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In attesa delle gocce di benessere, accontentiamoci dei numeri

Il Global Wealth Report 2021 del Credit Suisse ha esaminato l’impatto della pandemia di COVID-19 sulla ricchezza globale nel 2020. Il report, molto interessante, mostra una continua crescita nonostante i lock down e la crisi conclamata, il che ci porta sin dall’inizio a due conclusioni: la crisi era stata sovrastimata e i governi sono intervenuti in maniera tanto tempestiva quanto stranamente eccessiva.

In effetti anche questo ulteriore Report, che si aggiunge ai dati del Fmi e dell’Ocse, dimostra che la crisi pandemica non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella del 2008 ma che qui si è intervenuto talmente massicciamente, con incredibili iniezioni di liquidità, che la spinta alla ripresa è stata in pratica immediata, in particolare in Cina e Stati Uniti già dallo stesso 2020.

A livello aggregato, nell’anno della pandemia c’è stato un iniziale crollo tra gennaio e marzo del 4,4%, poi una continua corsa al rialzo che ha dato come risultato un + 7,4%. Aggiungiamo che nei mercati finanziari c’è stato un vero boom, la borsa di Milano è passata dai circa 16.000 punti di marzo 2020 agli oltre 26.00 di oggi, Wall Street da circa 18.000 punti agli otre 35.000 di oggi. Sulla stessa scia tutti i principali indici mondiali.

Le grandi aziende, in particolare quelle Hi-Tech, hanno dato risultati stellari. L’indice di riferimento di Facebook, Amazon, Apple e Google a cui si aggiunge Netflix, (Us Fang) è passato da marzo 2020 ad oggi da 2.500 a 7.500 punti. Queste aziende raggiungono oramai da sole una capitalizzazione di oltre sette trilioni di dollari.

Ma ad incrementare i guadagni, e quindi a far salire la ricchezza globale, ci sono anche Microsoft, Tencent, Alibaba e l’azienda automobilistica Tesla del miliardario Elon Musk. Un’azione Exor Spa (holding finanziaria controllata dalla famiglia Agnelli) è passata dai 35 euro di marzo 2020 ai 66 di dicembre 2020 e oggi è a quasi 80 euro.

Alla fine del 2020 la crescita complessiva della ricchezza globale segnava un incremento sull’anno precedente del 7,4%, cioè siamo arrivati globalmente a 418,3 trilioni di dollari.

Il Credit Suisse, bontà sua, ci informa che durante l’anno nero per la sanità mondiale sono stati dunque aggiunti 7,4 trilioni di dollari alla “ricchezza delle famiglie globali” e che “la ricchezza per adulto” è aumentata del 6,0% raggiungendo un nuovo record di 79.952 dollari. Potenza e miracolo delle medie aritmetiche.

La realtà è un po’ meno rosea ovviamente. Ed infatti non è così che l’aumento della ricchezza si distribuisce realmente nel mondo delle persone. Intanto varia di molto già la distribuzione regionale ed infatti, sempre nel 2020, la ricchezza totale è aumentata di 12,4 trilioni di dollari in Nord America e di 9,2 trilioni di dollari in Europa. Queste due regioni hanno rappresentato la maggior parte dei guadagni di ricchezza, con la Cina che ha aggiunto al piatto altri 4,2 trilioni mentre la regione Asia-Pacifico (escluse Cina e India) altri 4,7 trilioni.

La ricchezza totale è invece diminuita in India di 594 miliardi, ovvero del 4,4%, mentre in America Latina si è avuta la prestazione peggiore, con un calo della ricchezza totale di 1,2 trilioni, ovvero dell’11,4%.

A questo è doveroso aggiungere che gli individui che posseggono più di 1 milione di dollari (secondo i criteri di disponibilità che usa Credit Suisse) costituiscono solo l’1,1% della popolazione mondiale e detengono il 45,8% della ricchezza globale, cioè 191,6 trilioni di dollari. Il 55% della popolazione possiede, al polo opposto, solo l’1,3% della ricchezza globale, cioè 5,5 trilioni di dollari.

Credit Suisse prevede che nel 2021 la ricchezza globale continuerà a crescere, quella dei PIL nazionali che aveva visto un calo nel 2020, e secondo il Fondo Monetario Internazionale, raggiungerà i 93 trilioni nel 2021 superando i 100 trilioni nel 2022.

Come sempre possiamo continuare a sperare nel Trickle Down, cioè in quel sistema economico iniziato negli Stati Uniti da Reagan (e continuato da Bush padre, Clinton, Bush figlio, Obama e Trump) che prevede che l’unico modo per far arrivare qualche goccia di benessere ai poveri sia quello di riempire i bicchieri dei ricchi, fino all’orlo.

Joyce ed Emilio Lussu: storia di un’amore e di una passione civile

 

Sento a Radio 3 l’invito a leggere o rileggere “Marcia su Roma e dintorni” di Emilio Lussu.
L’ho letto e riletto in passato. Lo farei anche ora, ma dispero di ritrovarne una copia tra i miei libri. C’è di sicuro, ma dove? Lo ricomprerò. Il consiglio è buono. Alla radio hanno letto questo.
Il libro lo ricordo abbastanza. Lussu testimonia, in pagine di felice scrittura, l’irresistibile avanzata del fascismo nel decennio 1919-1929. Irresistibile anche perché chi doveva e poteva non ha resistito. Una sinistra litigiosa e miope è incapace nel primo dopoguerra di difendere lo stato di diritto, come nel secondo di costruire una democrazia migliore. Neppure oggi direi.

Nel dopoguerra Aldo Capitini, di fronte alle fratture e alle scissioni della sinistra, propone un piano sociale nel quale tutte le forze progressiste possano impegnarsi e ritrovare motivi di collaborazione. Ne scrive anche a Lussu.
Gli risponde la moglie Joyce: “28.2.47, Roma. Caro Capitini, Emilio è partito per la Sardegna e mi ha pregato di risponderti. Tutto quello che dici è giusto e sacrosanto ma le difficoltà cominciano dal primo accenno di tentativo di attuazione pratica. Come si fa a organizzare un comitato per il piano socialista, in cui entrino PSLI, PCI PSI e gli altri vari starnuti socialisti compreso il nostro, se tra nenniani e saragattiani esiste una così corrosiva acidità, che non è nemmeno possibile farli parlare tra loro? I blocchi che comprendano tutte le sinistre sono diventati un sogno ben difficile a realizzare dopo il congresso socialista. Vedi che in Sicilia ci siamo bloccati col PSI e il PCI, ma il PSLI e il PRI hanno recisamente rifiutato di aderire e si presentano per loro conto. Qui a Roma, per le prossime amministrative, situazione ancora peggiore: nessuno ci vuole e nessuno si mette d’accordo. In Calabria, dove sono andata a fare un giro per il partito, i comunisti mi hanno accolta in un paese al grido di <<Morte a Saragat venduto e fascista>>, chissà poi perché, dato che non ho mai nominato né Saragat né il PSLI. E purtroppo queste sono le direttive dal centro. Parrebbe più facile, ora, fare un blocco interno anarchico repubblicano che non un blocco delle sinistre. È una cosa spaventosamente triste, e certo noi continueremo a lavorare con tutte le nostre forze per l’unità socialista, ma con quali mezzi ci sarà dato incidere in questo senso non si vede ancora. Si cerca, si cerca, e si pensa con un senso di penosa ansietà alle prossime elezioni. Il 31 marzo c’è il congresso del PdA. Perché non vieni anche tu? Molto cordialmente, Joyce Lussu”.
Quel Congresso segna la fine del Partito d’Azione.

Qualcosa di Emilio Lussu ho scritto. Nulla dirò di Joyce Lussu, straordinaria per mille ragioni, non solo per il suo sostegno ai percorsi di liberazione degli oppressi, per il suo lavoro di scrittrice e traduttrice di fama mondiale, per il suo sapere coniugare bellezza e lotta concreta, efficace.
Emilio le dice di rispondere ad Aldo, sicuro che, anche in questo caso, lo farà come lo farebbe lui, se non meglio. Dirò dunque qualcosa solo del loro rapporto. Una biografia e bibliografia ragionata [Qui].

1932: Joyce, ventenne, è a Ponza dal fratello Max Salvadori, lì confinato. Molto, anche di lui, ci sarebbe da dire. Le consegna un piano per fuggire da consegnare a Emilio Lussu, già evaso da Lipari. Quasi una leggenda per Joyce. L’anno dopo a Ginevra lo incontra, ricercato dall’OVRA vive clandestino. Ha 22 anni più di lei.
È un colpo di fulmine senza seguito. Un rivoluzionario impegnato nella lotta non può permettersi impegni sentimentali. Sempre a Ginevra, 5 anni dopo, i due si ritrovano. Giunge pure Benedetto Croce, che curerà la stampa delle poesie della “signorina Salvadori”.

L’anno dopo Joyce ed Emilio sono a Parigi, clandestini, in un albergo per studenti. All’inizio del ’40 si considerano sposati, testimoni i compagni Emanuele Modigliani e Silvio Trentin. Già il 14 giugno, all’entrata dei tedeschi, lasciano Parigi. Sono ospitati a Tolosa da Silvio Trentin, A Marsiglia, con particolare impegno di Joyce, producono documenti falsi e organizzano partenze per i ricercati: Lisbona e poi Africa.

Nel giugno del ’41 vanno a Lisbona con documenti polacchi. Joyce, o meglio Anna Laskowska, aristocratica, conoscitrice di lingue, supera ogni difficoltà burocratica. A Lisbona sono francesi e organizzano una vasta rete con diversi fuorusciti.

Nel gennaio del ’42, con regolari passaporti inglesi, come coniugi Grienspan, sono a Londra per trattare di un piano insurrezionale che dovrebbe partire dalla Sardegna, propiziando la caduta del regime.
Sempre a tale scopo Emilio compie due viaggi, negli Stati Uniti e a Malta.
Intanto Joyce è addestrata all’uso della radiotrasmittente, dell’alfabeto Morse, di codici, cifrari, inchiostri simpatici, veleni e armi.
Il piano proposto non procede.
I due vengono riportati con un aereo militare a Gibilterra. Rientrano, ora coniugi Dupont, a Marsiglia, di nuovo falsari a favore dei profughi.

L’occupazione dell’intera Francia li induce a tentare il rientro in Italia attraverso la Svizzera. Sono intercettati. La perfetta conoscenza di Joyce, sia del tedesco che del francese, li salva. A Lione, ospiti di un giellista toscano detto Mostaccino, collaborano con la resistenza francese.
È Joyce, ora Marie Therese Chevalley a portare a buon fine, con documenti falsi da lei preparati, il passaggio in Svizzera del vecchio Emanuele Modigliani e della moglie Vera, ricercati dalla Gestapo.
Sempre a Lione, nella casa di Mostaccino, si incontrano, primavera ed estate del ’43, Amendola e Dozza per i Comunisti, Saragat per i Socialisti, Bedei per i Repubblicani, Lussu per Giustizia e Libertà; “Un comitato d’azione per la lotta unitaria del popolo italiano contro il nazifascismo e la guerra”.
Joyce rientra in Italia già a fine luglio, con passaporto regolare ottenuto dal consolato a Nizza. Emilio il 13 agosto. A Roma, occupata dai tedeschi, i due sono i coniugi Raimondi.

Da Emilio a Joyce

Il 5 e 6 settembre sono a Firenze, al primo Congresso del Partito d’Azione, nel quale confluisce Giustizia e Libertà.
Il 20 settembre Joyce oltrepassa a piedi il fronte, per conto del CLN. Le diffidenze nei suoi confronti sono vinte dall’arrivo del fratello Max, ufficiale della Special Force britannica,
Joyce manda per radio ai compagni del C.L.N. il primo messaggio dall’Italia liberata all’Italia occupata dai tedeschi. Incontra Benedetto Croce, ministro del Governo del Sud, per esporgli il punto di vista del CLN. Concorda, con l’aiuto del fratello, il primo lancio di armi ai partigiani. Ritorna a Roma, nonostante gli amici la sconsiglino, anche perché incinta.
Il 4 giugno 1944 gli alleati entrano in Roma. Due giorni dopo, Joyce ed Emilio si sposano civilmente per riconoscere il figlio in arrivo.

Emilio è nel ’45 Ministro nel breve Governo Parri ed eletto nel ’46 alla Costituente. Pure Joyce si è candidata sempre per il Partito d’Azione senza essere eletta. Nel 1947, allo scioglimento del partito, i Lussu entrano in quello socialista. Ne escono per fondare il Psiup nel 1964. Grande è l’impegno di Joyce in quegli anni, soprattutto in campo internazionale.
È il 1975 e Joyce annota: “Emilio morì ai primi di marzo, senza vedere l’inizio della primavera”. Muore il 4 novembre 1998. Le sue ceneri, con quelle di Emilio, sono al Cimitero degli Inglesi a Roma.

Qualche suo verso per finire con un auspicio.

Noi tutti così diversi,
noi tutti così uguali, possiamo forse aiutare a crescere
arbusti cespugli e boccioli
sparsi qua e là,
un giorno o l’altro ci daranno
fiori e frutti
per tutti
di mille forme e di mille colori.
Li raccoglieremo con grandi feste
In mazzi e ceste,
li appenderemo nei recinti
di etnie e di nazionalismi
artificiali
al posto delle armi micidiali
così care ai militari,
al posto di fasci di tratte e di cambiali,
così care agli usurai,
al posto di veleni globalizzati
che ci vendono ai supermercati
sostituendo alle chiusure
cancelli senza serrature. 

Nota: Questo articolo, con altro titolo, è uscito il 25 ottobre sull’edizione online di Azione nonviolenta

la rivoluzione, la rivoluzione – un racconto

 

c’eravamo noi, una volta, tutti intenti ad aspettare la rivoluzione in senso allargato con la bandiera di quel gran figo del Che, che era il nostro simbolo di lotta contro i genitori, contro i prof, contro i padroni delle fabbriche, intenti a trovare la libertà dalla religione, dal sesso, dallo studio, dal progresso che ci costava la natura, ci avremmo guadagnato l’ecologia, tutte quelle cose che erano importanti, allora, ci autogestivamo quando ci riuscivamo e occupavamo, eravamo tutti contro la polizia, eravamo tutti intenti a cercare di cambiare il mondo che non ci andava, se quello che ci sparavamo in testa o in vena ci piaceva molto di più allora lo inseguivamo, non la pensione, non le case-famiglia, non gli ospizi o come li chiamiamo oggi case di riposo, questi ragazzi ora sono tutti fannulloni, non hanno ideologia, non hanno spina dorsale, tranne mio nipote, forse, dove sono i nostri tempi?

dove sono andati, piegati in valigie che trasporteremo con le rotelle fino in camera nostra, dove ci lasceranno questi infami rammolliti? perché mio nipote ha problemi, invece, lui non è così, eravamo lì a creare un futuro e ora sono qui a lamentarsi di non riuscire ad arrivare a fine mese, loro che hanno sempre avuto tutto, dove lo hanno messo, forse lo hanno venduto, hanno venduto le ‘madonne d’oro’ che gli abbiamo regalato al battesimo per pagare le cambiali, idioti, massa di fannulloni, andate ad arrabbiarvi in piazza come facevamo noi, perché non fate nulla? state a comprarvi il televisione a schermo piatto, e non riuscite a comprarvi il pane, eravamo lì noi a cambiare tutto, ora siamo chiusi negli ospizi a farci prendere a schiaffi dalle infermiere, e voi? non fate niente?

– sono stato uno sciocco ad andare giù in piazza oggi, a protestare contro la riforma della scuola e del lavoro, questa legge di stabilità fallita, sono instabile io, nelle riprese della tv non sono venuto poi molto bene, insieme agli altri, tutti ammassati, come potevamo uscir bene, avessero almeno ritoccato le immagini con Photoshop, e la rai, e mediaset, altro che televisioni nazionali, sono degli impostori, non sono capaci neppure a fare delle interviste decenti, che qui sono diventati tutti prossimi alla rivoluzione, prossimi a spaccare le vetrine dei negozi, a strappare le marche dalle merce, cazzo, per poco ho mancato la serie in tv, che sfiga, ci siamo persi il video di Caparezza, gli articoli che lo criticano, che poi non sono mai le stesse persone, allora bisogna difenderlo, è un grande Caparezza, andare su you tube a dire la propria, contro quelli di Amici, che ci hanno rotto, meglio Caparezza, la musica è rivoluzione

– sono stato un vero sciocco a venire qui, intanto la polizia che ci ha caricato ha goduto più di noi, e non c’erano quelli con i passamontagna a difenderci o a fare casino, o a spaccare i bancomat, io non li ho mai visti, non ho mai capito se ci fanno o ci sono, in tv dicono che sono dei criminali, facinorosi, spaccano tutto, ma sono di destra o di sinistra? quale destra, quale sinistra? sono stanco, vengo qui in mezzo ai cortei per protestare, mica per vedere gente che sfascia tutto, voglio protestare con ordine, voglio guardare le belle ragazze, prima di tutto il rispetto per gli altri, voglio spaccare le linee nemiche, però sono stato uno sciocco, la prossima volta lascio il video recorder accesso, magari mi registro la nuova puntata, senza spoiler, oppure chiedo al mio vicino, ehi, ascolta sai per caso se in streaming trovo la puntata di…

tu non sai di cosa parli, sei sempre lì ad aspettare che qualcuno ti dica cosa guardare, cosa mangiare, cosa pensare, lì di fronte al computer, ad aspettare di capire quale modello di i-phon val bene una notte, non capisci le mie esigenze ho bisogno di fare un figlio, che a breve non potrò più, mi va in cancrena quella parte del corpo che ancora sopravvive a stento, prima che sia troppo tardi, dobbiamo fare un figlio e tirarlo su come Puffy che è così amato, non lo vedi, spazzolo il suo pelo una volta al giorno e gli compro solo la pappa migliore, lo so, lo sento che tu non pensi ad altro, però un figlio, un figlio è diverso,

diamo vita a una generazione nuova di zecca, una generazione che si ripete, il nostro futuro che si manifesta, finalmente, non credi? questo presente che continua a non cambiare, ho il corpo che sta morendo di speranza, solo un paio d’anni e non avrò più l’occasione, è come uno sconto all’unieuro, dobbiamo battere forte adesso, questa rivoluzione della coppia, prima di stancarci di fare all’amore in maniera tradizionale, che poi ci viene di essere speciali, meglio speciali che morti, siamo ancora in tempo, sbrigati, non cominciamo con lo scambio di coppia, lo scambio d’amore, ce lo siamo venduto insieme all’emancipazione, lavoro io, ora fino a quando farò un figlio, poi solo calci dal capo, un figlio, un figlio è diverso, non credi?

– è stato trattato come un pupazzo, un burattino lui, assieme a loro, li abbiamo svenduti per bene, tremila euro per il tragitto, credeva che sarebbe arrivato con la sua famiglia in un paese migliore, non so cosa ci sia di migliore in Italia, credevano che avrebbero trovato un lavoro per sfamare i loro figli qui, invece sono arrivati per stare nelle baracche, per chiedere un sussidio che nessuno in tempo di crisi riceve, neppure gli italiani, figurati loro, figurati lui con la sua famiglia di ‘negri’, di poveracci, ma noi ci abbiamo guadagnato tremila euro a persona, e abbiamo buttato a mare gli zaini con l’insulina, e ora loro sono stati trattati da fantocci, lui è morto in fondo al mare assieme alla sua famiglia di ‘negri’, e non cercavano la rivoluzione, loro, non sapevano.

– ho letto un libro interessante, mica come quelli che stanno ore e ore su facebook, i libri non sono tutti uguali, quelli che leggo io sono molto meglio, dicono che ce ne sono altri di interessanti, li vendono sui siti specializzati con lo sconto del 15%, ma non sono di qualità, se li compri on-line, ci sono quelli di qualità che sono pochi, pochissimi, un 10% grandi case editrici e meno del 5% piccole case editrici, chiudessero tutte le collane, me lo auguro che finiscano tutte male, sprofondassero tutte in fondo al mare, insieme agli editori, ai commercianti, ai trasportatori, ai grafici, ai critici, a tutti quanti, solo così si potrà rivoluzionare il sistema cultura, facciamo come il sindaco di Venezia, buttiamo a mare certi tipi di libri che non fanno bene ai bambini, siamo tutti bambini, abbiamo bisogno di libri di qualità, ma io no,

io ho letto su questo libro che sono speciale, gli altri che non l’hanno fatto si freghino tutti, poi dicono che c’è la crisi, ovvio, avete visto che libri che circolano in giro? non dovrebbero, non sono ‘fascista’, sia bene inteso, lo dice il mio amico che di libri qualcosa ne capisce, e io lo ripeto, che la storia che mi ha raccontato mi ha convinto davvero, fino a domani almeno, poi ci vorrebbe solo una bella pulizia, che permetta di pubblicare solo libri di qualità, stipendiare gente che ne sappia davvero di libri, non quello che mi ha denigrato sul blog di letteratura, dice di essere il curatore di certe collane, ma è sbagliato, non lui, sarebbe meglio che cambiassero tutti i dirigenti, meglio che a decidere di libri di qualità ci fosse il mio amico, che lui davvero ne capisce o io al massimo.

