema Swift. E’ vero che molte multinazionali hanno abbandonato la Russia (tuttavia, la maggioranza sono rimaste) ma i loro negozi sono stati sostituiti da altri russi con merci locali e l’occupazione persa (circa 200mila persone) è stata rimpiazzata da moltissime donne, che lavorano al posto degli uomini finiti al fronte (come accaduto anche durante le guerre mondiali).

Intervistato da La Stampa, Evgeny, 55 anni, medico di San Pietroburgo, che può considerarsi un rappresentante del ceto medio, dice che “ai tempi dell’Unione Sovietica non avevamo prodotti occidentali, quindi siamo abituati, la guerra non ha influenzato particolarmente le finanze familiari, i prezzi di alcuni prodotti di prima necessità sono aumentati un pò, ma niente di insostenibile”. Le vendite di automobili in Russia nel 2022 sono crollate del 58% ma i pezzi di ricambio arrivano dai Paesi asiatici o dalle cosiddette “importazioni parallele”, cioè paesi terzi, come Turchia, Kazakhstan, etc.

Contrariamente alla narrazione mainstream, in Ucraina è in corso una guerra per procura tra USA e Russia, che vede la Cina come il vero “convitato di pietra” del XXI secolo. E’ probabile che l’invasione dell’Ucraina sia avvenuta col consenso della Cina, che dal 2009 lavora a un nuovo Sistema Monetario Internazionale in cui il dollaro non sia più l’unica moneta di “ultima istanza”, ma ci sia anche lo yuan cinese.

Gli Usa hanno debiti con l’estero per una cifra da capogiro (19.100 miliardi, 11 volte il Pil dell’Italia), mentre la Cina ha un attivo di 4.100 miliardi (e la Russia di 600 miliardi). Già nel 2009 c’era stato un approccio della Cina coi BRICS (Brasile, Russia, India, Sudafrica) per avviare questo processo. La scelta di Lula (Brasile) di non mandare armi all’Ucraina conferma l’interesse per un nuovo assetto monetario che si va costruendo anche in America Latina – un disegno che aveva in mente Gheddafi per il Nord Africa, stroncato con la sua uccisione nel 2011.

Il dominio del dollaro si basa su tre fattori: a) la forza economica degli Usa; b) la potenza militare; c) la finanza occidentale, cresciuta in modo impetuoso negli ultimi 20 anni, quasi tutta nelle mani degli anglosassoni.
Gli Usa pensavano che col dominio della finanza non ci sarebbe stata partita nel XXI secolo, ma hanno fatto male i loro conti. La Cina, dopo la sua straordinaria crescita economica (favorita paradossalmente proprio dalla decisione delle multinazionali americane di favorire la sua entrata nel WTO), ha deciso nel 2009 di valutare di “mettersi in proprio”. La Russia, che fino al 2014 pensava ad un’ alleanza strategica con l’Europa  – specie attraverso la Germania, che godeva di uno straordinario vantaggio da questa alleanza ma che lavorava anche per un’ Europa più indipendente dagli Usa -, ha capito che gli Americani avrebbero impedito questa alleanza e si è rivolta – senza entusiasmo – alla Cina, offrendo forza militare e materie prime. La Cina ha così sostituito la finanza occidentale (il nuovo oro del XXI secolo degli Americani) con il suo nuovo “oro”: le materie prime.

Questa è la vera partita in corso a livello mondiale, da cui l’Europa può subire un contraccolpo enorme se, come prevedibile, non sarà possibile sconfiggere la Russia militarmente e si dovrà arrivare, prima o poi, ad un cessate il fuoco. La “pace” successiva tra Russia e Ucraina sarà appoggiata sopra l’edificio di un nuovo equilibrio mondiale, che vedrà un declino del dollaro come moneta di riserva internazionale e un’ascesa dello yuan. L’Europa, che avrebbe potuto beneficiare di questi nuovi equilibri mondiali, sarà invece penalizzata dal suo essersi accodata agli Usa.

Ciò spiega perché il rublo sia rimasto stabile sul dollaro (76 rubli per 1 dollaro) come era prima dell’esplosione del conflitto Russia-Ucraina, dopo essersi svalutato violentemente nei primi mesi successivi all’ invasione. I cambi monetari sono influenzati da molti fattori e sono un buon indicatore del futuro atteso.

L’UMANITÀ TRADITA
Le immagini del flash mob di Ferrara

L’UMANITÀ TRADITA
Le immagini del flash mob di Ferrara

Un flash mob particolarmente affollato, quello di sabato 4 marzo in piazza Municipale, proprio sotto lo scalone del Comune di Ferrara. Per non dimenticare un barcone affondato a 100 metri dalla riva nell’indifferenza di chi poteva e doveva salvarli, le decine di morti e dispersi,  i commenti indecenti dei nostri governanti, le responsabilità che devono essere accertate. Erano in tanti  in piazza a chiedere di non dimenticare, più di 200 persone, di tutte le età e di tutte le etnie. Una ventina di loro portavano al collo il ritratto di bambini stranieri realizzati da Mirian Cariani, già esposti a Ferrara, e ora in viaggio verso Bologna.
La redazione di Periscopio

 

Servizio fotografico di Valerio Pazzi

 

Pazienza & Resistenza
Incontri con l’autore: 11marzo-10 giugno ’23

Pazienza & Resistenza
Incontri con l’autore: 11marzo-10 giugno ’23

La Pazienza Arti e Libri e il Centro Sociale La Resistenza Ferrara vi invitano:

Sabato 11 Marzo, ore 17,30

Alessandro Della Santunione, Poco mossi gli altri mari, Marcos y Marcos 2023

L’autore dialogherà con Marco Belli

La Pazienza Arti e Libri, via de’ Romei 38, Ferrara

 

Martedì 14 Marzo, ore 19,00

Antonio Sofia, Potere alla parola. Scrivere rap, vivere hip-hop, Momo 2022

L’autore dialogherà con Eva Beccati

Centro Sociale La Resistenza, via della Resistenza 32-34, Ferrara

 

Venerdì 31 Marzo, ore 19,00

Angelo Ferracuti e Giovanni Marrozzini, Viaggio sul fiume mondo. Amazzonia, Mondadori 2022

Angelo Ferracuti dialogherà con Sandro Abruzzese e Marco Belli

Centro Sociale La Resistenza, via della Resistenza 32-34, Ferrara

 

Sabato 1 Aprile ore 17,30

Raffaele Carrieri, Un doppio limpido zero. Poesie scelte 1945-1980, Interno Poesia 2023

Il curatore Stefano Modeo dialogherà con Claudia Mirrione

La Pazienza Arti e Libri, via de’ Romei 38, Ferrara

 

Martedì 11 Aprile, ore 19,00 (ANTEPRIMA ITALIANA)

Brian Blomerth, Bicycle Day, WoM 2023

L’editore dialogherà con Silvia Meneghini

Centro Sociale La Resistenza, via della Resistenza 32-34, Ferrara

 

Sabato 6 Maggio, ore 17.30

Enrico Palandri, Sette finestre, Bompiani 2023

L’autore dialogherà con Michele Ronchi Stefanati

La Pazienza Arti e Libri, via de’ Romei 38, Ferrara

 

Martedì 9 Maggio, ore 19,00

Alberto Prunetti, Non è un pranzo di gala. Indagine sulla letteratura working class, Minimum Fax 2022

L’autore dialogherà con Cristiano Mazzoni

La Resistenza, via della Resistenza 32-34, Ferrara

 

Sabato 20 Maggio, ore 17,30

Autori vari, Il rosso e il noir, a cura di Riccarda Dalbuoni, BookTribu 2022

L’autore Gianluca Morozzi dialogherà con Marco Bell

La Pazienza Arti e Libri, via de’ Romei 38, Ferrara

 

Martedì 30 Maggio, ore 19,00

Jorge Coulón Larrañaga e Federico Bonadonna, Sulle corde del tempo. Una storia degli Inti Illimani, Edicola 2022

Federico Bonadonna dialogherà con Marco Zavagli

Centro Sociale La Resistenza, via della Resistenza 32-34, Ferrara

 

Sabato 10 Giugno, ore 17,30

Diego Crivellari, Scrittori e mito nel Delta del Po. Un dizionario letterario e sentimentale (Nuova edizione riveduta e ampliata), Apogeo 2021

Danilo Trombin, Viaggio sentimentale sul Delta del Po. Guida sentimentale all’ultima frontiera, Apogeo 2021

Gli autori dialogheranno con Sandro Abruzzese e Marco Belli

La Pazienza Arti e Libri, via de’ Romei 38, Ferrara

Accesso fino ad esaurimento posti.
Per info: info@lapazienza.it; laresistenzaeventi@gmail.com

 

Per certi versi /
La ragazza apparsa

La ragazza apparsa

Un errabondo
colore di stampa
A vetri caldi
Sembra gradire
Le mie narici
Passa la parola
La mente è bianca
Rastrella fiori il cervello
Pieni di lacrime
È stata una notte
Di bucato
La ragazza stendeva
I desideri
Senza fili
Di là
dall’oceano
Del tempo
Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

POESIA IN MANICOMIO
Leaves/Lives. Come le foglie. Mezzo secolo di donne al manicomio: Venezia 4 marzo-16 aprile ’23

POESIA IN MANICOMIO
Mezzo secolo di donne al manicomio, a San Servolo (Venezia) dal 4 Marzo 2023 al 16 Aprile 2023
La presenza della poesia nella mostra Leaves/Lives. Come le foglie.

Isola di San Servolo nella laguna di Venezia.

E’ stata inaugurata oggi, 4 marzo ’23, a San Servolo (Venezia) la mostra Leaves/Lives. Come le foglie. Mezzo secolo di donne al manicomio
San Servolo srl, società in house della Città metropolitana di Venezia, ha promosso e sostenuto questa mostra destinata ad emozionare e a far meditare

Contare i giorni di permanenza in ospedale, censire per ognuna il nome, l’età al momento dell’ingresso e, in caso di morte, l’età alla morte, è l’idea su cui si basa questa esposizione, o meglio questa installazione, curata dalla psichiatra Maria Cristina Turola e dal suo gruppo.

«Questa mostra nasce per voler rappresentare tutte le donne che sono state in cura nel manicomio di Venezia – spiega la psichiatra – Ognuna delle 10mila che abbiamo individuato come presenti nella struttura tra il 1900 e il 1950 sarà rappresentata con una foglia colorata in cui c’è scritta la data, il nome e il numero di giorni trascorsi in cura nel manicomio. La mostra nasce da una domanda: quante donne c’erano ricoverate a San Clemente e San Servolo. L’idea è quella di dare un impatto emotivo attraverso quello che diventa un autentico bosco di foglie installato lungo i corridoi che conducono proprio alle stanze dell’archivio di San Servolo. Sono tante le storie che colpiscono e che mi hanno colpito sfogliando le migliaia di fascicoli che abbiamo riaperto, quasi tutte sono molto tristi, da parte nostra c’è la voglia di raccontarle sperando che questa mostra possa essere l’inizio di un ulteriore percorso di ricerca».

comparativo,
Album comparativo, Mania circolare,, Museo del Manicomio, San Servolo (Venezia)

Come ha spiegato la stessa dottoressa Turola le donne sono rappresentate tutte insieme in un grande albero orizzontale in cui ognuna di loro è una foglia e un nome, con un impatto visivo ed emotivo forte: migliaia di foglie disposte lungo le pareti, verdi per le donne dimesse e marroni per quelle morte; le diverse gradazioni di colore rappresentano l’età al momento del ricovero.

All’interno di questa installazione mi è stato chiesto di commentare con dei testi poetici, una decina di fotografie di donne rinchiuse a San Servolo nella prima metà del secolo scorso.
Il legame tra follia e poesia è molto stretto.
Scrive Eugenio Borgna: “Come hanno sempre fatto gli psichiatri di lingua tedesca, francese e olandese, capire qualcosa del dolore, dell’angoscia, della disperazione, richiede conoscenze di psichiatria ma anche di filosofia, di letteratura e di poesia: scienze umane che, alleate, sono indispensabili alla conoscenza e alla cura. La sola farmacologia può essere adeguata alle altre discipline mediche, ma in psichiatria il mistero della vita interiore oltrepassa ogni rigido criterio tecnologico. La follia è la sorella infelice della poesia”.

