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Convegno “Mi prendo cura di te” presso l’Aula Magna dell’Arcispedale S. Anna di Cona

Da: Marcella Mascellani
In una situazione di malattia c’è solo un caso dove vorremmo prendere il posto dell’altro; quando ad essere malato è nostro figlio/a.
Purtroppo non si può; non rimane altro che sperare che la patologia si concluda con un esito positivo.
Vivere questa situazione è un vero e proprio dramma e ne sono consapevoli tutti coloro che sabato 9 marzo 2019 hanno relazionato e partecipato al Convegno dal titolo “Mi prendo cura di te” che si è svolto presso l’Aula Magna dell’Arcispedale S. Anna di Cona. Una sinergia tra pubblico (medici e infermieri, psicologi e psichiatri che lavorano in un contesto pediatrico) e privato (rappresentanti delle assciazioni C.I.R.C.I. – Associazione Giulia – Ail – Nati Prima) che insieme hanno trovato un denominatore comune: affrontare nel migliore dei modi la malattia del bambino.
Tutti gli interventi sono stati molto importanti e toccanti.
In particolare, però, uno ha racchiuso tutto il mondo che ruota attorno ad un bimbo malato e alla sua famiglia quando questi si trovano in un contesto ospedaliero.
Vorrei rendere patrimonio comune l’intervento della dott.ssa Francesca Solmi, Pedagogista e Psicomotricista del Comune di Ferrara, testimone attiva e attenta della difficile quotidianità di chi assiste bambini nella loro fase di malattia.
Francesca ha saputo dipingere, con il pennello delle sue parole, un quadro dove la scena è quella di una corsia ospedaliera e i protagonisti sono, assieme agli attori principali (bambini e genitori), il personale sanitario e le associazioni di volontariato. Per motivi di spazio mi è impossibile riportare il suo intervento al completo, ma sono sicura che le sue parole saranno momento di riflessione per chiunque.
Daranno l’idea di movimento, di gioco e a tratti (nonostante tutto), di allegria.
Un bambino ne ha diritto, sempre, anche se malato.
“Spesso la domanda più frequente quando le persone sanno del mio lavoro è quella di cercare di capire come è possibile affrontare condizioni così estreme come la malattia di un bambino e soprattutto partecipare attivamente quando i bambini se ne vanno lasciando vuoti incolmabili. Com’è possibile stare dentro tanta fatica e a cosi tanto dolore?
Noi abbiamo imparato dai lutti, che i bambini hanno la grande magia, la capacità, anche nel silenzio più assoluto, di mandare messaggi d’amore incredibili, lasciando dietro di se l’idea che la vita, così preziosa, è sempre nel qui ed ora e che le energie vanno tenute in questa direzione e non sprecate in futilità, di viverla appieno e di apprezzare ogni minuscolo istante, ma soprattutto di avere sempre coraggio nell’affrontarla.
Abbiamo imparato anche che, quando i bambini guariscono da un tumore, le ferite emotive sono sempre profonde e alle famiglie servono anni per potersi permettere di respirare e affrontare la vita con maggior positività. La risposta al carico emotivo di un lavoro così complesso, per tutti quelli che operano in ospedale, è che l’aiuto all’altro diventa possibile solo in Squadra, solo se la quotidianità è pienamente condivisa da ogni persona che ne fa parte, con competenze diverse, con il suo bagaglio di esperienza professionale e non, in cui le sinergie diventano così potenti da pervadere, in una sorta di mantra positivo, ogni condizione che si crea, che proceda o meno nel bene o nel male.
Il dolore, spesso devastante, spaventa tutti perché ogni persona quando entra in relazione con un bambino ammalato di tumore, entra in relazione con un intero sistema famigliare che si debilita e deve ricreare nuovi equilibri, modificare il proprio assetto (……).
In reparto ci sono momenti in cui le sofferenze si uniscono ad altri dolori, le speranze si agganciano ad altre speranze davanti ad un caffè, due parole spese in corridoio, le mamme che attendono in terapia intensiva di vedere i loro bimbi, i genitori della chirurgia pediatrica che attendono pazienti il loro turno con le infermieri e i medici sempre in movimento (…….).
Quando arriva la tempesta ognuno deve attrezzarsi per non perdersi nel vento, in mezzo alle onde. L’idea è quella di non perdere i punti di riferimento e tenere il timone a dritta e, affinchè questo possa accadere e la nave possa procedere in questa direzione verso un porto sicuro, serve un capitano ed un equipaggio.
A volte però, nonostante la grande energia condivisa, il porto diventa sempre più lontano e il bambino con quale hai viaggiato deve seguire un’ altra strada e un altro percorso. Ed è li che si realizza, in mezzo a tutto questo dolore, la solidità di chi accompagna e condivide cercando di mantenere un clima emotivo stabile e rassicurante, perché i bambini vivono sensazioni e necessitano di spalle forti, di spazi in cui poter esprimere le proprie paure senza sentirle giudicate o minimizzate, ma sentirsi accolti nella loro fatica lasciando spazio così al loro vissuto emotivo (…….).
A volte le risate riescono anche ad arrivare nei momenti più impensabili perché alleggerire la sofferenza altrui diventa un’arte, un modo di abbracciare chi è coinvolto nella malattia. Spesso cosi ci si confronta, ci si da il cambio in quella stanza dove il tempo sembra essersi fermato, in modo da dare sempre energia positiva , ma anche braccia per piangere.
Il gioco, la vera ed unica chiave per entrare in relazione con un bambino, trasforma e ricrea la possibilità di sollevare il bambino stesso dalla sua fatica anche quando la separazione, il lutto è vicino, stare nella complicità del momento e vivere quello che c’è senza andare oltre, mantenendo un confine stabile, un piccolo punto nell’orizzonte irremovibile.
Questo è il lavoro che riusciamo a realizzare.
Se il gioco si trasforma, crea possibilità magiche in cui tutto può accadere; il gioco può anche riparare il vissuto emotivo di un bambino che ha sperimentato cosa significa modificare la propria vita, interrompere la propria quotidianità per affrontare un mondo fatto di paura.
Essere ammalati, quindi, non significa perdere la propria creatività e la voglia di giocare, la malattia non inquina l’essere ludico. Questa è la chiave di volta, giocare e poter trasformare, una sorta di viaggio in cui, nella fatica di dover stare per lunghi periodi in un letto, si può incontrare il piacere del gioco, dell’arte e della musica reinventando la propria condizione da negativa a positiva.
“Trasformare”, a mio parere, è la parola chiave, “trasformare” eventi difficili e dolorosi in condizioni di maggiore sostenibilità.
Il ricordo di una esperienza così difficile può avere un contatto con la memoria della malattia meno invadente, condizionante, sul percorso evolutivo di un bambino. Le trame nascoste della paura di perdere, di separarsi definitivamente da qualcuno possono quindi essere trasformate dalla relazione che implica ascolto e accoglienza. La paura, infatti, si può trasformare in gioco, può addirittura, in questo caso, diventare un elemento di distrazione nell’incontro con oggetti paurosi (aghi, cateteri venosi, siringhe) che possono diventare dinosauri, animali fantastici o oggetti per la cura di orsi polari ammalati.
Poter giocare pone le basi e i termini per poter riparare uno stato emotivo, un ricordo, un’attesa, così come un corpo può essere “riparato dalla cura farmacologica” così la relazione giocata può riparare il vissuto del bambino. Si può giocare in ogni condizione, il potere dei bambini è questo. E’ riorganizzare, immaginare ed andare oltre la realtà vissuta in quel momento (……).
Tutti noi sappiamo che le squadre affiatate riescono ad arrivare alla fine del viaggio proprio perché hanno il coraggio di affrontare anche le sfide più complicate. Per un bambino malattia significa spesso isolamento, rottura di schemi quotidiani rassicuranti, impossibilità di poter essere autonomi (…….)
Alla fine del suo intervento quasi tutti (io ero seduta tra il personale sanitario) avevano gli occhi lucidi e la gola secca…
Osservandoli mi sono accorta che era come se qualcuno avesse mostrato loro una fotografia che li ritraeva in un momento di quotidianità lavorativa, una realtà alla quale si cerca di non pensare al di fuori di quelle mura ospedaliere.
Una quotidianità che a volte ci può nascondere quanto di più umano c’è in noi qui,…..ora.
L’applauso è stato il nostro ringraziamento per avercelo ricordato.

PER CERTI VERSI
Campagna antica

Ogni domenica Ferraraitalia ospita “Per certi versi”, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione “Sestante: letture e narrazioni per orientarsi”.

ODE ANTICA

Micia mia cara
C’è qualcosa di antico tra noi
Come i mobili
dei nostri vecchi
Le loro fotografie
Ingiallite
come le dita
di fumatrici incallite
ma dai volti belli
scolpite le loro facce
le loro emozioni
Come le travi
sul soffitto intarsiate
dagli eventi vitali
Umani e non umani
agenti del destino
C’è qualcosa di antico
come le tagliatelle fatte a mano
le mansarde piene
di cose mezze dimenticare
di giornali d’epoca
Il fatto di non buttare via mai niente
Ma quale repulisti
siamo quelle stufe economiche
che scaldano e cucinano
mentre si parla si racconta si ascolta
Così era la vita
Così si tramandava
il senso della storia
La memoria delle piccole grandi cose accadute
I fatti che parlano
I silenzi che odorano di canfora
Gli armadi i vestiti
Così siamo certi
Di essere
E di essere esistiti

ODE ALLA CAMPAGNA

Nacqui cittadino
E piazza maggiore è la mia culla
La mia fibra
I miei mattoni per la vita da costruire
Ma se mi volgo a te
mi risale
da un fondale misterioso
tutto il mio attaccamento per la grande pianura
La nostra Bassa
le variazioni di luce
Le sue antiche case anche in declino
Il loro ammirevole giardino
La folla degli alberi
coperti di edera
Smaniosi di fiorire
Enormi alla vita
Ai suoi silenzi
I prati vibranti al vento
Come ondate
Azzurre gialle
Bianche rosa
Tutto si muove
Tutto ritorna
Tutto sta fermo
Senza posa

I giovani e la politica, quando scendono in campo gli studenti

Si sono riappropriati delle piazze, dei microfoni, della creatività efficace di striscioni e cartelli, della libertà giustificata di abbandonare le scuole per qualche ora, nel nome di una causa fondamentale, di una denuncia chiara e circostanziata: l’emergenza clima come effetto del surriscaldamento terrestre. Ma, soprattutto, si sono ridestati con un entusiasmo che mancava da molto tempo e che viene ricordato nella storia dei movimenti studenteschi del passato per gli effetti e le ricadute politiche, culturali e sociali che hanno cambiato la storia di molti Paesi. “Non c’è un Pianeta B”, “Climate silence is criminal”, “Non c’è più tempo per l’indifferenza”, “Se il clima fosse una grande banca, i governi ricchi l’avrebbero già salvato”, “Respect existence or expect resistance”, “Il cambiamento climatico non è solo una questione scientifica; è anche etica e morale”; “We want global politics to stopo climate change, to fight finance”: ecco alcuni dei numerosissimi slogan gridati a gran voce, sostenuti con convinzione e cognizione di causa, accompagnati dalla volontà di far sentire la propria voce e rivendicare il diritto di vivere su un pianeta affrontabile, una Terra amica.

Cortei di studenti e partecipanti di estrazione varia, manifestazioni, scioperi hanno animato piazze e strade italiane e di moltissimi altri paesi europei ed extraeuropei, dall’Australia agli Stati Uniti, dalla Nuova Zelanda a Taiwan, in una giornata memorabile come il FridaysForFuture, uniti nella forte intenzione di scuotere governi, veicolare sensibilità, chiedere fermamente soluzioni e provvedimenti. “Noi siamo venuti qui per pregare i leader di occuparsene. Ci avevano ignorato in passato e continueranno a farlo. Siete rimasti senza scuse e noi siamo rimasti senza tempo. Noi siamo qui per farvi sapere che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccio o no”. Sono le parole della giovane sedicenne Greta Thunberg, attivista svedese e ispiratrice del grande movimento che si sta formando a difesa del pianeta, proposta per il Premio Nobel per la Pace. Nella manifestazione mondiale, si chiedono politiche più sensibili e incisive contro il riscaldamento globale e le emissioni di CO2, tra i più terribili artefici dell’effetto serra; ci si rivolge ai governi affinchè adottino misure di protezione, consapevoli della grave responsabilità che il momento, la situazione e gli effetti devastanti della politica indifferente richiedono.

I movimenti studenteschi sono un fenomeno sociale nato nella metà del XX secolo, in quegli anni ’60 in cui tutto era da ridefinire, scoprire, inventare, osare, perché non esisteva background a cui ispirarsi o modelli preesistenti a cui affidarsi, ma la necessità di proporre, imporre, conquistare attraverso azioni anti-sistema. Le tematiche a cui si riferivano erano focalizzate sul mondo dell’educazione scolastica (allora era ‘educazione’, oggi è ‘formazione’), sugli stereotipi culturali e di costume da sradicare, sfide aperte alle tradizionali modalità di autorità. Erano le grandi manifestazioni della Primavera di Praga in Cecoslovacchia, del movimento (che ora si definisce LGBT) per la difesa dei diritti degli omosessuali, le rivendicazioni dei diritti delle donne, il controllo delle nascite, la liberalizzazione sessuale e il cambiamento dei codici tradizionali di comportamento e relazioni interpersonali. Era anche la protesta esacerbata, rivoluzionaria, contro la Guerra del Vietnam e tutto ciò che rappresentava. Negli anni ’60 cominciano farsi sentire anche i primi movimenti ambientalisti e di protesta per il nucleare.

Nei decenni successivi studenti e operai si organizzano per contestare riforme scolastiche (strutture, programmi, risorse, garanzie) e chiedere il rispetto dei diritti del lavoratore, ma perdono mordente politico perché lasciano posto ad altri movimenti. Gli studenti non erano più i protagonisti della scena politica ma l’attività di mobilitazione non si arresta, sebbene fosse contaminata dal terrorismo reale e il terrorismo di stato e affiancata da movimenti di altra estrazione. I centri sociali soppiantano per certi versi i movimenti di piazza, mentre nascono movimenti radicali di destra come Forza Nuova. Il movimento più significativo, denominato ‘La Pantera’, fu quello degli studenti universitari, impegnati nella protesta contro la riforma Ruberti delle università italiane, nato alla fine degli anni’80 nell’ateneo di Palermo e condiviso in tutto il Paese. Si definiva politico apartitico, democratico, non-violento e antifascista, ma si connotava nettamente come pacifista. Agli inizi del 2000 gli obiettivi dei movimenti studenteschi si spostano sulla crisi economica e la conseguente paura del futuro. Alcuni appoggiano ed abbracciano movimenti già presenti nel resto d’Europa e del mondo, altri conservano caratteristiche tipicamente nazionali e presentano i sintomi di un disagio legato alle vicende nel nostro Paese.

Indignados, Draghi ribelli, Occupy Wall Street sono i movimenti che appartengono al 2010-2011, interconnessi al mondo esattamente come il mondo in cui nascono e agiscono. Gli Indignados nascono da una grande mobilitazione pacifista dal basso, contro il governo spagnolo e chiedono più democrazia e partecipazione; i Draghi ribelli, precari, studenti, professionisti, artisti che vanno oltre le rispettive etichette, si uniscono per rivendicare le stesse istanze. Il loro nome si ispira ai draghi orientali che, secondo la leggenda, controllano gli elementi, guardiani e difensori degli equilibri della Terra. Il loro obiettivo: protestare contro la Banca d’Italia e il governo delle banche e della finanza. Occupy Wall Street protesta contro gli abusi del capitalismo finanziario; una contestazione pacifica che conta sulla presenza di anarchici, comunisti, conservatori e perfino esponenti della destra.

