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Non bastava quel tragico terremoto del 2010 con 230.000 morti e 300.000 feriti. ri: dieci anni di disordine, paura, precarietà, indigenza. Gli anni post catastrofe sono stati per Haiti altrettanto duri.
Era il 2004 quando prese avvio la missione di pace dei Caschi Blu, anche se la parola ‘pace’ è messa seriamente in discussione dai fatti di violenza emersi in tutta la loro gravità dopo il 2017, anno del rientro nei rispettivi Paesi dei contingenti dell’ONU. Il numero imprecisato (si parla di centinaia) ma comunque elevato di bambini nati da soldati della missione e madri haitiane, risultato di stupri e abusi, abbandonati dal padre una volta rientrato in patria e spesso anche dalla madre, è quanto si sono lasciati alle spalle coloro che erano arrivati per difendere, rassicurare, preservare.
La speranza di quella popolazione, trasformata in orrore puro. La missione doveva ripristinare ordine nel regime di anarchia, dopo che gli Stati Uniti avevano deportato il presidente haitiano Jean-Bertrand Aristide ed era guidata dall’esercito brasiliano con 2366 soldati, 2533 poliziotti, un migliaio di impiegati civili di 19 Stati, tutti dislocati in 10 basi diverse dell’isola caraibica. Provenivano da Cile, Uruguay, Argentina, Brasile, affiancati anche da soldati di altra provenienza, come Sri Lanka, Pakistan, Canada. L’Ufficio delle Nazioni Unite per i servizi di sorveglianza interna (OIOS) ha indagato e concluso che “gli atti di sfruttamento e abuso sessuale (contro minori) erano frequenti e di solito avvenivano di notte e praticamente in tutti i luoghi in cui era stato dispiegato personale contingente”. Si tratta di violenze su bambine e giovani, per qualche spicciolo o un piatto di cibo.
Già nel novembre 2007, 114 appartenenti al contingente dello Sri Lanka furono accusati di comportamenti sessuali inappropriati e abuso di 9 bambini. Vennero allontanati ma non sottoposti a giudizio. Nel marzo 2012, tre ufficiali pakistani vennero condannati per lo stupro di un ragazzo di 14 anni con problemi mentali a Gonaïves. Molte donne, ragazze e bambine hanno contratto l’AIDS e, in moltissimi casi, una volta rimaste incinte sono state abbandonate o allontanate dalle loro famiglie. Giovani vite rovinate per sempre, lasciate al loro destino. Pochissimi ‘padri’ che hanno aiutato le madri dei loro figli, hanno smesso di farlo una volta rientrati in patria.
Le alte gerarchie militari e gli organi preposti degli Stati coinvolti si giustificano ammettendo come sia difficile il controllo dei comportamenti dei soldati e altrettanto difficoltoso sanzionare chi è coinvolto. Tutto ciò è un po’ troppo per una popolazione che paga da una vita le conseguenze di un colonialismo selvaggio: da sempre sballottati tra proprietari terrieri francesi, mercanti di schiavi spagnoli, flotte britanniche, con le interferenze degli Stati Uniti nella politica locale e un’opinione pubblica internazionale – anche la ‘civile’ Europa – che, passata l’emergenza e l’onda di aiuti umanitari, abbassa l’attenzione. Uragani, massacri, epidemie di vaiolo, guerre civili e disordini, barricate, rivolte, saccheggi e confisca di risorse da parte dei colonizzatori: ecco la storia di un popolo provato e tuttora in ginocchio.
Anche in questi giorni domina il caos nell’isola e la protesta contro il presidente Jovenel Moïse ha raggiunto toni drammatici. Atti vandalici, estrema insicurezza, manifestazioni, incendi dolosi rendono il clima pesante e nei centri abitati è pericoloso circolare a causa dei proiettili vaganti che hanno già mietuto parecchie vittime. Conseguenza dell’aumento vertiginoso della circolazione di armi e del loro uso indiscriminato. Una rivolta di proporzioni enormi contro disoccupazione, esclusione, impunità e criminalità, corruzione, eccessiva spesa pubblica ingiustificata, deterioramento del potere, repressione, enorme divario tra pochi ricchi e il resto della popolazione in grave indigenza, brogli elettorali e un’inflazione insostenibile.
A Port-au-Prince nessuno si sente al sicuro. Gli haitiani non possono accedere ai beni di prima necessità per la loro stessa sopravvivenza perché materie prime come riso, farina, mais, fagioli, zucchero e olio vegetale hanno avuto un rincaro sul prezzo del 34% solo nell’ultimo anno. Ad Haiti si muore di fame e le vittime sono prime fra tutti i bambini al di sotto dei 2 anni. Medici e staff sanitari denunciano l’alto livello di denutrizione e alto rischio di mortalità. Ignorare tutto ciò, girarsi dall’altra parte, osservare senza fare nulla sono i peccati capitali che ci affliggono ed evidenziano il lato peggiore di un’umanità che ha fatto dell’insensibilità e del cinismo la propria bandiera.

 

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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