Il movimento è duplice.
La follia o comunque il manicomio ha attraversato da Friedrich Holderlin a D.F.Wallace la vita di moltissimi poeti e scrittori.
D’altro lato, la grande poesia e i grandi romanzi consentono alla psichiatria di dilatare e di ampliare la conoscenza dell’anima che ne è l’orizzonte infinito.

La follia e la poesia confluiscono in una straordinaria associazione creativa. Non importa qui la poesia come ‘terapia’, ma la poesia come lingua dell’eccezionalità e dell’eccedenza, La poesia è il calco delle zone oscure, o delle inaccettabili luminosità dell’uomo, e leggere è una cura, cara, feroce
Seasumus Heaney parla del potere riparatorio della poesia rispetto al dolore.
Vi sono quindi due modalità differenti di vivere la poesia.
Sembra, voglio dire, che esista un modo di sentire la poesia come missione estetica, come compito letterario . E un altro, disgiunto, dove non hanno ragione i gusti, la sferica sapienza del verso, il canone o il piacere: qui la poesia non si valuta per superfici ma in profondità.

La poesia non si spiega. Dario Borso parla di una poesia “scritta a matita”: ha l’ambizione di sparire come forma per lasciare spazio al raggiungimento dell’interiorità.

Possiamo parlare con Borges di magia della parola che si manifesta attraverso il ritmo, una musicalità, un intreccio di suoni e pause.

La poesia è parola, le stesse parole usate nella quotidianità possono diventare nella poesia elementi magici. Una parola messa in una diversa posizione nel verso assume altro significato. Nella poesia ogni parola ha un peso.

Senso e significato sono importanti, se c’è il sentire, bellezza lirica avvertita istintivamente a livello intimo.
Perché è dai tormenti dell’io che la poesia prende forma, si plasma ed emerge.

Senza questi tormenti il seme poetico non potrebbe attecchire, il linguaggio poetico istituisce un mondo. La poesia incendia il mondo: “Se la prosa è una casa la poesia è un uomo in fiamme che l’attraversa correndo” per dirla con Anne Carson .Quella poesia che viene vista da Heidegger come soluzione all’inadeguatezza del linguaggio e della tecnologia.
Il linguaggio poetico ha infatti questa capacità di svelare il mondo metaforico che giace dentro tutti i nostri discorsi ordinari come una coscienza addormentata.

Ed ecco che allora i visi delle donne matte di san Servolo possono parlare oggi al nostro cuore attraverso la poesia perché accostarsi alla poesia non richiede particolare cultura ma rispetto, perché ,come dice la poetessa tedesca Gertrud Kolmar, tu sfogli una persona!
“Mi tieni nelle tue mani
Il mio cuore batte nel pugno come quello
Di un uccellino. Tu che leggi fa’ attenzione
Ecco, sfogli una persona”.

Concludo così questo viaggio lasciando una delle mie poesie presenti in mostra
SOLA

(occhi chiusi)
Non dormi?
No

Come mai?
Pensieri

Su cosa ?

Vedo la Vita
ovunque mi giri
irraggiungibile al mio sguardo
un vestito stretto
o allargato troppe volte
Qui mi sento sola
La stessa solitudine
di questa isola
da cui non andrò mai via
e dove mi parlano
bocche
con parole senza sale

Sempre ?
Non sempre

(occhi aperti)
Ricordo
l’esperienza straziante dell’amore
e l’acqua è ancora acqua
la terra
terra
E io
non sono più quella di adesso

Io sono
una donna

Isola di San Servolo

“Mezzo secolo di donne al manicomio

Isola di San Servolo (Venezia) dal 4 Marzo 2023 al 16 Aprile 2023
La presenza della poesia nella mostra Leaves/Lives. Come le foglie. 

Dal lunedi al venerdi 11,30-13 e 14,45-16.00 ingresso gratuito.
Per raggiungere San Servolo: linea 20 vaporetto da san Zaccaria

 

Cover:  Il grande complesso sull’isola di San Servolo (Venezia), adibito prima ad ospedale, quindi a manicomio, Nel 1978, a seguito del Legge Basaglia. l’istituto manicomiale è stato chiuso. Ora è adibito a museo e sede di mostre. – Foto d’archivio del Museo di San Servolo)

Immaginario /
vivere in una g.d.o.

vivere in una g.d.o.

la Grande Distribuzione Organizzata è la massima dimostrazione dell’omologazione su grande scala della nostra vita. affascinante da fotografare quanto da comprendere nella realtà. in foto una serie sterminata di cassette della frutta perfettamente accatastate come un muro, ma potrebbero essere le rampe di carico per i camion di un polo logistico o i lunghi scaffali delle reti dei supermercati. in comune hanno la serialità e la democratizzazione dei prodotti, tutti perfettamente uguali nel loro metodo di mercificazione. solo una rotazione di esposizione come a dare importanza ad alcuni prodotti in periodi di vendita prestabiliti; le feste comandate tra cui Natale, Pasqua e vacanze estive.

questa quantità ci costringe a guardare con lo stesso occhio o meglio ci guarda con la sua enormità per dimostrarti la tua piccolezza, diversa su uno sfondo univoco, e proprio per questo non desiderabile. allora provi a mimetizzarti tra gli altri, renderti desiderabile secondo canoni mercificatori. secondo questi canoni: la quantità rende uguali, la qualità diversi, l’uguaglianza dovrebbe rendere desiderabili, mentre la diversità, sacrificabili. i geografi hanno inventato, filosoficamente, una nuova parola non-luoghi. posti uguali in qualunque parte del pianeta. come dire che Ferrara è Ferrara anche perché ha il Castello Estense e la piazza Ariostea, ma che una sala bet&win è una sala bet&win perché rimane una sala scommesse in qualunque parte del pianeta.

Andy Wahrol lo aveva preannunciato, lo sentiva nella realtà e lo riproduceva nell’arte, nella sua serialità serigrafica. rendere tutti uguali, democraticamente omologati ti porta con l’occhio a cercare una cassetta rossa tra milioni di cassette verdi. poi c’è chi davanti questa scoperta si emoziona e chi si irrita, come chi trova una “rara bellezza” o uno “scomodo intruso”. parte tutto dal desiderio di qualcosa che ci appaghi, molto simile a noi o all’opposto di qualcosa che ci faccia stare scomodi, molto lontano da noi, ma in evolvere.

Cover: foto di Ambra Simeone

Pace ed Europa

Dopo un anno di guerra in Ucraina innescata dalla Russia, cosa possiamo dire di aver capito e cosa possiamo imparare da questa esperienza?
Non si tratta di un problema di strategia politica, o di forza militare e economica. O si cambia la prospettiva dei valori ai quali tendere oppure la storia continuerà a ripetersi. Rendere un punto di non ritorno il concetto che la guerra non è all’altezza né della dignità umana né dell’evoluzione degli esseri umani e quasi sempre non risolutiva. La guerra è un’azione primitiva.

L’altra lezione evidente in questa esperienza è che ogni volta che si tradisce un valore democratico, sia per necessità contingente che per interesse particolare, questa scelta ti rende più debole nell’avanzamento della realizzazione della democrazia.

La guerra congela il naturale procedere dello sviluppo umano.
Avviene quando gli uomini si dimenticano della loro qualità umana e si arroccano nell’idea di essere dalla parte della ragione. Ancora di più si crede che sia il rapporto di forza a costruire la storia e adesso si crede nella nuova dottrina, che il valore umano si misuri con la quantità di ricchezze e la capacità di possesso.

La storia non è fatta, come ci insegnano, del susseguirsi di guerre, ma dalla conquista e dalla realizzazione della qualità umana per tutti; quindi, non è costituita da un susseguirsi di rapporti causa-effetto, ma dal coraggio da parte di chi decide di comprendere e rendere concreto nella realtà ciò che gli esseri umani desiderano, epoca per epoca (come evidenzia chiaramente Angela Volpini in L’uomo creatore, Castelvecchi Editore, 2016)
La storia accade perché la si fa accadere, perché qualcuno sceglie di compierla.

La storia è trasformazione e cambiamento e avanza solo per gli atti di coraggio compiuti da persone che scelgono sopra tutto la vita umana e la sua qualità, cercando di rispettare la dignità dei popoli, perché anche questo è un modo per non arretrare rispetto a ciò che si è già conquistato.

La storia dell’Europa insegna che le guerre ostacolano, fino a bloccare, l’incedere già faticoso della civilizzazione umana. Non risolvono i problemi ma li complicano, perché inaspriscono le ingiustizie e le disuguaglianze sociali.
Da sempre, invece, la storia umana si è costruita sulla conquista di spazi di libertà sempre più evoluti, condivisi e legati alla coscienza di sé e dell’ umanità condivisa.

Chi ha detto che solo gli Stati Uniti e la Cina possono aprire un tavolo per fermare questa guerra?
L’Onorevole Paolo Ciani, deputato e segretario di Demos, ha fatto bene a sostenere la realizzazione nelle diverse città d’Italia del progetto Europe for peace e va sostenuto, affinché possa farsi portatore presso la commissione europea dell’idea di promuovere l’apertura di un tavolo europeo per iniziare un confronto tra i due popoli coinvolti nella guerra. Un incontro è indispensabile per proporre un ‘cessate il fuoco’ condizione necessaria per iniziare un processo di costruzione di una convivenza possibile.

L’Europa deve uscire dal limbo della sua indeterminatezza deve assumersi la responsabilità di promuovere la pace, che è la sua scelta che è la conseguenza della sua esperienza storica, oppure deve accettare di sparire come realtà. Deve farsi portatrice di un progetto di sospensione delle azioni di guerra e aprire un tavolo per la definizione di un cammino di convivenza tra tutti i popoli europei.

Questa sua potenzialità è stata evidente quando l’Europa ha fermato l’invasione dell’esercito russo riconoscendo il diritto del popolo ucraino ad autodeterminarsi e gli ha fornito gli strumenti per difendersi. Senza la decisa scelta del popolo ucraino, sarebbe stato inutile qualsiasi invio di mezzi di sostegno: è la volontà del popolo ucraino che ha fermato l’avanzamento dell’esercito russo.

Il fatto di sostenere il popolo ucraino con aiuti militari, ponendolo in contrapposizione alla costruzione di un cammino di pace è un comportamento primitivo, perché perseguire un progetto di pace non significa sospendere gli aiuti allo stato aggredito.

Bisogna ricordare che in Russia non si spara, non ci sono carri armati: i bombardamenti sono tutti in Ucraina. Il mondo non è fatto di contrapposizioni e schieramenti, ma di complessità, richiede capacità di ascolto reciproco, senza dimenticare la storia di chi si confronta.

La pace non è l’assenza di guerra, ma è il cammino di un processo storico per realizzare la giustizia sociale fondata sulla libertà dei singoli. Quindi è scegliere la democrazia, non solo come valore fondante, ma anche come valore trainante per le persone che si assumono la responsabilità di guidare le società strutturate sui valori della libertà e della pace.

Ciascuno Stato europeo deve essere fedele alla scelta compiuta per realizzare l’Europa e smettere di chiedere agli altri paesi questa garanzia, perché in questo modo dimostra di non credere per prima alla propria scelta di una democrazia basata sulla solidarietà e sul benessere condiviso.

E’ giunto il momento di superare l’idea che ogni scelta sia una rinuncia. Ogni scelta, piuttosto, è l’inizio di un progetto che investe più parti, e ogni progetto esige tempi, strumenti e strategia di realizzazione; se si deve parlare di rinuncia l’unica rinuncia è quella di esercitare il potere come sopraffazione sugli altri.