– avere tutti difficoltà a concentrarsi, a rimanere in piedi nonostante si sia rinfrescato il clima, il caldo lo si sente dentro, il surriscaldamento di una notizia bomba che scoppia, che subito si è a catapulti in rete, per vedere se c’è qualcuno con cui parlare, c’è questa difficoltà a incontrarsi per strada e mi raccomando non toccarsi che si prende l’aviaria o forse la scabbia, sono arrivate con gli immigrati, mentre a esportare la paura di toccarsi ci siamo solo noi, voi siete quelli che ad avere la difficoltà di concentrarsi, poi prendete il supradyn mattina e sera, che mancano abbastanza sali minerali, e invece della banana troppo plebea, avete inventato il gatorade, con lo sviluppo, la ricerca,

l’invenzione rivoluzionaria, che cambierà il vostro modo di vivere, di mangiare di concentrarvi, sulle partite di pallone, sulle gare di temptation island, chi resiste di più a cornificare l’altro, è una ricerca di mercato, lo sapete come vanno certe cose, è uno sviluppo delle dinamiche di coppia, voi fate l’esperimento e non calcolate i risultati, lasciate lì le statistiche sociali, avete difficoltà a fare quattro + quattro senza il ginseng in pillole, sicuramente è più efficace quello di marca che quello in polvere da sciogliere, voi avete difficoltà a stare in piedi, morite dal sonno, nel sonno in cui vivete

– te ne sei sempre fregato di me, pensavi solo alla tua ‘fabbrichetta’ a quanti milioni ci potevi tirare su, a quanti operai avresti potuto fregare, mentre io sono diversa da te, da tutti i tuoi conti, dal tuo bilancio finito che a fine anno chiude sempre in positivo con il pronto intervento del commercialista, sono un’artista, cosa credi, scrivo per una rivista di moda, sono una fashion blogger, io creo e non voglio saperne dei tuoi miliardi, creo per un’intera sfilata di moda e poi la promuovo, solo così cambierò il mondo con il mio stile, è inconfondibile dice la testata giornalistica, te ne sei fregato anche della mamma, che le riusciva solo di farsi regalare gioielli al posto delle mutande che non le sfilavi, almeno non a lei, ora ho altri bisogni e necessità,

tu non puoi capire il mio mondo e io non capirò mai il tuo, uscirò con la macchina che mi hai regalato e andrò in discoteca, questo è il mio campo di confronto, non certo quel capannone con quell’enorme puzza di agenti chimici, sei tu che mi hai portato a questo punto, sei tu la mia droga, anche se quella buona me la faccio arrivare dal miglior laboratorio, amici fatti grazie alla moda, grazie all’arte e alla creatività, rivoluzioneremo lo stile, e tu cosa puoi capire, stai pure con le tue puttane, con i tuoi operai, ti sfilerò qualche centone nel sonno, sporchi soldi, ci sputo su, capitalista, sporco capitalista

– era al centro dell’attenzione, la notizia che predica le loro idee, affascinanti come allora, infatti lo sono adesso, che i giornalisti sono pronti a dirti tutta la verità di cui sono in possesso, tutto quello che ci è dato sapere, parzialmente compreso da te, parzialmente offerto da loro, che sembrano uscire come topi nella notte, a tirare su manifesti nuovi per ogni nuova protesta fantascientifica, l’imminente uragano, l’imminente presa di potere, l’imminente crisi, l’imminente guerra, e poi ti mettono in bocca le parole che ti sei faticosamente cercato su internet o in tv,

un’improvvisazione da predatori e la tua ricerca non va a buon fine, in cerca di novità, chi mai sarà quel nuovo conduttore, c’è chi presenta le notizie e lo hanno già notato per fare un film hard da scaricare su you porn, ah, che rivoluzione, la rivoluzione che non c’era o che c’è sempre stata, la circonvoluzione delle idee, di notizie troppo condivise, la rivoluzione è uno stile, un libro, un giornale, un padre, una madre, una manifestazione, la rivoluzione è nel passato o dentro uno ospizio futuro, nella mente di chi non ce l’ha fatta, nelle strade, sulle carrette del mare, ah, la rivoluzione, la rivoluzione è solo un giro intorno al sole, un cambiamento repentino di stagioni.

LA POESIA E L’EMOZIONE:
i ragazzi dell’Einaudi a l’Ultimo Rosso.

Un folto gruppo di ragazzi dell’Istituto Einaudi di Ferrara, accompagnati dai docenti Roberto Paltrinieri e Cecilia Bolzani, la mattina del 16 ottobre scorso, hanno partecipato all’incontro finale di poesia l’Ultimo Rosso tenutosi presso il giardino della Biblioteca Ariostea. Il progetto partito dalla lettura della poesia Possibilità del premio Nobel Wislawa Szymborska, ha stimolato la creazione poetica da parte degli studenti che, ispirandosi alla poesia, hanno elaborato i loro testi.
E’ stato un momento emozionante per tutti i partecipanti e per il pubblico, dimostratosi molto attento. La prova, ancora una volta, che la poesia è un linguaggio universale, la strada per esprimere quanto si muove dentro ognuno di noi.
(La redazione)

ULTIMO ROSSO 2021
Stiamo sviluppando un percorso volto ad imparare
ad apprezzare il testo poetico.
Ci siamo avvicinati alle figure retoriche,
abbiamo compreso che il linguaggio della poesia
è connotativo, polisemico, allegorico…
Ho chiesto ai miei studenti di leggere, analizzare,
parafrasare, scomporre e ricomporre frasi, parole,
campi semantici, schemi metrici…
Finché un giorno ci è stata proposta la lettura di
“Possibilità” di Wislawa Szymborska.
Il testo è stato per noi un trampolino di lancio
verso la creazione poetica.
Abbiamo accettato la provocazione
e così anche noi abbiamo vissuto l’emozione,
la discesa e la risalita
la pausa, il ritmo, la verità del testo poetico.
I miei studenti si sono scoperti poeti:
quelle che vi proponiamo sono alcune delle
loro creazioni.
Si sono guardati nel cuore,
si sono lasciati portare dalle immagini,
si sono fidati e ci hanno donato
qualche loro segreto.
Ma soprattutto, increduli, con l’entusiasmo
e la fiducia della loro giovane età,
hanno sperimentato un momento di
intensa poesia.
Cecilia Bolzani

Possibilità
Preferisco il cinema.

Preferisco i gatti.
Preferisco le querce sul fiume Warta.
Preferisco Dickens a Dostoevskij.
Preferisco me che vuol bene alla gente, a me che ama l’umanità.
Preferisco avere sottomano ago e filo.
Preferisco il colore verde.
Preferisco non affermare che l’intelletto ha la colpa di tutto.
Preferisco le eccezioni.
Preferisco uscire prima.
Preferisco parlar d’altro coi medici.
Preferisco le vecchie illustrazioni a tratteggio.
Preferisco il ridicolo di scrivere poesie, al ridicolo di non scriverne.
Preferisco in amore gli anniversari non tondi, da festeggiare ogni giorno.
Preferisco i moralisti che non promettono nulla.
Preferisco una bontà avveduta a una credulona.
Preferisco la terra in borghese.
Preferisco i paesi conquistati a quelli conquistatori.
Preferisco avere delle riserve.
Preferisco l’inferno del caos all’inferno dell’ordine.
Preferisco le favole dei Grimm alle prime pagine.
Preferisco foglie senza fiori che fiori senza foglie.
Preferisco i cani con la coda non tagliata.
Preferisco gli occhi chiari perché li ho scuri.
Preferisco i cassetti.
Preferisco molte cose che qui non ho menzionato
a molte pure qui non menzionate.
Preferisco gli zeri alla rinfusa che non allineati in una cifra.
Preferisco il tempo degli insetti a quello siderale.
Preferisco toccar ferro.
Preferisco non chiedere per quanto ancora e quando.
Preferisco considerare persino la possibilità
che l’essere abbia una sua ragione.
Wisława Szymborska

Preferisco il sole
Preferisco la sincerità anche da parte di chi mi odia
Preferisco lo stile libero
Preferisco i giorni produttivi, e quando ho modo di essere fiera di me
Preferisco gli abbracci di mia madre e i sorrisi di mia nonna
Preferivo quando c’era
Preferisco chi mangia e ha la forza di affrontarlo
Preferisco la libertà di opinione
Preferisco quando, per tutti, siamo tutti uguali
Preferisco quando vengo ascoltata
Preferisco quando non sono la solita persona orribile
Preferisco scrivere anziché leggere
Preferisco le cose essenziali ma significative
Preferisco il profumo delle rose
Preferisco quando non sono costretta a scusarmi
Preferisco il silenzio di prima mattina
Preferisco la musica quando le parole sembrano descrivermi
Preferisco la me di ora
Preferisco crescere ed il m e 55 al m e 52
Preferisco sorridere ed essere il motivo di un sorriso
Preferisco la pelle
Preferisco la cheesecake ai frutti di bosco
Preferisco il coraggio
Preferisco che le sigarette rimangano nel pacchetto
Preferisco che mi amino per ciò che sono
Preferisco l’odore dei libri
Preferisco la lettera “A”, prima dell’alfabeto e prima nel mio cuore
Marianna Volta 

 

Preferisco i gatti invece dei cani
Preferisco il rumore delle onde
Preferisco la musica senza parole
Preferisco stare in compagnia
Preferisco viaggiare invece di stare in casa
Preferisco suonare e creare canzoni
Preferisco disegnare un mondo senza problemi
Preferisco guardare il cielo notturno
Preferisco accendere fuochi
Preferisco dormire in tenda
Preferisco sentire l’odore dell’aria e dei fiori
Preferisco guardare il tramonto sentendo gli uccellini che vanno a dormire
Preferisco aiutare la gente
Preferisco incidere i nomi di persone importanti sul legno
Preferisco fare foto e scrivere frasi sul senso della vita
Preferisco la luce invece del buio
Preferisco essere uno scout per poter dare una mano.
Federico Barillari

 

PREFERISCO LEI
Preferisco soffrire che far soffrire
Preferisco un abbraccio del mio cane
Preferisco il suono delle campane a quello delle macchine
Preferisco parlare con le stelle
Preferisco sorridere
Preferisco salire su altre macchine
Preferisco vedere il buio
Preferisco guardare negli occhi
Preferisco il colore blu
Preferisco la libertà
Preferisco la campagna
Preferisco non chiedere aiuto
Preferisco non piangere
Preferisco la fantasia
Preferisco mio fratello
Preferisco uscire
Preferisco la pioggia
Preferisco il rumore del mare alla notte
Preferisco essere negativa
Preferisco la verità
Preferisco gli aquiloni senza fili
Preferisco il semifreddo alla nutella
Preferisco che il cancro sia solo un segno zodiacale
Preferisco guardare dall’alto verso il basso
Preferisco far emozionare
Preferisco vivere la vita
Preferisco LEI
Elena Badiale 

 

Preferisco chiudermi in me stessa che aprirmi
Preferisco non nascondermi
Preferisco non avere paura
Preferisco mangiare senza rimpianti
Preferisco sorridere con lui
Preferisco l’adrenalina
Preferivo parlare
Preferisco ascoltare
Preferisco stare sola con mia madre
Preferisco uscire la sera
Preferisco lottare
Preferisco il caldo
Preferisco la pianura
Preferisco dormire senza cuscino
Preferivo uscire che stare in casa
Preferivo gli amici
Preferisco i miei nonni
Preferisco mio zio
Preferirei la felicità
Preferivo cento
Preferivo la serenità
Preferirei non pensare
Preferisco sfogarmi a basket
Preferisco piangere in panchina
Preferirei non trovarmi in mezzo a due decisioni
Preferisco la campagna
Preferisco il fruscio dei ruscelli
Preferisco la musica a palla
Preferisco il 23
Preferisco scrivere su note
Preferisco i colori dell’autunno
Preferisco la serietà
Preferisco la sincerità
Preferisco non stare in ospedale
Preferisco la libertà
Preferisco la solitudine
Mia Esposito Marraffa

 

Preferisco stare bene
Preferisco rischiare
Preferisco fare ciò che non ho mai fatto
Preferisco correre
Preferisco stare con gli amici
Preferisco ascoltare che parlare
Preferisco divertirmi
Preferisco stare a casa
Preferisco la pizza che il sushi
Preferisco il verde
Preferisco la creatività
Preferisco la verità
Preferisco essere positivo
Matteo Minelli

 

Preferisco chi ricambia l’amore dato.
Preferisco l’educazione reciproca.
Preferisco i cani grandi.
Preferisco quando le persone ridono con me.
Preferisco le stagioni fredde.
Preferisco le felpe oversize.
Preferisco la sincerità.
Preferisco l’amore di un abbraccio nel letto d’inverno.
Preferisco chi non fuma sigarette.
Preferisco i film romantici con la persona che ami.
Preferisco la cucina italiana.
Preferisco la brezza della montagna che l’afa del mare.
Preferisco spesso la solitudine.
Preferisco la fedeltà.
Preferisco il freddo al caldo.
Preferisco chi ascolta.
Preferivo quando il mio cane mi riportava la pallina.
Preferisco il cappuccio.
Preferisco stare dietro su un telo nell’erba.
Preferisco chi mi appoggia e mi consola nei momenti bui.
Preferisco piangere davanti ad un film che trattenermi.
Preferisco chi c’è sempre per me.
Preferisco le ragazze basse.
Preferisco spesso il nero.
Preferisco divertirmi.
Fabio Vanini  

 

Preferisco viaggiare di notte in macchina con la musica.
Preferisco cucinare con mia nonna.
Preferisco l’odore di casa di mia nonna.
Preferisco i suoi abbracci strettissimi.
Preferisco passare il Natale in famiglia.
Preferisco vedere i miei sorridere.
Preferisco passare del tempo con i miei cugini.
Preferisco la Romania.
Preferisco il cammino acceso.
Preferisco addobbare la casa per Natale.
Preferisco aiutare mio papà a fare lavori in casa.
Preferisco la montagna al mare.
Preferisco sciare.
Preferisco le persone che dicono di essere fieri di me.
Preferisco i complimenti che mi fa la gente che non conosco.
Preferivo me stessa da bambina.
Preferisco l’estate.
Preferisco fare serata con gli amici.
Preferisco cantare a squarciagola.
Preferisco ridere senza un motivo.
Preferisco fare shopping.
Preferisco fare foto.
Preferisco gli animali.
Preferisco la pizza.
Preferisco quando il telefono non prende.
Preferisco ascoltare musica con le cuffiette.
Preferisco giocare a briscola.
Andrada Hojda

 

Preferisco i pesci.
Preferisco i boschi agli alberi sparsi.
Preferisco Gallo a Ferrara.
Preferisco le terre aride a quelle fertili.
Preferisco i piccoli gruppi alle grandi comunità.
Preferisco le casseforti.
Preferisco essere giudicato che giudicare.
Preferisco, a volte, scappare dalla realtà.
Preferisco essere sacrificato che sacrificare.
Preferisco I miei genitori.
Preferisco far fare agli altri ció che mi vergogno di fare.
Preferisco continuare a far finta che tutto sia a colori.
Manuel Turco 

 

Preferisco ballare
Preferisco parlare
Preferisco l’amore
Preferisco la fedeltà
Preferisco l’unità
Preferisco la calma
Preferisco il confronto al litigio
Preferisco le porte socchiuse
Preferisco un giorno senza lacrime piuttosto che un giorno senza sorriso
Preferisco non chiedere
Preferisco aspettare chiarimenti
Preferisco sistemare e non lasciare in sospeso
Preferisco soffrire e non far soffrire
Preferisco gli abbracci ai baci
Preferisco vedere che sentire
Preferisco un tatuaggio a un trucco
Preferisco le torte fatte in casa
Preferisco i pranzi in famiglia
Preferisco l’astratto al materiale
Preferisco vivere la storia piuttosto che raccontarla
Preferisco nascondere
Preferisco la me di undici anni fa dalla me di ora
Preferisco un mondo bianco a un mondo nero
Preferisco non dover scegliere
Preferisco vedere orgoglio e pregiudizio
Martina Lo Basso

 

Preferisco la felicità
Preferisco il colore azzurro
Preferisco la calma
Preferisco la spensieratezza
Preferisco il salato al dolce
Preferisco il freddo al caldo
Preferisco la quiete al caos
Preferisco la libertà di espressione alle regole
Preferisco soffrire che sentirmi vuoto
Preferisco il dolore fisico a quello psicologico
Preferisco amare che odiare
Preferisco essere me stesso che cambiare per gli altri
Preferisco emozionarmi che restare indifferente
Preferisco pensare a tutto ciò che di bello ho che a ciò che non ho
Preferisco pensare che il domani possa essere migliore.
Enrico DaCol

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Gian Paolo Benini e Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]
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Rischiare la vita per rimanere poveri: a proposito dello stato del lavoro

 

A proposito dello stato del lavoro nel nostro paese, due fatti recenti mi hanno colpito. Il primo è la morte (l’ultima di una interminabile catena) di Yaya Yafa, operaio di 22 anni della Guinea Bissau assunto da tre giorni alla logistica di Interporto Bologna (uno dei tanti regni del subappalto senza regole), stritolato da un bilico mentre non sapeva nemmeno come muoversi all’interno di quel piazzale di carico e scarico, essendo privo di qualunque formazione e affiancamento.
Il secondo è una ricerca del European trade union institute, da cui si vede che nella progressione dei salari reali negli ultimi vent’anni l’Italia è il fanalino di coda dell’eurozona, con salari al palo molto peggio che in Germania, in Francia e in Spagna, e una performance negativa superata, in termini di flessione dei salari, solo da Croazia, Portogallo, Cipro e Grecia.

Molti sono i fattori causa della sostanziale assenza di regole sugli appalti (non solo nella logistica), primo fra tutti, forse, l’assenza di controlli e di sanzioni per chi non rispetta le regole formali sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Le aziende risparmiano in sicurezza anzichè investire, e lo Stato risparmia in controlli: basti dire che la legge istitutiva dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (D.Lgs. 149 del 2015) ne previde la creazione “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, il che equivaleva a dire che lo Stato non ci avrebbe messo un euro. Questa condizione assurda è stata di recente modificata da un piano di assunzioni e investimenti, che punta però prevalentemente (altra assurdità) sulla destinazione all’Ispettorato di fondi incerti, in quanto derivanti dalle sanzioni irrogate, alcune delle quali aumentate nell’importo. Una sorta di autofinanziamento attraverso le multe.

Molti sono i fattori causa dell’immobilità, per non dire flessione, del potere di acquisto dei salari. Il primo è senz’altro il fatto che l’Italia, tra i paesi “forti” dell’eurozona, è quella che è cresciuta regolarmente di meno in termini di Prodotto Interno Lordo rispetto a Francia, Germania e Spagna, per citare solo i paesi a noi più affini (vedi ad esempio il grafico pre Covid pubblicato di seguito:   https://www.truenumbers.it/andamento-del-pil/)

Un’altra delle ragioni che spesso vengono citate come caratteristica positiva dell’Italia, e cioè la prevalenza di un tessuto di piccole e medie imprese, è invece probabilmente una concausa della depressione salariale. Ci sono infatti eccellenze positive, che costituiscono però le eccezioni ad una regola che vede queste imprese sottocapitalizzate, poco competitive e poco penetrate da aggregazioni sindacali, per l’elevato potere di ricatto insito nelle piccole realtà produttive.

Le micro e piccole imprese con meno di 50 addetti sono l’asse portante del sistema di PMI italiano e rappresentano, infatti, l’83,9% degli addetti delle imprese fino a 250 dipendenti (che è il limite massimo, quanto al criterio occupazionale, per la definizione di PMI in Italia).

Alcuni inseriscono tra le cause anche l’arrendevolezza del sindacato, e l’osservazione si può anche comprendere, se ci si limita al dato che l’Italia ha il sindacato confederale con la maggiore rappresentatività in Europa, la CGIL. Faccio a questo proposito due considerazioni.

La prima: è un fatto che la maggior frequenza di infortuni sul lavoro e la maggior depressione salariale, spesso collegata all’assenza di contratti aziendali/collettivi o all’esistenza di contratti “pirata” (siglati, cioè, da associazioni sindacali con una rappresentatività quasi inesistente), si riscontrano proprio in quelle realtà aziendali nelle quali il sindacato è meno presente, sia esso confederale o espressione di aggregazioni “di base.

La seconda: c’è uno snodo decisivo nella storia delle dinamiche salariali, ed è l’accordo Governo-Sindacati del  luglio 1992, in una fase in cui l’Italia, dopo la firma del (per molti versi drammatico) Trattato di Maastricht, era avviluppata in una delle sue periodiche crisi da sovraindebitamento.
Giova ricordarlo nelle parole consegnate dall’allora segretario generale della CGIL Bruno Trentin ai suoi Diari:  “Mi sono trovato assediato: al di là delle intenzioni e del peso effettivo della minaccia di crisi di Governo che Amato ha evocato, era certo che un fallimento del suo tentativo avrebbe avuto, a quel punto, degli effetti incalcolabili sulla situazione finanziaria del Paese e sul piano internazionale. La divisione fra i sindacati e nella Cgil avrebbe dato un colpo finale al potere contrattuale del sindacato come soggetto politico.

Salvare la Cgil e le possibilità  future di una iniziativa unitaria del sindacato; impedire che fosse imputata ad una parte della Cgil la responsabilità di un ulteriore aggravamento della crisi economica, per emarginarla sul piano politico mi imponevano di firmare l’accordo e di lasciare quindi libera la Cgil e i suoi organismi dirigenti di convalidare o meno quella decisione. E spero ancora, per le ragioni politiche che mi hanno indotto a quel gesto che lo faccia e tragga da questo la forza per ribaltare a settembre le regole del gioco fuori da ogni ricatto.

Dall’altra parte, ero ben cosciente che, ciò facendo, disattendevo il mandato ricevuto dalla Direzione della Cgil, quel mandato che avevo sollecitato con tanta insistenza, contrapponendomi alla tesi dei soliti rentiers della politica del sempre peggio, che invocava l’abbandono del negoziato. Non potevo annunciare alla Segreteria della Cgil la mia intenzione di firmare, senza preannunciare le mie dimissioni. Ciò che ho fatto”.

Con quella firma, viene abbandonato il meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’inflazione (la cosiddetta “scala mobile”) ed introdotta – dopo la ratifica da parte delle assemblee dei lavoratori – la “concertazione”, un metodo contrattuale che divide il negoziato in due: un tavolo nazionale che fa da quadro di compatibilità, ed uno decentrato.

Trentin, un partigiano e intellettuale finissimo, firma per non spaccare l’asse confederale in preda al tormento, quel tormento che lo porterà alle contestuali dimissioni e alla definizione di quella scelta come “la prova più terribile della mia vita”.
Ricordo che, nel giugno 1985, la CGIL, pressoché sola assieme al PCI (perchè isolata anche da CISL e UIL), perse il referendum che voleva abrogare il taglio della scala mobile stabilito dal governo Craxi.

