Skip to main content

FOLIAGE AL BOSCO DELL’ALMA
Domenica 29 ottobre, dalle 14,30 alle 17,00

Mediterranea Ferrara in collaborazione con La Voce degli Alberi Ferrara vi invita ad un evento capace di coniugare bellezza e solidarietà: FOLIAGE AL BOSCO DELL’ALMA.

Ci incontriamo Domenica 29 ottobre, dalle ore 14,30 alle 17,00 all’Oasi dell’Alma, in via Traversa 6 a Codrea per condividere il piacere dello stare in natura mentre cambia la stagione, con le tonalità calde dell’autunno.

Dopo una passeggiata nel bosco, si potrà partecipare alla pesca di beneficenza, il cui ricavato sarà interamente devoluto a Mediterranea.

Porta una merenda per te e per un’altra persona e una tazza. Come sempre, infatti, l’evento è plastic free per evitare di produrre rifiuti.

Ti aspettiamo !!!

Julian Assange premiato a Berlino.
Intervista esclusiva a Stella Assange

Julian Assange premiato a Berlino. Intervista esclusiva a Stella Assange

articolo originale su pressenza

Quest’articolo è disponibile anche in: IngleseSpagnoloTedescoPortoghese

Julian Assange non ha bisogno di essere presentato. La sua lotta è la nostra lotta, la lotta per la libertà di espressione, una libertà che oggi è sempre più minacciata dalla disinformazione dilagante e dalla “dittatura dell’opinione” che sempre più invade e corrompe le nostre democrazie. Chi controlla l’opinione pubblica controlla il mondo; i mezzi per manipolarla sono sempre più sofisticati e nelle mani di governi, oligarchi e società monopolistiche.

Quest’anno, l’Accademia delle Arti di Berlino, un’istituzione fondata 300 anni fa, ha dedicato a Julian Assange il suo Premio Konrad-Wolf (in memoria di un regista dell’ex DDR che fu presidente dell’Accademia per molti anni).

Poiché Julian Assange si trova da quattro anni nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh a Londra, lottando contro la sua estradizione negli Stati Uniti (dove rischia l’ergastolo o addirittura la pena di morte!), il premio dell’Accademia è stato ritirato dalla moglie, Stella Assange, avvocatessa che si batte per i diritti umani.

Stella e Julian Assange (Foto di Actvism, Munique)

Nel corso di questo reportage, vedrete diverse foto scattate durante la cerimonia di premiazione.
PRESSENZA ha anche avuto l’opportunità di intervistare Stella in esclusiva sulla situazione attuale di Julian.

.Stella Assange ha sottolineato in particolare il ruolo positivo di Lula da Silva, che ha parlato ripetutamente di Julian Assange durante le conferenze stampa. Lula ha anche affrontato il caso di Julian nel suo discorso di apertura dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York lo scorso settembre, dove ha chiesto la sua liberazione, tra gli applausi della stragrande maggioranza dei rappresentanti politici di tutto il mondo presenti.

Intervista di Vasco Esteves a Stella Assange a Berlino il 22/10/2023

Qual è l’attuale situazione legale di Julian? Si è tenuta l’udienza pubblica a Londra per prendere la decisione finale sulla sua estradizione negli Stati Uniti? Ha fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo? E questo ricorso potrebbe impedire la sua estradizione?

Non c’è ancora stata un’udienza pubblica, stiamo aspettando. Questa potrebbe essere l’ultima tappa nel Regno Unito della sfida legale di Julian contro l’estradizione. Se non supera questa fase, le vie legali nel Regno Unito saranno esaurite per lui. Prima di poter ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Julian deve attendere che siano esauriti tutti i ricorsi nazionali.

Questo ricorso ritarderà o meno l’estradizione negli Stati Uniti?

La decisione spetta alla Corte Europea. In primo luogo, bisogna vedere se accetterà o meno il caso (non è automatico); in caso affermativo, potrà far scattare il cosiddetto articolo 39, che consiste nell’ordinare al Regno Unito di non procedere all’estradizione mentre la sua richiesta viene decisa. Ci sono quindi diverse fasi da seguire. La Corte Europea può ordinare l’applicazione dell’articolo 39 e il Regno Unito dovrà adeguarsi. Ovviamente, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è l’ultima istanza legale all’interno del sistema del Consiglio d’Europa. Una sentenza a favore di Julian potrebbe impedire la sua estradizione.

I governi del Portogallo e del Brasile hanno fornito aiuto o espresso solidarietà a Julian Assange?

Per quanto ne so, il governo portoghese non si è mosso in questo senso, ma il presidente brasiliano Lula da Silva si è espresso più volte sul caso di Julian, citandolo nel suo discorso di apertura all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York lo scorso settembre. Ha anche parlato ripetutamente di Julian in conferenze stampa.

Passiamo ora alla Germania. Annalena Baerbock, capolista dei Verdi alle ultime elezioni, si era espressa a favore del rilascio di Julian PRIMA delle elezioni. Ora però, come Ministro degli Esteri tedesco, non affronta più la questione… Ha parlato con lei? E come spiega il suo cambiamento di posizione?

Non ho ancora parlato con la signora Baerbock, ma ho parlato con il Ministero degli Esteri tedesco. Il governo della Merkel aveva inviato degli osservatori per monitorare con discrezione il caso di Julian; non mi risulta che l’attuale governo abbia fatto altrettanto. Credo che il Ministero degli Esteri tedesco, anche sotto il precedente governo, abbia rilasciato solo una dichiarazione in cui esprimeva preoccupazione per la situazione umanitaria di Julian. Per quanto riguarda il Commissario per i Diritti Umani dell’attuale governo federale, non sono a conoscenza di alcun tipo di posizione pubblica formale sulla questione.

Testo del manifesto: “Julian Assange libero! I criminali di guerra sono liberi, i giornalisti investigativi rischiano la pena di morte. Mettete i criminali di guerra in prigione!”. (Foto di PRESSENZA)

Altri Paesi (come l’Italia) stanno facendo molto di più per attirare l’attenzione sulla situazione di Julian, ad esempio conferendogli la cittadinanza onoraria di Napoli, di altre città e ora anche della capitale, Roma. Cosa manca qui in Germania?

Penso che anche la Germania sia molto favorevole a Julian a livello di base. Anche la stampa tedesca è stata molto positiva nell’analisi del caso. C’è stato, credo, un documentario molto buono della ARD [canale televisivo pubblico]. Lo SPIEGEL ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che il caso dovrebbe essere archiviato e mi ha intervistato e così via.

Ma a livello istituzionale la Germania è in ritardo rispetto ad altri grandi Paesi europei. L’Italia, ovviamente, è un ottimo esempio di mobilitazione attraverso le istituzioni per esprimere posizioni politiche. Come spiega questo fenomeno e cosa ne pensa?

Non conosco bene la situazione tedesca, ma vedo i risultati. Forse i tedeschi sono un po’ introspettivi e vogliono prima valutare la situazione e gli eventuali errori. Penso che l’Italia abbia un sistema democratico più efficace. Non intendo sminuire il sostegno, che in Germania è molto forte, ma non vedo qui lo stesso tipo di situazione dell’Italia.

A Berlino da anni si svolgono regolarmente iniziative e veglie per Julian. Cosa possono fare i berlinesi per esercitare ancora più pressione riguardo alla sua causa?

Il movimento per la liberazione di Julian è un movimento globale che cresce nel tempo. Ognuno ha reti diverse, amicizie, relazioni familiari, contatti sui social media o posizioni in questo o quel settore. Ci sono persone che vanno in piazza in una piccola città per organizzare una protesta individuale “Free Julian Assange”, disegnando con il gesso le dimensioni della sua cella e rimanendo lì per circa un’ora la domenica. Per me è un segno di determinazione e impegno ed è fonte di ispirazione. E quando chi non è a conoscenza di un caso vede altre persone molto impegnate, soprattutto quando si tratta di un caso di ingiustizia così grave, pensa: “Beh, se questa persona ci tiene così tanto, allora forse dovrei farlo anch’io!”. Questo è molto efficace. Il movimento “Free Assange” non è centralizzato. Ogni giorno ci sono proteste, mobilitazioni e così via. Quindi penso che dobbiamo organizzarci per andare avanti, per raggiungere le persone in posizioni di potere – scrivendogli, parlando direttamente con loro e ricordandogli cosa dovrebbero fare se non stanno facendo la cosa giusta.

Viviamo in un mondo in cui una sorta di “dittatura dell’opinione” sta crescendo e distruggendo le nostre democrazie dall’interno. Il maccartismo e la guerra fredda sono tornati, anche nelle nostre menti. I politici occidentali si scagliano continuamente contro i crimini di guerra degli altri (Russia, Hamas, ecc.), ma i loro crimini di guerra (che Julian Assange ha contribuito in modo decisivo a svelare) vengono ignorati o banalizzati… e chi li ha denunciati continua a essere spietatamente perseguitato. Cosa ne pensa e come si sente in una situazione come questa?

Penso che dobbiamo riconoscere che c’è un conflitto di interessi molto significativo per molti di questi grandi Paesi occidentali, che sono anche i maggiori esportatori di armi. Di fatto, traggono vantaggio dalle guerre! Per quanto riguarda la limitazione della libertà di espressione, Julian ha firmato una dichiarazione proprio la settimana scorsa. Si chiama “Dichiarazione di Westminster” ed è stata sottoscritta da circa 140 persone: giornalisti, attivisti, ma soprattutto persone di destra e di sinistra. Persone che affermano che oggi esiste un’industria della censura, un’industria del controllo della narrazione e che dobbiamo tornare a una cultura della libertà di espressione. Senza la libertà di espressione non possiamo sperare di promuovere la pace, perché gli strumenti per controllare la comunicazione sono troppo forti, quindi dobbiamo lottare per queste due cose allo stesso tempo.

Una domanda personale: che cosa ha imparato su di sé combattendo il sistema?

È importante non avere paura e lottare per ciò in cui si crede. La paura è il nostro più grande nemico. Dobbiamo essere in grado di comunicare liberamente. Sto lottando per mio marito. Credo che molte persone vogliano vederlo libero, non solo per motivi umanitari, ma anche perché capiscono che la sua libertà riguarda anche loro. Credo di aver imparato che ogni persona può svolgere un ruolo importante nell’influenzare il mondo che la circonda e cercare di cambiarlo in meglio. Ogni piccolo gesto che compiamo modella l’ambiente che ci circonda, anche se non ce ne rendiamo conto immediatamente. Abbiamo un impatto. E facile scoraggiarci  e pensare che non possiamo cambiare le cose, che chi ha il potere è lassù in alto e non ci ascolta… ma non è così!

Grazie, Stella, per questa intervista!

Stella Assange con un gruppo di sostenitori a Berlino (Foto di Christian Deppe)

Traduzione dall’inglese di Thomas Schmid
Revisione di Anna Polo

In copertina: Stella Assange riceve a Berlino il Premio Konrad-Wolf a nome del marito Julian. (Foto di Pressenza)

Rivoluzione indie a Ferrara:
apertura del Ferrara Film Corto Festival, il palcoscenico dei giovani talenti

Festival del cortometraggio, le emozioni scorrono sul grande schermo. 

Ieri si è inaugurata la sesta edizione del festival del cortometraggio che la Ferrara Film Commission (FFC) dedica a questo segmento della produzione cinematografica e che si terrà dal 25 al 28 ottobre, presso la Sala Ex Refettorio del Chiostro di San Paolo in via Boccaleone 19.

A introdurre la prima giornata del Ferrara Film Corto Festival, il neopresidente della FFC, Sergio Gessi, insieme a Eugenio Squarcia e Mattia Bricalli, Direttori Artistici del Festival.

Tantissimi i giovani in sala, rappresentati, soprattutto, dagli allievi del Liceo G. Carducci e dall’I.I.S. Luigi Einaudi di Ferrara, la Giuria Giovani che frequenterà le proiezioni in sala, valuterà i film in concorso e attribuirà un Premio Speciale al Miglior Cortometraggio.

Mattia Bricalli, Sergio Gessi, Eugenio Squarcia

“Il cinema è specchio di vita, ci emoziona, a volte ci evita pure di dover andare dallo psicologo”, introduce Sergio Gessi. “A volte affascina, a volte commuove e talora magari infastidisce. Ma lo spettacolo del grande schermo è comunque riflesso delle nostre vite e dei nostri comportamenti. E il buon cinema parla a ciascuno di noi, scuote le nostre emozioni, ci fa ridere o piangere, ci catapulta in mondi magari mai neppure immaginati prima” continua. “E”, conclude, “la magia del grande schermo, quello delle emozioni condivise in una sala tutti insieme invece che puntini sul divano, rimane ineguagliabile”.

Sergio Gessi, Paolo Cagnotto (Lecco Film Commission), Alberto Squarcia

Non possiamo che concordare. Anche per questo siamo qui, per vibrare insieme.

Questi i cortometraggi proiettati per le categorie “Ambiente è musica”, “Indieverso” e “Buona la prima”, diretti e recitati da giovani artisti e registi indipendenti italiani e internazionali.

TREE TALKER (Italia, 18’ – “Ambiente è musica”) di Antonio Brunori

Un documentario sui sensori che monitorano la salute delle piante. Perché la salute degli alberi e delle foreste è anche la nostra.

WILTED FLOWERS (Canada, 4’ – “Ambiente è musica”) di Andrei Zaitcev

Un corto psichedelico su qualcosa che non vorremmo mai accadesse.

ESPRESSO (Regno Unito, 20’ – “Indieverso”) di Renata Gheller

Due ex fidanzati, Mark e Lea, che arrivano al loro appuntamento con diverse intenzioni. Temi: salute mentale, disagio ed effetti della pandemia su vite e relazioni

IRA (India, 7’ – “Indieverso”) di Varun Shivnani

Una giovane donna, Ira, in un mondo totalmente alienato.

LA VERITÀ NON ESISTE (Italia, 15’ – “Buona la prima”) di Roberto Cicco

Ambientato in costiera amalfitana, il corto ruota intorno a una domanda esistenziale, che quasi tutti ci siamo, prima o poi, posti: nella vita è meglio seguire l’istinto o la ragione? Il fatto è che l verità non esiste…

SINGING IN FRONT OF THE COLOSSEO (Italia, 14’ – “Indieverso”) di Cristina Ducci

Chiara e Simone si incontrano in un bar dopo tanti anni. Un piccolo musical di fianco al Colosseo, perché forse Chiara non ha perso la speranza di veder realizzare il suo sogno.

LA ROBE (Italia, 6’ – “Indieverso”) di Olga Torrico

Nell’appartamento di una donna recentemente scomparsa, una giovane ragazza delle pulizie, che non ha mai nulla da mettersi per uscire, svuota un armadio pieno di vestiti, quando improvvisamente è attratta da un abito colorato e vivace. Che destino avrà?

L’ALLACCIO (Italia, 20’ – “Indieverso”) di Daniele Morelli

Storia (vera) del lutto profondo di Roberto Rossellini per la perdita del figlio Roberto a soli nove anni e del telefono fatto installare accanto alla sua tomba al cimitero del Verano per poter dirigere da lì, vegliando su di lui, Germania Anno Zero. Una magnifica riflessione su cosa significa essere figli e padri.

GOLEADOR (Italia, 14’ – “Indieverso”) di Francesca Frigo

Steven gioca a calcio in una squadra composta da ragazzi disabili. Quando un uomo misterioso si presenta agli allenamenti tutit pensano che sia lì per portare il bravissimo Steven in una squadra di serie A. ma la madre del ragazzo…

QUEL CHE RESTA (Italia, 9’ – “Ambiente è musica”) di Domenico Onorato

La sostenibilità parte anche dalle nostre azioni quotidiane. Un corto sul riciclo, dove il riutilizzo del cibo può generare ricchezza e convivialità: i rifiuti, gli avanzi possono rinascere a nuova vita.

IL GUERRIERO (Italia, 15’ – “Indieverso”) di Barbara Bonafaccia

Un viaggio spirituale di riconciliazione tra padre e figlio, tra pioggia, fango e boschi.

Particolarmente graditi l’Indie Showcase “NUN MI E VA”, intermezzo pomeridiano, la prima intervista cinematografica assoluta di Massimo Troisi fatta da Paolo Cagnotto al Festival del Cinema di Cannes del 1981 e quello alle proiezioni serali: l’esibizione di Alex Mari, cantante, chitarrista, bassista, cantautore e vocal coach, attraverso un caratteristico e superlativo concerto acustico, terminato con un Q&A interattivo con il pubblico.

 

Foto di Valerio Pazzi

Ferrara Film Corto Festival arriva alla sua VI edizione e si terrà, dal 25 al 28 ottobre, presso la Sala Ex Refettorio del Chiostro di San Paolo situata in via Boccaleone 19, una location d’eccezione nel centro storico di Ferrara. La bellissima sala affrescata, appena restaurata e restituita al pubblico (o meglio, lo sarà a partire da questa occasione), appartiene al complesso cinquecentesco della Chiesa di San Paolo, anche definito il “pantheon della città”.

Il festival, con il suo importante sottotitolo filo-rosso “AMBIENTE È MUSICA”, è dedicato alla promozione e alla valorizzazione di cortometraggi che affrontano il tema dell’ambiente in tutte le sue accezioni, di opere prime italiane e di produzioni indipendenti provenienti da tutto il mondo. Si è affermato negli anni come punto d’incontro per cineasti emergenti e consolidati, focalizzato sulla condivisione del know-how professionale e il dibattito intorno ad argomenti di grande importanza sociale e culturale, con l’intenzione di stimolare, mediante il linguaggio cinematografico, la discussione e gli interventi concreti della popolazione, dei giovani in particolare, delle istituzioni, della politica e del mondo dell’arte.

Oggi più che mai serve trovare una forma di sopravvivenza, individuale e collettiva, agli eventi in corso, sempre più tragici. In un momento storico tanto complesso e delicato, urge una riorganizzazione di intenti, la ricerca di un nuovo equilibrio tra uomo e natura fondato sul rispetto. L’arte può aiutare nel ritrovare la retta via, nel farci confrontare a noi stessi, agli altri e con gli altri. Uno sguardo creativo sul mondo esteriore e interiore, dove i punti di vista oggettivo e soggettivo si confondono, provocando domande e suggerendo risposte.

La tematica di questa edizione del Festival vuole relazionarsi con le grandi sfide globali e contemporanee, in primis quella relativa ai cambiamenti climatici, che riguarda tutti, ma anche la necessità di un cambiamento radicale dello stile di vita, del modello collettivo, del paradigma dominante. Un nuovo mondo, ma anche una nuova musica, come espressione dell’empatia e delle emozioni più umane. Perché l’ambiente è musica, in equilibrio tra armonia e disarmonia. Una sinfonia in divenire, un paesaggio sonoro a cui tutti partecipiamo, come voci soliste, come orchestrali, talvolta come semplici auditori.

La VI Edizione del Festival prevede tre categorie di partecipazione: “AMBIENTE È MUSICA”: categoria principale, aperta ad autori nazionali e internazionali di qualsiasi età, che dovranno interpretare il tema “AMBIENTE È MUSICA” in maniera personale, mediante il linguaggio cinematografico. La categoria è aperta a ogni genere di cortometraggio. “BUONA LA PRIMA”: categoria aperta ad autori italiani, o residenti in Italia, di qualsiasi età e dedicata unicamente a opere prime, a tema libero. La categoria è aperta a ogni genere di cortometraggio. “INDIEVERSO”: categoria aperta ad ogni genere di cortometraggio, a tema libero, purché di produzione indipendente, rivolta ad autori nazionali ed internazionali, di qualsiasi età.