Negli ultimi anni, dal 2012 uno degli obiettivi più caldi delle manifestazioni di protesta rimane la scuola: si denuncia il fallimento della scuola pubblica che con l’università rimane fuori dal mercato. Si alternano raduni di piazza, cortei e flash mob per manifestare il rifiuto dei tagli all’istruzione e agli investimenti nella formazione delle giovani generazioni. Nel 2018 Ivan Krastev dell’Università di Sofia, autore dell’articolo ‘Il 2018 sarà rivoluzionario come il 1968?’ pubblicato dal New York Times, si interroga su ciò che sarà la protesta nel prossimo futuro. Il rischio, sostiene Krastev, è quello che siano conservatori e populisti gli attivisti del futuro, predisposti a scatenare le loro lotte sulle tematiche dell’immigrazione, la mescolanza culturale, l’affermazione della solidità e della garanzia di uno stile di vita tranquillizzante in difesa della famiglia e dei valori tradizionali, tutte tematiche care agli uni e agli altri. Nel frattempo, noi continueremo a riempire le piazze ricordando che il nostro pianeta è in sofferenza e non ne siamo tutti completamente consapevoli. Ce lo ricorda una ragazzina di 16 anni, che ha iniziato la sua battaglia da sola ed ora anima gli studenti di tutto il mondo.

Rischi climatici, i giovani in piazza: “Non rubateci il futuro”

Anche Ferrara è scesa in piazza per dire “stop” ai cambiamenti climatici e lo ha fatto con centinaia di studenti in corteo per il “GlobalStrike4Climate“. Questo evento, lanciato dall’attivista svedese Greta Thunberg, ha avuto una risonanza mondiale e in Italia ha visto scendere in strada manifestanti in 182 piazze per lanciare un messaggio chiaro indirizzato ai grandi del pianeta, con la volontà di sensibilizzare l’opinione pubblica verso un disastro ambientale che nel volgere di 11 anni potrebbe essere irreversibile.

Il corteo ferrarese è partito dalla piazza del Municipio dove, tra cartelli e volti dipinti di verde, prima di muoversi, ci sono stati gli interventi degli esponenti di varie associazioni. Matteo Zorzi, tra gli organizzatori e presidente di ‘Rua-Udu Ferrara’, ha detto “Il numero di partecipanti è inaspettato, nemmeno riescono ad entrare tutti in piazza”; e sui motivi di questa manifestazione mondiale ha aggiunto: “Chiediamo un cambiamento, chiediamo i fatti perché il tempo delle parole è finito e lo chiediamo anche al nostro Governo. È l’inizio di un percorso, noi saremo qui ogni giorno per ricordare quello che c’è da fare”.

Sulla stessa linea Raffaele Bruschi, tra i coordinatori di “FridaysForFuture Ferrara” che, intervistato da Ferraraitalia, ha mostrato anche lui sorpresa per il numero di partecipanti (“non ci aspettavamo così tanta gente”) e ha lanciato un messaggio che tutta la piazza ha condiviso: “Stiamo dicendo a tutti di fermarci e gridando a gran voce la necessità di riprenderci il nostro futuro”.

Il corteo ha poi mosso i passi verso via Garibaldi, per attraversare largo Castello e dirigersi, attraversando corso della Giovecca, in piazza Medaglie d’Oro dove la folla accorsa si è raccolta e similmente ad una curva da stadio, ha intonato slogan e tratto le conclusioni affidate a vari attivisti.

Tra i temi lanciati, quello per un’alimentazione consapevole, che eviti gli sprechi e rifletta sull’uso intensivo dei terreni destinati a coltivare cibo per gli allevamenti, un’economia che non pensi solo al capitale ed al profitto, ma si preoccupi delle conseguenze dell’inquinamento sulla salute dell’uomo. Non sono mancate le contestazioni alle politiche sull’immigrazione dei vari governi, non solo quello italiano, che intervengono solo sulla conseguenza di un problema – quello migratorio – la cui origine non è estranea ai cambiamenti climatici in atto sul nostro pianeta.

Quella di oggi è stata una delle manifestazioni con più partecipanti viste a Ferrara negli ultimi anni, con circa cinquemila tra studenti e attivisti scesi per strada per dire “Riprendiamoci il futuro”.

Unica nota dolente di una manifestazione altrimenti riuscitissima, un piccolo scontro tra un gruppo di studenti di ‘Link’, associazione vicina alle correnti dei centri sociali, e quelli di ‘Azione Universitaria’, movimento universitario di destra. Questi ultimi, rei di aver esposto il simbolo dell’associazione, hanno subito attacchi prima verbali e poi un tentativo di strappo del loro striscione. Sull’accaduto Raffaele Bruschi ha precisato: “Avevamo chiesto di non portare simboli in piazza tranne quello del FridaysForFuture e ci chiediamo come mai siano qui, insieme ad Alessandro Balboni, candidato con Alan Fabbri, visto che quest’ultimo ha criticato questa manifestazione”. Pronta la replica di Balboni, che contattato dal nostro giornale ha spiegato: “All’inizio ci avevano detto di poter usare il nostro simbolo e solo 2 giorni fa ci hanno comunicato il contrario. Giunti in Medaglie d’Oro avevamo deciso di coprirlo con una bandiera tricolore, ma mentre stavamo ragionando pacificamente con Raffaele Bruschi, abbiamo subito un’aggressione da alcuni attivisti di Link. L’ambiente e l’ecologia non devono avere un colore politico e anche noi di destra siamo vicini a questi tempi perché il futuro appartiene a tutti”.

Qui sotto le foto della manifestazione

Ferrara, Santini e vecchi merletti

“Vedi quello là? Ieri a g’ò dà tarsent miliòn”. Eravamo sul marciapiede di testa della stazione Termini in attesa del rapido per Venezia, e naturalmente per Ferrara. L’amico Alfredo Santini, con la sua brava cartella di cuoio sotto braccio, sembrava in attesa d’incontrare un conoscente per scambiare due chiacchiere, possibilmente in dialetto. Amava il dialetto ferrarese Santini, una giornata nella capitale, dove si parla strascicato e le consonanti dure, come la ‘t’, diventano improbabili ‘d’, o peggio ancora, senti le ragazzine, anzi le regazzine, le bellissime pettorute romanine, urlare “come stai? Stai bane?”. Ecco, dopo una giornata di “bane”, dentro di te ripeti “bène, bène, bène” e vai tranquillo.

Santini cominciò a parlarmi della sua giornata, dei suoi incontri in Vaticano, dove aveva amicizie altolocate e dove – credo di non sbagliare – riceveva buoni consigli per condurre la banca verso intoccabili guadagni. In quel periodo Ferrara viveva dolcissimi momenti, tutto andava secondo i piani più ottimistici: il sindaco Soffritti passava da un successo all’altro, era riuscito a trovare i fondi per risanare le Mura, le mostre d’arte sotto la lungimirante direzione del maestro Farina erano diventate per l’intero movimento culturale internazionale termine di paragone da imitare, e attratto anche dalla vivacità della città era sbarcato il grande musicista Abbado. Città felice insomma.
Chi pagava? Dove non arrivava lo Stato, c’era sempre la Cassa di Risparmio, il cui presidente Santini era come la Madonna di Lourdes. Una improbabile esposizione di quadri d’autore dilettante? Santini firmava. Un romanzo d’amore stile romantico, dove i baci erano sempre languidi? Santini firmava. Cresceva così, accanto alla cultura seria, un muro di para-letteratura, troppo spesso appiccicosa. Alfredo Santini lo sapeva, ma a volte per convenienza politica, per educazione o per semplice gentilezza, faceva finta di niente. Fece diventare la banca la calda coscienza di Ferrara. Succedeva addirittura che offrisse incarichi ben pagati a persone la cui opera veniva dimenticata in solaio.
Ascoltare un dialogo in dialetto tra lui e il sindaco era piacevole, anche se non tutto era chiaro: Santini parlava con accento e vocaboli di un borgo molto lontano da quello in cui era nato Soffritti. Ricordo che quando tornai a Ferrara dal mio lungo peregrinare in Italia e in Europa e partecipai a una riunione di Giunta, rimasi stupito dal fatto che attorno al tavolone dell’assemblea il linguaggio ufficiale fosse il vernacolo di piazza Verdi o quello di Porta Mare.

Mi sembra, tuttavia, che queste considerazioni di tipo personalistico, soggettivo, non servano a spiegare quello che è successo in Italia e nel mondo, squassato da una tempesta imprevista, che si è rovesciata sui corpi, spesso ignudi, della povera gente, vecchia carne da macello come in guerra. I risparmiatori, quella fascia di cittadini che erano le colonne della società, sono stati spietatamente usati dai banchieri e si è arrivati perfino a stabilire che il povero cittadino frugale, per ritirare danaro messo da parte, deve dichiarare alla cassa della banca il motivo della richiesta; cioè i soldi non sono più suoi ma dell’istituto di credito.
Chissà che cosa direbbe oggi il mio professore di economia politica all’Università di Bologna, il grande Federico Caffè – il docente improvvisamente scomparso nel nulla molti anni fa quando cominciò a essere definitivamente superata l’economia della domanda e dell’offerta – lui così rigoroso e onesto, buttato lì in mezzo al branco di lupi pronti a scannare chiunque, come vuole il “mercato pilotato” dai banchieri-trafficanti di danaro e dagli uomini e di potere. Anche Santini era banchiere legato con filo di acciaio a una parte politica rafforzata dal credo religioso, ben cementato al dio capitale, ma certamente aveva la convinzione di essere nel giusto, umano e sovraumano.

D’altra parte questo è il mondo degli uomini padroni, chi si mette contro di loro è finito, viene schiacciato. Alle banche non interessa che in una città come Ferrara ci siano diverse migliaia di appartamenti vuoti e tante persone in cerca di un buco dove mangiare, dormire, fare l’amore, allevare i figli. Meglio la lotta selvaggia tra chi ha e chi non ha: la guerra è sempre lì che ci aspetta a braccia aperte. La città pare così precipitata in una crisi senza vie d’uscita: in centro stanno chiudendo i negozi uno dopo l’altro, chi può se ne va a Bologna o a Padova. Si, ha ragione chi afferma che la città sta morendo. Con buona pace di Alfredo, e anche nostra.

I DIALOGHI DELLA VAGINA
Mi manchi: l’ammissione di tre lettori

Come se la cavano i nostri lettori con le parole dette e non dette? Ecco tre testimonianze che evidenziano assai bene quell’inespresso disagio nel dire una frase necessaria, quanto arrendevole, come “mi manchi”.

Il coraggio della sincerità

Cara Riccarda,
ho passato la fase in cui non lo dicevo mai per paura di sembrare debole e appiccicoso, poi ho cominciato a dirlo sempre perché pensavo facesse vedere quanto ci tenevo. Ora faccio come mi sento e non so se chi lo riceve sia sempre a proprio agio, ma vorrei almeno capisse che ha ricevuto un pensiero sincero.
Nicola

Caro Nicola,
ci vuole coraggio a fare come ci si sente. È la cosa più difficile del mondo agire o non agire a seconda del nostro stato d’animo. Tendiamo a combaciare, per semplicità, con quello che gli altri si aspettano o con il mito di noi che abbiamo costruito. Mi piacerebbe dimenticarmi di come ero e come mi comportavo per disobbedirmi ogni tanto.
Riccarda

Finché sei in tempo…

Cara Riccarda,
il “mi manchi” che pronuncio più spesso è rivolto alla mia più cara amica. Mi è facile dire o scrivere queste parole a lei, che c’è sempre e comunque. Bastano pochi giorni senza vedersi o sentirsi e già ho voglia di parlarle, perché il nostro è  un rapporto a due che non ha pregiudizi, e che da sempre ci fa ridere e insieme piangere e parlare di tutto.
Il “mi manchi” che fa più fatica a uscire, sottovoce, fra me e me, è quello che mi contorce lo stomaco quando mi fermo davanti alla foto sbiadita di mio fratello sul comodino. Quella foto che è lì da anni, ma che troppe volte scelgo di guardare soltanto di fretta: mi fa male pensare a quanto mi mancano i pranzi di Natale, quando arrivavamo sempre assonnati e un po’ in ritardo, i fori alle orecchie fatti di nascosto da nostra madre, le nostre telefonate veloci ma sempre puntuali, i nostri piccoli segreti, ma anche i nostri litigi e i silenzi, che però erano pieni di tante cose.
Annalisa

Cara Annalisa,
è proprio pensando a chi non c’è più che dobbiamo dire mi manchi a chi c’è. Mi rimprovero di non averlo detto abbastanza quando potevo e di non dirlo per niente oggi, quando dovrei.
Riccarda

Aspettando lei…

Cara Riccarda,
a me lei manca un sacco e glielo dico sempre.
C.

Caro C.,
e fai bene! Ci racconti poi lei come la prende?
Riccarda

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

BORDO PAGINA
‘Crionica’ in Italia: Valerija Pride e la KrioRus di… Mosca

“KrioRus (Russian: КриоРус) — the first Russian cryonics company, founded in 2005 as a project by a non-governmental organization Russian Transhumanist Movement. KrioRus is the only cryonics company in Europe, that possesses its own cryostorage . The company stores bodies (or brains) of its cryopatients — dead people and animals, in liquid nitrogen, in the hope that someday it will be possible to revive them by means of the emerging technologies of the future . The company offers a service of freezing either the entire patient’s body, or just their head. KrioRus cooperates with other cryonics companies of the world, and facilitates placement of patients’ bodies in similar storage facilities, situated outside Russia” (KrioRus, Wikpedia)

“La Polistena Human Criopreservation di Filippo Polistena è in assoluto la prima azienda italiana a offrire la possibilità di usufruire del nuovo metodo di conservazione, chiamato crioconservazione, che va a sostituire le soluzioni tradizionali della cremazione e della sepoltura. La Polistena Human Criopreservation è in stretta collaborazione con la KrioRus (azienda russa, la prima in tutta l’Eurasia a mettere piede in questo settore), operando come delegato di questa e offrendo in esclusiva in Italia i servizi di crioconservazione”. (Filippo Polistena sito web)

Per la percezione diffusa italica, nonostante anche certa penetrazione editoriale del cosiddetto Transumanesimo (ad esempio il recente Essere una Macchina di O’ Connell per Adelphi molto in primo piano, in precedenza il leader italiano Riccardo Campa, gli stessi passaggi televisivi dell’americano Zoltan Istvan, l’ipotesi Crionica è ancora essenzialmente fantascienza. (Storicamente in Italia la futurologia transumanista è promossa dall’AIT di Milano e il Network + Transumanisti/Homo Plus dai primi anni duemila, attualmente anche dai Tecnumanisti e da futuristi prossimi allo stesso Istvan).

Pochi ancora sanno, al contrario almeno parzialmente- al primo livello- come di seguito sarà chiaro, che negli Usa già da alcuni decenni circa, l’Alcor Life Extension del filosofo e leader storico del movimento futurologico, Max More, da chi scrive anche apprezzato e conosciuto a Milano nel convegno Transvision 2010, è da tempo anche concretamente operativa e fruibile.

Tra i corpi “ibernati” si parla anche di figure come il celebre informatico Marvin Minsky, si narra (ma qua solo fiction molto probabilmente) dello stesso David Bowie e in futuro di Silvio Berlusconi!

Mentre in Europa, da alcuni anni, è attiva la KrioRus a Mosca con Valerja Pride, fondatrice e Ceo (referente per l’Italia) ”; nella struttura, attualmente in stato di animazione sospesa anche, pare, alcuni italiani.

Per questione di privacy ovviamente i nomi degli esseri umani in stato crionico… sono top secret, ma il loro numero, soprattutto alla Alcor, è già di circa alcune centinaia o migliaia,

Perché ancora in parte, come comunque accennato, media e profani credono sia fantascienza? Scientificamente parlando i lavori e le ricerche in progress sono in realtà molto avanzati ma nello stesso tempo manca per così dire l’anello di congiunzione sperimentale “ominide”.. e clamorosamente umano: topi e conigli sono già stati messi in animazione sospesa e in seguito risvegliati come se avessero semplicemente dormito, in buona salute senza effetti o danni collaterali significativi o penalizzanti.

Le procedure di “ibernazione” crioniche attuali, riassumendo, funzionano, mentre quelle ovviamente fondamentali ed essenziali (l’obiettivo…. di tali opzioni oggi quindi già “possibili”) del Risveglio nel futuro rientrano allo stato attuale nel campo del possibile e del potenziale stessi: differiti a scenari futuri di sviluppo scientifico nello stesso tempo non utopici ma incerti: in parole povere, nessun paziente crionico è mai stato finora risvegliato perché – riassumendo e come accennato, la ricerca non ha ancora sviluppato tecnologie e metodologie del genere: sia perché nel mondo anche accademico, sussistono molte obiezioni anche scientifiche (sarebbe sleale negarlo), nello stesso tempo per vari motivi anche potenzialmente confutabili.

