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Sono state già ampiamente indagate le ragioni della vittoria di Stefano Bonaccini e della coalizione di Centrosinistra nelle recenti elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna. Senza nulla togliere alle motivazioni da più parte addotte, a partire dalla rilevanza del ruolo esercitato dal movimento delle Sardine: vedi ad esempio, su queste pagine, le osservazioni per me in larga parte condivisibili formulate da Corrado Oddi [leggi qui], vorrei riportare l’attenzione su un aspetto che mi sembra sia passato troppo in secondo piano.

Una delle ragioni del successo di Bonaccini sta, inutile negarlo, nel sistema elettorale adottato in Emilia Romagna. Non solo per la possibilità, offerta all’elettore, di votare in modo disgiunto le liste e i candidati alla Presidenza, possibilità della quale hanno usufruito a conti fatti diverse decine di migliaia di elettori. Ma anche, e soprattutto, in virtù di un sistema elettorale che alimenta e premia la formazione di coalizioni a sostegno di un unico candidato Presidente. Il sistema elettorale adottato nella nostra regione, infatti, attribuisce in modo proporzionale, senza sbarramento alcuno, 40 dei 50 seggi complessivi sulla base dei voti riportati dalle singole liste; riserva comunque uno dei 10 seggi rimanenti al candidato Presidente arrivato secondo, e infine attribuisce alla coalizione vincente tutti i restanti 9 seggi se nel proporzionale ne aveva ottenuti meno di 25, oppure soltanto 4: in questo caso gli altri 5 vengono distribuiti proporzionalmente tra tutte le altre liste. In questo modo si ottengono contemporaneamente diversi risultati:

  1. Si rispetta un principio di rappresentanza, perché è relativamente facile anche per le forze minori ottenere un seggio, soprattutto se si partecipa ad una coalizione. Infatti la lista Europa Verde ottiene 1 seggio con meno del 2% dei voti e i Cinque Stelle, benché non fossero in coalizione, ne ottengono 2 con appena il 4,7%.
  2. Si favoriscono le coalizioni, il che significa dare piena espressione alle differenze legittimamente esistenti all’interno di ciascuno schieramento elettorale, ma al tempo stesso –  e senza necessità di ricorrere a precarie e improbabili aggregazioni – evitare una frammentazione eccessiva che renderebbe molto complessi, e a volte totalmente ingovernabili, gli esiti di moltissime delle consultazioni elettorali.
  3. Si garantisce sia alla coalizione di maggioranza la possibilità di governare, sia alle altre formazioni, singole o coalizzate, di avere i numeri per svolgere adeguatamente il proprio ruolo di minoranza.

Si tratta insomma di un sistema elettorale che tiene sufficientemente in equilibrio le due esigenze fondamentali di qualsiasi sistema democratico: rappresentatività e governabilità. Aggiungo che il termine governabilità può essere fuorviante, forse sarebbe più giusto parlare di responsabilità, perché chi vince ha prima di tutto il dovere di assumersi appunto la responsabilità di governare, senza doversi inventare soluzioni improbabili ma anche senza potersi nascondere dietro scelte di altre forze.

D’altronde basta fare qualche semplice calcolo ipotetico per rendersi conto di cosa significa. Con un sistema elettorale proporzionale con sbarramento al 5%, come quello nazionalmente concordato (almeno così sembra) dalle forze attualmente al governo, solo 4 liste avrebbero ottenuto seggi in Emilia-Romagna: PD, Lega, Fratelli d’Italia e Bonaccini Presidente. I voti riportati dalle due liste di Centrodestra sono praticamente pari (anzi un pizzico superiori) a quelli riportati dalle due liste di Centrosinistra. I seggi sarebbero equamente distribuiti: 25 al Centrosinistra e altrettanti al Centrodestra. Sarebbe quindi veramente complicato mettere in piedi un governo, a meno di mettere dentro tutti, oppure di contare su qualche defezione individuale.

Se invece si fosse optato per un sistema puramente proporzionale, senza sbarramenti, nessuno dei due schieramenti avrebbe verosimilmente avuto i seggi sufficienti a costruire un governo e quindi sarebbero diventati decisivi i seggi (probabilmente 2) conquistati dai 5 Stelle, mettendo questi ultimi in una posizione tale da poter dettare condizioni decisive ai possibili alleati, sfruttando un potere di condizionamento ben superiore al  4,7% ottenuto.

Si tratta, è chiaro, di un esercizio puramente teorico, visto che è facile obiettare che le scelte delle singole forze politiche o aggregazioni elettorali siano state influenzate dal sistema elettorale vigente e che in un altro quadro avrebbero probabilmente compiuto scelte almeno in parte diverse. Tuttavia credo che l’esercizio sia piuttosto esplicativo dell’efficacia o meno di un sistema elettorale.

Personalmente penso da molto tempo che il sistema elettorale preferibile, tanto più per un Paese come il nostro molto frantumato socialmente e politicamente, sia quello a doppio turno, sulla falsariga di quello adottato per l’elezione dei sindaci. Purtroppo, invece. in Italia si continua ad affrontare questo tema fondamentale in modo tatticistico e confusionario, essendo tutte le forze politiche impegnate ad inseguire opportunisticamente la soluzione che appare sul momento a loro più favorevole. Siamo così passati, in poco tempo e come se nulla fosse, da un estremo all’altro, da sistemi ultramaggioritari, che se ne infischiano di rappresentare adeguatamente le articolazioni di interessi e le diversità di pensiero esistenti nella società,  a sistemi ultraproporzionalistici, che obbligano poi a cercare di formare un governo attraverso complesse e spesso opache alchimie di palazzo. Fino a giungere al sistema elettorale attualmente vigente (il famigerato Rosatellum) che riesce mirabilmente a coniugare i difetti del proporzionale con quelli del maggioritario, garantendo al contempo scarsa rappresentatività e scarsa governabilità.

C’è un concetto che credo dovrebbe illuminare la Sinistra italiana, nella sua da tempo indispensabile opera di radicale rinnovamento, un concetto colpevolmente abbandonato 12 anni fa, dopo la caduta dell’ultimo governo Prodi: quello di coalizione. La Destra può pensare di tenere insieme le proprie differenze con un uomo forte, un leader. La Sinistra ha invece costituzionalmente bisogno di trovare un modo per tenere insieme le proprie differenze, le proprie articolazioni, senza negarle, ma mettendo in rete idee e conoscenze diffuse e costruendo un metodo di confronto permanente e – come ci hanno insegnato le Sardine – gentile e rispettoso, mai supponente.

Per questo credo che oggi sarebbe fondamentale promuovere sistemi elettorali che favoriscano e premino le coalizioni, come è appunto quello della regione Emilia Romagna. Anche grazie al quale – non a caso – le forze di Centrosinistra questa volta hanno vinto.

 

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Giuliano Guietti

Laureato in legge, sindacalista, ha ricoperto vari incarichi nella categoria dei chimici Cgil e da ultimo quello di segretario generale della Camera del Lavoro di Ferrara. Attualmente opera in Cgil Regionale Emilia Romagna.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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