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Domenica mattina
Un racconto di Carlo Tassi

Mentre guidavo mille pensieri mi frullavano in testa, ma soprattutto una domanda: dove diavolo era la gente? Possibile che quella domenica fossimo usciti di casa solo io e il mio cane?
Guidavo verso il centro della città e non incrociavo nessuno. Stavo attraversando strade e piazze perfettamente deserte. Come il parco e il viale in cui ero appena stato.
Mi tornavano alla memoria i tanti film che avevo visto, quelli post-atomici o post-apocalittici. C’era sempre un post-qualcosa con cui fare i conti. Ma nonostante le tante storie più o meno fantasiose che avevo letto sull’argomento, non avevo idea di cosa potesse essere successo quel giorno… o forse non riuscivo ad accettarlo.
Il mio raziocinio e il mio innato attaccamento alla logica, alla normalità, si rifiutavano di prendere in considerazione ipotesi estreme, come quella di una catastrofe globale dalla quale ero inconsapevolmente sopravvissuto. Io e il mio cane per l’esattezza. “Questa è fantascienza, pura invenzione” mi ripetevo. “La realtà è ben diversa, assai più banale” pensavo.
Eppure un pensiero bizzarro stava emergendo. Si faceva largo scansando le varie ipotesi che avevo considerato e scartato ogni volta che giravo l’angolo e puntualmente non vedevo anima viva.
Sbirciai nello specchietto retrovisore, Kobi stava sonnecchiando sdraiato sul sedile posteriore, mentre la pioggia cadeva fitta pur senza la violenza di un temporale. Ogni manciata di secondi i lampi rompevano coi loro flash la penombra causata dalle nuvole, ed il costante, puntuale crepitio del tuono mi allontanava dall’idea di vivere un sogno ad occhi aperti.
Stavo attraversando l’ennesimo incrocio deserto, quando inchiodai di colpo la Jeep. Kobi, sbalzato in avanti, si rizzò subito in allerta.
Dalla parte opposta dell’incrocio stava un bambino.
Era in piedi, immobile, incurante della pioggia, e pareva che aspettasse qualcuno. Scesi dalla Jeep e gli corsi incontro. Il bambino fece per andarsene.
«Aspetta!» esclamai, «Bimbo sei da solo?».
Il bambino si fermò ma non rispose, guardava altrove, pareva non mi vedesse nemmeno.
Aveva sette o otto anni circa e portava un abitino nero come fosse appena uscito da una cerimonia; era fradicio ma non sembrava patire il freddo, sembrava essere indifferente ad ogni cosa, me compreso.
«Senti bimbo, se rimani qui sotto quest’acquazzone rischi d’ammalarti… Stai aspettando qualcuno? I tuoi genitori?»
Niente, non rispondeva. Sembrava proprio che per lui fossi invisibile.
«Vieni con me, ti porto sotto quella tettoia. Almeno là sotto starai all’asciutto!» insistetti. Feci per afferrargli la manina ma lui la ritrasse. Poi, finalmente, si mise a fissarmi. «Tu non dovresti essere qui, questo non è il tuo posto…» disse.
La sua era una voce di bambino, sottile e infantile. Ma quel tono…
Il suo tono di voce era tipico di un adulto, austero, distaccato e non lasciava intuire alcuna emozione o incertezza. Poi continuò: «Se sei furbo puoi ancora andartene. Devi andare via da qui, via!»

A volte non serve perdersi nel labirinto della ragione a tutti i costi per cercare un perché. Contrariamente a ciò che si crede, più una situazione sembra paradossale più esige una scelta immediata. Il tempo speso nel dubbio e nell’incertezza può fare la differenza tra la condanna e la salvezza. E quella situazione mi apparve talmente strana da farmi accettare qualsiasi cosa. Dunque decisi di stare al gioco e andai via, esattamente come aveva ordinato il bambino.
Me ne andai altrove, col mio cane, a bordo della Jeep…
Viaggiai senza fermarmi per centinaia d’anni nel passato.
Alla fine tornai a casa e andai a dormire. Di nuovo nel mio letto, come sempre.

Mi svegliai in tarda mattinata. Era un’altra domenica di pioggia, sentivo il rumore dell’acqua che scorreva nelle gronde. Scesi dal letto, accarezzai il mio cane e andai a sbirciare alla finestra. Fuori le strade erano deserte, non si vedeva anima viva…

The International (Matthew Bellamy, 2009)

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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