La democrazia deve diventare una ricerca di un bene comune che non è un compromesso ma implica uno sforzo creativo perché tutti i valori siano inclusi, contemplati e previsti.
Fare politica non è fare compromessi, ma la creazione di uno spazio che contenga la possibilità che si realizzi un bene comune a tutte le parti in gioco, cioè contenga tutte le istanze previste dalla Costituzione che descrive i valori riconosciuti da tutti.

Come l’Europa si è riunita per cercare di contrastare l’atto violento di Putin, così potrebbe pensare di aprire un dibattito sulla possibilità di costruire una pace duratura tra i due popoli interessati perché ha esperienza e linguaggio per poterlo fare; i territori del Donbass possono essere riconosciuti come appartenenti all’Ucraina, ma governati da statuti speciali di autonomia, in modo da non umiliare la Russia, che potrebbe così considerare di non aver perso.

Lo scoppio della seconda guerra mondiale dimostra che umiliare i vinti non è condizione favorevole a una duratura convivenza pacifica dei popoli. La Storia la fa chi ha il coraggio di riconoscere e realizzare la qualità umana desiderata e sperata, e la rende possibile creando strumenti e condizioni perché ciò che è desiderato diventi realtà. Non è chi ha ragione o ha torto che fa la Storia ma chi rende possibile la realizzazione di ciò che tutti desiderano.

Per leggere gli altri articoli di Grazie Baroni su Periscopio [vedi qui]

Storie in pellicola /
Ritorno alla Madre Terra: le riprese nella campagna ferrarese

“Madre Terra”, un film di Mattia Bricalli

Un cortometraggio che deve diventare grande, fino a trasformarsi in lungometraggio.  Una prova per mettersi in gioco, un po’ come accaduto per Whiplash di Damien Chazelle. Tappe pazienti che portano a una storia. Piano piano, poco alla volta. È questa l’idea di Mattia Bricalli, giovane regista lombardo – ma ferrarese di adozione – al quale abbiamo fatto alcune domande sul film che sta girando in questi giorni nella zona di Formignana: “Madre Terra”, in uscita a giugno.

Sceneggiatura di Achille Marciano, conosciuto al Ferrara Film Corto Festival cui aveva partecipato nel 2020 con una sua opera, il film racconta la storia di una famiglia: il padre Galileo (Achille Marciano), la madre Sara (Francesca Lozito) e la loro bambina Allegra (Martina Baglioni). Questa famiglia come tante vive in una grande metropoli caotica e moderna, circondata da ogni tipo di confort che la vita di città può e sa offrire. 

“Inizialmente avevo pensato a una connotazione precisa di una città”, ci dice, “una megalopoli americana dove l’alienazione e l’estraniazione sono ai livelli massimi, ma poi ho deciso di togliere ogni riferimento a un luogo specifico”. Fuga dalla città.

“La città è malata ovunque”, continua, “il consumismo che la divora e che crea conflitto è sempre lo stesso. Più spendi più spenderesti, sempre alla ricerca di un nuovo oggetto dei desideri. Nulla basta mai, nulla basta più”. Molti di noi se ne stanno rendendo conto.

I genitori sono esterrefatti: come è possibile che la loro figlia sia malata a causa dell’inquinamento quando vivono fra depuratori e condizionatori che producono un’aria perfetta, in un ambiente elegante, curato e quasi asettico?

L’insorgere di una malattia autoimmune nella piccola Allegra, e il peggioramento rapido, portano allora la famiglia a compiere una scelta drastica: abbandonare la tanto amata vita di città per spostarsi in aperta campagna, in un vecchio casolare appartenuto al nonno di Galileo. Riflessione numero due. Molti di noi stanno pensando ad andarsene dal caos, altri lo stanno semplicemente facendo.

Eccoci allora approdare al vecchio casolare vicino a Formignana, “un luogo pazzesco”, ci dice Mattia, “un luogo di storie mai raccontate, pieno di ricordi. Mi sono subito innamorato del posto, una casa piena di oggetti trovati dal proprietario, non comprati, nessun oggetto è stato acquistato. Sono storie arrivate qui e non cercate. Il proprietario del casolare isolato nella campagna nebbiosa vuole far conoscere realtà mai viste da molti. E io ho adorato ascoltarlo”. Una dimensione quasi felliniana. “D’altronde, a Fellini mi ispiro, pur amando molto Tarantino”. La nebbia delle riprese di oggi conduce per mano.

“Chi in passato viveva solo su quella terra”, conclude, “ci lavorava e ci viveva con quanto aveva, non sapeva dell’esistenza di altro, non c’erano mezzi di comunicazione che mettessero in contatto con il resto del mondo, quello che si aveva bastava. Oggi, invece, si è sempre alla ricerca di qualcosa”. Riflessione numero tre, verissimo, ahimè.

Ma torniamo alla piccola Allegra. Il contatto con la terra e i suoi frutti e la lontananza dallo smog e dall’inquinamento cittadino potrebbero essere di enorme aiuto per il miglioramento del suo delicato quadro clinico. Superati i primi ostacoli e il trauma per un cambio così radicale di vita le cose iniziano a incanalarsi sui giusti binari, Galileo e Sara trovano il proprio equilibrio e la bambina migliora a vista d’occhio. 

Il tempo passa e tutto sembra procedere per il verso giusto quando delle losche figure (Dario Masciello e Bianca Berto), appartenenti a un’importante multinazionale ‘pirata’, compaiono nelle loro vite, minacciandoli. 

Quella terra è fertile, persone senza scrupolo commercializzano fertilizzanti e vogliono creare dipendenze, rendere gli agricoltori schiavi moderni. ‘OGM invasion’.

Galileo e Sara faranno di tutto per mantenere l’equilibrio ritrovato …

È un (bel) appello a (ri)tornare alla terra, alla Madre Terra, alle sue radici e alle proprie, alla semplicità, alla bellezza di un tramonto, a quelle radici che stiamo perdendo. 

Tornare a quella terra, satura di ricordi, viva, palpitante, fertile, che c’è sempre, c’è sempre stata, connessa nel tempo. È necessario fare un reset e ripartire. 

La felicità è a portata di mano, sta nelle cose semplici, spesso vicino a noi, basta accorgersene. Semplice ma vero (riflessione numero quattro). 

Futuro e passato si risolvono nel presente e per questo c’è, nel film, anche un arrivo/ritorno dal futuro. Ma il presente è e resta la soluzione. Perché il futuro è il presente, che attinge dal passato. 

Il tempo, in fondo, non è che finzione.

Foto di Valerio Pazzi, riprese del 23 e 24 febbraio 2023

L’UMANITÀ TRADITA
Invito al flash mob: sabato 4 marzo, ore 17 in Piazza Municipale

L’Umanità tradita: perché non sono stati salvati?

L’ennesimo naufragio, una tragedia annunciata con 67 morti di cui tanti bambini, ha riempito di morte il nostro Paese e di ipocrisie e di propaganda i nostri governanti.
Il controllo delle frontiere significa non soccorrere una nave piena di bambini? Se stanno annegando sono immigrati clandestini o sono naufraghi?Naturalmente secondo il ministro Piantedosi la responsabilità è delle vittime, persone spericolate che mettono a rischio le vite dei loro bambini, invece di tenerli al sicuro nei lager turchi o libici, foraggiati dai governi italiani, o sotto le bombe in Siria o tra attentati e assurde imposizioni in Afganistan. O nel continente africano saccheggiato dal colonialismo, dalle multinazionali dove dal cacao al coltan tutto finisce nei Paesi ricchi, in cambio casomai di armi con cui funestare interi Paesi.
Sono questi i luoghi sicuri?
Caro ministro non si può fermare chi fugge dalla violenza, dalle guerre dall’oppressione, dalla schiavitù, dalla fame, dalla siccità.
Le politiche di chiusura hanno dimostrato di essere fallimentari, favoriscono solo il traffico di esseri umani.
Chiediamo con ancora più forza che:
• siano aperti canali legali e sicuri d’ingresso in Europa
• siano evacuati i campi di detenzione in Turchia come in Libia
• Italia ed Europa mettano in mare missioni di soccorso istituzionale
• le navi della flotta civile, delle ONG possano operare senza ostacoli e criminalizzazione.
In mare si muore. In mare si affoga. E, come recita una poesia,
Chi fa calare i veli dal cuore
In terra
Muore anche
Di impotenza
Per denunciare questi tragici accadimenti la Rete per la Pace di Ferrara organizza un flash mob per sabato 4 marzo alle ore 17.00 in Piazza Municipale e invita tutta la cittadinanza a partecipare.

Rete per la Pace Ferrara

Stop alla cessione dei crediti: uno schiaffo ai redditi medio-bassi… e addio alla transizione ecologica

Stop alla cessione dei crediti:
uno schiaffone ai redditi medio-bassi … e addio alla transizione ecologica

Nella giornata del 16 febbraio, con una decisione improvvisa, il Consiglio dei ministri ha messo mano al sistema di incentivazione relativo agli interventi in edilizia e all’efficientamento energetico (non solo il cosiddetto Superbonus 110%, ma anche gli altri bonus relativi all’ edilizia) decidendo che non si poteva proseguire con il meccanismo della cessione dei crediti e dello sconto in fattura.

Penso valga la pena scavare maggiormente su cosa significa quest’intervento, alzando lo sguardo rispetto al tema del blocco dei lavori in corso, del rischio delle ripercussioni immediate negative sull’edilizia, se non di veri e propri fallimenti di numerose imprese e sui cosiddetti ‘crediti incagliati’ (quelli già in essere che non riescono ad essere ceduti al sistema bancario che ha raggiunto i limiti di acquisto, stimati almeno a 15 miliardi), tutte questioni vere e importanti, su cui si sono soffermati la gran parte dei commenti, ma che non vanno a fondo sulla reale portata di questa scelta.

Intanto, è utile guardare al metodo che è stato praticato, quello di una decisione repentina, presa senza nessuna consultazione con le parti sociali e i soggetti interessati, che sono stati convocati a cose fatte e sostanzialmente per produrre una discussione volta a lenire le conseguenze immediate e più gravose della scelta. Un metodo certamente non nuovo, da ultimo applicato anche alla vicenda delle accise sulla benzina, ma che, stavolta, balza agli occhi per la celerità che l’ha contraddistinto.

Emerge chiaramente come la Presidente del Consiglio voglia dare immagine e sostanza ad un’idea thatcheriana dell’approccio e della soluzione dei problemi: si decide in fretta, non c’è alternativa a quanto messo in campo, al massimo si possono produrre alcuni aggiustamenti.

E questo decisionismo viene finalizzato a far crescere l’identificazione tra la figura del premier e la volontà popolare e quest’ultima con l’idea di Nazione: un’operazione culturale che non va sottovalutata, visto che, come dimostrano altre vicende – da ultimo la vergognosa risposta del ministro Valditara alla lettera della preside fiorentina – questa destra ha realizzato che quella in corso è non solo una battaglia sulle scelte di politica economica e sociale, ma riguarda l’egemonia culturale nella società.

Per tornare, però, alla questione Superbonus, vanno guardate le ragioni che hanno portato il governo a bloccare il meccanismo della cessione dei crediti e dello sconto in fattura.
La prima motivazione che viene avanzata è che la misura costa troppo e la spesa è fuori controllo.
In qualche modo, già il governo Draghi aveva segnalato tale problema, alludendo al fatto che si sarebbe dovuti intervenire.  Ancora in questi giorni, c’è chi, anche nell’area ‘progressista’, come gli economisti Boeri e Perotti, rilancia questa tesi, evidenziando come la spesa per il Superbonus, complessivamente 71,7 miliardi da quando venne istituito nel luglio 2020, sia assolutamente insostenibile.

In realtà, chi avanza questi ragionamenti, sottovaluta alcuni importanti risultati prodotti dal Superbonus, come si evince da un recente studio di Nomisma. Lì, viene messo in rilievo come quel provvedimento, oltre ad una riduzione significativa delle emissioni di CO2 in atmosfera e ad un incremento importante dell’occupazione (641.000 occupati nel settore delle costruzioni e di 351.000 occupati nei settori collegati), abbia prodotto un impatto economico complessivo pari a 195,2 miliardi di euro, con un effetto diretto nel settore edile e affini di 87,7 miliardi ed uno indiretto nei settori collegati di 39,6 miliardi cui si aggiungono 67,8 miliardi di indotto. Già nel 2021, un’analisi prodotta dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) aveva evidenziato che il disavanzo per le casse dello stato sarebbe stato compensato dalla generazione di PIL e che il Superbonus sarebbe stato sostenibile per la finanza pubblica nell’arco di 4 o 5 anni.