In questo contesto drammatico ben si comprende il tormento di Bruno Trentin, che firmò un accordo che aborriva. [Nel mio piccolo, conosco bene la sensazione del ricatto esercitato dal potere durante una trattativa: a me ed altri successe durante l’ultima trattativa su Carife. “O firmate per l’uscita del 50% dei lavoratori, o vi riterremo responsabili del fallimento della banca” (e, sottinteso, vi indicheremo come tali all’opinione pubblica). Bisogna trovarcisi, in certe situazioni, per misurare la propria capacità di bilanciare la rappresentanza delle persone con la responsabilità di non portarle tutte alla disfatta.]

A quasi trent’anni di distanza da quell’accordo, tuttavia, potrebbe essere venuto il momento di voltare pagina.
Può essere  venuto il momento di riacquistare un’autonomia negoziale che segni una rinnovata stagione di rivendicazioni sui diritti e sui salari. Una cosa è sicura: il quadro politico e sociale che abbiamo davanti non autorizza facili illusioni.

IL Fascismo è fuori dalla costituzione

Dopo l’assalto di Forza Nuova alla sede nazionale della Cgil, si è riaperto il dibattito sulle formazioni neofasciste e sulla opportunità del loro scioglimento per decreto. Così era stato nel novembre del 1973 per Ordine Nuovo, a seguito del processo e delle pesanti condanne inflitte ad alcuni suoi leader. Al di là del dibattito e dello scontro tra i partiti, viziato come d’uso da strategie mediatiche, il riferimento fondamentale – anche per verificare la possibilità dello scioglimento di Forza Nuova e Casa Pound – rimane il dettato costituzionale, cosa cioè la nostra Carta dispone rispetto al fascismo storico e ai tentativi di risuscitarlo. Il contributo del costituzionalista Francesco Pallante, che sotto riportiamo, attraverso un’analisi puntuale del testo costituzionale, fornisce utili elementi di conoscenza e di riflessione.
(La Redazione)

di Francesco Pallante

L’entrata in vigore, il 1° gennaio 1948, della Costituzione repubblicana segna una cesura nella storia d’Italia. A fronte del tentativo di trattare il fascismo come una parentesi, chiusa la quale avrebbe ripreso vigore l’ordinamento giuridico liberale imperniato sullo Statuto albertino, s’impone la diversa prospettiva di chi – lungo il sentiero tracciato da Piero Gobetti sin dal 1924 – fa propria l’idea che, dal punto di vista costituzionale, «la questione non sia di difendere [lo Statuto], ma di creare [una nuova costituzione]» (La filosofia di un fascista mancato, in Opere complete di Piero Gobetti, vol. I, Scritti politici, Einaudi, 1997, p. 574).

La prima disposizione della Costituzione repubblicana è il manifesto dell’avvenuta cesura. L’Italia era una monarchia oligarchica fondata sul privilegio. Con la nuova Carta fondamentale, si ribalta nel suo opposto, divenendo una «Repubblica democratica fondata sul lavoro» (art. 1, co. 1). I sudditi si tramutano in cittadini; da discendente, il fluire del potere si fa ascendente; il lavoro perde la sua connotazione negativa e si rinnova in strumento di inclusione sociale. Tale esito era tutt’altro che scontato. La destituzione di Mussolini (25 luglio 1943) apre il campo all’azione di una pluralità di forze che perseguono obiettivi solo parzialmente convergenti. Al confronto che si innesca tra alleati, partiti antifascisti riuniti nel CLN, corona, militari, ex sostenitori e membri del regime fascista si sommano le divergenze interne a ciascuna delle forze contrapposte: una miscela ad alto rischio di deflagrazione. Proprio in ciò sta il «miracolo costituente»: nell’aver saputo ricondurre a unità, nel nuovo testo costituzionale, il pluralismo sociale e ideale liberato dalla fine del fascismo, contenendone, nonostante gli aspri conflitti, i possibili sviluppi distruttivi. Chiave del successo, un articolato costituzionale felicemente compromissorio: tale, cioè, da non poter essere considerato da nessuno come pienamente “suo”, ma nemmeno come totalmente “altrui”.

Tuttavia, se è vero che il testo finale risulta approvato a larghissima maggioranza (453 voti favorevoli a fronte di 62 contrari), è altresì vero che non si deve sminuire, sotto il profilo concettuale, il significato delle posizioni ostili alla nuova Costituzione. Spiegando come nascono le carte fondamentali, Gustavo Zagrebelsky distingue le «costituzioni che comandano» dalle «costituzioni che unificano» (Intorno alla legge, Einaudi, Torino 2009, pp. 230 ss.). Le prime – le costituzioni che comandano – presuppongono che la società sia divisa da un conflitto tra due o più parti contrapposte, che si risolve con la prevalenza di una sulle altre. Tale prevalenza è sancita dalla Costituzione, che pone fine alle ostilità dividendo la società in dominanti (i vincitori) e dominati (i vinti). In casi come questi, la Costituzione è un “comando”, un “colpo di potenza” degli uni verso gli altri. Le seconde – le costituzioni che unificano – presuppongono anch’esse l’esigenza di dare ordine a una società plurale, ma, in questo caso, la pluralità è frutto della compresenza di forze amiche o, se avversarie, comunque non irriducibilmente ostili le une alle altre. La costituzione, di conseguenza, anziché come un «regolamento di conti tra nemici» opera come un «coordinamento tra amici».

È chiaro che quelli ora delineati sono modelli ideali, rigorosamente distinguibili l’uno dall’altro sul piano concettuale, non altrettanto sul piano storico. Ne è evidente dimostrazione proprio la Costituzione italiana, nel contempo atto di unificazione tra le vittoriose forze antifasciste e atto di comando ai danni della sconfitta forza fascista: una situazione fotografata con chiarezza dall’esito del voto finale.

Si comprende, così, come il fascismo risulti doppiamente estraneo all’ordinamento costituzionale repubblicano: perché, sul piano storico, la nuova Repubblica democratica è l’esito della vittoria della Resistenza sul fascismo (come ben si dice con l’espressione «Costituzione nata dalla Resistenza»); e perché, sul piano politico, fascisti e nostalgici del fascismo si ostinano a rimanere tali anche dopo la caduta del regime, rifiutando, con la Costituzione, i principi e le regole del costituzionalismo democratico, per definizione ostile all’assolutezza del potere e, di conseguenza, al fascismo che a quell’assolutezza anelava. Insomma, da qualunque punto di vista – teorico, storico, politico – si guardi la questione, l’antifascismo emerge come il principale tratto identitario della Costituzione italiana: ne è l’elemento costitutivo fondamentale. La doppia funzione – di comando e di coordinamento – della nostra Carta si esprime, con tutta evidenza, nel suo essere articolata, oltre che in norme rivolte a disciplinare i nuovi assi di sviluppo della società italiana, altresì in norme finalizzate a dettare proibizioni nei confronti del fascismo. È il caso della XII disposizione transitoria e finale, che vieta «la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista» (co. 1) e dispone che siano imposte con legge limitazioni «per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione […] al diritto di voto e all’eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista» (co. 2). Delle due norme, è senz’altro la prima a rivestire importanza maggiore, per la sua proiezione indefinita nel tempo: il divieto di ricostituzione è imperituro e dettagliato in modo piuttosto preciso nella successiva legislazione di attuazione: la legge n. 645/1952 (c.d. legge Scelba), la legge n. 152/1975 (c.d. legge Reale) e la legge n. 205/1993 (c.d. legge Mancino).

Sarebbe, tuttavia, riduttivo ritenere che la funzione di comando della Costituzione si esaurisca nella sua XII disposizione transitoria e finale. Analoga è, infatti, la funzione delle numerose disposizioni costituzionali che, nel dettare la nuova disciplina democratica dei fenomeni sociali, prendono, più o meno implicitamente, le distanze dal regime precedente. Si pensi all’art. 18 che, nel proclamare la libertà di associazione, si figura le “camicie nere” mussoliniane e vieta le associazioni «che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare» (co. 2). Oppure all’art. 21, che a tutela della libertà di stampa violentemente conculcata dal fascismo, distingue accuratamente le ipotesi di autorizzazione, censura e sequestro, ammettendo solamente quest’ultimo e con garanzie più stringenti di quelle previste per la libertà personale. O, ancora, a una norma sull’organizzazione costituzionale come l’art. 102, co. 2, che – ricordando la barbarie del Tribunale speciale per la difesa dello Stato – vieta l’istituzione di «giudici straordinari», vale a dire di organi giudicanti appositamente costituiti per vagliare fatti già avvenuti (e, dunque, suscettibili di essere formati in modo tale che la decisione sia pregiudicata). O, infine, sempre nell’ambito dell’organizzazione dei poteri, alla denominazione assunta dall’esponente di vertice dell’esecutivo: non «Primo ministro», come per esempio in Inghilterra, ma «Presidente del Consiglio dei ministri» (art. 92, co. 1), a sottolinearne la funzione di coordinamento tra pari anziché di primazia verso subordinati – com’era, invece, al tempo del fascismo, quando l’analoga figura si fregiava, significativamente, del titolo di «Capo del governo».

Questi casi – e gli altri che potrebbero essere ricordati – significano che l’intera Costituzione, in tutte le sue articolazioni, s’impone come comando ai fascisti e a chi, al di là delle furbizie lessicali dietro cui vilmente si nasconde, all’ideale fascista di fatto si rifà. È dunque errata la posizione che vorrebbe ridurre l’antifascismo costituzionale alla sopra ricordata XII disposizione transitoria e finale, trattando il fascismo come un fenomeno contingente, storicamente circoscritto all’esperienza consumatasi durante il ventennio: una posizione che mira, in ultima istanza, a riconoscere dignità costituzionale a chi, riproponendo posizioni di fatto analoghe a quelle del fascismo, la Costituzione vorrebbe distruggerla, sfruttandone la democraticità a fini antidemocratici – alla maniera in cui un parassita approfitta delle risorse del soggetto in cui s’incista.

Il fascismo, insomma, è fuori dalla Costituzione, e non potrebbe essere altrimenti, perché il compromesso democratico può, per definizione, includere solo chi è disposto a riconoscere il valore delle posizioni altrui, a partire da quelle che non condivide. Aprirlo a includere il fascismo – neo, para o post che sia – significherebbe, oltre che condannare il compromesso alla distruzione sul piano concreto, trasformarlo in una accozzaglia contraddittoria sul piano ideale. Per questo i fascisti non godono delle libertà costituzionali: perché, avendo subìto e subendo la Costituzione nel suo complesso come comando, non ne sono parte attiva, ma passiva. Come ha scritto Paolo Barile, con esplicito riferimento alla libertà di manifestazione del pensiero, ma sviluppando un ragionamento suscettibile di estensione generale, la XII disposizione transitoria e finale Cost. priva l’ideologia fascista della garanzia costituzionale delle libertà (Libertà di manifestazione del pensiero, in Enciclopedia del diritto, vol. XXIV, 1974, p. 470). Di tutte le libertà: quelle individuali allo stesso modo di quelle collettive, come dimostra l’art. 49 Cost., che, nel definire i confini della contesa politica, stabilisce che essa debba svolgersi «liberamente» e «con metodo democratico», così implicitamente escludendo le formazioni politiche che si rifanno al fascismo. Che il fascismo, «sotto qualsiasi forma» si manifesti, possa essere libero e democratico è infatti una contraddizione in termini così lampante che la sua negazione sarebbe di per sé sufficiente a privare di credibilità la Costituzione in cui s’incarna la «Repubblica democratica fondata sul lavoro».

Francesco Pallante è professore associato di Diritto costituzionale nell’Università di Torino. Tra i suoi temi di ricerca: il fondamento di validità delle costituzioni, il rapporto tra diritti sociali e vincoli finanziari, l’autonomia regionale. In vista del referendum costituzionale del 2016 ha collaborato con Gustavo Zagrebelsky alla scrittura di “Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali” (Laterza 2016). Da ultimo, ha pubblicato “Contro la democrazia diretta” (Einaudi 2020) e “Elogio delle tasse” (Edizioni Gruppo Abele 2021). Collabora con «il manifesto».

Questo articolo è già apparso col medesimo titolo sul sito volerelaluna.it

Cover: Militante di Forza Nuova in azione (Wikimedia Commons)

PRESTO DI MATTINA
Illuminare è più che risplendere

«Illuminare è più che risplendere soltanto», affermava Tommaso d’Aquino [Qui] chiamato “Doctor angelicus – dove l’aggettivo indica la qualità della persona – per la limpidezza e mitezza della sua vita. Il suo maestro Alberto Magno [Qui], leggendo alcuni suoi testi disse profeticamente: “Noi lo chiamiamo bue muto, ma egli con la sua dottrina emetterà un muggito che risuonerà in tutto il mondo”.

Di Dio parlava con tenerezza filiale, e dal modo con cui parlava del Cristo Verbo incarnato scaturiva una forza che dava coraggio e rincuorava la fede dei suoi studenti; e chi ne ascoltava i sermoni percepiva la presenza rinnovatrice dello Spirito Santo.

Solo di recente fu chiamato anche Doctor communis, non solo per la vastità della sua opera, ma per l’ampiezza della sua ricerca filosofica, antropologica, culturale aperta all’alterità, in ascolto dei cambiamenti e della cultura del suo tempo, dalla quale seppe cogliere il meglio con vera onesta intellettuale, tanto da studiare non solo il pensiero e le opere di Aristotele, ma persino quello dei suoi commentatori arabi.

L’attributo communis allude altresì alla capacità inclusiva di Tommaso, in grado di tenere insieme differenti prospettive con un metodo di analisi e successive sintesi di carattere dialettico, questionante e rispondente. Le quaestiones disputatae erano quegli esercizi che i docenti davano agli studenti per formarli a un metodo e per verificare la loro preparazione su problemi teologici o sul diritto. Non meraviglia dunque che egli sia ricordato anche nei documenti sulla formazione ed educazione dell’ultimo dal Concilio (Presbyterorum ordinis, 16; Gravissimum educationis,10).

Anche Tommaso si incamminò nel nuovo corso riformatore della Chiesa inaugurato da Francesco e da Domenico di Guzmán [Qui]. E facendosi frate di quest’ultimo scelse, nonostante la contrarietà dei familiari, di far parte in uno dei rami in cui si diversificò il movimento dei mendicanti sorti tra il XII ed il XIII secolo: i Domenicani, che comportava la rinuncia ai beni, il voto di povertà per gli individui e per i conventi e il mendicare.

La svolta innovativa degli ordini mendicanti [Qui] fu proprio quella di fare della contemplazione la sorgente e il nutrimento della predicazione evangelica, l’anima dell’azione evangelizzatrice e pastorale. Un esserci tra la gente, tra le comunità cristiane, nella società, tra i poveri, ma anche nelle univesitas studiorum, come fu poi per Tommaso a Parigi.

L’umanità delle persone e i loro vissuti, le loro storie sono così luoghi e fonti di rivelazione, di contemplazione; avviano processi di trasformazione per il pensiero e l’azione. “Loci theologici” li chiamarono nel Cinquecento (Melchior Cano [Qui]): luoghi in cui essere incrociati dalla presenza del Dio nascosto, per trovarsi faccia a faccia con l’Altro e gli altri, per ascoltare, sentire, pensare, agire.

Lì l’umanissimo Evangelo di Gesù «Astro incarnato nell’umane tenebre» (G. Ungaretti) sta dentro ogni vicenda e ogni umano patire e gioire. Vangelo antico e sempre nuovo e, aggiungerebbe Papa Giovanni, vi sta al modo di una fontana di villaggio: luogo sorgivo di gratuità e di contemplazione per tutti e che fa incontrare tutti pur nella diversità delle loro provenienze e pensieri: cercatori e assetati di senso: «Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: “Chi ha sete venga a me e beva: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”» (Gv 7,38).

Così il vangelo prima va ascoltato, contemplato, pregato e fatto risplendere nel vissuto della propria vita, poi annunciato per illuminare i nostri passi in cammino con i fratelli e le sorelle.

Di qui l’espressione di Tommaso «Illuminare è più che risplendere soltanto». Con essa egli ci dice che la fede è contemplazione in atto, sicché non deve solo risplendere ma illuminare. Gesù stesso – continua l’Aquinate – scelse per sé questa vita, sintesi di contemplazione e azione, perché essa testimonia la sovrabbondanza del mistero di Dio e svela il segreto della missione tra le genti.

Così anche Tommaso è concorde con Francesco nel seguire e fare proprio ciò che Cristo stesso scelse per sé: una contemplazione in via, una itineranza mistica nel mondo, sintesi di contemplazione e azione, poiché tale via, che porta quel vangelo da cui si viene portati, presuppone «l’abbondanza della contemplazione».

Anzi il Vangelo è «contemplazione che salva». E, se domandassimo a Tommaso «Come si contempla il Vangelo», egli risponderebbe: «Raccogliendo in cuore un versetto». E se lo interrogassimo ancora su un’altra questio ancor più profonda: «Vi è qualcosa di più grande della stessa contemplazione della vangelo?», egli risponderebbe senza esitazione «Contemplata aliis tràdere». La grandezza sta nell’offerta, nel dono, nella consegna di questo vangelo contemplato agli altri: «Come illuminare è più che risplendere soltanto, così comunicare agli altri il vangelo contemplato è più che il solo contemplare» (Summa theologicae, IIa IIae q.188, a 6).

Il primo passo allora per parlare di Dio, per dire le parole del vangelo è il silenzio, come presenza a Dio e al mondo, il silenzio della contemplazione, perché, come diceva sant’Ireneo di Lione [Qui]: «Dal silenzio del Padre viene la Parola del Figlio».

La contemplazione è il luogo dei ritrovamenti di senso, via per ritornare dagli smarrimenti di noi stessi e degli altri. Da essa si attingono quelle potenzialità ed energie evangelicamente sovversive, per non lasciarsi imprigionare dall’indifferenza e per lottare contro l’ingiustizia. Per essa si dischiude il mistero dell’I care, che traduce non solo il “mi sta a cuore”, mi è caro, ma risuona in profondità come il “mi sta nel cuore”, l’altro mi è caro nel cuore.

La contemplazione genera la fede. Per essa si scopre, infatti, l’autenticità di ciò che è veramente affidabile, degno di fiducia in se stessi e negli altri. È dunque uno stare come sulla soglia, tra un dentro e un fuori, attratti verso l’interno dal ‘risplendere’ del mistero contemplato e spinti fuori, mandati a ‘risplendere davanti’, ad illuminare appunto.

La narrazione evangelica è esplicita: «Li chiamò perché stessero con lui e per mandarli» (Mc 3,13-19) e ancora: «Voi siete la luce del mondo; non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini”, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,14-16)

‘Risplendere’ ed ‘illuminare’ formano così una sinapsi spirituale e carnale insieme; un punto di contatto generativo, una scintilla di creatività e responsabilità tra la libertà del vangelo e il suo pluriforme donarsi e le nostre libertà a lui rispondenti ed il loro attuarsi nella trasmissione del dono con gli altri.

Contemplare è raccogliersi in unità, è stare a tu per tu con il vangelo, è coltivare i legami interiori come la terra a cura delle radici. E poi articolare le parole e la scrittura nelle loro molteplici ramificazioni, nel loro darsi germinale, aurorale in un annuncio o in un testo di cui, una volta affidato ad altri, non appartiene più agli autori, ma è come seme gettato, generosamente, prodigalmente a tutti, che germinerà a suo tempo secondo i terreni in diversi alberi, fiori e frutti.

Contemplare è allora, in modo eminente, luogo di un riceversi e consegnarsi, accogliere ed essere accolti e consegnati alla vita. La contemplazione ci consegna all’alterità dentro e fuori di noi. Il verbo tràdere, da cui il termine ‘tradizione’, ha pure il significato di consegnare nelle mani di qualcuno, e nei vangeli è riferito alla passione di Gesù:

«Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro: «Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini (Mt 17,22) e Paolo nella lettera ai Romani scrive: «Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? (Rm 8,32). Non si potrà allora anche dire: “Contemplare voce del verbo amare”.

Per questo la contemplazione ci dà prima di ogni parola la consegna del silenzio. Ma essa ci consegna ad un tacere palpitante, cordiale, poiché solo da un “battito di cuore” sgorgheranno le parole per vivere, siano esse parole evangeliche o quelle accese nel crogiuolo dei mistici o dei poeti.

Parole poi come le acque di fiumi carsici che, ascoltando in silenzio le narrazioni del sottosuolo e mescolandosi con esse siano capaci, custodendone la memoria, di attraversare i sotterranei di storie dimenticate, occultate e fatte tacere dentro abissi di insensatezza e di empietà per riaccendere di nuovo scintille di “intermittente” speranza.

Massimo Cacciari, ricorrendo il centenario della nascita del poeta Andrea Zanzotto, in conclusione al convegno internazionale sulla sua figura, ha ricordato che «il poeta deve attraversare tutto l’inferno della storia» e la poesia «deve andare oltre il tempo storico, attraversando tutto il dolore e poi cercando di salire… La parola poetica attraversa il dolore del proprio tempo e la tragedia che è la storia per far cenno a un possibile che non è. Per vedere nella realtà presente scintille, faville di una disperata speranza. Questo secondo me – continua Cacciari – è Zanzotto nel suo linguaggio, nella sua forma e nella sua sintassi, in questo metro che è ‘tutto un batticuore’ come diceva Montale. Un cuore che batte per tentare di trovare la parola che faccia cenno a un possibile oltre il tempo storico presente».

Così nella contemplazione, come nella poesia, affiora la necessità di reperire un senso ulteriore all’insensatezza, un ripristinare la comunicazione e riaprire il coraggio di muovere la libertà all’azione.

Mi impressiona sempre leggere di nuovo un testo di Gregorio Nazianzeno [Qui] un padre della chiesa del IV secolo, autore di poesie di un realismo cristiano umanissimo. Al finire della sua vita scrive: “Fu soltanto tirannia? Sono venuto al mondo. Perché sono sconvolto dai flutti tempestosi della vita? Dirò una parola audace; sì, audace, ma la dirò. Se non fossi tuo, o mio Cristo, quale ingiustizia!” (Poemi, II, 1, 74).

