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Con la conferenza stampa di fine anno il Presidente del Consiglio Draghi ha sostanzialmente detto di essere pronto per ascendere al Quirinale, anche perché ha sostanzialmente realizzato gli obiettivi che il suo governo si era ripromesso.

Vale la pena scavare un po’ più a fondo su quest’affermazione.
Draghi ha sostenuto che l’Italia ha bene affrontato le vicende della pandemia, arrivando ad un alto numero di vaccinati, ma ha sostanzialmente eluso la questione di fondo, e cioè che siamo ben lungi dall’averla sconfitta. Evitando di soffermarsi sul fatto ormai acclarato che questo traguardo può essere acquisito solo se si mette in campo una politica globale, e in particolare la possibilità che tutti i Paesi, a partite dai più poveri, possano dotarsi dei vaccini necessari, passando necessariamente per la messa in discussione della proprietà intellettuale e dei brevetti oggi appannaggio di Big Pharma e fonte degli enormi profitti da loro realizzati.

Poi, Draghi, ha fatto presente che sono stati realizzati i primi 51 obiettivi fissati dall’UE nei nostri confronti per il 2021 per accedere ai fondi del Recovery Plan. Ora, a parte il fatto che non si riesce ad avere un riscontro preciso di quest’annuncio (il sito del governo italiadomani dedicato al PNRR non dà lumi in proposito), colpisce ancora una volta l’enfasi posta sul ruolo quasi salvifico del PNNR stesso, quando gli stessi documenti governativi stimano il contributo che esso può dare alla crescita e all’occupazione in termini non così rilevanti, visto che parlano di un incremento cumulato del PIL da qui al 2026 di 2-3 punti percentuali.
Per non parlare della vera e propria propaganda messa in campo sull’incremento del 6,2% del PIL nel 2021 – la crescita più sostenuta dell’Italia nell’ultimo secolo, come ripreso dalla stampa mainstream a proposito di alcune dichiarazioni della Von der Leyen -, mettendo tra parentesi il crollo dello stesso dell’8,9% nel 2020, che fa apparire il dato del 2021 più come un rimbalzo di quanto successo con la caduta del 2020 piuttosto che il segnale di una crescita duratura.

Lasciamo poi stare come è stata presentato l’intervento sulla cosiddetta riforma fiscale, che mi ha fatto venire in mente l’aforisma di Mark Twain, quando diceva che “ci sono tre tipi di bugie: le bugie, le sfacciate bugie, e le statistiche”.
Infatti, qui, il ministero dell’Economia è riuscito a sostenere, guarda caso proprio a ridosso del sacrosanto sciopero generale proclamato dalla CGIL e dalla UIL, che il vantaggio maggiore andava ai redditi bassi.
Peccato che, per dimostrare una tesi così ardita, si sono mischiate le capre con i cavoli, e cioè è stato messo insieme il ridisegno dell’IRPEF, l’introduzione del nuovo assegno unico per i figli e il nuovo sgravio contributivo, peraltro transitorio solo per il 2022, e si è costruito il calcolo sui valori percentuali  e non su quelli assoluti.

Ma questo gioco delle tre carte non può occultare il fatto che la rimodulazione dell’IRPEF avvantaggia in particolare i redditi medi e che i redditi alti ottengono riduzioni dell’imposta più forti di quelli medio-bassi, producendo un effetto regressivo.
Come dimostrano le tabelle pubblicate da Il Sole 24 Ore, la riduzione dell’IRPEF vale 335,7€ per i redditi pari a 15.000€ l’anno, 203,5€ per quelli pari a 20.000€, 944,8€ per chi dichiara 40.000 e 270€ per quelli pari a 75.000€. Questo risparmio fiscale, peraltro, sarebbe più che vanificato dai forti rincari delle tariffe, in particolare della luce e del gas, avvenuti nei mesi passati e di quelli che si preannunciano anche con l’anno nuovo. Rincari che, secondo l’Istituto di ricerche Nomisma, porterebbero ad un aggravio per una famiglia media pari a più di 1200 € per il 2022, che, in assenza di ulteriori interventi strutturali da parte del governo, finora del tutto insufficienti, si tradurrebbero in una seria contrazione del reddito delle famiglie stesse.

