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LA STORIA SIAMO NOI /
Sciopero Generale 14 novembre 1968

Sciopero Generale 14 novembre 1968

14 novembre 1968: CGIL, CISL, UIL effettuano lo sciopero generale sulla riforma delle pensioni; è il primo sciopero unitario dal tempo delle scissioni del 1948.
Nel 1968 l’esplosione della contestazione giovanile, radicale e irriverente, colse di sorpresa il sindacato e rese evidenti i limiti della sua azione. Un campanello d’allarme arrivò nei primi mesi dell’anno quando le Confederazioni chiusero un accordo per la riforma delle pensioni con il Governo Moro; quella intesa venne duramente respinta dalla base e la CGIL decise il 7 marzo di proclamare da sola lo sciopero generale che riscosse ampie adesioni. Da quel momento riprese il dialogo tra le Confederazioni, sostenuto con vigore dalle importanti conquiste operaie nella contrattazione aziendale in tema di organizzazione del lavoro, ambiente di lavoro e delegati (nuovi rappresentanti dei lavoratori in fabbrica). La nuova offensiva sindacale portò al primo sciopero generale unitario dai tempi delle scissioni (14 novembre 1968), proclamato per ottenere una nuova riforma previdenziale, ed ebbe un approdo positivo all’inizio del 1969 con la vittoria sindacale sulle pensioni e sull’abolizione delle zone salariali (cioè delle differenze salariali, a parità di lavoro, da zona a zona).

Periscopio, anche se è un quotidiano online basato sul volontariato, aderisce allo sciopero del 29 novembre 2024. Domani riprende la regolare pubblicazione.

In copertina: Corato (Bari), un’immagine dello sciopero generale del 18 novembre 1847

LA STORIA SIAMO NOI /
Sciopero Generale 18 novembre 1947

Sciopero Generale 18 novembre 1947

Nel corso di uno sciopero generale la polizia apre il fuoco contro i contadini uccidendo Diego Masciavè, sindacalista Cgil, il bracciante Pietrino Neri e la contadina Anna Raimondi. Altri 10 manifestanti rimangono feriti.

A Trani, nel corso del medesimo sciopero generale, la polizia carica ferendo gravemente due dimostranti. A Bisceglie (Lecce), la polizia apre il fuoco su una folla di disoccupati che chiedono lavoro.

Periscopio, anche se è un quotidiano online basato sul volontariato, aderisce allo sciopero del 29 novembre 2024. Domani riprende la regolare pubblicazione.

In copertina: Corato (Bari), un’immagine dello sciopero generale del 18 novembre 1847

LA STORIA SIAMO NOI /
Sciopero Generale contro la guerra: 18 maggio 1915

Sciopero Generale contro la guerra 1915
(inizio 17 Maggio 1915 – fine 19 Maggio 1915)
 

Dopo una serie di manifestazioni di interventisti e contrari alla guerra, il 16 maggio 1915 si apre a Bologna il convegno nazionale del Partito socialista al fine di discutere l’opportunità di uno sciopero generale. A Torino, nonostante alcuni pareri contrari, alla Camera del lavoro si stabilisce di indire lo sciopero senza attendere la decisione di Bologna. Le manifestazioni dureranno 48 ore e saranno caratterizzate da un gran numero di partecipanti e da violentissimi scontri con la Cavalleria.

Periscopio, anche se è un quotidiano online basato sul volontariato, aderisce allo sciopero del 29 novembre 2024. Domani riprende la regolare pubblicazione.

In copertina: un’immagine dello sciopero generale del 18 maggio 1915

LA STORIA SIAMO NOI /
4 settembre 1904: La prima volta

Sciopero Generale 4 settembre 1904

120 anni fa, “L’Italia del popolo”, quotidiano politico di orientamento repubblicano, dedica la prima pagina allo sciopero generale del 4 settembre 1904, il primo proclamato in Italia.

Oggi 29 novembre 2024 è sciopero generale. Se vi dicono che scioperare non serve, vi dicono una balla: scioperare costa l’Italia e la nostra vita è cambiata, ed è cambiata in meglio, perchè in tanti hanno avuto il coraggio di scioperare.

Periscopio, anche se è un quotidiano online basato sul volontariato, aderisce allo sciopero del 29 novembre 2024. Domani riprende la regolare pubblicazione.

In copertina: un’immagine dello sciopero generale 4 settembre 1904

Lo sciopero logora chi non lo fa

Lo sciopero logora chi non lo fa

Per capire perchè è nato lo sciopero e a cosa serve, bisogna tornare a scuola, ma proprio sul banco, quando si facevano le “ricerche” – se ne trovano ancora di quel tipo novecentesco, su internet. Curioso che, per capire bene il succo delle cose ai tempi di google, occorra tornare ai tempi dell’enciclopedia “Conoscere”. Ma se le migliaia di informazioni a disposizione sul web non mostrano il succo delle cose, non c’è modo migliore di tornare al liceo. Meglio anche di Karl Marx.

La vita degli operai era completamente regolata in base ai ritmi della produzione: gli operai lavoravano per molte ore consecutive e disponevano di pochissime pause. Spesso erano costretti a mangiare mentre lavoravano per seguire le macchine che si trovavano in edifici malsani, poco areati e spesso poco illuminati….La presenza di ragazzi nelle fabbriche fu una costante del processo di industrializzazione, con effetti disastrosi per la società sul lungo periodo: individui disfatti sul piano fisico (malformazioni, malattie professionali, sviluppo stentato) e sul piano morale (mancata istruzione, lontananza dalla famiglia). “ (da “La vita degli operai”, Liceo Scientifico Elio Vittorini, rintracciabile su Eliovittorini.edu.it).

“La rivoluzione industriale provocò complessivamente un impressionante aumento della ricchezza, ma questa andò principalmente a favore delle classi alte, anzitutto della borghesia capitalistica. Gli operai dal canto loro ricevevano bassi salari, e le donne e i bambini – impiegati su vasta scala – retribuzioni ancora inferiori; i lavoratori in generale non potevano fare affidamento su un impiego stabile poiché ogni fase sfavorevole del ciclo produttivo causava ondate di disoccupazione senza che essi potessero contare su alcuna forma di protezione sociale. Gli orari di lavoro erano mediamente da 13 a 15 ore giornaliere. I ragazzi superiori ai 6 anni erano impiegati in larga misura in fabbrica; e con essi persino bambini di 5 o addirittura di 4 anni. La malnutrizione era la regola; le abitazioni degli operai erano generalmente miserabili e malsane; numerosi minatori dormivano nelle stesse miniere. Intorno al 1850 il numero degli operai nelle nuove industrie raggiunse in Inghilterra circa 3 milioni.” (Treccani, Enciclopedia dei ragazzi).

Lo sciopero generale del 1842, noto anche come Plug Plot Riots iniziò tra i minatori nello Staffordshire, in Inghilterra, e si diffuse presto in tutta la Gran Bretagna, colpendo fabbriche, mulini nello Yorkshire e nel Lancashire e miniere di carbone da Dundee al Galles del Sud e alla Cornovaglia. Lo sciopero fu influenzato dal movimento cartista, un movimento di massa della classe operaia dal 1838 al 1848. …La seconda fase dello sciopero ebbe origine a Stalybridge. Un movimento di resistenza all’imposizione di tagli salariali nei mulini, noto anche come “Plug Riots”, si diffuse fino a coinvolgere quasi mezzo milione di lavoratori in tutta la Gran Bretagna e rappresentò il più grande esercizio di forza della classe operaia nella Gran Bretagna  del diciannovesimo secolo.  La repressione che seguì fu “senza pari nel diciannovesimo secolo… Solo nel Nord-Ovest oltre 1.500 scioperanti furono processati” .(Wikipedia)

Su Internazionale si può leggere (qui) una breve storia degli scioperi in Italia, a partire da quello del 1900 di Genova. Nei cento anni passati in rassegna non va dimenticata la parentesi fascista: nel Codice Rocco lo sciopero, tollerato nel Codice Zanardelli, ridivenne “delitto contro l’economia pubblica”. Poi si passò attraverso l’elevazione dello sciopero a diritto nella Costituzione del 1948 (art.40), con le conseguenti sentenze della Corte Costituzionale che dichiararono illegittime le norme di legge penale che a quel punto risultavano in contrasto col dettato costituzionale, di rango superiore.

Se le persone proprietarie solo delle proprie braccia non avessero lottato insieme, nella storia, per migliorare le proprie condizioni, per quel che interessava ai detentori del capitale le donne incinte lavorerebbero in fabbrica ancora appese per le cinghie e i bambini starebbero in fabbrica a sorvegliare le macchine 17 ore al giorno. Per chi pensa che questa sia una ricostruzione vintage, riferita ad una realtà di fabbrica novecentesca che non esiste più, attenzione: certe ritmiche e modalità imposte del lavoro – durate del dialogo commerciale prefissate per massimizzare il numero dei contatti, pause iper compresse tra un contatto e l’altro –  sono ricomparse nei call center e nelle filiali digitali. E tutto questo non perché “il capitalista” sia un essere malvagio in sé, ma perché gli Adriano Olivetti o i Brunello Cucinelli sono eccezioni dentro una regola di funzionamento economico il cui obiettivo è il massimo profitto individuale, non il massimo benessere comune. E questa connotazione si è accentuata con il passaggio al capitalismo finanziario.

Sto esagerando? Se così sembra, è perché siamo abituati a guardare le cose coi nostri occhi di occidentali, al caldo, al riparo di un contratto e con delle tutele – ottenute non per legge di natura, ma dopo decenni di battaglie, appunto. Ma nel resto del mondo non va così: infatti il resto del mondo preme alle nostre confortevoli porte, e la cosa incredibile è che, per buona parte della cosiddetta pubblica opinione, i nemici sono diventati loro. Degli altri – tassati, loro e le loro aziende, la metà dei loro dipendenti – invece leggiamo le gesta sulle pagine di Forbes.

In ragione e alla luce della storia di tutto questo, ci sono due prese di posizione sullo sciopero che mi fanno particolarmente arrabbiare. La prima è quella di coloro che considerano gli scioperanti come degli sfaccendati che allungano il finesettimana a spese della collettività. Lo considero alla stregua di uno sputo in faccia, sia per la storia di questo strumento, sia per il presente, specie se rivolto contro chi rinuncia a un giorno di stipendio essendo già in notevoli difficoltà economiche. La seconda è l’inerzia di quella massa lamentosa ma informe – sfortunatamente ascrivibile spesso al “ceto medio”, il maggiormente beffato dalla manovra di questo governo cialtrone –  che piange e non muove un dito. Non va a votare, non partecipa, non manifesta, non sciopera, però frigna. Tanto non cambia niente. Come se cambiare non fosse uno scarto che accade prima di tutto dentro di noi. E se facciamo qualcosa per noi, per la nostra dignità, per il nostro amor proprio, e scopriamo di essere in tanti a farlo insieme, anche l’ingiusto e sconfortante panorama che ci circonda appare, almeno per qualche ora, sotto una luce meno disperata.

 

 

 

Julian Assange. Quale libertà?
30 novembre: incontro pubblico a Reggio Emilia

Julian Assange. Quale libertà? Incontro pubblico a Reggio Emilia

 

Incontro pubblico, al circolo Arci Fenulli, sabato 30 novembre ore 16,30

Sabato 30 novembre Stefania Maurizi, nota giornalista d’inchiesta e scrittrice, sarà di nuovo a Reggio Emilia, a presentare il suo libro “Il potere segreto” aggiornato dopo la liberazione di Julian Assange.

L’iniziativa pubblica si terrà al Circolo Arci Fenulli alle 16.30 ed è promossa dagli attivisti del territorio che si sono battuti per Assange in collaborazione con Amnesty International e il Circolo ospitante. L’obiettivo è quello di approfondire il tema “Julian Assange. Quale libertà?” con l’aiuto della giornalista che si è occupata più da vicino del caso Assange, in quanto media partner di WikiLeaks dal 2009 e autrice di un libro che ricostruisce in modo puntuale e documentato la vicenda giudiziaria del suo fondatore.

Il 24 giugno u. s. Julian Assange ha potuto lasciare il carcere di Belmarsh dov’era rinchiuso ingiustamente dal 2019, detenzione che è solo la parte finale di un calvario iniziato nel 2010, quando aveva smascherato gli abusi e i crimini di guerra di cui si erano macchiati gli USA e i loro alleati durante i conflitti in Iraq e in Afghanistan.

La mobilitazione mondiale per la sua libertà è stata decisiva. Nel nostro Paese un ruolo importante per l’informazione l’ha giocato sicuramente Stefania Maurizi, che è stata a Reggio Emilia, a Gattatico al Museo Cervi e a Casalgrande per informare sulla vicenda di Julian Assange e presentare il suo libro, ma non solo; ricordiamo con particolare piacere e gratitudine la sua testimonianza, in qualità di professionista dell’informazione, nella Sala del Tricolore in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria a Julian Assange.

Riteniamo necessario oggi scoprire le conclusioni a cui è giunta l’autrice nella nuova edizione aggiornata della sua opera, poiché molte sono le domande ancora senza risposta sul patteggiamento che ha portato improvvisamente alla liberazione del giornalista australiano: perché gli Stati Uniti improvvisamente hanno rinunciato all’estradizione, a un processo con condanna a 175 anni di carcere e hanno lasciato che venisse scarcerato? Quale sarà il futuro di WikiLeaks e, parallelamente, del giornalismo mondialea seguito della forzata ammissione di una “colpa” -che corrisponde semplicemente al dovere di un’informazione libera e corretta– da parte da Julian Assange?

Il dubbio è che la liberazione di Julian, che pur ci ha riempito il cuore di gioia, non ci garantisca affatto che la guerra del “potere segreto” contro Julian e WikiLeaks sia finita. E che si debba continuare a lottare per il diritto alla sua completa libertà e il diritto a informare e ad essere informati.