Un parroco trova la fonte di comprensione della sua vita e spiritualità e del suo ministero nell’appartenenza e nella dedicazione alla propria chiesa locale e alla comunità parrocchiale. Egli nel contemplare e consegnare il vangelo alle persone lo contempla e lo riceve a sua volta trasfigurato attraverso l’umanità e la vita della gente con cui vive.

Se gli è chiesto di confermare e coltivare il senso della fede dei fratelli e delle sorelle, a sua volta viene confermato e arricchito dal loro credere, amare e sperare. Così la forma della sua vita e del suo servizio al vangelo si configurerà come contemplazione ospitale, ospitante e ospitata. È questa santità ospitale, del resto, lo stile della vita e del mistero di Gesù secondo una teologia nascente oggi. Essa significa l’apertura del Nazareno a chiunque, e la sua disposizione ad apprendere relazionandosi a chiunque.

Il detto «contemplata aliis tradere», negli anni, l’ho semplificato e tradotto così: “con cuore di parroco, un cuore di monaco”, per dire anche la carità pastorale e la sua sorgente: più si è uno con il vangelo e si fa convergere l’interiorità in quel punto focale, più l’esistenza si apre alla relazione e all’incontro ospitale con gli altri: come le semirette di un angolo che da concavo diventa convesso e viceversa, dentro e fuori lo spazio, a circoscrivere, a raccogliere oppure a sparpagliare, a dilatarsi ad allargarsi. Il che significa – in altri termini – l’interiorità e il vangelo, spalla a spalla tra-e-con la gente.

Clemente Rebora [Qui] ci offre l’immagine poetica di un pioppo “severo”. L’etimologia latina “populus” significa mettere insieme, riunire. Anche sant’Isidoro Agricola [Qui] fa derivare il nome del pioppo da populus, perché quando cresce o viene tagliato pullula di numerosi germogli e rami dal ceppo e dal tronco come fosse un popolo radunato.

Essi sono piantati sui confini a filari o lungo le vie a rappresentare così una soglia, che unisce distinguendo, per evitare contese tra vicini, ma molto di più per incoraggiare la comunicazione, l’amicizia e far nascere forse ospitalità. L’aggettivo ‘severo’ invece sottolinea l’aspetto grave, aspro, solido, resistente, ma anche solenne, reverenziale che ispira dunque rispetto e stima.

A me è sembrato che Rebora intendesse significare nel pioppo la contemplazione nell’atto di ispirare e accompagnare di continuo il movimento e l’agire della libertà umana verso il suo compimento che è l’amore.

Così è pure l’inabissarsi della nostra esistenza là dove è più vera grazie alla contemplazione; per uscir fuori poi e innalzarsi, oltre l’abisso interiore in un altro infinito abisso, non senz’ansia però, a generare molteplici vite come cime raccolte, vibrando e narrandosi nel vento con tutte le loro foglie, là dove neppure lo spasmo del dolore e le doglie delle parole che vengono alla luce le potranno sparpagliare lontano e disperdere, avvinte come sono al tronco del mistero, esse restano protese e unite per salire un poco più in alto.

“Vibra nel vento con tutte le sue foglie
il pioppo severo:
spasima l’anima in tutte le sue doglie
nell’ansia del pensiero:
dal tronco in rami per fronde si esprime
tutte al ciel tese con raccolte cime:
fermo rimane il tronco del mistero,
e il tronco s’inabissa ov’è più vero.”

(7 ottobre 1956, in Le Poesie, Milano 1994, 297)

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica di Andrea Zerbini, clicca [Qui]

Diario in pubblico: Amitiés

 

L’impulso primario è certamente quello di riferire sulla conferenza dantesca intitolata “Narrare l’indicibile. Vedere l’invisibile. Dante e la funzione della memoria “, che ho tenuto venerdì 15 ottobre 2021 presso la sala Agnelli della Biblioteca Ariostea di Ferrara.
Il luogo era totalmente fruibile e m’immaginavo una presenza media. Lo stupore è stato sommo quando la sala si è praticamente riempita e si contavano 72 ascoltatori.

E che ascoltatori! I ‘giovani’ allievi ora importanti studiosi della scuola fiorentina di Mario Vayra a Claudio Cazzola, l’affermatissimo critico Stefano Prandi dell’Università di Lugano, i miei ‘ragionieri’ da Fiorenzo Baratelli a Roberto Cassoli a Marcello Folletti che mi presentava. E ancora il ‘primo amico’ Ranieri Varese, Luisella Genta che mi aprì le porte della mente e della casa a Lipari, Cristina Felloni, amica di una vita e compagna fedele nella mia esperienza nell’Associazione Amici dei Musei e tanti altri amici, tra cui commovente la presenza di Alessandra Chiappini ed Enrico Grandi che nonostante un importantissimo avvenimento non hanno rinunciato a presenziare almeno ad una parte della conferenza. E con loro tanti altri amici incuriositi dall’argomento. Una prova e conferma dei valori dell’amicizia? Certamente sì!

Sono naturalmente orgoglioso del commento che Marco Ariani mi ha spedito dopo la lettura della mia conferenza e che qui riporto integralmente non perché sia ‘laudabile’ ma per il coinvolgimento intellettuale che ne deriva:
“Caro Gianni, mi hai veramente commosso per il mysterium simplicitatis con il quale hai mediato ad un pubblico certo non esperto una materia così complicata. Davvero efficace, emozionante, perfettamente adeguata all’occasione e precisa scientificamente nella sostanza. Belle le suggestioni fotografiche e la rievocazione di tante auctoritates dimenticate (l’immenso Curtius!). Lettura limpidissima di quei canti, profonda pur senza vezzi di elucubrazioni accademiche. Capisco davvero il grande successo. Grazie per le lodi, anche se un po’ esagerate. Ribadisco che la retorica medievale non faceva tutte queste differenze tra similitudini e metafore (che si fanno oggi per un’eredità sostanzialmente romantica), perché si sapeva che la metafora altro non è che una similitudine raccourci e, viceversa, la similitudine altro non è che una metafora in extenso. Complimenti. Un abbraccio, Marco.”.

Ma la complessità della parola ‘amicizia’ diventa palpabile allorché per cognizione di causa continuo a consultare i programmi televisivi dove la parola ‘amici’ assume le più diverse (e stravaganti) interpretazioni.
Dai vecchi compagni di un mondo musicale degli anni’80 del secolo scorso alla seriosa compresenza in tante reti di amici che ad una più attenta disamina non sembra lo siano del tutto.

Si vedano i programmi che analizzano la sconfitta nelle amministrative dei rappresentanti del centro destra: Salvini, Meloni, Berlusconi e le loro dichiarazioni a proposito dei fatti che hanno portato ai gravissimi incidenti dell’assalto alla sede nazionale della CGL. Alla cautela con cui appoggiano o negano la possibilità di sciogliere un associazionismo di marca prettamente ‘fascista’.

Al proposito va pienamente condivisa l’analisi di Fiorenzo Baratelli di cui riporto parte del suo ottimo commento: “La destra ha subito una disfatta, ma il suo popolo non è scomparso. L’astensione ha colpito soprattutto la sua parte. La confusione è grande tra i suoi leader, ma le elezioni politiche sono cosa ben diversa da elezioni parziali amministrative, per altro svoltesi in un contesto particolare. 3) L’astensione è un problema drammatico, anche se non è una sorpresa. Sono decenni che la talpa della crisi della rappresentanza scava: rischiamo una democrazia senza popolo.”.
Nelle nostre quotidiane telefonate, Baratelli tenta, non sempre raggiungendo lo scopo, di leggermi le vicende politiche in chiave pragmatica. Anche questo è un segno di amicizia e di responsabilità, ma a volte il mio pensiero sfugge alla comprensione della prassi.

Altri amici in quella giornata commemoravano all’Istituto di cultura parigino Giorgio Bassani. Ero dispiaciuto di non poter essere con loro ma la ricompensa sarà quella di poter parlare del grande volume sulle poesie di Bassani il cui commento è affidato alla carissima amica Anna Dolfi. La possibilità che mi è stata data di una recensione al volume e la conduzione della presentazione ferrarese al Centro studi bassaniani mi rendono orgoglioso di questo incarico.

Allora. Viva l’amicizia, viva la cultura e le sue forme. Naturalmente pensando che una grandissima prova di amicizia è quella di vaccinarci. Tutti e senza se e senza ma.

Per leggere tutti gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

 

Uscire dalla dualità giusto-sbagliato:
lo scontro sul green pass e la lezione della complessità.

Ho riflettuto sull’assegnazione dei premi Nobel per la Fisica in associazione al tema della complessità. La commissione che assegna il Nobel, oltre a riconoscere la qualità scientifica, usa  questo premio anche per dare al mondo un’indicazione di ciò che in quel momento occorre all’umanità per lo sviluppo della cultura e della civiltà. Quest’anno, in particolare, ha indicato che occorre osservare la realtà con uno sguardo improntato alla complessità e non alla specializzazione, per non soccombere al rapporto di forze che spinge le nazioni a competere anziché a collaborare per la soluzione dei problemi che coinvolgono l’intero globo terrestre e tutta l’umanità.

I tre premi per la fisica, pur nella diversità delle loro ricerche, hanno in comune la consapevolezza del fatto che i problemi complessi si risolvono se si collabora per giungere alla loro soluzione. E’ un messaggio politicamente importante: l’umanità si salva soltanto se riesce ad individuare un obiettivo comune e non perde tempo, forze ed energie in battaglie localistiche e settoriali che hanno come finalità l’imporre la propria ragione.

Come afferma Giorgio Parisi nell’intervista pubblicata da La Stampa: “Occorre accettare che la soluzione di problemi complessi può richiedere approcci non semplici e azioni collettive e che l’umanità è più di un gruppo di individui dove ognuno fa per sé”.

Colgo l’occasione di sottolineare il messaggio del premio Nobel per offrire una strada che consenta agli schieramenti favorevoli e contrari al vaccino di uscire dalla dualità del giusto-sbagliato, del “ho ragione io”, di uscire da questa situazione divisiva e di incamminarsi su una strada che porti ad un’auspicabile soluzione. Perché la divisione dà al potere spazio per esistere ed esercitare la propria potenza. Il potere non è una persona o un gruppo, ma un modo di pensare ed è sempre ottuso perché anziché badare al bene comune, mira solo a perpetuare sé stesso e a riempire il vuoto di senso (che è la sua essenza) con l’esercizio del dominio e il possesso.

L’attuale situazione di spaccatura relativa alle posizioni sul vaccino e il green pass ha origine nel passato e riguarda principalmente tre ambiti: la qualità e il fine ultimo della ricerca di base, la dimensione economica-produttiva e la dimensione culturale-politica, dove l’informazione dovrebbe essere funzionale alla democrazia.

  • Per quanto riguarda la ricerca, vediamo due posizioni contrastanti: da una parte c’è la delega incondizionata alla scienza, dall’altra il presupposto stesso sulle finalità della ricerca. La scienza, proprio perché nasce dall’uomo, è un valore, però non deve diventare un assoluto; infatti, non basta a descrivere la complessità dell’umanità perché riguarda solo ciò che colpisce i sensi e l’umanità è molto più di questo. Il suo opposto, dall’altra parte, è l’antidoto all’onnipotenza della scienza che, se esasperato, toglie l’uso della ragione e riporta alla superstizione.
  • L’industria, il settore produttivo in genere, ha smarrito la finalità come espressione della creatività umana per il raggiungimento del benessere come obiettivo comune e ha privilegiato la scelta del profitto individuale, che è sì un elemento intrinseco al funzionamento dell’industria, ma posto come unica finalità ha portato al consumismo che è l’origine dello squilibrio in cui ci troviamo. Un esempio ne è l’industria farmaceutica.
  • La terza dimensione è la conquista della libertà da tutte le necessità (fame, malattie e potere), e si esprime nella dimensione della democrazia, ma quest’ultima è un processo graduale che deve sempre mediare tra il personale e il comune. Per realizzarsi necessita di strumenti di informazione che sappiano fornire conoscenze complesse e non specialistiche. Occorre altresì un’informazione che rispetti i tempi della comprensione: ora l’informazione viene pubblicata prima di essere verificata, prima di essere compresa nel suo valore, nelle sue implicazioni, quindi, invece di essere funzionale alla formazione della società, la disgrega.

E’ per questi motivi che la spaccatura della società oggi ha raggiunto il suo culmine nella contrapposizione tra favorevoli e contrari al vaccino e al green pass, perché individuando come elemento di scontro il vaccino, che è l’epilogo di questa situazione, pretendono di risolvere problemi dalla storia ampia e complessa e che con il vaccino hanno a che vedere solo marginalmente, come i monopoli delle case farmaceutiche, il dominio della finanza e la supremazia delle nazioni.

Il richiamo dei premi Nobel alla visione della complessità richiede una capacità di distinguere la scala su cui nasce il problema e quella su cui si sviluppa il dibattito. Non solo la scala deve essere la stessa (universale, mondiale, locale…), non si devono confondere neppure i piani: non ha senso rispondere a un problema culturale con una visione morale, scientifica o politica.
E’ anche un errore di prospettiva: non si dovrebbero fare denunce che non lascino una via d’uscita o che costringano all’emarginazione, all’incomunicabilità tra parti della società, perché questo è il preludio ad una guerra. La forza dell’umanità è la relazione, l’avere una prospettiva comune: dove c’è emarginazione c’è la sconfitta dell’umanità.

Proprio perché entrambe le posizioni sono legittime, ma parziali, ed hanno la propria ragione d’essere, è indispensabile che trovino come obiettivo comune la soluzione ai problemi che hanno creato la crisi. L’esercizio della propria personale libertà, ciò che ci consente di non essere pedine in mano altrui e non mettersi in una situazione di impotenza da cui si esce soltanto con la contrapposizione o addirittura la violenza, è il trovare una soluzione valida per tutti e ciò può essere fatto soltanto ascoltando le ragioni degli altri e usando la creatività.

Parole a capo
Natalia Bondarenko: Alcune poesie inedite

La poesia è come l’acqua nelle profondità della terra. Il poeta è simile a un rabdomante, trova l’acqua anche nei luoghi più aridi e la fa zampillare.
(Alberto Moravia)

Uscire dal concetto di rifugio,
di ricavo,
di qualcosa che ti protegga,
di una salvezza con la “S” maiuscola,
insomma, di una casa con la “C” minuscola…

Uscire senza sdoganare,
convivere con l’abitudine di arrivare a cena in pigiama
spersonalizzarsi per non infrangere il mutismo,

[passare dalla ragione al torto è semplice,
basta parlare]
incontrarsi al lavabo e discutere sulla pentola da buttare via…
è che ci sia, questo rischio!
Il tuo aiutarmi è un inciampare permanente,
da fumetto, disegnato con il detersivo per i piatti…

Risuona la Buonanotte in anticipo di ore
come l’urlo del cammello nel deserto,
o di un naufrago in mare aperto,
o di un chissà cosa in chissà dove
Così, per tornare al discorso con la “D” maiuscola,
confondiamo le camere da letto con le celle,
i corridoi con le autostrade,  le scale con le vie di fuga,
confondiamo  i toni accesi del perdono con la resa…

[di queste sviste ne abbiamo fatto un’arte].

*

Poetare quando nessuno te lo chiede,
scrivere a crudo, leggere a cotto –
la cucina delle circostanze te lo impone
ma a voce bassa,

[si sente appena] perciò
devo spulire l’orecchio, smortare l’occhio,
snervare le dita e smollare la lingua
per dire qualcosa che non sia una congiura,
insomma,
che mi faccia fare una bella figura, e così
provo scontare la notte e sfinire il giorno,
perché di giorno
non ti viene nient’altro che poetare,
poetare, poetare,
e urlare

[in sordina]
e urlare.

*

Come si chiama quella cosa
quando tu vivi da qualche parte del mondo
che, probabilmente, non ti appartiene,
quando il mare si trova
a soli venti chilometri di distanza,
il vento viene prevalentemente da nordest,
la pioggia da sudovest
e il sole ha il destino fragile
mentre dalla tua finestra vedi passare
soltanto
anni e anni d’incomprensioni.

Come si chiama quel pensiero perdurante,
quella teoria di una nostalgia più o meno sana
di un paese dove crescono molti cavoli,
dove le bufere di neve ti tolgono la vista,
e in chiesa si va solo per distribuire le scuse,
perché la vita da quelli parti si gusta con gli occhi
e la poesia si mangia al dente
dentro un monolocale, quattro per quattro,
dove si sta comodi solo se si sta abbracciati.

La perplessità sta nel non riconoscere più le cose,
dall’essere plagiati da un dettaglio
che non è affatto un dettaglio
mentre qualcosa di maligno
si spiffera dalle finestre chiuse
e mette a dura prova il tuo midollo osseo
ormai modificato.

*

Torno/fuggo/resto/sbotto,
la passione urla dentro e sussurra fuori,
prende la forma del sale sciolto,
di un semifreddo, di uno yogurt scaduto.

Evito/cedo/storno/muoio o
fingo di morire, la differenza è minima,
restano i verbi obsoleti, i capelli orrendi
e la domenica a letto con i pensieri corti.

Perciò, inizio da capo: torno/resto/
amo/evito/fuggo/storno/ di nuovo amo
/muoio/scrivo/scrivo/scrivo/scrivo/scrivo/scrivo/scrivo/scrivo/scrivo/scrivo…

lo faccio di getto, facendo tanti errori,
come si fa quando si ama.

Natalia Bondarenko, fotografa e scrittrice. Nata nel 1961 a Kiev (ex Unione Sovietica) in una famiglia d’artisti. Nel 1990 si trasferisce in Italia. Attualmente vive e lavora a Udine.
Scrive da sempre nella sua lingua madre, in particolare ha scritto sceneggiature per spettacoli universitari, poesie, racconti e romanzi. Ha tradotto in italiano opere poetiche e narrative di autori russi e ucraini. Direttamente in lingua italiana scrive solo dal 2008. È vincitrice del Premio letterario  “Scrivere altrove”, 2013.
Ha pubblicato “Profanerie private”, (Guarnerio Editore, Udine, 2010), “Terra altrui” (Samuele Editore, Pordenone, 2012), poemetto “Confidenze confidenziali” (Rayuela Edizioni, Milano, 2013), antologia “Vietato aggrapparsi ai sogni!” (Guarnerio Editore, 2014) e “L’Esilio” “Die Verbannung”  (plaquette italiano-tedesco pubblicato da Poesia&friends, 2017).
Dal 2015 fa parte della redazione della rivista VERSANTE RIPIDO dove cura la rubrica “L’ironia è una cosa seria”.
È curatrice di Poesia&friends, un evento friulano (più o meno mensile) di letteratura, arte, fotografia e musica.

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Gian Paolo Benini e Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

L’Ultimo Rosso, la festa della poesia a Ferrara

 

Alla Rotonda Foschini due poeti leggono a chi passa le loro poesie e quelle degli autori da loro amati. Hanno un nastrino rosso legato al polso. Un nastro rosso come filo conduttore della poesia popolare e libera che venerdì scorso, 15 ottobre, ha collegato tra loro altri punti della città.

In Piazzetta Savonarola oltre al nastrino rosso chi legge porta anche un cappello dello stesso colore; accanto alla Biblioteca Bassani e in Piazza Trento Trieste si può vedere una sciarpa rossa, una borsetta rossa in Via Savonarola.

Qui, sopra la postazione dei due poeti, che hanno aperto il loro leggio e avviato un piccolo amplificatore della voce si può vedere una signora affacciata che sorride, si gira verso l’interno della casa per dire al figlio di venire a sentire. Poi guarda in giù e dice che è orgogliosa di avere i poeti sotto casa.

Ha visto subito crescere la propria pianta questo seme lasciato da Ultimo Rosso [Qui], il primo Festival di poesia itinerante organizzato da ferraraitalia in questo 2021 del risveglio dal sonno pandemico.

Per una poesia libera di muoversi nella città, che interrompe il quotidiano e spiazza i passanti e li chiama ad ascoltare e a interagire. Una poesia senza palchi e senza etichette, che si propone come lingua intima e universale.

Così è stata concepita e proposta dal giornale: “Ultimo Rosso è volutamente eccentrico, può richiamare la passione, la rivoluzione, la distanza dal convenzionale, la sorpresa, il mattone rosso di Ferrara”. E così è diventata evento politico.

Altri semi sono stati lasciati in Piazzetta Carbone, all’ingresso del Parco Massari, in Via Krasnodar, davanti alle librerie del centro e così via: altre coppie di poeti tra le 18 e le 19 del fresco crepuscolo di ottobre hanno letto un testo iniziale comune a tutti, un testo di Wislawa Szymborska [Qui] che nei versi finali pone la domanda:

“La poesia
ma cos’è mai la poesia?
Più d’una risposta incerta
è stata già data in proposito.
Ma io non lo so,
non lo so e mi aggrappo a questo
come alla salvezza di un corrimano.”

Al corrimano dei pensieri e delle emozioni pensate si sono aggrappati i poeti nelle strade e nelle piazze, leggendo i testi amati di autori antichi e nuovi, famosi e meno famosi. Da Saffo a Giorgio Caproni, da Eugenio Montale a Paolo Agrati, da Alda Merini a Massimo Scrignoli, solo per citarne alcuni.

I poeti hanno poi letto i propri testi, testi d’amore e di bellezza, di lettura della propria interiorità nel rapporto col mondo, di impegno sociale. La poesia non si sottrare a leggere il mondo, anzi è un tentativo di decifrarne i gangli vitali; la poesia arriva nella stanza dei bottoni della lingua e svela gli abusi della comunicazione quotidiana sulla forma e sul senso delle parole.

La poesia può ripristinare la mappa dei valori che fondano la polis, la comunità di cui siamo parte. E’ poesia civile. Forse questo è un primo tentativo di risposta alla domanda di Szymborska, una risposta di metodo su cosa fa la poesia, su quali traguardi può toccare. La poesia fa sintesi, la sintesi sempre provvisoria sulla vita pensata che abbiamo tra le mani.