Ad esempio, soltanto con la sperimentazione futura (e lateralmente anche con i primi “risvegliati”) sarà inferibile (su esseri umani impossibile sperimentare per legge e etica, giustamente), e si saprà sul serio, se la crionica è compatibile con la complessità del cervello umano (quel che conterà , naturalmente, è un cervello, al risveglio, cognitivamente integro almeno in senso ottimale e in soldoni normale, memoria del Sé personale ecc.). Relativamente innocua, invece, appare certa preoccupazione eventuale .. se i “risvegliati” possano adattarsi a età storiche del futuro (chi sceglierà tale opzione in fine vita è in genere amante del futuro e della scienza).

Comunque, al di là di certe obiezioni ancora strettamente scientifiche (allo stato attuale delle ricerche e della conoscenza e delle tecnologie), “neppure nel futuro” alcuni ..dichiarano., lasciando perdere anche certe obiezioni bioetiche religiose o filosofiche o persino politiche, di cui anche dopo.., in base a previsioni più o meno condivise, i più ottimisti (scienziati .. non letterati!) fissano nel secondo duemila, verso il XXII secolo, la data zero quando la Crionica sarà una realtà e Medicina… scientifica concreta, altri nel XXI secolo stesso o almeno quello successivo.

Ulteriormente, alcune considerazioni sono rilevanti già ‘oggi: sul piano esistenziale: la crionica va vista nella sfera della libera scelta individuale, un diritto in quanto tale: legittimo essere contrari, per qualsiasi motivazione soggettivi; i cosiddetti Mortalisti che opteranno per le soluzioni di fine vita tradizionali, funerali, bare o cremazione. Costoro “hanno” naturalmente torto se deborderanno (come comunque già si paventa)…in posizioni teocratiche proibizioniste in merito.

Sul piano giuridico in diversi punti il dibattito esiste già in quanto, ad esempio, più o meno nel caso di “pazienti” in stato di animazione sospesa, successioni ed eredità necessitano di riformatizzazioni e integrazioni persino ovvie e tacite

Ma ecco il punto X piu realistico, proprio quello economico: ho accennato a obiezioni politiche (se non catastrofiche pseudo nietszchiane distopiche , quella secondo cui la crionica sarebbe destinata- se funzionasse- a una sorta di futura razza di eletti).

In realtà sia alla Alcor che e ancor di più “conveniente”alla KrioRus di Valeria Pride (a partire, da 80-100 mila euro circa la clinica americana, da 15-30 mila euro circa quella russa), per non parlare di Cliniche “Start Up” nascenti che parlano di 10000 euro… si facciano già attualmente i conti, se non si è prossimi a cifre equivalenti oppure sì superiori – ma non astronomiche per normali milionari e anche assai meno- a normali servizi di pompe funebri…

In ogni caso, a parità o quasi – a seconda di diverse fasce di Budget personali. e come abbiamo pocanzi evidenziato- di prospettive, il nulla (almeno per i non credenti) o la possibilità non fantascientifica, di una Seconda Vita, francamente, anche da tal punto di vista puramente materiale, difficile parlare di irrazionalismo: chi ama la vita, anzi, è perfettamente Logico.

Ancora sul piano economico la finestra, tra costi di funerali classici e la crionica, è destinata a ridursi se non “omologarsi” drasticamente: il trend segnala, un aumento nel divenire storico appena prossimo per i funerali standard e una diminuzione, più avanza la ricerca e la sperimentazione per l’animazione sospesa. Ci si ricordi che cosa è successo in brevissimo tempo con l’avvento dei microchip e dei primi computer di massa (dal Commodore 64, ecc.).

Naturalmente e fondamentale, una eventuale seconda vita in futuro, presuppone diverse “cose” essenziali tacite in queste righe: in caso di fine vita “normale”, per la malattia dell’invecchiamento: nuove tecnologie dovranno permettere di risvegliarsi in età biologicamente più giovane (non avrebbe senso… solo sconfiggere il mero fine vita risvegliarsi ad esempio negli stessi 80- 90 anni!) grazie ai progressi dell’odierna cosiddetta Life Extension, Scienze della longevità.

In caso di fine vita a qualsiasi età per malattie attualmente incurabili la Medicina si suppone in grado di terapie future e cure attinenti. Nel caso infine di “ibernazioni” solo della Testa e del Cervello, tacito che il risveglio dovrà essere accompagnato da tecniche future di clonazione/Rigenerazione del corpo non ibernato.. del paziente stesso in animazione sospesa.

Infine una nota importante che riguarda per l’Europa e l’Italia nello specifico già attinente, la KrioRuss.

In Italia, prima assoluta dinamica in Europa; la KrioRus ha stipulato sinergie e contrattualità precise con l’azienda di pompe funebri di Filippo Polistena a Mirandola (Modena): passaggio iniziale predefinito eventualmente in Italia.

La Crionica nella sostanza molto letterale è destinata a integrare molto semplicemente i servizi di fine vita delle attuali Onoranze Funebri, una opzione alternativa.

Si dice e concludiamo facendo ancora gli avvocati del diavolo: impossibile sconfiggere- almeno relativamente la Morte (almeno per qualche decennio o secolo o altra opzione strettamente tecnologica, almeno in questo modo): taluni forse- e comunque già chiaramente futuristi o visionari eccentrici- ritengono più possibile la stessa longevità o il cosiddetto Mind- Up Loading (la nostra coscienza virtualmente in eterno salvata in computer o un mondo virtuale piu evoluti, senzienti e autocoscienti, quindi).

Eppure, che è successo sul piano tecnologico e scientifico e nel mondo a partire appena dal Rinascimento, pochissimi secoli fa, rispetto alla nascita evolutiva dell’Homo Sapiens nel 50-100 mila A. C.? La storia della scienza semplicemente (ci vorranno decenni o anche secoli…. ma) dimostra probabile una evoluzione futura come la Crionica attuale prevede. Alla luce proprio – su scala storica e “cosmica”, del progresso scientifico era assolutamente meno prevedibile, se non impossibile, prevedere proprio la comparsa della specie umana nella storia dell’evoluzione biologica! Quella artificiale… ha accelerato in modi impossibili ma che già si sono in certo senso letteralmente verificati l’evoluzione stessa.

Perché No, quindi, una seconda vita? …Ricordando quella che è forse una legge del futuro. Perché i bambini nella loro primissima infanzia attraversano – nel loro mondo incantato- la “scienza ” del NO… quando sperimentano già il Linguaggio e il Pensiero?

(*P.S. Noi siamo “futuristi”ma di matrice letteraria, non “scientifica”: probabili imprecisioni sono plausibili, l’intento è il senso già attuale della Crionica e le sue prospettive future).

INFO

https://www.filippopolistena.it/2017/11/13/assicurazione-contro-la-morte-un-azienda-russa-di-crionica-sta-progettando-un-laboratorio-svizzero-per-persone-che-vogliono-vivere-per-sempre/

https://en.wikipedia.org/wiki/KrioRus

https://it.wikipedia.org/wiki/Alcor_Life_Extension_Foundation

ARTE
“L’ingegno di Eva”, dieci artiste per cent’anni di pittura al femminile

Giornata della donna nel segno dell’arte quella dell’8 marzo alla galleria Fabula Fine Art (via del Podestà 11, Ferrara), dove è stata inaugurata la mostra ‘L’ingegno di Eva’ a cura del critico Lucio Scardino. In mostra le opere di dieci artiste che coprono un arco di tempo di oltre cent’anni, dal dipinto di Adriana Bisi Fabbri (cugina di Boccioni), datato 1912, fino alla scultura di Laura Govoni, datata 2019, dove nel cerchio e nel quadrato d’ispirazione leonardesca compaiono scarpe di un verde ambientalista che allude al destino dell’uomo e alla necessità di un recupero umanistico e rigenerante.

“Bambino vitruviano” e “Donna vitruviana” (2019) di Laura Govoni

La scelta del curatore spazia volutamente tra generazioni e tecniche molte diverse tra loro, che mettono a confronto il classico e il contemporaneo, la pittura a olio e la scultura con oggetti trovati e inseriti in una nuova armonia visiva. Si va dalla piccola sequenza di opere su carta del 2017 della 22enne Priscilla Scalvi al dipinto a olio con due donne sullo sfondo di una marina in Egitto (1913) di Maria Chailly, nata nel 1861.

Veduta marina al Cairo, 1913, Maria Chailly
“Abbracci lontani”, 2017, Priscilla Sclavi

[Cliccare sulle immagini delle opere per ingrandirle]

Generazioni diverse e tecniche pittoriche varie ancora nel grande arazzo intitolato ‘Etiopia’ (2018) di Nedda Bonini, dove si inseriscono ricami di fili dorati, stampa elettrografica e inserimenti vegetali e l’incisione a colori del ‘Ferrariae Castrum’ (1927) realizzata da Mimì Quilici Buzzacchi  con il castello estense immerso in un immaginario paesaggio medievale sognante e sperduto in una valle in mezzo a una radura campestre.

“Etiopia”, 2018, Nedda Bonini,
“Ferrariae Castrum”, 1927, Mimì Quilici Buzzacchi

Un classico del genere pittorico come la natura morta floreale (1923) di Ada Santini e un ritratto realizzato da Beryl Hight (1963) si accompagnano a un paesaggio innovativo ed essenziale come ‘La nevicata’ (1955) di Giovanna Baruffaldi, amica di De Chirico e attenta agli sviluppi dell’arte dell’epoca, fino all’anticonformista Leonor Fini con un ‘Ritratto di Felicita Frai’ (1933), che Scardino definisce di “felice sintesi quasi alla De Pisis”.

“Ritratto di Felicita Frai”, 1933, Leonor Fini

‘L’ingegno di Eva’, galleria  Fabula Fine Art, via del Podestà 11, Ferrara. Fino a sabato 23 marzo 2019, visitabile martedì, giovedì e sabato ore 16-19 o su appuntamento telefonando al 347 7159748

Presentazione Album Il Teatrino dell’Inutilità al Ferrara Off Teatro

Da: Organizzatori

Il cantautore Leonardo Veronesi ci sorprende con una nuova uscita discografica che si può già trovare su tutti i portali digitali e presenterà il suo nuovo album IL TEATRINO DELL’INUTILITA’ domenica 10 marzo 2019 alle ore 21 presso il FERRARA OFF TEATRO , Viale Alfonso d’Este 13, Ferrara nell’ambito della Rassegna “AUTORI A CORTE “ (ideata da Federico Felloni e Vincenzo Iannuzzo) ormai diventata quasi permanente perché si svolge durante tutto l’arco dell’anno in diversi luoghi con due momenti più intensi in estate e prima di Natale.
Dopo aver pubblicato 4 album UNO, DOMANDARIO, L’ANARCHIA DELLA RAGIONE, NON HAI TENUTO CONTO DEGLI ZOMBIE e un EP “ATIPICO” arriva ora questo nuovo lavoro pubblicato dalla etichetta Jaywork di Luca Facchini.
IL TEATRINO DELL’INUTILITA’ è un progetto elettro – acustico – sinfonico rappresentativo di una track list che alterna brani editi arrangiati in maniera diversa a brani inediti che come sempre rappresentano tematiche legate al quotidiano. Brani i cui testi rientrano in pieno nella linea artistica di Veronesi che ironizza sul quotidiano lanciando sempre messaggi su cui riflettere in modo più profondo. E’, come definita dall’autore, una antologia che raccoglie i brani più significativi tratti dai precedenti lavori e brani inediti che dovrebbero segnare l’inizio di un nuovo percorso artistico. L’antologia sancisce i dieci anni dal primo album, vent’anni dal primissimo singolo e dalle prime esperienze discografiche e servirà per chi già conosce l’autore ad avere un quadro più completo e chi lo vorrà scoprire ora lo vedrà con indosso il vestito migliore.
Un “Teatrino” metafora del nostro vivere così frenetico e pieno di inutilità che già dalla copertina ci porta alla percezione di uno Zombie Manager (che rappresenta iconograficamente i rampanti freddi e spietati manager, economisti, politici nei quali è avvenuta la perfetta fusione di questi due ruoli apparentemente in antitesi) che si affaccia da un sipario per rimarcare la nostra dipendenza dall’economia come unico valore sociale che produce concetti astrusi come Spread, Pil, Deficit, Debito pubblico, Utili, Immagine, Materialismo, Superficialità ecc di cui non conosciamo neppure il vero significato ma che condizionano le nostre vite risucchiate in un vortice in cui solo soldi, successo e potere sembrano essere importanti e per le persone non c’è più spazio per umanità e solidarietà. C’è un ritorno al quotidiano e si affrontano tematiche con cui ci misuriamo nella vita reale: l’infelicità, la fatica di essere fuori dagli schemi e dalla omologazione, l’ arroganza verbale, l’incapacità di comunicare, la volontà di supremazia ovunque e comunque, la società dell’immagine e non del contenuto. Un vero e proprio viaggio tra modi di dire e di pensare che tutti subiamo in modo automatico e ci fanno galeggiare senza entrare più di tanto in profondità con noi stessi e con gli altri. Veronesi si è cimentato in una rilettura musicale complessa insieme ai suoi compagni di avventura, i bravissimi musicisti dell’ATIPICO SINFONIK 4 Tet che lo accompagnano anche durante la serata e il tour live.

Testi e musiche di Leonardo Veronesi
Registrato presso Atipico Recording Studio
Mixaggio: Davide Viviani
Voce, cori, chitarra acustica, chitarra elettrica, programmazione, editing: Leonardo Veronesi
Chitarra acustica e cori: Eugenio Cabitta
Archi: Silvia Marcenaro
Contrabbasso: Giampiero Lupo
Cajon e sezione ritmica: Mario Manfredini
Copertina album: Daniele Mantovani

Grande curiosità e attenzione per il nostro Veronesi che si sta misurando con mezzi espressivi diversi ma sempre in linea con il suo percorso artistico di grande qualità e originalità. Ad accompagnare i musicisti siparietti “Atipici” curati da Jazz Studio Dance – Uisp Ferrara e ZombiE 2.0 e ci saranno due ospiti che con Veronesi collaborano da anni in un sodalizio artistico e umano molto stimolante, i comici MARCO DONDARINI e DAVIDE DALFIUME “Comici Atipici” in linea con il progetto artistico.
Sono stati scelti dall’elaboratore elettronico di Zelig tra una miriade di comici, per creare la coppia comica perfetta. L’esperimento è andato in onda su Italia 1 nell’edizione Zelig 1 2013/14 dove l’accoppiata vincente composta da Marco Dondarini & Davide Dalfiume ha spopolato. La critica non sempre tenera specialmente con i comici, ha detto di loro: “Irresistibili:coniugano bravura, semplicità, eleganza e soprattutto fanno veramente ridere”. “Presentano una comicità tradizionale e allo stesso tempo una verve e una vena comica fresca e innovativa”.“INSIEME PER SBAGLIO”.Vedere il duo Marco Dondarini & Davide Dalfiume che non andando d’accordo, mette tutti d’accordo a suon di gags e battute, è davvero uno spettacolo. Ognuno dei due artisti porta la sua comicità, che mischiandosi con quella dell’altro, dà origine a una terza comicità ancora diversa. Davvero unici e coinvolgenti.
Davide Dalfiume, attore di teatro, cinema e televisione. Ha preso parte a una ventina di film (tra i quali: la fiction in 6 puntate Le ragioni del cuore di Luca Manfredi su RAI 1, i film Il nostro matrimonio è in crisi di Antonio Albanese, Vajont di Renzo Martinelli, Il Toro e Vesna va veloce di Carlo Mazzacurati) e svariate esperienze televisive Rai (Gnu Rai3, Giro Mattina Rai 3, sit com “Andata e Ritorno Rai 2, State bboni su Antenna3). In coppia con Marco Dondarini è stato scelto nel cast della trasmissione Zelig1 su Italia 1 (2014).
Marco Dondarini comincia giovanissimo partecipando al videoclip di Marco Masini “Bella stronza”, e nel film ” E allora mambo”. 2004: Vincitore trofeo “Ciak si ride”, 2° classificato Premio Walter Chiari “IL SARCHIAPONE”, vincitore “Festival delle arti” sezione cabaret condotto da Andrea Mingardi. Nel 2005: vincitore Premio Alberto Sordi, FAENZA CABARET; 2° classificato al LOCOMIX di S. Marino, 3° classificato Premio Tognazzi Cremona. 2006: Finalista Bravo Grazie Rai 2, Vincitore” Cabaret Amore mio” Grottammare; 2007: Tintoria Rai 3. Partecipa al film “Baciato dalla Fortuna” e l’Ispettore Coliandro” Nel 2009/2010 protagonista a Zelig Off col personaggio di Ottano Malgioglio, il benzinaio alle prese con i numerosi problemi della sua attività e soprattutto con i clienti che rendono la sua giornata un vero inferno! Monologhista e comico dalla presenza scenica atipica, attratto da situazioni assurde, da piccole e grandi contraddizioni della società moderna; una comicità, la sua, costituita da battute spiazzanti, ritmi rallentati e inaspettate riprese.