E qui veniamo alla seconda ragione, meno confessata e resa esplicita, che ha portato il governo ad intervenire.
In realtà, Eurostat (Istituto Europeo di Statistica), ha annunciato da poco che è in corso di revisione il sistema di contabilizzazione dei crediti di imposta sui conti pubblici e sul deficit pubblico.
Se, come possibile, il nuovo sistema dovesse concentrare nell’anno di nascita l’intero ammontare dei crediti di imposta , il deficit 2022 potrebbe schizzare verso il 9-10%, quasi raddoppiando il 5,6% indicato nell’ultima Nota di Aggiornamento di Economia e Finanza, aprendo un bel problema nei rapporti con l’Europa e, di fatto, impedendo qualunque intervento efficace di politica economica per il governo già con la prossima Legge finanziaria.

E allora che fa il governo? Abolisce il meccanismo della cessione dei crediti e dello sconto in fattura, che è quello che consente anche a chi ha redditi medio-bassi e agli incapienti di traslare il credito alle aziende fornitrici e agli istituti di credito.

Rimangono il Superbonus e le altre forme di incentivazione per le ristrutturazioni in edilizia, ma così facendo, lo si trasforma radicalmente, con due conseguenze molto pesanti e che, peraltro, chiariscono la cifra della politica economica e sociale di questa destra.
Intanto,
lo si diventare una norma classista: solo chi ha redditi medio-alti, chi cioè può anticipare i costi della ristrutturazione edilizia, potrà continuare ad usufruire delle agevolazioni. Basta pensare, come ha giustamente rilevato Leonzio Rizzo su lavoce.info, che per una spesa di 50mila euro, per essere capienti per l’intera detrazione spettante da suddividere in quattro anni, nel caso di un lavoratore dipendente, è necessario avere un reddito almeno pari a 43 mila euro. Quindi solo il 9 per cento dei lavoratori dipendenti sarebbe in grado di fruire pienamente della detrazione, mentre il rimanente 91 per cento ne perderebbe una parte.

In secondo luogo, si riduce di molto il perimetro degli interventi e dei relativi esborsi per i conti pubblici, lanciando il pericoloso messaggio che non ci sono le risorse per interventi di efficientamento energetico, per la riduzione delle emissioni climalteranti, più in generale per una seria politica di transizione energetica. Che fa il paio con l’opposizione del governo italiano alle intenzioni dell’Unione Europea di raggiungere elevati standards di risparmio energetico per le abitazioni entro il 2030 e chiudere la produzione di auto a benzina e diesel entro il 2035.

Nei fatti, si costruisce una contrapposizione forte tra le scelte che guardano alla transizione energetica e le possibilità concrete delle persone di condividerla e perseguirla.
E’ evidente, infatti, che, senza meccanismi forti di incentivazione per poter intervenire sulla ristrutturazione energetica delle abitazioni, così come per il passaggio all’auto elettrica, si genererà un’opposizione diffusa e popolare all’utilità e necessità di costruire un nuovo modello di produzione e consumo energetico.
Tutto ciò, peraltro, sta in coerenza con l’idea di fare dell’Italia l’hub del gas nel nuovo contesto geopolitico, di indicare questa come nuova priorità per rivisitare il PNNR, di abbandonare qualunque ipotesi di transizione energetica basata sulle rinnovabili e, invece, rilanciare l’economia del fossile.

Ovviamente, una strada diversa è possibile, oltre che utile. Sia per il Superbonus, rispetto al quale si tratta di uscire dal keynesismo un po’ facilone, spesso espressione di una cultura diffusa nel M5S ( più si fa spesa pubblica, più girano soldi e il tutto si ripaga da solo) per pensare ad un intervento pubblico maggiormente forte e mirato, da una parte, alla possibilità di accesso per i redditi medio-bassi e, dall’altra, agli obiettivi di efficientamento energetico. Sia per quanto riguarda le politiche per la transizione ecologica ed energetica, che dovrebbero essere assunte proprio come una delle questioni decisive per proporre un’alternativa di fondo all’attuale modello produttivo e sociale.
Il che significa anche prospettare un’opposizione culturale, sociale e politica, precisa e su un terreno forte, a questo governo, che non si muove semplicemente in continuità con gli interessi dei poteri forti, ma intende supportarli con una nuova narrazione ideologica regressiva e autoritaria.

CUTRO: SI POTEVANO SALVARE!
La Procura di Crotone apre un’inchiesta sui soccorsi

CUTRO: SI POTEVANO SALVARE!
La Procura di Crotone apre un’inchiesta sui soccorsi

di Vincenzo R. Spagnolo, inviato a Cutro (Crotone)
Articolo originale. Avvenire, giovedì 2 marzo 2023

Dopo giorni di valutazioni e di dichiarazioni caute, la procura di Crotone ha deciso di mettere sotto la lente il funzionamento della macchina dei soccorsi. A fine mattinata, un secondo fascicolo, modello 45 (ossia al momento senza indagati e senza ipotesi di reato) – in parallelo con l’indagine per naufragio e omicidio colposo aperta a carico dei presunti scafisti – è stato aperto dal procuratore Giuseppe Capoccia, che ha affidato ai carabinieri la delega, col compito per ora di acquisire dalla Guardia costiera, dalla Guardia di Finanza e dall’agenzia Frontex atti e registri relativi alle attività compiute fra sabato e domenica scorsi, nel lasso di ore intercorse fra il primo avvistamento del barcone e il suo naufragio su una secca a 150 metri dalla spiaggia di Steccato. Gli accertamenti dovrebbero servire a chiarire se ci siano state omissioni, errori o sottovalutazioni nell’adempimento dei doveri e delle attività di soccorso. E non è da escludere che, dopo la lettura degli atti richiesti e dopo la verifica dei protocolli operativi, possano ascoltati in procura, come persone informate sui fatti, i vertici provinciali di Gdf e Guardia costiera, autorità deputate agli interventi in mare.

«A noi risulta che domenica il mare fosse forza 4, ma motovedette più grandi avrebbero potuto navigare anche con mare forza 8… ». Bisogna partire da qui, dalle dichiarazioni schiette rilasciate ieri mattina davanti alla camera ardente dal comandante della Capitaneria di porto di Crotone, Vittorio Aloi, per cercare di sbrogliare, un filo alla volta, l’intricata matassa di eventuali sottovalutazioni, rimpalli burocratici o eventuali responsabilità che non ha determinato l’uscita in mare di mezzi navali adeguati fra sabato sera e domenica mattina, quando ancora era possibile un soccorso al barcone con 180 migranti poi naufragato a Steccato di Cutro, con 67 vittime e 81 superstiti finora accertati, oltre a un numero imprecisato di dispersi. Vittime alle quali renderà omaggio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che oggi sarà a Crotone, dove giungerà anche la neo segretaria del Pd Ely Schlein. Il capo dello Stato dovrebbe recarsi al palasport dove è stata allestita la camera ardente e, forse, anche in ospedale a visitare i feriti.

Tre nocchieri in arresto. L’inchiesta della procura di Crotone procede per omicidio e naufragio colposo e favoreggiamento di immigrazione clandestina nei confronti di tre presunti scafisti, sospettati di aver governato l’imbarcazione e di cui ieri il gip ha convalidato i fermi, convertendoli in tre ordinanze di arresto.

Intrico di competenze. Non ci sarebbe invece al momento, sulla scrivania del procuratore Giuseppe Capoccia, un’ipotesi di omissione di soccorso o altri reati a carico della catena di autorità competenti negli interventi di salvataggio. «Perché non siamo usciti? Dovreste conoscere i piani, gli accordi ministeriali – ha detto ieri il comandante Aloi –. Le nostre regole di ingaggio sono una ricostruzione molto complessa. Ci sarebbe bisogno di specificare come funziona il dispositivo per il plottaggio dei migranti, da che arrivano nelle acque territoriali a che poi debbano essere scortati o accolti». Ciò perché, ha puntualizzato l’ufficiale, «le operazioni le conduce la Gdf finché non diventano Sar.», ossia di ricerca e salvataggio. Qui sta il primo nodo: all’inizio, la procedura che manda in mare le vedette della Gdf, poi rientrare, non è Sar, ma di polizia. Il comandante Aloi tiene il punto: «Crediamo di avere operato secondo le nostre regole d’ingaggio. Quali? Sarebbe troppo lungo specificarlo, anche perché sono spesso regole che non promanano dal ministero a cui appartengo», quello dei Trasporti, ma «da quello dell’Interno». Questo è il secondo punto: le competenze ministeriali, in caso di interventi in mare verso i barconi di migranti, si intersecano a volte anche con quelle europee dell’agenzia Frontex. «C’è un intricato discorso di ricostruzione dei fatti – considera ancora il comandante crotonese –. Stiamo rifacendo tutto il percorso dei fatti e poi riferiremo all’autorità giudiziaria. Io sono provato umanamente, ma professionalmente a posto».

Il buco orario. Il lasso di tempo da esaminare è di 5-6 ore, anche se alle 4.57 di sabato mattina c’era già una segnalazione del Centro di coordinamento dei soccorsi marittimi della Guardia Costiera «a tutte le navi in transito nello Ionio» per un’imbarcazione in difficoltà, senza coordinate precise. Ma andiamo alle 23 di sabato, quando un aereo di Frontex segnala la presenza di uno scafo a 40 miglia dalla costa crotonese.

La trascrizione, 23 ore prima del naufragio, dell'alert della Guardia Costiera a tutte le imbarcazioni in navigazione nel Mar Ionio

La trascrizione, 23 ore prima del naufragio, dell’alert della Guardia Costiera a tutte le imbarcazioni in navigazione nel Mar Ionio  .

I rimpalli con Frontex. Perché in quel momento non viene attivato un «evento Sar»? La prima mail di Frontex, è l’obiezione del titolare del Viminale Matteo Piantedosi, «non aveva segnalato una situazione di pericolo a bordo». La medesima linea del Comando generale della Guardia costiera, che fa capo al ministro dei Trasporti Matteo Salvini. Ma per Frontex, tocca alle «autorità nazionali competenti classificare un evento come ricerca e soccorso». Fatto sta che a mezzanotte di sabato sono partite due unità della Gdf, con disposizioni di law enforcement, poi tornate indietro per il mare forza 4. Perché non sono state avvicendate da altre unità della Guardia costiera?

No Sos, congegno scafisti.Non c’è stato un Sos, se non dopo il naufragio, con una chiamata in inglese al 112. Per gli inquirenti, gli scafisti disponevano di un disturbatore di frequenza dei cellulari. Alle 4 di domenica mattina, il caicco si è fracassato su una secca a 150 metri dalla riva. I primi soccorsi arrivano alle 4.30: due carabinieri recuperano una ventina di cadaveri e salvano due persone. Nella relazione allegata agli atti, la Capitaneria di porto crotonese scrive di avere ricevuto la prima segnalazione «alle 4.37». Alle 5.37 scatta l’operazione Sar, ma quel punto sulla spiaggia ci sono ormai decine di corpi.