 

Movimento Free Assange Reggio Emilia

Parole a capo /
Luigi Cannillo: “Alcune poesie”

“Le innaturali concentrazioni metropolitane non colmano alcun vuoto, anzi lo accentuano. L’uomo che vive in gabbie di cemento, in affollatissime arnie, in asfittiche caserme è un uomo condannato alla solitudine.”
(Eugenio Montale)

 

DA “CIELO PRIVATO”, Ed. Joker, 2005

Scandaglia lo sguardo
dal bordo scuro il fondo
del pozzo invisibile il pericolo
i grandi raccomandano
attenti la tarantola
Non conosciamo ancora
forma per quel nome
la minaccia sommersa non increspa
la fontana non ruggisce intanto
ci vietano di attingere e di bere
Saranno artigli o corna a lacerare
fauci spalancate miste a nostre urla
tentacoli che inghiottono o veleno
Il fulmine saltato su dall’acqua
miseria e guerra esploderà tarantola
Mentre il mistero scorta ogni passione
dalla cisterna pulsa in ogni sforzo
domina ombra gli astri dell’orto
Rumina la bestia da lontano
vibra la nostra sorte
noi appostati
piatti sotto l’erba alta o da coltelli
negli angoli dei fienili verticali
saremo i primi

 

*

 

Tutti i cortili annunciano la sera
le porte aperte alle ringhiere
Vortica misto a voci
e stoviglie il fischio
del padre fiato tra gradini
musica della lontananza
Sopravvive la canzone alla fatica
l’usignolo reduce senza festa
né batticuore al saluto
Se il figlio non ammette somiglianza
o si sottrae alla competizione
l’eredità si scosta in un angolo blindata
Ho scolpito da solo le mie pieghe e curve
tramando nostra paternità negata
Così quell’aria il fischio che la modula
si avvicina a scomparire come un treno
lampeggiante in transito
una missione altrove

 

*

 

DA “GALLERIA DEL VENTO”, La Vita Felice,, 2014

Lentamente la terra
cede alla sera, scintilla
di luci in espansione
Vedi ci si riflette una sorgente
la campagna intera illuminata
Solo adesso si riaccendono
le stelle cadenti della nascita
e segnano il sentiero, la vigilia
Più ti incammini e la materia
si esaurisce asciugata dalla luce
che resta a segnare i confini
La distanza fra le case
ogni dislivello, tutto
pulsa unito nel salto
poi le orme si disperdono
con chi le ha impresse
la storia tornerà al mistero
Tu non lo puoi vedere, ma
mentre per la festa splendono
il margine e l’anima dell’albero
il suo legno al buio brucia

 

*

 

Da “DAL LAZZARETTO”, La Vita Felice, 2024

La città nelle sue vene
la esplori slogandone le ossa
un corpo che si estende
anche restando fermo
Sembra immobile di notte
però tutto continua a pulsare
la solleva e dilata il respiro
Al buio crescono le unghie
Il sonno confinerà i sognatori
nel sottosuolo con le loro storie
Noi invece non dormiamo ancora
corriamo lanciando le mani nel vento
sulle vetrine spente del corso,
vogliamo vivere tutte le nostre vite
Finché a una curva della notte
appare l’aureola della periferia
– da lì si chiama il mondo
finalmente si entra in una frase

 

*

 

Le strade del mercato
si liberavano in serata
i banchi nei magazzini per la notte
i motocarri fermi, a fari spenti
Il giorno dopo riprendeva il ciclo
con la frutta allineata per colore
lo splendore dei pesci sul ghiaccio
mentre come stelle filanti
si sollevano nel vento
le fettucce della merciaia

Era la fatica a scandire il ritmo
della catena implacabile dei giorni
Adesso invece anche ad aspettarli
non rientreranno in scena, nemmeno
la neve da spalare, i thermos di caffè
né il volo delle briscole sul tavolo
Il pallone è rimasto in un angolo
anche i figli chiamati nei cortili
non sono più tornati per la cena

 

*

 

Eppure qualcuno li ha visti
riapparire dietro una finestra
o curvi a raccogliere una moneta
Nei sogni hanno ripreso
il loro posto a tavola
ci seguono nelle nuove case
Non li si può considerare
memoria esatta né l’eventuale
distorsione di un ricordo
Rimangono impressi in orme fresche
quando svoltano per il corso
la mano al cappello a salutare
o aprono il fermaglio alla collana
Se esigono un debito, se proteggono
o tradiscono lo fanno sul serio
Non si può soffocarne i singhiozzi
mitigare le sbornie e le risate
Come si fa a non sentirli
quando anche muti pensano al futuro

Ringrazio l’autore per avere autorizzato la pubblicazione di questi versi.

 

Luigi Cannillo, poeta, saggista, traduttore e organizzatore culturale, è nato e vive a Milano. Tra le sue raccolte di poesia più recenti: Cielo Privato, Joker Ed., 2005; Galleria del Vento, La Vita Felice, 2014; l’antologia in inglese e italiano Between windows and Skies – Selected Poems 1985-2020, Gradiva Publications, 2022 e Dal Lazzaretto, La Vita Felice, 2024. Ha curato con Gabriela Fantato La biblioteca delle voci – Interviste a 25 poeti italiani , Joker Ed., 2006. Ha curato inoltre l’Antologia Il corpo segreto – Corpo ed Eros nella poesia maschile, LietoColle, 2008, e, con Sebastiano Aglieco e Nino Iacovella, Passione Poesia – Letture di poesia contemporanea, Ed. Cfr, 2016. Singole poesie, scelte antologiche e interventi critici sono stati pubblicati su numerose riviste, raccolte di saggi, siti e blog letterari. Ha partecipato a performance e spettacoli teatrali e collabora con musicisti e artisti visivi.

NOTA REDAZIONALE: “Parole a capo” è una iniziativa dell’Associazione culturale “Ultimo Rosso”. Per rafforzare il sostegno al progetto invito, nella massima libertà di adesione o meno, a inviare un piccolo contributo all’IBAN: IT36I0567617295PR0002114236

La redazione di “Parole a capo” informa che è possibile inviare proprie poesie all’indirizzo mail: gigiguerrini@gmail.com per una possibile pubblicazione gratuita nella rubrica. 

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Questo che leggete è il 260° numero. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

Isabella entra in seduta

Isabella entra in seduta

Ritratto di Isabella – disegno di Monica – tecnica pastelli

Ciao, sono Isabella, una cagnolina che ricorda la Pimpa e Snoopy, non sono famosa come loro, ma anche io, modestia a parte, sono irresistibile.

Scrivo oggi in questa rubrica per caso, perchè Giovanna, la mia umana nonché capobranco, non so se mi spiego, mi ha coinvolto nel suo lavoro.

Le cose sono andate così: lo scorso anno abbiamo perso Cruz, un membro del branco, recentemente io ho subito una operazione urgente, sono smilza! Mi hanno tolto la milza. Adesso sto bene e Giovanna ha smesso di guardarmi un po’ triste e preoccupata. Dovevo però essere monitorata ma, soprattutto, non riuscivo più tanto a stare sola.

Stavo come in quella canzone

(…)Azzurro,
il pomeriggio è troppo azzurro
e lungo per me.

(…)Quelle domeniche da sola
in un cortile, a passeggiar…
ora mi annoio più di allora,

neanche un prete per chiacchierar…
[Azzurro, di Paolo Conte cantata da Adriano Celentano]

Così Giovanna ha dovuto trovare una soluzione: mi porta sempre con sé, anche al lavoro.

Lei è una psicoterapeuta, oddio non so precisamente cosa vuol dire ma, osservando, ho capito diverse cose. Ad esempio, ogni giorno a orari precisi arrivano degli umani di varia natura.

“Da questa parte prego”

Nella mia testa ho creato una mappa, di odori, di movimenti, di voci e così ad ogni dlin dlon vado in giardino a verificare chi è la persona di turno e, scondinzolante e festosa ma tutta compita nel mio ruolo,  l’accompagno nella stanza della terapia.

Qui parlano, giocano (?), qualche volta sono tristi o arrabbiate, qualche lacrima, qualche risata… Pasticciano con l’acqua, con la carta e un mucchio di altre cose che, quando le uso io, e dovreste vedere come riduco tutto in brandelli, precisa, concentrata e gioiosa, invece di sentirmi dire brava quella là mi grida e mi chiama Isabrutta.

Per costituzione io amo le persone, sono socievole e soprattutto amo le carezze che cerco con una certa insistenza. Quando le mani dei pazienti toccano, lisciano, danno colpetti al mio corpo, schiena, pancia, muso, orecchie (non ridete please!) si crea una sorta di chimica tra noi che è un godimento, una magia. Giovanna dice che si liberano ossitocina e serotonina due ormoni del benessere, ma non hanno forma né odore riconoscibili, saprà lei, io so che quel contatto ci fa bene .

Quello che succede non è Pet Therapy, non ho fatto la scuola, neanche Giovanna e non abbiamo in squadra un veterinario, anzi proprio non lo voglio uno che ogni tanto mi deve fare un buco per controllare un altro coso, il cortisolo, l’ormone dello stress. So badarmela da sola e se qualche situazione sento che non riesco a tollerarla me la filo in giardino o dormo.

“Non sto dormendo. Sono in contatto con il mio inconscio”

Io mi comporto liberamente, spontaneamente, non seleziono i  pazienti “adatti”, loro mi accarezzano e ognuno lo fa se gli va e a modo proprio.

A. tutto logica e pianificazione, all’inizio era impacciato, mi faceva lunghi discorsi complicati, Giovanna gli ha spiegato che quello che contava non erano i ragionamenti, era il linguaggio corporeo, preverbale, presimbolico. Adesso A. mi cerca, mi tocca, parla semplice, solo quanto necessario e sopporta serenamente di andarsene con qualche pelo del mio manto inflilato nelle trame dei vestiti.

J., in perenne conflitto tra istinto e controllo, troppo dell’uno o dell’altro, si imbarazza delle mie annusatine intime (perchè l’amore è riconoscersi dall’odore”) ma adesso, prima di raccontare i suoi dilemmi dove il corpo e l’intelletto non si coordinano, dice prima di raccontare “oggi avevo proprio bisogno di un contatto fisico” e parla tenendomi vicino.

F. parla concitata già prima di entrare nella stanza, le sue carezze sono veloci, due mani che mi percorrono dalla testa alla coda, senza intervalli, pressanti. Man mano diventano più leggere, cadenzate e diventa più lento e tranquillo il suo eloquio.

Quando mi addormento, la mia pancia va in su e in giù lenta e calma. Giovanna ne approfitta per dimostrare cosa e come è il respiro profondo, quello che aiuta il rilassamento e a controllare l’ansia.

Ovvio, penso io: l’altro, quello veloce, alto, ansimante è quello che serve quando si corre, si va a caccia o si scappa davanti a un cane che la vuole buttare in rissa.

Il modo in cui mi accarezzano è significativo. Io lo registro, mi sintonizzo e non mi faccio tante domande. Giovanna invece dice che è sintomatico dell’emozione del momento od anche della qualità di relazioni passate, specie quelle più precoci.

Saprà lei!

Intanto, quando è presa dai suoi pazienti un po’ mi trascura, ma ci sono le carezze, i complimenti di tutti “formidable, je sui formidable”, perchè privarmene?

Giovanna attribuisce signicati, io me la godo. Giovanna osserva, io vivo la relazione. Giovanna riporta lo scambio a chissà cosa, io sono lì, in quel momento, presente e ricettiva.

“Vhe vhe, senti un po’ che storia”

Ho scoperto di governare il tempo della seduta meglio della terapeuta (“il setting è importante predica”!).

Lei si perde, si allunga, si trascina ma io percepisco quando siamo allo scadere dell’ora, e quindi basta “arrivederci e alla prossima!” So che le 19,30 sono un orario  intransigibile, improcrastinabile, immodificabile:  è tempo di zuppa!

Allora punto alla porta, gnolo un po’,  gratto e i presenti sono costretti a guardarmi e diventa chiaro a tutti che la seduta è finita. I bisogni primari innanzi tutto direbbe Freud e, più avanti, Maslow li metterà alla base della piramide delle motivazioni. La filosofia, il male esistenziale, le domande sulla vita vengono dopo. E, mi pare, che anche un certo Marx, a suo modo dicesse le stesse cose.

La pancia che borbotta
È causa del complotto
È causa della lotta:
“abbasso il Direttor!”
La zuppa ormai l’è cotta
E noi cantiamo tutti
Vogliamo detto fatto
La pappa al pomodor!
[Viva la pappa col pomodor,  scritto da Lina Wertmüller su musica di Nino Rota, cantata da Rita Pavone]

Una giovane cucciola che accompagna la sua Umana: “Boh! ma ci capisci qualcosa?”
“Che vuoi, sigh! gli umani riescono sempre a complicarsi la vita”

Per leggere gli articoli di Giovanna Tonioli su Periscopio clicca sul nome dell’autrice

 

Cop29, ha vinto l’arroganza dei più forti

Cop29, ha vinto l’arroganza dei più forti

di Simona Fabiani

Il testo cruciale della conferenza, quello sul nuovo meccanismo finanziario, è stato approvato con una forzatura del protocollo procedurale. Quando è uscita la bozza, il gruppo dei Paesi meno sviluppati e l’alleanza degli Stati insulari avevano abbandonato le stanze dei negoziati. Nella plenaria di sabato notte, la presidenza ha preso la decisione finale senza il consenso delle parti, che sono state fatte intervenire a decisione già presa.

 

Fra i Paesi, l’India che si è detta decisamente contraria, la Bolivia completamente contraria, il gruppo dei Paesi africani ha definito il testo una “schifezza totale”, il Canada ha espresso disappunto. Contrari anche CubaNigeria e altri. Queste posizioni sono state registrate, ma la decisione era già stata presa.

 

La presidenza ha fatto il gioco dei Paesi occidentali, che hanno negato le proprie responsabilità, pretendendo maggiori ambizioni sulla mitigazione da parte dei Paesi del Sud del mondo, senza fornirgli però l’adeguato supporto finanziario per passare rapidamente alle fonti rinnovabili, affrontare gli impatti devastanti della crisi climatica e coprire i costi delle perdite e danni.

 

Il testo prevede che i Paesi ricchi assumano la guida per mobilitare almeno 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035 a favore dell’azione per il clima per i Paesi in via di sviluppo, a fronte di necessità stimate nell’ordine di trilioni di dollari annui, nessuna garanzia di investimenti pubblici a fondo perduto (che non indebitino ulteriormente i Paesi del Sud del mondo), nessun obbligo per i Paesi responsabili della crisi climatica. Le risorse potranno provenire da banche di sviluppo e investitori privati. Il fondo “perdite e danni” è stato escluso dal finanziamento.

 

Un atteggiamento deplorevole da parte dei Paesi più ricchi che – oltre a essere responsabili della crisi climatica – continuano tuttora a espandere le proprie economie fossili. Cina, Singapore e i Paesi del Golfo saranno ancora considerati Paesi in via di sviluppo ma potranno, anche loro, contribuire volontariamente. C’è un invito ad arrivare a 1.300 miliardi di dollari e a triplicare gradualmente i finanziamenti erogati. Ma sono solo auspici, non una decisione vincolante.