Ferrara Film Corto Festival 2023 si svolgerà in quattro giornate (25-28 ottobre 2023), durante le quali avranno luogo le proiezioni dei 67 film ammessi in competizione (27 per “Ambiente è Musica”, 15 per “Buona la prima”, 25 per “Indieverso”), intermezzati da concerti, conferenze, spettacoli e proiezioni di opere video fuori concorso, tra cui: la proiezione fuori concorso di “Nun mi e va…” (la prima intervista di Massimo Troisi ad un Festival del Cinema: Cannes 1981) a cura di Paolo Cagnotto – Lecco Film Commission; il concerto in acustico di Alex Mari, cantante, chitarrista e songwriter copparese, noto nel panorama musicale nazionale e internazionale; la proiezione fuori concorso del film “Ho smesso di portare le mutande” e il successivo incontro con Matteo Sambero (regista) e Pierpaolo Lombardi (autore del soggetto e protagonista del corto); l’incontro con Gian Maria Giarini “Da Ferrara a Capo Nord in R4”; la proiezione speciale fuori concorso del corto “Miss Agata” (girato nel territorio di Ferrara) in presenza del cast, composto da Anna Elena Pepe, Andrea Bosca, Yahya Ceesay e Chiara Sani, nonché dei registi Anna Elena Pepe e Sebastian Maulucci, in collaborazione con Première Film; la performance di danza contemporanea “HABITAT” dell’artista e coreografa Alessandra Fabbri, con live electronics di Lucien Moreau e sax solista di Giulia Carriero; la prima nazionale del cinematic concert a tema ambientale “The Planet Yu” del musicista e compositore ‘Novich (Ivan Montesel); la presentazione della collaborazione con due realtà culturali d’eccellenza: Fotopop di Antonella Marchionni (fotografa ufficiale del Festival 2023) ed Estense Music Academy di Sergio Rossoni.

Nella giornata conclusiva di sabato 28 ottobre, nel blocco pomeridiano, avrà luogo una serie di proiezioni speciali fuori concorso. Il blocco serale si aprirà con un concerto a tema ambientale appositamente realizzato per il Festival e proseguirà con la cerimonia di premiazione dei film in concorso, seguita dall’incontro con sponsor e autori vincenti. Durante la serata verranno consegnati alcuni premi speciali: uno denominato “Premio al miglior cortometraggio di denuncia sociale girato nella città di Ferrara”, in presenza di cast e regia, e l’altro consegnato dalla Giuria Giovani composta dagli studenti del Liceo G. Carducci e dall’I.I.S. Luigi Einaudi di Ferrara che frequenterà le proiezioni in sala, valuterà i film in concorso e attribuirà un Premio Speciale al Miglior Cortometraggio.

Non da ultimo, il Festival potrà contare su una Giuria Professionale composta da rappresentanti del mondo del cinema, del teatro, della musica e del giornalismo: Giampiero Sanzari (compositore, sound designer, tecnico del suono, restauratore audio e fonico in presa diretta), Roberta Pazi (attrice, regista e produttrice di cinema e teatro), Achille Marciano (attore e regista di cinema e serie tv), Simonetta Sandri (giornalista pubblicista, critica ed esperta di cinema), Paolo Gasparini (Presidente di Giuria, attore di cinema e teatro, nonché produttore).

L’ingresso è a offerta libera. Lo spettacolo si svolge fra le 15,30 e le 22,30.

https://www.ferrarafilmcorto.it/programma2023

 

Parole a capo /
Romano Calandra: “Nel suono di ruscelli” e altre poesie

Dove la giustizia è credibile anche la famosa omertà mafiosa scompare.
(Giorgio Bocca)

No non amo la mia terra

non amo più la mia terra neanche un pochino.
Ho amato
suoi odori profumi calori,
le ho dato
la mia forza
confidato
i miei sogni.
Figlio affettuoso
avrei potuto avere un’altra madre,
ho amato la mia terra sino a lacrimare
al rivederla ritrovarla.
Erba secca afa pomodori gustosi fichidindia
zibibbo capperi pupi
offerti a profusione dalla terra natale,
misti a storia e tradizioni.
C’erano ci sono
tanti nomi terribili
corruzione indolenza mafia prepotenza
non rispetto di regole…
Ha un bel mare la mia terra natale
frutti gustosi cibo gustoso e dolci…
ma virus secolari
sin nei panorami più belli.
Mi ha tradito condannato
ingiustamente punito isolato
silenziosamente ucciso in modi viscidi ed orrendi.
Serba nei suoi sepolcri
miei amici più cari e parenti,
io però adesso amo soltanto la mia Terra.

*

Ieri notte

l’altra notte ancora,
sempre,
ho accostato la mano al tuo cuore
non t’ho toccata
non sfiorata non l’hai chiesto.
Volevo udire il tuo battito
se avvertivo un attimo
di pulsazioni tachicardiche,
per capire
se una stilla del tuo sangue
fuggiva dalle tue vene
per entrare nelle mie.
Follia sperare
avvengano tali fenomeni,
sperare che tu sorrida a me
sempre e soltanto.
Ma tu,
ti chiedo ti prego ascolta
dimmi come posso fare per amarti meglio
dimmi cosa posso fare per amarti
fino in fondo
qualsiasi cosa tu faccia,
perché tu non soffra
a colpa mia,
perché tu sia felice
anche a causa mia.
Perché ad occhi chiusi
o nella notte buia
tu veda sempre le tue stelle
sapendo che
ti sono sempre vicino
su questa terra

*

Ho visto in cielo

greggi di pecore
tramutarsi in nuvole,
greggi di nuvole pecore
scender sulla terra
a brucar erba.
Cuori induriti
versar una lacrima
per bimbo spiaggiato.
Visti malinconici visi
abbozzar sorrisi
tornare a vivere.
Vedrei bimbi
sgranocchiar pannocchie
brustite al fuoco
e sputacchiar bruscolini.
Ho osservato allegre comitive
sciogliersi a tornare
unità separate.
Non ho visto Dio,
e sono solo io.

*

Nel suono di ruscelli

nel canto di merli
udrò la tua voce.
Venne una merla
a scavar nell’aiuola.
In ali di colibrì
rintraccerò i tuoi colori
m’hai riempito di colori.
Prenderò tuo calore
da ogni raggio di sole.
Ho sempre sole
a me vicino.
Essenza di te
acqua sazia la mia sete,
non ho più sete.
La luce dei tuoi occhi
mi farà splendere di più.
Sorriderò pensando
sei.
Così,
come vorrei
tu fossi.
Non dir nulla,
sai
ti voglio felice.
Così,
come dici
che sei.

*

Che bella cosa la vita!

Me ne andavo stamani
a passeggiar lento,
anche a sostare,
per goder sole,
aria, la luce,
fischio di merli
tremolio di foglie d’alberi.
Quando vidi
non una barca in mezzo al mare
sventolante una bandiera tricolore,
alcuna contadina spigolava.
Sostai a guardare vidi:
coccinella rossa
sull’apice d’un ramo
difendeva l’albero
da ghiotti afidi incompetenti.
Che incontri fa farti la vita!
Subito dopo,
dopo giorni di mia assenza,
ti rividi.
Che bella cosa la poesia!
Rossa anche tu,
ma senza puntini neri in te.

(Queste poesie sono tratte  dall’ultima opera poetica di Romano Calandra “Come una donna Ama“, Transeuropa, 2022)

Romano Calandra (Palermo, 1940). Laurea in scienze geologiche presso l’Università di Palermo, è stato ricercatore scientifico presso l’ente minerario siciliano, geologo, docente di Matematica e Materie scientifiche a scuola. Ha pubblicato in precedenza (2020) la silloge “Provare a comunicare“, per l’associazione culturale Amarganta e la silloge “Non uso più il rasorio a lama” per Transeuropa.

LO SCAFFALE POETICO
Segnalazioni editoriali interne (o contigue) al mondo della poesia.

  • Francesca Del Moro, SovraliminaleEd. Progetto Cultura, 2023
  • AA. VV., I giorni invisibili, Il Babi Editore, 2023

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Per leggere i numeri precedenti clicca[Qui]

Italia, un paese in svendita. Come aumentano le disuguaglianze

Italia, un paese in svendita. Come aumentano le disuguaglianze

 

Eurostat ha appena pubblicato (20 ottobre) un report sulle condizioni di vita dei 441 milioni di europei: “Key figures on european living conditions, da cui si desume che ci sono tre paesi dove si fatica ad arrivare a fine mese più della media europea. Bulgaria, Grecia e Italia (quest’ultima con il 63% delle famiglie). La media UE è al 45% mentre nei paesi forti questa percentuale di “sofferenza” scende anche sotto il 25% (Svezia, Finlandia, Germania, Olanda, Lussemburgo,…).

Si tratta dell’ ennesima conferma di come l’Italia stia scivolando, anno dopo anno, in una situazione di progressivo impoverimento, che non si coglie più di tanto in quanto permangono un 20% di famiglie ricche o comunque abbienti che viaggiano, vanno in vacanza e al ristorante e che, insieme agli stranieri “ricchi”, possono ancora godere di molte amenità. Le disamenità della modernizzazione (inquinamento, traffico, chiusura dei negozi di prossimità, sanità sempre più a pagamento, criminalità, aggressività, solitudine,…) invece sono a carico soprattutto delle periferie e dei ceti poveri.

Eurostat dice che la situazione va peggiorando dal 2021 al 2022 e non è azzardato pensare che così sarà anche nei prossimi anni, se non si pone fine alle guerre in corso. Il conflitto geo-politico (Stati Uniti in declino vs. gli emergenti Brics, guidati dalla Cina), costringe l’Europa a seguire la politica estera Usa che mette in crescente difficoltà i territori europei più deboli, tra cui l’Italia e, al suo interno, le aree più deboli del Centro-Nord e l’intero Sud. Cresce la disuguaglianza tra il 20% delle famiglie più ricche che hanno un patrimonio 5,6 volte (in Italia) superiore alla media delle restanti 80%. Ma ci sono paesi come la Finlandia dove questa differenza è solo 3,7 volte: merito ovviamente della politica fiscale e redistributiva di quel paese.

In ogni caso, anno dopo anno le cose peggiorano, a causa di una globalizzazione sempre più ammaccata  e di un neo-liberismo che portano anche paesi ad economia “avanzata” a disuguaglianze interne mai rilevate nel passato.

Una conferma viene anche dall’indice di Gini che Eurostat calcola ancora al 32,7% per Italia (ma che Banca d’Italia nella sua ultima indagine del 2022 aveva alzato al 36%; più è alto l’indice, più c’è disuguaglianza).

L’Europa potrebbe elargire aiuti a condizione che ogni singolo paese si adoperi per ridurre le sue disuguaglianze, con ciò contribuendo a migliorare la situazione. Ma probabilmente ciò non interessa a questa Europa senza figli. Le coppie senza figli sono stabili da 12 anni al 25%, quelle con figli sono scese dal 20% al 15% e i singoli adulti con figli sono stabili al 5%, mentre i singoli adulti senza figli sono saliti dal 30% al 36%. In totale le famiglie con figli sono il 20% e senza figli il 61% (il resto sono altri tipi di famiglie).

73 milioni di europei sono a rischio povertà e le spese per la salute sono in aumento in tutta Europa, a causa del declino della protezione dei Servizi sanitari pubblici gratuiti. In Italia le spese per le famiglie sono così salite dai 640 euro di media dell’anno 2019 a 700 euro del 2022 (tutti dati di fonte Eurostat). Ovviamente i dipendenti continuano a versare i contributi per la sanità pubblica pari al 28% circa del costo del lavoro, valore più alto in Europa dopo Francia e Svezia (nonostante la recente riduzione del cuneo fiscale e contributivo deciso dai governi Draghi e Meloni).

L’Europa più che alla disuguaglianza pare sensibile agli interessi delle lobby. Per avere accesso ai contributi da PNRR “italiano”, ad esempio, gli asili nido e le scuole dell’infanzia devono essere fatti in edifici nuovi, non si possono usare edifici vecchi o da ristrutturare: fatto del tutto in contraddizione, peraltro, con la necessità di non incrementare il consumo di suolo.
Altro quindi che asili nel bosco o in campagna presso le aziende bio per favorire la salute dei bambini, che sarebbero costati la metà. L’importante è far girare la “pila”. Ma in questo modo, specie al Sud, con costose nuove strutture ci saranno anche enormi spese di manutenzione che determineranno alte tariffe per i genitori, per cui c’è da scommettere che di asili se ne faranno pochissimi, in quanto i Comuni non vogliono (giustamente) far fronte a costi insostenibili. Un esempio di come dietro i famosi fondi PNRR si nascondono in molti casi opere del tutto inutili, peraltro progettate nella più assoluta mancanza di partecipazione dei cittadini.

L’economia è sempre più in mani private e il settore pubblico (Governo, Governatori, Sindaci) si riduce alla mera amministrazione di interessi privati, che si avvalgono di commissioni di esperti (provenienti da società di consulenza private) per proteggersi dalle decisioni da prendere, in modo da “lavarsi le mani” come Ponzio Pilato.

Almeno negli Stati Uniti, quando la Fiat acquisto Chrysler, Obama impose che in Usa si costruissero i motori ibridi. Da noi nulla viene mai richiesto alle grandi company. Si aspettava che il Governo sovranista Meloni mostrasse di tenere di più alla difesa delle nostre imprese, ma purtroppo così non è.

Nei prossimi giorni assisteremo alla vendita della rete Tim al fondo KKR americano: prosegue anche con questo Governo la penetrazione estera in tutte le nostre imprese con più di 250 addetti, dove il fatturato è ormai per il 25% in mano estera. La narrazione è che dobbiamo essere “aperti” agli stranieri e alla globalizzazione, che si sta letteralmente comprando tutte le imprese di qualità che fanno il “made in Italy”. Peccato che il Paese sia in svendita, perché per storia e capacità imprenditoriale potremmo essere tra i primi al mondo se solo avessimo una classe politica che difende il nostro lavoro.

Diario in pubblico /
In Medio Oriente, come nel lager, l’orrore non uccide la speranza. La Lezione di Edith Bruck

In Medio Oriente, come nel lager, l’orrore non uccide la speranza. La Lezione di Edith Bruck

Nel caos della situazione politica in città e nel mondo per non essere accusati di ‘provincialismo’ dopo le riflessioni sul trittico ‘sgarrupato’ rappresentato da Moni Ovadia, Patrick Zaki e Andrea Giambruno, va ripresa la barra partendo da una importantissima testimonianza della grandissima Edith Bruck apparsa sui giornali oggi 24 ottobre.

L’amica carissima, dal suo letto dove giace per una caduta in casa. riprende la sua riflessione sull’ebraismo, antiebraismo e movimenti consimili che sono presenti in modo spesso preoccupante e scuotono il mondo. Una frase sembra riassumere il concetto di umanità che perfino nel lager ha risuonato quando piccoli segni hanno permesso a Edith di recuperare un briciolo di speranza: piccoli gesti (5 in tutto) che le hanno permesso di resistere trasportandola da uno stato di cosa a quello di persona. In questo modo, afferma la scrittrice sopravvissuta ad Auschwitz, sarà possibile affrontare l’orrore che scuote non solo il Medio Oriente ma tutto lo scacchiere internazionale e tanti popoli.

Parla dunque di un orrore assoluto nel descrivere l’attacco di Hamas, che Israele essendo una democrazia può e deve criticare le scelte di Netanyhau e la inspiegabile – almeno a livello d’intendimento comune – défaillance dei servizi segreti israeliani. E aggiunge: “Israele è debole, non è niente, e potrebbe essere metà di quello che è: dividi con i palestinesi e vivi in pace. Bisogna arrivare ad avere in quella terra due Stati, Israele e un libero Stato palestinese. Tutti sanno che questo è necessario, ma non fanno niente. Da decenni”

A questo punto, come è accaduto per tanti grandi scrittori ebrei, si apre il ragionamento sui palestinesi che mai dovrebbero essere identificati in massa ai terroristi di Hamas. E se si fosse pensato con equilibrio, non si sarebbe dovuto identificare un intero popolo e nazione nell’orrore fascista e nazista. Cosa che è avvenuta ma non è stata recepita a pieno.

Ora assistiamo alle dichiarazioni di António Guterres. È scontro diplomatico tra il governo di Israele e il segretario generale delle Nazioni Unite.

A innescarlo un passaggio del discorso pronunciato martedì dal settantaquattrenne politico portoghese al Palazzo di Vetro, in apertura della riunione speciale del Consiglio di Sicurezza dedicato alla crisi in Medio Oriente. “È importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione “, ha ricordato Guterres. Precisando che, come le rivendicazioni dei palestinesi “non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas”, così questi spaventosi attacchi non possono giustificare la “punizione collettiva ” del popolo della striscia di Gaza.

Il segretario Onu ha altresì reiterato l’appello per un “cessate il fuoco umanitario”, sottolineando che “nessuna parte in un conflitto armato è al di sopra del diritto”.

Siamo arrivati ad un punto senza ritorno?
Difficile per ora dirlo. Certo che ancora una volta le parole della Bruck affondano in una melma da cui è difficile uscire.

Per leggere gli altri articoli di Diario in pubblico la rubrica di Gianni Venturi clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

“La Ferrara popolare e democratica non può più aspettare”.
Parte il processo partecipativo, ma i partiti possono ancora aderire.

La Ferrara popolare e democratica non può più aspettare”
La Comune di Ferrara apre il percorso partecipativo
per scegliere dal basso programma e candidati. I partiti possono ancora aderire.

Giovedì 18 ottobre, La Comune di Ferrara ha lanciato pubblicamente una proposta politica precisa ai partiti e alle formazioni ancora riunite al Tavolo dell’Alternativa. Una proposta molto semplice: uscite tra la gente, andate oltre il modo tradizionale di far politica, aggiungete le vostre forze (le vostre idee di programma, le ipotesi di candidature, i vostri iscritti/e ed attivisti/e) e unitevi a questo nuovo processo partecipativo.

In attesa di ricevere una risposta, La Comune di Ferrara ha deciso di dare il via al processo partecipativo, rivolgendosi a tutte le forze attive della società e della politica ferrarese. Questo significa che la porta per i partiti e le formazioni politiche che siedono al Tavolo dell’Alternativa rimane aperta: ognuna di loro potrà accettare l’offerta, assumendo il metodo innovativo e la tempistica proposta.

Sono state pertanto fissate le prime 3 tappe, 3 grandi momenti assembleari di ascolto e confronto, per scegliere sia le linee e gli obiettivi del programma elettorale, quindi per far emergere disponibilità, competenze e candidature, infine scegliere con una votazione popolare la figura del Sindaco/a e della squadra che lo/a affiancherà.

I tappa: domenica 19 novembre: visione e obiettivi principali, principali azioni

II tappa: domenica 3 dicembre: Raccolta candidature e presentazione dei candidati

III tappa: sabato 16 dicembre. Individuazione del candidato/a e della squadra, attraverso una consultazione online su piattaforma trasparente.

La Comune di Ferrara

Per saperne di più, per aderire, per sostenere La Comune di Ferrara:
Email: info@lacomunediferrara.it
Sito internet: www.lacomunediferrara.it
Pagina Facebook: https://www.facebook.com/profile.php?id=61551376034113

Vite di carta /
Titanio: il thriller contemporaneo di Stefano Bonazzi

Titanio: il thriller contemporaneo dell’autore ferrarese Stefano Bonazzi.

Ho conosciuto l’autore di Titanio tre settimane fa alla presentazione di questo suo terzo romanzo presso la Biblioteca Comunale del mio paese. La conversazione sul libro è stata avvolgente: alle domande puntuali che gli sono state rivolte, Stefano Bonazzi, scrittore ferrarese classe 1983, ha risposto con generosità. Entrando nelle pagine per orientarci a comprendere la storia, uscendone per dirci quale scrittura vorrebbe essere la sua.