Al di là dei proclami e della propaganda, ciò che si sta verificando è un peggioramento delle condizioni di vita e di reddito della parte meno abbiente della popolazione e di aumento delle disuguaglianze sociali, rafforzate anche da un andamento occupazionale che non ha recuperato la perdita registratasi con la pandemia e che è alimentata soprattutto con il ricorso ai contratti a tempo determinato. A cui si aggiunge un calo delle protezioni sociali, che certamente non si arresta, anzi, con provvedimenti quali quelli previsti dal governo per il contrasto alle delocalizzazioni, che si riducono ( vedi qui Cavallini) ad una pura proceduralizzazione e monetizzazione dei licenziamenti.

Il fatto è che, continuando con i dettami neoliberisti che anche il governo Draghi sta portando avanti, si conferma quello che sostiene uno che se ne intende, il finanziere Warren Buffet, e cioè che “ è  in corso una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo.“
Si potrebbe sostenere che questo è il compromesso inevitabile di un governo al cui interno è presente sia il Centrosinistra che la Destra, con quest’ultima in una posizione preminente. Il punto, purtroppo, è che anche il Pd, qualora lo si volesse ancora etichettare come forza di Centrosinistra, non appare in grado, o non intende, presentarsi come portatore di una linea alternativa al neoliberismo imperante.

Sul fisco, ci si limita a proporre un contributo di solidarietà per i redditi alti, senza avere il coraggio di prospettare un’idea di tassazione significativamente progressiva. Oppure, si è ben lungi dall’avanzare l’ipotesi di una tassazione sul patrimonio e, quando lo si è fatto, in modo blando e confuso, di fronte alle prime opposizione, abbiamo assistito ad un veloce dietrofront.

Né meglio il Pd si è espresso rispetto al tema delle delocalizzazione e delle crisi industriali. Qui ci è toccato sentire il ministro Orlando ragionare sul fatto che le prime non si possono impedire e che, tutt’al più, si possono evitare comportamenti troppo sbrigativi. Insomma, non va bene licenziare via whatsapp o tramite mail, ma le lettere di licenziamento sono almeno meno offensive!

Ancora, se guardiamo al tema delle privatizzazioni, a partire da quelle che riguardano il servizio idrico, magari occorre evitare scelte troppo pesanti in proposito (anche se la Regione Emilia-Romagna non fa difetto a inoltrarsi su questa strada), ma non c’è dubbio che le grandi aziende nazionali o le multiutilities (leggi ENI, Hera, IREN e via dicendo), ispirate da una logica privatistica e di massimizzazione dei profitti e dei dividendi, costituiscono anche per il Pd un buon modello per la gestione di servizi pubblici essenziali.

Insomma, non c’è troppo da stare allegri rispetto a quel che passa il convento della politica. Per fortuna c’è una società attiva, sono in campo movimenti e organizzazioni sociali che, anche nei tempi della pandemia, non sono disposti a sottostare al pensiero unico e alle scelte che da lì provengono. Soprattutto, quando sono in grado di mettere in campo lotte e mobilitazioni significative, come dimostra il risultato positivo, sia pure ancora parziale, cui sembra approdata la vicenda della GKN [vedi gli articoli di Marina Carli Qui e di Nicola Cavallini Qui su questo quotidiano], rilevata  con tutti gli addetti da un nuovo imprenditore. E’ perlomeno una base da cui ripartire, sapendo che il percorso sarà lungo e non semplice, ma anche che esistono risorse, uomini e donne che continuano a pensare e lavorare perché un altro mondo sia possibile e realizzabile.

Cover: elaborazione grafica di Ambra Simeone

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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