 

Il programma di lavoro sulla giusta transizione si è concluso senza un accordo, le consultazioni proseguiranno nel prossimo giugno a Bonn per preparare una bozza di decisione da presentare alla Cop30 che si terrà in Brasile. Un segnale pessimo per il mondo del lavoro e per le comunità che devono affrontare gli effetti della transizione ecologica.

 

Nei testi su mitigazione e global stocktake (GST) non c’è alcun riferimento all’uscita dalle fonti fossili, o meglio al “transitare via” stabilito nella Cop28 di Dubai, per la ferma opposizione dell’Arabia Saudita. È stato approvato l’articolo 6 dell’accordo di Parigi che istituisce un mercato del carbonio a livello globale. L’adattamento risente della mancanza di risorse.

fossile, la finanza privata, le distrazioni basate sui meccanismi di mercato, il modello liberista ed estrattivista che è alla base della crisi planetaria. Il processo di questa Cop, la presidenza e l’atteggiamento dei Paesi del nord globale hanno inferto un colpo esiziale alla fiducia, alla collaborazione e al percorso negoziale.

La Cop ha oggettivamente segnato un fallimento generale delle conferenze sul clima, che non sarà facile superare e invertire con la prossima tappa in Brasile. Ma non possiamo arrenderci né rassegnarci. Per questo serve una reazione forte da parte di tutta la società civile, a partire dal movimento sindacale.
È inaccettabile che non ci siano i soldi per ripagare il debito climatico dovuto al Sud del mondo mentre si spendono trilioni per alimentare guerre, massacri, crimini di guerra e contro l’umanità, come quelli che si continuano a consumare in Palestina. Così come non è accettabile che, a fronte di morte e distruzione climatica, non ci sia ancora sia la consapevolezza dell’urgenza sia una chiara volontà politica di uscire dalle fonti fossili.

Mai come in questa Cop è stata evidente la questione di fondo: lottare contro la crisi climatica significa lottare per cambiare radicalmente un modello di sviluppo insostenibile, per rimuovere le disuguaglianze, sia fra Nord e Sud globale sia all’interno degli stessi Paesi, per contrastare ogni forma di sfruttamento e colonialismo; significa battersi affinché i lavoratori non siano abbandonati nella transizione, e garantire a tutti i popoli il diritto di vivere in pace nelle proprie terre. Non possiamo rassegnarci alla vittoria degli interessi di pochi contro il benessere delle popolazioni e dell’ambiente in cui viviamo. La lotta per il cambiamento passa anche, e soprattutto, dalla giustizia climatica.

Articolo originale pubblicato su Collettiva.it il 25/11/2024

Stelle a New York: Roberta Pazi vince un premio alla carriera

L’ “International Film Festival of Manhattan” è giunto, quest’anno, alla sua 14° edizione, con Luis Pedron sempre alla guida. La nostra Roberta Pazi c’era.

Dei talenti nostrani non si parla mai abbastanza. È ora di smentire il ‘nemo propheta in patria’, ora di valorizzare ciò che abbiamo, di riconoscerne il prestigio.

Il territorio e le sue risorse, umane in primis, sono la ricchezza più importante, ciò che accomuna menti, professioni, esperienze, tradizioni e mondi diversi.

Oggi parliamo della ferrarese Roberta Pazi, che, diplomata in Recitazione, si occupa di teatro e cinema come attrice, regista, produttrice (con DestinationFilm APS) e formatrice dal 1998, oltre ad aver lavorato per pubblicità, audiolibri, medio e cortometraggi.

Parte della Giuria del Caorle Film Festival nel 2022 e 2023 e del Ferrara Film Corto Festival “Ambiente è Musica” nel 2023, ha co-prodotto il cortometraggio Agosto in Pelliccia, di Alessandro Rocca, che ha vinto il Premio come miglior regia a Visioni Italiane del 2022 della Cineteca di Bologna e il cortometraggio Sans Dieu, sempre di Rocca, selezionato alla 39° Settimana Internazionale della Critica della Mostra del Cinema di Venezia nel settembre 2024 e vincitore della menzione speciale a VISIONI ITALIANE 2024 – 30° Concorso nazionale per corto e mediometraggi della Cineteca di Bologna.

Il suo primo corto, La paura di vincere, è stato presentato al Ferrara Film Festival 2024.

Il Premio alla carriera (ma non solo)

Negli ultimi anni, i riconoscimenti a Roberta non sono mancati. L’ultimo, in ordine di tempo, lo scorso mese di ottobre, il Premio alla Carriera (il Lifetime Achievement Award in Acting) all’International Film Festival of Manhattan (IFFM) di New York, assegnatole dal Festival Director Luis Pedron e dal Guest Festival Director Gherald Alaman.

Qui aveva già vinto il premio come Miglior Attrice, nel 2020, con il corto l’Usignolo sul mare di Martina Mele, un film sul ricordo, la giovinezza e i cambiamenti che si attuano nell’individuo al sopraggiungere dell’età adulta.

Dopo due candidature al Lonely Wolf London International Film Festival 2019 e al Feel the Reel International Film Festival 2019, è protagonista di Bentornato Futuro!, di Alessandro Rocca, che vince il premio miglior cortometraggio al Caorle Film Festival 2021.

“L’atmosfera e l’energia del Festival sono incredibili”, ci dice la regista, “sono stata accolta come una regina, il mio volto era ovunque, sui cartelloni, sui badge distribuiti ai partecipanti e anche a Times Square! Come omaggio, il Direttore ha fatto passare la mia immagine ideata per il Festival, per 24 ore durante l’evento… È stata una gioia vedere riconosciuto il mio lavoro. Faccio questo mestiere da quasi 25 anni, in teatro da lungo tempo, e da sette anni ormai anche nel cinema. Sono stata e festeggiata per le mie attività, in un modo che forse l’Italia non sempre conosce. Negli Stati Uniti si prende questo mestiere molto sul serio, viene rispettato e onorato”, conclude.

Il bello del networking

L’IFFM è un momento incredibile di networking, ci spiega Roberta, il cuore e la missione dei festival indipendenti. Ogni festival diventa un’opportunità unica per far conoscere i partecipanti tra loro, incontrare altri attori e attrici, sceneggiatori, produttori e registi provenienti da tutto il mondo, creare contatti e progetti comuni, collaborare, scambiarsi idee e confrontarsi. Insomma, per costruire ponti e abbattere muri e barriere.

Tra queste, la nascita del gemellaggio fra l’IFFM e il Caorle Indipendent Film Festival, con cui Roberta collabora già da qualche anno.

Alla 15° edizione dell’IFFM, iscriverà il cortometraggio La paura di vincere, scritto in collaborazione con Lillo Venezia e da lei diretto, da un progetto del chitarrista, cantautore e scrittore Carlo Zannetti, con Bobby Solo, tra gli attori, prodotto da Video Radio e Video Radio Channel oltre che da DestinationFilm – APS.

Anche se noi contiamo di vederlo prima!

Foto in copertina: Roberta Pazi e Luis Pedron, credits Cheska Durana of Majestik Studios New York

 

Maria Callas da vicino.
All’Abbado un ritratto intimista

Maria Callas da vicino. Al Teatro Abbado un ritratto intimista.

Maria Callas attraverso i suoi trionfi, gli amori e la malattia. La parabola della soprano americana di origine greca è stata messa in scena il 19 novembre 2024 al Teatro Comunale di Ferrara con lo spettacolo “Vissi d’arte. Vissi per Maria”.

Gli spettatori, che a causa del raffreddore stagionale hanno accompagnato la pièce con colpi di tosse palleggiati fra platea e palchi, hanno contribuito a ricordare la caducità di ogni momento, in sintonia con il racconto della biografia dell’artista, ricostruita attraverso i ricordi del maggiordomo Bruno. Ma hanno anche assistito all’esecuzione dal vivo di cinque arie tra le più celebri, mentre la voce della Callas veniva riprodotta in sala attraverso una sofisticata tecnica d’ingegneria acustica. Le arie suonate dall’Ensemble musica civica sono state quelle di Puccini con il proverbiale “Vissi d’arte, vissi d’amore” (da Tosca) e “Un bel dì vedremo” che dà voce a speranze e illusioni di Madama Butterfly, Giordano (“La mamma morta”), Bellini con “Casta diva” (da Norma) che la Callas interpretò più volte e con il quale riscosse il massimo successo di pubblico e di critica, fino a Verdi con “Ave Maria” (da Otello).

Nella drammaturgia originale, scritta da Roberto D’Alessandro nel 2001, il personaggio del maggiordomo era al femminile, mentre a Ferrara è stato interpretato da Giampiero Mancini. Piccole variazioni che la performance di Mancini ha saputo valorizzare, collaborando a perseguire l’ambizione dell’opera: divulgare un ritratto intimo dell’artista.

Il tentativo, infatti, è stato di portare al centro della scena, almeno per una sera, la dolcezza, la fragilità e il dolore di “Madame” (come viene chiamata da Bruno), le luci accecanti della sua gloria e l’oscurità tenebrosa dei suoi drammi e della sua passione, resi simbolicamente nell’originale locandina dedicata alla rappresentazione ferrarese e tutta giocata sui contrasti di bianchi e neri e dalla macchia scarlatta che dal cuore esplode sulle labbra. Un’operazione capace di arricchire e contrastare il pregiudizio diffuso nell’immaginario collettivo: quello di una artista capricciosa e superba.

Locandina di "Vissi d'arte. Vissi per Maria" di E. Ciccone
Locandina di Eugenio Ciccone

“Il concerto del 19 dicembre 1958 all’Opéra di Parigi – ha racconto il maggiordomo durante la pièce – è stato uno dei più grandi di tutti i tempi. Per seguire la messa in scena della Norma erano collegate le radio di ogni parte del globo e in prima fila, uno di fianco all’altro, erano seduti: Charlie Chaplin e Brigitte Bardot, Emile de Rothschild e Juliette Gréco, Françoise Sagan e i duchi di Windsor. Ma anche Jean Cocteau, gli ambasciatori di Stati Uniti e Russia e il comandante della Nato. Insieme a loro, infine, c’era Aristotele Onassis”.

E proprio Onassis è stato il grande amore (tormentato) della Callas e alla loro relazione “Vissi d’arte. Vissi per Maria” ha dedicato ampio spazio. L’armatore greco che per corteggiarla fece arrivare “un piccolo pulmino di rose, poi un altro e infine un terzo ancora più grande”. Che nonostante tutto “non amava l’opera e sarà venuto ad ascoltarla solo due o tre volte”. E che, impietosamente, il maggiordomo ha descritto così: “Tarchiato, capelli neri, colorito olivastro, aveva in tutto e per tutto il fisico e l’aspetto di un contadino greco, e diciamolo francamente… brutto”. Onassis dedicò anima e corpo a conquistarla. E ci riuscì. Ma qualche anno dopo la lasciò per iniziare la relazione con Jacqueline Kennedy.

Nell’ultima parte ci si è addentrati a narrare la fase della malattia che colpì la soprano. Era il 5 novembre del 1959 quando Maria Callas si esibì a Dallas e in pochi se ne accorsero ma non riuscì a prendere un mi bemolle sovracuto. “Bruno, ricordati di questo giorno – disse Madame subito dopo, sconvolta nel camerino, piantandogli le unghie nella carne del braccio – perché è l’inizio della fine”. Si trattava di dermatomiosite, ovvero di una patologia che porta al cedimento di tutti muscoli, compresi quelli della laringe. Un colpo troppo duro per una perfezionista. Il fedele Bruno ha raccontato un aneddoto anche a questo riguardo. “La signora mi diceva che per i compagni del conservatorio era una ossessionata, e che cominciarono ad avversarla in ogni modo, ma Madame sosteneva che per raggiungere la perfezione non si può avere fretta. Servono lavoro, metodo e rigore”.

A 101 anni dalla nascita di Maria Callas, lo spettacolo andato in scena all’Abbado di Ferrara con Dino De Palma al violino, Luciano Tarantino al violoncello e Donato Della Vista al pianoforte ha rappresentato un efficace tentativo di rivelare gli aspetti più umani di una super star del ventesimo secolo, contribuendo a far posare sul suo splendore un nuovo sguardo. Un’anteprima efficace per la stagione di Opera&Danza 2024/2025 del Teatro Comunale ferrarese.

In copertina: Maria Callas as Violette in La Traviata (Credit: Houston Rogers © Victoria and Albert Museum)

Parole e figure /
“La piccola violinista” e il potere della musica

Dal genio di Jon Fosse, premio Nobel per la letteratura 2023, un albo di incantevole forza poetica, una fiaba moderna sul potere inconsapevole e sconfinato dei bambini, sulla forza dell’immaginazione e della musica: “La piccola violinista”, edito da Iperborea, in libreria dal 9 ottobre.

Lo scrittore e drammaturgo norvegese Jon Fosse, premio Nobel per la letteratura 2023, classe 1959, ama scrivere di ciò che non conosce e ha un modo suo di concepire la scrittura: mettersi all’ascolto e registrare la voce che affiora nel silenzio. Trascrivere, quasi pregare. La scrittura è, per lui, ‘una luce dentro le tenebre’.

Da bambino è cresciuto in una fattoria, è stato un pittore e un chitarrista rock, ha sofferto di una certa malinconia e ha usato l’alcol come medicina. Ad un certo punto della sua vita si è avvicinato ai quaccheri e ha poi compiuto un lungo percorso spirituale nel cattolicesimo. Una vita ricca e, a tratti, tempestosa. Come quelle che un artista sa avere.

Mettersi all’ascolto è un ottimo e meraviglioso esercizio. Soprattutto se lo si fa in silenzio.

In La piccola violinista, appena uscito con Iperborea, l’ascolto è principe e principio. La storia di una bambina che suona il violino, e quando, nella sua cameretta, si mette le mani davanti agli occhi riesce a vedere quel che vuole, guardandovi attraverso.

Come mi piacerebbe avere questo superpotere! Che magia sarebbe capire e sapere, per tempo, magari per soccorrere o evitare tragedie e dolori.