Pubblichiamo la Nota del Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, sul naufragio avvenuto il 26 febbraio, davanti alle coste di Cutro (Crotone).

na profonda tristezza e un acuto dolore attraversano il Paese per l’ennesimo naufragio avvenuto sulle nostre coste. Le vittime sono di tutti e le sentiamo nostre. Il bilancio è drammatico e sale di ora in ora: sono stati già recuperati 40 corpi, tra cui molti bambini. Ci uniamo alla preghiera del Santo Padre per ognuno di loro, per quanti sono ancora dispersi e per i sopravvissuti. Li affidiamo a Dio con un pensiero per le loro famiglie.
Questa ennesima tragedia, nella sua drammaticità, ricorda che la questione dei migranti e dei rifugiati va affrontata con responsabilità e umanità. Non possiamo ripetere parole che abbiamo sprecato in eventi tragici simili a questo, che hanno reso il Mediterraneo in venti anni un grande cimitero. Occorrono scelte e politiche, nazionali ed europee, con una determinazione nuova e con la consapevolezza che non farle permette il ripetersi di situazioni analoghe.
L’orologio della storia non può essere portato indietro e segna l’ora di una presa di coscienza europea e internazionale. Che sia una nuova operazione Mare Nostrum o Sophia o Irini, ciò che conta è che sia una risposta strutturale, condivisa e solidale tra le Istituzioni e i Paesi. Perché nessuno sia lasciato solo e l’Europa sia all’altezza delle tradizioni di difesa della persona e di accoglienza.

In copertina: Cutro (Crotone), un’altra strage.

Donne afghane (9)
Roqia: «Io, torturata dai taleban perché protestavo. Ma sogno ancora»

Donne afghane (9)  Roqia: «Io, torturata dai taleban perché protestavo. Ma sogno ancora»

di Lucia Capuzzi
(articolo originale: Avvenire, 2 marzo 2023)

La 29enne voleva diventare pilota, era aveva fatto domanda all’Accademia ma i taleban hanno conquistato il Paese. È scesa in piazza, è stata arrestata e picchiata. «Ci hanno tolto tutti, non i sogni»

«Sogno di diventare pilota». Rifiuta di utilizzare il passato Roqia. Il desiderio di decollare a bordo di un aeroplano la accompagna da troppo tempo per poterci rinunciare a 29 anni. «Non so come sia nato. L’ho sempre avuto. Fin da quando ero bambina. Quando vedevo gli aquiloni in cielo, sentivo di voler essere come loro».

All’epoca, all’inizio degli anni Duemila, gli aquiloni avevano appena cominciato a ripopolare il cielo dell’Afghanistan dopo il bizzarro bando che li aveva colpiti in epoca taleban. «Stavo a guardarli per ore. Ma per quanto mi piacessero non potevo diventare come loro. Il pilota è quanto di più simile ci sia a un aquilone. E potevo esserlo».

Perfino in un contesto rigidamente patriarcale come quello afghano, l’aviazione cominciava ad aprirsi alle donne. Nel 2012, Niloofar Rahmani è stata la prima aviatrice delle forze aeree repubblicane. Nel 2021, Mohadese Mirzaee ha infranto il tabù nei voli commerciali. Quell’anno, anche Roqia aveva fatto domanda di ammissione all’accademia aeronautica. «Avrei realizzato il mio sogno e onorato la memoria di mio marito, anche lui militare, morto per un tumore».

Con l’accordo di Doha già firmato e i militari Usa in smobilitazione, però, la storia nazionale stava per compiere una tragica giravolta. Nessuno immaginava che fosse tanto fulminea. E, invece, in una manciata di mesi, i taleban, cacciati dalle forze occidentali nel 2001, hanno fatto ritorno a Kabul. E con essi una serie di assurdi divieti volti a espellere la presenza femminile dal tessuto civile nazionale.

Roqia si presenta all’intervista, in videochiamata, con la testa avvolta in una sottile sciarpa beige da cui fuoriescono folte ciocche brune. Il volto è scoperto, gli occhi, allungati come tutte le ragazze di etnia Hazara, segnati dal kajal, sulle labbra un leggero strato di lucidalabbra. Il trucco è un piccolo segno di resistenza a un regime che vieta alle donne di mostrare la faccia.

Roqia, però, non si è limitata alla disobbedienza privata. «All’inizio sì. Avevo troppa paura. Tutti eravamo terrorizzati, in realtà. Come si smette di avere paura? Quando il dolore è più forte. Dolore per te, per la tua famiglia, per il tuo Paese. Ti fa così male che non puoi non fare qualcosa. A me e a molte altre di noi è accaduto il 30 settembre scorso, quando una bomba è esplosa all’istituto Kaaj, mentre centinaia di ragazzi Hazara sostenevano gli esami. In cinquantadue sono morti».

Nei giorni seguenti, decine di donne si sono ritrovate a protestare nelle principali città del Paese contro il “genocidio degli Hazara”. In quel grido, risuonava l’esasperazione accumulata per gli abusi inflitti dall’Emirato dal 15 agosto 2021 a tutti. Anche Roquia è scesa in piazza quella volta, la prima di molte altre. «Insieme ad amiche, conoscenti, amiche di amiche, abbiamo formato un gruppo WhatsApp. Così organizzavamo i raduni: ogni volta in un luogo differente, in un tempo differente, in modo che fosse più difficile intercettarci».

Ai cortei pubblici, poi, alternavano manifestazioni virtuali: proteste nelle case, immortalate e diffuse sui social. «Molti uomini avrebbero voluto unirsi a noi ma per loro era troppo pericoloso: li avrebbero uccisi. Sappiamo, però, che tanti ci sostengono. Mio padre, prima di uscire, mi ripeteva: “Perdonami se non vengo con te”». Le ha detto così anche il 21 dicembre, poi l’ha abbracciata. Entrambi sapevano che quella marcia sarebbe stata ancora più rischiosa. Il giorno prima, gli ex studenti coranici avevano espulso le ragazze dalle università. La capitale era elettrica. «Insieme a molte altre siamo andate davanti all’Università nazionale per protestare. I taleban, però, erano dappertutto. Rapidamente abbiamo deciso di spostarci verso il centro. Ma, in un lampo, hanno iniziato a caricarci. Stavo cercando di salire su un taxi quando mi hanno preso».

Per Roqia sono iniziati quattro giorni di incubo, di cui parla con fatica. Sempre bendata, è stata minacciata, picchiata e torturata. «Dopo ogni colpo mi dicevano: “Dicci chi vi paga”. Volevano farmi sostenere che eravamo agli ordini di qualche potenza o organizzazione straniera. E quando rispondevo che eravamo là di nostra iniziativa, si infuriavano e mi pestavano ancora più forte. È stato duro, mi tormentavano. Dicevano che avrebbero fatto lo stesso a mia figlia. La cosa più terribile era sentire le grida delle altre donne nelle celle vicine». Roqia è stata rilasciata grazie all’intervento del consiglio degli anziani, un’istituzione comunitaria tradizionale che anche i taleban rispettano. «In realtà, mi hanno affidato a mio padre. L’hanno convocato e picchiato. Poi gli hanno detto che lui sarebbe stato responsabile del mio comportamento. E ne avrebbe pagato le conseguenze».

Una parte di Roqia non ha mai lasciato il commissariato di Kabul. «La notte ho incubi, mi sveglio di continuo. Ho sempre paura. Paura che facciamo male ai miei figli o a mio padre. Paura che dovrò passare tutte la vita chiusa in una prigione di stoffa, senza poter parlare, senza poter studiare, senza poter uscire. Paura che non volerò mai. Per calmarmi, guardo mia figlia. E la paura diventa indignazione. Possono spezzare le mie ali, ma le sue no. Allora mi torna la voglia di combattere, di protestare, di gridare. Di volare. Di sognare. Sogno ancora di diventare pilota. Ci hanno tolto tutto. I sogni, però, non possono prenderceli».

Le giornaliste di Avvenire – uno dei pochi grandi quotidiani italiani che ‘canta fuori dal coro’ e con cui ci sentiamo spesso in sintonia – inaugurano oggi un’iniziativa che ci pare di grande valore.  Dare voce alle bambine, alle ragazze e alle donne afghane. E, soprattutto, ripetere questo impegno ogni giorno (fino all’8 marzo), non una tantum, inseguendo la notizia eclatante. come è in uso nei media mainstream italiani e stranieri. Solo, infatti, attraverso un impegno giornalistico costante ed appassionato è possibile restituire ai lettori la ricchezza di voci dell’altra metà del cielo e dell’altra parte del mondo.
Periscopio riporterà ogni tappa del viaggio delle giornaliste di Avvenire, mentre invita tutte le sue lettrici e lettori a dare il proprio contributo al Progetto di Scolarizzazione per le donne afghane (vedi in calce all’articolo tutti gli estremi per aderire).
(La redazione di Periscopio)

Con questa e decine di altre testimonianze, storie, interviste e lettere, le giornaliste di Avvenire fino all’8 marzo daranno voce alle bambine, ragazze e donne afghane. I taleban hanno vietano loro di studiare dopo i 12 anni, frequentare l’università, lavorare, persino uscire a passeggiare in un parco e praticare sport. Noi vogliamo tornare a puntare i riflettori su di loro, per non lasciarle sole e non dimenticarle. E per trasformare le parole in azione, invitiamo i lettori a contribuire al finanziamento di un progetto di sostegno scolastico portato avanti da partner locali con l’appoggio della Caritas. QUI IL PROGETTO E COME CONTRIBUIRE

 

Cover: Roqia è la seconda da sinistra, con la mano alzata. Dopo questa manifestazione, il 21 dicembre scorso, è stata arrestata e torturata – per gentile concessione di Roqia

Per leggere tutte le testimonianze raccolte dalla giornaliste di Avvenire, clicca su; Donne afghane

Parole a capo
Lara Pagani: “Libera” e altre poesie

Lara Pagani: “Libera” e altre poesie

Poter scrivere ci salva. Quando proviamo certi sentimenti dobbiamo asservirli alla scrittura per trasmetterli, perché vogliamo che altri sentano quel che sentiamo noi.
(Giampiero Neri)

 

in a landscape

Quando avrà smesso, non adesso ancora
che scende piano e forte solo a strappi
sulle colline in boccio come un abito
di seta, quando avrà perso la voce

rimarrà un piglio opposto di colori.
Il sole quando avrà smesso la pioggia
abbaglierà nei riverberi verdi
d’alberi e fiori pronti per l’estate.

 

Torno alle tue mani

Torno alle tue mani,
al tuo sguardo sospeso.

Oggi e anche domani
la testa sarà un peso:
troppo tempo da portare
fino al timido traguardo
delle sette della sera.

 

jamais-vu

Passata la casa dal gelo di fuori
una corolla di vapore mi offusca la vista.
In un attimo spero le lacrime — vacillo.
Per trovare lo spillo adatto al pianto
senza di te ci vuole talento nella vita.

 

libera

Potremmo adagiarci qui
io e te. Potremmo bearci
che l’amore ci appartiene —
solo a noi che non lo vogliamo
e che lo disprezziamo in fondo
come disprezza un ricco il pane —
dicevo, potremmo qui giacere
noi due ma non siamo abbastanza
nudi nemmeno per una recita.

Eppure — aspetta — mi tacita
la mia stessa voce. Amore,
qui ci adagiamo ché l’amore
invero ci appartiene se l’amore
della recita è il contraltare.
Non sappiamo fingere: questo è amare.

 

le piogge

Finalmente la smette quest’estate
coi suoi capricci, lunghi i temporali
sembrano snelle-azzurre-calme fate
create per cadere senza le ali.

Mi abbraccia il suono delle mareggiate
immaginate insieme nei locali
chiusi per fortunale. Le nottate
che non abbiamo vissuto son tali

e quali a quelle che invece noi sì
abbiamo consumato tante volte.
Tutto mi sembra tornare al suo posto

dove il vuoto non c’è, dove non si
sconta alcuna mancanza — si son sciolte
i capelli le piogge e ti ho nascosto.

Lara Pagani è nata nel 1986 a Lugo di Romagna. Si descrive così. “Mi sono laureata in lingue e letterature straniere all’Università di Ferrara e lavoro attualmente nell’azienda agricola di famiglia. Quanto alla poesia, è la mia più grande passione fin da ragazzina: leggerla mi conforta, scriverla mi salva.”

 

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio.
Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

FERIS, LA MOSSA KANSAS CITY

FERIS, LA MOSSA KANSAS CITY

Adesso, fuori dall’emotività e dalle esultanze, è tempo di chiedercelo: ma chi credeva davvero a un nuovo centro commerciale di 12mila metri quadrati in via Caldirolo? Chi credeva (al di là della necessaria riqualificazione) nella trasformazione dell’ex caserma di Cisterna del Follo in un Moloch capace di far convivere uno studentato da 600 posti, case private, locali pubblici, nani e ballerine? Chi credeva nel maxi parcheggio cementato di viale Volano a sovrastare le Mura?

