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La fine del patriarcato

In questi giorni il significato della parola “ patriarcato” è al centro del dibattito nei media, innescando risposte che vanno dallo slogan femminista “lo stupratore non è malato è un figlio sano del patriarcato”, alla foto della Meloni con famiglia al femminile sul Giornale con il titolo “Se è patriarcato questo!”.

Mi sento in dovere di fare alcune specificazioni che spero siano di chiarimento al dibattito “Italia paese patriarcale, si o no?” . Come ha notato Massimo Cacciari in un suo intervento. la famiglia patriarcale è un’istituzione storica che non esiste più.
Con l’accesso delle donne al mondo del lavoro, la rivoluzione contracettiva, l’istruzione femminile, il nuovo diritto di famiglia del 1975 (frutto delle battaglie femministe) si sancisce la fine della famiglia patriarcale con il maschio padre padrone proprietario di moglie e figli.

Purtroppo la fine del patriarcato non ha coinciso con la fine del maschilismo, che invece è atteggiamento in continuo aumento anche fra i giovani. Anzi, proprio la fine del patriarcato, rappresentando una perdita secca di privilegi storici per i maschi, ha messo in moto una risposta maschile violenta alla conquistata libertà femminile, continuando a perpetuare un ruolo di dominio ormai superato dalla storia.

È questo il motivo per cui i Paesi del Nord Europa, pur avendo strutture familiari e sociali non patriarcali, hanno un numero maggiore di femminicidi dei nostri.
La fine del patriarcato non ha coinciso cioè con un mutamento culturale e esistenziale degli uomini. La fine di una relazione per volontà’ della donna è percepita – qui come in Norvegia – come una ferita narcisistica, spesso intollerabile da parte maschile.
La donna libera, che lascia , che decide, che fa il suo percorso va in qualche modo punita. Nel migliore dei casi con la sanzione sociale, l’isolamento, nel peggiore con l’eliminazione fisica.

Le riposte politiche della destra al “ritardo mentale maschile” (lo psichiatra Crepet parla di “padri rincoglioniti” e come insegnante confermo) sono scandalose. Sfondare il tetto di cristallo alleandosi all’ideologia neoliberista maschile non è opzione condivisa del femminismo, che ha sempre combattuto il potere, personale e politico, e ha scelto la strada della liberazione, non dell’emancipazione.

In altre parole, in una società capitalista basata sullo sfruttamento: non sono femminista perché raggiungo posizioni di potere al fianco degli sfruttatori, così come non sono femminista scimmiottando tutti gli stereotipi erotici sulla donna.

Il femminismo nasce come movimento politico a fianco di studenti e operai e non può ignorare la deriva sociale neoliberista che colpisce prima di tutto noi, espellendoci dal mondo del lavoro, sottopagandoci, e non dando alcun aiuto alle donne sole con figli, istigando al contrario alla coppia per affrontare il crescente costo della vita.

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Eleonora Graziani

Laureata in pedagogia e filosofia, PHD in feminist studies presso l’Università di Coimbra. Ha insegnato in Italia e all’estero, in carcere e agli adulti stranieri lingua e cultura italiana. Filosofa femminista ha al suo attivo diverse pubblicazioni sulla mistica femminile.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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