INGRESSO ALLA SERATA E’ LIBERO UNA OCCASIONE PER LA CITTADINANZA CHE POTRA’ GODERE DI UN MIX ARTISTICO DI SPESSORE.

“Idee per superare il sovranismo”? Forse c’è un equivoco…

Critica ai principi neoliberisti della sinistra attraverso la critica al PD di Occhetto

Uno degli errori fondamentali della sinistra italiana ed europea è stato quello di essere subalterna alle politiche neoliberiste. Perciò assistiamo al paradosso che la risposta al neoliberismo non arriva da sinistra ma da destra, una rivolta nazionalista. I populisti, in realtà, dicono anche cose vere, sono le loro risposte a essere sbagliate, questo è il punto. La sinistra deve scrollarsi di dosso le concezioni di stampo neoliberista che portano a un’austerità senza senso, deve stare vicino agli ultimi, riallacciare i propri legami con le fasce più deboli della popolazione. Ma capire nello stesso tempo le esigenze della produzione, dell’impresa. E’ questa la scommessa che la sinistra deve giocare e con la quale può vincere, mettendo insieme le due cose, la solidarietà e lo sviluppo dell’impresa e dell’economia”.
Sono parole di Achille Occhetto, usate nel suo tour che ha toccato anche Ferrara per la presentazione del suo ultimo libro, e sulle quali bisognerebbe costruire una piattaforma facendo però qualche passettino indietro, per essere sicuri di partire tutti dallo stesso punto. Quindi occorrerebbe definire esattamente cosa voglia dire neoliberismo e quali siano gli effetti di tale dottrina economica sulla società ma anche verificare quale trasformazione ha sofferto la società per adattarsi a tale dottrina. Inoltre, comprendere se i trattati europei che inglobano proprio i principi neoliberisti siano riformabili, in direzione del sociale, come sembra che Occhetto auspichi quando parla di “austerità senza senso”, per poter poi permettere alla sinistra italiana di “riallacciare i propri legami con le fasce più deboli della popolazione”.
In altre parole, e qui la contraddizione, per poter permettere alla sinistra di tornare a fare politiche orientate alla solidarietà, alla cooperazione, all’aiuto delle fasce più deboli della società bisogna operare politiche orientate da teorie economiche diverse da quelle attuali che contemplano invece i principi neoliberisti, ovvero concorrenza, competitività, stretta fiscale per contenere la domanda interna, consolidamento di bilancio, bassi salari, poche pensioni e disoccupazione abbastanza alta per tenere l’inflazione bassa e salvaguardare i grandi capitali.
Delle due l’una. O si è contro il neoliberismo oppure si fanno politiche sociali e attualmente queste ultime non si possono fare senza andare contro le fondamenta dell’Unione europea. Se si pretende di stare nel mezzo si sta ingannando o si sta ignorando e creando confusione.

Occhetto comprende che il popolo ha acquisito la capacità di riconoscere il pericolo neoliberista meglio dei politici, infatti dice: “Il renzismo è finito non per colpa di Renzi, ma perché è stata rigettata la subalternità al neoliberismo”. Ma non fa passi avanti rispetto a Renzi quando continua: “Bisogna mettere in campo idee in grado di superare il sovranismo. Quando la signora Marine Le Pen sostiene che non c’è più sovranità nazionale ha perfettamente ragione, ha torto quando pensa di ricondurre questa sovranità nei vecchi schemi nazionali. Bisogna portare la sovranità oltre il livello nazionale. Perciò alle europee la scelta dev’essere tra il perdente e inconcludente ritorno ai nazionalismi oppure a favore di un’Europa in grado di affrontare i problemi dell’ambiente, della democratizzazione del cyberspazio, delle disuguaglianze, che non si risolvono a livello di nazione. Proprio sull’Europa la sinistra potrebbe avere un ruolo importante da giocare, ma deve chiedersi dov’è finita la sovranità e provare a riportarla al livello sovranazionale. Se alle prossime elezioni si difenderà la vecchia, fallimentare idea di questa Europa la partita è persa e vincono i populisti. La forze di sinistra devono attaccare l’Europa per prospettarne una diversa, più democratica. Le vecchie ideologie di patria e nazione non c’entrano niente, il tema concreto sono le grandi emergenze che ci stanno di fronte e che non possono essere affrontate in chiave localistica. Purtroppo stiamo ritornando a visioni tribali, da stupidi ignoranti: il popolo segue queste posizioni e va contro se stesso”.

Al netto del giudizio politico sulla signora Le Pen, Occhetto immagina di cambiare l’Europa da dentro come dice di voler fare persino l’ultimo arrivato Zingaretti. Insomma è come voler mettere una forma quadrata dentro un una figura sferica pretendendo che questa si adegui. Addirittura rilancia i temi cari all’ultimo modello di sinistra, quella nata dagli anni Ottanta, per cui la sovranità vista attraverso i confini è un male assoluto e concetti quali Patria e Nazione sarebbero un residuato bellico.
La sovranità non si può decidere di collocarla da una parte piuttosto che dall’altra, spostarla da un piano nazionale a un piano astrale perché comincia a venir meno il suo impianto costituzionale. La sovranità statale esiste per poter attuare la sovranità popolare e i concetti di Patria e Nazione non sono altro che l’identificazione dell’uomo con il territorio e le radici, il contesto in cui un essere umano si forma e si educa perché nella storia, più che il sano desiderio di conoscere, ciò che ha portato gli uomini a spostarsi è stata la necessità.
Nei concetti di Patria e Nazione non c’è assolutamente niente di sbagliato se non l’ideologia che si è costruita intorno ad essi e probabilmente solo in Italia in maniera così esasperata. È lo sradicarsi dal territorio e dalla comunità di appartenenza per creare popoli di apolidi un reale tuffo nel primordiale, nell’antico, nel superato dalla storia e dall’evoluzione, che ha visto l’uomo progredire proprio quando ha smesso di girovagare.
Oggi facciamo a gara per dimostrare quanto spostarsi sia bello salvo poi scoprire che i grandi ricercatori italiani sparsi per il mondo sono stati costretti a emigrare per la poca attenzione nei loro confronti da parte del territorio di appartenenza o a causa della poca lungimiranza dei rappresentanti di quel territorio. Abbiamo esempi di cervelli in fuga, ai quali in Italia è stato rifiutato un posto da ‘collaboratore scolastico’, che poi sono state gratificati da posti di primo piano nelle università americane, il che ci dovrebbe portare non a denigrare e allontanarci dalla Patria e dalla Nazione, ma a farci impegnare perché cose di questo genere non accadano più.

Ora, la sinistra ha una carenza di buone dotazioni organiche oramai da decenni, ma ha ancora vivo un patrimonio genetico che potrebbe sfruttare e che oggi sembra in disuso, soprattutto a causa del nuovo che avanza rappresentato dal Movimento 5 Stelle. Ha quella meraviglia che sono le sezioni di partito e il partito, per volontà costituzionale, è il luogo reale dove si pratica la democrazia, si sviluppano le idee e si impostano le azioni. In una democrazia moderna la democrazia partecipativa si manifesta con il voto, ovvero scegliendo dei rappresentanti che trasformano in leggi la volontà popolare. In tal senso il governo è colui che trasforma in azione la volontà parlamentare e quindi popolare.
È con un flusso del genere che si costruisce consapevolezza, partecipazione e condivisione, elaborazione e applicazione delle decisioni.
La politica deve nascere e farsi sul territorio perché è il territorio che vuole tornare a vivere ed è il fatto di non cogliere questo bisogno che mette sullo stesso piano Occhetto con la sua idea di sinistra e il Pd renziano, che nonostante il suo patrimonio genetico non comprende le richieste della base pensante, che pur di farsi ascoltare si sta rivolgendo altrove.

Tutti dovrebbero fare pace con questi concetti se tutti si dicono contrari alla dottrina neoliberista che vive della supremazia dell’economia sulla politica, obiettivo che si ottiene spersonalizzando i territori, passando dalla comunità all’individualismo consumistico, dall’abbattimento dei confini per permettere ai capitali e alle aziende di lasciare in mutande i lavoratori fingendo di farlo per gli interessi degli stessi lavoratori.
Il superamento dello Stato nazionale è il prerequisito per ottenere tutto il resto, lo smantellamento di valore delle parole Patria e Nazione prelude alla mortificazione delle Costituzioni e di tutto quanto lì dentro è previsto a tutela dei cittadini.
Tanti oramai sembrano comprendere che i problemi delle nostre società siano legati alle ricette neoliberiste, ma tutti altrettanto sodali nel non comprenderne le basi, che sono proprio il ripudio di concetti quali patria, nazione e anche costituzione a favore del mondialismo, globalizzazione e costruzione di fantomatiche patrie sovranazionali per difendersi economicamente, in un crescendo di nuovo idealismo votato alla guerra commerciale piuttosto che alla condivisione e alla cooperazione.

PER CERTI VERSI
Il dono della salute

Ogni domenica Ferraraitalia ospita “Per certi versi”, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione “Sestante: letture e narrazioni per orientarsi”.

ODE ALLA SALUTE

come è facile immaginare
che ti passerà
quasi banale scontato
Ma è vero certo che ti passerà
e ci troveremo a volare di ramo in albero
come il nostro amico pettirosso
mentre ci fumerà dentro la primavera
fresca di folate
accesa dai lumi di marzo
le sere appena leggere
che fanno sognare ad occhi socchiusi
il passaggio dei cerbiatti
Ma certo che ti passerà
nonostante il male sia sadico e non banale
Morde come un cane con rabbia acuta
Ma senti le mie mani calde
Forse ti rapiranno
e dimenticherai il dolore che ti percuote
Tornerà il sereno
Il chiaro nella mente
Tra la terra moĺle
Di pioggia
Faremo un giro
Finalmente
Sulle due ruote

ODE AL DONO

Ti dono
L’assedio squisito del mio cuore
Alla tua fortezza di piume
E il mio nutriente
Albume
Sorridente
Alle tue palpebre
Che balbettano
Fotografie
Per le nostre amnesie senza tempo
Dove piangono i salici
In evidenza
Grandi
Sulle acque di fiume
Blu ghiaccio
Sulla nostra balaustra
Esile illune

LA MATITA
Una poesia di Carla Sautto Malfatto per la Giornata Internazionale della Donna

di Carla Sautto Malfatto

LA MATITA

Come un temperino la vita mi scarnifica l’involucro,
mi trita l’anima.
Sono caduta troppe volte
e spezzata
da credere di essere ormai finita
inutile,
e doloroso, a scarti, è stato ripristinare la punta.
Ora incido, con il moncherino rimasto,
ridicolo, tra le dita,
insicuro, instabile,
e il tratto ha meno efficacia,
dialoga piano.
Eppure, per ogni graffio,
metto più forza di prima
e stanchezze.
Quasi spolpata,
antro cavernoso,
ho intenzione di scrivere
anche solo con il legno
anche senza carta
magari con lo sputo.

(Carla Sautto Malfatto – tutti i diritti riservati)

Rapporto Italia 2019 Eurispes: fotogrammi di un’Italia che cambia

Quale Italia? Il Rapporto Italia 2019 dell’Eurispes, l’Istituto di ricerca degli Italiani, giunto alla sua 31^ edizione, ha scelto la parola-chiave ‘qualità’ per focalizzare l’attenzione su un aspetto emergente di spessore e importanza: qualità nelle tendenze sociali, economiche, politiche e culturali in atto nel nostro Paese. Il Presidente di Eurispes, Gian Maria Fara, esprime il suo pensiero in merito: “Si sta affermando nella società italiana una nuova patologia , la ‘qualipatia’, intesa nell’accezione negativa, ovvero l’avversione e il rifiuto per tutto ciò che richiama la qualità. Una patologia che archivia l’essere e santifica l’apparire, che esalta il contenitore a scapito del contenuto, che premia l’apparenza e mortifica la competenza”.

Siamo dunque un popolo ‘senza qualità’? Viene facile il richiamo al romanzo dello scrittore austriaco Robert Musil, ‘L’uomo senza qualità’ del 1930, in cui Ulrich si presenta come una specie di uomo ideale che, riassumendo in sé tutte le qualità, o meglio, le non-qualità del periodo che vive, si muove parzialmente alienato dal mondo reale, del tutto privo di interessi, e descrive egli stesso questa situazione come una vera e propria malattia della volontà. Il Rapporto fornisce i dati emersi da un’indagine su un campione stratificato per sesso, età, area geografica di 1.132 intervistati, i cui dati sono stati raccolti ed elaborati tra il dicembre 2018 e il gennaio 2019. Le tematiche indicate per il Rapporto 2019 sono: pubblico/privato, sovranismo/mondialismo, lavoro/tecnologia, identità/differenza, realtà/rappresentazione, sicurezza/insicurezza. Sono stati indagati anche temi più recenti come: la fiducia nelle istituzioni e l’opinione sull’operato di Governo, consumi e situazione delle famiglie, euro ed Europa, opinioni su temi etici come il testamento biologico e il fine vita, il gioco e le vincite in denaro, il rapporto tra cittadini e televisione pubblica, il mondo degli animali, le nuove abitudini alimentari, il senso di sicurezza dei cittadini. Sono state anche somministrate schede fenomenologiche su temi di stretta attualità come il caporalato e la tratta degli esseri umani, i fenomeni migratori visti attraverso i media, lo stato delle reti museali, capacità di innovazione e made in Italy, sprechi alimentari e riciclo creativo, le fake news e la ricaduta sui consumi, l’economia della bellezza, il business del calcio, i vaccini.

Ci viene consegnata la fotografia di un Paese, il nostro, superficiale e indeciso, in cui l’appiattimento e l’imbarbarimento – inteso come regresso comunicativo – stanno producendo effetti preoccupanti. Sono profondamente cambiati linguaggio e modalità comunicative e un tweet assume più valore di un discorso approfondito e sostenuto in modo più sostanzioso ed efficace. Si predilige un linguaggio aggressivo e volgare che rappresenta il declino del rispetto reciproco e la scomparsa di quel confine di decenza ed educazione all’incontro con l’altro. Sta tramontando la cultura dell’ascolto, che rappresenta il primo atteggiamento nell’intenzione di incontrare, conoscere e costruire un’idea comune. Ci presentiamo come un popolo in bilico, che manifesta difficoltà a esprimere posizioni chiare, stabili e convinte; indecisi, impacciati nel trovare una forte idea di appartenenza in cui identificarsi. Un popolo che potrebbe contare su un grande potenziale, mortificato al contempo da tentennamenti e disorientamento.