Un giorno la piccola si porta le mani davanti agli occhi e vede suo padre solo e triste su uno scoglio sperduto in riva al mare, accanto a una barca capovolta; capisce subito che ha bisogno del suo aiuto. Così la piccola si mette in viaggio per raggiungerlo, guardando verso nord, sud, est e ovest e camminando veloce, ma si trova davanti una montagna invalicabile. Rupi, crepacci e strapiombi sono gli ostacoli. Ovunque, apparentemente insormontabili. Allora suona il suo violino e la roccia si apre, lasciandola passare.

La bambina riprende il cammino trovandosi intrappolata nei fanghi di una palude. Di nuovo suona il violino e il suolo si indurisce, permettendole di proseguire.

Così arriva al mare, ma deve attraversarlo per raggiungere il padre. Suona ancora il violino e le onde si alzano, aprendole un passaggio. Magia e incanto.

Finalmente trova il padre, che la abbraccia felice e incredulo, e superando ogni altro ostacolo, grazie alla sua musica lo riporta a casa.

La piccola violinista racconta la storia magica di una bambina che aiuta un genitore in difficoltà con la sua capacità di vedere e di creare, con la forza dell’amore e dell’arte.

Una parabola semplice ma densa di significati sui poteri spontanei, inafferrabili e salvifici dell’infanzia. Meraviglioso. E per tutti.

Jon Fosse e Øyvind Torseter (illustrazioni), La piccola violinista, Iperborea, Collana I Miniborei, Milano, 2024, 32 p.

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Jon Fosse

Jon Fosse, foto Agnete-Brun

Autore di narrativa, teatro, poesia e saggistica, è considerato una delle voci letterarie più influenti del nostro tempo, tradotto in più di cinquanta lingue e rappresentato sui palcoscenici di tutto il mondo. Attualmente vive nella residenza onoraria di Grotten, un parco a Oslo, concessagli dal re per i suoi meriti letterari. Tra i numerosi riconoscimenti ottenuti, culminati nel Nobel nel 2023, figurano anche quelli per i suoi libri per bambini, come il Deutscher Jugendliteraturpreis.

Øyvind Torseter

Oyvind Torseter, foto Kitty Crowther

Nato il 2 ottobre 1972, è cresciuto tra i fiordi come artista, illustratore, fumettista e scrittore. Le immagini nei suoi libri possono seguire il testo, ma anche giocare e sperimentare con disegni liberi che contengono dettagli e storie, capaci di discostarsi dal testo per esplorarlo. Nel 2008 ha vinto il Bologna Ragazzi Award.

Sciopero generale 29 novembre, le ragioni

Sciopero generale 29 novembre, le ragioni

“Il governo ci infliggerà sette anni di austerità”, inizia così il testo che lancia lo sciopero generale del 29 novembre (proclamato da CGIL e UIL). Nello specifico, andando sul concreto, ciò che si rischia è la perdita del potere d’acquisto di lavoratori e pensionati causata da un’inflazione da profitti; la crescita della precarietà, del lavoro nero e sommerso; un ulteriore indebolimento del welfare pubblico, tagli a sanità, istruzione, trasporto pubblico, enti locali. E poi nessuna risposta all’emergenza abitativa, nessun incremento delle risorse destinate a disabilità e non autosufficienza.

Quindi c’è il nodo dei contratti nazionali. I rinnovi nel pubblico impiego coprono appena un terzo dell’inflazione, fanno notare i sindacati. Il taglio del cuneo fiscale – con perdite per molti lavoratori – in realtà viene pagato dagli stessi con il maggiore gettito Irpef. Una ferma critica va poi alle politiche fiscali. Queste riducono la progressività, attraverso condoni e concordati favoriscono gli evasori. Non viene neanche ipotizzato qualsiasi intervento sugli extraprofitti.

Colpita ancora la previdenza

In tema di pensioni, si evidenza perfino un peggioramento della legge Monti-Fornero che si applicherà al 99,9% dei lavoratori. La rivalutazione degli assegni previdenziali è largamente insufficiente, con la beffa di un aumento di soli tre euro al mese per le minime. Il governo, inoltre, dimostra la totale assenza di una politica industriale degna di questo nome: tra ritardi nel Pnrr e nessuna strategia per il Sud, fino all’attacco alla libertà di dissenso contenuto del ddl sicurezza. E qui arriviamo alla proposta.

Il sindacato va allo sciopero rivendicando obiettivi precisi. “Bisogna andare a prendere i soldi dove sono”: extraprofitti, profitti, rendite, grandi ricchezze, evasione fiscale e contributiva. È sempre più urgente prevedere un finanziamento straordinario per sanità, servizi sociali ed educativi pubblici, non autosufficienza, istruzione, ricerca. Urge una misura universale a contrasto della povertà, compresa la povertà educativa.

Sul contratti bisogna fare molto, molto di più. Cioè rinnovare subito tutti i ccnl pubblici e privati “per aumentare il potere d’acquisto, con detassazione degli aumenti”. Serve una piena rivalutazione delle pensioni, occorre rafforzare ed estendere la quattordicesima. In generale, è necessaria una riforma del sistema previdenziale che superi la già citata Monti-Fornero.

Una vera politica industriale

Le sigle chiedono poi di adottare una seria politica industriale. Nella manifattura e nei servizi sono urgenti investimenti che sappiano difendere l’occupazione – anche col blocco dei licenziamenti -, insieme alla creazione di nuovo lavoro per costruire un modello di sviluppo sostenibile. Fondamentale, infine, la tutela di salute e sicurezza e il contrasto alla precarietà, cambiando le leggi sul lavoro. Senza mezzi termini: il ddl sicurezza va ritirato, bisogna tornare a rispettare la Costituzione.

Per tutti questi motivi l’Italia scende in piazza. Lo sciopero generale del 29 sarà una giornata di manifestazioni territoriali in tutte le regioni, da Nord a Sud, nessuna esclusa. Moltissime città della penisola organizzano cortei, presidi, iniziative di protesta.

 

Articolo originale pubblicato su Collettiva.it il 21/11/2024

No partita IVA per le attività associative
Appello del Forum del Terzo Settore

No partita Iva per le attività associative. Appello del Forum Terzo settore

Riceviamo e pubblichiamo l’appello del Forum Nazionale del Terzo Settore
Il nuovo regime Iva per il Terzo settore che, in assenza di interventi normativi entrerà in vigore dal 1 gennaio 2025, rischia di causare la riduzione, se non addirittura la cancellazione, di numerose attività e servizi alla cittadinanza, senza peraltro apportare nuove entrate per le casse dello Stato.

Pur non dovendo pagare l’imposta, infatti, gli ETS non commerciali saranno costretti a dotarsi di partita Iva e ad assolvere così una lunga serie di adempimenti burocratici e amministrativi, particolarmente gravosi e difficilmente sostenibili soprattutto per le realtà sociali più piccole, che rappresentano la gran parte del Terzo settore nel nostro Paese.

Per questo motivo il Forum Terzo Settore, in vista della discussione della nuova Legge di Bilancio, lancia l’appello a Governo e Istituzioni: È valore sociale, non vendita. No alla partita Iva per le attività associative del Terzo settore.

La richiesta è “che si trovi una soluzione definitiva a un problema, nato dall’apertura di una procedura d’infrazione europea nei confronti dell’Italia, che si trascina e che denunciamo da anni. Ma, stando a quanto si legge finora, la bozza della Manovra 2025 non contiene nulla a riguardo”, dichiara Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore.

“Nelle scorse settimane abbiamo presentato una nostra proposta al viceministro all’Economia Maurizio Leo, che mantiene per il Terzo settore il regime di esclusione Iva e offre una risposta adeguata alle questioni aperte. In attesa di ricevere riscontro dal Governo, sale la preoccupazione tra gli Enti di Terzo Settore”.

“Temiamo che a livello politico non sia stata compresa l’importanza di questo tema per la sostenibilità del Terzo settore, dunque anche per la coesione dei territori, la partecipazione delle persone e lo sviluppo delle comunità. Ecco perché nei prossimi giorni intensificheremo il lavoro di informazione e denuncia su questo fronte, augurandoci di trovare questa volta una concreta volontà da parte delle istituzioni di giungere a una effettiva risoluzione, che tuteli il Terzo settore e la libera associazione dei cittadini” conclude Pallucchi.

L’Appello del Forum del Terzo Settore

È valore sociale, non vendita
No alla partita Iva per le attività associative del Terzo settore

Dal 1° gennaio 2025 le attività associative del Terzo settore saranno soggette ad Iva. Le previsioni formulate dal Governo obbligheranno infatti gli enti a un forte e costoso aggravio burocratico tra cui, di fatto, il registratore di cassa.

Abbiamo proposto al Governo una soluzione affinché l’entrata in vigore della norma non valga ad alcune condizioni.

L’aggravio riguarderà peraltro anche i conti pubblici, perché lo Stato rischia di dover rimborsare l’eventuale Iva non recuperata dalle associazioni al momento delle erogazioni delle prestazioni mutuali, ovvero quelle rivolte ai propri soci.

Le associazioni del Terzo settore in Italia aggregano milioni di persone che organizzano nelle città e nei territori risposte ai bisogni delle comunità, alle fragilità, alle disuguaglianze. Generano relazioni e costruiscono prossimità sotto forma di spazi aperti, cultura, socialità. Sono espressione della libertà dei cittadini di associarsi per il benessere del Paese. Una libertà sancita anche dalla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea e riconosciuta dalla Costituzione italiana.

L’Iva sulle attività mutuali sarà quindi un colpo alla stessa libertà di associazione. Le associazioni sostengono le proprie attività sociali con l’autofinanziamento e la condivisione delle spese: equiparare tutto ciò alla vendita è falso ed offensivo perché lede l’effettivo esercizio della libera partecipazione delle persone, specie dei meno abbienti, ed equipara la solidarietà al commercio.

Associarsi e condividere le spese che si sostengono per i propri soci non è vendere.

Non chiediamo al Governo di opporsi alla procedura d’infrazione europea che ha imposto questo passaggio, ma, così come avviene ora, il riconoscimento di esclusione dall’Iva per l’associazionismo del Terzo settore per quelle attività senza diretta corrispondenza tra contributi versati dai soci e costi effettivi sostenuti. Esclusione che, va ricordato, è già prevista per altri soggetti, peraltro senza alcuna condizione particolare circa l’equilibrio tra spesa ed incasso.

Il Terzo settore e l’associazionismo contribuiscono allo sviluppo e alla coesione sociale del Paese.
Per questa ragione la Corte costituzionale, valorizzando il portato della legge di riforma, ne ha riconosciuto il ruolo nella realizzazione di attività di interesse generale a favore delle persone e delle comunità.

LA VIOLENZA CONTRO LA TERRA MADRE È VIOLENZA CONTRO TUTTƏ NOI

LA VIOLENZA CONTRO LA TERRA MADRE È VIOLENZA CONTRO TUTTƏ NOI

NUDM- Mugello

La violenza maschile sulle donne, che tutti I giorni genera lutti familiari e produce figlə abbandonatə e solə, è un male sociale che va sradicato con forza e decisione dalla nostra società.
Da sempre lottiamo e abbiamo lottato contro la violenza perpetrata sui nostri corpi, sulle nostre menti, sui nostri affetti, sulle nostre vite, per fermarla e cambiare il paradigma sociale che ci vuole “incapaci di autodeterminarci” e di scegliere come, dove e con chi vogliamo vivere, sottomessə al  pensiero patriarcale maschilista, che nella nostra civiltà industriale è ben rappresentato dall’economia capitalista che piega e sfrutta le persone, la natura, la Terra tutta al proprio interesse: il profitto.

Noi donne che viviamo in Mugello stiamo vedendo qualcosa di molto simile alle lotte dei popoli nativi del Sud del mondo (Africa e America del Sud) avvenire anche nel nostro territorio: imprese capitalistiche di produzione energetica, con il fine di arricchirsi tramite una speculazione finanziaria generata dai ricchi incentivi per la produzione di energia dal vento e dal sole si appropriano di aree sempre maggiori di territorio, che da aree naturali di montagna vengono trasformate dagli stessi governi locali e nazionali in aree industriali.

Sbancamenti per impianto eolico industriale nell’Alto Mugello

Stiamo assistendo alla devastazione di sempre più numerose e ampie zone di montagna appenninica che vengono devastate dagli interventi di disboscamento di aree forestali centenarie, di sbancamento dei versanti montuosi per la realizzazione di strade e grandi aree pianeggianti, cementificazione fino a più di 30 m di profondità della montagna, distruggendone la flora e la fauna che vi abitano, per innalzare torri eoliche di 180-200 m e di più.
La violenza che viene usata sulla nostra terra, nostra perché l’abitiamo e la viviamo, la curiamo e l’amiamo per le sue bellezze e anche per le sue asperità, è un’azione che ci colpisce direttamente perché ci è imposta e calata dall’alto senza che ci sia stata alcuna interlocuzione con chi ci vive e ci lavora.
Noi mugellanə ci opponiamo fermamente all’asservimento e alla violenza sui nostri corpi dallo sfruttamento patriarcale e capitalista così come ci opponiamo alla violenza e allo sfruttamento della speculazione finanziaria capitalistica della Terra in cui viviamo e ci appelliamo a tutte le forze realmente democratiche e ambientaliste, ad unirsi alla nostra lotta per difendere il diritto a proteggere il territorio in cui viviamo, in cui vivono e crescono, le nostre figlie e i nostri figli, il diritto a scegliere come produrre, in alternativa ai combustibili fossili, l’energia che ci serve a vivere in modo consapevole e senza sprechi.
Si tratta di un importante momento di partecipazione sociale e di presa di coscienza di noi donnə, in quanto siamo anche il primo obiettivo della pubblicità consumistica, che ci vuole prime protagoniste, in modo subdolo, e prime vittime, in modo violento, della logica capitalistica dei consumi ad ogni costo, della ricerca della felicità nelle cose e nei falsi bisogni;   Per contrastare queste tendenze sociali negative dobbiamo riappropriarci, insieme, della nostra capacità di autodeterminazione, di scelta consapevole e condivisa per   avviare la trasformazione verso la sostenibilità ambientale della nostra società.

In questi giorni a Baku, in Azerbaijan, sta andando in onda la riunione planetaria COP 29 e i Paesi ricchi e quelli poveri del mondo stanno cercando di trovare un accordo, che non può essere altro che un compromesso, sulle azioni da mettere in atto per contenere il rialzo della temperatura del pianeta  e su quanti miliardi i primi debbano erogare ai secondi, che sono i maggiormente colpiti e devastati dagli effetti dei cambiamenti climatici e che contano il numero maggiore di vittime e di danni causati dagli eventi climatici estremi.