Alzi la mano chi ha creduto a una sola di queste eventualità. Se si tratta di un comune cittadino, passi: è come credere che la Spal vada ai playoff e conquisti la serie A, ma ci può stare.
Se è un esponente politico del centrosinistra, può galoppare sulla scia dell’entusiasmo per il flop di Fabbri & C. in Consiglio, ma senza sentirsi John Wayne in Ombre Rosse.
Se invece è un componente di giunta o di maggioranza, o ammette di aver mentito a se stesso, o è meglio che abbandoni la politica per dedicarsi al taglio e cucito.

Per non fare il fenomeno, ammetto che persino io ci avevo creduto un po’. Perché in passato ho visto cose al cui confronto il progetto Feris è una scatola del Lego. Ho scritto per decenni del Palazzo degli Specchi, dai ‘cavalieri catanesi’ ai tritoni; ho visto la nascita di Darsena City (basta guardare la torre ellittica, vuota da quindici anni, per parlare di abnormità); pensiamo all’ospedale di Cona, che da solo varrebbe il confino per chi lo ha voluto e realizzato in quel posto.
Restando ai centri commerciali, che dire dell’IperConad nato per iniziativa (mettiamola così…) degli allora vertici Ascom, e poi diventato IperCoop Le Mura? Potrei continuare, perché l’elenco delle scempiaggini è lungo.
Ma qualcuno è sembrato dire: se gli altri hanno potuto fare tali demenze, avremo pure il diritto di fare una ca***ta anche noi! In politica l’equivalenza morale è sancita dalla costituzione, basta invocare gli errori (e gli orrori) di chi ti ha preceduto, per fare lo stesso. O di peggio.
Restiamo però alla leggenda Feris.
E ai miti evocati lunedì in Consiglio Comunale, secondo cui hanno vinto i cittadini a colpi di sbiciclate e lenzuola; ha vinto l’opposizione con le sacrosante ragioni di definire strampalato il progetto; ha vinto la giunta, capace di dialogare e ravvedersi; hanno vinto i ‘ribelli’ di Ferrara Nostra capitanati da Francesca Savini, rischiando di far saltare il banco e costringendo l’intera maggioranza a sconfessare se stessa, oltre che sindaco, vice, assessori, dirigenti e giù fino ai messi comunali
; ha vinto persino Rossella Arquà, capace di essere Arquà dopo essere stata Ardilà (politicamente, intendo).
Con tutti questi vincitori, non basterebbero i carri del Carnevale di Cento, e comunque qualche sconfitto ci vuole, rende meglio il clima epico. Lo sconfitto è il sindaco Fabbri? Se credeva che il progetto passasse per come era stato strombazzato – il termine non è appannaggio degli ex barbieri – è senz’altro sconfitto. Ma io non mi azzarderei a definirlo tale (al limite, incazzato per dover dire ai Caprotti che per ora deve obbedire a Caprini).
Lo sconfitto è il pool di imprese private che avevano fiutato il maxi business? Non definirei sconfitto chi si sarebbe accollato un investimento spropositato dai ritorni meno che incerti, e che adesso è costretto  – ahilui? – a riprogrammare un intervento meno costoso e magari remunerativo.
Ha perso la città, in termini di riqualificazione, posti di lavoro, maxi sponsorizzazioni a maxi concerti, ricchi premi e cotillons? In qualche modo sì, se il flop del Feris in Consiglio Comunale – perché tale è stato – si trasformasse in uno scusiamoci abbiamo scherzato. Con l’ex caserma abbandonata ad altri colpevoli decenni di silenzi, topi e ramaglie, e con la libera iniziativa commerciale impastoiata nelle diatribe ideologiche.
La dico chiara: Esselunga ha pieno diritto d’insediarsi a Ferrara, con la stessa legittimità di fare concorrenza a Coop, Famila, Despar, Tosano e discount vari; la fiaba di città sature di ipermercati non tiene conto delle norme e delle regole del mercato, le prime e le seconde dettano legge, non le simpatie di amministrazioni di vario colore.
Per comprendere a questo punto che ne sarà del progetto Feris, del sindaco e della sua (dis)articolata maggioranza, dell’opposizione che spesso non si rende neppure conto di essere tale, di residenti sugli scudi (pardon, sui sellini), è utile ricordare il film Slevin con Bruce Willis. E la sua mitica ‘mossa di Kansas City’. Dice a un certo punto Mister Goodkat: “La mossa Kansas City è quando loro guardano a destra e tu vai a sinistra”.
Oddio, non mi immagino Fabbri prendere la tessera del Pd e strappare a Ilaria Baraldi e Francesco Colaiacovo il poster di Elly Schlein. Né che il consigliere di Pura Luce Benito Zocca diventi il carismatico leader di Potere al Popolo. Non mi azzardo nemmeno a capire perché, al momento del dietrofront, molti nella maggioranza sorridessero. Forse perché quanto votato in aula è solo un atto d’indirizzo politico, e in Conferenza dei Servizi il progetto è ancora tal quale. O perché in fondo si sorride anche per non mostrare a se stessi di aver pestato una classica. No, semplicemente guardo a quello che potrebbe essere al posto di ciò che non sarebbe mai stato.
Ovvero un’Esselunga (in versione light) in una location adeguata. C’è chi parla dell’ex Carlux di viale Volano, ma sarebbe a ridosso delle Mura. Come pure l’ex Amga di via Bologna angolo piazza Travaglio, in pieno centro storico anche se ci si potrebbe giocare la fiche della rigenerazione. Idem per un’altra sede (con annessa mezza voce) che ancora non rivelo, perché non so come sciogliere il rebus viabilità. Poi ci sono aree ugualmente potabili lungo via Beethoven in direzione Fiera, dove qualche anno fa si immaginava una sede logistica di Ikea, e infine vari supermercati, chiusi e dismessi, sparsi nelle periferie. E se proprio Esselunga volesse spendere millemilamilioni di euro per sbarcare a Ferrara, con molto meno potrebbe comprare lo stesso IperCoop le Mura o l’Interspar di via Darsena, con pertinenze annesse.
Al di là del gioco al fantasupermarket, una possibilità auspicabile è comunque un intervento misurato sull’ex caserma. Con buona pace anche di chi, fra residenti vip o pseudo tali, auspica invece il sonnacchioso statu quo. Un progetto Feris che non ‘Ferisca’ – la battuta è orrenda ma non mi è venuto di meglio – sarebbe utile alla città, come lo è stata la nascita del Meis (a proposito, e i lavori?); come la riqualificazione di Palazzo dei Diamanti, come l’organizzazione – al netto delle polemiche sulla sede – del concerto di Bruce Springsteen.
Se il progetto saltasse del tutto, con l’alibi di un contrasto cinico e baro di comunisti e sobillatori, quella sì sarebbe una disfatta politica. E più che giostrine o vuote panoramiche, più che il Grattacielo trasformato (a chiacchiere) in un Bosco Verticale, ci sarebbe da andare in tournée all’estero su un carro di Tespi.
Attenzione perciò alla Mossa di Kansas City, alla possibilità che facendo cadere strategicamente un’iperbole a sinistra non si metta in atto qualcosa di parabolico a destra. Ma oltre a Bruce Willis, mi piace ricordare un ex comandante dei vigili urbani di Portomaggiore, che pedinando negli anni ’70 un soggiornante obbligato scrisse nel verbale: ‘Entrava facendo finta di uscire’. Ecco, forse la realtà del progetto Feris è tutta qui.
NOTA: Questo ‘scomodo’ commento alla vicenda FE.Ris. è già apparso sulla pagina Facebook di Stefano Loll

Non dire, mostra: l’omosessualità nell’arte visiva, nella fotografia e nella musica

Non dire, mostra: l’omosessualità nell’arte visiva, nella fotografia e nella musica

Dopo il ciclo de ‘Il Lunedi dei libri proibiti’, dedicato alla letteratura a tematica omosessuale, Arcigay Ferrara ‘Gli Occhiali d’Oro’ presenta la nuova rassegna culturale a tematica LGBTI+ ‘Non dire, mostra’, che si terrà presso la sala Agnelli della Biblioteca Ariostea.
L’omosessualità nell’arte visiva, nella fotografia e nella musica è il fil rouge che lega i tre incontri della rassegna, che si pone l’obiettivo di approfondire come, nella storia, siano state rappresentate le identità queer e quale ruolo abbiano avuto le arti nella costruzione di un immaginario collettivo in riferimento all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
Lunedì 6 marzo alle ore 17
Lla rassegna aprirà con ‘Una “nota” dolente’, in cui si parlerà dell’omosessualità nel mondo della musica colta tra pregiudizio e contraddizioni. Dai castrati ai grandi compositori, tra finto accademismo eterosessuale e revisionismo storico sarà l’argomento che il professore e contralto Marco Ciatto affronterà nella sua relazione.
Lunedì 3 aprile alle ore 17
La rassegna proseguirà con ‘Lo sguardo fluido’, la fotografia come linguaggio e strumento di rappresentazione di identità non conformi alla norma sociale, con la visione di reportage realizzati da Luciana Passaro visual designer e fotografa impegnata da anni nell’ ‘ARTivismo’ sociale.
Lunedì 8 maggio alle ore 17
La rassegna si chiuderà la presentazione dell’ultima opera di Vincenzo Patanè  ‘Icone gay nell’Arte. Marinai-Angeli-Dei’ (De Luca Editore d’Arte), una storia dell’arte e
dell’omosessualità che descrive il modo in cui l’immaginario visivo ha dato vita a uno spazio per artisti e pubblico in cui esplorare una pletora di desideri, sensualità e identità. Dialogherà con l’autore Manuela Macario, presidente Arcigay Ferrara “Gli Occhiali d’oro”. L’incontro rientra nelle attività dell’associazione dedicate alle giornata internazionale contro l’omotransfobia.
Arcigay Ferrara ‘Gli Occhiali d’Oro
Cover : Roberth Mapplethorpe e Patti Smith – foto di  Norman Seef, 1969

PNRR e pari opportunità

PNRR e pari opportunità

Il Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) è il documento predisposto dal governo italiano per illustrare alla Commissione europea come il nostro paese intende utilizzare i fondi che arriveranno nell’ambito del programma Next Generation Eu.

Tale programma è uno strumento temporaneo di rilancio europeo volto a risanare le perdite causate dalla pandemia. Si tratta di oltre 800 miliardi di euro che sono stati inseriti all’interno del bilancio europeo 2021-2027 ed è destinato a tutti gli stati membri [vedi qui]. Con il PNRR l’Italia ha a disposizione complessivamente 235,12 miliardi di euro ed è il primo beneficiario, in valore assoluto, delle risorse del Next Generation EU [vedi qui].

Il PNRR è, a parer mio, interessante per i contenuti e per le modalità con cui è stato redatto e presenta, in diversi suoi capitoli, dei chiari riferimenti alla parità tra uomini e donne. Si sviluppa attorno a tre assi che sono: la parità di genere, la protezione e la valorizzazione dei giovani, il superamento dei divari territoriali. La parità di genere è quindi uno dei cardini di tale documento programmatico che vuole affrontare alcune gravi criticità:

  • La bassa occupazione femminile, che è associata a due problemi: il tetto di cristallo (segregazione orizzontale e verticale delle progressioni di carriera) e il gender pay gap (differenziale retributivo che fa sì che a parità di ruolo e di mansione le donne guadagnano di meno);
  • La gestione familiare. Si registrano squilibri nella gestione delle attività domestiche e nell’accudimento di bambini e anziani, per cui il carico è prevalentemente sulle donne.
  • La presenza di stereotipi di genere che influenzano, tra l’altro, i percorsi scolastici delle ragazze.
  • La violenza di genere.

Cercare con un unico documento una risposta a questi annosi problemi è un intento apprezzabile.