Si è rapportato a suggestioni cinematografiche e letterarie degli ultimi anni, che gli hanno fornito un modello: per esempio i film di Matteo Garrone, in primis Gomorra, oppure la narrativa dei cannibali, come sono stati definiti i giovani scrittori di “atrocità quotidiane” che negli anni Novanta sono entrati nella antologia Gioventù cannibale uscita presso Einaudi nella collana Stile libero.

Ho fatto sì con la testa mentre lo ascoltavo, ho anche bisbigliato alcuni nomi, alcuni titoli. Prima di ogni altro Dei bambini non si sa niente di Simona Vinci, l’autrice di Budrio di cui ho poi continuato a leggere altri romanzi, sperando che virasse verso storie meno violente. L’ha fatto, e ha mantenuto una scrittura incisiva dalle soluzioni narrative non scontate.

Sono tornata a casa e ho letto Titanio. E meno male che mi hanno sostenuta i riferimenti dati dall’autore, veri appigli per essere pronta a parare i colpi della narrazione. Fran, il protagonista, è un ragazzino speciale: vive in una non meglio precisata periferia, vive in mezzo al degrado sociale e personale dei suoi genitori e degli altri abitanti della “Ciambella”, ma è atipico. È magrolino, efebico, ama la lettura, anche se la famiglia non lo ha fatto andare a scuola, ha divorato tutti i libri raccolti dal padre ai mercatini e conosce un sacco di cose su tutte le materie.

La sua è una “adolescenza feroce”, per usare un’altra definizione cannibale. Si consuma nel quartiere residenziale dove le case sono occupate abusivamente da tossici, clandestini ed emarginati di vario genere. La famiglia di Fran, ambigua per non dire deviata, vive coltivando e vendendo erba.

La vicenda è costruita come una investigazione e parte dalla fine, quando Fran divenuto maggiorenne vive l’esperienza del carcere e dipana il racconto della sua giovane vita fino al reato gravissimo che ha commesso.

Lo ascolta l’educatore che lavora nella struttura penitenziaria: nel pacchetto di ore che gli sono state assegnate sente una attrazione sempre più forte verso il racconto di Fran e verso la sua personalità di ombre e luci profonde. Si sente schiacciato tra due fuochi: da un lato è spinto da una intensa empatia verso il ragazzo, dall’altro è imbrigliato dalla deontologia professionale e dovrà passare le informazioni ricevute all’Interpol per una inchiesta ancora aperta sul giro di conoscenze di Fran.

È suo, dopo quello di Fran,  il secondo punto di vista da cui il lettore apprende la storia. Ne manca un terzo, il più misterioso, ed è quello di un uomo paralizzato nel letto che al risveglio si vede curato in una stanza che non riconosce per le gravissime ustioni diffuse su tutto il corpo.

Il lettore ne segue la delicata convalescenza intanto che Fran racconta come si sono conosciuti e scopre che la sua è stata un’altra vita vissuta nel male, il cui epilogo caratterizza il finale senza consolazione del thriller.

Secondo quanto ha detto Stefano Bonazzi durante il nostro incontro, il libro vuole essere una riflessione sul male. Da adolescente Fran non ne conosce il discrimine rispetto al bene, non gliel’hanno di certo trasmesso i suoi genitori. Da loro ha semmai subito mutilazioni psicologiche e violenza fisica.

L’immagine finale è quella di Fran che in carcere “insegna a leggere ai detenuti privi di formazione scolastica, gestisce la biblioteca della struttura” e scrive lettere per i compagni di detenzione: se in questa vita i mostri si trovano ovunque e “il mondo è pieno di cantine” buie dove puoi essere rinchiuso da chi dovrebbe volerti bene, la prigione può non essere solo un incubo che si aggiunge agli altri da cui provieni. Puoi incontrare un educatore che intende ascoltarti fino in fondo, puoi incontrare anche te stesso. Mi pare questo l’unico punto di luce del racconto.

Per tutto il tempo della lettura mi sono domandata quanto Bonazzi si sia allontanato dai suoi apprezzati cannibali nel costruire una storia tanto drammatica. La risposta l’ho cercata in alcuni testi di critica letteraria che ho rivisitato in questi giorni e l’ho trovata nel mio vissuto universitario.

Premetto che non ho mai avvertito nei racconti “pulp” di Ammaniti, Nove, Brizzi e negli altri la funzione di “intrattenimento persino piacevole” che finisce per assegnare loro Romano Luperini, sentendo invece molto forte il citazionismo crudo con cui aggrediscono il mondo contemporaneo, anche attraverso richiami a fumetti e cartoons, e sintonizzandomi sulla loro linea di realismo.

Ho riconosciuto una voglia di racconto nelle pieghe riposte in cui si annidano storie di male e di distorsione esistenziale, dopo certa narrativa postmoderna degli anni Ottanta dalle tentazioni nichiliste.

D’altro canto Daniele Luttazzi ha sostenuto che l’antologia uscita nel 1996 è stata “profetica”: la realtà italiana ritratta nei racconti, lungi dall’esserne disancorata, semplicemente è stata anticipata. Dopo qualche mese dall’uscita della raccolta l’Italia conobbe i casi del mostro di Firenze, dei satanisti lombardi, di Erika e Omar.

La conclusione a cui sono giunta posso esprimerla in due modi: il primo è che Stefano Bonazzi ha cannibalizzato una storia del nostro presente, il secondo che ha rispolverato una delle categorie fondanti della scrittura letteraria, a cui mi sono formata negli anni dell’università, il rispecchiamento della realtà.

Ho una conferma in tal senso che viene dalla cronaca dei tg di ieri: parte Qui vivo, una campagna di sensibilizzazione nonché un progetto di innovazione sociale rivolto ai giovani che vivono nelle periferie. Il progetto intende combattere marginalità e isolamento, favorendo una educazione di qualità, attività sportive, spazi sicuri di aggregazione e crescita personale.

All’interno delle 14 aree metropolitane in Italia si registrano infatti forti disuguaglianze rispetto alla media del paese per quanto riguarda sia il livello di istruzione nei bambini, sia il livello di occupazione per la fascia d’età dai 15 ai 64 anni. La fonte è il rapporto Fare spazio alla crescita curato da Save the Children in collaborazione con la fondazione Openpolis.

Un ultimo dato: sono quasi 13.000 i bambini senza tetto e senza fissa dimora nel nostro paese (dato rilevato nel 2021), il 13,3% rispetto al totale di circa 96.000 persone senza una casa.

Nota bibliografica:

  • Stefano Bonazzi, Titanio, Alessandro Polidoro Editore, 2022
  • AA.VV, Gioventù cannibale, Einaudi, 1996
  • Simona Vinci, Dei bambini non si sa niente, Einaudi, 1997

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

I Crinali del Mugello minacciati dall’Eolico Industriale.
Come nel 1700, si rischia una tragedia ecologica

I Crinali del Mugello minacciati dall’Eolico Industriale. Come nel 1700, si rischia una tragedia ecologica.

L’Assemblea del Comitato Tutela Crinale Mugellano, sabato 14 ottobre 2023, si è aperta a Dicomano (FI) con una Mostra fotografica nella quale sono state documentate le alterazioni ambientali del crinale del Monte Giogo di Villore causate dall’inizio dei lavori per la realizzazione dell’impianto eolico industriale di AGSM-AIM Verona, fortemente voluto dalle amministrazioni comunali di Vicchio e di Dicomano e dalla Regione Toscana.

I lavori sono iniziati in data 8 giugno scorso, come da comunicazione del proponente, ma già in precedenza, l’impresa incaricata di fare i carotaggi preliminari di carattere geognostico aveva lasciato segni inconfondibili sul crinale. Come testimoniano le immagini della Mostra, la gran parte degli interventi ad oggi effettuati, ha arrecato alterazioni al territorio, quali al torrente del Solstretto, che alimenta l’acquedotto di alcune frazioni del comune di Vicchio tra cui Villore, alla viabilità che da Villore, Vicchio, sale a Porcellecchi, disboscamenti dalla Valvola SNAM al Giogo di Corella, modifiche irreversibili alla viabilità di Corella, Dicomano.

Le foto dei tagli e degli sbancamenti attuati lungo la strada che dal cimitero di Corella sale fino alla cosiddetta “valvola SNAM” sono solo i primi scatti relativi all’ impatto di portata incalcolabile che avverrà nel caso il Tar dovesse esprimere parere favorevole al progetto.

Ecosistemi naturali tra i meglio conservati, frammentati e compromessi, stravolgimento dei Sentieri CAI e dei Percorsi frequentati dal turismo lento ed escursionistico, abbattimento di castagni secolari e di marroni produttivi, esproprio di terreni agricoli, utilizzo improprio, scasso e intubamento di torrenti, segnaletica abusiva per allontanare arbitrariamente i camminatori e i visitatori delle montagne appenniniche, rifiuti risultanti dalle opere di carotaggio dispersi e abbandonati sul terreno.
Per non parlare degli allargamenti e sbancamenti lungo la strada che sale dal cimitero di Corella, Dicomano, lungo la pista forestale e i sentieri che portano al crinale e dei numerosi depositi, vere montagne, di materiali di escavo ai margini del bosco e lungo la strada presso la Valvola SNAM.

In periodo di raccolta dei marroni, la viabilità di accesso in prossimità della Valvola SNAM, risulta inagibile, alla prima pioggia, da mezzi che non siano fuoristrada speciali.

Dopo i saluti di apertura, gli interventi dei partecipanti al Comitato si sono succeduti cogliendo i vari aspetti storici, sociali, ambientali ed economici negativi conseguenti all’imminente colonizzazione eolica nei territori dell’Appennino Mugellano, nella zona di rispetto limitrofe ai siti  e ai confini del Parco Nazionale Foreste Casentinesi.

E’ stato sottolineato in particolare come sia grave l’aver sottovalutato e in alcuni casi ignorato, sia da parte del proponente che delle amministrazioni preposte al rilascio delle autorizzazioni, gli enormi danni alla vegetazione e ai boschi, che rappresentano gli unici veri consumatori di CO2 in natura, quindi i nostri veri alleati nella lotta ai cambiamenti climatici, e garanti di biodiversità, altra nostra alleata contro il depauperamento delle risorse naturali della montagna, nonché il dissesto idrogeologico conseguente agli interventi realizzati.

Interessantissimi sono stati i riferimenti e le letture di passi dello scritto del marchese fiorentino Matteo Biffi-Tolomei (1730-1802) “Una tragedia ecologica del settecento. Appennino toscano e sue vicende agrarie” e l’aver colto e messo a fuoco le analogie di quanto sta accadendo oggi sul crinale col disastro ecologico che colpì i boschi appenninici della Toscana di fine ‘700. A causa delle nuove riforme leopoldine che, tra l’altro, liberalizzavano il taglio indiscriminato dei boschi della Riserva Appenninica, da centinaia di anni protetti dalle leggi medicee, si venne a creare una devastazione ambientale mai vista prima e un vero scempio paesaggistico ai danni degli Appennini Tosco-romagnoli.

Il Comitato ha ringraziato i tanti cittadini, vere e proprie “sentinelle dell’ambiente”, che amando il loro territorio e frequentandolo abitualmente, hanno registrato osservazioni, fatto segnalazioni, inviato foto georeferenziate relative al degrado in corso nei luoghi a causa degli interventi, come evidenziati dalla mostra fotografica.
E’ stato sottolineato come il rispetto dell’ambiente e della natura e la vigilanza sul territorio non siano compito inderogabile solo delle amministrazioni pubbliche o delle imprese private, ma costituiscano un diritto/dovere del cittadino, come affermato dalla Legge unica ambientale (D.Leg. 152/06 e s.m.i.).
La tutela del patrimonio ambientale naturale, della biodiversità e del paesaggio sono affermati specificatamente anche dall’art. 9 della Costituzione italiana, quindi il cittadino che segnala le irregolarità e gli abusi compie un atto assolutamente democratico di cittadinanza attiva.

L’assemblea si chiude con uno sguardo rivolto al futuro: i cittadini presenti all’Assemblea esprimono la volontà di riprendere in mano il proprio futuro e quello del loro territorio, il Mugello!
Ribadire con fermezza che esistono luoghi idonei a impianti industriali e luoghi che non lo sono, come l’Appennino Mugellano, in continuità ecologica e funzionale con i crinali del Parco Nazionale Foreste Casentinesi.

Continuare l’impegno assiduo per difenderlo dallo scempio dell’impianto industriale eolico del Monte Giogo di Villore, opporsi all’imposizione di lavori sbagliati nei presupposti e nella realizzazione, all’arroganza di chi l’impone, di chi li propone, più per interesse privato che per fornire un servizio al territorio, sono i passi fondamentali da compiere per tornare ad essere cittadini liberi, attivi e consapevoli.

il Barone rampante, di cui ricorre il centenario, concludiamo dicendo: Libertà è star sull’albero a cantar e partecipare, controllare e difendere, sempre presidiare e agire per la tutela e il rispetto dei territori, dei paesaggi e dell’ambiente.

CTCM   Comitato Tutela Crinale Mugellano

LA MOSTRA FOTOGRAFICA SUI DANNI AMBIENTALI NELL’ALTO MUGELLO

Nella cover: il sentiero sul crinale mugellano dell’Appennino Tosco-Emiliano

Parole e figure /
Una casetta piccola piccola

Una casetta in mezzo al bosco, due fratellini curiosi. La casa editrice “L’ippocampo” presenta “La casetta piccola piccola” dei francesi Escoffier e Perrin. Perché anche i più piccoli hanno il loro posto e ruolo nel mondo.

Il 2023 segna un traguardo importante per la casa editrice milanese “L’Ippocampo”: il ventesimo anno di età. Fondata nel 2003 da Patrick e Giuliana Le Noël, questa interessante casa editrice indipendente è oggi leader nel settore dei libri illustrati per adulti e ragazzi e si distingue per la cura rivolta all’estetica e alla veste grafica dei suoi volumi. Tutto ha inizio con un pranzo di famiglia in riva al mare, a Genova, si legge nella presentazione della stessa casa editrice, durante il quale si decide il nome, L’ippocampo, e il logo con cui iniziare questo lungo viaggio che porterà il cavalluccio a prendere velocemente il largo, stimolando la curiosità dei più piccoli (ma anche dei più grandi) ed educando i loro occhi alla bellezza. Nel tempo l’evoluzione è importante.

Da poco in libreria, oggi siamo incuriositi da un titolo: “La casetta piccola piccola”, di Michael Escoffier, illustrato da Clotilde Perrin, entrambi francesi, con la delicatezza e l’eleganza di cui i francesi sanno essere maestri. I testi sono scritti con una bella calligrafia in corsivo. Sembra intarsiata su un legno delicato, ricamata.

Abbiamo recentemente recensito “Rododendro”, di Davide Calì e Marco Peschetta, la storia di Giacomino che, rimpicciolendo, vede tutto da altra prospettiva.

Il caso ci riporta ad altri esseri e oggetti piccolini, che, di punto in bianco, rimpiccoliscono.

Eccoci allora con Arsenio e Bartolomeo, due orsetti, fratelli inseparabili e dispettosi che si sentono i padroni assoluti del bosco e non si curano affatto di ciò che li circonda: amano rotolarsi tra i fiori selvatici, costruire trappole per i conigli e fare a gara a chi calpesta più lombrichi…

Dopotutto, chi mai potrebbe sfidare due orsi? Ma la foresta in cui sono cresciuti ha più di una sorpresa in serbo per loro…

Addentrandosi nel ricco bosco che li ha visti nascere e diventare un poco più grandi, i due fratellini vivaci e curiosi stanno per fare una strana scoperta: una casetta di legno con il tetto di muschio. Chi mai ci abiterà? Cosa succederà dietro quelle mura misteriose? Un occhiata rapida alla finestra, tutto tace. Eppure, dal camino esce un fil di fumo… Ma non si vede anima viva, nessuno, nulla. Silenzio.

Il giorno dopo, però, ecco comparire un bel pasticcino invitante e profumato di mele cotte, appena sfornato, che tentazione! Arsenio è talmente goloso che se lo pappa in un battibaleno… A Bartolomeo nulla, nemmeno una briciola. Ma d’un tratto Arsenio avverte uno strano formicolio e diventa piccolo piccolo, che zampette ha ora…

Una stregoneria? Una banale punizione per aver mangiato quel dolcetto? O un semplice avvertimento per fargli vedere ciò che, altrimenti, non si nota mai? Quatto quatto, di notte, il nostro (ormai) amico Arsenio si addentra nella foresta, nota un groviglio di rami e radici, gli sembra di essere osservato. Vede una civetta e, poi, ancora un pasticcino, ancora la gola, Di nuovo rimpicciolisce. Entrato nella casetta, davanti a lui tante cose: un lettino, un riposino, brutti sogni, il coniglio Rucolino dagli occhi chiari e un omino con il cappello rosso, un folletto che tira fuori un mazzetto di campanule azzurre. Semini magici che curano, che aiutano gli animali più piccoli in difficoltà. E allora Arsenio sale in groppa a Rucolino e, aggrappandosi alle sue orecchie, si parte veloci, ali al vento… Così scopre le farfalle, i ruscelli, i formicai, le lucertole, i lombrichi, i fili d’erba.

Ognuno ha il suo posto nel mondo, il suo ruolo, il suo momento, c’è davvero spazio per tutti. L’universo è grande, in fondo.

Quanto è importante che i più grandi rispettino i più piccoli!

Quante scoperte meravigliose!

 

Michael Escoffier, Clotilde Perrin, La casetta piccola piccola, L’Ippocampo, Milano, 2023, 80 p.

Sito L’Ippocampo edizioni

Sito Michael Escoffier

Sito Clotilde Perrin

 

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara.

Agricoltura biologica italiana ed europea:
crescita per tutti o marginalità per pochi?

Agricoltura biologica italiana ed europea: crescita per tutti o marginalità per pochi?

Serve un giusto prezzo del cibo e un giusto reddito per gli agricoltori. Bisogna garantire autonomia alle tre sfere di economia, diritto e cultura, in modo che nessuna si sottometta all’altra. L’economia deve basarsi sulla solidarietà, l’associazione dei cittadini deve essere trasversale alle categorie economiche. Si lavori per il bene del prossimo e il denaro più funzionale sia quello di donazione, con cui si finanzia il futuro, consapevoli che il denaro d’acquisto finanzia solo il passato, ormai prodotto. E’ ora che il biologico e il biodinamico siano un esempio. Che si rinunci allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sull’animale e l’ambiente”.

Così scrive il presidente dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica Carlo Triarico[1] in un breve intervento apparso sulla rivista Terra Nuova del mese di settembre nello speciale Cibo biologico per tutti: una sfida da vincere. “Il biologico e il biodinamico, continua Triarico, sono davanti a una scelta: essere un modello agroalimentare del futuro o diventare una commodity. Essere una risorsa di cibo e salute accessibile a tutti, o l’arricchimento di pochi. Per tanti anni in pochi hanno sostenuto l’agricoltura biologica e biodinamica. Le politiche UE iniziano ora a sostenere il biologico e stanno immettendo ingenti fondi. Ma attirano anche interessi e poteri che potrebbero cambiare per sempre in peggio anche l’anima del movimento biodinamico”.

Anche Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio[2], la Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica, esprime un pensiero in linea con quello di Triarico. In alcuni interventi e dichiarazioni in occasione del Salone Internazionale del Biologico e del Naturale (SANA) che si è svolto a Bologna dal 7 al 10 settembre scorso, la presidente ha avuto modo di ribadire e mettere in luce alcune questioni, a cominciare dall’obiettivo del 25% per il 2030, che la strategia Farm to Fork contenuta nel Piano d’Azione Europeo per l’agricoltura biologica sta perseguendo.