A precedere di poche ore, andava in onda a Rio de Janeiro, in Brasile,  il summit dei G20 (il forum dei leader, Ministri delle finanze e Governatori delle banche centrali dei 20 Paesi più industrializzati al mondo) durante il quale i popoli nativi del Brasile hanno contestato aspramente i governi dei Paesi più industrializzati presenti al meeting in quanto accusati di non fare abbastanza per fermare le devastazioni causate dai cambiamenti climatici e di continuare ad opporre ad una transizione giusta, che dovrebbe avere come principale obiettivo l’equa ripartizione delle ricchezze, il taglio dei combustibili fossili, una reale  rinuncia allo sfruttamento delle risorse naturali e alla devastante politica estrattivista.

I popoli indigeni dell’Africa e dell’America del Sud sono continuamente minacciati dal Capitale straniero che da secoli ormai si appropria con violenza di interi e vasti territori dei loro Paesi per sottrarre le preziose risorse minerarie utili ai diversi processi industriali per la produzione di ricchezze, principalmente per la produzione di energia, che non saranno certo distribuite alla loro popolazione ma accentrate nei Paesi capitalistici e ricchi del Nord del Mondo. Ai nativi rimangono solo la povertà e i veleni liberati nell’ambiente senza alcuna azione di prevenzione e di protezione.

E così rischia di succedere anche nei nostri territori, ci troviamo crinali violentati, depauperati, per rispondere alle esigenze speculative delle false energie green che con l’eolico industriale, vogliono distruggere i nostri territori, e contro questa violenza, ci opponiamo e continueremo ad opporci in tutti i modi a noi possibili!

25 Novembre 2024
Non Una di Meno – Mugello

Periscopio ha dedicato vari articoli e servizi sull’aggressione dell’eolico industriale nell’Appennino Mugellese e sulla lotta popolare per contrastarlo [vedi Qui]

Femminicidi, immigrati, un ministro infelice e un muratore marocchino incontrato in stazione

Femminicidi, immigrati, un ministro infelice e un muratore marocchino incontrato in stazione

 

Ha fatto molto discutere la frase infelice del ministro Valditara (in occasione dell’anniversario dell’omicidio di un anno fa di Giulia Cecchettin) secondo cui ad ammazzare le donne sono soprattutto gli immigrati. In realtà, come spiega l’Istat nel 2022 (ultimo dato disponibile) nel 93,9% dei casi ad uccidere una donna italiana è un uomo italiano (quasi sempre marito, amante, fidanzato o ex.) e poiché gli stranieri sono il 10% della popolazione, ciò significa che la tendenza a “menare” o uccidere sta in capo più agli italiani che agli stranieri.
Stessa cosa vale per tutti gli omicidi: sempre Istat rileva che in Italia nel 2022 il 92,7% degli italiani è stato ucciso da italiani.

Emanuela Valente, in un libro di prossima pubblicazione, racconta la storia delle donne uccise, i cui dati raccoglie puntualmente nel sito web che ha fondato (inquantodonna.it) e da cui si desume la provenienza di chi ammazza. Ebbene: la grande maggioranza di quei pochi stranieri che uccidono una donna non sono affatto stranieri illegali o clandestini, ma stranieri regolari residenti in Italia anche da molti anni e con un lavoro, tra cui ingegneri, docenti universitari, un militare Usa, un manager, un prete…

Per fortuna i femminicidi sono in calo (al di là della percezione che siano in aumento), come del resto tutti gli omicidi: dal 2004 ad oggi si sono più che dimezzati e sono meno del 20% rispetto a quanti erano nel 1990. Erano 325 nel 2022; nel 2023 sono cresciuti di 5 unità, ma la tendenza di lungo periodo è al calo.

Dei 106 femminicidi di cui si conoscono gli autori, 61 donne sono uccise nell’ambito della coppia, 43 da altro parente, 1 da un conoscente per motivi passionali, 1 da sconosciuto. La realtà ci dice che le donne devono temere non tanto gli sconosciuti, quanto chi conoscono bene nell’ambito della coppia o della cerchia famigliare (fonte Istat, report del 23 novembre 2023).

Femminicidi, immigrati, un ministro infelice e un muratore marocchino incontrato in stazione
Migranti alla stazione di Budapest, novembre 2024. Photo by Matt Cardy/Getty Images

A proposito di immigrati e di luoghi comuni. Qualche giorno fa, in una stazione ferroviaria, ho familiarizzato con un immigrato dal Marocco di 34 anni, arrabbiato col suo padrone macedone che lo insulta ogni giorno per futili motivi.

Mi ha raccontato che aveva deciso di abbandonare quel lavoro che pure gli dava temporaneamente da vivere. Aveva un contratto mensile da 1.600 euro lavorando però sia il sabato che i giorni di pioggia (in edilizia non si potrebbe), per cui (insieme abbiamo fatto i conti) sarebbero circa 7 euro all’ora (ecco perché servirebbe il salario minimo a 9 euro all’ora).

E’ un immigrato legale venuto in Italia 25 anni fa dal Marocco con il padre. Oggi ha una casa e un reddito che gli permetterebbe di far venire in Italia la moglie e il figlio. Ha avuto numerosi controlli da parte di varie Organizzazioni italiane sul suo reddito e la casa, e in seguito ha potuto fare finalmente due anni fa domanda di ricongiungimento famigliare.

Purtroppo però il nostro consolato italiano a Casablanca è chiuso da un anno, per cui non riesce ad ottenere l’autorizzazione per i suoi famigliari. E’ stato poi truffato da un nostro connazionale di un altro consolato italiano in Marocco, a cui ha dato 1.500 euro per avere per “via breve” questo documento che consentiva il ricongiungimento famigliare. Ha poi scoperto che era falso. Ora è in attesa che riapra il consolato di Casablanca.

Mi dice che ha lavorato per molti padroni ma mentre gli italiani lo hanno sempre trattato bene, non così succede con i padroni immigrati (come con questo macedone), i quali sono i primi a sfruttare gli altri immigrati.

In poche parole ha dipinto la situazione tipica dell’Italia, cioè di un paese che avrebbe bisogno come il pane di avere immigrati legali (che portano entrate per lo Stato, e danno la possibilità a molte imprese di operare in mancanza di personale italiano) e che invece non riesce a trovare modi efficaci per sveltire le pratiche burocratiche, né ha la capacità di controllare gli abusi che spesso i datori di lavoro immigrati commettono ai danni degli altri immigrati.

 

 

 

I lavoratori GKN verso lo sciopero generale

I lavoratori GKN verso lo sciopero generale

E non c’è resa non c’è rassegnazione: solidarietà alle lavoratrici e lavoratori Beko (ex Whirlpool)

1. La guerra è già qui, la crisi climatica anche, la crisi economica – per noi – non se n’è mai andata. Per noi stessi, i nostri diritti, il lavoro e per il futuro che verrà, avanti fino a che ce ne sarà.

2. La Beko (ex Whirlpool) dichiara 1900 esuberi. Cade ogni illusione che con la vicenda della Whirlpool di Napoli, la questione fosse chiusa. Lo stabilimento di Siena sarà chiuso entro fine del 2025. E poi? E poi, dicono, ci sarà la “reindustrializzazione”. Quale reindustrializzazione? Per fare cosa? Con quale intervento pubblico? La verità è che l’unica politica industriale che questo Stato e questo Governo sanno e vogliono fare è l’accompagnamento a fine vita dell’industria, con fondi pubblici e tavoli vuoti.

3. La crisi è nella moda, nell’ Automotive, nella meccanica. Non è in atto una “deindustrializzazione” ma la reindustrializzazione del lerciume: sostituire contratti in essere con contratti sempre più lerci e produrre sempre di più per l’industria bellica.

4. Cade. Cade ogni illusione che le cose si stiano sistemando, che la crisi produca ripensamenti di chi sta in alto, che qualcuno al posto nostro mai risolverà nulla.

5. Lo sciopero generale del 29 novembre deve avere la forza di fermare il paese. Ma per avere la forza di fermarlo, devi avere l’autorevolezza di cambiarlo. E se fuori dalla lotta non c’è salvezza, fuori dalla convergenza non c’è progetto.

6. Per questo, che lo sciopero generale sia generalizzato. Tutte/i dentro al 29 novembre: per la giustizia sociale e climatica, per fermare la guerra, per fermare il genocidio, per il pane e per le rose.

7. Le modalità con cui si prova ad attaccare la vertenza ex Gkn sono di fronte agli occhi di tutte/i. Lunedì 25 sera assemblea della rete solidale. 29 novembre sciopero generale, rimettersi a testuggine a protezione dell’assemblea permanente.

8. Noi qua non possiamo permetterci di perdere. “Loro” non possono permettersi una nostra vittoria.
Non puoi sconfiggere il buio da solo. Intanto però, puoi accendere una luce. #insorgiamo

Collettivo di fabbrica – Lavoratori  GKN Firenze [vedi Qui]

Periscopio ha seguito passo passo la lotta dei lavoratori della ex Gkn. Per leggere tutti gli articoli  clicca Qui

Per certi versi /
Novembre. una sera

Novembre. una sera

Novembre
una sera
Il silenzio
Rimbomba
stonato
Al vecchio cimitero
Di guerra
a galla
nella fumana
il muro
Le croci
Bianche
Camicie
Vuote
I cani mordono
quel
silenzio
Come un presagio
Di futuro
Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

L’Europa e gli armamenti: il finto erbivoro tra i carnivori

L’Europa e gli armamenti: il finto erbivoro tra i carnivori

Il Financial Times ha scritto che chi governa l’Unione Europea vorrebbe usare i miliardi del fondo di coesione (379 miliardi dei quali sono stati spesi solo una ventina) a favore del riarmo. Non proprio in armi vere e proprie, il che sarebbe inaudito, ma in infrastrutture e logistica utili alla difesa militare (porti, ponti, strade, ferrovie,…). Se così fosse sarebbe un argomento ulteriore, se già non ce ne fossero molti, per favorire l’ascesa delle destre che vogliono ribaltare l’attuale maggioranza popolare-socialista-verdi che governa (male), in quanto è nota la contrarietà della grande maggioranza degli europei ad un riarmo.

Non ci sono conferme ufficiali ma non è escluso che possa andare davvero così, visto l’aria bellicista che tira, così come si coglie anche dalla proposta di Draghi (e da molti “esperti”, tra cui un editoriale dell’economista Giavazzi -già consigliere di Draghi- sul Corriere della Sera del 15 novembre), in cui consiglia di dire a Trump (per ammorbidirlo sui dazi) che l’Europa sarebbe disposta a diventare “adulta” e ad armarsi arrivando non proprio al 3,5% delle spese militari sul PIL, come negli Stati Uniti, ma almeno al 2%, come richiesto dalla Nato. La narrazione è sempre quella: Putin vuole invadere l’Europa. Una cosa del tutto improbabile. Per l’Italia arrivare al 2% significa aggiungere agli attuali 33 miliardi altri 16 e arrivare a 50, 2/3 dell’intero budget di scuola e università. Per ora lo impedisce il Patto di Stabilità europeo, ma Draghi e Giavazzi chiedono che l’Italia sia autorizzata a spendere in deficit solo per le armi.

(Walter Veltroni, che scrive qualche editoriale sul Corriere della Sera, nei giorni passati ha lanciato l’idea per l’Italia di un nuovo New Deal, il programma di opere pubbliche lanciato da Roosevelt nel 1933, ma non ha specificato in quali settori, né ha spiegato come potrebbe essere finanziato. Non sarà mica d’accordo anche lui per un New Deal sulle armi?)

Dal 20 gennaio prossimo conosceremo le mosse effettive di Trump, il quale ha sempre detto che vuole chiudere la guerra in 24 ore. Pare certa, dopo la vittoria di Trump, la rinuncia degli americani a supportare ancora l’Ucraina in una vittoria contro la Russia che, peraltro, appare impossibile. Lo stesso Zelenskyj, che capisce che l’aria è cambiata, annuncia che il 2025 sarà l’anno della pace. Il cessate il fuoco (o la pace) è certamente meglio del proseguimento di una guerra atroce di trincee (come nella prima guerra mondiale) che distruggerebbe non solo l’Ucraina – che peraltro conta ormai 80mila disertori – ma tutta l’Europa (oltre alla Russia). Le motivazioni del sostegno all’Ucraina sarebbero che la Russia vuole invadere tutta l’Europa: la qual cosa non solo non è nelle intenzioni di Mosca ma pare del tutto demenziale, se si pensa che la Russia in oltre due anni non è riuscita a conquistare l’Ucraina.

 

L’Europa suicidatasi con due guerre mondiali fratricide si è declassata al rango di potenza di seconda fila…ormai subalterna a nuovi più giovani soggetti” scrive Luciano Canfora nella Grande guerra del Peloponneso (ed Laterza, euro 20): un po’ come Atene e Sparta che, facendosi la guerra per 50 anni, hanno aperto al dominio della Persia su entrambe. Il futuro dell’Europa dovrebbe essere quello di tornare alle sue origini di “polo” mondiale basato sulla cultura, arte, diritti, welfare, stile di vita, né americano né cinese. Un rango che può ottenere non certo col riarmo, ma sviluppando una sua indipendenza e autonomia, dialogando con tutti e imparando piuttosto dalla neutrale Svizzera che ha una spesa militare irrisoria e che non cresce negli anni. Peraltro, la spesa militare dell’Europa è imponente (quasi come la Cina, il triplo della Russia) con i suoi 315 miliardi di euro, che rappresentano il 13% del budget mondiale. Gli Stati Uniti hanno la spesa maggiore (900 miliardi), seguiti da Cina (345), Europa (315), Russia (126), India (83), Arabia Saudita (74), Gran Bretagna (69), Ucraina (62), Germania (61), Francia (57). I paesi occidentali (Nato) spendono il 66% (2/3) di tutta la spesa militare mondiale, mentre i Brics il 28%. I principali 36 paesi al mondo spendono il 94% del totale. L’Italia con 33 miliardi è al 12° posto al mondo: non proprio “noccioline”.

Spesa militare nei primi 36 paesi (94% del totale mondiale, pari a 2.400 miliardi) nel 2000 e 2023, milioni di dollari a prezzi costanti 2022
(fonte Annuario Sipri, 2024)

A mio avviso il futuro dell’Europa non sta nel diventare una super potenza militare, ma semmai un “polo” mondiale di pace e cooperazione come ha dimostrato negli ultimi 75 anni, dopo il periodo coloniale, soprattutto nel momento in cui venisse a cessare la disponibilità a seguire pedissequamente la pretesa degli Stati Uniti di spingere l’Europa ad allargarsi ad est, sapendo che ciò costituisce una provocazione per Mosca. L’Europa potrebbe cooperare coi paesi confinanti della Russia senza per questo doverli annettere all’Europa o alla Nato, fino a cooperare con la stessa Russia.

