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L’Europa sta sostenendo notevoli spese in armamenti e in missioni militari per affrontare un nemico che, almeno nel sentimento europeo occidentale, non è considerato tale, la Russia.

Sarebbe dunque lecito chiedersi perché dovremmo avere paura della Russia e perché continuiamo ad implementare azioni di difesa sia commerciali che militari nonostante questo comporti tante perdite economiche e anche se le tensioni nell’aria, in Ucraina, in Bielorussia, in Georgia o nelle repubbliche Baltiche, in termini di interessi attuali europei, siano effettivamente reali oppure siano richieste da esigenze strategiche più grandi di noi.

La strategia delle potenze non sempre è immediatamente configurabile ai più, confusa di solito tra tante azioni pratiche che investono chi vive di pane e pandemie e difficilmente ragiona di geopolitica e di imperi. Proviamo a darci qualche spiegazione.

Partiamo dalle distanze. Aprendo google maps ci rendiamo conto che la distanza tra Mosca e Berlino è di oltre 1.800 km, prima del 1989 era una distanza anche ideologica oltre che spaziale e quando la linea rossa, che allora era la cortina di ferro, era saldamente posizionata a ridosso del suo muro, l’orso russo riusciva a dormire sonni tranquilli. I nemici erano ad una distanza sufficiente ed accettabile.

Dopo il disfacimento dell’Urss nel ’91 si era avuta l’illusione che insieme al comunismo potesse assottigliarsi la distanza ideologica e quindi l’offerta ai paesi ex sovietici di entrare nella Nato poteva non sembrare una minaccia, del resto la richiesta l’aveva fatta la stessa Russia per bocca di un Vladimir Putin appena insediato al potere nel 2000.

Oggi invece le cose sono cambiate. Si sta costruendo e solidificando una nuova cortina di ferro molto più a ridosso della capitale russa, l’America ha ridotto le distanze fisiche ma ha di nuovo aumentato le distanze ideologiche, riempiendo di basi americane e Nato gli ex satelliti sovietici. Quando Biden affermava che Putin era un assassino palesava l’impossibilità per l’America di fare a meno del nemico storico a ridosso del suo impero europeo. E questo nonostante l’esistenza di un nemico molto più reale per i suoi interessi, la Cina.

Anche noi, Italia, mandiamo truppe e aerei nelle cosiddette repubbliche baltiche e loro dintorni, siamo coinvolti in qualcosa di più grande dei nostri desideri, ma anche a sforzarci non percepiamo affatto la Russia così pericolosa per i nostri interessi anche perché dal 1989 la cortina di ferro si è spostata a chilometri di distanza da Trieste.

La Russia sta ammassando truppe nel Donbas, questo lo sappiamo. La storia ci dice che una volta l’Ucraina era il granaio dell’Urss, che la Bielorussia e le Repubbliche Baltiche erano parte integrante dell’Impero sovietico e che tutti questi stati servivano a marcare la distanza tra la capitale e l’occidente, il nemico, l’altro sistema.

In fondo è sempre stato l’Occidente a spingersi verso Oriente e ha lasciato traumi mai interamente sopiti, ad esempio con Napoleone e Hitler, ma la Russia ha sempre cercato di essere un po’ occidentale. Pietro il Grande e gli zar ci avevano provato ma poi il comunismo aveva imposto divisioni più che ponti. Il comunismo è stato sconfitto ma la Russia è rimasta, e oggi incombe ancora sull’Europa perché nel frattempo questa è diventata… americana.

Per l’Italia di sicuro la Russia non è un problema come non lo è per la Francia. Per la Germania è più un’opportunità, come lo è tutto l’Est europeo. I problemi affiorano se si ragiona in termini di Nato
e di Stati Uniti e la prima vive in funzione della seconda. L’Europa deve essere tenuta insieme da qualcosa in più dell’economia, serve un nemico che eviti distrazioni e concentri gli sforzi verso qualcosa di concreto, e qui serve la Russia, comunista o meno.