In un comunicato stampa apparso sul sito della Federazione a conclusione del Salone di Bologna, Mammuccini afferma che “in uno scenario positivo per il biologico, con una crescita degli operatori, delle superfici e delle vendite, emergono alcune criticità e sfide che il Piano d’azione per il biologico deve affrontare. In particolare, sarà fondamentale far crescere di pari passo le produzioni e i consumi che, oggi, stanno risentendo degli effetti dell’inflazione, del cambiamento climatico, che impatta su costi di produzione e rese, oltre che di un quadro generale di instabilità e volatilità. Auspichiamo che il Piano d’azione metta al centro i produttori agricoli affrontando nodi fondamentali quali il giusto prezzo, il marchio Made in Italy bio, il sostegno ai distretti bio e il supporto all’export. Infine, crediamo essenziale il supporto agli agricoltori con investimenti in ricerca, innovazione, formazione e servizi per contrastare il cambiamento climatico e andare verso l’affermazione dell’agroecologia”.

Un condensato di obiettivi e prospettive, ma anche la consapevolezza dei tanti problemi che il comparto presenta, causa anche la crescita, in alcuni momenti vertiginosa, dell’ultimo decennio.

E’ quindi il caso di vedere qualche numero. La SAU (Superficie Agricola Utilizzata) a biologico in Italia è rimasta pressoché invariata, dopo una forte crescita nella prima decade del secolo, assestandosi all’incirca sul milione di ha; poi dal 2012 è iniziata una crescita costante che l’ha portata a sfiorare i 2 milioni e mezzo di ha alla fine del 2022 (BIO in cifre 2023, a cura di SINAB, MASAF, ISMEA, CIHEAM Bari). Il numero complessivo degli operatori ha visto la stessa dinamica arrivando a superare le 90.000 unità.

Numeri importanti perciò. Allargando lo sguardo su quelli dell’agricoltura biologica a livello mondiale, specie per ciò che riguarda l’incidenza della superficie a bio sul totale, si osserva che, secondo quanto riportato in Bioreport 2021-2022, L’agricoltura biologica in Italia, a cura della Rete Rurale Nazionale 2014-2020, pur in presenza di un numero molto elevato di operatori le aree Africa e Asia (1.123.000 e 1.782.000 unità) incidono pochissimo sulle superfici dedicate al bio a livello planetario (0,2 e 0,4% rispettivamente).
L’area Oceania invece presenta la più vasta per estensione a bio (36 milioni di ha che incidono per il 9,7% sulla superficie totale) a fronte del più basso numero di operatori (“solo” 18.000). L’area Oceania risulta prima nel mondo seguita dall’Europa (3,6% di coltivato per 17,8 milioni di ha con 442.000 produttori). Scarso invece il contributo del Nord America (0,8% di superficie coltivata e 23.000 produttori) e una tendenza al ribasso nel biennio 2020/2021.
Relativamente ai paesi dell’Unione Europea (che contribuiscono mediamente con il 10,1% di SAU biologica), quelli che incidono maggiormente sono l’Austria, che, con il 26,1%, ha già superato l’obiettivo del Piano d’Azione Europeo, la Svezia (20,2%,), la Grecia (18,9%) e l’Italia con il 18,2, anche se dati più recenti evidenziano un 18,7%. La classifica degli ha coltivati a bio vede invece prima la Francia (2.777.000) seguita dalla Spagna (2.635.000), poi Italia (2.349.000), quindi Germania con 1.802.000 ha.

A livello italiano sono sei le regioni che hanno superato la soglia del 25% della superficie coltivata biologicamente con la Toscana che, a fine 2022, è diventata la prima regione come incidenza di SAU (con il 35,8%), seguita da Calabria, Sicilia, Marche, Basilicata e Lazio. La Puglia ha quasi raggiunto il target (24,9%), mentre l’Emilia Romagna con un 18,5% di incidenza deve ancora impegnarsi per raggiungere l’obiettivo europeo, anche se in termini di coltivazioni biologiche risulta quinta in Italia con 193.360 ettari. La precedono Sicilia (387.200 ha), poi Puglia, Toscana e Calabria, che assieme alla stessa Emilia Romagna rappresentano oltre il 50 % del bio nazionale.

Dati dell’Assessorato Agricoltura dell’ Emilia-Romagna riferiti al 2021 danno la provincia di Ferrara in testa come SAU, con 29.530 ha coltivati a biologico, prima di Parma e Bologna, ma solo quarta in termini di incidenza percentuale (16,6% sulla superficie complessiva dedicata) a bio, superata dalle province di Forlì-Cesena, Rimini, Parma e Reggio Emilia. Il ferrarese eccelle nei seminativi, nella coltivazione del riso e, tra le frutticole, nella produzione delle pere.

Il valore di mercato dei prodotti bio presenta, dopo un picco di quasi 4 miliardi di euro nel 2020, una riduzione, e, secondo le ultime elaborazioni su dati Nielsen, si assesta sui 3,66 Mld, con le vendite che raggiungono il 61,9% del totale nelle regioni del nord Italia, il 26,3% nelle regioni del centro, compresa la Sardegna, e il rimanente 11,8% nel sud. Il peso del mercato interno del biologico rispetto al totale del comparto agroalimentare italiano si aggira sul 3,6%, dato questo che mostra quanto ci sia da fare per la crescita del comparto dei prodotti biologici nel nostro paese.

La sintetica carrellata di dati illustrati ritengo sia necessaria per comprendere da un lato la portata del settore bio in Italia e dall’altro quale deve essere l’impegno che istituzioni, pubbliche e private, realtà associative degli agricoltori e operatori del settore, devono infondere per raggiungere gli obiettivi dell’UE (Strategia Farm to Fork[3]), ma anche per dare impulso a coltivazioni e allevamenti biologici per superare la soglia del 25% che, nell’attuale contesto, rischia di diventare una sorta di limite invalicabile o la giustificazione per non andare oltre, mentre rappresenta l’unica strada per una agricoltura realmente sostenibile.

La maggioranza delle azioni della Strategia UE non è certo da oggi che si tenta di sviluppare e promuovere. A mio parere è importante però che vi sia, a livello europeo, un progetto complessivo,[4] il quale affronti decisamente i vari aspetti della “questione” agro-alimentare, e che preveda impegni concreti da parte dei vari paesi aderenti all’UE.

Tra le tante problematiche di cui il settore soffre senza dubbio vi è quella relativa alla innovazione del sistema di certificazione, chiamato a dare risposte sia alle aziende che operano nel bio che ai consumatori che utilizzano i prodotti.

“Occorre una riforma all’insegna della semplificazione, della trasparenza e dell’innovazione tecnologica per adeguare il sistema di certificazione del biologico alle esigenze attuali”, afferma Paolo Carnemolla, segretario generale di FederBio, che ribadisce la necessità di “essere in linea con il nuovo quadro normativo europeo in materia di controlli”, ricordando recentemente l’iniziativa del sottosegretario al Masaf Luigi D’Eramo che, insieme ai presidenti delle Commissioni agricoltura del Senato e della Camera, ha avviato un momento di confronto sulla riforma del sistema di certificazione dei prodotti biologici con le organizzazioni di rappresentanza del settore allo scopo di analizzare lo schema di Decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso agosto, che sta iniziando l’iter di discussione in conferenza Stato Regioni e nelle Commissioni parlamentari.
Da parte di FederBio, ricorda Carnemolla, è stata ribadita la “necessità di una riforma coraggiosa in linea con il nuovo quadro normativo europeo in materia di controlli”. Questo perché risulta “fondamentale riorganizzare l’intero funzionamento del sistema di certificazione, utilizzando le tecnologie informatiche per un’operatività e un coordinamento effettivo ed efficace di tutti gli attori pubblici e privati”, anche per puntare a una reale semplificazione e riduzione di costi per gli operatori”.

In linea con tutto ciò, ma anche per allargare le prospettive al mondo agricolo nel suo complesso, vanno lette le dichiarazioni della presidente Mammuccini poco prima di SANA 2023, che auspica un confronto tra chi opera nel mondo del biologico e “una presa di posizione comune, un cambiamento necessario che generi valore per tutti gli attori della filiera a vantaggio dell’intero sistema”. E’ necessario, dice la presidente di FederBio, “ragionare insieme (associazioni, rappresentanti del settore e governo), per mettere in campo tutti gli strumenti volti a dare un contributo strategico in termini di politica e innovazione”, per raggiungere gli obiettivi prefissati. Cruciale diventa “dare attuazione alla legge sul biologico e andare avanti con l’approvazione del Piano d’azione nazionale per il biologico”, ma altrettanto importante affrontare il tema dell’agro-ecologia, in quanto “l’impatto del cambiamento climatico sulle realtà che operano nel bio, e non solo, impone un investimento comune importante, in grado di avere un effetto reale nel medio-lungo termine”. Per questo “il Piano d’azione è fondamentale anche per attuare investimenti strategici a sostegno dei produttori agricoli in termini di assistenza tecnica, formazione, ricerca e trasferimento d’innovazione, e per affrontare in maniera adeguata tutte le conseguenze del climate change”.

Nei vari incontri e dibattiti organizzati in ambito di SANA questi temi sono stati affrontati da svariati rappresentanti e operatori del mondo agricolo e del biologico, mettendo in luce le tante contraddizioni esistenti, a dimostrazione delle difficoltà sul cammino dello sviluppo di una agricoltura ecosostenibile. Tanti sarebbero gli interventi da citare. Mi limito, a conclusione dell’articolo, a riportare l’opinione della coalizione #CambiamoAgricoltura[5], organizzazione parte della campagna europea The Living Land nata per unire tutte le organizzazioni e le persone che pensano che l’attuale Politica agricola comune (Pac) sia in crisi e abbia bisogno di essere riformata.

Recentemente la coalizione ha chiesto alla Presidente dell’Unione Europea Ursula Von der Leyen di includere la pubblicazione della legge sui sistemi alimentari sostenibili nel suo discorso sullo stato dell’Unione. La lettera è stata firmata da 160 organizzazioni, tra cui diverse associazioni della Coalizione CambiamoAgricoltura, e personalità del mondo accademico in tutta Europa.

Infine, nell’incontro organizzato da Demeter Italia Più BIO per tutti, ce lo chiede l’Europa. Siamo pronti? – tenutosi a SANA, Franco Ferroni, dell’ufficio sostenibilità WWF e coordinatore della Coalizione CambiamoAgricoltura, a riprova delle difficoltà già citate in precedenza, ha espresso una posizione molto chiara nei confronti di Coldiretti, che, da un lato ha dato vita a inizio 2022 alla associazione Coldiretti Bio guidata dalla giovane imprenditrice agricola Maria Letizia Gardoni; dall’altro, a fine giugno scorso, per voce del suo presidente Ettore Prandini, ha dichiarato la propria opposizione alla proposta di legge europea sul ripristino della natura (Nature Restoration Law), affermando come “la scelta della Commissione Ambiente dell’europarlamento di respingere la proposta di legge per il ripristino della natura”, come richiesto da Coldiretti[6], “salva una filiera agroalimentare Made in Italy che vale oggi 580 miliardi”. Difficile non vi siano incoerenze in tali posizioni! Incoerenze che Ferroni nel corso dell’incontro ha colto sottolineando inoltre come le strategie “Farm to Fork” e Biodiversità 2030, presentati il 21 Maggio scorso a Bruxelles dalla Commissione Europea, siano il primo vero tentativo di politica agroalimentare integrata, un fatto positivo che si colloca al centro del Green Deal accogliendo il principio che alimentazione, ambiente, salute e agricoltura sono materie strettamente connesse, e che “i sistemi alimentari devono urgentemente diventare sostenibili e operare entro i limiti ecologici del pianeta”.

Note: 

[1] Carlo Triarico è autore assieme ad Alessandro Piccolo, Nadia El-Hage Scialabba e Sabrina Menestrina al saggio L’insopportabile efficacia dell’agricoltura biodinamica, Ed. Terranuova Agricoltura, 2022.

[2] FederBio è la federazione nazionale nata nel 1992, per iniziativa di organizzazioni di tutta la filiera dell’agricoltura biologica e biodinamica, con l’obiettivo di tutelarne e favorirne lo sviluppo. FederBio socia di Ifoam e Accredia, l’ente italiano per l’accreditamento degli Organismi di certificazione, è riconosciuta quale rappresentanza istituzionale di settore nell’ambito di tavoli nazionali e regionali.

[3] https://www.consilium.europa.eu/it/policies/from-farm-to-fork/

Escludendo la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare e la sicurezza sanitaria degli alimenti, che vanno comunque e sempre garantite, i principali obiettivi della strategia dal “produttore al consumatore” sono, oltre all’aumento della superficie di terreni destinati all’agricoltura biologica, la riduzione del 50% dell’uso di pesticidi e fertilizzanti, il miglioramento del benessere degli animali, le attività di promozione per un consumo e regimi alimentari più sani e sostenibili, la lotta contro le frodi alimentari e la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari.

[4] https://www.consilium.europa.eu/it/policies/green-deal/

La Commissione europea mira a ridurre l’uso di pesticidi e fertilizzanti di almeno il 50% al 2030.

[5] A lanciare la campagna Living Land sono Birdlife Europe, European environmental bureau (Eeb) e Wwf Eu. In Italia #CambiamoAgricoltura è stata lanciata da un’ampia coalizione di Associazioni ambientaliste e dell’Agricoltura biologica e biodinamica: Associazione Medici per l’ambiente, Aiab, Associazione agricoltura biodinamica, Fai, Federbio, Legambiente, Lipu, Pronatura e Wwf.

[6] Per non dire del patto societario stretto nel 2020 tra Coldiretti e Bonifiche Ferraresi, mega azienda agricola quotata in borsa di quasi 8.000 ha e migliaia di capi di bestiame con sede nel ferrarese, che Altreconomia descrive approfonditamente nel numero dello scorso Novembre (https://altreconomia.it/inchiesta-su-bf-il-vero-sovrano-dellagricoltura-industriale-italiana/).

IL GRANDE BLUFF
I numeri affondano la propaganda della Giunta Fabbri

IL GRANDE BLUFF. I numeri affondano la propaganda della Giunta Fabbri. La 33ª indagine sulla Qualità della vita del Sole 24 ore certifica per il 2022 un arretramento  di Ferrara in tutti i settori: dalla sicurezza, all’ambiente, all’economia, alla cultura. Oggi, la propaganda rischia di essere l’unico ingrediente delle prossime elezioni amministrative. Le liste e i candidati che si presenteranno devono invece parlare chiaro e indicare obiettivi precisi e verificabili su cui impegnarsi.

Le nude cifre, le percentuali, le classifiche,  le indagini statistiche non dicono tutto. Ma qualcosa dicono. Soprattutto se i numeri sono quelli del Sole 24 ore, la cui serietà ed autorevolezza, nessuno mette in dubbio, in Italia e all’estero, a destra come a sinistra. L’ultima indagine annuale del Sole 2023 (con i dati dell’anno 2022) sulla “Qualità della vita in Italia” è quindi un punto di riferimento certo e non contestabile. Dietro all’Indagine, quest’anno alla 33esima edizione c’è infatti dietro un team di tecnici e di esperti e un lavoro approfondito su una pluralità di indicatori e di dati da censire, misurare, incrociare.

Se poi, come succede per i dati che riguardano Ferrara, i segni meno si ripetono e la perdita di posizioni in classifica è generalizzata, abbiamo la prova della decadenza della nostra città. Una decadenza che parte da abbastanza lontano, ma che negli ultimi anni assomiglia a un tracollo e certifica il totale fallimento delle politiche della maggioranza che ha governato Ferrara negli ultimi 4 anni e mezzo. 

Nell’ampia indagine del Sole 24 ore la performance 2022 di Ferrara, la sua posizione in classifica (confrontata con le altre 106 province italiane) è in discesa costante. Ferrara perde posizioni, cioè peggiora, in tutti i comparti: dalla sicurezza, all’ambiente, all’economia, alla cultura.

La giunta Fabbri-Naomo si è sempre distinta per un uso spregiudicato, spesso anche efficace, dell’arma della propaganda: nei social, sui giornali amici, nelle foto ricordo davanti ai nuovi cancelli, nei cartelloni sui muri e naturalmente in Consiglio Comunale, che è giusto mettere per ultimo, perché il massimo organo della democrazia cittadina è stato usato dal sindaco e dalla sua maggioranza solo come cassa di risonanza.  In queste ultime settimane,  in vista della prossima campagna elettorale, la propaganda si è intensificata e promette  di diventare ossessiva nei mesi che ci dividono dalle elezioni.

Cominciamo dalla Classifica Generale, quella sulla Qualità della vita, che riassume i dati raccolti in tutti i settori.  Nel 2022 sul podio ci sono Bologna (al primo posto), seguita da Bolzano e da Firenze. Nella classifica Ferrara (ritardi storici e problemi recenti) non ha mai brillato. Nel 2021 occupava mestamente il 45esimo posto,  ma nel 2022 Ferrara va ancora più giù e si piazza al 51esimo posto. Nel 2021 eravamo al numero 45, e nel 2020 al numero 34. Forse ho sbagliato a chiamarla “decadenza”, la Ferrara della Destra è in caduta libera.

Nel fallimento generale, provo a cercare almeno un dato in controtendenza. E visto che la piatta Ferrara si è guadagnata il titolo di “città della bicicletta”, come siamo messi a piste ciclabili? 
Ebbene, nel 2022 Ferrara si presenta con meno di 21 metri lineari per abitante di piste ciclabili. Meno della metà di Reggio Emilia, (46 metri), e meno Cuneo, Lodi, Ravenna,  Brescia, Cosenza… Ferrara scende al 14esimo posto.
Recentemente, abbiamo visto una pista ridipinta con un rosso vivo. No comment. Fatto sta che l’impegno per aumentare il chilometraggio è stato del tutto assente. Assenti, o comunque non comunicati, anche i dati sui percorsi ciclabili più frequentati e quelli sulla “incidentalità” (cioè gli incidenti occorsi sulle piste ciclabili), due elementi indispensabili per programmare ed attuare una seria politica di mobilità urbana su due ruote.

Molto peggio se guardiamo ai dati su Ambiente e Servizi. Qui nel 2022 si registra un vero e proprio crollo: Ferrara si colloca al 53° posto, perdendo 29 posizioni rispetto all’anno precedente. Davanti a questo disastro, un cittadino qualsiasi, io per esempio,  potrebbe chiedersi: ma di che caspita si deve occupare una Giunta che governa una città, se non di migliorare i servizi per i cittadini e l’ambiente in cui vivono?

Il nostro Sindaco Alan Fabbri, e l’eminenza grigia, il presidente di Ferrara Arte Vittorio Sgarbi, si vantano di aver riportato a Ferrara la Cultura con la C maiuscola. Ecco, nel 2022 il risultato del settore Cultura e Turismo  perde 11 posizioni: 45° nel 2022 e 34° nel 2021.

Lo sappiamo, sull’Economia Ferrara accusa un ritardo storico, ma la classifica 2022 del settore Affari e Lavoro fa impressione. La nostra città invece di risollevarsi si inabissa, in classifica passa dal numero 53 dell’anno precedente al numero 88 del 2022. Come la SPAL , ormai lottiamo per retrocedere.