Un’Italia, a conclusione dell’indagine, divisa prevalentemente su due posizioni divergenti, senza prese di posizione marcate, che si barcamena in tempi difficili che richiederebbero scelte decise e diffusamente condivise per trarne forza e credibilità. Ma, al contempo, anche un’Italia in cammino, dove abitudini e costumi sono sensibilmente cambiati. Sull’innalzamento del debito pubblico, per esempio, il 51,9% si esprime a favore e il 53,1% è favorevole alla continuazione dell’euro come sistema monetario, mentre il 49,5% si auspica che l’Italia rimanga in zona Europa, riconoscendone i vantaggi ed ammettendo gli svantaggi. Il 45% della popolazione, attinge attualmente ai propri risparmi per arrivare a fine mese e, toccando il tema delle uscite economiche familiari, si rileva il boom di spesa per le badanti che passa dal 24,9% del 2018 al 42,2% attuale. Interessante il dato di spesa per gli acquisti che sottolinea come il web stia diventando il mercato privilegiato per la metà dei consumatori, di cui il 57,1% uomini. Eurispes racconta anche un’Italia sempre più animal-frendly, in cui un terzo della popolazione ospita un animale in casa e il 76,8% lo considera un vero componente della famiglia. Nelle nuove scelte alimentari, calano i vegetariani ed aumentano i vegani e le nuove tendenze dietetiche sono considerate a tutti gli effetti abitudini alimentari consolidate ben radicate, seguite come filosofia di vita dal 25,1%, per ragioni di salute dal 30,1%, per scelta etica dal 19,3% e dal 3,6% a tutela dell’ambiente. Tre italiani su dieci giocano con vincite in denaro (28,3%) e di questi uno su dieci lo fa online. Anche l’atteggiamento su adozioni e unioni per quanto riguarda coppie omosessuali è modificato in modo più aperto: il 50,9% si dichiara favorevole ai matrimoni tra appartenenti allo stesso sesso e il 31,1% ammette l’adozione a queste coppie. L’Italia si spacca anche sul tema dell’eutanasia: il 35,4% la considera un atto di clemenza a fronte di inutili sofferenze, il 32,7% la ritiene una scelta accettabile solo con il consenso del paziente, il 10,2% no l’ammette perché contraria alla tutela della vita e l’8,9% la definisce omicidio. Sul testamento biologico il 67,9% si esprime favorevolmente. 43,9% sì e 46,9% no sulla legalizzazione delle droghe leggere. Sul tema caldo dello stalking, il 14,8% degli italiani è stato vittima di stalking nel corso della vita e come ben sappiamo la prevalenza del genere femminile è evidente; il 14,5% dichiara di aver subìto molestie sessuali e stalking nell’ambiente di lavoro. Soltanto il 2,6% dei molestati denuncia il fatto. Dall’altro, continua a crescere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e ancor più il gradimento nei confronti delle forze dell’ordine. Dai dati emerge che 7 italiani su 10 credono nel loro lavoro quotidiano e risulta incisivo l’aumento del consenso tra i giovani tra 18 e 24 anni. Tra tutti, la prima forza dell’ordine risulta la Polizia di Stato, con 71,5% di consensi.

Fotogrammi di un’Italia che cambia e che vorrebbe stare a passo con l’Europa e il resto del mondo, consapevole ed orgogliosa dei propri patrimoni, ma anche titubante, restia a lasciare le proprie frantumazioni per posizioni unitarie decise e contrattualmente più potenti, seppur nel pieno rispetto delle differenze costruttive. Un’Italia che ha bisogno di rialzarsi e ricostituire un percorso comune e forte, attingendo alla propria storia, ai progressi e alle conquiste del passato, con lo sguardo rivolto soprattutto alle difficili sfide del futuro.

Ripoliticizzare l’economia passando per la sovranità popolare e statale

Al dibattito pubblico su “euro sì – euro no” mancava una base di dati, uno studio su cui elucubrare, o magari fare acrobazie sul trapezio delle ipotesi, e finalmente … ’20 Years of the Euro: Winners and Losers’.
Ma, nonostante i dati e come ricorda l’economista Giovanni Zibordi, in economia non esiste una metodologia standard come nelle scienze per cui ai report, ai paper e agli studi econometrici “si possono trovare approcci totalmente diversi e da qui discussioni infinite che lasciano il pubblico perplesso”. E allora ben vengano i prospetti e gli studi sull’argomento per aiutare la discussione, l’importante però è tener presente che le ipotesi restano ipotesi.
Del resto che l’euro abbia funzionato male e continui a farlo è la vita reale a dircelo, ma questo è tanto vero quanto è vero che è tutta l’impalcatura dell’eurozona a funzionare male e non sarà certo ad uno studio concentrato sul dato finanziario che cederemo l’onere di dimostrarlo.
A dirci che l’impianto non funziona è l’alta disoccupazione, le aziende che chiudono, i giovani che emigrano, il sistema pensionistico che viene messo in discussione, i salari che ristagnano da vent’anni, la disuguaglianza che cresce insieme al conflitto sociale e persino il fatto che la gente è costretta ad affidarsi alle promesse della Lega e del M5s per sentirsi meno sola. Un partito liberista da una parte, e quindi naturalmente contrario al primato politico rispetto all’economia, e dall’altra un movimento che confonde la democrazia popolare con il voto on line.
Fatti gravissimi nel loro insieme, e già di per sé sufficienti a dimostrare che le cose proprio non vanno nel verso giusto, aggravati dal fatto che la sinistra è incapace di ritrovare il suo spirito anti capitalista e soprattutto di antitesi all’attuale costruzione finanziaria e globalista.

I dati (finanziari)
È appena uscito il report del think tank tedesco CepStudy intitolato ’20 Years of the Euro: Winners and Losers’ che prova a quantificare quanto hanno guadagnato o perso gli stati che hanno aderito all’euro. Ebbene la Germania avrebbe complessivamente guadagnato dal 1999 al 2017 ben 1.893 miliardi di euro, ovvero 23.116 euro per abitante mentre quella che una volta avremmo chiamato “l’economia dei puffi”, ovvero i Paesi Bassi, che con l’euro sono diventati persino più influenti dell’Italia, avrebbero guadagnato 346 miliardi ovvero 21.000 euro per abitante.
L’Italia è, invece, quella a cui è andata peggio. Avrebbe perso, in questi 18 anni, qualcosa come 4.300 miliardi e 73.605 euro pro capite e l’effetto grafico è il seguente:

Le considerazioni politiche e di politica economica
Se l’economia fosse una scienza esatta, o anche solo una scienza, allora queste sarebbero le prove di un disastro. Ma, come dicevamo in premessa, nell’economia non c’è niente che non sia opinabile, tranne ovviamente in eurozona dove esistono addirittura le sacre tavole che impongono un tetto al deficit e uno al debito pubblico. Disastro di sicuro c’è stato, ma non per colpa dell’economia, che è incapace di far male se non lasciata agli impulsi primordiali del profitto, né per colpa della valuta euro, che come tutte le valute esiste se qualcuno decide che debba esistere.
Keynes diceva che l’economia va pianificata e a farlo deve essere lo Stato. Cioè lo Stato deve fare quello che un individuo non può fare. Cioè, appunto, pianificare l’economia in maniera democratica e che possa dare frutti per tutti.
La ratio dell’affermazione di Keynes, spiegata anche dallo stesso economista, è che lo Stato deve tenere in mano i controlli centrali per modificare e plasmare l’ambiente in cui deve operare l’individuo perché, se decide di non intervenire, allora l’economia perde la sua parte politica e quindi prende il sopravvento e la società comincia rincorrere la concorrenza, la privatizzazione e il profitto. Quindi una struttura in cui il più forte inevitabilmente vince. Tesi ripresa magistralmente anche dal prof. Ha-Joon Chang dell’Università di Cambridge per spiegare che l’economia funziona se è politica, cioè se è controllata e pianificata.
Sulla spoliticizzazione dell’economia e sui riflessi sulla società e sulla democrazia ha scritto, magistralmente e senza andare troppo lontano, anche il prof. Alessandro Somma dell’Università di Ferrara nel suo libro ‘Sovranismi‘ che avrò il piacere di presentare, insieme ad altri, il prossimo 12 marzo presso l’Ibs+Libraccio di Ferrara.
Ma ritorniamo al nostro report. I dati mostrano che nella struttura liberista dell’eurozona emergono i più forti, a danno dei Paesi che hanno modelli di sviluppo più partecipativi e improntati al “sociale”. Questi dati in realtà, e a ben vedere, non parlano di euro, di valuta, ma di un disastro sociale che viviamo tutti i giorni nella nostra quotidianità. Parlano di scelte che hanno portato all’abbandono delle persone a vantaggio di una élite disposta a vivere di esportazioni e vogliosa di plasmare le élite degli altri paesi europei sulle proprie linee guida.
Parlo di élite e non di stati perché il pil non mostra realmente o necessariamente il benessere di una nazione, perché il pil non è democratico né tantomeno il suo rapporto percentuale con il debito. Ed infatti in Germania, e nonostante il pil, il welfare non è più quello di una volta che è stato sacrificato alla competitività e alla deflazione salariale. L’export non porta benessere per tutto il paese ma solo alle aziende che lo praticano e agli operai che vi lavorano per il tempo che ne possono usufruire, perché l’export, si sa, dipende dalla domanda estera che per definizione non è controllabile dallo stato esportatore.
E forse per questo la Germania ha fortemente voluto il progetto europeo, per avere una domanda costante dagli stati satelliti (cioè dall’Unione Europea) e una domanda accomodante mondiale grazie al fatto che il valore dell’euro viene tenuto basso dai PIIGS (maiali) del sud. In pratica vendono almeno al 20% in meno rispetto ad un ipotetico marco, cioè la Bmw e la Mercedes costano almeno il 20% in meno ad un acquirente americano o italiano.
L’Italia in questo studio è stata paragonata a paesi ritenuti simili, Uk e Australia in primis.

E non a caso questi paesi dopo il 2008 hanno fatto una enorme spesa in deficit, cosa che gli ha permesso di risollevarsi prima e meglio dalla crisi post Lehman Brothers e senza cadere nella superstizione di problemi quali il debito pubblico e i limiti al deficit, superstizioni tutte da eurozona e in particolare italiane. Mentre noi perdevamo il 20% della produzione industriale e, secondo questo studio, un 40% di pil, i paesi “simili” agganciavano la crescita del debito semplicemente facendo crescere il pil che a sua volta cresceva perché si pompavano soldi nell’economia.
In questo studio si scopre che la Spagna è un loser meno perdente dell’Italia avendo lasciato sul terreno “solo” 224 miliardi di euro per 5.000 euro pro capite. Insomma la Spagna ha reagito molto meglio dell’Italia e quindi per qualcuno potrebbe essere la controprova che se l’Italia perde è semplicemente perché è poco competitiva rispetto agli altri. In realtà, come riportato anche da Giovanni Zibordi in un suo articolo che riprende a sua volta argomentazioni di economisti spagnoli, questo (molto) parziale successo è dovuto all’aumento della spesa per consumo. Infatti gli spagnoli hanno aumentato il loro debito privato fino ad un picco del 260% del pil, tornando poi al 210%, mentre l’Italia ha contenuto il debito privato intorno al 160%.
La contromossa spagnola alla crisi è stata di aumentare il debito pubblico che nel 2008 era al 45% fino al 100%. Questo per non aumentare le tasse e permettere alle banche di continuare a fare credito. Quindi se non puoi permetterti un surplus germanico delle partite correnti dovresti quanto meno permettere ai cittadini di spendere di più in altro modo evitando politiche recessive in un momento di crisi generale.
La Spagna, inoltre, ha mantenuto per anni deficit molto alti e ben al di sopra del fatidico 3% permesso dai trattati europei, almeno lì la ragion di stato ha evidentemente un senso.

Le conclusioni logiche
Quindi se le cose vanno male la colpa non è dell’euro, come non è delle bombe se esplodono o dei proiettili se uccidono. La colpa del disastro economico è la mancanza di attivismo politico da parte dei nostri rappresentanti e della perdita della visione dell’interesse primario della politica stessa: l’essere umano.
Un report interessante, ma vietato fermarsi alle considerazioni finanziarie. Da utilizzare per ravvivare il dibattito politico e un argomento in più per auspicare un allargamento alle ragioni dei cittadini, del sovranismo democratico come cornice e confine per la difesa dei primi 12 articoli della costituzione italiana (per iniziare) e per superare i limiti imposti dai Trattati Europei ad una sana, generale e reale ripresa economica.

in copertina illustrazione di Carlo Tassi

ARTE
San Giorgio e il drago: mostra di Scardino sull’eroe e i suoi mostri

La figura di San Giorgio con il drago ha un fascino particolare. Mette insieme il cavaliere integerrimo, corazzato e senza paura con tutto ciò che invece è spaventoso, leggendario e fuori controllo.

“Leggenda ferrarese” di Mimì Quilici Buzzacchi, 1943

Il critico d’arte e collezionista Lucio Scardino ne propone una mostra intitolata ‘Moderne devozioni – Il culto e il mito di San Giorgio col drago’ – visitabile negli spazi Mediolanum (via Saraceno 24, Ferrara) – che è gara di intuizioni e interpretazioni, disfida di creatività che dà il meglio della personalità di artisti contemporanei che operano tra Ferrara e dintorni e che si sono cimentati su questo tema in vista dell’esposizione. Agli artisti attivi sul territorio, la rassegna affianca personalità della storia dell’arte che su questo soggetto avevano lavorato in autonomia, com’è il caso della litografia di Mimì Quilici Buzzacchi del 1943 che mette in scena il duello tra santo e drago con una visione aerea e dettagliata di corso Martiri, accanto al muretto del castello di Ferrara, o del veloce schizzo a matita di Silvan Gastone Ghigi (1966) e del disegno a matite colorate di Alfredo Filippini (1976) con il guerriero nudo a cavallo che Scardino paragona a quelli rappresentati da Fidia sul Partenone.

Lucio Scardino con l’artista Daniele Cestari davanti alle opere di Alfredo Filippini e Daniele Ricciardi (foto Luca Pasqualini)

Nell’indicare il tema da interpretare agli artisti, Scardino è partito dall’idea che per una città come Ferrara che ha in San Giorgio il riferimento di patrono, la sua figura può rappresentare la vittoria dell’uomo sull’invasione mefitica delle acque.

“San Giorgio” di Gianni Cestari, 1990

Insomma una metafora figurata della bonifica che controlla e vince il dilagare delle paludi e delle umide contaminazioni malariche, tenute tuttora a bada dall’incessante attività di pompe e meccanismi di difesa idrovora. Ecco allora il delizioso San Giorgio di Gianni Cestari (1990) che il tema aveva evidentemente intuito e sviluppato in autonomia, con un piccolo olio su tavola dove l’acqua è protagonista, mentre del drago emerge solo un collo sinuoso e un’ala verdognola e frastagliata con la zampa del cavallo e la punta della lancia che si inseriscono appena nell’angolo in alto a sinistra del quadro. Giocoso, invece, l’inserimento del santo in cima a una nuvola che sovrasta la chiesa di Santa Francesca Romana nella stampa del grafico Claudio Gualandi (2017), dove – come sempre nei suoi disegni – i personaggi bisogna andarseli a cercare tra una miriade di gente e dettagli che popolano le sue rappresentazioni, e così pure Andrea Amaducci (2015), che ne fa un graffito di sapore fumettistico realizzato sopra a una cassettiera.

Lucio Scardino illustra il quadro a tecnica mista su tavola di Lorenzo Romani (foto Luca Pasqualini)

Di sapore più aulico la tela dal segno nebbioso, usurato e inconfondibile di Daniele Cestari che riprende l’iconografia di Albrecht Dürer, ma anche l’altorilievo in argilla di Leo Cattabriga (2003) e la sequenza di schizzi a sanguigna di stile rinascimentale di Pier Luigi Berto (2018).

“Cielo stellato sopra San Giorgio”, 2018, di Daniele Cestari
“San Giorgio uccide il drago”, 1504, Albrecht Dürer
“San Giorgio a Pontelagoscuro”, 2018, di Mauro Ruggeri

Che la si veda con ironia come fa Riccardo Guasco con il suo ‘San Giorgio fa pace col drago’ (2018) o Vilfrido Paggiaro che dipinge una specie di cartoon con la vendetta della dragonessa che si avventa focosa sul cavaliere in ‘Cuore di mamma’ (2018), in ballo c’è la razionalità determinata e composta che affianca la fantasia infuocata e dilagante. Non a caso, a cercarlo nelle biografie dei santi, del valoroso Giorgio non si trovano appigli storici, ma rimandi che ne fanno una figura leggendaria, presente nell’agiografia cattolica, ma pure nel mito, nelle favole, nelle credenze antiche d’Oriente e d’Occidente. Una metafora del bene che affronta e vince il male, ma anche del dualismo spirito-carne, conscio-inconscio, raziocinio-bestialità. Di fatto una rappresentazione figurata dello yin e yang e della contrapposizione notte-giorno, ombra e luce, istinto e controllo. A me questa iconografia ha sempre affascinato e con orgoglio l’ho sentita come riferimento personale, una figura doppia e solida, dove l’eroe esiste ed è riconoscibile nella misura in cui con la sua armatura ferrea, impenetrabile e inossidabile affianca il mostro con le sue ali colorate, il suo corpo di ghirigori squamosi e il suo spettacolare talento di sputafuoco.

Celato e protetto, il cavaliere affronta l’inaffrontabile e, tutto sommato, lo fa suo. È la forza controllata che si contrappone alla rabbia furibonda; la strategia calibrata e imperturbabile che riesce a dominare l’anima vulnerabile e furiosa che alberga nelle viscere di ognuno.