I fondi di coesione 2021-27 sono nati per ridurre le disuguaglianze territoriali e sarebbe inaudito usarli per un riarmo. La metafora zoologica di Macron di una Europa erbivora circondata da carnivori, oltre che essere falsa è penosa. L’Europa spende, seppure in modo frantumato (e acquistando dagli Stati Uniti per il 50% i sistemi d’arma) il triplo della Russia e ha un partner pronto a intervenire in suo aiuto come nella 2^ guerra mondiale, e che spende 7 volte più della Russia. Ci vuole un bel coraggio a definirsi erbivori.

 

Presto di mattina /
La Terra del tramonto

Presto di mattina. La Terra del tramonto

«C’è nell’uomo un “uomo nascosto all’uomo”»

La terra del tramonto è un saggio di Ernesto Balducci sulla transizione umana, non solo ecologica, ma planetaria, nel quale si sostiene che, arrivati ad una soglia di complessità e coscienza, è dato all’uomo passare oltre se stesso: oltrepassarsi. Il tutto non senza crisi di crescenza, criticità, involuzioni ma anche possibilità di attingere a risorse nuove e abitare orizzonti nuovi.

Una fine dunque che nasconde un inizio ed un arrivo come rimbalzo per una ripartenza (startup): in ogni tramonto è celata l’aurora. Anche simbolicamente, del resto, ogni tramonto è un punto di arrivo provvisorio; è figura della terra “edita”, conosciuta, ma in essa si nasconde una terra inedita, dal volto sconosciuto.

Novus mundus disse Amerigo Vespucci nel 1503 approdando nelle Americhe; “cambiamento d’epoca” ha indicato il tempo presente papa Francesco.

Lo stesso accade per l’umanità e la sua storia così come per ciascuno di noi. Siamo doppi in noi stessi, ricorda Balducci, che ricorre al linguaggio di Ernst Bloch nel suo libro Il Principio speranza, per dire questa identità in divenire del flusso di coscienza umano.

L’uomo edito (homo editus) del già e l’uomo inedito (homo ineditus o absconditus) del non ancora. In questa frattura instauratrice della terra, al tramonto dell’homo editus proteso oltre se stesso, proiettato verso l’ignoto, sta ciò che è costitutivo dell’uomo e della sua storia e tiene insieme le due identità, l’acquisita e quella in divenire. Questo principio costitutivo è la speranza.

«L’uomo inedito non coincide con l’uomo edito e tende a trascenderlo proiettando oltre di esso possibilità che non passano all’atto perché non esiste ancora una terra su cui esse possano poggiare i piedi e cioè non è ancora arrivato al punto giusto il sistema globale delle reciprocità. L’uomo edito è il punto d’approdo momentaneo del flusso coscienziale che arriva da lontano attraverso le metamorfosi della specie e che nel cristallizzarsi in una determinata identità culturale non esaurisce la tensione creativa che lo ha generato» (La terra del tramonto. Saggio sulla transizione, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole [FI] 1982, 50).

Tramonto nomade

Per Giuseppe Ungaretti la terra del tramonto è quella del «nomade d’amore». Il tramonto, il volto del cielo che s’incarna nella terra, risveglia inedite oasi di quiete dopo tappe e arsure di deserto.

Si tratta tuttavia di un approdo e riposo provvisorio, perché il verbo usato è risvegliare, associato moralmente all’alba, e il tramonto diviene così un attimo fuggente, punto di arrivo e di ripartenza, transizione non priva di straniamento, uno scarto e nondimeno frattura instauratrice in cui l’uomo edito trapassa nel suo inedito.

Sempre in balia del viaggio, all’uomo sempre in ricerca delle sue segrete risorse è concesso il tramonto.

Tramonto è un testo brevissimo scritto da Ungaretti a Versa frazione del comune di Romans d’Isonzo il 20 maggio 2016.

Il carnato del cielo
sveglia oasi
al nomade d’amore
(Vita d’uomo. Tutte le poesie,.28).

Ricorda ancora Balducci che il linguaggio dell’uomo inedito è quello simbolico, ovvero il linguaggio capace di tenere unite e mettere insieme realtà diverse. Così poesia e profezia sono le voci attraverso cui è udibile e comunica la speranza. All’uomo inedito, come un porto sepolto, vi arriva il poeta; egli giunge a quel «nulla di inesauribile segreto».

Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto
(Porto sepolto, ivi 42).

«Tutte le parole sono nate come simboli e poi, com’è loro destino, sono entrate a far parte della grammatica convenzionale, son diventate utensili che trasmettono il pensiero ma non comunicano, nel senso che non realizzano lo scambio tra due interiorità.

La nostra si chiama civiltà della comunicazione ma in realtà è la civiltà della trasmissione. Solo la poesia, quando c’è, viene a interrompere le trame delle parole e delle immagini che chiedono da noi non l’interazione creativa ma il consumo passivo.

Allora le parole immerse nella tensione dell’uomo inedito che aspira a un mondo misurato su di sé perdono la loro inerte disponibilità all’uso e si caricano di un senso segreto (di ‘indefinito’, diceva Leopardi) che ci trascina, se abbiamo orecchie e abbiamo occhi, in quella patria dell’essere di cui l’uomo inedito conserva la nostalgia, o, per meglio dire, la speranza, dato che quella patria non è alle nostre spalle, come un Eden biblico, è dinanzi a noi come identità possibile tra uomo inedito e uomo edito, tra essenza ed esistenza…

E infatti il linguaggio connaturale all’uomo inedito è quello della profezia che ha il suo tratto tipico nel riferimento al futuro inteso come luogo della pienezza. Il linguaggio profetico non è quello che si avventura in predizioni trascritte in calendari immaginari, è quello che denuncia l’inaccettabilità della città presente e descrive la città futura nella quale si sarà definitivamente avverata la coincidenza tra il possibile e il reale» (Balducci, 57; 51-52).

Terra del tramonto, terra di futuro

«Così la terra del tramonto dischiude all’uomo inedito il futuro come un processo non solo di transizione ma di trasformazione, come una metamorfosi, una trasfigurazione. Il futuro dell’uomo nascosto nell’uomo non è il tempo a venire i cui contenuti sono già nel presente; è il tempo che ci viene incontro portando con sé, come possibilità oggettive, nuovi modi di essere rispondenti alle possibilità soggettive latenti in noi.

Ci manca – ed è questo il nostro vero dramma – una mappa delle possibilità umane, perché siamo imprigionati in un’immagine univoca di uomo costruita e imposta, con tutte le iridescenze dell’universalità, dalla cultura in cui siamo cresciuti.

Quell’immagine si sta lacerando e proprio per questo si riapre dentro di noi la dialettica tra uomo inedito e uomo edito. In forza di questa dialettica acquista senso la circostanza che è totalmente nuova nella storia: la compresenza, anzi in certi casi la convivenza di molte umanità, ciascuna delle quali ci apre un distinto spiraglio sulla totalità umana» (ivi, 55).

Come direbbe la poesia l’ineffabile segreto del tramonto?

A proposito dell’uomo inedito che è in lui, Carlo Betocchi scrive che una nube lo nasconde, ma non manca in lui la paziente speranza che «qualcosa non tramonta con il tramonto»:

Lentamente, cosi, sempre in un senso,
le veritiere sorti volgeranno,
quella più luminosa alla più fioca
unite, e a una stessa distanza,
in un disegno
che una nube nasconde e non il tempo.
Che le guida al tramonto, suscitando
in altre l’ineffabile segreto
in custodia alla notte,
e ai miti tetti, ed all’altane;
dove ad un filo di vento si disseta
segretamente l’erba disseccata.
(Carlo Betocchi, Tutte le poesie, 532

Fraterno tetto; cruda città; clamore
e strazio quotidiano; o schiaffeggiante
vita, vita e tormento alla mia anziana
età: guardatemi! sono il più càduco,
tra voi; un rudere pieno di colpe sono…
ma un segno che qualcosa non tramonta
col mio tramonto: resiste la mia pazienza,
è come un orizzonte inconsumabile,
come un curvo pianeta è la mia anima.
(ivi, 361).

E non finisce qui. A Carlo Betocchi risponde Mario Luzi con una poesia a lui dedicata per i «suoi meravigliosi settanta anni»: nel silenzio del tramonto è nascosta la luce del risveglio.

Nel corpo oscuro della metamorfosi

“Tu che hai visto fino al tramonto
la morte di una città, i suoi ultimi
furiosi annaspamenti d’annegata,
ascoltane il silenzio ora. E risvegliati”
continua quell’anima randagia
che non sono ben certo sia un’altra dalla mia
alla cerca di me nella palude sinistra.
“Risvegliati, non è questo silenzio
il silenzio mentale di una profonda metafora
come tu pensi la scoria. Ma bruta
cessazione del suono. Morte. Morte e basta”.

“Non c’è morte che non sia anche nascita.
Soltanto per questo pregherò”
le dico sciaguattando ferito nella melma
mentre il suo lume lampeggia e si eclissa in un vicolo.
E la continuità manda un riflesso
duro, ambiguo, visibile alla talpa e alla lince.
(Tutte le poesie, 381).

Christus editus e Christus indetus

Anche tra il Cristo edito, così come è venuto narrandosi attraverso i modelli culturali e religiosi, e il Cristo inedito, quello che si cela nel futuro di ogni umanesimo, esiste un punto cristico, una discesa nel nulla, un tramonto appunto che tuttavia nasconde in sé un’apertura, una transizione creativa, anzi generativa.

L’ineffabile segreto della speranza, la sua forza, sta in quella frattura instauratrice che è la croce del Cristo, spes unica, salendo la quale ne ha determinato il suo passaggio, ed anche il nostro, verso un nuovo mattino, verso l’homo novus e il cantus novus.

Il Cristus absconditus è così il Cristo nomade d’amore che il tramonto sulla croce risveglia ad un’alba nuova. Il primo Adamo transita nel nuovo Adamo: Cristo. Così il mistero di Colui che verrà è leggibile già nel tempo in quelle pagine viventi che sono le multiformi manifestazioni di umanità planetaria; così pure vi è un vangelo edito ed uno nascosto dentro la vita di quelle persone che in umanità si fanno nomadi di amore.

Scrive ancora Balducci: «Di fronte a questo nuovo inizio ogni altra particolarità culturale e religiosa è legittima, nel senso che non è chiamata a misurarsi con la particolarità storica di Gesù: ogni itinerario umano ha il suo venerdì santo dinanzi a cui si apre, per un paradosso predisposto da Dio, la Pasqua della resurrezione.

“Per i mille sentieri della nostra religiosità cercavamo Dio e finivamo per fare delle immagini di noi stessi. Egli però ci ha cercato e ci ha trovato là dove eravamo completamente perduti e alla fine. A Lui Dio ha detto il suo sì e il suo amen e lo ha risvegliato dai morti” (H. Vogel)”.

Ogni umanesimo, anzi, ogni religione è al di qua di questo punto limite: l’Uomo abbandonato da Dio è sceso agli inferi, è sceso cioè in quella condizione in cui il futuro dell’uomo si identifica col nulla, una condizione in cui, così amo pensare, si trovano in comunione con lui anche coloro che sono diventati atei per amore» (ivi, 152153).

«Egli salì sul tramonto» (Sal 68 [67], 5)

Ai piedi del faro, non c’è luce (Ernst Bloch), così occorre salire “sul tramonto” per scorgere nella croce la vita, nel tramonto l’alba: «incinta di luce, il bianco seme del sole».

«Spianate la strada a chi sale sul tramonto. Il Signore salì “sul tramonto” che fu la sua morte. Effettivamente il Signore salì “sul tramonto” in quanto la sua morte gli servì come alto piedistallo per manifestare maggiormente la sua gloria mediante la risurrezione. Salì “sul tramonto” perché risorgendo calpestò la morte che aveva affrontato».

Questa immagine bella e suggestiva l’ho trovata leggendo nella liturgia delle ore nella festa di san Luca evangelista; un’omelia sui Vangeli di papa Gregorio Magno (Om. 17, 1-3; PL 76, 1139). Mi sembrava celasse dell’altro, mi attraeva cercare il senso nascosto del versetto di quel salmo che certamente significava fare strada al vangelo ancora inedito per editarlo sulle pagine della propria vita.

Una prima tappa fu la traduzione italiana molto poetica ma differiva nelle parole dal testo dell’omelia: «Preparate la via a colui che cavalca attraverso i deserti le nubi», attraversando e orientando la transizione umana. Pensai poi che il riferimento di papa Gregorio era il testo latino della Bibbia detta Vulgata trovai: «Cantate Deo, iter fácite ei qui ascéndit super occásum / fate strada a colui che ascende sopra l’occaso». Occaso è participio passato di “occidere”, cadere, finire e nel senso figurato, tramontare. Più aderente il testo latino che ricalca quello ebraico: “è salito sull’occidente” dove il sole tramonta.

E pensare che proprio questo versetto comparso solo ora in conclusione, come al tramonto, è stato come la prima luce che ha illuminato la scrittura di questo testo, che mi ha portato attraverso la terra del tramonto ancora a “presto di mattina”.

E così mi unisco al canto del “poeta di passo”, Carlo Betocchi “passo dell’uomo di vocazione… che si muoveva nell’aria esclusiva della sua libertà” (Carlo Bo); egli ha scritto del poeta d’amore che proprio al tramonto nel perdersi degli anni ritrova l’incanto irresistibile del verso: «”Nulla al mond’è che non possano i versi”,/ io leggo, e mi ferisce quell’incanto/ del poeta d’amore, e sento quanto/ della lettura in memoria va a perdersi (ivi, 601; 603; 519).