Criminalità, reati, rapine, spaccio di stupefacenti… Tutti ricordano, nel 2019, le marce, le scenette video, i proclami a muso duro di Naomo Lodi: “Ripuliremo Ferrara!”.  Insomma, ci voleva il pugno di ferro! Così  fu, ma dopo quasi 5 anni di governo, la maggioranza di Destra ci consegna oggi una Ferrara meno sicura e più impaurita. Di seguito i numeri nudi e crudi dell’Indagine per il 2022 del Sole 24 ore.
indice di criminalità – totale dei reati denunciati: Ferrara è al 91 posto
Rapine in pubblica via:
malissimo: 85esima posizione.
Furti con strappo:
aumentano gli scippi, siamo al numero 72
Furti in abitazione:
ancora peggio, in classifica Ferrara è 90esima
Riciclaggio: 89esima

Basta così, a forza di usare la matita rossa l’ho consumata. Chi avesse voglia e coraggio di approfondire. può leggere [Qui] tutta l’indagine. Sento invece il dovere di aggiungere solo due avvertenze per i lettori e cittadini/elettori.

La prima. Se la performance della Giunta attuale con le sue spettacolari scelte, inchiodata dalla dura realtà dei numeri,  merita un 3 in pagella, se volessimo andare indietro nel tempo di cinque, dieci, quindici anni, non troveremo certo una Ferrara rosa e fiori. Se la Giunta Fabbri/Naomo  è bocciata senza appello, le ultime 3 o 4 stanche Giunte di Centrosinistra hanno prodotto risultati perlomeno deludenti. O non li hanno prodotti per niente.

La seconda. Il consiglio è banale ma necessario, mai fidarsi della propaganda. Nei prossimi mesi, ne vedremo tantissima, da ogni parte politica. Se poi qualche lista, oltre a generiche buone intenzioni, avrà il coraggio di prendere degli impegni chiari e concreti e di indicare  gli obiettivi precisi e verificabili  da raggiungere, allora al nuovo Sindaco o Sindaca che sia, sarà bene pretendere ogni sei mesi “lo stato avanzamento lavori”.

Per leggere gli articoli di Francesco Monini su Periscopio clicca sul nome dell’autore

POESIA – FEMMINILE – PLURALE.
Terzo e ultimo appuntamento con la poesia dal vivo al circolo Arci San Lazzaro: 24 ottobre 2023

Tre appuntamenti di poesia dal vivo al circolo Arci San Lazzaro a cura di Ultimo Rosso

L’evento multiplo organizzato da Ultimo Rosso al Circolo ARCI San Lazzaro di Bologna, La rassegna di poesia dal vivo che si svilupperà su tre date: 26 settembre, 11 e 24 ottobre, sempre dalle dalle 18 alle 20. Una proposta tutta al femminile. Saranno infatti sette le poetesse che leggeranno le proprie liriche con un accompagnamento musicale.
Fino al 24 ottobre, in un locale attiguo, si potrà visitare la mostra “Parole Oltre lo Sguardo”, un felice connubio tra fotografia e Poesia.

Christine de Pisan, nata Cristina da Pizzano (Venezia, 1364 – Monastero di Poissy, 1430 circa), è stata una scrittrice e poetessa francese alla corte dei re di Francia.

Perché un progetto a Bologna? Per presentare e dare spazio e voce ad alcune poetesse bolognesi aderenti alla nostra Associazione Culturale Ultimo Rosso,
Del gruppo recitante fanno parte anche poetesse di Ferrara e una poetessa di Trecenta.
In questi tre incontri, poesia e musica procederanno incrociandosi
su lunghezze d’onda comuni con diversi musicisti che dialogheranno con le proposte poetiche.

POESIA – FEMMINILE – PLURALE

Programma della rassegna 

MARTEDI’ 26 SETTEMBRE

RITA BONETTI
Contributi musicali di: ANDREA MELLONI (chitarra) – GIORGIO RIBERTO (violoncello) – PIER LUIGI GUERRINI (percussioni)
Cantore: EMANUELE MARIA LANDI
ROBERTA LIPPARINI
Musiche: MARIO SBOARINA
Azione scenica: DANIELA MICIONI
Presentazione di PIER LUIGI GUERRINI

 

MERCOLEDI’ 11 OTTOBRE

ANNA RITA BOCCAFOGLI – MIRIAM BRUNI – ELENA VALLIN
Contributi musicali: GIAN PAOLO SAMBINI
Presentazione di PIER LUIGI GUERRINI

L’11 ottobre, in occasione del secondo incontro della rassegna, verrà presentato “Parole oltre lo sguardo”, il libro fresco di stampa che raccoglie le poesie e le foto della mostra. Il volume è curato da Monica “Moka” Zanon per Babi Editore.

 

MARTEDI’ 24 OTTOBRE

CECILIA BOLZANI e MARIA MANCINO
Contributi musicali di: ANDREA MELLONI (chitarra) – GIORGIO RIBERTO (violoncello) – PIER LUIGI GUERRINI (percussioni)
Presentazione di ROBERTO DALL’OLIO

Tutti gli incontri si svolgeranno dalle ore 18 alle ore 20.
Durante gli incontri saranno in vendita le opere dei poeti e poetesse intervenute.

Dal 21 settembre fino al 11 ottobre,  sarà anche possibile visitare la mostra “Parole oltre lo sguardo, realizzata dalla Associazione Ultimo Rosso in collaborazione con il gruppo di fotografi “I norsisti”. Un progetto stimolante, cui hanno partecipato un folto gruppo di artisti , che si mette in scena  il dialogo creativo e l’incrocio tra due arti, la Poesia e la Fotografia.

Pier Luigi Guerrini
Allestimento della mostra “Parole Oltre lo Sguardo”
Rita Bonetti

Collettivo Poetico Ultimo Rosso
I soci della Associazione vogliono qui ricordare la figura di Franco Fanizzi, infaticabile presidente del circolo Arci San Lazzaro

Cover: “Le signore della poesia”. Le riconoscete?

Israele ascolti la voce degli ebrei che si oppongono alla occupazione di Gaza.
Dice il padre di Noa Argamani, ostaggio di Hamas: «dopo quanto accaduto, facciamo la pace con i nostri vicini, a qualunque costo»

Dice il padre di Noa Argamani, ostaggio di Hamas: «dopo quanto accaduto, facciamo la pace con i nostri vicini, a qualunque costo».

“Restiamo umani”
(Vittorio Arrigoni)

Mentre scriviamo queste righe a proposito di quanto è avvenuto e sta avvenendo in Palestina e in Israele, e in particolare nel sud del Paese e nella Striscia di Gaza, lə nostrə attivistə sono impegnatə su diversi fronti. In Marocco, una nostra missione esplorativa ha attraversato il paese disastrato dal terremoto, portando aiuti alla popolazione civile e cercando di evitare gli ostacoli posti dal governo. In Ucraina, continuiamo a portare assistenza sanitaria di base e aiuti umanitari alla popolazione civile e allə rifugiatə di guerra stremati da quasi due anni di conflitto e di invasione russa. Nel Mediterraneo Centrale, la Mare Jonio ha soccorso negli ultimi giorni altre 116 persone che rischiavano di morire in mare per non arrendersi alle torture dei lager libici o alla violenza della polizia tunisina, a fame, guerra e miseria.

Basta? No, non basta mai. E soprattutto perché per noi “metterci in mare”, incontrare e allearci con quelle persone la cui forma di vita spesso non viene riconosciuta ma mortificata e negata, ha significato imparare a vedere diversamente, trovare un modo di nominare l’orrore del nostro presente e trasformare le nostre lotte per, a questo presente, non rassegnarsi mai.

Per lo stesso motivo vorremmo ora essere a Gaza, in Cisgiordania e in Israele, vorremmo essere con tutte le popolazioni civili, chi è sotto il lancio di missili, con chi è stato ed è obiettivo di violenze atroci, con chi è in fuga dalle bombe, con chi soffre assedio e ed espulsione forzata, per non smettere di vedere, come Mediterranea ha sempre fatto, prendendo una posizione.

Fare e vedere sono di nuovo le cose più difficili, eppure le uniche possibili. Riconoscere, prendere parola e agire, lo sforzo eticamente necessario a cui non vogliamo sottrarci.

Quello che abbiamo visto finora e a cui ci apprestiamo ad assistere è semplicemente orrore. Ma come nominare questo orrore che ci ha sorpreso, riconoscerlo nelle terribili declinazioni della sua attualità?

Vogliamo dire che la strage attuata il 7 ottobre da Hamas contro donne, uomini e bambinǝ israelianǝ non è un atto eroico, ma un attacco ignobile e crudele, un massacro pianificato e diretto contro la popolazione civile.
È un atto che indubbiamente attecchisce su un terreno preciso, quello della percezione di vita negata, mutilata, da parte di un’intera generazione di giovani palestinesi cresciutə con l’immagine dei loro genitori, dei loro fratelli e delle loro sorelle, uccisə barbaramente dall’esercito di Tel Aviv, un terreno però su cui non di meno i capi di Hamas hanno coltivato l’odio, la vendetta e il nichilismo funzionali alla propria ascesa politica e militare.

Di più, vogliamo dirlo senza rivolgerci al passato, perché sono le lezioni che abbiamo appreso da altrə compagnə che abbiamo incontrato nel mondo e in questi anni che ci spingono a rivolgere il nostro sguardo in avanti. È dalla lotta delle donne iraniane incarcerate e assassinate dal regime degli Ayatollah, dal Confederalismo Democratico sperimentato dal popolo curdo del Rojava, dal movimento transfemminista che dall’America Latina si è diffuso in tutto il mondo, che traiamo l’immaginazione di una politica a venire, l’insegnamento che un progetto antisemita, misogino e teocratico non possa essere compatibile con una lotta di liberazione e per l’eguaglianza radicale.

Vogliamo denunciare che nella prigione a cielo aperto che è la Striscia di Gaza, costruita negli anni come una gabbia per animali dai governi israeliani, si stanno consumando crimini di guerra, crimini contro l’umanità. Che bombardare civili e spesso le stesse carovane di abitanti a cui è stato ordinato lo sgombero forzato dalle proprie case, colpire indiscriminatamente abitazioni, ospedali, sedi di associazioni umanitarie, lasciare senza luce, cibo, acqua, oltre due milioni di persone che non possono scappare da nessuna parte, utilizzare armi micidiali come il fosforo bianco, è un abominio.

Vogliamo ricordare che la politica violenta e disumana del Governo Netanyahu è solo la punta dell’iceberg dell’occupazione israeliana che da decenni umilia e opprime il popolo palestinese. Lo stato israeliano, con la complicità degli altri stati regionali, e quindi spesso dei regimi arabi, e dell’Occidente priva il popolo palestinese dei suoi diritti, della pace e della sua terra da decenni. Che la violenza dei coloni armati in Cisgiordania ha raggiunto nell’ultimo anno livelli di brutalità e disumanità quasi inediti.

Noa Arbamani, 25 anni, è stata rapita durante l’attacco terroristico di Hamas al rave. dove furono uccisi oltre 250 ragazzi israeliani.

Dobbiamo riconoscere che lo statuto di democrazia liberale è utilizzato ipocritamente come lo schermo dietro al quale si perpetrano violazioni sistematiche dei principi più blandi del diritto internazionale, si diffonde la più tetra apatia burocratica che riduce la vita dellə oppressə – così come accade per chi viene respintə per mare o ad altre frontiere – a quella di “animali umani”, a mero calcolo demografico, attraverso l’esercizio di un terrore legalizzato, silenzioso e strisciante.

Vogliamo schierarci, mentre un coro unisono invoca il diritto di Israele a difendersi, con quella parte della società israeliana che si oppone all’occupazione dei territori e alla distruzione di Gaza oggi come alla vocazione autoritaria e alla deriva confessionale del proprio Stato fino a ieri, con gli Ebrei americani che occupano Capitol Hill, con il padre di Noa, ostaggio di Hamas, e dire con lui: «dopo quanto accaduto, facciamo la pace con i nostri vicini, a qualunque costo».

La guerra nel nome della vendetta è capace di ogni infamia.

Se uccidere unə bambinə per riparare il torto di unə altrə bambinə mortə sotto i bombardamenti è solo tenebre, la lucida e per nulla lungimirante ferocia della vendetta è l’alibi e l’ispirazione dei crimini commessi da Hamas come di quelli dell’esercito israeliano a Gaza, di fronte agli occhi del mondo. Una politica cieca e auto-distruttiva per lə abitanti di Palestina e Israele. Gideon Levy, Ruba Salih e moltə altrə hanno ben spiegato che l’occupazione, questa punizione collettiva per le Palestinesi, che da decenni i governi israeliani perpetrano, oltre che disumana è il miglior foraggio per il fondamentalismo e fermarla sarebbe l’unico antidoto alla spirale di violenza. E per Netanyahu, un leader corrotto, militarista e sostenuto dai settori più integralisti della società israeliana, sembra essere ormai l’unica opzione di sopravvivenza politica.

Non possiamo non rivolgere il nostro sguardo a chi vive oggi in quel fazzoletto di terra che si affaccia sul Mediterraneo, alla popolazione israeliana sotto la costante minaccia del terrore e alla popolazione della Striscia, che si appresta ad essere invasa e rasa al suolo; a quella terra contesa, spezzettata da muri e confini militarizzati; a quella regione del mondo martoriata da guerre. Non possiamo che pensare a queste persone, tenute in ostaggio dalla guerra, allə Israelianə innocenti sotto il governo Nethanyau, allǝ Palestinesi innocenti intrappolatǝ e agli ostaggi innocenti in mano ad Hamas.

Non esiste una alternativa, se non vogliamo morire come umanità, che non sia la ricerca e la costruzione della pace nella giustizia.
La giustizia che il popolo palestinese attende da 80 anni: la libertà di movimento, la possibilità di esercitare i propri diritti sociali e politici, di vivere in pace nella propria terra, premessa indispensabile per altrettanta sicurezza, libertà e godimento di eguali diritti da parte del popolo israeliano.

Non esiste alternativa alcuna, affinché ciò sia possibile, a quel primo passo che deve compiere Israele: mettere fine all’offensiva su Gaza e, in prospettiva, all’apartheid di cui da decenni è vittima il popolo palestinese e a un’occupazione coloniale e violenta, il cui prezzo continua a pagare la popolazione civile. Possa essere ascoltato il grido dellə Israeliani che chiedono di fare un passo verso la pace, rinunciando all’occupazione.

Fermare le bombe e i missili dal cielo e l’invasione da terra.

Liberare TUTTI gli ostaggi: lə oltre 250 civili rapitə il 7 Ottobre e i 2 milioni e mezzo assurdamente rinchiusə a Gaza e in Cisgiordania che devono avere la garanzia di poter vivere in dignità e libertà nella terra che abitano. Cessare le ostilità per aprire lo spazio della pace.

Faremo il possibile, in questa difficile situazione, affinché le parole di questo comunicato, possano essere anche dei fatti, sul campo, là dove bisogna essere.

Consiglio Direttivo
Mediterranea Saving Humans

Cover: Gli ostaggi israeliani ostaggi di Hamas sarebbero più di 100.

Per certi versi /
Una poesia bambina che grida

Una poesia bambina che grida

Grida questa poesia
Bambina
Grida per tutti i bambini
Sterminati
Tutti gli esseri
Umani
Cancellati
Poi ricorda
Ricorda a tutti
Che per secoli
Gli Ebrei
Sono stati
Perseguitati
Fino alla Shoah
Europei da Gibilterra
Agli Urali
Voi li avete accusati
Confinati
Sbattuti nei
Pogrom
Ricordate?
HANNO DIRITTO
DI VIVERE ?!
E poi poi
condannati
Ad essere gassati
Perché i nazisti
Fuggiti
Ovunque
Anche verso Oriente
L’hanno fatta franca?
Erano soli?
Gli Ebrei dove li mettevate
In Madagascar?
Vi ricordate?
La bambina grida
E i palestinesi?
Sì loro
I libanesi pure
Con gli inglesi
Sopra il capo?
Ah sì i protettorati
Ah sì la Terra promessa
Per gli israeliti
Ma quella terra
Era abitata
Anche da altri…
Strumenti
Di altri ancora
Sunniti
SciitiEcco Dio
Che rientra
Dalla finestra
Spalancata
Dai venti
Dell’odio
Ognuno col suo dio
Il dio terreno
Del denaro
Del petrolio
Armi armi
Armi e guerre
Sante
Fredde calde tiepide
Tutti sicuri
Vari Potenti
Nei vostri bunker! ….

Poi muore la gente
Lo sapete vero
Che è
Gente innocente?

Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

Con le teste che ci abbiamo …
Il concerto di Capossela è grande come un mondo

Con le teste che ci abbiamo. Il concerto di Vinicio Capossela 

Walter Benjamin, studiando il processo di estetizzazione della politica avvenuto in Germania nel periodo fra la caduta della Repubblica di Weimar e il trionfo del Nazismo, proponeva come antidoto la politicizzazione delle arti.

Vinicio Capossela, citando il filosofo tedesco, dice la stessa cosa in questo modo: Quando la politica diventa spettacolo, spesso incivile, allora lo spettacolo deve diventare politica, civile”.

“Con i tasti che ci abbiamo” è il titolo dello spettacolo che Capossela sta portando in giro per l’Italia, ed è anche l’ultima canzone eseguita nell’ottimo concerto che Capossela ha tenuto il 10 ottobre al Teatro Comunale di Ferrara.

Scrive Capossela sul suo sito: «I tasti del pianoforte, smontati e privati del loro compito diventano schegge di qualcosa che si è rotto, di un mondo fatto a pezzi come da un congegno che ti è esploso tra le mani. Con i tasti che abbiamo, ci siamo fatti infilzare senza che ne sia venuta beatitudine ma sono venute tredici canzoni, fastidiose e urgenti. Sono canzoni che non si sottraggono al tempo e che parlano da sé: affrontano i temi del pericolo e della grazia, che viviamo in dimensione collettiva, messi sul piatto e serviti con tasti rotti come posate. Pezzi di legno e smalto che a volte feriscono a volte carezzano, a volte grattano la schiena. Possono essere schegge, coltelli o amuleti, ma è comunque tutto quello che abbiamo per affrontare i mostri fuori e dentro di noi. Affrontarli insieme è meglio che affrontarli da soli”.

Con i tasti che abbiamo e … Con le teste che abbiamo: mi permetto di giocare con le parole nel titolo di questo articolo per sottolineare la convinzione che l’immaginazione sia la grande opportunità che abbiamo di trasformare i nostri limiti in possibilità.

Quello di Vinicio Capossela è stato un concerto spettacolare che ci ha aiutato ad ascoltare e ad ascoltarci.

È stato uno spettacolo meraviglioso di politica civile che ci ha emozionati, provocati, commossi e divertiti.

Non è un caso che la scaletta del suo spettacolo [1] fosse imperniata su brani stupendi, selezionati con cura fino a comporre un continuum coerente che potrebbe rappresentare un dizionario di quelli che dovrebbero essere i temi dell’attualità politica.

Oltre a canzoni scelte dal suo vasto repertorio, Capossela ha eseguito tutto l’ultimo album “Tredici canzoni urgenti”, nato dall’urgenza di interpretare e dare voce ai problemi più stringenti del momento storico che stiamo vivendo: la guerra, la violenza di genere, la cattiva educazione alle emozioni, l’abbandono scolastico, la delega da parte degli adulti all’intrattenimento digitale in cui versa l’infanzia, la cultura usata come mezzo di separazione sociale, il carcere inteso come reclusione senza rieducazione, il parossismo consumistico generato dal capitalismo predatorio.

