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Come ho argomentato in altri articoli, dietro la guerra in Ucraina c’è ben altro: uno scontro per la leadership mondiale nel XXI secolo che la Cina non è più disposta a lasciare agli Usa come nel secolo scorso. Questo spiega l’inefficacia delle sanzioni alla Russia che commercia bellamente con l’altra metà del mondo, il quale se ne infischia dell’Occidente (Cina in testa). Possiamo portare tutte le ragioni che vogliamo (noi siamo una democrazia, loro sono dittature), ma lo spaventoso curriculum di guerre e devastazioni che gli Usa hanno accumulato ha fatto scendere dal podio l’Occidente, e metà del mondo ci contesta vigorosamente.

Paradossalmente è stata proprio la globalizzazione americana e la “modernità” a far crescere la potenza economica della Cina, che ha cominciato a pensare a questa idea nel 2009 (dopo la crisi finanziaria made in Usa dei subprime), raccogliendo le proteste silenziose di decine di paesi che usano il dollaro come moneta di riserva. Nel 2009 il governatore della Banca popolare cinese Zhou Xiaochuan elogiò l’idea di Keynes del Bancor (un paniere di monete e non solo il dollaro, in origine proposta dall’economista nel 1944) ed auspicò la sua creazione, con conseguente de-dollarizzazione. Ebbe l’appoggio di Russia, India, Brasile e Sud Africa (BRICS). Anche Tommaso Padoa Schioppa, ministro del governo Prodi nel 2010, parlò con interesse del Bancor e disse che “l’orientazione monetaria globale era fissata o fortemente influenzata dalla Federal Reserve Usa, esclusivamente in base a considerazioni nazionali”. Il dollaro ha come controvalore (dal 1972) non più l’oro ma la forza della sua economia e il potere militare e, dal 1999, la potenza della finanza occidentale che guida i mercati.

La Cina era consapevole che la sua potenza economica non era però sufficiente. Così ha cominciato a osservare con interesse quanto avveniva in Europa dal 2014, col crescente conflitto con la Russia per via dell’allargamento della Nato ad est e all’Ucraina. L’abbandono dell’alleanza della Russia con l’Europa avrebbe potuto portare in dote alla Cina un alleato insperato come la Russia, appunto: un vicino non proprio amico e militarmente forte. A quel punto bisognava solo trovare il terzo pilastro che contrastasse la finanza occidentale. Questo pilastro è stato individuato nelle materie prime e terre rare (di cui la Cina è il primo fornitore), che saranno alla base di tutti i prodotti ad alta tecnologia futuri. Materie prime che interessano ai paesi (non solo quelli poveri) più della Finanza, una sorta di rivincita della “vile terra” sull’”oro virtuale”.

A questo punto si tratta di avviare un Nuovo Sistema Monetario basato sullo yuan cinese, ma con un paniere di altre monete come, peraltro, aveva proposto Keynes al posto del dollaro a Bretton Woods nel 1944. Al prossimo summit che si farà in agosto in Sud Africa i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) pare abbiano intenzione di dare vita a una nuova moneta internazionale. Interessati sono anche Arabia Saudita, Iran, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Uruguay, Argentina, Messico, Bangladesh, Pakistan, Nigeria e molti altri. Il Pil dei Brics è già a livello del G7 e un sistema valutario alternativo al dollaro eviterebbe che una prossima (peraltro attesa) crisi finanziaria dell’Occidente si scarichi anche su altri paesi, com’è avvenuto sempre in passato.

Già oggi l’aumento dei tassi a 4,75% della Federal Reserve Usa crea gravissimi problemi a molti paesi che detengono la valuta americana come moneta internazionale di scambio. Gli Usa hanno un deficit sull’estero di oltre 18mila miliardi (la Cina ha un avanzo di 6mila e la Russia di 400 miliardi) che si possono permettere di finanziare solo in quanto sono l’unica moneta internazionale. Nel momento in cui non lo fossero più, dovrebbero ridurre i livelli di benessere che si sono permessi sino ad oggi. L’effetto gigante si riverbererebbe anche sul resto dell’Occidente (Europa, Gran Bretagna, Canada, Australia).

Barry Eichengreen (Univ. di Berkeley) ha scritto sul Financial Times che “la guerra in Ucraina sta erodendo le basi dell’egemonia monetaria Usa”. E’ possibile che gli Usa questa volta abbiano fatto un “passo più lungo della gamba”, e nella foga di ottenere più potere allargando la Nato ad Est, abbiano creato le condizioni di un’alleanza Cina-Russia, rafforzando il loro vero nemico: la Cina, appunto.

A questo punto la “frittata” è fatta e, a mio avviso, è impossibile fermare questo processo, data la forza dei BRICS. All’Occidente conviene trattare e negoziare (anche per l’Ucraina), ma insieme: non come si è fatto in Afghanistan, lasciando la trattativa solo tra gli Americani e i Talebani. Occorre prendere atto che il XXI secolo sarà un mondo con poteri multipolari e non più sotto la sola egida degli Usa. Con tutte le critiche che possiamo fare all’uomo d’affari Trump, dobbiamo riconoscere che è il primo presidente Usa ad averlo capito. Questo spiega perché vuole chiudere tutte le guerre americane aperte nel mondo. L’alternativa è una guerra non solo e tanto commerciale, ma una vera guerra – che ovviamente non conviene a nessuno.

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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