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Certamente perdersi tra le vicende dei reali inglesi dona ancora un fremito che solo un certo tipo di giornali di cui mia mamma era ghiotta consumatrice sono capaci di provocare. Ma attenzione! Firme di grande rilievo aggiungono, in note stringate, il loro contributo alla storia regale che a me interessa solo per sapere – ma nessuno per ora dà notizia – quale è il grado di attaccamento dei pelosi reali, i Welsh corgi di Elisabetta, (tre ora in carica,) al principe ribelle.

Se anche la grande Natalia Aspesi, che fa arrabbiare l’amico Fiorenzo Baratelli per le sue non esaltanti recensioni filmiche – vedi quello a Tolo Tolo di Checco Zalone – traccia su La Repubblica un delizioso ritratto della coppia ingrata, e perfino il serio e a volte serioso Enrico Franceschini non si sottrae alla Megxit, bisogna davvero ammettere che il Regno Unito sta suscitando veri terremoti politici, sia con le azioni del furioso Primo Ministro dotato di una parrucchetta polendina notevole, sia per altri effetti più seri provocati dalla per me improvvida uscita dal concerto europeo. Non ultima risuona la minacciosa proposta di eliminare l’ Erasmus che garantiva, e ancora garantisce la possibilità di studiare in tutti gli stati europei – e non solo – attraverso questa provvidenziale regola d’accesso. Mi intristisce poi ricordare i frequentissimi viaggi e soste ad Oxford tra amici preziosi quali Federico Varese e Marco Dorigatti ormai lontani come s’allontana l’isola dei sogni intellettuali. Ma la zampata del leone britannico è sempre potente. Si veda l’ultima opera di Ken Loach, Sorry We Missed You, che considero uno dei più straordinari film prodotti negli ultimi anni.

E allora mi lascio trasportare tra i pettegolezzi di Corte che rafforzano l’idea presso i sudditi dell’importanza fondamentale della monarchia britannica, necessariamente scossa dai fatti che ne rinverdiscono il ruolo: da Lady Diana alla più antica vicenda di Wally Simpson, fino alle scelte di Harry il Rosso, di pelo ma non di idee, benché abbia sposato un’afroamericana.

Applaudo frattanto alla bellissima mise en scène proiettata sulla facciata della Cattedrale che dovrebbe, almeno perseguendo quell’idea, sostituire l’ormai insostenibile e noioso incendio del Castello che continuo a ritenere pericoloso e datato nella sua ipotetica ‘scandalosità’. S’annuncia un ricchissimo anno artistico sul quale sospendo il giudizio finché ne vedrò l’attuazione e i modi, mentre come il rintocco di un (piccolo) rimbombo beethoveniano s’avvicina il voto e la conseguente sorte dell’ un tempo rossa Emilia-Romagna. Ah la politica….

Ed ora, conclusa questa pausa diaristica concessa al mio amato Ferraraitalia ritorno ai seri lavori tra un d’Annunzio, di cui parlerò la settimana prossima nell’amatissima città a Cà Foscari, alle visite improrogabili a Milano, ormai capitale dell’arte, alle mostre di Canova e Thorvaldsen allestita dall’amico Mazzocca a quelle di de Chirico, de Pisis, e a quella della ‘ferrarese’ Francesca Cappelletti su Georges de la Tour .

E’ vero, però, che tenere in moto il cervello fa benissimo alla salute! Così è se vi/mi pare…

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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