In coerenza con il Next Generation Eu, il PNRR si articola in 6 missioni che sono:
(1) Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo.
(2) Rivoluzione verde e transizione ecologica.
(3) Infrastrutture per una mobilità sostenibile.
(4) Istruzione e ricerca.
(5) Inclusione e coesione.
(6) Salute.

Ciascuna missione contiene interventi per favorire, direttamente o indirettamente, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e ad attenuare le asimmetrie che ostacolano il raggiungimento delle pari opportunità anche in ambito familiare e scolastico, oltre che occupazionale.

In modo particolare la Missione 1 si pone l’obiettivo di garantire le Pari Opportunità nel lavoro, nelle progressioni di carriera, nel bilanciamento tra vita professionale e vita privata. La Missione 4 propone il Piano Asili Nido, l’estensione del tempo pieno a scuola, l’aumento delle competenze nelle materie STEM (Science Technology Engineering Mathematics, cioè Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), per le studentesse. La Missione 5 presenta il sostegno all’imprenditoria femminile e l’introduzione del sistema nazionale di certificazione della parità di genere. La Missione 6 il rafforzamento dei servizi di prossimità.

A sostegno dell’imprenditoria femminile il PNNR prevede l’avvio del Fondo impresa donna finalizzato ad avere un impatto diretto su alcune dimensioni che concorrono al raggiungimento di una maggiore parità di genere. Il fondo intende supportare la nascita di nuove imprese femminili e lo sviluppo e consolidamento di imprese femminili esistenti. Sono ammesse a finanziamento le imprese di produzione di beni nei settori: industria, artigianato, trasformazione prodotti agricoli, forniture di servizi, commercio e turismo. Sono invece escluse quelle connesse alla produzione primaria di prodotti agricoli, pesca, acquacultura e silvicultura.

Con la legge di Bilancio 2022 e la legge n. 162/2021 è stato istituito il sistema di certificazione della parità di genere in grado di rispondere a uno dei requisiti della Missione 5 PNRR. Tale certificazione, potrà essere rilasciata a tutte le aziende che dimostreranno l’effettività e l’efficacia delle proprie politiche in tema di parità di genere tra uomo e donna.

Il 24 marzo è stato, inoltre, siglato il documento con la prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 [vedi qui], che definisce criteri, prescrizioni tecniche ed elementi funzionali alla certificazione di genere. La certificazione riguarderà le opportunità di carriere, la parità salariale a parità di mansioni, la politica di gestione delle differenze di genere e di tutela della maternità.

Allo stato attuale, i progetti finanziati dal PNNR sono in fase di avvio e non sappiamo cosa davvero riusciranno a fare. Mi sembra che alcune attività siano più legate alla volontà del decisore pubblico locale, altre a quelle delle aziende private, altre ancora siano legate ad un investimento che ogni singola donna può decidere di fare sul suo futuro.

Una criticità è legata alla effettiva capacità della macchina del PNRR di allocare finanziamenti dove esiste il bisogno, senza che intervengano fattori distorsivi che causano una dispersione dei finanziamenti in arrivo.

Una seconda criticità è legata alla effettiva capacità di chi li riceve di utilizzarli al meglio. Aldilà di quanto scritto sui documenti programmaci e sui progetti conseguenti, diventa necessario attuare le azioni progettate con efficienza ed efficacia.

Una terza criticità è quella di rendere i risultati degli interventi duraturi nel tempo e trasferibili (verso organizzazioni con strutture simili, verso organizzazioni con missioni simili).

Per quanto riguarda l’attuazione del principio di pari opportunità, permangono alcuni stereotipi di genere che influenzano decisioni e orientano comportamenti. Lo stereotipo è un nucleo cognitivo che alimenta il pregiudizio. Il pregiudizio è a sua volta la tendenza a giudicare in modo sfavorevole le persone che appartengono a un determinato gruppo sociale (le donne in questo caso).

Stereotipi e pregiudizi sono parte della cultura e del senso comune. Vengono appresi con la socializzazione e trasmessi da una generazione all’altra. Sono costruzioni sociali che dipendono da specifiche condizioni storico-sociali che si stanno vivendo.

L’immagine stereotipata ha effetti sulla formazione dell’identità e capacità delle persone, al punto che può influenzare e bloccare lo sviluppo delle potenzialità dell’individuo (si pensi alle poche donne laureate in Italia nelle materie STEM e al collegamento di questo dato che la permanenza dello stereotipo sulla maggiore propensione delle donne verso i lavori di accudimento come la maestra, l’assistente sociale, ma anche il medico e la dirigente scolastica).

Mi sembra però che il cammino accidentato verso la parità presenti in Italia dei segnali positivi da non sottovalutare e che il PNRR si stia muovendo nella direzione giusta. Tale passo in avanti è rilevante e può essere motivante per tutti i professionisti che, a vario titolo e con ruoli e mansioni diverse, si troveranno a dover attuare le prescrizioni del PNRR cercando di attualizzarle nel loro territorio e nel loro ramo d’attività.

Faccio due esempi: All’European Women on boards (gennaio 2022) è stato presentato il Gender diversity index 2021, che analizza la rappresentanza di genere nei consigli di amministrazione e nei vertici aziendali delle più grandi realtà europee. Lo studio, che ha preso in esame 668 società quotate di 19 Paesi europei, ha misurato l’effettiva capacità delle aziende di garantire pari opportunità a uomini e donne.

L’Italia presenta un Gender Diversity Index pari a 0.62, valor leggermente superiore alla media europea e in crescita rispetto al 2020. I dati indicano che il nostro Paese ha la più alta percentuale di donne nei Comitati dei CdA/Consigli di Sorveglianza (47%) e che è in terza posizione per numero di donne a capo dei CdA (15%) [vedi qui].

È infine possibile guardare con ottimismo ai dati Istat, relativi allo scorso anno. A crescere è non solo il tasso totale di occupazione, che torna a livelli pre-pandemici (59%), ma anche il tasso di occupazione femminile che sale al 50,5%. Si registra quindi una diminuzione della disoccupazione e dell’inattività delle donne [vedi qui].

Per leggere gli altri aricoli di Catina Balotta clicca [Qui]

Eterno sipario

Eterno sipario

Ognuno di noi si sforza di comprendere quale sia il senso supremo della vita, ma, quando finalmente lo capisce, ormai lo spettacolo si chiude. “Sipario” diceva Maurizio Costanzo per chiudere il suo show, ma siamo sicuri che il sipario si sia chiuso per sempre, oppure, in altri luoghi dell’eternità, egli non sia già pronto a fare un nuovo show?

Noto per il suo modo innovativo di intrattenimento con ospiti anche strani e curiosi, dando loro la possibilità della notorietà, il giornalista veniva anche attratto dai grandi temi della psicologia umana e interessato alla dura condizione dei più infelici spesso protagonisti delle sue ospitate.

Un giornalista sempre attento alla misera condizione umana, motivo per lui di tristezza e di evidente rammarico.
A tal proposito la poetessa Alda Merini, invitata molte volte allo show di Costanzo e scomparsa nel 2009, scriveva in una lettera: “…vorrei dirti caro Maurizio, che nessun uomo si è mai seduto vicino a me con tanta deferenza e rispetto e nessun uomo mi ha guardata così profondamente negli occhi per scoprirvi quelle lacrime che nessuno ha mai visto…”
L’immensa sofferenza di questa donna deve aver fatto comprendere a Costanzo la delicatezza, l’infelicità e l’umiltà della persona che aveva di fronte, doti che poi lui ha fatto conoscere e amare al grande pubblico.

Mi è d’obbligo però ricordare anche che, tra le numerosissime interviste e le rispettose ospitate nei confronti dei suoi ospiti, alcune risultano invece con toni amari indimenticabili. Per esempio l’imbarazzante intervista al giovane cantautore Rino Gaetano, morto a soli trent’anni in un incidente nel 1981, alla presenza della signora Susanna Agnelli. Costanzo, con fare indisponente, lo presentò così: – E’ un cantautore che fa canzoncine ironiche, così… scherzose, scanzonate e aggressive.

La canzone scomoda a cui si riferiva è “Nuntereggae più“, una critica ai potenti dell’Italia dei tempi: gli Agnelli, i politici e i giornalisti, compreso lo stesso Costanzo. Occorre ricordare che erano gli anni successivi alle lotte studentesche, alle contestazioni politiche che davano grande spazio a comicità, vignette e, appunto, ai testi di molti artisti e cantanti. Susanna Agnelli, invece, dimostrò d’accettare e giustificare il giovane cantautore e il suo sarcasmo, dichiarando con garbo che, probabilmente, al posto suo avrebbe composto la stessa canzone.

Per onestà di cronaca, devo ammettere che v’è il dubbio che lo stesso Costanzo, in quella “infelice” intervista, abbia finto di prendere in giro il giovane cantautore, d’accordo in questa sceneggiata proprio con lo stesso Rino Gaetano.

Successivamente, mentre Costanzo aveva continuato a criticare il cantautore in vari articoli, Vincenzo Mollica scriveva: – Questo giovane cantautore aveva il coraggio delle sue azioni, nomi e cognomi di tutti e in tempi in cui fare il nome e cognome di qualcuno era molto difficile.

Alla fine anche lo stesso Costanzo, scorrendo i suoi articoli, ammise: – Dico subito che Rino Gaetano era un artista e la canzone “Nuntereggae più”, più che una canzone, è un manifesto, un coro di protesta.

Dopo circa quarant’anni chissà se Costanzo e Rino si incontreranno di nuovo…

Parole e figure /
Amazzonia, aspettando l’alba

Incendi in Amazzonia, i bambini sanno

Amazzonia, questa meraviglia sofferente, il luogo che l’Essere Umano sta distruggendo senza pietà e dove, invece, dovrebbe e potrebbe ritrovarsi. La deforestazione aumenta, a causa degli appetiti irrefrenabili di un famelico uomo (con la u minuscola), sia perché da esso provocati sia a causa del cambiamento climatico ormai inarrestabile.

Raccontare questa emergenza ai più piccoli e far comprendere quanto le foreste siano importanti per il clima oltre che immenso scrigno di biodiversità da salvaguardare, è non solo importante ma fondamentale.

Sul tema, arriva oggi uno straordinario albo illustrato dove domina il nero (un colore insolito in un libro per bambini) dell’artista peruviana Fabiola Anchorena, Aspettando l’alba, Kalandraka editore. Opera che ha vinto il prestigioso XV Premio Internazionale Compostela per Albi Illustrati nel 2022.

Con una nota alla fine della storia, l’artista – classe 1983, laurea in architettura – dedica il suo lavoro alla foresta amazzonica, nella quale nel 2019 si è verificato uno dei peggiori incendi degli ultimi anni che ha colpito il Brasile, il Perù e la Bolivia. Alla fine del 2019, anche l’Australia aveva iniziato a bruciare, devastando la fauna selvatica e mettendo in difficoltà tre miliardi di animali. Poi era arrivato il turno degli incendi in California ed Europa (Spagna, Romania, Portogallo, Francia, Croazia, Italia e Grecia). Il 2021 aveva annoverato un altro avvenimento importante: il Generale Sherman, una sequoia gigante di oltre 80 metri d’altezza che potrebbe avere oltre 2000 anni – età precisa non nota ma la più grande al mondo -, e altre sequoie millenarie della Foresta Gigante della California, sono state avvolte, dalle radici, in enormi teli ignifughi per proteggerle dagli incendi che minacciavano il Parco Nazionale. Da questa crisi, un racconto.

La storia inizia con un viaggio: le creature del magnifico ecosistema forestale che è l’Amazzonia lo iniziano per capire perché manca la pioggia lenta che scende, perché il cielo è sempre buio pesto. Nemmeno la luna argentina fa più capolino tra le stelle.

Gli animali affiorano da quel buio come fantasmi. È da molto che non vedono l’alba.

Sembra che il sole se ne sia andato via. Pare si sia nascosto nel profondo della foresta.

Tutti gli animali sbucano dai loro nascondigli e attraversano l’oscurità per cercare quell’alba che non vedono più. Una ricerca affannosa e affannata.