Questo hanno fatto gli adolescenti, sabato mattina. Dalle 10 alle 12 si è svolto il reading di Ultimo Rosso nel giardino della Biblioteca Ariostea, con la partecipazione dei 20 poeti, ferraresi e non, intervenuti venerdì e con altri che si sono aggiunti ad ascoltare le poesie e a leggerne liberamente di proprie.

Tra questi un gruppo numeroso di studenti dell’Istituto Einaudi, che hanno letto i loro testi ispirati a Possibilità della Szymborska; ognuno di loro ha scelto di mettere in lista come oggetti del verbo Preferisco i propri gusti, le passioni, la leggerezza dei sedici anni accanto alle cicatrici interiori che qualcuno di loro porta già come uno stigma.

La leggerezza: “Preferisco stare con gli amici”, oppure “Preferisco divertirmi” e “Preferisco il colore blu”. Lo stigma: “Preferisco soffrire piuttosto che essere vuoto”, “Preferisco che la parola cancro indichi solo un segno zodiacale”.

Quando è così la poesia vola. Vola in basso a sondare le profondità, vola intorno in ricognizione sul mosaico della realtà e poi prende slancio e va in alto, dove tutti possono vedere e vedersi.

Si è percepito con chiarezza il senso di condivisione, proprio nella formula libera data alla lettura: un avvicendarsi di voci poetiche varie e diverse, in un flusso libero e liberatorio che ha permesso di conoscersi e di confrontarsi. Di mettere in comune. Di comunicare.

Ancora un tentativo di risposta che afferisce alla funzione della poesia – la poesia unisce – non a cosa essa esattamente sia. Certo, però, che se consideriamo la coesione a cui ha portato noi di Ultimo Rosso e la voglia che ci ha lasciato di continuare con nuove edizioni del festival, di leggerla per tutti nella città, di spargere denunce, domande e dubbi, di seminare scintille di sincerità e di bellezza, vuole dire che ci stiamo avvicinando a perimetrarne il senso.

La bella poesia che Cristiano Mazzoni ha composto dopo le due giornate del Festival ne esprime così il valore e il significato:

“Poesia sulle strade,
sui marciapiedi sgarrupati,
di fronte al grande
accusatore,
contro i muri di mattoni
granata.
Parole sospinte dal vento,
in un angolo del convento,
sospiri e groppi in gola,
acqua asciutta ai lati degli
occhi.
Poetesse innamorate
dell’amore,
i ragazzi ci urlano in faccia il
loro disagio,
poesia civile, voglia di rivolta,
il rosso e il nero del
ferroviere.
Con voce di tuono,
con un sussurro d’angoscia
la rivoluzione non si perde e
non si vince,
la si combatte.
Forse un seme è stato
gettato,
forse un soffio è cominciato,
la città delle cento
meraviglie
racconta i sogni da fogli
bagnati.
Ci sarà un perché,
ci sarà un domani,
ci sarà un futuro
nel nostro passato.”

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari della rubrica di Roberta Barbieri clicca [Qui]

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Il 27 e 28 ottobre si decide l’estradizione di Assange negli Stati Uniti

di Dale Zaccaria (Peacelink)

Processo d’ appello per Julian Assange questo 27 e 28 ottobre davanti all’Alta Corte Britannica. Gli Stati Uniti ne chiedono l’estradizione per processarlo con capi di imputazione che vanno dalla rivelazione di segreti militari allo spionaggio.
Il giornalista, fondatore di Wikileaksrischia fino a 175 anni di carcere. Un processo che deciderà le sorti di Assange, ma che al contempo metterà il bavaglio al giornalismo libero e d’inchiesta.

Un Assange provato e invecchiato da questi anni di solitudine e chiusura forzata e che attualmente si trova rinchiuso nel carcere più duro del Regno Unito, la prigione di Belmarsh. Stella Morris, sua compagna e avvocato, ha confermato in una recentissima intervista a Roberto Saviano sul Corriere della Sera le intenzioni dell’intelligence americana di uccidere Assange.

I giochi di potere e le campagne di delegittimazione

La Morris sottolinea anche la campagna di demonizzazione messa in atto verso Assange e Wikileaks: «Nel corso dell’ultimo decennio ce ne sono state molte di queste campagne di delegittimazione». Parliamo delle accuse di stupro in Svezia, sino alla campagna “utile idiota del Cremlino” per le presunte vicinanze a Putin. Assange paga il duro prezzo di aver rivelato e resi pubblici documenti che compromettono la posizione degli Stati Uniti come nella vicenda afghana. Assange fa emergere e porta all’opinione pubblica i giochi di potere, il dietro le quinte, le occulte decisioni e volontà, il great game nello scacchiere internazionale del Potere. Afferma Assange nel 2011: “L’obiettivo è usare l’Afghanistan per ripulire il denaro, facendolo uscire dalle basi fiscali degli Stati Uniti e dell’Europa attraverso l’Afghistan e farlo arrivare nelle mani di un’elite transnazionale di sicurezza. L’obiettivo è una guerra senza fine, non una guerra di successo”.

Sempre Stella Morris fa emergere come il processo ad Assange sia ingiusto, come fu nel caso delle accuse della presunta violenza a due ragazze svedesi«È stato un vergognoso abuso del procedimento giudiziario. Julian non è mai stato rinviato giudizio, e i magistrati svedesi alla fine hanno chiuso il procedimento una volta che era servito allo scopo: attaccare la sua reputazione, negargli la possibilità di difendersi, mantenerlo privato della sua libertà per anni fino a quando gli Stati Uniti hanno desecretato il loro atto di incriminazione. Le Nazioni Unite hanno già stabilito, nel 2015, che il Regno Unito e la Svezia hanno agito in violazione delle leggi internazionali e che Julian era detenuto arbitrariamente nell’ambasciata».

Lo stesso Assange sottolinea come «quello che viene fatto a me non riguarda davvero la mia persona, ma mira piuttosto a creare dei precedenti che servano a produrre una stampa servile e un’opinione pubblica ignorante e senza potere».

Le iniziativeLibertà per Assange

Molte le iniziative in questo momento per chiedere la liberazione di Assange, giornalisti, movimenti pacifisti e sociali come Peacelink. Libere e liberi cittadini si sono uniti per sostenere il giornalista australiano.

La conferenza stampa del 26 ottobre

Il 26 ottobre, alle ore 16, ci sarà una conferenza stampa a Montecitorio alla viglia dell’udienza d’appello. Promotori dell’iniziativa Italiani per Assange, Statunitensi per la Pace e la Giustizia – Rome, DiEM25 in Italy. Sarà presente come moderatore Riccardo Iacona, giornalista Rai e autore di un recente servizio su Assange “Processo al giornalismo”.

Il comunicato stampa:

Il 27 e il 28 ottobre, l’Alta Corte di Londra deciderà sull’estradizione o meno di Julian Assange, attualmente rinchiuso nella prigione di Belmarsh, Londra.

Se la richiesta d’estradizione avanzata dagli Stati Uniti verrà accolta dall’Alta Corte, Julian Assange potrebbe essere rispedito negli USA, sottoposto a processo sotto l’Espionage Act del 1917, e incarcerato per 175 anni. La colpa? Aver pubblicato documenti trafugati che attestano i crimini di guerra commessi dai militari USA in Afghanistan e in Iraq. Eppure Assange non è un cittadino statunitense. E’ un cittadina australiano che ha sempre operato in Europa.

Ma il messaggio che vuole mandare il governo statunitense è chiaro: “Non importa chi sei, non importa di che nazionalità sei, non importa dove ti trovi nel mondo, se osi svelare i crimini di guerra commessi dai militari USA, noi verremo a prenderti e a portarti in una nostra galera per il resto della tua vita.” L’eventuale estradizione di Julian Assange avrebbe, dunque, un effetto intimidatorio su tutti i giornalisti investigativi del mondo. Ma questa è probabilmente la sua finalità.

Naturalmente, non è prevista nessuna indagine, da parte del governo USA, su i crimini di guerra denunciati da Assange e, neanche a dirlo, non è stato imputato nessuno dei militari che li avrebbero commessi. Solo chi li ha denunciati verrà sottoposto a processo.

26 ottobre, ore 18.00 Conferenza stampa alla Camera dei Deputati

Luogo: Sala Stampa della Camera dei Deputati, Roma  (messa a disposizione dei promotori dell’evento, attraverso il gruppo parlamentare L’Alternativa C’è.
Il gruppo L’Alternativa C’è è costituito dagli ex-M5S contrari al governo Draghi, confluiti poi nel gruppo misto.
Il 7 aprile 2021, il deputato Pino Cabras e il gruppo L’Alternativa C’è avevano presentato una mozione alla Camera che impegna il Governo a “scongiurare l’estradizione di Assange”; ma la mozione è rimasta bloccata nella relativa Commissione. (1.)

Promotori della Conferenza stampa:
Italiani per Assange (2.)
Statunitensi per la Pace e la Giustizia – Rome (3.)
DiEM25 in Italy (4.)

Moderatore della Conferenza Stampa:
Riccardo Iacona giornalista della RAI e autore di un recente servizio su Assange su RaiPlay (5.)

Relatori presenti nella Sala Stampa (sono ammessi 2 relatori in presenza oltre al Moderatore):
il deputato Pino Cabras,
l’ex magistrato Antonio Ingroia.

Relatori in remoto:
il celebre whistleblower dei “Pentagon Papers” Daniel Ellsberg (dalla California, USA)
Il fratello di Julian Assange, Gabriel Shipton (dall’Australia)
l’accademica (Università di Reading) e attivista per i diritti umani Deepa Driver (dall’UK)
la giornalista e direttrice di Reporters Without Borders a Londra, Rebecca Vincent (dall’UK)
il giornalista (theAnalysis.news) e documentarista Paul Jay (dagli USA)
la giornalista Stefania Maurizi, autrice del libro su Assange “Il Potere Segreto” (da Roma)

Contributi videoregistrati o scritti da parte di:
l’economista, attivista e già Ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis (video)
l’artista italiano Davide Dormino, scultore di Anything to Say? (6.) (video)
l’accademico (Università di Arizona) e attivista politico Noam Chomsky (dichiarazione scritta)

Articoli per contestualizzare l’evento:
Se l’UK dirà sì all’estradizione di Assange negli Stati Uniti (7.)
Le 10 rivelazioni di Assange che hanno cambiato il modo di vedere il potere (8.)
La debacle in Afghanistan mostra che avremmo dovuto ascoltare, non criminalizzare, Assange (9.)
La verità che illumina la giustizia (10.)
Giornalisti per Julian Assange (Speak up for Assange) (11.)
Sanzionare gli USA e l’UK per le loro violazioni dei diritti umani di Julian Assange (12.)

Note:
(1.) http://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic1_00456_18
(2.) https://www.facebook.com/groups/306819506870113/
(3.) http://www.peaceandjustice.it
(4.) https://internal.diem25.org/en/groups/120
(5.) https://www.raiplay.it/programmi/presadiretta?wt_mc=2.social.tw.rai3_presadiretta.&wt
(6.) https://en.wikipedia.org/wiki/Anything_to_Say%3F
(7.) https://www.valigiablu.it/uk-estradizione-usa-assange/
(8.) https://www.ambienteweb.org/2019/04/14/le-10-rivelazioni-di-assange-che-hanno-cambiato-il-modo-di-vedere-il-potere/
(9.) https://www.peacelink.it/pace/a/48694.html
(10.) https://italianiperassange.medium.com/la-verit%C3%A0-che-illumina-la-giustizia-9f43acde5936
(11.) https://www.peacelink.it/mediawatch/a/48746.html
(12.)  https://www.peacelink.it/pace/a/48800.html

Questo articolo è già apparso il 18.10.21 su wikileaks.it

Scuola: gli ultimi difensori della fortezza Bastiani

 

Ormai la letteratura sulla crisi del nostro sistema scolastico è sterminata, ognuno ne analizza le cause da diverse angolazioni ma la conclusione è sempre la stessa, la nostra scuola resta la “grande disadattata” di cui scriveva Bruno Ciari negli anni ’70 del secolo scorso.
Istat, Invalsi, Ocse e tutti i rapporti di Education at a Glance ormai da decenni denunciano i mali di cui soffre il nostro sistema formativo a cui mai nessun governo ha però pensato di porre seriamente rimedio.

La macchina dell’istruzione, oggi, contro le sue intenzioni, è diventata un formidabile amplificatore delle diseguaglianze. Per saperlo non avevamo certo bisogno del tempismo editoriale della Nave di Teseo che in occasione del salone del libro di Torino, pubblica Il danno scolastico, con il sottotitolo significativo: “La scuola progressista come macchina della diseguaglianza”. Opera a quattro mani del sociologo Luca Ostillio Ricolfi e signora, l’ex professoressa Paola Mastrocola.

Una operazione commerciale che porterà vantaggio alle casse della casa editrice, ma che nulla aggiunge alle riflessioni necessarie per risollevare dal disastro il sistema formativo del nostro paese. Anzi, i topos sono sempre gli stessi di quella cultura nostalgica che non riesce a distogliere gli occhi dal passato e che non sa guardare avanti.

La rovina della scuola avrebbe avuto inizio nel lontano 1962 con il governo Fanfani IV e con Aldo Moro ministro dell’istruzione.  Da lì nascerebbe il vulnus della scuola media unica, quella senza latino, vulnus alla scuola severa e rigorosa, alla scuola delle bocciature, alla scuola dei maestri e dei professori di una volta (per non parlare della zia Ebe di Ricolfi), quelli che erano autentici formatori, di cui si è persa ogni traccia.

Poi è stato tutto un precipitare attraverso il ’68, don Milani e Barbiana, l’abolizione del maestro unico, Luigi Berlinguer fino ai giorni nostri, senza salvare nulla e nessuno.

Tutto questo si vuole ora dimostrare, fornendo i dati della ricerca sociologica. Viene il sospetto che i nostri autori in questi anni abbiano vissuto dentro la bolla delle loro convinzioni, senza mai affacciarsi fuori per cui non si sono accorti che ben altri dati assai drammatici andavano disegnando lo stato critico del nostro sistema formativo.
Così nell’intervista rilasciata al Giornale in data 15 ottobre, il sociologo Ricolfi si dimostra disarmato, la china è talmente scesa in basso che è impossibile risalirla, sostiene, ormai  non resta altro che lo strumento della provocazione.

È che la scuola progressista non c’è, non c’è mai stata, la vedono solo Ricolfi e sua moglie nelle loro allucinazioni.
Di Barbiana ce n’è stata una sola e la scuola statale ha continuato a funzionare inalterata nel suo impianto che risale ai tempi della legge Casati e della riforma Gentile. Con i licei, gli istituti tecnici, fino agli istituti professionali ricettacolo di ogni fallimento scolastico e sociale. Un convivere di vecchio e nuovo, con il vecchio che non è mai scomparso e il nuovo che non è mai diventato nuovo. La scuola dell’ibrido, organizzata per ordini, direzioni, cattedre, discipline e scrutini, radicata nel passato ma sempre precaria come il suo personale.

Del resto lo stesso Ricolfi (docente universitario) lo riconosce implicitamente, quando sostiene che: “Però ci sono delle regolarità: se uno studente prende un voto alto, ma non 30 e lode, posso solo indovinare che quasi certamente non ha fatto né il liceo sociopsicopedagogico né il liceo linguistico. Se prende 30 e lode, invece, vado a colpo sicuro: ha fatto il classico.”

È vero che la nostra scuola dell’inclusione, grande conquista degli anni ’70, non è in grado di colmare gli svantaggi, che il successo formativo è ancora un fallimento, perché spesso alle promozioni non corrispondono le competenze. Ma le cause non sono quelle sostenute da Ricolfi e Mastrocola, non sono dovute a una classe docente non più severa perché sopraffatta dalla cultura progressista e dai suoi slogan: “la scuola dell’obbligo non può bocciare”, il “diritto al successo formativo” che hanno trovato negli studenti e nelle famiglie (nonché nei media) un terreno fertilissimo su cui prosperare”.

Le cause sono la povertà storicamente cronica delle nostre scuole, lasciate senza risorse per combattere gli svantaggi, per consentire i recuperi, per lottare contro la dispersione, per garantire la formazione continua degli insegnanti.
Risorse finanziarie, umane, di mezzi, di strutture e di spazi a causa di quella stessa cultura dei Ricolfi e Mastrocola che ha governato il paese per oltre vent’anni, dalla Moratti alla Gelmini, anche loro però accusate dai nostri autori di aver ceduto al virus del progressismo educativo.
Ognuno ha il suo deserto dei Tartari, la sua fortezza Bastiani da presidiare.

Infatti l’ipotesi della scuola progressista dannosa in quanto produttrice di diseguaglianze, la cui dimostrazione Paola Mastrocola affida ai dati della Fondazione Hume del marito Ricolfi, ha un solo obiettivo, sempre quello: dimostrare il fallimento della scuola statale.

Per gli autori, la scuola dello Stato è alla deriva, ormai non è più recuperabile. Non resta che la soluzione prospettata vent’anni fa, nel lontano febbraio 2001, da Giuseppe Bertagna, Dario Antiseri e Ferdinando Adornato tra i sottoscrittori dell’Appello per la scuola della società civile: “Una scelta decisiva e non più rinviabile …consiste nell’abbandonare il modello statalista ancora dominante nel nostro Paese, per fare spazio ad un nuovo assetto fondato sulle espressioni più vive e dinamiche della società civile. In tal senso va favorito il passaggio del sistema dell’istruzione e della formazione da organismo dello Stato a strumento a servizio della società civile”.

Pare però che in tutti questi anni i nostri intellettuali si siano dileguati e, in buona compagnia di Ricolfi e Mastrocola, non si siano accorti che siamo entrati in un secolo del tutto nuovo e che le loro ricette della nonna o della zia per i nostri figli non sono buone neppure per farci un solo giorno di scuola.

Per leggere gli altri articoli di Giovanni Fioravanti della sua rubrica La città della conoscenza clicca [Qui]

L’EINAUDI HA PARTECIPATO A: ULTIMO ROSSO 2021

 

L‘Istituto Einaudi di Ferrara ha  partecipato all’evento di lettura e condivisione di testi poetici che si è svolto sabato 16 Ottobre 2021 nel giardino della Biblioteca Ariostea.

L’iniziativa, inserita nell’ambito del primo festival di poesia di Ferrara “Ultimo Rosso” che si è tenuto per le strade della città il 15 e 16 Ottobre, ha visto la partecipazione della classe 2G la quale ha sviluppato un laboratorio di poesia.

Gli studenti si sono lasciati coinvolgere, dopo la lettura della poesia “Possibilità” di Wislawa Szymborska, nella creazione di testi poetici che hanno letto ai partecipanti, poeti o anche semplicemente amanti della poesia, durante la manifestazione che si è tenuta sabato mattina.

“E’ stata un’esperienza molto intensa, i ragazzi hanno partecipato con interesse ed impegno, il pubblico ha rivissuto, tramite loro, le emozioni e la sensibilità dell’adolescenza” ha affermato la prof.ssa Cecilia Bolzani, docente di Lettere della 2G, che, insieme al prof. Roberto Paltrinieri, poeta e docente di Diritto, ha affiancato gli studenti durante l’iniziativa.

“Il Laboratorio di poesia creativa è un approfondimento del programma didattico di Italiano, ma costituisce anche uno spazio di libertà interiore da offrire ai giovani, che in questi ultimi anni hanno sofferto anche più di quanto accada, durante gli anni dell’adolescenza, quando il percorso verso la scoperta di sé stessi può generare anche momenti di crisi”, ha aggiunto la docente.

Gli studenti hanno apprezzato molto l’iniziativa ed hanno affermato di aver scoperto come la poesia possa essere interessante e come avvicini le persone, anche quelle di generazioni diverse: la poesia infatti è un linguaggio universale per parlare del proprio mondo interiore.

Nei prossimi giorni I testi poetici verranno pubblicati sul quotidiano online FerraraItalia e sulla nuova pagina Fb Collettivo Poetico L’Ultimo Rosso [Qui]

Ferrara, 18 Ottobre 2021

UN MENU’ DIVERSO PER OGNI VITA:
personalizzazione e sostenibilità dei nuovi comportamenti alimentari

 

Il mercato alimentare vede da anni una forte crescita, favorita dalla rapida introduzione di nuove tecnologie e nel contempo dal cambiamento delle sensibilità degli individui, generalmente orientati verso prodotti e processi rispettosi dell’ambiente.
I cambiamenti possono essere sintetizzati in tre aree: 1 consapevolezza alimentare, 2 nuove conoscenze nutrizionali, la crescita di un’alimentazione vegetale

Consapevolezza alimentare

Le ricerche evidenziano come la maggior parte dei cittadini sia preoccupata di come venga prodotto il cibo che arriva sulle tavole e come possa influire sulla salute e su quella del pianeta.
La qualità del cibo viene messa al primo posto: in particolare il 35% degli italiani dimostra interesse verso ingredienti sostenibili, nel rispetto dell’ambiente e della salute. Per lo più le persone si dichiarano disposti ad accettare anche un prezzo più elevato per garantire questi valori. Inoltre, emerge la tendenza a combattere lo spreco alimentare con piccoli gesti quotidiani: ottimizzare l’utilizzo di energia, ridurre l’impatto del packaging, assicurarsi della provenienza degli ingredienti, preferire la stagionalità, il ‘chilometro zero’.

Nuove conoscenze nutrizionali

Se alcuni decenni fa una buona alimentazione era sinonimo di diete e di conteggio delle calorie, oggi i consumatori sono interessati ai benefici per la salute correlati ai diversi alimenti.
In Italia, per esempio, il 35% dei consumatori intervistati ricerca nel cibo elementi curativi della salute dei capelli e della pelle. E oltre il 60% degli intervistati a livello europeo è consapevole che ciò che mangia ha un impatto diretto sul proprio benessere non solo fisico, ma anche mentale ed emotivo.
Nel 2020 la ricerca di una dieta bilanciata è diventata un obiettivo primario degli europei. Un campione tra il 38% e il 43% degli intervistati si dichiara disponibile a un cambiamento radicale di stile di vita.

Vergono prese in considerazione tutte le possibilità offerte dalle diverse culture culinarie come kefir, kombucha e altri prodotti fermentati, che catturano l’interesse soprattutto dei consumatori under 35.