Canzoni fatte apposta per invitarci ad un impegno collettivo, in un periodo in cui siamo sprofondati sul divano di fronte alla continua spettacolarizzazione della realtà. Un mondo in cui ogni cosa, compresa l’emozione, è stata domiciliarizzata e disincarnata sotto un velo che ha nascosto alla coscienza la preparazione della peggiore delle catastrofi: la guerra, con tutto il corollario della violenza, dell’avvelenamento, della semplificazione e della vanificazione di ogni sforzo culturale volto a costruire una comunità di uomini liberi e uguali”.

Vinicio Capossela con Ellade Bandini

Tutto il concerto è stato memorabile, gli arrangiamenti musicali hanno impreziosito le “coliche di immaginazione” di Capossela e le scenografie incantevoli le hanno contestualizzate.

Vorrei ricordare la versione fantastica del Cha cha chaf della pozzanghera, quella esuberante di Uomo vivo, quelle intense e commoventi di Minorità e de La crociata dei bambini, quella delicatissima de Il bene rifugio e quella strepitosa di All’una e trentacinque circa, impreziosita dalla bella partecipazione di Ellade Bandini alla batteria, artista ferrarese con una invidiabile carriera da turnista.

Il tour è appena iniziato, di date ce ne sono ancora 28 quindi, se siete nei paraggi di quelle località, vi consiglio vivamente di partecipare a quel rito collettivo che è un concerto di Vinicio Capossela.

Non è superfluo annotare che l’artista, oltre ad essere un ottimo musicista, è anche uno scrittore eclettico e prolifico ma è anche l’artista a cui i giornalisti musicali hanno consegnato più targhe Tenco per il miglior album [2] e la stessa targa per la migliore opera prima [3].

Note:

[1] Sul divano Occidentale, All you can eat, La parte del torto, Staffette in bicicletta, Bene rifugio, Parla piano, La cattiva educazione, Ballata del carcere di Reading, Minorità, Cha cha chaf della pozzanghera, La crociata dei bambini, Ariosto governatore, Gloria all’archibugio, Bardamù, I musicanti di Brema, Maraja, Che coss’è l’amor, Camminante, All’una e trentacinque circa, Tempo di regali, Uomo vivo, Con i tasti che ci abbiamo

[2] Nel 2001 con Canzoni a manovella, nel 2006 con Ovunque proteggi, nel 2011 con Marinai, profeti e balene, nel 2019 con Ballata per uomini e bestie e nel 2023 con il suo ultimo lavoro Tredici canzoni urgenti.

[3] All’una e trentacinque circa del 1991.

Cover e foto nel testo di Mauro Presini

Per leggere gli articoli di Mauro Presini su Periscopio clicca sul nome dell’autore

I partiti continuano a sbagliare, ma i cittadini sono molto più avanti di loro: l’alternativa alla Destra deve nascere dal basso, non da un tavolo.

Ogni giorno a rovistare nei giornali alla ricerca di qualche notizia, nella speranza che qualcosa sia cambiato, che si stia muovendo, perché manca poco, accidenti. Notizia che però non si trova mai, nessun cenno del disgelamento del ghiaccio, al dipanarsi della matassa. Come è possibile? Mancano solo 7 mesi per decidere se sarà un deja vu o una nuova visione di città: diversa da quello che c’è adesso, diversa anche da quello che c’era prima.

Domenica, dall’altra parte, serrano i ranghi, lo avete sentito? Hanno le assise e all’ordine del giorno anche il destino dei prossimi cinque anni qua a Ferrara, con collegamento con la premier, soprattutto, con le idee molto chiare.

Ci si immagina perciò dall’altra parte una tensione altrettanto grande, anzi di più considerato lo scarto da recuperare. Del resto Ferrara si è svegliata dall’indifferenza, i cittadini si sono autoconvocati e hanno portato avanti delle battaglie importanti in nome del bene comune e contro il prevalere dell’interesse particolare di certe lobby intrecciate al potere.

La società civile ha dato segno di grande maturità in questi mesi, grinta da vendere, idee molto chiare, fino ad arrivare a indicare una via ai partiti, che invece sono gli unici a non dare segni vitali, che vadano oltre la superficie e a un certo modo di fare politica vecchio e superato e che non vogliamo vedere più. I cittadini hanno dimostrato di essere molto più avanti dei partiti, lo capite? Siete rimasti indietro.

Cari partiti ma cosa state aspettando, si può sapere? Quanto tempo ancora dovremo leggere febbrilmente tutte le cronache locali per cogliere qualche vostro segnale?

Ve lo dobbiamo dire: ci sentiamo un po’ delusi e presi in giro. Perché sul fronte del 9 giugno ci sembra la stiate prendendo un po’ troppo sotto gamba. Oggi ci giochiamo il destino dei prossimi cinque anni, lo avete capito?
Ma la domanda più importante è questa: pensate di potere vincere il 9 giugno o l’avete già data persa? Perché, ve lo diciamo con sincerità, sembrerebbe proprio di no, che non ci crediate neanche voi: da quello che fate (e non fate), dalla flemma che ci state mettendo (un anno per scrivere un programma, che ancora non c’è), dal giochetto di dire di volere un candidato civico solo per sembrare più disponibili e democratici, candidato che però vi scegliete voi, da soli, senza ascoltare la voce di noi cittadini.

Una via vi è stata indicata. Mettersi tutti intorno a un tavolo, partiti e società civile, per fare (in tempi stretti) un programma davvero condiviso e scegliere un candidato che davvero lo rappresenti. Quanto dobbiamo aspettare ancora? Lo capite che, senza di noi, non si vince?

Noi siamo pronti. Voi?

Rivogliamo il Parco: com’era prima!

Rivogliamo il Parco: com’era prima!

Presidio riuscito in Via Mozzoni: c’erano i residenti, Caldirolo libera, La voce degli alberi, la stampa, alcuni politici e la pioggia clemente si è fermata dalle 17, 30 alle 18,30.
Proprio in questi giorni è stata istituita dal Consiglio Comunale una commissione informativa, affinché tutti i consiglieri possano accedere agli atti di questa intricata vicenda.
Auguriamoci che la politica risolva questo illecito amministrativo che dura da decenni e restituire l’area del Parco Urbano G.Bassani come spazio verde pubblico🌳

Gli organizzatori

Presto di mattina /
Un sogno impossibile, o quasi

Presto di mattina. Un sogno impossibile, o quasi

Un sogno impossibile

«Vi racconto il mio sogno impossibile: diventare un libro», è il titolo di un articolo di Luigi Sampietro (1943-2023) scelto dalla redazione (Stefano Salis) del Domenicale de Il Sole 24 Ore, (23 luglio 2023, n. 201, VIII) per ricordare l’amico e il collaboratore scomparso, uno scrittore capace di «leggere capire e narrare con stile d’umiltà».

È stato per una vita, trent’anni, colonna portante del Domenicale, docente di Letteratura americana presso la Statale di Milano, traduttore e scrittore, ma soprattutto, come egli amava definirsi, “lettore di professione”. Il suo libro La Passione per la letteratura edito da Nino Aragno, (Torino 2017) riunisce circa centocinquanta dei sui articoli su “Il Sole.

Del resto – come affermava Thomas Carlyle ricordato dallo stesso Sampietro in un’intervista per la presentazione del libro – «la storia universale è un infinito libro sacro che tutti gli uomini scrivono e leggono e cercano di capire, e nel quale sono scritti anch’essi».

Questo desiderio di voler divenire un libro – ricorda Stefano Salis – esprime l’autenticità e l’intensità del suo essersi messo a servizio della letteratura per svelare nei libri, come in uno scrigno, un tesoro di verità e di realtà declinanti la condizione e l’avventura umana nelle sue pluriformi e infinite espressioni.

Il sogno impossibile di Sampietro, aggiunge Stefano Salis, affiora «da piccoli dettagli: dall’episodio dello zio che si ferma a raccontargli le storie, dal suo desiderio di reincarnarsi in un libro, dalla passione e dalla forza, dalla precisione e dall’arguzia che usa per parlare dei libri» (ivi, 9).

Tutto ciò rivela in Luigi Sampietro la consapevolezza che, per un umanista, il vero fine dell’attività e della critica letteraria sono la comunicazione con i lettori. Un’attività che richiede uno specifico impegno etico, il sentire della sua stessa interiorità: «la critica prepara il testo di un libro all’incontro con il suo destinatario, che corrisponde a un incontro tra due persone. Un incontro spirituale» (ivi, XVI).

Nei panni di un libro

Nei panni di un libro, così muta il titolo dell’articolo del 2005 del Domenicale nell’ampio volume di ben 775 pagine La passione della letteratura. Un articolo posto non a caso alla fine, a mo’ di post-scriptum: «mi chiedo se il mio destino non possa essere quello di invertire a un certo punto le parti e diventare un libro. Per vedere l’effetto che fa» (ivi, 747).

Ma poiché c’è libro e libro bisogna trovare quello giusto; che certamente per Sampietro non è un romanzo. Piuttosto, potrebbe assomigliare a uno di quelli che si possono aprire a caso, a spizzico, e saltando di qua e di là trovi sempre un interlocutore, come un vero amico che anche quando lo rivedi dopo molto tempo è come se l’avessi incontrato il giorno prima.

Forse si diventa un libro, ci si mette nei suoi panni, solo provando a scriverlo, incalza il nostro. Ma di che genere dovrebbe essere, egli si domanda. Certamente non un volume accademico, contenente dati ed informazioni e destinato ad essere presto dimenticato, perché superato da nuovi dati e informazioni. Ma neppure un libro di memorie, in quanto Sampietro dichiara di non aver nulla da raccontare. Forse allora una raccolta di saggi come i grandi autori; ma il rischio è quello di partorire solo pensierini, come quelli scritti sui quaderni a righe delle elementari.

Nei panni di un libro: come una specie di viaggio al culmine della coscienza, dove finalmente si distingue tra il grano e la zizzania. Ma non dovrà essere un libro confessione, no, no. Semmai deve rivelare ciò in cui si crede e si continua a credere, e non una volta, ma lungo tutta l’erranza della vita, in continuità con le parole che si sono lette e scritte, provando e riprovando a ricomporle, a scambiarle di posto, a sovrascriverle anche, fino a mostrare un’immagine, un volto, quello interiore e più profondo di sé:

«un libro che contenga la “quinta essenza”, ciò che rimane di noi, una volta passata la frontiera. Che non è necessariamente quella dell’aldilà, ma di un luogo in cui, come il grano dal loglio, si distinguono le cose futili da quelle che contano. Insomma un libro che mi riveli quello che penso: non per frammenti ma in maniera sostenuta e continua. Perché è nell’atto del mettere insieme le parole, provando e riprovando finché non corrispondono a una immagine interna, che si può scoprire ciò in cui si crede. I pensieri, come i sogni, posano sul fondo di noi stessi: non si costruiscono: si possono solo ricostruire. E un libro non è fatto del sogno di un giorno ma di ciò che la mente ha rielaborato nel tempo» (ivi, 748).

“Tendono alla chiarità le cose oscure”

Ho pensato così anch’io, meditando quest’ultimo pensiero del nostro, che la quinta essenza di un libro sia allora la parola stessa in gestazione. E il sogno, che è il silenzio dell’Assoluto in noi, si compone di parole che non si inventano indicando piuttosto un itinerario verso un altrove; parole che riceviamo da altri ed esse si posano sul fondo della coscienza come in un concepimento.

Queste poi crescono nella pagina, “la nuda e cruda parola scritta”: raccolta «in quello scrigno che è il volume cartaceo (e, oggi, il lettore di e-book), le parole rimangono ferme e sono i nostri occhi e il nostro pensiero a doverle inseguire nello spazio bianco della pagina. La quale, a sua volta, rappresenta il silenzio dell’assoluto da cui emergono» (ivi, 104).

Di più. Quel che pensa il nostro autore circa l’essenza che un libro deve contenere, sembra essere proprio la parola poetica capace di mostrare il chiarore del mistero delle cose e delle parole nell’attimo stesso del loro svanire; un itinerario sotterraneo che porta al loro compiersi.

Così scrive: l’essenza è «quel che ho in mente, pensando a Montale (“Tendono alla chiarità le cose oscure,/ si esauriscono i corpi in un fluire/ di tinte: queste in musiche. Svanire/ è dunque la ventura delle venture”); è una sorta di viaggio au bout de la conscience» (ivi, 748).

Forse il sogno impossibile di divenire un libro è reso possibile dalla poesia, perché nasce dal desiderio di offrire ai lettori un gesto di ringraziamento attraverso un’espressione di stupore. Il desiderio di fare dono di qualcosa che è dentro l’esistenza stessa ma anche oltre colui che scrive: il suo stesso stupore, l’incanto vissuto che celebra il mistero delle cose.

In un articolo del 2014 Sampietro scrive: «Ritrovo in un mare di vecchie carte il testo di un’intervista che rileggo. Sono le parole conclusive di un ancora giovane Walcott, qualche anno prima del Nobel, che, a un professorino in pellegrinaggio a casa sua a Boston, rivela l’arcano:

«La poesia? Credo che la si possa intendere come un atto di commemorazione. Un gesto di ringraziamento. E anche come un’espressione di stupore. La grande, grandissima poesia, poi, si colloca al di là dell’idea della morte. Di sicuro è qualcosa che va oltre la vita di chi la scrive. E per sua natura, per il fatto che è costruita sul ritmo la poesia è incantagione – incantesimo – e in quanto incantesimo è celebrazione».

«E che cosa celebra? Il mistero delle cose. Lo sconcerto, forse; forse addirittura lo stordimento. Ma al di là di tutto è allo stupore, alla capacità di stupirsi davanti alla realtà, che la poesia rende omaggio. Credo anche che quella del poeta sia un’occupazione che abbia qualcosa di sacro» (ivi, 554).

«Tua strada è poesia, la tua mèta è al di là della poesia»

Anche nel libro di Hermann Broch La morte di Virgilio la poesia genera una itineranza che porta altrove: «La mèta era al di là dell’oscurità, era al di là dei campi del passato custoditi dalle madri» (Feltrinelli, Milano 2016, 77).

«Svanire è la ventura» ci ha appena ricordato Montale, e in questo svanire, fluendo di colori e di questi in musiche, nell’esaurirsi infine anche della parola detta o scritta, chiusa e ferma nello scrigno del libro, da lì, abisso di silenzio, «vapora la vita quale essenza» – è ancora Montale.

Quasi a ricordare, almeno a me, itinerante nel cono di luce del Vangelo, quella buona ventura che è pure esemplarmente il concepimento e l’itineranza della Parola che si fa carne; del suo svuotarsi e farsi accogliente anche al vuoto della morte; kenosis della parola e suo abbassamento dentro l’umanità, fin nel fondo dei suoi scarti crocifissi.

E poi, principiare oltre, dissigillando la pietra, come voltando una pagina, riprendendo il cammino attraverso le pagine di un libro quadriforme, ad ogni pagina una piccola sosta, un respiro ampio, là dove più intensamente vapora lo spirito del Maestro. Un libro che ancor oggi chiede di esser riscritto con la vita, come un corpo scritto fuori e dentro il proprio corpo; di più: un corpo a corpo con la parola letta e riscritta, che può divenire, come la Bibbia, il corpus delle scritture in noi.

Sono debitore di questi pensieri alla ruminazione in me di alcuni frammenti di poesia di Emily Dickinson, come le briciole di quel pane della parabola evangelica che la donna Cananea rivendicava per sé e per sua figlia, fuori di sé dal male. Parole insieme avvolgenti e perforanti le sue, che trasformano le ruvide e oppositive parole rivoltele dal Maestro in parole di stupita ammirazione e gratitudine, che aprono Gesù stesso alla missione oltre i confini del suo popolo verso gli altri popoli: «Donna davvero grande è la tua fede. Avvenga secondo la tua parola».

Una parola muore
appena è detta
dice qualcuno –
Io dico che comincia
appena a vivere
quel giorno.
(Tutte le poesie, a cura di G. Ierolli, J1212 (1872) / F278 (1862).

E per Giuseppe Ungaretti il mondo, l’umanità, la sua stessa vita fioriscono dalla parola rinascente; quella affiorata dal silenzio, appena nata, scava un abisso nella vita del poeta, e questo uscir dal solco (delirante fermento), oh meraviglia: è poesia.

Poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
(Tutte le poesie, 58)

Nei panni di un libro vivente

L’apostolo Paolo scrivendo ai cristiani di Corinto ricorda loro che essi sono diventati, in ragione della sua predicazione, una sua lettera vivente: «La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani» (2Cor 3, 2-3)

Così pure il dimorare del discepolo nella parola del Maestro è come rivestirsi delle sue parole vive, una chiamata anche oggi a metterci nei panni di quel libro vivente che è il vangelo. «Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente». (Col 3, 12-17)

Il sogno cui ambire non è appena quello di diventare un libro, ma semmai è azzardare a divenire un’intera biblioteca. Così la pensa san Girolamo quando scrisse del suo discepolo Nepoziano che «con la lettura assidua e la meditazione costante aveva fatto del suo cuore una biblioteca di Cristo» (Ep. 60,10: CSEL 54, 561).

A nostro incoraggiamento di novizi merita infine rileggere un passo della vita di santa Teresa d’Avila scritta da lei medesima: «Quando si proibì la lettura di molti libri in lingua volgare, io ne soffrii molto, perché la lettura di alcuni mi procurava gioia, e non potendo ormai più leggere perché quelli permessi erano in latino, il Signore mi disse: “Non darti pena, perché io ti darò un libro vivente”» (Libro della Vita, 26).

Una manciata di fango che diventa luce

Come nasce un uomo nell’amore così nasce un libro vivente dentro di lui: «E il Signore Dio formò l’uomo dal fango della terra e gli ispirò in faccia il soffio della vita e l’uomo divenne persona vivente» (Gn 2, 7).

E così nascono i libri, nell’amore, e così nascono
i libri che nessuno legge mai, e così il
libro prima di nascere Dio lo deposita in te
come una manciata di fango che diventa luce.
Domandano tutti come si fa a scrivere un
libro: si va vicino a Dio e gli si dice: feconda
la mia mente, mettiti nel mio cuore e portami
via dagli altri, rapiscimi.
Così nascono i libri, così nascono i poeti.
(Alda Merini, Corpo d’amore. Un incontro con Gesù, Frassinelli, Milano 23001, 81).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

Ferrara. Petrolchimico, innovazione e ricerca.
Uno sviluppo sostenibile si realizza insieme

Ferrara. Petrolchimico, innovazione e ricerca. Uno sviluppo sostenibile si realizza insieme

Da diversi anni lo sviluppo della provincia di Ferrara, a partire dal Comune capoluogo, sembra avere come scelta di fondo l’adattamento ad un declino sempre più accentuato, soprattutto in confronto al resto della Regione.

L’attuale Amministrazione della città sembra finalizzare in particolare lo sviluppo verso il commercio, la ristorazione, gli spettacoli, gli eventi, ecc., come diretta fonte di guadagno per gli addetti e svago temporaneo per i cittadini, con la cultura mordi e fuggi e la mega-programmazione musicale in “piazza”, senza avere una visione di lungo periodo.

La stessa Università sembra essere apprezzata  soprattutto per il valore aggiunto arrecato dai 28.000 studenti, di cui il 45%  fuori sede, grazie agli introiti per i fornitori dei vari servizi, che superano i 90 milioni di Euro, a partire dagli alloggi, la ristorazione, gli spettacoli, ecc.

Poco più di un anno fa, appena nominato, il presidente provinciale dell’Ascom,  in sede di presentazione, confidò l’importanza strategica che riveste l’Università di Ferrara per la città, con una espressione molto significativa:

«Unife – disse in modo esplicito – è tanta roba».

Impossibile contraddirlo.