“San Giorgio” di Paolo Uccello, 1470, National Gallery, London

Paolo Uccello mi folgorò, da ragazza a Londra, con quella tavoletta esposta alla National Gallery, che allora mi apparve immensa ma che è solo poco più di 55 centimetri per 74, dove la fanciulla entra in scena a pari diritto portandosi il drago al guinzaglio, come ulteriore combinazione di contrasti tra la gentilezza e la furia da sottoporre all’ardito cavaliere.

A Lucio Scardino apparirebbe forse meno gradita, tant’è che nell’introduzione al catalogo – a mo’ di epigrafe – specifica “Vorrei essere al tempo stesso un drago e San Giorgio. Mai la principessa” ribadendo così il connubio indissolubile tra i due caratteri contrastanti che questa figura rappresenta e fonde, dove comunque l’uno esiste ed è riconoscibile nella misura in cui è presente l’altro.

Foto-servizio di Luca Pasqualini

Lucio Scardino al’inaugurazione
Taglio della torta con figura di San Giorgio
Lucio Scardino illustra la mostra

‘Moderne devozioni – Il culto e il mito di San Giorgio col drago’, mostra a cura di Lucio Scardino, sala Mediolanum, via Saraceno 24, Ferrara, 1 marzo-26 aprile 2019, visitabile dal lunedì al venerdì ore 9-13 e 15-19.


Per saperne di più sulla figura di San Giorgio si potrà ascoltare anche la conferenza di Lucio Scardino dedicata a ‘Moderne devozioni: una mostra ferrarese sul culto e mito di San Giorgio’, in programma lunedì 15 aprile 2019 alle 16.45 nella sala Conferenze della Contrada del Borgo di San Giorgio, via Ravenna 52, Ferrara con ingresso anche dal cancello di via Ferrariola, ingresso 3 euro.

PER CERTI VERSI
Un’amica al sole

Ogni domenica Ferraraitalia ospita “Per certi versi”, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione “Sestante: letture e narrazioni per orientarsi”.

ODE AL SOLE

io dio degli dèi
Il più antico e remoto culto
Approda nel nostro locus amoenus
Ci bagna i volti
Scalda dai vetri
Il freddo mondo che ci circonda
Ti guardo piena di luce
Sotto una cascata di luce
Entra il mare
Dentro di noi
Sotto di noi
Il soffice bianco
Gli scogli del dire
I ricci come punti
I pesci come virgole
Del trattato ecumenico
Che stiamo componendo
È azzurro
È smeraldo
Ci uniamo
Sotto la coperta delle onde
Sei lo specchio
Dell’eterno

POESIA PER UN’AMICA

Tu sai cosa mi piace
Con te mi beve la vita
E noi siamo un uomo e una donna
sotto la luna
Che parcheggiano la fantasia
A fianco del carro
Noi siamo due nuvolari
E a te piace la mia volatilità
La mia testa fra le nuvole
Il mio essere senza casa
Libero come tu sei libera

La mia mancanza di praticità

Le mie mani
che non sanno piantare un chiodo
Ma estrarre
Le note più belle del tuo cuore sì
Amica dai capelli neri

Come le ruote

Dei Sumeri

Se vinci con la destra, è la destra che vince

Si ganas con la derecha, es la derecha que gana”. Se vinci con la destra, è la destra che vince, è una frase che ha scritto Marco Damilano su ‘L’Espresso’ del 13 gennaio scorso ed è lo slogan usato nel Cile prima del golpe del generale Pinochet. Il direttore del settimanale ricorda che a dirgliela fu l’amico Paolo Giuntella, indimenticato giornalista Rai, cattolico democratico di razza, con un passato ai vertici dell’Azione Cattolica e fondatore della Rosa Bianca.
Il significato di quelle parole è che se si pensa di utilizzare la destra per vincere, alla fine sarà la destra a prevalere.

È successo un secolo fa quando l’agonizzante Italia liberale pensò di utilizzare la violenza fascista per regolare il biennio rosso e credette di farlo la Chiesa, così dicono gli storici, ritenendo che un regime autoritario avrebbe reso il tessuto sociale pronto e allenato per una sedimentazione gerarchica delle verità rivelate.
Impedire il traumatico cedimento fu anche il disegno di una vita di Aldo Moro, raccontato nel consigliatissimo libro di Guido Formigoni ‘Aldo Moro. Lo statista e il suo dramma’ (Il Mulino 2016). Una strategia politica per allargare le basi democratiche di una fragile Italia repubblicana con la formula dei governi di centrosinistra degli anni Sessanta, fino all’epilogo traumaticamente interrotto della Solidarietà nazionale nel 1978.
Un disegno perseguito per sdoganare lo status di interlocutori pienamente democratici prima ai socialisti e poi nientemeno che ai comunisti, passato lungo strettoie che solo a rileggerle viene la pelle d’oca e contro resistenze e diffidenze in settori della politica, Dc, Chiesa, vescovi, cattolicesimo, e ceti produttivi. Senza contare che nella seconda, fatale, mano tesa al Pci di Enrico Berlinguer, si aggiunse l’ostilità, e forse non solo, di Washington e Mosca (contraria solo all’idea di un partito comunista al potere per via democratica, sconfessando quella leninista della presa del Palazzo), in un mondo ancora dentro Yalta.

Naturalmente è sempre improprio fare paragoni con il presente, se non si vuole pagare pagare dazio a forzate semplificazioni.
Ma nel piccolo scenario politico di questi anni, la frase ricordata da Damilano non è forse rappresentata anche dalla parabola dell’italico centrodestra? Iniziato nel 1994 con la trionfale discesa in campo del Cavaliere di Arcore, sulle macerie della cosiddetta Prima Repubblica, dopo un paio di decenni il centrodestra non è ora nettamente sbilanciato a destra?
Una frase sul web attribuita a Umberto Bossi dice: “Berlusconi ha voluto sposare la Lega e ora deve eseguire gli ordini”.
A lungo Berlusconi ha minimizzato sulle esagerazioni leghiste fra rutti, usi impropri della Carta costituzionale e della bandiera tricolore, diserzioni – se non irrisioni – del 25 aprile, Ministeri del Nord, deodoranti spruzzati nei vagoni ferroviari a neri e immigrati, adunate celtiche alle fonti del sacro Po con tanto di ampolle, menefrego sulle quote latte comunitarie, questione meridionale a lungo impostata al suono di terùn, i campi nomadi trattati a colpi di ruspa, membri del Parlamento chiamati orango anziché per nome etc… Chi vuole può farsi un giro su Google digitando “Lega Nord insulti”, per vedere i risultati.

Folklore? Fatto sta che dopo anni di questa musica di sottofondo, i numeri elettorali tra Forza Italia e Lega si sono esattamente capovolti.
Si può certamente obiettare che analoghe parole in libertà si possono trovare in opposti schieramenti politici, ma questo non risolve il problema, semmai lo aggrava.
Il ragionamento si può applicare all’attuale governo giallo-verde. Le recenti elezioni regionali in Abruzzo e Sardegna ci dicono che i rapporti di forza tra Lega e M5S si sono rovesciati rispetto a quelle nazionali dello scorso 4 marzo: es la derecha que gana.
Tutti i recenti sondaggi danno il partito di Salvini, veleggiare oltre il 30%, mentre il movimento guidato da Di Maio – dicono ormai in tanti – ha perso l’anima (a patto che ci si metta d’accordo sul significato del termine).

“Può la nostra democrazia reggere a lungo – si chiede Gianfranco Brunelli (‘Il Regno’ 2/2019) – un governo frutto di un compromesso che mette insieme velleità autoritarie con elementi eversivi?”.
Da mesi Massimo Cacciari sta dicendo davanti a tutte le telecamere che bisogna arginare la sutura, per quanto contrattuale per il momento, di un esecutivo che – di fatto – sta unendo la via nazionalista (sovranista) con quella sociale (dalla sconfitta della povertà al reddito di cittadinanza).
È fin troppo evidente, anche solo lessicalmente, la gravità del monito lanciato dal filosofo, dal momento che si sta pericolosamente ricongiungendo lo spettro nazionalista-sociale.
Operazione che sta lentamente sedimentandosi in un’acquiescenza culturale, innanzitutto, che il direttore de ‘La Civiltà Cattolica’, Antonio Spadaro, ha definito di colonizzazione ideologica. “Una colonizzazione – dice in un’intervista (‘L’Espresso’, 3 febbraio 2019) – di intelligenza e cuore che ci porta, tra l’altro, a vedere in un pover’uomo affogato innanzitutto un potenziale nemico invasore. Questa è colonizzazione ideologica della nostra umanità. Una cultura della diffidenza come prospettiva privilegiata sul mondo – conclude – ha esiti drammatici”.

LA FOTONOTIZIA
Amélie Nothomb a Ferrara: “Leggere è trovarsi davanti a una concentrazione di realtà”

“Chi crede che leggere sia una fuga è all’opposto della verità: leggere è trovarsi di fronte il reale nella sua massima concentrazione, il che, stranamente, è meno spaventoso che avere a che fare con le sue eterne diluizioni”.

Amélie Nothomb a Ferrara (foto di Luca Pasqualini)

Basterebbe forse questa farse scritta da Amélie Nothomb nel suo romanzo ‘Antichrista’ (Voland, 2004) per capire il cuore della sua scrittura e il legame che unisce così tanto a lei i suoi lettori, che attraverso le sue pagine ritrovano se stessi, sciolgono i loro nodi o perlomeno li dipanano e li illuminano, sentendoli meno schiaccianti.

Incontro con Amélie Nothomb nel salone della Pinacoteca di Ferrara (foto di Luca Pasqualini)

Un legame forte – quello tra la scrittrice e le persone che leggono i suoi libri – che si è sentito intenso e palpabile mercoledì nel salone d’onore della Pinacoteca Nazionale di Ferrara. L’incontro è stato aperto dall’assessore comunale alla Cultura Massimo Maisto.

L’assessore Massimo Maisto all’incontro con Amélie Nothomb a Ferrara (foto di Luca Pasqualini)

La presenza a Ferrara ha un particolare significato: a tradurre i romanzi bestseller di una delle più rinomate scrittrici francofone è, infatti, una docente dell’Università di Ferrara, la professoressa di letteratura francese Isabella Mattazzi, ritratta con lei nella foto di copertina.

La Nothomb a Ferrara tra l’interprete e la sua traduttrice Isabella Mattazzi (foto di Luca Pasqualini)

La scrittrice Amélie Nothomb a Ferrara ha presentato il suo ultimo libro ‘I nomi epiceni‘, appena uscito in questo mese di febbraio per la casa editrice Voland.

Momento degli autografi di Amélie Nothomb in Pinacoteca a Ferrara, 27 febbraio 2019 (foto di Luca Pasqualini)

È il ventisettesimo romanzo che ha scritto in altrettanti anni. Nata nel 1967 a Kobe, Giappone, Amélie Nothomb ha trascorso infanzia e giovinezza in vari paesi dell’Asia e dell’America, seguendo il padre diplomatico di origine belga. Si è poi stabilita in Francia. Il suo primo libro ‘Igiene dell’assassino’ è uscito il 1° settembre 1992 per la storica casa editrice Albin Michel e si è affermato fin da subito come uno dei titoli più interessanti della narrativa francofona contemporanea. Da allora pubblica un libro all’anno, scalando ogni volta le classifiche di vendita. Ha anche ottenuto numerosi premi letterari.

Momento dell’incontro (foto Luca Pasqualini)
Ritratto di Amélie (foto Luca Pasqualini)

La diretta audio e video dell’incontro ferrarese con Amélie Nothomb si può ascoltare cliccando sul link della registrazione sulla pagina del quotidiano online CronacaComune del 27 febbraio 2019.

Pubblico di lettori (foto di Luca Pasqualini)
Intervento di una lettrice (foto Luca Pasqualini)

Servizio fotografico di Luca Pasqualini

Mafie al Nord tra Triveneto ed Emilia

È di inizio febbraio la vicenda del patrocinio e dell’uso gratuito del teatro comunale negati da Maria Scardellato, sindaco leghista di Oderzo, in provincia di Treviso, per una manifestazione con ospite don Luigi Ciotti, per timore che il sacerdote – fondatore del Gruppo Abele e di Libera Associazioni, nomi e numeri contro le mafie – potesse incentrare il suo intervento sul tema dell’immigrazione. Ed è cronaca di qualche giorno fa la notizia della ‘retata’ a Eraclea, comune del veneziano distante da Oderzo solo 32 chilometri: l’operazione della Magistratura veneziana, in raccordo con la Direzione Nazionale Antimafia, ha messo a segno “la più importante operazione contro la Camorra a Nord Est”, nelle parole del Procuratore capo Bruno Cherchi. Monica Andolfatto, cronista del Gazzettino e segretaria del Sindacato Giornalisti Veneto, sarebbe finita per ben due volte, si apprende dopo gli ultimi arresti, nel mirino della criminalità organizzata per aver parlato dei “casalesi di Eraclea”. Ora il prefetto di Venezia deve cercare di capire se la giunta di Eraclea può continuare a gestire il comune dopo gli arresti ordinati dal gip e il sospetto di infiltrazioni camorristiche nel territorio. Eraclea è a rischio commissariamento e potrebbe essere, come a suo tempo Brescello in Emilia Romagna, il primo Comune del Veneto sciolto per infiltrazioni mafiose.

Il prossimo 21 marzo, la XXIV edizione della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa da Libera e Avviso Pubblico, avrà la sua piazza principale a Padova e coinvolgerà il Veneto, Friuli Venezia Giulia e le province autonome di Trento e Bolzano.
Libera – si legge sul sito del coordinamento di associazioni – ha scelto Padova “per stare vicino a chi, nel Nordest, non si rassegna alla violenza mafiosa, alla corruzione e agli abusi di potere, per valorizzare l’opera di tante realtà, laiche e cattoliche, istituzionali e associative, impegnate in quella terra difficile ma generosa per il bene comune, per la dignità e la libertà delle persone”.
“Nel Nordest – e le tante inchieste giudiziarie lo stanno a dimostrare – la criminalità organizzata ha attecchito e prosperato con lo spaccio di droga, ma pure nel più recente traffico di rifiuti, nelle finanze, nel riciclaggio di denaro sporco con l’acquisto di immobili, fino alle redditizie sale scommesse”, ricorda don Luigi Ciotti.
L’obiettivo è andare a Nord Est per parlare di giustizia sociale, ambientale ed ecologica, per rivendicare il diritto a democratizzare lo sviluppo, utilizzandolo per garantire lavoro, difesa dell’ambiente e partecipazione democratica alle scelte. “Le vittime innocenti del Triveneto infatti non sono solo persone”, si legge ancora su libera.it, “ma interi luoghi distrutti e calpestati, esseri viventi e territori, sui quali i rapporti di forza possono essere ancora sovvertiti se mettiamo insieme la necessità di giustizia e l’urgenza della sostenibilità, senza lasciare nessuno indietro”.
Dal rapporto LiberaIdee, una ricerca sociale svolta su un campione nazionale dal coordinamento di Associazioni fondato da don Ciotti, risulta che per quasi la metà dei rispondenti veneti (45,3%) la presenza della mafia nella propria zona è marginale, mentre in meno di un caso su cinque è ritenuta preoccupante e socialmente pericolosa. Quasi la metà dei rispondenti (44%) ritiene che la corruzione sia “abbastanza” presente nel territorio veneto, mentre soltanto uno su dieci la ritiene molto diffusa. “Per i cittadini veneti che hanno risposto alla ricerca – commenta Roberto Tommasi, referente Libera Veneto – la mafia è percepita come fenomeno globale ma sotto casa nessuno la vede”.”E’ fondamentale – prosegue Tommasi – prendere coscienza del contesto criminale, premessa indispensabile per il contrasto alle mafie e alla corruzione. Per quanto efficaci, le sole misure repressive non basteranno infatti mai a eliminare il crimine organizzato nelle sue molteplici forme. Mafie e corruzione, prese insieme e alleate, sono un male non eminentemente criminale ma culturale, sociale, economico, politico. Occorre allora una grande opera educativa e culturale perché è la cultura che sveglia le coscienze”.

“Insegnare i dettagli significa portare confusione. Stabilire i rapporti tra le cose significa dare conoscenza”, affermava Maria Montessori. Forse la sindaca di Oderzo dovrebbe rivedere le priorità della sua amministrazione.