Verso un’alimentazione vegetale

I consumatori si dichiarano più propensi a cambiare le proprie abitudini alimentari in favore di una dieta a prevalente base vegetale.
In Europa, un campione tra il 37% e il 52% dei consumatori evita di mangiare abitualmente carne per ragioni legate all’ambiente e circa il 40% considera le proteine derivanti dalle piante più sane di quelle animali.
Va riducendosi il consumo di latte e derivati a favore di alimenti a base vegetale. Si è sviluppata recentemente, una tendenza alimentare definita flexiteriana (la dieta amica della salute e rispettosa del pianeta), che prevede il consumo di carne solo in piccole quantità sufficienti all’acquisizione di principi nutritivi essenziali, a favore di un’alimentazione completamente vegetale.

La casa al baricentro della vita

Come è accaduto in altri contesti, la pandemia ha messo in questione il mondo della ristorazione, sollecitando e accelerando processi di cambiamento in gestazione da alcuni anni.

Una serie di fattori correlati alla pandemia hanno contribuito a cambiare le modalità di lavoro e gli stili di vita. Lo smart work non ha cambiato solo il luogo di lavoro, ma anche il consumo dei pasti nella pausa pranzo e le abitudini alimentari dei singoli. In sintesi lo smart work ha contribuito a mantenere il baricentro della vita a casa.
Se la casa diventa anche luogo di lavoro, anche l’alimentazione subisce caratteri più simili a quelli di una mensa che a quelli di una famiglia. Le confezioni monoporzione anche a casa risponderanno ad esigenze di velocità, di qualità e di fruizione.

Il cibo riduce il suo carattere di occasione di socialità e di confronto con i colleghi, un’occasione in cui si costruisce e si alimenta un clima cooperativo e di appartenenza. Senza una tavola comune viene meno quel particolare tipo di relazioni che alimenta il senso di fiducia reciproca. E’ presumibile, inoltre, che l’alimentazione gestita nello spazio domestico restringa la variabilità del cibo e aumenti la monotonia delle stesso.

Alimentazione e scelte individuali

Ma il cibo assume caratteristiche di maggiore personalizzazione per assecondare gusti ma soprattutto scelte dietetiche dei singoli. Si può immaginare che il cibo nella vita quotidiana abbia una minore capacità di socialità, ma una più rilevante importanza nella costruzione di una propria piattaforma alimentare capace di rispondere con estrema attenzione alle preferenze e ai sentimenti legati al cibo.

È possibile inoltre che in tendenza venga meno una differenziazione di genere nella preparazione del cibo, liberando le donne dai compiti tradizionali legati all’alimentazione dei membri della famiglia.
Lo smart food potrebbe consentire di risparmiare tempo e di mutare una cultura di separazione dei ruoli tra uomo e donna che si è dimostrata fino ad ora difficile da scalfire.

È possibile immaginare che in futuro avremo un’alimentazione sempre più variata e correlata a scelte individuali, e un packaging basato su  monodosi. Ai cambiamenti negli stili di vita dei consumatori si accompagna una rinnovata attenzione ai cambiamenti climatici e alla sostenibilità.

Per leggere gli altri articoli della rubrica di Maura Franchi Elogio del presente [clicca Qui]

PER CERTI VERSI
Tequila

TEQUILA

La trovo
Che ronfa
Nel cesto
Delle mie mutande
La sfioro
Risponde
Si stiracchia
Si alza
Va sul letto
Sa già
Che dormiremo insieme
Al calduccio
Non prima
Di fusa da organino
Ma si
È la stessa
Che la mattina
Ha fatto colazione
Con me
Una banana io
Una tortora lei
Scronc scronc
E una chiazza di penne
Sul cotto
Ci ha pure giocato
Come fosse un bambolotto

L’accarezzo micia nera
Mi si strofina
Che mistero
Il gatto è un mistero
Le prende tutte
Le coccole
Me le fa
Con la testa
Il musetto bagnato
Si lascia andare
Si fida
È uno spasso
Le ore
Le ore
Ci passo
Si affida
Gli occhi
Dicono tutto
E nulla
Mi rilasso
Ci manca solo
Che lei rida

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca
[Qui]

TEATRO. Quel che le parole non dicono:
Paradiso XXXIII di Elio Germano al Comunale di Ferrara

Solo un attore come Elio Germano, protagonista di film concreti, attuali e travolgenti come “Romanzo criminale”, “Suburra”, “Mio fratello è figlio unico” poteva avere il coraggio di mettere in scena il più ostico dei testi letterari andandosi a cercarne la parte più difficile, aerea, mistica e attenendosi al linguaggio originale, poetico e arcaico da studi di lettere antiche.

Elio Germano in una scena di “Paradiso XXXIII” (foto Zani-Casadio)

Raccontare l’indicibile, mostrare l’inimmaginabile: è questo che uno dei giovani attori italiani più amati e credibili fa trasformando in spettacolo l’ultimo canto del Paradiso di Dante, il trentatreesimo, in scena ieri sera (venerdì 15 ottobre), stasera (sabato 16 ottobre, ore 20.30) e domani (domenica 17 ottobre, ore 16) al Teatro Comunale di Ferrara. Le terzine che concludono la Divina Commedia dantesca sono sceneggiatura della messa in scena di “Paradiso XXXIII” affidata all’interpretazione e alla drammaturgia di Germano insieme alla parte sonora appositamente pensata ed eseguita dal vivo da Teho Teardo con strumenti di vario tipo e svariate epoche e con una scenografia di luci strobiscopiche che incanalano l’ultima ed empirea tappa dantesca in suggestioni visive che evocano le trame delle incisioni di Gustavo Doré, le vibrazioni sonore, i palpito di un’ecografia neonatale, i videogiochi, l’iconografia sacra e l’attualità metropolitana.

Paradiso 33 al Teatro Comunale di Ferrara (foto Marco Caselli Nirmal)

Tante scene dantesche sono entrate nell’immaginario collettivo grazie alla capacità descrittiva così potente dell’Inferno: l’attrazione travolgente di Paolo e Francesca che ancora ci fa dire che un certo posto o lettura o incontro è stato “galeotto” come quel libro che aveva fatto stare così vicini i due giovani, fino a lasciarli sopraffatti dalla passione (e condannati a un’incessante fusione); il concetto di bolgia infernale che evochiamo davanti a situazioni di caotici assembramenti; la figura del traghettatore Caronte come trasportatore di anime in pena.

Paolo e Francesca tratteggiati da Manfredo Manfredini, artista in mostra in Municipio a Ferrara (foto ML)

Anche il Purgatorio dantesco ha lasciato in eredità immagini potenti: la figura angelicata di Beatrice così come il riferimento forte e dannato a “Sodoma e Gomorra” che viene fatto dalle schiere dei lussuriosi e che ancora echeggia in commenti attuali, titoli e persino nelle più recenti serie tv.

Teho Teardo ed Elio Germano in una scena di “Paradiso XXXIII” (foto ©Zani-Casadio)

Diverso, però, è l’immaginario legato al Paradiso dantesco. Lontane anni luce dalle citazioni comiche delle pubblicità ambientate sopra le nuvole, le rappresentazioni presenti nella terza delle tre Cantiche che compongono la Divina Commedia sono eteree, complesse e cerebrali. In Paradiso, la luce prevale e inonda figure e sensazioni sovraesponendole fino a rendere i loro contorni indefiniti, le sagome impercettibili, i tratti vaghi. L’effetto è quello che avviene, appunto, nelle immagini fotografiche inondate da eccessiva luminosità o al nostro sguardo dopo che si è posato sul sole o su una fonte di luce forte, che definiamo infatti accecante.

Proprio questa è la sfida dello spettacolo “Paradiso XXXIII”: mostrare l’invisibile, trasmettere non storie ma pensieri spiritual-filosofici, fare sentire l’ineffabilità, la carica emotiva e la forza poetica della visione paradisiaca.

Elio Germano interprete di Paradiso XXXIII (foto ©Zani-Casadio)

Poche ore prima che al Teatro Comunale di Ferrara andasse in scena lo spettacolo, nel pomeriggio di venerdì 15 ottobre in Biblioteca Ariostea lo stesso tema della narrazione paradisiaca in Dante lo ha affrontato Gianni Venturi, già docente di Letteratura italiana all’Università di Firenze nonché redattore di tanti interventi sagaci e brillanti sulle pagine di questo quotidiano online “Ferraraitalia”. Secondo Venturi nel terzo libro della Commedia “il supremo paradosso della ricerca dantesca è quello affidato a una memoria che per salti, barlumi, silenzi, si erge a raccontare l’indicibile e, quindi, a vederlo”. Venturi dice: “Figurare il Paradiso significa prendere atto della impotenza dell’impresa che tuttavia va affrontata attraverso un racconto metaforico che, mentre si rende conto dell’impotenza della parola poetica, si rinsalda proprio nella denuncia di questa impossibilità che la memoria affida allo strumento umbratile della poesia”.

La messa in scena dell’opera teatrale dedicata al 33.o canto del Paradiso (foto ©Zani-Casadio)

Elio Germano e Teho Teardo quest’impresa l’hanno compiuta, riuscendo a trasformare la poesia in uno spettacolo di prosa e di intrattenimento visivo-sensoriale. E dalla sala ovattata di corso Martiri della Libertà, a Ferrara, il pubblico è uscito sentendosi stordito e un po’ trasfigurato, alla maniera di quei personaggi che l’autore italiano più universalmente conosciuto ha tratteggiato settecento anni fa sulle pagine della sua “Comedia”.

PRESTO DI MATTINA
Francesco d’Assisi, l’uomo del mondo futuro

Francesco d’Assisi: l’uomo che veniva dal futuro, perché come tutti i mistici aveva attraversato la frontiera dell’alterità, transitando dall’io al tu, e da questo al noi, e dal noi al tutti: una fraternità universale.

Francesco «uomo del mondo futuro», così lo chiamavano i suoi contemporanei, perché varcando quella soglia ebbe parte al mistero di Dio e a quello dell’umanità, incontrando nel primo la grazia di un paternità e nell’altro, in ogni uomo e donna, in ogni più intima fibra del creato, il dono di una fratellanza-sorellanza globale, anzi cosmica, così intima e mistica da chiamare fratelli e sorelle, il sole, l’acqua, la luna e le stelle, “vento et aere, nubilo et sereno”, un lupo e perfino la morte.

Fratello universale” è stato chiamato un altro mistico di vita apostolica: padre Charles de Foucauld (1858-1916) [Qui]. Fu l’uomo silenzioso del Sahara, uomo di adorazione e di preghiera, che si è fatto “fratello universale”, nell’accoglienza di tutte le diversità, attraversando le frontiere esistenziali, etniche religiose. Si proponeva di «gridare il Vangelo sui tetti con tutta la mia vita»; aggiungendo di voler «abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani e ebrei e idolatri a guardarmi come loro fratello – il fratello universale».

La persistenza a tutt’oggi del fatto mistico ‒ che porta a sperimentare il mistero dell’Altro celato nell’umanità, quale dote di un patrimonio spirituale multiforme ed universale tanto dell’occidente quanto dell’oriente ‒ mi ha fatto ricordare ciò che scriveva Karl Rahner [Qui] nel 1966 a proposito del futuro del cristianesimo.

Questo gesuita teologo già preconizzava che il cristiano a venire non potrà che essere un mistico, uno che ha fatto l’esperienza di Gesù di Nazareth, crocifisso e risorto, nelle concrete realtà del quotidiano, oppure non sarà affatto un uomo religioso (Cfr.: Nuovi saggi II. Saggi di spiritualità, Roma 1968, 24-25).

Nel suo ultimo saggio l’amico Massimo Faggioli [Qui] scrive di papa Francesco: «Lo sguardo di Francesco sul mondo interconnesso di oggi non è un discorso per una cristianità comunitaria nostalgica della condizione premoderna, ma è consapevole delle sfide e delle opportunità per la fraternità e la solidarietà:

“Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio.

In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. (Evangelii Gaudium, 87)” Questa enfasi sulle periferie significa anche una ridefinizione dei confini e delle frontiere. Il confine è la linea lungo la quale due confini si toccano (in latino cum-finis, “che comprende la fine”). Il confine si distingue per l’unione, e stabilisce così una connessione.

Una volta determinato il confine, si stabilisce un contatto. Il confine non è mai solo limes (frontiera rigida) ma sempre anche limen (soglia). La liminalità del pontificato di Francesco sta nella sua reinterpretazione dei confini in quest’epoca di nuovi muri. Nessun confine può pretendere quindi di escludere “l’altro”, poiché il confine per definizione implica l’“altro”. Il confine, limitando, fa riferimento ad altro.

Qui troviamo il criterio per sfuggire al confronto manicheo che rappresenta una tentazione per la chiesa oggi. L’apertura e il rifiuto dell’apertura definiscono un rapporto che deve essere costantemente rinegoziato e riconquistato più volte… Nella tensione tra diversi poli e diverse forze di trazione, Francesco bilancia la dimensione istituzionale e spaziale della chiesa con una dimensione mistica e transfrontaliera.

Francesco continua sulla traiettoria del Vaticano II, che ha avviato il processo di dissociazione della cattolicità dalla sua comprensione geografica e geopolitica occidentale – un movimento verso il superamento dell’idea tridentina di cattolicità come spazio giuridico omogeneo» (Francesco, Papa di frontiera. Soglia di una cattolicità globale, Roma 2021, 89).

Questa prospettiva è inscritta nella stessa biografia di papa Bergoglio. Emigrato in Argentina, ha sperimentato più da vicino il trauma doloroso dei rifugiati, ed ha conosciuto la complessità e i problemi derivanti dal tentativo di conservare la propria identità declinandola però con le differenze dei luoghi in cui, da migranti, si è giunti.

Di qui un diverso sguardo anche sul modo di concepire l’identità religiosa, l’essere cristiani e cattolici nella complessità di un mondo globalizzato e insieme segnato da molteplici divisioni, muri geografici ed esistenziali che fanno resistenza alla creazione di spazi nuovi per una convivenza nella pluralità diversificata (Cf.: ivi, 84).

Francesco: «Vir alterius saeculi», di un mondo altro, “uomo del mondo futuro”, così lo chiama Tommaso da Celano [Qui] il suo primo biografo. Narra Tommaso che egli «passava per città e castelli annunciando il Regno dei cieli, la pace, la via della salvezza, la penitenza in remissione dei peccati; non però con gli artifici della sapienza umana, ma con la virtù dello Spirito… Uomini e donne, chierici e religiosi accorrevano a gara a vedere e a sentire il Santo di Dio, che appariva a tutti come un uomo di un altro mondo» (FF382-383).

L’espressione ritorna altre volte nelle Fonti francescane; alterius saeculi può essere compreso sia come un ressourcement, un ritorno alle fonti del vangelo, a Cristo stesso che ha rivelato l’uomo secondo Dio, ma anche come apertura in avanti, verso il Cristo veniente dal futuro di Dio. Così Francesco è divenuto l’uomo che ha anticipato nel ‘già’ del suo tempo il ‘non ancora’ degli ultimi tempi, l’umanità nuova e la nuova creazione in Cristo.

Agli occhi della gente ‒ racconta il Celano ‒ «la presenza o anche la sola fama di san Francesco sembrava davvero una nuova luce mandata in quel tempo dal cielo a dissipare le caliginose tenebre che avevano invaso la terra, così che quasi più nessuno sapeva scorgere la via della salvezza… Splendeva come fulgida stella nel buio della notte e come luce mattutina diffusa sulle tenebre; così in breve l’aspetto dell’intera regione si cambiò e, perdendo il suo orrore, divenne più ridente. È finita la lunga siccità, e nel campo già squallido cresce rigogliosa la messe. Anche la vigna incolta comincia a coprirsi di fiori profumati e a maturare, per grazia del Signore, i frutti soavi di bontà e di bene» (Ivi, 383-384).

Il riconoscimento di Francesco come novus homo si specificherà ulteriormente in chiave cristologica nell’espressione che indicava Francesco come alter Christus. Fu questo che avvertirono più o meno chiaramente i suoi contemporanei e anche quelli che verranno dopo di lui.

Lo storico Giovanni Miccoli sottolinea che tale consapevolezza della gente fu anche di Francesco stesso, quella di vivere un’esperienza singolare e nuova anche per la vita ecclesiale di allora: «La volontà e la consapevolezza di Francesco sono di vivere e proporre un’esperienza religiosa assolutamente originale nel contesto della tradizione religiosa ed ecclesiastica contemporanea.

Ma non si tratta solo di volontà e consapevolezza soggettive. Francesco – mi pare lo si possa dire – vive effettivamente un’esperienza religiosa che,vive effettivamente un’esperienza religiosa che per ciò che riguarda il suo nucleo profondo ed essenziale, non ha collegamenti e riferimenti nella tradizione ecclesiastica del suo tempo» (Francesco d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana, Einaudi, Torino 1991, 40).

Ancora dalle Fonti: «È impossibile comprendere umanamente la sua commozione, quando proferiva il tuo Nome, o Dio! Allora, travolto dalla gioia e traboccante di castissima allegrezza, sembrava veramente un uomo nuovo e di altro mondo.  A chi lo vedeva, sembrava un uomo dell’altro mondo: uno che, la mente e il volto sempre rivolti al cielo, si sforzava di attirare tutti verso l’alto» (FF 82: 1072; 1463).

Ma come conciliare questa via mistica, la vita contemplativa, sul monte di notte come Gesù orante, con la via apostolica e con la vita pastorale tra la gente? La questione era spesso ricorrente in Francesco prima e dopo l’approvazione della regola e discussa con i suoi frati della prima ora; ma si ripresentò anche dopo nell’ordine francescano, sotto la guida di san Buonaventura (come scegliere tra la vita apostolica o la vita contemplativa) al quale si pose un dilemma molto vivo anche oggi nei nostri cammini di fede.

Bonaventura da Bagnoregio [Qui] ribadì e rilanciò la soluzione trovata da Francesco. In lui, infatti, prevalse quella che fu la chiave di interpretazione di tutta la sua vita: l’esempio di Cristo, il quale dopo l’intimità orante con il Padre, al mattino discendeva dal monte nella pianura; la via allora era imitare lui anche in questo: “Cristo lasciò l’orazione per cercare gli uomini”, ma così facendo, stando tra i poveri, i malati si ritrovò ancora come presso il Padre perché scoprì che anche il Padre suo era sceso dal monte e lo aveva preceduto tra quella gente perché lui, il Figlio amato, lo rivelasse Padre nostro.

Con un racconto Buonaventura esplicita il percorso attraverso il quale Francesco giunse a tale interpretazione:

«A questo proposito, si trovò una volta fortemente angosciato da un dubbio, che per molti giorni espose ai frati suoi familiari, quando tornava dall’orazione, perché l’aiutassero a scioglierlo. “Fratelli domandava ‒ che cosa decidete? Che cosa vi sembra giusto? che io mi dia tutto all’orazione o che vada attorno a predicare?

Io, piccolino e semplice, inesperto nel parlare, ho ricevuto la grazia dell’orazione più che quella della predicazione. Nell’orazione, inoltre, o si acquistano o si accumulano le grazie; nella predicazione, invece, si distribuiscono i doni ricevuti dal cielo. Nell’orazione purifichiamo i nostri sentimenti e ci uniamo con l’unico, vero e sommo Bene e rinvigoriamo la virtù nella predicazione, invece, lo spirito si impolvera e si distrae in tante direzioni e la disciplina si rallenta.

Finalmente, nella orazione parliamo a Dio, lo ascoltiamo e ci tratteniamo in mezzo agli angeli; nella predicazione, invece, dobbiamo scendere spesso verso gli uomini e, vivendo da uomini in mezzo agli uomini, pensare, vedere, dire e ascoltare al modo umano.

Però, a favore della predicazione, c’è una cosa, e sembra che da sola abbia, davanti a Dio, un peso maggiore di tutte le altre, ed è che l’Unigenito di Dio, sapienza infinita, per la salvezza delle anime è disceso dal seno del Padre, ha rinnovato il mondo col suo esempio, parlando agli uomini la Parola di salvezza e ha dato il suo sangue come prezzo per riscattarli, lavacro per purificarli, bevanda per fortificarli, nulla assolutamente riservando per se stesso, ma tutto dispensando generosamente per la nostra salvezza. Ora noi dobbiamo fare tutto, secondo il modello che vediamo risplendere in Lui, come su un monte eccelso.

Per molti giorni ruminò discorsi di questo genere con i frati; ma non riusciva ad intuire con sicurezza la strada da scegliere, quella veramente più gradita a Cristo… Incaricò, dunque, due frati di andare da frate Silvestro, a dirgli che cercasse di ottenere la risposta di Dio sulla tormentosa questione e che gliela facesse sapere.

Questa stessa missione affidò alla santa vergine Chiara: indagare la volontà di Dio su questo punto, sia pregando lei stessa con le altre sorelle. E furono meravigliosamente d’accordo nella risposta – poiché l’aveva rivelata lo Spirito Santo – il venerabile sacerdote e la vergine consacrata a Dio: il volere divino era che Francesco si facesse araldo di Cristo ed uscisse a predicare.

Ritornarono i frati, indicando qual era la volontà di Dio, secondo quanto avevano saputo; ed egli subito si alzò, si cinse le vesti, e, senza frapporre il minimo indugio, si mise in viaggio. Andava con tanto fervore ad eseguire il comando divino, correva tanto veloce, come se la mano del Signore, scendendo su di lui, lo avesse ricolmato di nuove energie» (FF 204).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica di Andrea Zerbini, clicca [Qui]

La pandemia ci libererà dalle bugie?

 

Fino a poco tempo fa esisteva il vaccino, adesso che ne sappiamo qualcosa in più abbiamo scoperto che non esiste il vaccino ma esistono i vaccini.

Abbiamo scoperto che ci sono i vaccini vivi attenuati (morbillo), i vaccini inattivi (antipolio), i vaccini ad antigeni purificati (pertosse), i vaccini ad anatossine (tetano), i vaccini a Dna ricombinante (Ebola) e che ognuno di questi utilizza un metodo diverso per combattere la malattia specifica, dai microbi vivi ai virus o batteri uccisi con il calore, dagli antigeni alle sostanze tossiche prodotte dai batteri a quelli prodotti copiando informazioni genetiche dei virus.