Tutti i paesi ex sovietici servono alla Russia come stati cuscinetto per aumentare la distanza fisica dall’occidente e, dopo aver perso l’Ucraina dove gli Usa
mandano armi dopo aver militarizzato in chiave anti russa Polonia e Romania, Mosca sente di non poter cedere altro terreno. Il Donbass diviene imperdibile e lì si ammassano truppe mentre la Nato prepara 40.000 uomini nelle sue basi in Romania, come scrive la testata tedesca Die Welt, pronti a rispondere ad un’invasione dell’Ucraina in soli 5 giorni. Le distanze si assottigliano, scintille di guerra non più a 1.800 km di distanza da Mosca ma molto più vicino, su quella che Putin ha definito la linea rossa da non oltrepassare, nuova cortina di ferro. E che probabilmente Biden non vuole attraversare davvero, si mostrano solo le carte per solidificare le posizioni e mantenere salde le distanze, ideologiche.

Quindi la Russia è il nemico, decisione presa dall’unica potenza imperiale rimasta, che ha bisogno dell’Europa al suo seguito e da sfoggiare (un po’ come l’India nell’800 per l’Inghilterra) e quindi detta le sue condizioni, impianta le sue basi e decide se il gas russo debba arrivare o meno attraverso il baltico direttamente alla Germania oppure bisogna attendere che tutti vedano bene e prendano nota delle carte di cui sopra. Poco importa delle priorità europee, delle forniture e di quanto sia freddo l’inverno. La Russia ci prova ma la sua forza, il gas e il petrolio, è anche la sua debolezza visto che la sua economia ha poche alternative. In ogni caso gli Usa non hanno bisogno del gas russo o di commerciare con Mosca, noi si. Ma ci serve di più l’America e lo sapeva Trump come lo sa Biden.

E all’America non piace che la Germania possa crearsi troppo spazio di manovra ad est, è un paese forte economicamente e forse l’unico europeo in grado di impensierire l’egemone, che può fargli paura, nonostante sia costellato di uomini e basi americane e Nato e non più centro della cortina di ferro.

Intanto con Serbia, Georgia e Ucraina entrate nel meccanismo chiamato Piano d’azione per l’adesione alla Nato, o Membership Action Plan (Map), la Russia è sempre più accerchiata, potremmo dire minacciata, almeno se usiamo il suo punto di vista. Dopo l’Ucraina c’è la Bielorussia e Putin non può permetterselo. Non è l’Europa a decidere chi deve far parte della Nato, quindi non è un nostro problema, magari un nostro cruccio.

La Russia ha sicuramente un grande armamento militare e nucleare da poter dire la sua tra coloro che potrebbero distruggere il mondo in cui viviamo, ma difficilmente un interesse così cogente nel loro utilizzo. I suoi sembrano più movimenti dettati dalla necessità di sopravvivere, si rivolge persino alla Cina per un partenariato di dubbia comprensione da un punto di vista storico e culturale e si ritrova in Libia insieme alla Turchia. Insomma va dove può per rompere l’accerchiamento e si rivolge a chi dubita della bontà americana per sentirsi meno sola.

Insomma paghiamo di tasca nostra tensioni nate per necessità altrui ma che contribuiamo ad alimentare per due ordini di fattori: non possiamo opporci a chi le alimenta perché facciamo parte del suo sistema difensivo, siamo il campo di battaglia di guerre altrui in quanto in posizione di sudditanza; non esiste una possibile risposta europea alle decisioni della potenza americana in quanto non esiste una potenza europea, cioè un’Europa unita ideologicamente e militarmente in grado di dettare, o quanto meno proporre, un’agenda diversa.

Non c’è una vera soluzione in vista perché sarebbe complicato darsi strategie che escludano gli interessi americani, ma sarebbe auspicabile che alcuni paesi, ad esempio l’Italia, cominciassero a capire a cosa stanno partecipando quando si muovono con i propri mezzi militari in Lettonia oppure in Afghanistan o in Islanda. Cominciare quanto meno a guardare alla propria sopravvivenza e chiedere contropartite nel mediterraneo e in nord Africa diventando interlocutori credibili agli occhi degli Usa e impostando politiche di difesa economiche per non fallire in Europa. Bene a questo proposito l’accordo con la Francia se sarà vissuto con senso nazionale, cosa che giustamente e di sicuro faranno i francesi.

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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