Io credo che non sia questa la scelta giusta per la nostra città, soprattutto tenendo conto delle potenzialità che ha il nostro territorio e i rischi di un decadimento che si presenta davanti agli occhi, se non si punta a progetti di lungo periodo con il supporto dell’Università e delle competenze presenti nel territorio.

È l’innovazione che, traguardando nel lungo periodo, assicura lo sviluppo ed esalta le potenzialità, mentre vivere di episodi rischia di drogare l’ambiente e, senza sbocchi, creare frustrazione, anche in chi vorrebbe impegnarsi.

L’Innovazione è sostenuta dalla Ricerca e ne è un esempio evidente l’assegnazione nei giorni scorsi del Premio Nobel per la medicina alla ungherese Katalin Karikò e all’americano Drew Weissman, grazie alla messa a punto del vaccino anti Covid 19; è un risultato ottenuto grazie all’impegno di tanti altri colleghi che si sono impegnati per decenni, senza arrendersi mai, valorizzando anche gli errori, con tenacia e umiltà, doti fondamentali dei Ricercatori.

E per quanto riguarda l’innovazione faccio riferimento al nostro Petrolchimico, che da circa 80 anni ha assicurato benessere a decine di migliaia di famiglie ferraresi e non solo e all’interno del quale sono stati ottenuti eccezionali risultati scientifici e industriali, a partire dalla plastica, nata a Ferrara.

Il polipropilene in particolare, fiore all’occhiello della Ricerca italiana e ferrarese, è un materiale fondamentale per l’umanità soprattutto nella sanità, nell’imballaggio, nell’automotive, nell’edilizia, ecc.

Di plastica se ne producono circa 400 milioni di tonnellate ogni anno, in tutto il mondo, pari a un cubo di lato 800 metri, in grande parte dopo l’uso, passate negli inceneritori, nelle discariche o disperse nell’ambiente.

In Italia si mettono a rifiuto 3.000.000 ton all’anno di plastica, di cui 900.000 ton costituite da polipropilene e polietilene, le plastiche di cui il Petrolchimico di Ferrara è il massimo detentore delle conoscenze.

Le materie plastiche (rifiuto) bruciate, o comunque disperse, rappresentano, oltre che un grave problema ambientale anche una incredibile distruzione di ricchezza, che non può permettersi il nostro Paese che importa il 93% del petrolio di cui ha bisogno.

A Ferrara è in atto un fenomenale percorso innovativo presso il centro Ricerche Giulio Natta, purtroppo però i risultati di tale percorso avranno ricadute industriali non da noi ma in Germania e negli Stati Uniti, anche a causa di alcune scelte produttive che stanno avendo potenziali effetti disastrosi, come la fermata del cracher di Porto Marghera.

L’innovazione di cui parlo, il progetto MoReTech con il processo molecolare, potrebbe caratterizzare un’epoca, in quanto permette di riciclare la plastica a fine vita, ossia la plastica rifiuto, con effetti positivi dal punto di vista ambientale, occupazionale, economico, scientifico.

A livello nazionale, solo per il trattamento dei manufatti di plastica (rifiuto) di polipropilene e polietilene, sarebbero necessarie almeno 7 – 8 di linee di riciclo molecolare da 125.000 ton all’anno, con a valle un cracker nel nord (a Porto Marghera) e con un cracker nel sud (in Sicilia), possibilmente sostenuti da fonti energetiche rinnovabili, per l’ottenimento del propilene e dell’etilene, per fare altra plastica senza avere bisogno del petrolio.

Ora questa importante ricchezza industriale, il Petrolchimico, la più grande nel nostro territorio, con un prestigioso Centro Ricerche di livello mondiale, rischia di decadere trascinandosi dietro il decadimento di tutta l’area ferrarese, se non prosegue nel percorso dell’innovazione.

Il Petrolchimico potrebbe trovare nel riciclo integrale della plastica il suo futuro e quello del territorio che lo contiene e mai come ora è possibile realizzare tale prospettiva, in quanto esiste la disponibilità di tecnologie efficaci, competenze diffuse, sensibilità positive.

Perchè non si muove nulla a Ferrara in questa direzione ?

Il progetto di efficientamento energetico del Petrolchimico, pubblicizzato nei mesi scorsi, è una buona cosa, ma non ha nulla a che vedere con l’innovazione strategica che può garantire sviluppo per i prossimi decenni.

Questo è quanto si realizzò negli anni ‘80 con i fenomenali breakthrough del processo Spheripol, caratterizzato da notevoli risparmi energetici ed enormi vantaggi ecologici, seguito alcuni anni dopo dal processo Catalloy, processi inventati a Ferrara e applicati in oltre cento linee produttive in tutto il mondo.

Chi ha inventato la lampadina ad incandescenza non aveva come obiettivo quello di migliorare l’efficienza delle candele di cera, praticamente scomparse con l’invenzione strategica dell’americano Edison e dell’italiano Cruto, che hanno puntato a innovare non a migliorare.

La Petrolchimica nel nostro Paese non avrà un futuro se non avvierà un ciclo virtuoso di innovazioni, che sappiano affrontare lo strapotere delle grandi aziende petrolifere che hanno stabilimenti petrolchimici di enormi dimensioni, a “bocca di pozzo” e di raffineria, con costi delle materie prime sensibilmente inferiori a quelli sopportati in Italia.

All’estero sono in atto numerosi progetti innovativi su questo argomento che coinvolgono centri ricerche, università, petrolchimici, società di ingegneria, industrie di trasformazione, società di servizi, trainati da pubbliche amministrazioni, ad esempio i Land in Germania, che stanno “mettendo a terra”, come si dice in gergo, progetti di linee di produzione che garantiscono occupazione di qualità e risparmio di materie prime fossili.

In Germania, inoltre, le pubbliche amministrazioni sono impegnate in progetti che coinvolgono competenze tecniche e scientifiche per la realizzazione di cracher elettrificati che possono ridurre del 90% l’emissione di CO2 e rendere tali impianti, fondamentali per la tecnologia del riciclo chimico della plastica, come quella del progetto MoReTech, favorevoli per l’ambiente.

In Italia con LyondellBasell, ENI Versalis e Yara abbiamo società petrolchimiche importanti, abbiamo centri ricerche di prestigio e così pure università, aziende di raccolta dei rifiuti strutturate ed efficienti, associazioni di volontariato sensibili al tema ambientale, istituti scolastici desiderosi di conoscere e operare, ecc.

Perchè non si muove nulla per realizzare innovazioni che possono portare ad uno sviluppo win-win di lungo periodo, ossia  dove si vince insieme: l’ambiente, l’impresa, lo sviluppo sostenibile, il lavoro e l’occupazione, la scuola, l’identità del territorio e la partecipazione dei cittadini ?

Storie in pellicola /
Feast, il corto animato Disney che ha vinto l’Oscar

Oscar come miglior cortometraggio animato 2015, “Feast” racconta di Winston, un cagnolino che divora qualunque cibo gli si presenti davanti. Fino a quando…

Una bella scoperta, oggi, sempre nel fantastico mondo dei cortometraggi: “Feast”, un cortometraggio animato del 2014 prodotto da Walt Disney Animation Studios e vincitore dell’Oscar per il miglior cortometraggio d’animazione nel 2015.

Il corto ha fatto il suo debutto all’Annecy International Animated Film Festival, il 10 giugno 2014, ed è uscito nelle sale insieme al film “Big Hero 6”. Utilizza lo stile di animazione “Meander”, che unisce il disegno tradizionale agli effetti 3D più all’avanguardia, tecnica utilizzata nel film corto “Paperman”, vincitore dell’Oscar 2013.

Il corto di sei minuti, interamente visionabile su YouTube (qui sotto), è diretto da Patrick Osborne, un animatore che ha lavorato a “Ralph Spaccatutto” e a “Bolt”.

L’idea è interessante: il corto è, infatti, la storia della vita sentimentale di un uomo vista attraverso gli occhi del suo migliore amico e cane, Winston, e rivelata, morso dopo morso, attraverso i pasti che condividono. Winston è un boston terrier che mangia qualsiasi cosa, “junk food” soprattutto.

Tutto ha il suo inizio, qui è la strada. Winston è un cane randagio, in cerca di cibo. Una notte incontra un essere umano di nome James che gli dà un paio di patatine fritte e decide di adottarlo.

Nel corso degli anni, Winston apprezza molto il cibo che gli viene offerto da James; può mangiare di tutto, gli viene permesso tutto. È il padrone della casa e dei suoi spazi. Ma un giorno James si innamora di una cameriera, Kirby, che incontra in una tavola calda. Quando iniziano a frequentarsi, Winston riceve solo cibo per cani e tante verdure – la salutista Kirby cerca di aiutarli a mantenersi sani e in forma – il che lo turba profondamente. Difficili passare da un cibo tanto incontrollato a uno così equilibrato e insapore. Poi il dramma, il punto di rottura. Un giorno, James e Kirby litigano e lei lo lascia, James cade in una profonda depressione.

Winston all’inizio è felice perché lui e James sono tornati a mangiare cibi spazzatura, ma dopo un po’ nota quanto sia stato infelice il suo proprietario. Decide quindi di rimettere insieme la coppia. Portando in bocca un rametto di erbetta verde – che pare prezzemolo – che spesso veniva messo sul cibo per cani da Kirby, Winston si reca al ristorante dove lavora la ragazza. Anche se il ristorante è pieno di tentazioni culinarie, Winston va avanti e trova Kirby. James, che sta inseguendo Winston, lo raggiunge e fa pace con il suo amore. Matrimonio, nuova casa, sempre con Winston che torna a mangiare cibo per cani, ma non gli importa più perché il suo proprietario è felice.

Un giorno, però, arriva un nuovo membro in famiglia: un figlio, che ha l’abitudine di lasciare cadere il cibo. La vita felice e piena di cibo spazzatura di Winston riprende mentre si gode il primo compleanno del bambino, godendosi la caduta dei cupcakes. La famiglia di James e Kirby continua a crescere e presto avranno anche una figlia disordinata.

Tutto è bene ciò che finisce bene. Ci vuole, in questi tempi bui.

Grande storia di buoni sentimenti, dedizione e amore, tutto in pochi muniti.

“Feast”, di Patrick Osborne, musica di Alex Ebert, Walt Disney Animation Studios e Walt Disney Pictures, 2014, 6 mn

Cara Barilla, quanto hai pagato per usare la nostra Rotonda?

Cara Barilla, quanto hai pagato per usare la nostra Rotonda Foschini?

Non è uno scherzo. Li avrete visti. Cartelloni giganti in giro per Ferrara, replicano la pubblicità della pasta più famosa al mondo. Quella del Mulino Bianco, del “Dove c’è casa c’è Barilla”. Bell’idea e bell’effetto: un biscottone con al centro l’ovale dello storico marchio Barilla.
Eccola, la incontro di nuovo in un post su Ferrara Rinasce, la pagina Facebook dove Alan Fabbri dialoga con i suoi tanti followers.

Testo d’accompagnamento:
Barilla sceglie #Ferrara e la sua rotonda Foschini.

La foto pubblicitaria:

Sotto la foto: 250 Like e una sfilza di commenti entusiasti.

In Italia siamo speciali per regalare le nostre bellezze, i nostri tesori, la nostra arte.  I musei e le biblioteche straniere si fanno pagare fior di quattrini lo sfruttamento commerciale delle immagini dei loro tesori, in  Italia spesso ci accontentiamo di farci pagare una copia della foto.
Almeno Totò (in “Totò Truffa”) la Fontana di Trevi cercava di venderla.  Non era il legittimo proprietario della celeberrima fontana di Pietro Bracci, ma aveva una sua personale ragione: perché tutti quegli stranieri potevano vedere e toccare il nostro monumento senza pagare il biglietto? Potevano forse bastare le 100 lire buttate nella vasca?
Totò è grandissimo ma non può essere un esempio, almeno nel caso della fontana, dove da il meglio di sé come attore ma è pur sempre un truffatore. Io, pero, nel caso Barilla/Rotonda Foschini mi sento il truffato.

La Barilla non è solo la marca di pasta più conosciuta e (forse) più venduta, è anche una grande multinazionale, con stabilimenti in tutto il mondo, e che nel 2022 ha fatturato 4,663 miliardi di euro, con un utile netto di 192 milioni di euro.
La Barilla, insieme a Volkswagen e Ferrero, è top spender in pubblicità: solo in Italia, ogni anno il Gruppo Barilla spende circa 90 milioni di euro in spazi pubblicitari: sui muri, in televisione, sui giornali, sui social media. 

Allora, io non contesto la pubblicità della Barilla con la Rotonda Foschini. Anzi, a me piace, infatti Barilla spende tantissimo ma le sue pubblicità sono sempre originali, alcune volte geniali. Però chiedo: perché nella pubblicità non c’è nessun riferimento a Ferrara e al suo Teatro? Nemmeno una scritta piccola piccola.
E soprattutto, questa volta la domanda è per il Sindaco e la sua allegra squadra, la potentissima Barilla ha pagato qualcosa –  il pagamento di una royalty, un cospicuo rimborso, almeno un’ elemosina – per prendersi la nostra Rotonda Foschini?

La scorsa primavera, Bruce Springsteen si è preso gratis quel gioiello del Parco Urbano e se n’è andato lasciando fango al posto dell’erba. I danni non li ha pagati lui ma la Fondazione Teatro Comunale (con i nostri soldi ovviamente).
Ora la Rotonda Foschini, cioè il Teatro Comunale, cioè Ferrara, entra (in forma anonima) in una famosa pubblicità.
In fondo sarebbe una bella cosa, un piccolo orgoglio, qualcuno dice: un onore; non esageriamo. Ma se, anche questa volta, abbiamo regalato le nostre bellezze ai miliardari è solo una beffa. Anzi, un furto legalizzato.

La guerra viene usata per riaffermare a casa nostra il modello neoliberista e la prossima austerità. Anche per questo la lotta per la pace è un’assoluta priorità

La guerra viene usata per riaffermare a casa nostra il modello neoliberista e diseguale, in vista della prossima austerità. Anche per questo la lotta per la pace è un’assoluta priorità

Mi stavo accingendo a mettere insieme idee e materiali relativi alla NADEF (Nota di Aggiornamento Documento Economia e Finanza) approvata dal governo nei giorni scorsi e su cui si basa la manovra di politica economica e sociale che viene presentata in questi giorni, quando mi è sopraggiunto una sorta di blocco, di sentimento di inadeguatezza rispetto al fatto di concentrare lì la mia attenzione. Infatti, in quegli stessi momenti si dispiegava l’ingiustificabile attacco terroristico di Hamas al popolo israeliano del 7 ottobre, una vicenda così grave e pesante, destinata a cambiare i destini del mondo.

Dopo la guerra tra Ucraina (e non solo) e Russia e dopo gli accadimenti della guerra in Nagorno Karabakh, con la persecuzione nei confronti degli armeni, ora la guerra tra Israele e Hamas, con l’aggressione al primo e il rischio di un inammissibile genocidio nei confronti dell’intero popolo palestinese, diventa sempre più evidente che la paventata Terza Guerra mondiale a pezzi sta prendendo forma.

La guerra torna ad essere, al contrario del ripudio ben chiaro nella nostra Carta Costituzionale, strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e mezzo di risoluzione delle controversie internazionali

La guerra che, anche da noi, si alimenta di uno spirito bellicista veramente impresentabile e foriero di limitazione delle libertà democratiche.
Non solo non c’è alcuna analisi sullo stato delle relazioni internazionali, su dove sta andando il mondo, ma si prova a creare un clima che va nella direzione suindicata, affidandosi, da parte di molti commentatori interessati, ad argomentazioni animate da un puro approccio vendicativo, rispolverando la logica perversa dell’ occhio per occhio, dente per dente.
Uno per tutti, il neodirettore di Libero Mario Sechi, da cui ci è toccato sentire che non è possibile distinguere tra Hamas e il popolo palestinese e che è inevitabile che la risposta israeliana comporti l’uccisione di moltissimi civili palestinesi. Oppure, abbiamo assistito all’incredibile contestazione del sindaco di Milano Sala, perché ha osato esporre al Municipio la bandiera della pace assieme a quella di Israele, per non parlare della proibizione da parte di Macron in Francia delle manifest
azioni a sostegno della Palestina.

La realtà è che il dispiegarsi della guerra, come è sempre successo nella storia, diventa uno strumento formidabile per restringere la democrazia e scaricarne il prezzo sui ceti più deboli e poveri. Qui sta il nesso tra realtà della guerra, attacco alle libertà democratiche e proseguimento e accentuazione di politiche con caratteristiche classiste e antipopolari. Perché è questo che si sta provando a mettere in campo anche nel nostro Paese.

Intanto, le scelte del governo Meloni, ma anche gli orientamenti dell’Unione Europea, stanno riportandoci progressivamente ad una “nuova austerità”.
Alla faccia di chi aveva esaltato la svolta epocale del Recovery Plan supportato dall’emissione di debito europeo, l’Unione Europea con il 2024 darà vita ad un nuovo Patto di Stabilità e crescita. Il suo parto non è agevole, esistono allo stato discussioni aperte sulla maggiore o minore rigidità e cogenza da dare alle sue regole, che saranno senz’altro più lasche del Patto di Stabilità e Crescita esistente prima della pandemia, ma che, ancora una volta, ruoteranno attorno alla priorità di ridurre il debito pubblico e, soprattutto, di diminuire la spesa per investimenti e quella corrente. Quella spesa, per intenderci, che sostiene lo Stato sociale, e cioè in primo luogo sanità, previdenza e istruzione.

Il governo italiano di destra, come del resto il precedente governo Draghi, e non solo, si sta prontamente adeguando a questa nuova impostazione, visto che ne condivide la sostanza. Infatti, la NADEF, e la manovra che ne seguirà, segue quel solco: il saldo della spesa primaria ( in sostanza, il rapporto tra spesa pubblica corrente e per investimenti e entrate correnti) dovrebbe passare da un disavanzo dell’ 1,5% del 2023 ad un avanzo dell’ 1,6% nel 2026. La spesa corrente dovrebbe diminuire dal 46,7% del PIL nel 2023 al 44,9% nel 2026 e, nonostante questo, il debito pubblico rispetto al PIL si manterrà sostanzialmente costante, attorno al 140%.
Risultati, questi, che significano, appunto, un forte taglio della spesa sociale, dopo che, peraltro, già nel 2023 abbiamo già visto all’opera l’anteprima di questa nuova austerità: per il tramite dell’inflazione calcolata al 5,8% la spesa pubblica reale è già scesa del 5%, con i redditi da lavoro pubblico dipendente al 5,1% e le prestazioni sociali al 3,7%.

Va anche notato che gli obiettivi per i prossimi anni, che comportano già di per sé un serio peggioramento nelle condizioni dei ceti più deboli e poveri, si basano su previsioni che difficilmente potranno essere realizzate: le stime di crescita del PIL sono sovradimensionate, come da ultimo evidenziato da Bankitalia, le spese per gli interessi, al contrario, rischiano si essere sottostimate, la previsione di entrate per ulteriori privatizzazioni (circa 20 miliardi di € da qui al 2026), al di là della scelta non condivisibile, sono molto probabilmente irrealistiche.
Tutto ciò sarebbe appena sufficiente a coprire l’abbassamento del cuneo fiscale per i lavoratoti dipendenti già in vigore con il 2023 e il ridisegno delle prime 2 aliquote IRPEF, e, si badi bene, solo per il 2024. Insomma, siamo in presenza – ed è già un giudizio ottimistico – di una manovra che è, contemporaneamente, di attacco alle condizioni di vita dei ceti popolari e di puro galleggiamento, spostando poco più in là nel tempo il redde rationem del ritorno ad una pesante austerità.