E l’Emilia Romagna? Qual è la situazione nella regione dell’operazione Aemilia, che ha dato origine a uno dei più importanti processi sulla criminalità organizzata al Nord?
Per quanto riguarda l’iter giudiziario dell’inchiesta Aemilia, il 24 ottobre 2018 la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza del 12 settembre 2017 della Corte d’Appello di Bologna, per gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato, emettendo quaranta condanne definitive e comminando un totale di oltre 230 anni di reclusione.

Reati sintomatici di criminalità organizzata registrati in Emilia Romagna nel primo semestre del 2018. Fonte: Relazione Dia 1. semestre 2018

E proprio grazie ad Aemilia, è ormai acclarato che “in Emilia Romagna, l’elevata propensione imprenditoriale del tessuto economico regionale è uno dei fattori che catalizza gli interessi della criminalità organizzata, sia autoctona che straniera, anche ai fini del riciclaggio e del reinvestimento in attività economiche dei profitti illeciti”, come si legge anche nella relazione semestrale della Dia (Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, 1 semestre, gennaio-giugno 2018).
La ‘ndrangheta, si legge nella relazione, ha “messo in atto, con pervicacia, un grave processo di commistione con l’imprenditoria”, prediligendo “l’infiltrazione sia del tessuto economico produttivo sia delle amministrazioni locali”. Il territorio dunque, non viene aggredito attraverso il predominio militare, ma “orientandosi alla corruttela e alla ricerca delle connivenze, funzionali ad una rapida acquisizione di risorse e posizioni di privilegio”. A Ferrara la Dia segnala la consorteria criminale dei Pesce-Bellocco di Rosarno.
Per quanto riguarda Cosa Nostra “negli ultimi anni non sono emerse risultanze investigative che abbiano fatto emergere un’operatività strutturata sul territorio delle famiglie”, mentre anche “la presenza della camorra risulta connessa all’infiltrazione nell’economia legale e al riciclaggio di capitali”. In particolare, si legge nel rapporto della Dia, “i monitoraggi delle attività imprenditoriali, propedeutici all’emissione delle interdittive antimafia o dell’iscrizione nelle cosiddette white list, hanno evidenziato infiltrazioni della camorra nel settore degli appalti pubblici, attraverso l’adozione di metodologie orientate a dissimulare gli interessi mafiosi”. E ciò avviene grazie alla “mediazione di imprenditori compiacenti”, necessaria per avviare investimenti e aggiudicarsi le gare di appalto di opere pubbliche. È “un modus operandi ricorrente principalmente per il cartello dei Casalesi, come emerso in occasione di un’operazione nel modenese che ha svelato anche un connubio tra sodalizi campani e calabresi. Restando ai Casalesi, questi sono stati segnalati soprattutto nella provincia di Modena, con diramazioni nelle province di Ferrara, Ravenna, Reggio Emilia, Rimini e Parma”. E rimanendo nella nostra città: “oltre al cartello dei Casalesi, un’indagine recente dei Carabinieri ha svelato l’operatività di elementi collegati al cartello napoletano dell’Alleanza di Secondigliano, dediti al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti”. Che sia il caso di alzare lo sguardo oltre il Gad per chiedersi da dove viene la droga che viene spacciata?

Per quanto riguarda i gruppi criminali di matrice straniera, “le investigazioni degli ultimi anni hanno fatto rilevare dei modelli di cooperazione tra sodalizi stranieri di diversa nazionalità, talvolta partecipati da pregiudicati italiani”. Non c’è alcuna segnalazione specifica sul nostro territorio riguardo la criminalità nigeriana, che in Emilia Romagna “si conferma attiva nel traffico di stupefacenti e nello sfruttamento della prostituzione in danno di donne provenienti prevalentemente dalla Nigeria, nonché nella consumazione di reati a carattere predatorio e legati all’abusivismo commerciale, specie nelle zone del litorale adriatico”. La relazione della Dia segnala poi nella nostra provincia, oltre che a Reggio Emilia e a Rimini, “la presenza della criminalità di matrice cinese”, attiva soprattutto “nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nello sfruttamento della prostituzione e della manodopera irregolare”.

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Il mondo dell’arte piange Mario Piva, scultore e imprenditore fondò la Stayer

Il mondo artistico e culturale ferrarese piange la scomparsa del maestro scultore Mario Piva che ci ha lasciati in nottata, poco prima dell’alba, dopo una brevissima malattia e a pochi giorni dal suo 88esimo compleanno, che avrebbe celebrato l’8 marzo.
Artista coerente, Mario Piva si è affermato attraverso un ponderato e geniale percorso di crescita, pervenendo via via a un alto livello di maturità con opere che hanno confermato la sua creatività e che lo pongono come uno dei migliori interpreti di una scultura di originale espressione. Numerose le mostre realizzate in Italia e all’estero, a dimostrazione della sua intensa e apprezzata attività. Ha lavorato per lasciare un segno, una traccia importante sul grande libro della vita e dell’arte. Presenta per la prima volta i suoi lavori nel 1977 a Palazzo Ducale di Pesaro per poi approdare al Castello Estense della sua città di Ferrara nel 1978 e al Palazzo dei Diamanti, nel 1987, quindi all’Università di Sarajevo, alla Casa di Raffaello ad Urbino, solo per citare alcuni dei luoghi più significativi. Il 15 ottobre 2005 venne inaugurata la sua tanto amata Collezione, a Ferrara, in via Cisterna del Follo 39, che contiene numerosissime sue opere e che diventerà anche un luogo polivalente con eventi culturali, letterari e musicali.
In permanenza a Ferrara vi sono alcune testimonianze di prestigio: “Il Cavallo” in rame di due metri e sessanta posizionato nella rotonda fra via Kennedy e via Bologna; “L’Abbraccio” in rame, di 4 metri, esposto nel giardino di Palazzo Massari a Ferrara; “Il Cristo” in rame di 5 metri posizionato sul sagrato della chiesa di Tresigallo e donato alla Comunità tresigallese; il Cippo commemorativo nella caserma di Comacchio, con la collocazione di un’opera scultorea alla memoria del giovane carabiniere Cristiano Scantamburlo, ucciso dal malvivente che aveva appena bloccato (anno 2009).
Da ricordare anche la sua figura come industriale, che nel 1958 ha fondato la Stayer, la fabbrica che fa parte della nostra storia ferrarese a pieno titolo, ceduta poi negli anni ’90.

La scommessa del Venezuela, una bomba per l’economia mondiale

Venezuela: abbiamo considerato tutto?

“Il Petro – si legge sul sito web dedicato https://www.petro.gob.ve/index.html – è uno strumento che consoliderà la stabilità economica e l’indipendenza finanziaria del Venezuela, unitamente a un progetto ambizioso e globale per la creazione di un sistema finanziario internazionale più libero, equo ed equilibrato”.
Il petro è una cripto valuta, è venezuelana ed è la prima controllata da un governo statale. Dal 21 agosto 2018 la Banca centrale di Caracas pubblica il valore del petro rispetto alle principali valute estere fissato ad un prezzo fisso di 60 $ e legato direttamente alle riserve di oro, ferro, alluminio, diamanti e petrolio. Ad oggi, in ogni caso, un altro fallimento del contrastato governo venezuelano in quanto impossibile anche solo capire quanto sia stato raccolto dalla sua sottoscrizione.
Un tentativo di Maduro, promosso in realtà già da Chavez nel 2009, di difendere le materie prime di cui il Venezuela è ricco e di svincolarsi dal dollaro. Ovviamente negli Usa fu subito impedita ogni transazione in petro e Trump rispose con nuove sanzioni, questa volta indirizzate all’oro (di cui il Venezuela è il secondo produttore al mondo). “Sono stati impediti tutti i rapporti commerciali con aziende connesse al settore aureo venezuelano e, di conseguenza, ora Caracas si trova in difficoltà nel ricevere certificazioni estere sulla qualità della materia prima” ha spiegato Vasapollo, docente di Politiche Economiche Locali e Settoriali presso La Sapienza, al seminario internazionale ‘Relazioni politico-economiche ed autodeterminazione dei popoli: la Nuestra America di Martì e la Patria Grande di Bolivar per una futura umanità’, tenutosi all’Università di Roma La Sapienza il 27 novembre 2018.
Le misure imposte da Trump hanno impedito l’acquisto di debito venezuelano, l’acquisto di titoli della società pubblica che controlla il petrolio, di ogni altra società venezuelana e di società partecipate dal governo di Caracas, nonché bloccato ogni finanziamento in dollari al Paese. In sostanza, il Venezuela è stato escluso dal mercato più grande del mondo (il dollaro rappresenta tra il 40 e il 60% delle transazioni finanziarie globali). “Ne hanno risentito, di conseguenza, le importazioni di cibo, medicinali, pezzi di ricambio e così via. Si tratta delle sanzioni più gravose che abbiano mai colpito un Paese latinoamericano nell’intera storia del Sud America, peggiori di quelle contro Cuba” ha aggiunto l’ambasciatore del Venezuela in Italia, Juliàn Isaìas Rodrìguez Dìaz, durante lo stesso seminario.
Seguire il vil denaro, anche nelle sue accezioni moderne ed elettroniche, aiuta a capire qualcosa in più dei tragici avvenimenti che si stanno susseguendo in questi giorni in Sud America e quel che vorrei fare con queste righe è stimolare la ricerca e l’approfondimento, senza dare giudizi.
Ripartiamo dall’inizio.

Le insidie al potere del dollaro

Stampare denaro non costa nulla da quando Nixon decretò la fine degli accordi di Bretton Woods, ovvero dal 1971. Fino ad allora per farlo bisognava avere dell’oro come sottostante ma già la Fed si era accorta che la guerra del Vietnam e la corsa agli armamenti avevano fatto sì che ci fosse in circolo un volume di dollari di 6/7 volte superiore al corrispettivo valore delle riserve auree.
Gli Stati Uniti ne stampano tanti e praticamente a costo zero, comprano beni e servizi in tutto il mondo, ma la Cina, la Russia e tutti gli altri pagano dollari veri per avere le stesse cose. Attualmente, il debito pubblico statunitense ha raggiunto il livello record di 21 trilioni di dollari, superando il 100% del Pil.
Questo vuol dire, nel caso unico degli Usa, che il mondo finanzia la sua spesa. Il mondo compra il debito USA perché questi possa comprare i beni che importa e che il mondo stesso gli vende. Non è difficile da capire, così come comprendere che lo possano fare solo gli Usa grazie al controllo militare del mondo. Ma come il sistema di Bretton Woods crollò quando alcuni paesi cominciarono a chiedere indietro oro al posto dei dollari, così il sistema attuale potrebbe crollare se alcuni paesi cominciassero a chiedere qualcosa di più reale del dollaro o, magari, semplicemente qualcosa di diverso, in pagamento delle proprie esportazioni.
Ergo, bisogna stare sulla difensiva e per tali motivi è interesse degli Stati Uniti, che ha, oltre ad un debito pubblico finanziato dall’estero, anche un deficit di bilancia commerciale che superava gli 800 miliardi di dollari nel 2018, mantenere politiche debitorie e far sì che la domanda di dollari sia costantemente sostenuta dall’estero perché con quei pezzi di carta ci paga i beni che importa.

Le insidie al potere del dollaro e gli assetti geopolitici

Questi sono un po’ dei motivi che rendono Maduro più detestabile di quanto magari sia davvero e si trovano anche un po’ di fondamenta per le sanzioni contro il Venezuela. Ma il pericolo viene anche da altri luoghi. Ad esempio, l’India ha siglato con la Russia il più importante contratto di difesa denominato in rubli dal 1991, come affermato ad Ottobre del 2018 dal vice premier russo Yury Borisov. Pechino sta scambiando energia con la Russia in yuan e spinge i suoi principali fornitori di petrolio in Arabia Saudita, Angola e Iran a fare lo stesso. La Banca di Russia in un anno ha incrementato la quota di attività cinesi nelle sue riserve auree di 48 volte. La Turchia sta cominciando a comprare grandi quantità di grano in rubli e le società petrolifere russe stanno cambiando la valuta dei contratti da dollaro a euro. Dal momento che la Cina è il primo importatore mondiale di petrolio, è logico che voglia acquistarlo nella propria valuta e quindi evitare le commissioni di cambio sulle transazioni. E la Cina insieme alla Russia parla di queste cose con Caracas, dato che il Venezuela dispone dei più vasti giacimenti di petrolio del pianeta (shale oil a parte), e comunque sembra che Pechino abbia già lanciato un contratto future sul greggio denominato in yuan.
Se un Paese vive di materie prime, come fa il Venezuela, non ha un gran futuro ma di sicuro una priorità strategica per la propria economia è limitare la propria esposizione al rischio valutario statunitense.

Le insidie al potere del dollaro, gli assetti geopolitici ma anche colonialismo, imperialismo e neoliberismo

Facendo di nuovo un passettino indietro, senza esagerare, arriviamo alla dottrina Monroe (5° Presidente degli USA) che sanciva, il 2 dicembre 1823, la supremazia degli Stati Uniti nel continente americano e sottolineava che gli Stati Uniti non avrebbero tollerato alcuna intromissione negli affari americani da parte delle potenze europee.
Dottrina contro il colonialismo da una parte, ma anche dottrina considerata come la primissima formulazione teorica dell’imperialismo statunitense. E in effetti la teoria fu rivista da Theodore Roosevelt (26° Presidente degli Usa) che la utilizzò come base per affermare una forma di egemonia sul continente americano, una specie di no fly zone, un protettorato sull’area centroamericana e caraibica, che durante la guerra fredda servì anche a giustificare interventi politici e militari statunitensi in America centrale e meridionale.
Da sempre la politica estera degli Stati Uniti consiste nel dividere il mondo in Stati amici e Stati canaglia, e di questi fanno parte tutti coloro che la pensano diversamente. Chiunque rischia di diventare un dittatore quando c’è bisogno di giustificare un intervento armato per avere l’approvazione e l’aiuto del mondo civilizzato e legato al potere del dollaro. Gran Bretagna e Canada in primis e poi Europa a seguire.
La sola vicenda dell’Iraq di Saddam Hussein, con annesse scuse postume di Blair, dovrebbe bastare per calmare gli animi sul Venezuela e stimolare quanto meno la prudenza. Personalmente ho dato un’occhiata ad alcuni cambiamenti che si sono avuti fin dall’insediamento del “dittatore” Chavez e mi hanno lasciato perplesso.
Utilizzando come fonte gli ultimi aggiornamenti del Ci World Factbook si osserva che la mortalità infantile in Venezuela passa dal 26,17% del 2000 al 12,2% del 2016; la linea della povertà è passata dal 67% del 1997 al 19,7% del 2015; il tasso di alfabetizzazione dal 91% del 1995 al 97% del 2016; il Pil pro capite in dollari americani è passato dagli 8.000 del 1999 ai 12.400 dollari del 2017.
Insomma ci sono altri aspetti da considerare per la comprensione del fenomeno venezuelano e della rivoluzione chavista che Maduro ha provato a portare avanti, che non dovrebbero escludere il potere, in pericolo, del dollaro. E poi gli assetti geo-politici, una considerazione globale di quanto successo in tutto il Sud America e le altre rivoluzioni contro le imposte dottrine neo liberiste o i rimedi già imposti altre volte dagli USA e benedetti dalla comunità internazionale chiamata ad essere coesa e solidale con la “democrazia occidentale”.