E a tutti questi si aggiunge il vaccino oggi più famoso, quello che impegna il dibattito pubblico in maniera scomposta, quello anti Covid 19. Attualmente sembra quello più tecnologico, è a base di Rna messaggero (o Mrna), ovvero di una delle due molecole contenenti le informazioni genetiche specifiche per ogni organismo vivente.

L’altra molecola è il Dna, e mentre questa contiene tutte le informazioni necessarie alla vita, spetta al Rna il compito di trasmetterle alla cellula che permette poi la produzione di tutte le proteine che a loro volta permettono a noi di vivere.

Un’altra scoperta che abbiamo fatto riguarda proprio quest’ultimo vaccino.
Gli studi per produrre un vaccino utilizzando Rna messaggero sono iniziati da decenni ma non per prevenire i coronavirus bensì alcuni tipi di tumore, come quello alla prostata o al polmone nonché per prevenire alcune malattie autoimmuni come l’Alzheimer. Il successo di queste ricerche è arrivato grazie al fatto che a BioNTech e Moderna sono stati dirottati fiumi di miliardi, un sostegno senza precedenti da parte degli stati, gli unici a poter spendere per queste finalità e in queste quantità.

Nei decenni precedenti gli studi si erano infatti sempre interrotti per mancanza di fondi, e del resto sappiamo bene quando questa pandemia sia stata esacerbata proprio a causa dei tagli alla sanità e alla ricerca che ci hanno costretto a rincorrere, non essendo stati talmente saggi da prevenire.

Ma proprio questa pandemia ha permesso un salto di qualità e di quantità nella spesa pubblica. Ci siamo resi conto che è possibile fare deficit oltre il 10% e spendere addirittura 156 miliardi in un anno tenendo oltretutto le persone a casa, chiudendo interi settori produttivi e con il PIL italiano e mondiale in caduta libera. Abbiamo imparato che una decisione politica può essere più forte dell’economia.

A questo punto ci sarebbero alcune domande che dovremmo porci e porre.
Ad esempio, perché oggi è stato possibile mentre dopo la grande crisi del 2008 e quelle seguenti non lo era stato? In Italia molte famiglie e numerose aziende furono ridotte alla fame, la povertà aumentò in maniera esponenziale e appena prima della pandemia ancora non si era recuperato tutto ciò che con quella crisi si era perso. Si sarebbero potuti evitare sacrifici e suicidi, disoccupazione e disperazione. Tutto oggi dovrebbe apparire chiaro, comprese le colpe, fu per politica e non per economia.

Nel 2020 non ci si poteva permettere una nuova devastante crisi, sarebbe stato troppo. Ma già si comincia a parlare di restituzione, cioè dovremmo restituire i soldi a noi stessi, visto che la raccolta è stata fatta vendendo Btp e che questi sono stati comprati praticamente tutti da Banche Centrali e nazionali.

Bankitalia, ad esempio, a luglio 2021 aveva in contabilità oltre 631 miliardi di Btp, denaro creato quindi, ma non bisogna dirlo a voce troppo alta. Perché c’è il rischio che i cittadini possano imparare che esistono pasti gratis, ed è questa la prima e più grande verità che il potere deve nascondere.

E allora oggi il punto non è, secondo me, il green pass. Se il vaccino Mrna funziona davvero allora dovremmo pretendere che fiumi di denaro finiscano in ricerca, in scuole e università e sanità perché si arrivi a sconfiggere le altre malattie che sono pandemie perenni e con le quali conviviamo forse inutilmente, per mancanza di soldi che ci sono sempre stati e della giusta decisione politica.
E perché si smetta di mentire sulla capacità di uno Stato di poter spendere per le politiche sociali, per il lavoro, per la casa e per tutto quello che potrebbe rendere la vita “degna di essere vissuta”.

Illustrazione di copertina a cura di Carlo Tassi

Parole a capo
Ivan Pozzoni: “Jana went to Prague” e altre poesie

 

“Il mare non parlava per frasi ma per versi.”
(Jack Kerouac)

Ridatemi i miei versi

Se non sono ancora in grado di scrivere versi
mamma, è perché sono finito tra gli encefali persi,
mamma, amavo una donna prima che fosse nata
e la mia serotonina si è trovata abbandonata.

Ho cantato dei deboli, dei distrutti, i miei scarti di magazzino
non credevo di diventare anche io flessibile come un manichino,
della consistenza di un esacerbato Krusty il clown
detonato senza miccia da giorni up e giorni down.

E io scrivo, versi disprezzati da me stesso e dalla popolazione,
mentre tu, con una valigetta rosa, prendevi il largo alla stazione,
senza nemmeno renderti conto che io ero caduto
nel fango dei miei neuroni come se fossero un anacoluto.

Se mi riuscisse un nodo scorsoio mi appiccherei a un albero
perché a me non resta l’alternativa tra il suicidio e il ricovero,
io nel mio fegato so che è cosa mia
in pubblico continuiamo con la terapia.

 

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,
in nome della loro mancanza di ispirazione,
hanno la fortuna di non aver niente da ridere,
come nel ritornello de La donna cannone.

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,
una bottiglia di vino come amico fragile,
gli occhi gonfi pieni di dispiacere,
gli occhi gonfi di sangue come uno sbandato pugile.

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,
che si sentono da buttare via
e non hanno agli occhi zanzariere
che permettano di scacciare ogni fobia.

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,
stanati sulle labbra di un amore,
non trovano la forza di vivere
quando hanno strappato loro il cuore.

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,
sbattuti sulla riva come Ulisse,
nuovi eroi che non hanno niente da vincere
lacrime sulle ordinate e sangue sulle ascisse.

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,
ta-ra-da-dà, e le seconde strofe sono tutte da inventare,
devono apparire come stessero per sopraggiungere
come buche carsiche sulle strade dell’amore.

A tutti quelli che hanno qualcuno da piangere,
piangete, piangete, non lesinate
le lacrime si rimpiazzano con un buon bicchiere
smezzato a sorsi di lacrime bicarbonate.

 

Caronte, in riva al lago

Seduto su una roccia, in riva alle acque turbolente
macchiate di ricordi del mio Lete lacustre,
mi tramortisco col rumore ombroso delle onde
che cantano dei miei vent’anni, d’amori e attese blande.

Cerco un Caronte astioso e ansante,
che meni la mia barca sui fiumi d’Occidente,
rodato dosatore d’ansiolitici, seduta stante,
scorbutico maleducato, rude bifronte.

Cerco un Caronte, un Caronte vero,
temerario consulente abituato a transumanze d’ogni genere,
con remi, barba stanca,
obolo di scorta che difenda all’arma bianca.

Seduto su una roccia, rinvio a domani
l’insulsa immaturità delle mie mani.

 

Jana went to Prague

Jana went to Prague
chiudendo a chiave in un cassetto
tutta la dolcezza dei suoi cristalli di bohèmienne,
si sente in trappola, chiusa fuori da ogni gabbia,
e, rimanendo alla finestra, abbracciata alle sbarre,
osserva incuriosita la confortevolezza della non libertà.

Jana went to Prague
mettendo nella sua borsa tutti i suoi dipinti, le sue idee,
la sua interpretazione triste della ferinità brutale di ogni maschio,
inchiodato sulla carta, condannato, come mero organo,
a suonare nelle chiese durante i funerali,
a trasportare l’inaffidabilità dei propri ormoni
come macigni di Tantalo.

Jana went to Prague
col cuore scoraggiato dalla noia della solitudine,
dimenticando il coraggio di noi free spirits
nel resistere alle svendite o ai saldi di emozione,
moderando i nostri istinti alla soddisfazione,
tiene stretti nelle sue mani d’artigiana,
fredde come sanno essere fredde le mani delle ragazze di Karlovy Vary,
i disegni di un drago, i segni degli incisivi dell’amore di sua figlia
incastonati, come fosse ambra, nella dura plastica di un sex-toy.

Jana went to Prague
con il suo sorriso da diamante smarrito in un giardino
a mettere in discussione il suo indiscutibile valore
davanti a un bicchiere di vino e di imbarazzo,
l’imbarazzo angosciato di noi dirty persons,
quando cerchiamo di rateizzare le nostre schiavitù,
affidandoci alle braccia di chi ci mostra scarso interesse.

Jana è andata a Praga, e non so se tornerà,
inebriandomi ancora col sapore del suo sorriso
con la contagiosità del suo profumo,
con l’entusiasmo della sua pelle,
Jana è andata a Praga, e io sarò lì, con lei.

Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976. Ha diffuso molti articoli dedicati a filosofi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e diversi contributi su etica e teoria del diritto del mondo antico; collabora con numerose riviste italiane e internazionali. Tra il 2007 e il 2018 sono uscite varie sue raccolte di versi. Ne evidenziamo alcune: Underground Riserva Indiana (A&B Editrice); Il Guastatore (Cleup Ed.); Lame da rasoi (Joker Ed.); Patroclo non deve morire (deComporre Edizioni); Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni (Limina Mentis).

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Gian Paolo Benini e Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

Tutte le informazioni per ascoltare e partecipare a l’Ultimo Rosso : Ferrara, 15 e 16 ottobre 2021 [leggi Qui]

Ma cos’è l’Ultimo Rosso?
Scopri Dove, Come, Quando e con Chi

logo ultimo rosso

l’Ultimo Rosso [Vedi qui] è volutamente eccentrico, può richiamare la passione, la rivoluzione, la distanza dal convenzionale, la sorpresa, il mattone rosso di Ferrara… Qualsiasi cosa venga in mente a ogni partecipante.

L’Italia è un paese di “poeti” ma gli italiani non leggono libri, soprattutto non leggono libri di poesia. La poesia “degli altri” è considerata difficile, un po’ come l’arte astratta.

Questa rassegna di poesia vuole spargerne il seme, incentivare la lettura (a bassa e alta voce) della poesia, proporre la poesia come lingua intima e universale, un riflesso primordiale, quel che rimane del mondo prebabelico.

Dunque una poesia che invade tutta la città, che scende in strada e interrompe per un attimo il quotidiano, che sorprende, improvvisa, provoca. Una poesia che rifiuta i palchi, i premi, le etichette. In ultima analisi, una poesia politica: rivoluzionaria, sovversiva, anarchica.

l’Ultimo Rosso
prima edizione limitata e firmata dagli autori

15 ottobre – 18.00–19.00 : Poeti e poesie per le strade di Ferrara

ROTONDA FOSCHINI  FRANCESCO LOCHE  – MATTEO PAZZI  PIAZZETTA DEL CARBONE AMBRA SIMEONE – FRANCO MOSCA  VIALE KRASNODAR (PIAZZALE CONAD) LIVIA SILVESTRI- PIER LUIGI GUERRINI  VIA GARIBALDI (ACCANTO LIBRERIA FELTRINELLI) ALBERTO RONCHI – CARLOTTA MANTOVANI  DAVANTI BIBLIOTECA BASSANI (BARCO) ROBERTA BARBIERI – CRISTIANO MAZZONI ⊗ VIA SARACENO (DAVANTI LIBRERIA SOGNALIBRO) ROBERTO DALL’OLIO – MARIA MANCINO ⊗ DAVANTI BIBLIOTECA ARIOSTEA  ROBERTA DE TOMI – BRUNO MONTANARI  INGRESSO PARCO MASSARI LUCIA BONI – RITA BONETTI  PIAZZETTA SAVONAROLA LIDIA CALZOLARI – ROSARIA MUNAFO   PIAZZA TRENTO TRIESTE (DAVANTI LIBRERIA MEL LIBRACCIO) ROBERTO PALTRINIERI – ELEONORA ROSSI

Nota: Potrebbero esserci piccole variazioni nella composizione delle coppie poetiche. Vi informeremo nei prossimi giorni.

Le prove

16 ottobre10.00-12.00 : Reading collettivo nel giardino della Biblioteca Ariosta
 12:00-13:00 : Scambi poetici con piccolo rinfresco

Hanno collaborato a l’Ultimo Rosso: 

Alberto Ronchi –  Ambra Simeone – Angelo Andreotti – Anna Bellini – Beniamino Marino – Bruno Montanari – Carlo Tassi – Carlotta Mantovani – Cristiano Mazzoni – Eleonora Rossi – Enrico Taccone – Francesco Loche – Francesco MoniniFranco Ferioli – Franco MoscaGianpaolo BeniniLidia CalzolariLuca Chizzoni Luca IspaniLucia Boni – Maria Mancino – Matteo Pazzi – Pier Luigi Guerrini – Rita Bonetti – Roberta BarbieriRoberta De Tomi – Roberto Dall’Olio – Roberto PaltrinieriRosaria Munafò – Stefano Peverin – Tommaso Monini

Nota 1 : Per entrare nel giardino della Ariostea (via gioco del pallone) è necessario munirsi di mascherina.
Nota 2 : Si invitano i partecipanti e gli amici di ferraraitalia a portare qualcosa per il rinfresco.

Puoi trovare tutte le informazioni utili su ferraraitalia
Metti un like sulle nostre pagine FacebookInstagram, e sull’evento Facebook l’Ultimo Rosso     

 

FERRARA & JAZZ | Sabato 16 ottobre IL GRUPPO DEI 10 presenta “Modalità Trio”

 

“Modalità Trio” M.E.N.

TUTTE LE DIREZIONI IN FALLTIME 2021
Sabato 16 ottobre al via la nuova rassegna del Gruppo dei 10

con Nico Gori, Massimo Moriconi ed Ellade Bandini che presenteranno il loro nuovo disco, dopo la partecipazione a Umbria Jazz

L’autunno si accende con Tutte le Direzioni in Falltime 2021, la nuova stagione culturale firmata da Il Gruppo dei 10 che come sempre porta appuntamenti di assoluta qualità allo Spirito di Vigarano Mainarda (Ferrara), toccando tutti i generi, con momenti di svago e musica e altri di riflessione, in “tutte le direzioni”. Si parte sabato 16 ottobre con “Modalità Trio” M.E.N., formato da tre personalità di primo piano, Nico Gori, Massimo Moriconi ed Ellade Bandini. Il gruppo presenterà il nuovo cd, uscito nel giugno scorso. M.E.N. è reduce dalla fortunatissima partecipazione a Umbria Jazz – per l’edizione di fine estate – e ha tutte le credenziali per regalare una serata in cui unica protagonista sarà la musica jazz e non solo. La bravura individuale dei tre interpreti sarà perfettamente fusa in M.E.N., una visione comune dell’essere trio. Apertura ore 20 con aperitivo e a seguire cena, massimo 70 posti. Per informazioni e prenotazioni: Spirito, via Rondona 11d, Vigarano (Ferrara), 0532.436122 e 339.4365837.

M.E.N., infatti, è lo spassoso acronimo (composto dalle loro iniziali) che si sono inventati tre dei musicisti più interessanti che l’Italia può vantare. A suonare insieme, sabato 16 ottobre per il via della stagione allo Spirito di Vigarano Mainarda, saranno Massimo Moriconi (M) al basso elettrico e contrabbasso, Ellade Bandini (E) alla batteria e infine Nico Gori (N), sax soprano, sax contralto e clarinetto, ospiti più volte negli ultimi anni nelle rassegne promosse dal Gruppo dei 10. Il trio propone le sonorità legate al jazz più puro, rivisitate attraverso il particolare estro di ciascuno dei componenti.

I tre musicisti suoneranno “pianoless”, esaltando le capacità musicali e interpretative del trio. Dopo il successo degli scorsi appuntamenti musicali, ritorna il progetto di Moriconi, Gori e Bandini con interessanti improvvisazioni e momenti di alta musica. Il gruppo nasce da un’idea di Ellade Bandini, già batterista dei grandi della musica (Paolo Conte, Vinicio Capossela, Fabrizio De André, solo per citarne alcuni) e ha l’obiettivo di suonare la musica che più piace loro e trasmetterla al pubblico, con serate sempre differenti e appassionanti. “M.E.N. era partito come un gruppo molto creativo – ricorda il batterista – ma nel tempo si è sviluppato andando a scavare più in profondità, nelle origini della musica e nelle bellissime melodie di una volta, riviste e ritoccate da musicisti del calibro di Nico Gori, bravissimo clarinettista, e Massimo Moriconi, da almeno trent’anni collaboratore di Mina e suo bassista di fiducia”.

TUTTE LE DIREZIONI IN FALLTIME 2021 prenderà il via dal 16 ottobre fino al 26 dicembre 2021Apertura ore 20 con aperitivo e a seguire cena, massimo 70 posti, tranne domenica 24 ottobre, domenica 21 novembre e domenica 26 dicembre, ore 12 (aperitivo e pranzo) e a seguire Peccato Vinile e giovedì 28 ottobre ore 19 (aperitivo e conferenza) e a seguire cena e concerto. Tutte le informazioni degli eventi in programma si potranno trovare anche sulla pagina Facebook de Il Gruppo dei 10.

IL GRUPPO

Massimo Moriconi è uno dei nomi più importanti del panorama musicale italiano. Il suo curriculum, infinito, unisce il mondo del jazz a quello de pop e vanta collaborazioni con artisti come Chet Baker, Billy Cobham, ‘Toots’ Thielemans, Renato Sellani, Massimo Urbani, Paolo Fresu, Enrico Rava. E poi Antonella Ruggiero, Fabio Concato, Mina. Negli anni ’80 è stato il bassista dell’orchestra dei ritmi leggeri della RAI di Roma, con cui avrà la possibilità di cimentarsi con miti come Jerry Lewis, Mirelle Matieu, Liza Minnelli. Ha inciso colonne sonore per film con compositori e direttori quali Ennio Morricone, Armando Trovajoli, Luis Bacalov, Riz Ortolani, Nicola Piovani, Piero Piccioni. Sideman in sala di registrazione (ha registrato circa 350 tra dischi e cd). Ha realizzato quattro dischi come leader: l’ultimo, ‘D’Improvviso’, vede ospiti Mina, Massimiliano Pani, Fabio Concato, Phil Woods, Eric Marienthall, Danilo Rea, Ellade Bandini.

 

La storia musicale di Ellade Bandini inizia all’età di 4 anni, quando riceve come regalo di Natale una piccola batteria giocattolo. La carriera prende avvio a 17 anni, suonando a livello professionale con alcune orchestre in sale da ballo e night club di tutta Italia: è in una di queste orchestre, quella del maestro Ugo Orsatti, che Bandini suona per la prima volta con il bassista Ares Tavolazzi. La sua carriera di batterista prosegue suonando per la cantante Carmen Villani, nel gruppo beat Avengers, dove conosce il giovane pianista e arrangiatore Vince Tempera. Diviene presto un turnista molto richiesto, suonando in alcuni 45 giri di successo di quegli anni, come Io mi fermo qui di Donatello, Viaggio di un poeta e Vendo casa dei Dik Dik, Soleado dei Daniel Sentacruz Ensemble, Rumore di Raffaella Carrà, L’importante è finire e Ancora ancora ancora di Mina. Nel 1969 con Ares Tavolazzi e Vince Tempera forma i The Pleasure Machine e inizia la collaborazione con Francesco Guccini. Ellade Bandini ha collaborato anche con moltissimi altri musicisti ed artisti, tra cui Claudio Lolli, Roberto Vecchioni, Paolo Conte, Fabio Concato, Vinicio Capossela, Fabrizio De André, Angelo Branduardi, Adriano Celentano, Bruno Lauzi, Dik Dik, Equipe 84, Nomadi, solo per citarne alcuni. Dal 1999 fa parte della Drummeria, formata da altri quattro batteristi: Walter Calloni, Maxx Furian, Christian Meyer e Paolo Pellegatti. Insieme a Mario Arcari e Giorgio Cordini, che come Ellade Bandini furono per molti anni tra i musicisti di Fabrizio De André, ha formato 1000 anni ancora, gruppo col quale inciderà Storia di un Impiegato.

Clarinettista, sassofonista, arrangiatore, compositore, Nico Gori ha cominciato lo studio del clarinetto all’età di 6 anni e quello di sassofono e pianoforte all’età di 10. Inizia molto giovane a esibirsi grazie a collaborazioni in ambito jazz, classico e della musica pop. Ha suonato e inciso, fra gli altri, con Tom Harrell, Fred Hersch, Stefano Bollani e la Vienna Art Orchestra. Ha all’attivo sette album come band leader e più di cento come side man. Nell’estate 2015 Nico Gori ha dato vita, insieme all’Associazione Pisa Jazz e a Francesco Mariotti, al progetto ‘Nico Gori & Pisa Swing Cats’, small band composta da dieci musicisti e che propone un repertorio swing tra brani originali e arrangiamenti del leader, rifacendosi alle serate da ballo dell’America degli anni ’40 e ’50.

IL GRUPPO DEI 10

(RI)IMMAGINARE UN FUTURO MIGLIORE:
intervista a Reiner Braun alla vigilia del Congresso Mondiale della Pace di Barcellona.

di Reto Thumiger

Pochi giorni prima del Congresso Mondiale della Pace 2021 a Barcellona parliamo con Reiner Braun, direttore esecutivo dell’International Peace Bureau (IPB) di come il movimento per la pace, i sindacati e il movimento ambientalista possono unirsi, del perché abbiamo bisogno di un congresso per la pace e dei giovani e perché ora è il momento giusto per farlo. Il congresso si svolgerà in una forma ibrida (in presenza e online) a Barcellona dal 15 al 17 ottobre.

Grazie per aver trovato il tempo per un’intervista, caro Reiner. Il tuo instancabile impegno per decenni a favore della pace ti ha fatto diventare una figura ben nota nel movimento pacifista. Spero che molte persone che non sono ancora attiviste leggeranno questa intervista e quindi vorrei chiederti di presentarti brevemente.

