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L’Australia arde: Nuovo Galles del Sud, Queensland, Western Australia, Victoria, South Australia, l’1,4% dell’intero continente. 10,7 milioni di ettari raggiunti dal fuoco, 6.000 edifici distrutti, 100.000 sfollati e 28 vittime. Le stime riguardanti la fauna perita nelle fiamme è ancora approssimativa ma con numeri da brividi. Un bilancio ancora parziale, destinato a riservare dati tragici. Siberia, Artico, Amazzonia, California sono l’ultimo nefasto elenco di aree interessate recentemente da roghi violenti di proporzioni sconvolgenti.

Il fuoco fa paura tanto quanto l’acqua: due elementi primordiali vitali potenti che nel pieno della loro furia incontrollata travolgono e portano desolazione e morte. La storia ricorda incendi in insediamenti urbani, che lasciarono il segno per portata e conseguenze. D’obbligo citare la città di Roma del 64 d.C. che nella notte tra il 18 e il 19 luglio venne divorata dalle fiamme. Le vittime furono migliaia e 200.000 persone rimasero senza casa. Vittime furono anche i cristiani, accusati dall’imperatore Nerone d’aver appiccato il fuoco, martirizzati in gran numero. Nel 1212 un incendio devastò Londra e tra i 3000 scomparsi molti morirono bloccati sul ponte simbolo della città, accorsi là per aiutare a contrastare le fiamme. La stessa Londra, il 2 settembre 1666 fu invasa da un grandioso incendio partito in un forno di panettiere, la cui rapida divulgazione fu favorita dagli edifici in legno con tetti di paglia, la conservazione di polvere da sparo in molte case, il sovraffollamento urbano. Si creò una situazione di panico collettivo e per convincere la massa urlante a rimanere e collaborare allo spegnimento, vennero chiuse per ore le porte della città, imprigionando gli abitanti. 13.000 abitazioni scomparvero e sparirono 4 ponti sul Tamigi. Il fuoco mise anche fine alla grande peste di Londra perché i ratti perirono tra le fiamme.

Nel 1940 la città subì il cosiddetto ‘secondo grande incendio di Londra’: eravamo in piena guerra mondiale e la notte tra il 29 e il 30 dicembre, una delle più violente incursioni aeree della Luftwaffe tedesca – più di 100.000 bombe sganciate sulla città e i suoi dintorni – provocò 1.500 incendi che generarono una temperatura di 1000°C. I muretti si sbriciolavano, le travi di ferro si deformavano, il manto stradale era in fiamme. Le difficoltà nel reperire acqua per lo spegnimento rallentarono le operazioni e le vittime furono 40.000, altrettanti i feriti.

Era il settembre 1812 quando Mosca bruciò. Un fuoco che divampò velocemente a causa della tempesta di vento e durò cinque giorni. Truppe e cittadini erano scappati dalla città mentre Napoleone e il suo esercito entravano. Dietro quel fuoco c’era una  precisa strategia: l’ordine del governatore Rostopcĭn di far esplodere o incendiare edifici importanti, chiese e monasteri. Bruciò la Borsa e il Cremlino venne danneggiato solo in un’ala. Fu veramente responsabilità di Rostopcĭn oppure si tratta di incidente fortuito? La popolazione stessa volle questo? Mosca bruciò, scrive Tolstoj, perché era stata abbandonata.  Tutte valide ipotesi, forse concause che ridussero in tizzoni ardenti la città simbolo della Madre Russia zarista.

Negli annali statunitensi sono registrati tre grandi incendi tra il 1871 e il 1872: due di essi riguardano le città di Chicago (1871) e Boston (1872), il terzo, dimenticato e quasi rimosso, la cittadina di Peshtigo, Wisconsin. I primi due ricordati e citati per l’entità dei danni patrimoniali, l’altro per le circostanze e il numero di vittime. A Chicago, avvolta nelle fiamme, sparirono 120 km di strade, 17.500 edifici, 222 milioni di dollari di proprietà; a Boston si prospettò, l’anno successivo, una situazione analoga. Dell’incendio di Peshtigo si è sempre parlato troppo poco, quasi non meritasse la stessa attenzione di Chicago, seppure ambedue gli incendi fossero scoppiati stranamente lo stesso giorno. Un disastro dimenticato dalla storia, partito dalla foresta, abbattutosi nella cittadina nel giro di pochissimo come una grande tempesta di fuoco. I 2500 abitanti perirono consumati dalle fiamme o annegati nei pozzi in cui tentavano di salvarsi o, ancora, morti nelle acque del fiume per ipotermia, seppelliti successivamente in una grande fossa comune perché impossibile l’identificazione. Nacque in quell’epoca una teoria che mirava a giustificare l’incendio di Chicago e i diversi roghi scoppiati proprio in quei giorni nello Wisconsin e in Illinois, attribuendo i fenomeni all’impatto con la crosta terrestre di frammenti della cometa di Biela. Tutto da provare.

Nel 1917 ad Halifax, Nuova Scozia in Canada, il mercantile francese Mont Blanc, carico di esplosivo di ogni genere destinato al fronte europeo, si incendiò dopo collisione e andò a schiantarsi con la sua massa di fuoco nel porto della città. Nell’onda d’urto morirono all’istante 1600 persone presenti sul molo e in città, 9000 i feriti. La più grande esplosione pre-atomica che si conosca. Il fatto venne posto sotto censura militare per molto tempo. Molti altri disastri da fuoco riguardano San Francisco, in fiamme dopo il terribile terremoto del 1906 con ben 50 focolai che arsero per tre giorni distruggendo ogni cosa e Tokio, 1923, colpita da sisma e conseguente incendio. Molti rimasero intrappolati nell’asfalto incandescente senza possibilità di fuga e l’episodio più grave riguarda l’incenerimento di 38.000 persone in un vortice di fuoco a Rikung Honjo Hifukusho, dopo che si erano radunate in uno spazio aperto credendosi al sicuro. E come non ricordare l’incendio di Dresda nella Seconda guerra mondiale? Sulla città vennero scaricate bombe incendiarie pari a 2702 tonnellate, da parte dell’aeronautica inglese. Un inferno di fiamme, fumo, assenza di ossigeno, un bagliore avvistabile a 300 km, una temperatura di 200 gradi, 135.000 morti accertati ma molti non identificati perché irriconoscibili. Un macabro record di disumanità che non trova nessuna giustificazione militare.

Quel fuoco che nella mitologia è sacro, fonte di purificazione e trasformazione, attributo delle divinità più potenti e dei guerrieri più valorosi, diventa nemico, potenza distruttiva, portatore di morte, un incontrollabile temibile vendicatore delle nostre scellerate azioni.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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