Per chiudere: “La guerra è una mafia”

Smedley Darlington Butler (1841 – 1940) è stato un generale statunitense insignito due volte della Medal of Honor, la più alta decorazione militare assegnata dal Governo degli Stati Uniti. Durante la sua carriera di marine durata 34 anni partecipò ad azioni militari nelle Filippine, in Cina, in America Centrale e nei Caraibi durante le guerre della banana. Guerre così soprannominate ad indicare una serie di occupazioni, azioni di polizia e interventi militari attuati dagli Stati Uniti nel Centroamerica e nei Caraibi tra il XIX secolo e la prima metà del XX. Il Generale ci lasciò questa frase, tra le tante: “Ho trascorso trentatré anni e quattro mesi in servizio militare attivo come membro della forza militare più agile di questo paese, il Corpo dei Marines. Ho prestato servizio in tutti i gradi commissionati dal secondo tenente al maggiore generale. E durante quel periodo, ho passato la maggior parte del mio tempo a fare l’uomo muscolare di alta classe per il Big Business, per Wall Street e per i banchieri. In breve, ero un racketeer, un gangster per il capitalismo, uno di quelli che ritirano il pizzo.
Ho aiutato la United Fruits (oggi Chiquita) in Honduras nel 1903; ho contribuito a ripulire il Nicaragua per la Banca d’affari Brown Brothers (oggi Bbh) dal 1902 al 1912. Nel 1914 ho reso il Messico un posto sicuro per i petrolieri americani. Ho portato la luce nella Repubblica Dominicana per gli interessi delle imprese della canna da zucchero nel 1916. Ho fatto in modo che Cuba e Haiti diventassero un posto accogliente per i ragazzi della National City Bank (oggi Citigroup Inc.), in modo che potessero rendere profitti. Ho contribuito a stuprare una mezza dozzina di repubbliche centroamericane a beneficio di Wall Street.”
E conclude “… potrei dare dei consigli ad Al Capone. Il meglio che lui sia riuscito a fare è stato operare in tre quartieri. Io l’ho fatto in tre continenti”.

in copertina illustrazione di Carlo Tassi

LA RECENSIONE
Le vie traverse della musica sublime

di Monica Pavani

Il pianista tedesco Alexander Lonquich, protagonista di un imperdibile appuntamento di Ferrara Musica lunedì scorso, prima di immergersi e immergere il pubblico in un concerto a dir poco alchemico, si palesa sulla pedana su cui il pianoforte attende imponente e con grande semplicità si rivolge direttamente al pubblico, dicendo che gli “hanno chiesto” di spiegare la particolarità del programma che propone per la serata. Fa un parallelo con youtube: avete presente – dice – quando si passano le serate a cercare un brano dopo l’altro che si ha voglia di ascoltare, fino a comporre la propria playlist adatta all’umore di quel momento? Ecco, l’accostamento dei vari autori è avvenuto proprio così, seguendo una logica ‘associativa’, e mettendoli tutti insieme – una grande squadra di grandi compositori – non è stato difficile scoprire che non solo si parlano a vicenda, ma anche rivelano l’uno dell’altro aspetti reconditi che magari erano sfuggiti in altri ascolti. Ecco perché il concerto reca il titolo ‘Affinità elettive‘: una forza magnetica attrae le opere tra di loro svelandone ‘sgabuzzini’ oscuri assolutamente stupefacenti.

Comincia dunque il viaggio di Lonquich nella musica, che parte da Stravinsky e arriva a Janáček, a dispetto di qualunque ordine cronologico o coerenza di genere. Perché si passa per esempio per un Grieg con il suo ‘Suono di campaneì del 1891 che – come ci allerta il pianista – sembra scritto cinquant’anni dopo. E accanto a un delicatissimo pezzo di Bruckner, ‘Erinnerung’, del 1868, si scatena il furore di Rachmaninov con il suo Preludio op. 23, dove le connessioni cerebrali si intrecciano in una danza sfrenata a tratti dilaniante. Ci sono attimi che aprono alla meditazione, altri che invitano ad affacciarsi sulla vita con un sorriso ironico e divertito. E Lonquich si muove da un umore all’altro, scalando pareti e scendendo per discese innevate o seccate dal sole. Tutto parla, come in uno spettacolare scenario naturale al variare delle stagioni. Questo è il tempo della musica, un ciclo continuo da primavera a inverno, senza che venga annotato il computo degli anni o ne resti traccia organica.
Ma è con le Variazioni Diabelli di Beethoven che il senso del titolo ‘Affinità elettive’ diventa ancora più lampante. Dice infatti Goethe nel romanzo omonimo: “In questo lasciare e prendere, fuggire e ricercarsi, sembra davvero di vedere una determinazione superiore: si dà atto a tali esseri di una sorta di volontà e capacità di scelta, e si trova del tutto legittimo un termine tecnico come affinità elettive”. Nel caso del grande Beethoven, gli ‘esseri’ sono da intendere come le infinite varianti dell’animo del compositore, ma anche le cascate di note che afferrano il valzer di Diabelli e lo plasmano in molteplici esplorazioni dove il tema iniziale tende a scomparire – tanto viene ricreato di volta in volta in sempre diverse armonie. Basta leggere la successione delle variazioni (Poco allegro, Grave e maestoso, Adagio ma non troppo, Piacevole…) per avere uno spaccato emotivo assolutamente esaustivo di ogni piega e riverbero dell’esistenza. Si ha l’impressione che Beethoven avrebbe potuto non mettere mai fine a questa serie di opere, e che – se come meritava – gli fosse stata donata davvero l’immortalità, avrebbe ideato sempre nuove formule di bellezza.

Lonquich tiene il pubblico in uno stato di incantamento, con il respiro quasi sospeso, e con l’ultima nota delle Variazioni si scatenano ondate di applausi che lo richiamano più e più volte alla ribalta, ottenendo l’esecuzione di ben tre bis, quasi a rimandare all’infinito il momento del commiato (e dunque la fine della musica).

LA FOTONOTIZIA
Gli Este tornano a Palazzo Costabili

La Corte ducale è tornata ad animare le sale di Palazzo Costabili in via XX settembre. E’ successo domenica mattina, nell’ambito delle iniziative in programma per il Carnevale degli Este, che riempirà il centro storico della città con maschere e personaggi della Ferrara del Rinascimento (leggi QUI il programma).

Ecco le foto scattate dal nostro Valerio Pazzi durante e due performance: ‘… al fin che gli astri siano propizi al nostro Signore e Duca…’ della Corte Ducale e ‘Eco e Narciso’ del Rione di San Benedetto (clicca sulle immagini per ingrandirle).

Meno debito pubblico non necessariamente vuol dire più benessere sociale

Il debito pubblico italiano è arrivato a 2.350 miliardi di euro mentre quello mondiale ha superato i 58.000 miliardi di dollari. Cifre enormi ma che allo stesso tempo non dovrebbero spaventare perché il debito pubblico non nasce per essere saldato, anzi la sua esistenza assicura che gli Stati stanno spendendo per il benessere dei cittadini. I dati di tutti gli indicatori mondiali confermano che un basso o inesistente debito pubblico corrisponde a un basso tenore di vita ovvero poca assistenza sanitaria, niente istruzione e risparmio assente.
Il debito pubblico mondiale nel suo complesso potrebbe essere tranquillamente coperto, da un punto di vista puramente contabile, dal fatto che il Pil mondiale supera gli 80.000 miliardi di dollari. Quello italiano, invece, attualmente non viene coperto dal Pil del Paese solo perché, da un trentennio, è al potere una classe politica non all’altezza dell’operosità dei suoi cittadini.
In ogni caso al di là del rapporto debito/Pil a cui siamo abituati a guardare, i 2.350 miliardi di euro sono comunque “coperti” finanziariamente dalla ricchezza dei privati residenti. Questa infatti supera i 4.000 miliardi, e tanto dovrebbe già bastare per dare solidità e ricevere giudizi lusinghieri da parte delle agenzie di rating, inutili e fastidiose mosche che vivono del cattivo odore delle società moderne.
In realtà il debito degli Stati non dovrebbe mai essere coperto dai cittadini e probabilmente nemmeno dovremmo pensare che debba necessariamente essere coperto finanziariamente da qualcuno, almeno quando si comprenda la differenza tra il finanziario e il reale. In ogni caso lo stesso Fondo Monetario Internazionale sollecita a che si guardi a tutti gli asset che uno Stato normalmente possiede, prima di lanciarsi in un confronto tra uno stock (debito pubblico) e un flusso (il Pil).
E allora si scopre che l’Italia ha ancora proprietà immobiliari, artistiche e, sempre secondo il ragionamento del Fmi, tubi fognari, strade, ponti e quant’altro di attivo a fare da contrappeso al passivo. Proprietà statali che hanno un senso e che dovrebbero essere salvaguardate anche in un’ottica neoliberista e di economia moderna, cosa che invece a partire dagli anni ’90 in Italia non è stato fatto. Abbiamo infatti rincorso il mito della privatizzazione a tutti i costi rinunciando a numerose proprietà, dalle banche alle industrie, che oggi avrebbero reso quel rapporto di cui parla il Fmi ancora più favorevole e confortante.
Ma c’è anche altro. Esiste anche il debito detenuto dalle banche centrali che in sostanza non è un vero e proprio debito, e la sua cancellazione è un fatto meramente contabile.
Procediamo con ordine.
La Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea (Bis) afferma nel Working Papers n.399 “Global safe Assets” del dicembre 2012 che “le Banche Centrali … sono state create per essere le banche del sovrano e i gestori del debito del sovrano. Per questo si potrebbe sostenere che le banche centrali furono create per rendere il debito pubblico un asset sicuro”. Ora, nei tempi moderni, il sovrano si identifica con lo Stato e quindi le banche centrali servono a rendere il debito dello Stato sicuro, esente da default e questo per la loro capacità di creare denaro.
Infatti, proseguendo il ragionamento con l’aiuto della Bce, nel documento n.169 dell’aprile 2016, dal titolo “Profit distribution and loss coverage rules for central banks“, nota n.7 a pagina 14, proprio la Banca Centrale Europea scrive che le Banche Centrali “sono protette contro l’insolvenza a causa della loro capacità di creare denaro e possono perciò operare con patrimonio netto negativo“. Cioè una banca centrale ha la capacità di creare denaro per cui può operare, a differenza di qualsiasi altra azienda, in negativo. Del resto, come potrebbe fallire finanziariamente chi può garantire il debito governativo in contanti e in pieno in tutti gli Stati del mondo? (cit. Benoît Cœuré del Comitato Esecutivo della Bce)
A questo punto però il Working Paper nr. 2072 del 2017, sempre della Bce, a pagina 4 e 5 nel confermarci quanto riportato in precedenza “… l’autorità monetaria e l’autorità fiscale possono coordinarsi per garantire che il debito pubblico denominato in quella valuta non sia inadempiente, vale a dire che i titoli di Stato in scadenza saranno convertibili in valuta alla pari, così come i depositi di riserva in scadenza presso la banca centrale sono convertibili in valuta alla pari…” specifica “… Tuttavia, sebbene l’euro sia una valuta fiat, le autorità fiscali degli stati membri dell’euro hanno rinunciato alla capacità di emettere debito esente dal rischio di insolvenza”. Cioè sebbene le banche centrali siano nate (nel mondo) per rendere sicuro il debito degli Stati e sebbene queste possano sempre garantirlo attraverso la monetizzazione dello stesso, i 19 paesi che hanno aderito all’eurozona … hanno rinunciato a questa possibilità.
Lo so, non sembra una cosa possibile ma è così ed è scritto, per cui se noi non possiamo ricostruire dopo i terremoti oppure non possiamo avere sufficienti ospedali e istruzione a livello Norvegia è semplicemente perché abbiamo scelto che dovesse essere così. La buona notizia a mio avviso è che, essendo stata appunto una scelta, si può di nuovo scegliere, magari in maniera più logica e più confacente alle esigenze dei cittadini piuttosto che a quella della finanza. E questa frase è ovviamente rivolta a chi si dovrà recare alle urne il prossimo maggio.
A questo punto: una soluzione immediata per abbassare il debito pubblico domani? Cancellare il debito detenuto dalle banche centrali. Come abbiamo visto, la stessa Bce scrive che le banche centrali possono in ogni momento monetizzare i titoli acquistati e quindi i quasi 400 miliardi in possesso dalla Banca d’Italia potrebbero essere trasformati in moneta e messi in circolazione attraverso programmi di lavoro temporanei, centinaia di opere pubbliche per mettere in sicurezza i territori e magari gestiti dagli Enti Territoriali con ferreo controllo centrale.
Il debito pubblico passerebbe da 3.250 a 1.850 miliardi di euro, portando il rapporto debito/Pil a poco più del 100%. Ma non sarebbe questa la buona notizia, in quanto esclusivamente un dato finanziario. La buona notizia è che la disoccupazione potrebbe passare dall’11% al 3 o al 4%, cioè potremmo avere un dato reale di riferimento per il benessere piuttosto che le solite alchimie contabili.
Un’altra buona notizia potrebbe essere che, passando dai dati finanziari a quelli reali come misura del miglioramento sociale, la vita potrebbe apparirci migliore di quella che solitamente sembra essere.

in copertina illustrazione di Carlo Tassi

Presentazione del libro “La lega Salvini. Estrema destra di governo” alla Libreria Ibs+Libraccio di Ferrara

Da: Ibs+Libraccio

Martedì 26 Febbraio alle ore 18:00, presso la storica sala dell’Oratorio San Crispino Libreria Ibs+Libraccio di Ferrara, Gianluca Passarelli e Dario Tuorto presenteranno il libro “La lega Salvini. Estrema destra di governo“. Dialogheranno con gli autori Giuseppe Scandurra e Sergio Gessi


«A livello internazionale la priorità è sgretolare questo euro e rifondare questa Europa. Sì, quindi, alle alleanze anche con gli unici che non sono europirla: i francesi della Le Pen, gli olandesi di Wilders, gli austriaci di Mölzer, i finlandesi… insomma, con quelli dell’Europa delle patrie» (Matteo Salvini)

Da tempo la Lega ha scelto di posizionarsi nell’area dell’estrema destra: una virata che ha consentito al partito di legittimarsi come forza trainante della coalizione conservatrice, tanto da stravolgerne l’assetto indebolendo l’area moderata. Nello scenario emerso con il voto del 2018 la Lega compete con l’altra formazione anti-establishment, il Movimento 5 Stelle, nel tentativo di monopolizzare il disagio economico e il disorientamento elettorale e di ricomporre, sul piano socio-territoriale, le istanze di cambiamento avanzate dagli elettori. Uno scenario inedito in cui due frères-ennemis si disputano l’egemonia politica e culturale in Italia.

Gianluca Passarelli è professore associato di Scienza politica nella Sapienza-Università di Roma. È ricercatore dell’Istituto Cattaneo e membro di ITANES (Italian National Election Studies). Tra i suoi libri ricordiamo «The Presidentialization of Political Parties» (Palgrave, 2015).
Dario Tuorto è professore associato nell’Università di Bologna e fa parte del Comitato scientifico di ITANES (Italian National Election Studies). Per il Mulino ha di recente pubblicato «L’attimo fuggente. Giovani e voto in Italia, tra continuità e cambiamento» (2018).

PER CERTI VERSI
Azzurri, malinconici versi

Ogni domenica Ferraraitalia ospita “Per certi versi”, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione “Sestante: letture e narrazioni per orientarsi”.

ODE ALL’AZZURRO

Ci sono diverse nature dell’azzurro
Variazioni sul tema del cielo
Sui quadri che si amano
Le sfumature della memoria
Quell’azzurro tu mi sei femminile
Appena pallido di foschia
Che sfuoca i contorni
E un mantello di bucaneve
Sorti dal tepore
Di un sogno di primavera
Te li offro come un dono di carnevale
Coriandoli di note blue
Che affondano
Nella mia voce
Sul pianoforte azzurro
della mia poetessa preferita
Le nostre ballate
Encomio di luce
Celestina
Il nome di una mia zia centenaria
Che visse tutto
Quel campo insanguinato
Dai papaveri del Novecento
E tu mi riporti ancora
All’indaco che smalta
Le unghie delle nuvole
Alte sottili
Come le tue labbra
Il vestito alla marinara
Che disegnò mio nonno
Per me in sartoria
Ti dono oggi
Che la tua bellezza
Mi preme
Ascoltare
No non si vede
A tratti solo
Appare

ODE ALLA MALINCONIA

No non poteva mancare
L’ombra sul mio cuore
Quella macchia che nessuno
Può togliere né cancellare
Nemmeno l’allegria
di cui è stretta parente
Lo sanno in pochi
Ma è patente e palese
Come anche il tuo cuore
seppur meno evidente
porta con sé quella macchia
Che li rende unici
Leggeri e pesanti
Assolutamente loro
Fuori dal coro
Dei cuori senza quella macchia
Tutti uguali non distinti
L’ombra mi accompagna
Si stira come un mantello
Anche se sogno
Tu ed io nel momento più bello
Mi fa sentire il tuo eterno vuoto
La tua infinita mancanza
L’autunno delicato
Della speranza
Ma sarebbe folle amore
senza quell’ombra
senza la sua macchia
La poesia non ha risposte
Se le ha
Per sé se le tiene
Non c’è felicità
che non sorga dal soffrire
Né amore
Che non sia
Un andare e venire
Dal cielo
O stare come NOI sul melo
Fiorito
O sì tu torni
È destino
Che ti invito