Canto per l’alba imminente

Sei, come Dio ti vuole,
ima* incinta di luce,
bianco seme del sole
che poi in monte riluce:
se quel peso ti duole
tanto, non fai lamento,
non augello ancor sento
che col canto t’ allegri a portar croce.
Misteriosa e bianca
da chius’acqua orientale
tu risali, e s’affranca
la mia pena mortale:
patisci e ti fai stanca
nel destare la rosa
che nel sole va sposa;
poi ti perdi nel ciel, virgo immortale.
([*ima = corda munita di piombi, che tiene la rete sul fondo], Betocchi, 39-40)

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

VIVA VITTORIA: 23 e 24 Novembre
Anche a Ferrara in Piazza Castello

Viva Vittoria 2024. Anche in piazza Castello

Sabato 23 e domenica 24 novembre, per la prima volta in Piazza Castello a Ferrara, si terrà la manifestazione: Viva Vittoria, un’opera relazionale condivisa che ha l’obiettivo di richiamare l’attenzione sul drammatico fenomeno della violenza contro le donne. Come strumento per concretizzare questo progetto è stato scelto il “fare a maglia”, metafora di creazione e sviluppo di se stesse perché si tratta di una modalità creativa molto diffusa e facilmente apprendibile che in tutti gli adulti riconnette ad immagini familiari, fa emergere ricordi e crea un’attitudine all’incontro e alla relazione.

Dalla mattina di sabato 23 novembre quindi, l’intera Piazza Castello diventerà un grande tappeto multicolore: saranno stesi gli oltre 12.800 quadrati di 50 centimetri per lato, realizzati a maglia in nove mesi di lavoro.

Quadrati creati punto per punto, provenienti da 45 Comuni italiani che hanno aderito, oltre al coinvolgimento nella sola provincia estense di circoli di maglia, case di riposo, giovani e meno giovani e di 34 scuole. 

Nei giorni precedenti, i quadrati saranno assemblati a quattro alla volta da 200 volontari nella chiesa parrocchiale dell’Arginone in città, con un filo rosso proveniente da Brescia, città dove nel 2015 ha debuttato “Viva Vittoria”.

Su ogni quadrato, sempre con l’utilizzo dei ferri, è anche scritto il nome delle autrici che così unite vogliono dare il loro contributo all’evento e, nello stesso tempo, il segno tangibile di una rete di relazioni, rapporti e solidarietà.

Esattamente come la rete da pesca proveniente dalla coop pescatori di Goro appesa nel cortile del Castello Estense, per celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre.

Le coperte realizzate e assemblate saranno vendute al pubblico al costo di 20 euro, con un’asta finale per le offerte maggiori. Il ricavato, hanno spiegato la coordinatrice dell’evento Donatella Mauro e la presidente Paola Castagnotto, sarà interamente devoluto al Centro Donna e Giustizia di Ferrara per aiutare le donne in difficoltà inserite nei percorsi di autonomia, al termine dei quali c’è spesso la necessità di sostegno in termini di casa, lavoro, pagamento delle bollette. Una forma di aiuto, inoltre, perché siano le donne stesse ad attivare tali percorsi ed evitare di passare da una dipendenza (fisica, psicologica ed economica) a un’altra (quella del Centro Donna).

Sul palco allestito in Piazza Castello, per l’inaugurazione ci saranno il prefetto, l’arcivescovo, il presidente della Provincia e la rettrice dell’Università, cui faranno seguito durante le due giornate del 23 e 24 novembre, gruppi teatrali e musicali delle scuole, associazioni femminili, cori e formazioni musicali in una non stop di animazione e sensibilizzazione, al termine della quale si svolgerà l’asta finale per la vendita delle coperte.

I gazebo allestiti per l’occasione da Croce rossa italiana, Carabinieri e Inps, saranno punti informativi sui recapiti cui rivolgersi in caso di necessità.

Fra tutti i quadrati di maglia che saranno assemblati insieme agli altri, ne sono arrivati 75 anche dalle donne ristrette nel carcere femminile della Dozza di Bologna, che hanno partecipato al laboratorio di cucito e uncinetto coordinato da Anna Rita Di Marco.

Continuo a credere che nella stupenda canzone “La libertà” di Giorgio Gaber ci sia riassunta una delle più belle definizioni di cosa sia la “libertà” (“Libertà è partecipazione”); grazie alle volontarie AVoC, quello delle donne del carcere della Dozza mi sembra un modo bello e responsabile di sentirsi libere.

Grazie davvero a loro, ad Anna Rita e ad Anna Laura che, oltre a renderle possibili, hanno scritto quanto segue per raccontarci meglio di cosa si occupa il laboratorio che curano presso la sezione femminile del carcere della Dozza a Bologna.

(Mauro Presini)

 

“Sono una volontaria AVoC (Associazione Volontari del Carcere)[1] e coordino il laboratorio cucito-uncinetto presso la sezione femminile della Casa circondariale Rocco D’Amato di Bologna. Questo laboratorio, aperto alle detenute che ne fanno richiesta, è condotto da due volontarie, Amina Majidi (cucito) e Anna Laura Govoni (uncinetto-maglia) che gestiscono con molto entusiasmo il lavoro delle ragazze, insegnando (a volte da zero) e seguendole nei loro progressi.

Il laboratorio di cucito è stato per molto tempo un’attività del reparto per permettere alle detenute di imparare facendo lavori utili per il carcere, oltre a riparazioni di indumenti in un ambiente sereno in cui sentirsi seguite.

In seguito, al tempo del Covid, anche a causa delle difficoltà delle due precedenti volontarie, era stato chiuso. Quest’anno abbiamo pensato di riattivarlo per le importanti valenze educative di queste attività che promuovono un clima di serenità attraverso il rispetto reciproco, l’osservanza delle regole che sono state scritte e condivise con le detenute e la consapevolezza degli impegni assunti sia a livello personale che del gruppo, oltre a stimolare la creatività, il pensiero e la progettazione.

Partendo dai primi punti, da semplici lavori, man mano che miglioravano le loro competenze abbiamo visto aumentare la loro autostima attraverso la scoperta delle proprie capacità, il loro senso di responsabilità e il desiderio di migliorare.

A volte abbiamo avuto modo di vedere come nel piccolo gruppo si crei un clima di fiducia e di comprensione così eventi personali piccoli o grandi, gioiosi o dolorosi, erompono portando alla condivisione dei sentimenti in un modo che direi quasi “terapeutico”

Le detenute hanno voluto partecipare alla scelta del logo aggiungendo un piccolo cuore d’oro perché desideravano che il loro lavoro potesse portare qualcosa di buono a chi lo poteva riceverlo, infatti si era deciso di finalizzare le attività alla produzione di piccoli lavori da presentare a manifestazioni di solidarietà e beneficenza.

Attualmente partecipano 8 ragazze per il laboratorio di cucito e 7 per l’uncinetto e svolgono anche piccoli lavori di riparazione e riattamento dei propri indumenti, nell’ottica della riduzione dello spreco e dei rifiuti, oltre a lavori di cucito utili per il reparto.

Le detenute che seguono il corso di uncinetto hanno la possibilità di continuare a lavorare anche in cella, sia singolarmente che trovandosi in piccoli gruppi che aiutano a superare momenti di inoperosità e di noia. Nel periodo estivo infatti, quando molte attività cessano, le ragazze si sono dedicate con impegno alla produzione dei loro quadrati 50×50 per poter partecipare a W Vittoria nelle giornate di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne così abbiamo potuto consegnare 75 pezzi al Comitato promotore.

Per Natale anche su consiglio della Direttrice e di una volontaria missionaria abbiamo iniziato a realizzare borsine regalo con sciarpa, cuffia, penne e una piccola dama (queste grazie anche ad un laboratorio del legno del maschile) per persone che versano in diverse condizioni di disagio.”

(Anna Rita Di Marco)

 

La proposta di partecipare alla manifestazione Viva Vittoria Ferrara per supportare attività contro la violenza sulle donne è stata colta con piacere dalle partecipanti, diventando occasione per recuperare materiale inutilizzato e già presente nel laboratorio, ma anche di pensare di poter far parte di qualcosa di più ampio portando il proprio contributo. Le partecipanti si sono impegnate negli abbinamenti dei colori, negli aggiustamenti di ciò che era incompleto e tutta l’esperienza è stata l’occasione per imparare a creare i quadretti anche per chi non aveva mai lavorato a uncinetto.

Questa attività sì è conclusa a fine ottobre ed è durata per tutta l’estate. Per riuscire a lavorare la lana anche nelle giornate più torride, abbiamo attrezzato il laboratorio con ventilatori creando così uno spazio confortevole dove era piacevole stare qualche ora in serenità tutte insieme. Al termine di ogni incontro, di circa 2 ore e mezza, venivano scelti insieme i lavori che le partecipanti prendevano con loro per ultimarli durante la settimana fino all’incontro successivo.

Ad ogni quadretto consegnato a Ferrara è stata applicata l’etichetta con il logo del laboratorio ed è stato scritto a penna il nome dell’autrice. Al logo del laboratorio già precedentemente definito, è stata aggiunta la sagoma di un cuore di color oro su proposta delle partecipanti che quando abbiamo chiesto proposte di nomi hanno proposto “Laboratorio cuore d’oro”.

(Anna Laura Govoni)

[1] AVoC è un’associazione che si occupa principalmente di detenuti, intesi come persone recluse o agli arresti domiciliari e del loro reinserimento nella società, una volta usciti dal carcere.
Avoc è nata alla fine degli anni ‘80, all’interno del Baraccano, intorno all’ambiente della Chiesa della pace. Non si tratta però di un’associazione cattolica, vengono svolte perciò attività laiche, come corsi di cucina o di scrittura e molta attenzione viene posta alla visita dei familiari. L’associazione ha, infatti, un ufficio in cui i parenti possono trovare sostegno per il periodo che precede la visita. Ad oggi, per organizzare la rete di supporto ai familiari dei detenuti, AVoC ha 8 appartamenti offerti dal comune e uno donato da un privato cittadino, che riesce a mantenere attraverso diversi eventi di finanziamento. Il rapporto con la famiglia e il lavoro diventano perciò due fattori determinanti per riavvicinare i detenuti alla società e abbassare la recidività delle detenzioni.

Cover:  Piazza Castello a Ferrara ricoperta dalle “coperte” di Viva Vittoria, 24 novembre 2024, ore 1o,00 – ph Mauro Presini

Esperimenti di Pace: il Laboratorio per la Pace di UniFE

COP 29 a Baku, una conferenza antidemocratica

COP 29 a Baku, una conferenza antidemocratica

di Ultima generazione

Tra alcuni giorni, quando anche si conosceranno i contenuti del documento finale, la COP 29 a Baku in Azerbaijan, verrà ricordata solamente per le assenze di gran parte dei leader degli Stati che hanno grandi colpe per il riscaldamento globale e la catastrofe climatica, e per il numero dei lobbisti delle industrie del fossile presenti.

Per il resto, hanno ragione i prestigiosi firmatari della lettera resa nota a Baku il 15 novembre, in cui chiedono una profonda riforma del meccanismo della COP, per primo a livello di democrazia funzionale e decisionale; tra le firme quelle dell’ex segretario ONU Ban Ki-Moon, l’ex presidente dell’Irlanda Mary Robinson, l’architetta dell’accordo di Parigi Christiana Figueres e lo scienziato Johan Rockström.

Le scelte delle COP sconfessate dalla scienza

A Baku è stato presentato il Global Carbon Budget 2024, il rapporto che ci dice quanto siamo vicini al precipizio climatico. Infatti il 2024 sarebbe dovuto essere il cosiddetto anno di ‘picco’ per le emissioni, ma anziché vedere la curva scendere, assisteremo ancora alla sua crescita.

Nel 2024 tutte le fonti fossili sono cresciute: carbone (0,2 per cento), petrolio (0,9 per cento), gas (2,4 per cento). Contribuiscono rispettivamente al 41 per cento (carbone), al 32 per cento (petrolio) e al 21 per cento (gas) delle emissioni che causano la crisi climatica. Nel 2024 raggiungeremo 422,5 parti di CO2 per milione in atmosfera, quando le COP sono partite erano 360 parti per milione.

Lunga la lista degli assenti e dei lobbisti, più numerosi degli scienziati

I leader assenti sono: USA, Francia, Germania, Gran Bretagna, Brasile, Russia, India, Cina e la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen; mentre il presidente argentino Milei, avendo voluto subito allinearsi a Trump, ha ritirato la propria delegazione il giorno di apertura della COP. Mentre sono 1773 lobbisti dei combustibili fossili accreditati.

Per l’Italia sono 22, tra cui l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, che si è accreditato con l’Azerbaijan e non con l’Italia, insieme a Edison, Italgas e Confindustria. Tutta l’industria fossile è ben rappresentata: Total Energies, Glencore, Sumitomo, Chevron, Exxon Mobil, BP, Shell.

Diversamente presenti i leader ‘alluvionati’ Sanchez e Meloni

Entrambi testimoni delle conseguenze drammatiche più recenti della crisi climatica, Meloni e Sanchez sono stati gli unici leader dei grandi Paesi dell’UE presenti.

Toccata e fuga per la Meloni che ha parlato delle grandi prospettive ambientali e climatiche che porterà l’energia derivante dalla fusione nucleare; che però per gli scienziati più ottimisti, potrebbe essere commerciabile nel 2050, quando in Italia l’innalzamento del Mediterraneo potrebbe essersi già ‘mangiato’ centinaia di chilometri di coste.

Molto più consapevole il premier spagnolo Sanchez sull’urgenza di agire immediatamente con scelta forti e radicali.

Per le multinazionali del fossile la democrazia è un ostacolo

Il richiamo teocratico del presidente del Paese ospitante, Ilham Aliyev, in apertura dei lavori ha subito fatto capire il clima della ventinovesima edizione della Cop: “Il petrolio e il gas sono un dono di Dio, proprio come il sole, il vento e i minerali. I Paesi non devono essere incolpati per averle e non devono essere incolpati per aver portato queste risorse sul mercato”, per poi scagliarsi contro i media occidentali, gli attivisti per il clima e i critici dell’industria petrolifera e del gas dell’Azerbaijan, definendoli ipocriti.

Rieletto per la quinta volta consecutiva a settembre, dopo che aveva fatto eliminare dalla costituzione il limite dei mandati presidenziali, Ilham Aliyev è in carica da oltre vent’anni. Oggi l’Azerbaijan è l’unica repubblica al mondo in cui la moglie del capo di stato è anche la sua vice. Dopo l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, per il terzo anno la COP si tiene in un Paese in cui la democrazia non c’è più e che hanno enormi interessi nazionali sull’industria e la finanza fossili.

Silenziati gli attivisti

La conseguenza di questa deriva sempre più antidemocratica delle varie edizioni della Conferenza delle Parti, è il trattamento riservato a Baku agli attivisti: vietato il corteo e chiusi in una stanza per manifestare senza poter scandire slogan, proprio nel giorno in cui l’Italia ha vinto il Fossil of the Day (una sorta di “Tapiro d’Oro”), il premio ironico assegnato al paese più compromesso con i combustibili fossili.