Reiner Braun: Sono stato coinvolto nella formazione del movimento per la pace a livello nazionale e internazionale per ben 40 anni, con responsabilità molto diverse: come membro dello staff dell’Appello di Krefeld negli anni ’80, come direttore esecutivo degli Scienziati Naturali per la Pace, poi della IALANA (Associazione di Avvocati contro le armi nucleari) e del VDW (Associazione degli Scienziati Tedeschi). Negli ultimi anni sono stato prima presidente e poi direttore esecutivo dell’IPB (International Peace Bureau) fino ad oggi. Ciò che è sempre stato particolarmente importante per me è di essere attivo nelle campagne contro le armi nucleari, per la “Stop Ramstein Air Base” e nella campagna “Disarmare invece di riarmare”. Ho avuto il grande piacere di partecipare a centinaia, forse migliaia, di piccole azioni e attività, ma anche a grandi eventi: le manifestazioni a Bonn contro la guerra in Iraq, Artists for Peace, ma anche gli incontri del Forum Sociale Mondiale. In sintesi, la pace ha avuto un’influenza decisiva sulla mia vita. Nonostante tutte le difficoltà, i problemi e le controversie, sono stati anni fantastici con persone incredibilmente interessanti e molta solidarietà e passione. Questo non cambia la mia convinzione che la situazione attuale sia non solo pericolosa, ma anche profondamente deprimente. Non stiamo forse vivendo nell’era prebellica di una nuova grande guerra con armi nucleari provenienti dalla regione indopacifica?

Abbiamo proposte a sufficienza per salvare il mondo

Il mondo è a un bivio fondamentale: scivolare nella catastrofe sociale ed ecologica con la politica dello scontro e della guerra, o trovare la via d’uscita, che descriverei come una fondamentale trasformazione di pace socio-ecologica. Aiutare a trovare vie d’uscita da questa situazione è il grande obiettivo del Congresso Mondiale dell’IPB. Si tratta delle grandi sfide del nostro tempo. Non si tratta del centesimo documento strategico – abbiamo proposte a sufficienza per salvare il mondo. Si tratta piuttosto dei soggetti del cambiamento e della costruzione di coalizioni e di azioni sempre più internazionali in rete. Le persone plasmano la storia: è questo che il congresso vuole incoraggiare. Come possono unirsi il movimento per la pace e i sindacati, il movimento ambientalista e quello pacifista? Quali sono i contributi dei nuovi attivisti di Fridays for Future al movimento per la pace, senza strumentalizzarli e distrarli dalle loro preoccupazioni? Sono domande a cui il congresso vuole rispondere insieme a tutti coloro che sono coinvolti nei vari movimenti.

Questo congresso dovrebbe essere internazionale e con una grande diversità. Sarà modellato tematicamente dall’Asia, il continente del futuro e forse dovrei dire anche il continente di future guerre ancora più grandi. Il confronto della NATO con la Russia, le armi leggere e l’America Latina, le conseguenze della pandemia sulla pace, ma anche l’Australia e i nuovi sottomarini nucleari sono alcuni dei punti centrali.

Come può il sogno di un mondo pacifico e giusto diventare realtà?

Reiner Braun: Accordi e risoluzioni per fermare la base aerea di Ramstein
2020 (Foto: ra13mstein-kampagne.eu)

Le sfide di genere e l’oppressione dei popoli indigeni sono questioni che hanno sempre a che fare con la guerra e la pace.
Naturalmente le richieste di disarmo, un mondo senza armi nucleari, la risoluzione pacifica dei conflitti e l’educazione alla pace sono componenti importanti del Congresso Mondiale. Ma tutto è subordinato a quanto espresso dalla canzone “Imagine” di John Lennon: come può il sogno di un mondo pacifico e giusto diventare realtà? Cosa possiamo fare tutti insieme per questo, da qualunque parte veniamo, qualunque cosa pensiamo, qualunque cosa abbia plasmato la nostra vita finora? Abbiamo bisogno di unirci in azioni più frequenti, più grandi e internazionali per il futuro. Dobbiamo abbandonare il letargo, lo status di osservatore.

È probabilmente qui che entra in gioco il titolo del congresso: “(Ri)immaginare il nostro mondo: azione per la pace e la giustizia”?

Sì, questo titolo ha lo scopo di ricordare ed evocare visioni e di chiamare all’azione: tu da solo puoi essere troppo debole, ma insieme possiamo farcela. Non è scontato che le grandi corporazioni e la politica dei governi ci portino nell’abisso. Si tratta quindi anche di un congresso di giovani e di incoraggiamento, senza farsi illusioni su quanto saranno dure le lotte. Non solo abbiamo progettato autonomamente diverse attività della gioventù IPB al congresso, ma il 40% di tutti i relatori ha meno di 40 anni.

La partecipazione ibrida è possibile fino all’ultimo minuto e Barcellona vale sempre il viaggio

Le 2.400 iscrizioni online e offline da finora 114 paesi ci danno coraggio e fiducia che ci stiamo avvicinando ai nostri obiettivi.
Tutti i dettagli del programma, la sua diversità e pluralità, la sua internazionalità e la sua competenza si possono trovare sul sito web. Lì troverete anche le descrizioni dettagliate dei quasi 50 workshop, degli eventi collaterali e culturali e un invito alla cerimonia di consegna del Premio MacBride il sabato sera.
Vale davvero la pena di dare un’occhiata a tutto questo. Posso immaginare che alcuni di voi diranno: vorrei esserci anch’io. La forma ibrida è possibile fino all’ultimo minuto. Barcellona vale sempre un viaggio e partecipare online porterà sicuramente nuove intuizioni e forse anche un po’ di nuova forza per la pace.

Senza superare il capitalismo, non raggiungeremo né la pace né la giustizia globale e climatica

Se gli ultimi anni ci hanno insegnato qualcosa, è che i grandi problemi, le grandi minacce per l’umanità sono molto complessi e interconnessi. I singoli paesi o regioni sono impotenti contro di essi. Questo significa che abbiamo bisogno di soluzioni coerenti e di cooperazione internazionale. Quello che stiamo vivendo è purtroppo il contrario

Il pensiero della complessità, delle interconnessioni e, aggiungerei, della dialettica è spesso andato perso a favore di una semplificazione in bianco e nero e resistente ai fatti. Politicamente, questo approccio viene anche usato di proposito per negare la dimensione delle sfide e per chiedere una continuazione delle cosiddette riforme. Ciò di cui abbiamo effettivamente bisogno – so che è fuori moda usare questa parola – è una rivoluzione: una trasformazione fondamentale e, aggiungerei, democraticamente partecipata di tutti i rapporti di dominazione, potere e proprietà, incluso un rapporto completamente nuovo con la natura. Sembra una parola d’ordine, ma le interviste sono così: senza il superamento del capitalismo, non raggiungeremo né la pace né la giustizia globale e climatica.

Jean Jaures aveva già formulato questo concetto in modo originale nel 1914, quando sottolineava che il capitalismo porta in sé la guerra, come le nuvole portano la pioggia. Non risolveremo la sfida del clima senza mettere alla prova l’ideologia della crescita e questo contraddice fondamentalmente le necessità di accumulazione capitalista e gli interessi di profitto. Nessuno dovrebbe credere che una giustizia globale sia realizzabile senza andare alle fondamenta del potere e dello sfruttamento corporativo.

Sono convinto che i cambiamenti dovranno essere e saranno molto più profondi e fondamentali

Ciò di cui abbiamo bisogno ora e subito è la cooperazione, una politica di sicurezza comune – questa è una dichiarazione di guerra a Biden e alla NATO – perché solo allora possiamo aprire strade per costruire un futuro pacifico ed ecologico.

Sono profondamente convinto che i cambiamenti dovranno essere e saranno molto più profondi e fondamentali. La discussione su questo è certamente necessaria, ma non deve impedirci di fare insieme i primi passi, prendere delle misure, compiere delle azioni urgenti, soprattutto con i molti che non condividono la mia posizione. Una discussione senza esclusioni e tabù, ma con molta comprensione per l’altro è necessaria se vogliamo raggiungere una trasformazione fondamentale in modo partecipativo e quindi rendere la pace più sicura.

Dobbiamo superare rapidamente l’isolamento che si è creato in seguito alla crisi del covid a favore di un’azione solidale. In Europa siamo di fronte a una possibile fine della pandemia, ma in altre parti del mondo non è così. È il momento giusto per un congresso internazionale della pace?

Sappiamo bene quanto siano state grandi le sfide per questo congresso nelle condizioni dettate dalla pandemia durante tutto il periodo di preparazione. Voglio essere chiaro: non c’è momento migliore, non solo perché un tale congresso mondiale è assolutamente necessario a livello politico. La ragione più importante è che abbiamo un urgente bisogno di superare, rapidamente e in modo solidale, l’isolamento che è sorto a seguito della crisi causata dal covid, a favore di azioni di solidarietà. Dobbiamo tornare nelle strade e nelle piazze. In forma digitale ci siamo mossi insieme; ora questo deve diventare anche più visibile politicamente. Dopo 18 mesi di limitazioni imposte dalla pandemia, c’è davvero un enorme interesse a incontrarsi, scambiarsi idee, abbracciarsi e salutarsi di nuovo. Abbiamo bisogno di questa empatia. Spero che raggiungerà anche coloro che parteciperanno online. Abbiamo bisogno dell’atmosfera di un nuovo inizio e spero che il congresso contribuisca a crearla.

Parteciperanno Lula, Vandana Shiva, Jeremy Corbyn, Beatrice Finn e molti altri…

Il congresso è certamente un esperimento nelle sue molte forme ibride, ma significativo e pieno di speranza. Sono abbastanza convinto che i formati ibridi – in presenza e on line – saranno il sistema del futuro. Permettono una vasta rete internazionale.

Nel programma sono annunciati alcuni grandi nomi. Chi ti aspetti di incontrare di persona e chi in collegamento video?

Tutte le “celebrità” annunciate nel programma saranno presenti, alcune on line come l’ex presidente brasiliano Lula e Vandana Shiva, altre in loco come Jeremy Corbyn e Beatrice Finn. I relatori centrali delle plenarie di sabato e domenica interverranno di persona. Alcuni workshop molto interessanti come quello su AUKUS saranno online, i workshop sulle armi nucleari o sulla sicurezza comune avverranno in una forma mista.

Ci saranno certamente ampie occasioni di scambio e di discussione. Per non dimenticare il raduno pubblico con tutti i partecipanti all’evento di apertura, dove formeremo il simbolo della pace con i nostri telefoni cellulari.

I cambiamenti fondamentali non hanno bisogno solo di personalità eccezionali, ma costituiscono una sfida per tutti noi. Perché un attivista che non si occupa di pace o una persona che non è socialmente o politicamente attiva dovrebbe partecipare al congresso?

Già al momento dell’iscrizione al congresso, abbiamo notato la diversità dei partecipanti. Non solo perché provengono davvero da diverse parti del mondo, ma anche perché sono diversi nel loro impegno. Tutti condividono le idee di base della grande trasformazione socio-ecologica della pace. La pace è impensabile senza giustizia globale e giustizia climatica e non ci sarà giustizia climatica senza la fine delle guerre e dei conflitti armati. Sono due facce della stessa medaglia. Vogliamo approfondire questi pensieri e renderli più fattibili. Vogliamo chiarire che le condizioni di natura sono anche sempre relazioni di dominio e di potere, che devono essere superate o democratizzate e modellate in modo partecipativo nella e per la pace.

Quali sono le possibilità di partecipazione (in loco e online) e quali le lingue utilizzate? E soprattutto, quali sono le opportunità di partecipazione attiva?

L’organizzazione indipendente è la sfida del design online. Per questo abbiamo acquisito un sistema tecnico che permette la discussione individuale, lo sviluppo di piccoli gruppi, la presentazione di poster e documenti e anche lo scambio individuale. Non è certamente quello che i partecipanti sperimenteranno sul posto – anche al di là del programma ufficiale – ma crea molto spazio per la comunicazione. Le lingue principali saranno l’inglese, il catalano e lo spagnolo. Ma in caso di dubbio, donne e uomini possono comunicare anche con mani e piedi.

Il congresso stesso è un incontro di rete comunicativa e tutti andranno a casa con molte nuove impressioni ed esperienze – ne sono abbastanza sicuro.

Reiner Braun – Foto di C. Stiller

Infine, una domanda personale. Come riesci a mantenere il tuo impegno e la tua fiducia in questi tempi? Che cosa ti dà speranza?

La fiducia e l’ottimismo vengono dalla mia profonda convinzione che le persone scrivono la storia e che la storia può essere influenzata e persino determinata dalle loro azioni. Voglio partecipare a questo e non essere un “agnello sacrificale passivo” di altri. Mi sento parte di una comunità mondiale basata sulla solidarietà – alla quale è anche permesso qualche volta di litigare – che vuole ottenere un mondo migliore, pacifico e giusto. Nella mia vita, ho sperimentato tanta solidarietà e unione nelle diverse azioni, ho incontrato molte persone che hanno affrontato con coraggio le condizioni più difficili e questo mi ha influenzato e anche formato.

Questo sentimento di solidarietà, questa comprensione di una comunità di persone che pensano e agiscono in modo simile non rende facili, ma almeno più sopportabili le battute d’arresto e anche le dolorose sconfitte politiche, dà speranza e fornisce una bussola per il futuro anche in momenti di grande difficoltà e incertezza.

Non ci riesco a lasciar perdere. Rinunciare non è un’opzione, perché non posso e non voglio rinunciare a me stesso. La dignità – soprattutto nelle difficoltà, nei conflitti e nelle sconfitte – è qualcosa che ho sempre ammirato e che rende i successi ancora più preziosi.

Per me il capitalismo non è la fine della storia. Rispetto ai miliardi di altre persone su questo pianeta, io sono ancora in una situazione privilegiata e vorrei fare in modo che anche gli altri vivano meglio e che l’ambiente sia preservato. La pace con la natura è anche una sfida personale.

Cosa c’è di meglio che lavorare insieme a molti altri per una vita migliore, per la giustizia e la pace? Questo rende felice anche me.

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Sabato 16 ottobre dalle 11:30 alle 12:00 Pressenza organizza un workshop sul giornalismo nonviolento.

Traduzione dal tedesco di Thomas Schmid. Revisione di Anna Polo

Thanks: questa intervista è apparsa su Pressenza il 12.10.2021
In Copertina: Reiner Braum, direttore esecutivo dell’International Peace Bureau – Foto: ramstein-kampagne.eu, 2020.

RIPORTIAMO IL FIUME IN CITTA’
prima assemblea per un Contrato di Fiume a Ferrara

 

COMUNICATO DEL GRUPPO BLU

Si svolgerà sabato 16 ottobre dalle ore 9.30 alle 12.30 nella darsena S. Palo di Ferrara la prima assemblea cittadina per un Contratto di Fiume a Ferrara.

Sotto il titolo “Riportiamo il fiume in città” il Guppo Blu, nato all’interno della Rete per la Giustizia Climatica, intende accendere un faro sull’insieme di corsi d’acqua che caratterizzano il territorio comunale, ma che sono inaccessibili ai più e in buona parte in stato di abbandono.

E’ la prima volta nella città estense che i cittadini e le associazioni interessate vengono chiamate ad esprimere le loro idee relative agli ambienti fluviali e a partecipare attivamente alla creazione di un documento condiviso.

Il processo dovrà generare una proposta che punti a rivalorizzare i fiumi ed i canali di Ferrara non solo come idrovie e canali di bonifica ma anche come risorse culturali e naturalistiche, baluardi blu e verdi al pari delle antiche mura della città, in grado di contrastare gli effetti del cambiamento climatico.

La proposta del Gruppo Blu evolverà in un accordo scritto con il quale cittadini privati, associazioni, imprese, enti, istituzioni sintetizzeranno i loro bisogni nei confronti del fiume e si impegneranno formalmente a garantire una corretta gestione ambientale strategica di questa fondamentale risorsa.

Il momento storico, secondo gli organizzatori è unico: “la riqualificazione del parco della Darsena, i lavori in corso del progetto Idrovia, i futuri progetti da finanziare con le risorse del PNRR, questi interventi devono essere eseguiti in una visione d’insieme riconoscendo i fiumi e i canali di Ferrara come beni comuni”.

Luogo della prima assemblea è il piazzale della darsena di Ferrara, tra il Palazzo Savonuzzi / Consorzio Wunderkammer e l’attracco del battello Nena. Per partecipare è necessario essere in possesso del green pass.
Per informazioni: 328 2161442,
info@fiumana.org

Rete per la Giustizia Climatica

DIARIO IN PUBBLICO
Vedere l’attualità e spiegare l’ineffabile

 

Con preoccupazione e orgoglio, mi calo nell’argomento che sarà centro della mia conferenza, quello cioè di commentare la posizione di Dante nel vertiginoso compito che si era dato, cioè quello di dimostrare l’indimostrabile, di rendere parola ciò che è ineffabile, di rendere visibile attraverso la metafora poetica ciò che non può essere visto.

La conferenza avrà luogo in presenza venerdì 15 ottobre 2021 [Qui]alle ore 17.00, presso la sala Agnelli della Biblioteca Ariostea di Ferrara, secondo le nuove disposizioni che la rendono totalmente fruibile, naturalmente rispettando le norme in vigore. Per congiunzioni astrali (!) in concomitanza con lo spettacolo teatrale che Elio Germano [Qui] condurrà per tre giorni al teatro Abbado sul canto XXXIII del Paradiso.

Tuttavia, mi lascio tentare dai programmi televisivi che si attaccano al presente e ferocemente lottano per la supremazia televisiva. Vedo la bella Lilli Gruber presentare il suo ultimo libro in una popolare trasmissione su Rai1.

Poi viene annunciata la presenza di Martina, una carabiniera che ha salvato la vita a una madre decisa di farla finita in bilico su un ponte.
Così riferisce La Repubblica riportando l’episodio:
“Dopo tre ore di stallo l’ho guardata e ho pensato a mia mamma. Cosa le direi se fosse in una situazione simile? Ho seguito il cuore e, di lì a poco, ci siamo prese per mano”.

I sentimenti di una figlia emergono con tutta la loro forza, oltre la divisa, oltre gli alamari, oltre il rigore militare. E alla fine è l’amore, più della dotazione tecnica, a restituire salva la vita a una donna di 50 anni che voleva uccidersi buttandosi su un canalone montano da 80 metri d’altezza. “Ci siamo abbracciate, lei si è messa a piangere e anche io. Non ho mai provato una simile empatia nei confronti di una persona. Il suo dolore era il mio. Il mio sollievo era il suo”.

Nella trasmissione televisiva che commentava l’impresa Martina Pigliapoco – così si chiama l’eroina – correttamente in divisa, i capelli tenuti fermi in uno chignon, miti occhi dietro un paio di occhiali da vista, sembra frastornata da quella notorietà che lei attribuisce al suo dovere; compirà 26 anni il prossimo dicembre, marchigiana di Osimo, carabiniera semplice in servizio a San Vito di Cadore. È rimasta per quattro ore a parlare, a cercare un punto di contatto e alla fine l’ha trovato.

Così spiega la sua inflessibile volontà di salvare la donna:
“In realtà non era un dialogo, per lungo tempo è stato un monologo. Rispondeva a monosillabi, si agitava. Il mio unico compito era stare lì e assecondarla, non perdere il contatto. […] le ho raccontato di me, della mia vita, del fatto che per lavoro aiuto la gente e che ero lì per fare lo stesso con lei Non voleva che mi avvicinassi, ho cercato di farle capire anche con il linguaggio del corpo che ero lì per aiutarla.”

Qui non si tratta dei soliti ‘commoventi’ ritratti che la tv usa per sfruttare le emozioni; ma una vera, imperdibile tranche de vie. Una donna matura e disperata salvata da una ragazza che crede ai valori della vita e dell’impegno che si è preso.

Poi di nuovo a sorbettarmi i risultati delle elezioni, osservando la boccuccia a cul de poule dei commentatori e dei vincitori e vinti. Povera Italia di c…te ostello!

Sto leggendo un libro fantastico sul mito della Rive gauche a Parigi dopo la guerra e il ruolo dei filosofi e intellettuali che la resero la capitale mondiale della cultura. Un particolare mi ha colpito quella che fa scegliere ai miti parigini Sartre [Qui] e de Beauvoir [Qui] nel contrasto tra comunismo ed esistenzialismo la soluzione italiana che non passa attraverso lo stalinismo.

Termino l’intensa settimana recandomi al convegno organizzato da MENS-A sul tema del Nuovo Umanesimo. Hanno parlato Pietrangelo Buttafuoco, Roberto Celada Ballanti e l’amico di una vita Franco Cardini [Qui].

Con lui abbiamo ricordato i nostri esordi – lui diciassettenne io diciannovenne – che svolgevamo piccoli incarichi per il famoso architetto dei giardini che operava a Firenze. E, nel tempo, l’invito che mi fece per studiare il periodo medievale delle mura di Gerusalemme, che helas! rifiutai perché si doveva dormire in tenda. Ancora oggi attendo di vedere Gerusalemme.

Sembra allora che la bella addormentata, Ferara, stia risvegliandosi.

Per leggere tutti gli altri interventi di Gianni Venturi nella sua rubrica Diario in pubblico clicca  [Qui]

PER CERTI VERSI
Assalto alla sede della CGIL

ASSALTO ALLA SEDE DELLA CGIL

La storia nera
Nera fascista
E neofascista
È fatta di infiltrazioni
C’è una cattiva idraulica
In giro
Qualche
Sopravvissuto
Dell’era dei misteri
C’era a assediare la sede
Della cgil
C’era
La mano nera
In quell’assalto
I mandanti
Sono degli impuniti
Certi
Della loro impunità
I feriti
Quelli ci sono sempre
Tra forze dell’ordine
È grave
Gravissimo
Pure tra i manifestanti
È grave
Eppure si assaltano
Come cento anni fa
Sindacato
Pronto soccorso
Luoghi della convivenza
Per diffondere paura
Con una volontà
Di menare le mani
Di ritornare al dominio
Della forza
Di distruggere gli argini della vita civile
E lo Stato lento accorre
Eppure
Eppure un corno
Questo liquame
Disumano
Che da decenni
Ha infettato
Sparso vittime
Abusato di vite
Mostrato croci uncinate
Braccia tese
A mezz’aria levate
Virulento scorre

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca
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