Che il sole si sia stancato di sorgere? Forse è troppo grande la fatica di sorgere, ogni mattina? E perché mai fa questo? Ha perso il lume della ragione? Li ha dimenticati?

C’è chi gracchia, chi ruggisce, chi fischia e chi ulula… la carovana degli animali avanza strisciando, nuotando, volando-svolazzando e saltando-saltellando!

Ma dov’è il calore del sole? Dove si è nascosto il colore dell’aurora?

Poi un calore finalmente si avvicina e li avvolge: Ma non è IL SOLE! Non è L’ALBA!

Quella luce crudele li brucia e li scotta, non è fatto così l’abbraccio del sole…

Spavento, terrore. Gli animali fuggono, scappano per mettersi in salvo.

Solo la pioggia (e con lei la pace e la speranza) può far rifiorire lentamente la foresta.

Solo quell’acqua che salva può far riapparire la casa accogliente. Eccola.

Con essa mutano anche i colori delle pagine del racconto, dal nero si passa all’azzurro, al bianco, all’arancione, al giallo, al rosso, al verde smeraldo, ai colori tenui.

Tornano le farfalle. Nessuno è più quello di prima ma la foresta è rifiorita. Sperando quei colori restino, per sempre, in una casa che deve essere piena di vita.

Forse un albo illustrato non può fermare le organizzazioni che vedono l’Amazzonia come un’opportunità per arricchirsi, dice l’autrice, ma può far pensare, può dare voce a tutti gli animali che vedono la loro casa distrutta in nome di qualcosa che ignorano: il profitto.

Può far sognare un mondo pieno del giallo del sole, del rosso dei pappagalli, dell’azzurro del cielo e delle farfalle, del verde delle foreste, i polmoni della terra.

Un libro-protesta dove ogni immagine sembra un piccolo quadro che scivola dal nero, al celeste, al bianco, al verde smeraldo: un inno all’immensa bellezza del nostro pianeta. Quella bellezza che non resterà a lungo se non ce ne curiamo, ogni giorno.

Fabiola ANCHORENA, Aspettando l’alba, Kalandraka, 2022

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Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara.

Elly Schlein, la Road Runner che corre e vince per Willy il Coyote

Elly Schlein, la Road Runner che corre e vince per Willy il Coyote

Elly Schlein vince, e vince partendo da Bologna. Bologna la Rossa, Bologna la grassa, che digerisce tutto – al punto da digerire Pierferdinando Casini come candidato del PD nel collegio delle politiche – si è presa la sua rivincita.
La svolta della Bolognina da oggi non è più solo quella di Occhetto, ma anche quella del quartiere e della città in cui Elly Schlein da Lugano (ma trapiantata a Bologna) doppia le preferenze date a Stefano Bonaccini da Campogalliano. Che si può scrivere anche così: la vicepresidente della regione rossa straccia il suo presidente. A suon di voti, e di votanti. Mi fermo un attimo su questo.

Nel 1948 furono poco più di 2 milioni gli italiani aventi diritto al voto che non si recarono alle urne, meno del 10%. Nel 2022 questo numero è salito a 17 milioni, che fa ancora più impressione della percentuale sul totale degli aventi diritto, ormai prossima al 40%.

Anche le “primarie” del PD hanno registrato un trend simile. Si va dai 3,5 milioni che votarono, in larga maggioranza, Veltroni al milione che ha scelto, con maggioranza più stretta, Elly Schlein. Però questa volta c’è un elemento di novità: una parte di quel milione che si è mosso per votare Schlein non si muove più per le elezioni generali. Un’altra parte di coloro che l’hanno votata, da tempo non vota PD. Infine ci sono gli iscritti/simpatizzanti che hanno scelto lei invece di Stefano Bonaccini.

Pur non essendo io un istituto demoscopico, sospetto che quest’ultimo sottoinsieme sia minoritario rispetto agli altri due che vanno a comporre il milione. Vale a dire: la nuova segretaria del PD è stata eletta prevalentemente da persone che non votano PD. Strano? Paradossale? Sì, ma fa parte dei rischi insiti nella scelta di far votare alle primarie di un partito tutti quelli che vogliono farlo, iscritti, simpatizzanti o meno. E’ una delle poche cose che mi sono piaciute, fino ad oggi, del PD.

Grazie a questa scelta del voto aperto a tutti, Elly Schlein ha riportato e riporterà verso il PD persone che non lo frequentavano più, se non alla sagra dell’anguilla: ma per l’anguilla, non per il PD. Molte di queste persone (a dire il vero lei stessa, che fu una delle artefici di Occupy Pd) lo hanno aspramente criticato, quel PD per la cui segretaria si sono mossi.
Anzi. Si sono proprio incazzati con lui, come quando te la prendi con chi ti delude di più, perchè era lì che riponevi le maggiori aspettative. L’ incazzatura – almeno la mia – ha raggiunto l’apice quando il partito erede (almeno in parte) della tradizione del PCI si è fatto promotore e artefice del Jobs Act, un insieme di norme funzionale a rendere ab origine precario il rapporto di lavoro, cioè a rendere ab origine incerto e non pianificabile il futuro delle persone giovani. Non che prima fosse molto meglio: le leggi sul lavoro che (dagli anni novanta in poi) hanno precarizzato, chiamandolo flessibile, il lavoro (trasformandolo in una pura merce) hanno spesso paternità “di sinistra”, e hanno prodotto un crepaccio tra la base sociale e la base politica dentro il quale sono precipitate passioni, militanze, ideali, voglia di sbattersi.

All’inizio era un boato, poi ci si è abituati al peggio, e alla fine si è sentito solo il “puff” della nuvoletta, come quando, al termine dell’ennesimo assalto fallito a Road Runner, Willy il Coyote precipita dal burrone e si schianta al suolo. Un animale descritto da Mark Twain come “una vivente allegoria dell’Indigenza: ha sempre fame, è sempre povero in canna, scalognato e senza un amico al mondo”.

Elly Schlein non ha nulla di Willy il Coyote. Ha un pedigree che è la quintessenza di ciò che un cretino  definirebbe radical-chic. Figlia di professori aschenaziti di storia e diritto, nipote di avvocati socialisti, sorella di diplomatiche e matematici, secchiona, tripla nazionalità, poliglotta. Possiede la rapidità, la scaltrezza, persino la silhouette di Road Runner. Corre, instancabile, lungo le strade del suo futuro.
Se sarà lasciata da sola, potrebbe avere successo personale ma diventare imprendibile e antipatica, proprio come Road Runner (o Beep Beep come lo chiamano in molti). Se sarà aiutata e saprà farsi aiutare – che è diverso da farsi condizionare, anche se una delle sue abilità è stata di farsi appoggiare da una parte della nomenklatura – allora potrà inverare quel “Parte da Noi” che è stato lo slogan della sua campagna, e potrà essere – non da sola – la voce di quei tanti Willy il Coyote che non ce la fanno mai. Intanto lei ce l’ha fatta, e io non me l’aspettavo.

Essere una donna di 37 anni che cerca di cambiare un partito balcanizzato riaprendone le porte alla partecipazione civile non è semplice.
Esserlo in Italia, un paese bloccato e foderato di patriarchi, aggiunge un coefficiente di difficoltà supplementare
.

Sono decenni che vediamo italiane e italiani – non solo “eccellenti” – che, per prendere un ascensore sociale, emigrano altrove, dove si mangia male ma si lavora bene, dove non è obbligatorio essere l’ingranaggio di una trasmissione familista, di casta o di corporazione per trovare il proprio posto nel mondo, nella politica, nel lavoro, nella cultura o anche semplicemente in un bar. Dove si è retribuiti per il lavoro fatto, senza dover ringraziare per il fatto di averne uno sottopagato. Contemporaneamente, siamo il territorio di frontiera maggiormente esposto agli arrivi di persone che si portano dentro un altro tipo di disperazione: quella della guerra, della violenza, della povertà assoluta, della crisi climatica.

Invece di fare la punta alle scarpe chiodate di questa donna, come già vedo fare, almeno oggi facciamole i complimenti e cerchiamo di chiodare le nostre, di scarpe. Nessuno può scalare da solo certe falesie, ma lei sta dimostrando di avere l’energia e la preparazione per provare a fare il capocordata.

 

Alla fine la Partecipazione ha piegato il FE.Ris.
Ma continua la mobilitazione…

Alla fine la Partecipazione ha piegato il FE.Ris. Ma continua la mobilitazione…

Nella serata di lunedì il Consiglio Comunale di Ferrara ha approvato all’unanimità una mozione che modifica radicalmente il progetto Feris e. di fatto, accantona il progetto originario.
Infatti, nella mozione si riconosce la necessità di avviare un processo partecipativo nella città, si stralcia l’ipotesi di costruire una nuova grande struttura commerciale in Via Caldirolo (pur mantenendo aperta la porta per una sua diversa localizzazione) e si avanza l’impegno a destinare quell’area a Parco Urbano con conseguente inedificabilità, si abbandona l’idea del parcheggio in viale Volano per vincolare quella zona a verde pubblico, si individua l’utilità, per la ristrutturazione della ex Caserma di Cisterna del Follo, di un suo dimensionamento rispetto alle ricerche storico-archeologiche da effettuarsi e, in una relazione con l’Università, di prevedere uno studentato, ma a prezzi calmierati.

Questi impegni rappresentano senza dubbio un risultato e una vittoria importante per la città, che sarebbe stata irrimediabilmente deturpata da un intervento privo di
pubblica utilità e fortemente invasivo nei confronti del sistema delle Mura, come previsto nel progetto originario di Feris.

Registriamo positivamente l’evidente retromarcia dell’Amministrazione Comunale rispetto al progetto presentato alla fine di luglio in Consiglio comunale. Ciò è stato reso possibile dal lavoro del Forum Ferrara Partecipata e dalla forte mobilitazione dei cittadini espressa in particolare in queste ultime settimane, ed anche dal recepimento delle loro istanze da parte di diversi consiglieri comunali che hanno dato vita alladiscussione in Consiglio Comunale.

Siamo soddisfatti anche dal riconoscimento che, anch’esso in modo unanime, è stato dato alla partecipazione e alla mobilitazione dei cittadini e delle Associazioni e ci auguriamo che di questo si tenga conto anche in futuro, smettendo di insinuare che essi siano animati da pregiudiziali di tipo ideologico, come è stato fatto a più riprese nei mesi passati.

Per quanto ci riguarda, continueremo nel nostro lavoro e nel nostro impegno con l’obiettivo, in primo luogo, di vigilare sugli impegni assunti con la mozione
approvata in Consiglio Comunale e di consolidare ulteriormente questo risultato, a partire dal fatto di non dare corso all’apertura di una nuova struttura commerciale in una città che non ne ha bisogno. Soprattutto, andremo avanti nel coinvolgimento dei cittadini perché il progetto di ristrutturazione della ex Caserma sia effettivamente indirizzato all’utilità pubblica e alle necessità di una città che vuole guardare al futuro.

Anche per questo Forum Ferrara Partecipata ha già previsto di organizzare per martedì 14 marzo alle 18 un’assemblea pubblica a Grisù (via Poledrelli 21) per raccogliere le idee e le proposte dei cittadini in proposito. In attesa e anche come stimolo perché parta il processo partecipativo da parte dell’Amministrazione Comunale indicato dalla mozione approvata in Consiglio Comunale.

FORUM FERRARA PARTECIPATA

 

Nota di redazione:
Mobilitarsi contro  il progetto FE.Ris., lottare per difendere la città e il suo verde, rivendicare il diritto dei cittadini ad esprimersi e a contare, ha significato anche liberare la propria fantasia e creatività. La città si è riempita di lenzuoli con tante scritte diverse, molto decise ma anche originali, simpatiche, ironiche. Ad esempio, “Il FE.Ris. ferisce Ferrara”. Ma come non documentare quel ferraresissimo MAIAL (MAI AL FERIS) che è riuscito ad  arrivare fino in braccio a Girolamo Savonarola?