Qui entra in gioco la nota strategia di evocare il nemico esterno, che siano i migranti, o la crisi energetica o ancora la guerra che aleggia per tutto il mondo. E magari,  se le elezioni europee non daranno l’esito sperato dalla destra, anche l’ “Europa matrigna”. Bisogna poi individuare anche i nemici interni, in particolare, oltre all’opposizione sociale e politica, la magistratura e la stampa, che vanno entrambe ricondotte a più miti consigli e ad una loro subalternità al potere esecutivo.
Il fallimento che arriverà delle politiche economiche e sociali ispirate al neoliberismo, da cui non si discosta neanche la maggioranza di destra, deve essere in qualche modo occultato e imputato ad altri fattori e, per quanto possibile, arginato facendo leva sul rilancio di un’ideologia
e di una pratica autoritaria e nazionalista, di un’aggiornata – ma neanche tanto- rispolveratura del “Dio, Patria e Famiglia” di infausta memoria.

Naomi Klein, Shock Economy: ascesa del capitalismo dei disastri (Bur 2008)

Il punto di fondo, in realtà, è che, dopo la Grande Crisi del 2007-2008 che ha segnato la fine dell’illusione neoliberista e della globalizzazione trainata dal mercato e chiusa la fase che aveva promesso crescita della ricchezza, peraltro in modo molto diseguale, la prosecuzione di quel medesimo modello neoliberista, visto che non poteva basarsi su un presunto consenso, si è avvalso della paura e delle preoccupazioni indotte nelle persone: il rischio del default nel 2011-2012, la crisi pandemica, e oggi la guerra che si diffonde nel mondo.

E’ l’idea della “schock economy”, ben descritta negli ultimi anni da Naomi Klein, che mina la democrazia e vira pericolosamente verso l’autoritarismo. È quel che vediamo diffondersi nei paesi del civile Occidente.

Non è un destino ineluttabile. Ci sono, per fortuna, molte forze ed energie anche nella nostra società che intendono contrastare questa deriva e proporre un’alternativa di modello sociale e produttivo. 

Da ultimo, l’abbiamo visto a Roma il 7 ottobre, con la straordinaria manifestazione promossa dalla CGIL e da oltre 100 Associazioni per difendere e attuare il dettato costituzionale, per affermare pace, diritti e lavoro.

Occorre, però, avere presente che, nel nuovo contesto di oggi, la lotta per la pace rappresenta una assoluta priorità, e che essa va coniugata con la lotta per la democrazia e per l’affermazione di scelte politiche basate sulla ricostruzione dell’eguaglianza sociale.
Questo oggi è un passaggio decisivo, che si deve mettere in campo da subito e su di esso raccogliere una vasta coalizione sociale e una forte mobilitazione delle persone, cui far seguire un’adeguata rappresentanza politica.
Certamente non mancheranno le occasioni per tornarci sopra, proprio perché lo impone la necessità dei tempi presenti.

Per leggere gli altri articoli ed interventi di Corrado Oddi su Periscopio, clicca sul nome dell’autore.

Parole a capo
Sonia Tri: “Ci muore addosso un altro autunno” e altre poesie

Ebbi ben presto abbastanza chiaro che il mio lavoro doveva camminare su due binari: l’ansia per una giustizia sociale che ancora non esiste, e l’illusione di poter partecipare in qualche modo a un cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben presto, la prima rimane.
(Fabrizio De’ André)

Piango
con l’autunno,
le sue foglie,
i suoi figli.
Non c’è nulla
di più verosimile da fare
adesso.
Le parole sono pietre
che feriscono
chi non vuole ascoltarle
e nessuno vuole più
ascoltare
nulla.
Mi sento poesia
che sfida la guerra,
ma sono anche la
guerra,
che sfida l’impossibile.
Tutti siamo la guerra,
perché essa esiste.
Ma verrà il momento
che vorremo che non
esista più
e avremo tutti pena
di noi stessi.
Chiederemo scusa,
con l’anima sepolta
nella vergogna,
al vento,
all”acqua,
alla terra dove riposare
da vivi , non da morti.
Poi io me ne andrò,
a stringere il cielo,
come da bambina.

*

Come trascorre la notte,
di una terra
dissanguata?
Che odore ha il buio,
un tempo del sogno?
Come ci si prepara
al levarsi di un nuovo
sole?
Forse, rimane un gallo
che canta,
con migliaia di madri
che non serve svegliare,
nel loro pianto desolato,
sussurrate parole di
stelle
troppo lontane,
per i figli straziati,
per i figli appena
conosciuti.
Nulla anticipa più l’alba
del latte e del miele.
L’esistenza non è che
una poesia
scritta sulla sabbia,
imparata a memoria
e dimenticata.

*

Ci muore addosso,
un altro autunno.
Tornerà la neve
a smarrire il rosso
del fogliame,
del sangue
d’altri miserabili
senza terra amica.
E tutto sembra un
mondo
senza età,
che si compone e si
scompone
nel fiato caldo di Dio .

*

Si desta la luna,
sul mio impasto
d’ingredienti bianchi.
Ed è inghiottito
dal profumo dei limoni,
l’umido armistizio
della sera piovosa.
Un ritorno buono
di pacifiche serate,
quasi come
in un altro tempo.
Fragranze di uomini
raccontati.
come eroi stanchi,
alle guerre.
Sto preparando
i biscotti al limone
e penso che la pace
emani la stessa essenza.
Propagandosi
di confine in confine
come un vento di
zucchero,
ad asciugare il pianto
del mondo.

*

Non sento più
nessun vento che giochi.
Che porti via
elemosine di cielo
dagli occhi.
Che dirotti
quest’esistenza
ad un favore migliore.
Ad un sonno facile,
ad un giorno nuovo,
ad una comprensione
vera
di noi stessi.
Dov’è il tuo volto?
Non voglio perderlo.
Non sento più
nessun vento che tracci
il tuo volto, Dio.

Sonia Tri (Pordenone). Appassionata di scrittura, si dedica alla stesura di racconti in prosa, uno dei quali è scelto come racconto d’appendice nel libro ” Teologia della Follia” di Mattia Geretto (2013). Il suo esordio, invece, avviene qualche anno prima, collaborando ai racconti per l’infanzia del Corrierino del Friuli Venezia Giulia, con Guglielmo Donzella editore. Le sue poesie presenti in molte antologie, sono raccolte in buona parte in due sillogi: “Senti come respirano gli alberi” (2012);  “I colori del cielo a settembre” (2020). Di queste, l’autrice cura la pagina FB: Le parole di Sonia Tri. In “Parole a capo“, abbiamo pubblicato altre sue poesie l’1 luglio 2021 e il 17/02/2022.

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

“La formula può essere sostanza”.
La Comune di Ferrara propone alle forze d’opposizione un punto d’incontro con i cittadini che parte da un cambiamento di metodo

Comunicato Stampa

“La formula può essere sostanza”. La Comune di Ferrara propone alle forze d’opposizione un punto d’incontro con i cittadini che parte da un cambiamento di metodo.

La Comune di Ferrara è un gruppo spontaneo di cittadine e cittadini che si è formato con l’intento di favorire e sostenere forme di aggregazione politica attorno a due temi centrali: giustizia climatica e sociale. La sostenibilità è un tema trasversale che deve orientare ogni scelta della futura amministrazione in ogni campo. Dal welfare all’urbanistica, dalla cultura all’economia.

L’iniziativa dal basso La Comune di Ferrara ha coinvolto centinaia di cittadine e cittadini, parte di quella Società Civile che in questi 4 anni, organizzandosi in varie forme, si è attivata per contrastare le scelte sbagliate della Giunta di Destra guidata da Fabbri e per proporre idee innovative e coraggiose per la città. Ricordiamo la battaglia vinta contro il Progetto Fe.ris. che voleva consegnare Ferrara alle grandi imprese private, le decine di migliaia di firme contro la trasformazione del Parco Urbano in un’area dedicata ai grandi eventi, la proposta di superare la gestione privatistica di Hera Spa dei Beni Comuni come il ciclo dei rifiuti e l’acqua, la richiesta di avviare un piano di sviluppo delle biblioteche pubbliche.

Esiste quindi oggi all’interno della società ferrarese un ricco patrimonio di idee e competenze che chiedono un cambio radicale, nei contenuti come nei metodi, a partire da questa campagna elettorale: dalla individuazione dei punti fondamentali del programma alla scelta partecipata del Candidato/a Sindaco/a e della sua squadra. Occorre insomma, pena la sconfitta, uscire dal vecchio modo di far politica.

Dopo alcuni mesi di studio, di incontri laboratoriali, e di confronti informali con esponenti di partiti, La Comune di Ferrara ha quindi deciso di mettere a disposizione di tutti i partiti e le forze di opposizione una proposta “di metodo” da usare a supporto della prossima campagna elettorale per le amministrative. Non una scelta di fare a meno dei partiti, o addirittura “contro i partiti”, ma al contrario, una proposta concreta  ai partiti e alle forze di opposizione di aprirsi a un metodo democratico e partecipato, discutendo e decidendo insieme a centinaia di cittadini come (con quale programma e con quale candidato) opporsi alla lista della Destra.

 “Riteniamo che sia giunto il momento di dare un segnale chiaro alla cittadinanza: dimostrare di avere una volontà ferrea di proporre un’alternativa per l’amministrazione della città che cresce basandosi su un metodo partecipativo” – dice Anna Zonari, portavoce del gruppo.  “Comprendiamo e apprezziamo il lavoro svolto per creare un clima di collaborazione e coesione tra le forze d’opposizione, ma riteniamo che le scelte del “Tavolo” sarà vissuto da molti ferraresi come una scelta calata dall’alto e rischia di rivelarsi ancora una volta perdente.  E’ invece necessario superare le barriere che separano politica e società civile, inaugurando una nuova fase nella quale i partiti di aprono ad un confronto diretto e collaborativo con i cittadini.”

Sì può fare in tanti modi diversi, ma la formula che si sceglie può determinare la sostanza. È necessario innanzitutto – precisa Anna Zonarilasciarsi alle spalle la tentazione di adottare il vecchio metodo della cooptazione e delle liste civetta, che tanti danni hanno fatto in passato. I partiti devono saper cogliere la grande opportunità che viene dall’accettare un metodo di co-progettazione con altri soggetti sociali, in una posizione di pari dignità di pensiero ed azione.”

“Con questo obiettivo ci sentiamo di proporre alle forze di opposizione di aderire alla proposta di costituire un nuovo spazio politico allargato, all’interno del quale ospitare tutte le voci interessate ad agire in favore di un cambiamento di segno e di passo nell’amministrazione della città”

Non abbiamo tanto tempo a disposizione, la campagna elettorale sarà lunga e molto combattuta. La Comune di Ferrara chiede al “Tavolo delle opposizioni” e ai singoli  Partiti e Forze di Opposizione che ne fanno parte una risposta chiara e sollecita.

La Comune di Ferrara

Per saperne di più, per aderire, sostenere La Comune di Ferrara:

– Email: info@lacomunediferrara.it

Sito internet: https://www.lacomunediferrara.it

Pagina Facebook: https://www.facebook.com/profile.php?id=61551376034113&locale=it_IT

Le Voci da Dentro /
Può l’umanità fare a meno del carcere?

Funziona il carcere nel nostro Paese? Ha ancora senso scontare una pena rinchiusi dentro una cella? Si può scommettere su pene alternative? Mosso dalle stesse domande che anche il magistrato Gherardo Colombo si è posto nel suo libro “Il perdono responsabile. Perché il carcere non serve a nulla”, il detenuto autore di questo articolo si interroga sul senso della detenzione e sulla giustizia.
(Mauro Presini)

Le Voci da Dentro. Può l’umanità fare a meno del carcere?

di G.M.

Secondo il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, su 100 persone che hanno scontato una pena in carcere, quasi il 69 per cento tornano a delinquere. Solo il 31 per cento non lo fa. Questo significa una cosa piuttosto semplice: così com’è, il carcere non funziona.

Mi si perdoni il paragone rozzo e banale, ma qualsiasi persona, anche la più stolta, se si rendesse conto che un rubinetto della propria abitazione perdesse il 69% dell’acqua, lo sostituirebbe subito.

In Italia, invece, questo sistema di trattamento dei rei viene accettato senza troppe considerazioni critiche.

Il DAP ogni anno impiega quasi tre miliardi di euro per le sue necessità. Ciò significa che una parte non trascurabile della spesa pubblica italiana finisce in un sistema inefficace, se non controproducente.

A ciò si aggiunga un altro dato: in Italia il 90,1% del personale penitenziario è composto da agenti di polizia. Cosa vuol dire tutto questo? Significa che in Italia la cultura carceraria è in larga parte basata sull’aspetto repressivo.

Non è vero che ci sia una carenza di poliziotti penitenziari – nonostante la strumentalizzazione del securitarismo imperante dica il contrario – mentre è evidente la limitata presenza di educatori e di soggetti in grado di svolgere una funzione riabilitativa dei ristretti.

Spostiamo la nostra attenzione. Si deve criticare solo il “mal di carcere” o il “carcere in sé”? A mio avviso, sarebbe limitante pensare che la reclusione sia la migliore se non l’unica soluzione possibile per il reo. Si tratta di un discorso delicato, il quale non deve essere affrontato con ingenuità.

Una società priva di elementi sanzionatori non può darsi. Nemmeno l’anarchia fa a meno dei concetti di giustizia e di pena. Nessun’organizzazione sociale può prescindere da una dimensione morale. Nessuna morale può di conseguenza prescindere dalla dicotomia bene/male e da un giudizio sui comportamenti e sulle azioni dei singoli individui e dei gruppi sociali.

La reità è sempre esistita e sempre esisterà. Sono le regole a tenere insieme una società. Per definizione, a esse non si può contravvenire. Regole senza sanzioni sono del tutto inefficaci e insensate. Le regole hanno un senso in quanto servono a tutelare i più deboli. Certo, è innegabile che esse finiscano con il rispettare gli interessi di chi le ha dettate, ma mai nessuno nella storia ha combattuto per un mondo senza regole. Si è sempre combattuto per nuovi ordini sociali, più giusti, più o meno sensibili alle istanze di chi ha meno, ma mai per il caos generalizzato.

Detto questo, però, è abbastanza curioso che l’uomo abbia potuto recarsi sulla luna, possa scindere l’atomo e volare, ma non abbia mai tentato di attuare una forma di recupero dei rei che fosse diversa dalla reclusione. Pensandoci bene, l’uomo è l’unico animale che fa prigionieri, nessun’altra specie ha questa peculiarità.

E allora la domanda non può che essere questa: in pieno XXI secolo, ha ancora senso il carcere? Esso, inteso come modalità trattamentale, fin quanto durerà? Un anno, dieci o in eterno? È possibile un suo superamento oppure, in realtà, siamo arrivati al punto massimo raggiungibile nel rapporto tra chi ha commesso un reato e chi si incarica di reinserire nella società queste persone?

Si tratta di un tema sul quale riflettiamo poco o niente. Come qualsiasi altra istituzione totale – si pensi al manicomio – il carcere non serve dunque a chi vi entra. I principali beneficiari della sua invenzione sono i cosiddetti “onesti”. Escludere i cattivi dalla società consente agli onesti di autolegittimarsi la convinzione di essere probi, esattamente come quando lavano il pavimento e tolgono dalla sua superficie la sporcizia, dicendo più o meno in modo esplicito a loro stessi, di essere puliti.

Gli “onesti” non hanno interesse di recuperare. Il loro obiettivo è più limitato: non risolvere la questione, ma estirparne gli effetti. Non comprendere, bensì isolare. I processi individuali e collettivi che si svolgono all’interno delle strutture chiuse sono secondari, in termini di necessità personali, rispetto ai desideri di chi non vi vive.

A livello conscio, un ospedale serve per curare i malati; un cimitero a preservare i cadaveri; un carcere a rieducare e così via. A livello inconscio, invece, le funzioni sono assai meno nobili: un ospedale serve a non farci vedere la sofferenza; un cimitero serve a rimuovere il concetto della morte (della nostra in particolare); un carcere a evitare che la quotidianità degli onesti si inquini con il male. Peccato che la sofferenza, il male e la morte siano elementi costitutivi dell’esistenza umana e che sia inevitabile, prima o poi, trovarsi faccia a faccia con essi.

Il carcere è un luogo in cui la deprivazione è quotidiana. Questo non perché le persone che vi lavorano siano cattive, ma perché il meccanismo dell’istituzione le sovrasta e ne determina i comportamenti. Una persona illuminata, all’interno di un istituto penitenziario, fatica a imporre le proprie convinzioni poiché si incontra con una serie di incrostazioni culturali che ne ostacolano l’azione.

Un carcere non priva gli esseri viventi solo dello spazio e della libertà personale. Se si limitasse a questo, tutto sommato esso farebbe poco. Un carcere priva l’uomo della capacità di relazionarsi al prossimo e ne fa emergere gli aspetti peggiori.

È chiaro che un reo, che sia effettivamente tale, ha violato e viola più regole universalmente accettate. Ma se nel recluderlo, lo Stato viola anch’esso i diritti essenziali riconosciuti a tutti gli esseri umani, non si pone sullo stesso piano di coloro i quali si è solito definire delinquenti? Non si delegittima? Non autorizza involontariamente, forme di odio e di accanimento verso di sé?

La detenzione è una lunga e lenta lobotomia praticata a un gruppo ampio di “irregolari”. La dignità del recluso è un concetto del tutto teorico, scolpito a lettere maiuscole sulla carta, eppure misteriosamente assente nei corridoi delle sezioni e tra le mura delle celle, le quali oggi, in un trionfo di ipocrisia sono state rinominate in “camere di pernottamento”.

Anche quando il potere costituito concede un diritto, esso ti fa sentire in obbligo e ti dice che ti sta facendo un favore che prima o poi dovrai pagare. La cosa più triste è che chi incarna l’autorità, ritiene che l’abuso sia il modo con cui possa essere normalmente regolata la vita carceraria. Quando un uomo si rende conto di tutto questo, che i suoi discorsi filano ed è conscio di avere qualche ragione, si sentirà veramente perso.

Non so se l’umanità possa fare a meno del carcere. Mi sono più volte posto questo interrogativo, senza tuttavia trovare risposta.

Fatta qualche eccezione, sui quasi trenta istituti che ho visitato, queste sono le riflessioni e le percezioni che ho avuto in oltre vent’anni di detenzione. Qualcuno potrà domandarsi legittimamente, come mai un uomo condannato all’ergastolo abbia la sfacciataggine di scrivere tutto ciò.

Non di certo perché la condanna non l’abbia meritata.

Ritengo solo che la mia colpevolezza non possa essere motivo di altrettanta nefandezza da parte di chi rappresenta la giustizia.

Quando arriverà il momento di andare via, spero di poterlo fare con più leggerezza d’animo e quanto più dignitosamente possibile.

Alla fine, forse solo con la morte riusciamo a essere allo stesso livello, solo la morte ci purifica.

L’umana condizione scompare dando spazio solo alla natura, laddove siamo tutti lo stesso prodotto.

Cover: un’opera di un detenuto nel carcere di Ferrara 

Per leggere le altre uscite di Le Voci da Dentro clicca sul nome della rubrica.

Per leggere invece tutti gli articoli di Mauro Presini su Periscopio, clicca sul nome dell’autore

ISRAELE-PALESTINA: FERMIAMO LA VIOLENZA!
Presidio Fiaccolata il 20 ottobre ore 18 in piazza Castello a Ferrara

ISRAELE-PALESTINA: FERMIAMO LA VIOLENZA.
Riprendiamo per mano la pace.

Vieni al Presidio Fiaccolata per la pace
Venerdì 20 ottobre alle ore 18 in piazza Castello a Ferrara