 

Cover foto di www.lifegate.it

Storie in pellicola / “Sommersi”: la crudeltà inconsapevole dell’adolescenza

Presentato in anteprima al Cinema Modernissimo di Bologna nell’ambito della 30ª edizione del Festival Visioni Italiane e al RIFF – Rome Independent Film Festival, il cortometraggio Sommersi dell’imolese Gian Marco Pezzoli, conduce lo spettatore nei meandri della crudeltà adolescenziale che emerge inconsapevole mentre una tragedia sta per compiersi.

Quante cose, nate per gioco o per scherzo, possono trasformarsi (e si trasformano) in rovinosa tragedia? Senza nemmeno rendersene conto il vortice può, improvvisamente, travolgere. E quando questo avviene, la reazione non è subito e per forza razionale.

Sullo sfondo il dramma dell’alluvione

Due amici, Michael (Ruben Santiago Vecchi) e Lorenzo (Alessandro Antonino) giocano nelle vallate lungo la provinciale Montanara, dove scorre il fiume Santerno. Per la precisione, a Castel del Rio, l’ultimo giorno di vacanza per i due adolescenti che, intrappolati dalla noia e dall’afa, si abbandonano a un gioco pericoloso.

Prima si tirano sassetti fra di loro, poi il sasso aumenta di dimensione e viene lanciato dal cavalcavia, colpendo un’auto che, come un birillo, cade giù. Un gioco pericoloso e mortale.

I lanci di pietre contro le vetture in corsa rappresentano, purtroppo, un fenomeno non isolato, basta leggere le cronache anche meno recenti. Il primo episodio avvenne nel 1986 in cui morì una bambina di soli due mesi e mezzo. Poi l’aumento, soprattutto negli anni ’90, ma il fenomeno non si è mai arrestato. Una sorta di lotteria della morte.

Non se ne parla spesso, negli ultimi tempi non certo avari di tragedie, e Sommersi riporta il tema sotto i riflettori, con sullo sfondo il dramma che ha colpito l’Emilia-Romagna, la violentissima e devastante alluvione del maggio 2023, dove la tragedia ambientale diventa metafora della tragedia interiore che vivono i due giovani protagonisti.

Perché la natura e l’animo umano si specchiano e si parlano.

“Il tema del lancio dei sassi dal cavalcavia è stato il punto di partenza per esplorare il disagio giovanile, che oggi, purtroppo, è diventato quasi ordinario e non suscita più scalpore. Ho voluto andare oltre il gesto, interrogandomi sulle ragioni che spingono tanti adolescenti a compiere atti di violenza”, dice Pezzoli.

Sommersi tutti, i protagonisti e gli abitanti della valle. Sommersi dai rimorsi, dalla tragedia, dal continuo confronto con le conseguenze delle proprie azioni, dalla stupidità che non perdona, dall’incapacità di capire quando è il momento di agire e non stare solo a guardare il destino compiersi, inesorabile.

Mentre il calmo Santerno perde le staffe, straripa e travolge tutto, case, abitazioni e vallate, portando vie vite, oggetti e sogni, Michael e Lorenzo per non essere “sommersi” devono scegliere se convivere con quel terribile sbaglio o redimersi.

Mentre il fiume, passata la rabbia e il furore, li salva e li guida verso un nuovo equilibrio.

Qualche nota di regia e di produzione

Il cortometraggio, scritto da Marta Bedeschi (di Imola) e Giorgia Baracco (di Rovigo) e prodotto da Kamera Film (fondata, nel 2000, dalla regista e documentarista Maria Martinelli), è stato realizzato con il sostegno dellEmilia-Romagna Film Commission,prodotto in collaborazione con l’associazione Noi Giovani e le cooperative Combo e Black Cut, ha ricevuto il patrocinio dei quattro comuni della vallata (Fontanelice, Casalfiumanese, Castel del Rio e Borgo Tossignano). Un forte lavoro di squadra.

“Per Sommersi, mi sono ispirato a film come Elephant di Gus Van Sant, Paranoid Park e Gummo di Harmony Korine, che utilizzano un linguaggio visivo che immerge lo spettatore nel disagio adolescenziale. Un altro importante punto di riferimento è Aki Kaurismaki, per la sua lucidità e la crudezza nei rapporti umani”, spiega Pezzoli.

Per la produttrice Maria Martinelli, il corto “ci fa capire, in modo poetico e tramite lo sguardo di due adolescenti (in una terra segnata dagli sconvolgimenti climatici), quanto sia difficile fare la scelta giusta. Si parla di disagio e si affronta, con una cifra stilistica elegante, l’universo giovanile e come spesso sia rimasto solo, rispetto alle responsabilità”.

Gian Marco Pezzoli: il regista

Originario di Imola, poco più che trentenne, è un regista che ha iniziato il suo percorso artistico partecipando a corsi di recitazione e regia con esperti del settore, tra cui Marco Bellocchio al corso di alta formazione in regia cinematografica della Fondazione Fare Cinema e Mario Grossi al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Dal 2011, si dedica alla regia di cortometraggi che hanno ottenuto riconoscimenti per il loro valore artistico. È presidente dell’Associazione Noi Giovani, che supporta i giovani creativi e promuove iniziative per il miglioramento del territorio imolese.

 

Sommersi, di Gian Marco Pezzoli, Produzione Kamera Film S.r.l. – Soggetto e sceneggiatura di Marta Bedeschi / Giorgia Baracco / Marta Bedeschi; Musica di Giuseppe Tranquillino Minerva, con Ruben Santiago Vecchi e Alessandro Antonino, Italia, 2024, 19 ,m

 

Articolo pubblicato su Taxidrivers

Teatro in Carcere: lo studio teatrale “voci di dentro” alla Casa di Reclusione Femminile di Giudecca

Teatro in Carcere: lo studio teatrale “voci di dentro” alla Casa di Reclusione Femminile di Giudecca per la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2024

 

Progetto teatrale Passi Sospesi alla Casa di Reclusione Femminile di Giudecca
studio teatrale voci di dentro
per la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2024

Lunedi 25 Novembre 2024, alle ore 16.00, presso la Casa di Reclusione Femminile di Giudecca, sarà presentato voci di dentrostudio teatrale con alcune donne recluse, che hanno partecipato al laboratorio teatrale permanente Passi Sospesi di Balamòs Teatro diretto da Michalis Traitsis e con la collaborazione artistica di Patrizia Ninu, nell’ambito del progetto teatrale Passi Sospesi di Balamòs Teatro negli Istituti Penitenziari di Venezia, e allestito in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2024.

Questa data ricorda il 25 novembre 1960 quando, nella Repubblica Dominicana, furono uccise le sorelle Mirabal, colpevoli di denunciare gli orrori del dittatore dell’epoca e la cultura machista che li alimentava. Da allora divenne il giorno simbolo per ricordare le vittime di maltrattamenti, abusi e femminicidi e per combattere le discriminazioni e le disuguaglianze di genere.

Quello che ancora ci si domanda è come sia possibile non intravvedere soluzioni alle domande: cosa si può fare per contrastare il fenomeno della violenza? Come si può radicalmente agire su una cultura paradossalmente ancora dominante, soprattutto cosa si può fare prima che sia troppo tardi?

Il teatro non ha la pretesa di trovare risposte ma di contribuire ad attivare un lavoro di riflessione, di introspezione e di cambiamento che, pur con difficoltà e fatica, le persone recluse hanno fatto su loro stesse, sui pregiudizi, sugli stereotipi, sul ruolo di eterne vittime, sulla violenza delle stesse donne, le une contro le altre, sul come ritrovare un nuovo modo di essere, di rispettare se stesse e le altre/i, sul depositare la rabbia e la frustrazione del passato per entrare nel dolore senza maschere e per restituirlo in una narrazione, in un gesto, in un movimento, in uno sguardo di solidarietà, di comunanza, di luce e poesia.

Forse attraversavano una strada, forse una frontiera, forse una piazza, forse ogni legge, forse il confine del cielo e l’inizio del mare.

Come vagabonde nella nebbia.

Recitando rosari di sogni abdicati, speranze tradite, corpi violati, errori inconfessabili.

Di nebbia si vestivano per non vedere e sopportare l’Ade, il regno delle anime perdute.

Attraverso la nebbia cercavano segni di salvezza e ripari per intravvedere schegge di luce.

Qualcuna arrivava correndo, un’altra strascicando i passi, un’altra fischiettando, un’altra ancora bisbigliando preghiere e canti e dialogando con le assenze.

Non portavano bagagli, si spogliavano di ogni bene materiale e si riconoscevano in quella bruma dalle voci che premevano per raccontare una storia.

Ciascuna la sua”.

Cover; Le sorelle Mirabal, simbolo del coraggio di tutte le donne vittime di violenza

INSIEME PER UNA NUOVA VISIONE DI CITTA’:
Assemblea Pubblica a Ferrara, martedì 26 novembre dalle ore 17,30 alle 20

INSIEME PER UNA NUOVA VISIONE DI CITTA
Assemblea Pubblica: martedì 26 novembre dalle ore 17,30 alle 20

Lettera per Associazioni e forze politiche

Il Forum Ferrara Partecipata intende aprire una nuova fase di confronto e collaborazione con tutti i soggetti interessati a costruire un’idea alternativa di città e ad operare insieme per una nuova visione di città orientata al contrasto alla crisi climatica e sociale.
 Il Forum, come è noto, è nato per contrastare il progetto FERIS che perseguiva interessi privati e non di pubblica utilità, e ha sviluppato il proprio percorso elaborando proposte per disegnare la Ferrara del futuro, indicando priorità e contenuti alternativi a quelli sino ad ora messi in campo.
In particolare sono stati messi a fuoco i temi della democrazia partecipativa, della transizione e conversione ecologica, dei beni comuni, di un modello sociale giusto e inclusivo. Le proposte formulate sono state raccolte in un documento reperibile sul nostro sito (qui) ed è stata inoltre evidenziata la necessità di elaborare una visione di città che ponga al centro lo sguardo delle donne.
 Abbiamo tentato di dare voce a questi contenuti anche nel corso dell’ultima campagna elettorale amministrativa, pur in un contesto non troppo attento a discutere del futuro di Ferrara.
 Ora vogliamo dare avvio ad un percorso che riprenda quei temi e li selezioni in base alle priorità che devono essere affrontate in tempi brevi.
Le questioni che appaiono più urgenti e su cui pensiamo sia utile formare gruppi di lavoro sono: – la mobilità in un’ottica di conversione ecologica della città – la pubblicizzazione e le politiche della gestione dei rifiuti in una prospettiva di affermazione dei beni comuni – una trama verde per la città in una logica di contrasto al cambiamento climatico.
Riteniamo importante unire tutte le forze e coinvolgere tutti coloro che in città avvertono l’importanza di questi temi e le proposte di fondo che abbiamo elaborato in proposito.
 Invitiamo a lavorare in tal senso tutte le associazioni, le realtà sociali e le forze politiche interessate, ferma restando, ovviamente, l’autonomia reciproca fra soggetti sociali e rappresentanza politica.
Vi invitiamo a partecipare all’ASSEMBLEA PUBBLICA “INSIEME PER UNA NUOVA VISIONE DI CITTA’ “, martedì 26 novembre dalle ore 17,30 alle 20, presso la Parrocchia di San Giacomo (via Arginone 157)
Introdurrà Alessandra Guidorzi del Forum Ferrara Partecipata; seguiranno tre brevi comunicazioni sui temi sopra elencati ( Francesca Cigala su Mobilità; Corrado Oddi su Rifiuti e beni comuni; Romeo Farinella su Trama verde per la città ). Seguirà la discussione per un confronto fra le diverse realtà.
L’assemblea non vuole essere semplicemente un momento di scambio di punti di vista e opinioni quanto piuttosto un’occasione di verifica dell’impegno che ciascun attore intende mettere in campo a partire dalle proposte avanzate e dalla disponibilità a partecipare ai tre gruppi di lavoro.
 Sul tema di una nuova visione di città secondo lo sguardo delle donne, si è formato ed è già operativo il gruppo di lavoro allargato “ Ferrara, le donne e la città “ e chi fosse interessata a parteciparvi può prendere contatto tramite le nostre mail.
 Contando sul vostro interesse, inviamo un cordiale saluto.
FORUM FERRARA PARTECIPATA 

Khady Demba, “Un giorno tutto questo finirà”.
il nuovo spettacolo del Teatro OFF

L’ultimo spettacolo del Teatro OFF: Un giorno tutto questo finirà

Il 7 novembre ha debuttato a Ferrara l’ultimo spettacolo di FERRARA OFF, associazione di promozione sociale che opera nel settore delle arti performative, dal titolo Un giorno tutto questo finirà. L’associazione vanta una solida rete di collaborazioni con enti locali – in termini di ospitalità, coproduzione e scambi – tra cui Fondazione Ferrara Arte, Teatro Comunale Claudio Abbado, Ferrara Musica, Jazz Club Ferrara, Museo di Storia Naturale, Arci Ferrara

Ho assistito all’ultima replica serale il 17 novembre, mentre per chi è interessato rimangono le date delle Matinée : Incontro fra generazioni a Teatro 11, 13, 19, 20, 21, 22, 23, 25 novembre 2024, ore 11:00.

Diana Höbel – Ph Giacomo Brini

Lo spettacolo vuole rappresentare il declino della civiltà occidentale, pervasa da paure di catastrofi incombenti (dalla pandemia all’inquinamento globale, dalla crisi economico-politica alla guerra nucleare) messo a confronto con l’altrettanto pericoloso, ma più vitale, mondo da cui provengono i migranti. Viene messo in scena il racconto della storia di una donna africana che ha perso tutto e che cerca di raggiungere l’Europa, che per lei rappresenta un luogo di salvezza.
Tutto lo spettacolo è infatti liberamente ispirato al racconto Khady Demba di Marie Ndiaye (Histoire de Khady Demba: Trois femmes puissantes), ideazione di Diana Höbel e Giulio Costa, con Diana Höbel e Marco Sgarbi, regia di Giulio Costa.
La scenografia, ridotta ad un tavolo pieno di oggetti per lo più inutili e a due sedie, sottolinea lo scarto fra il racconto della protagonista, che non smette mai di parlare e il silenzio del compagno che si limita per quasi tutta la durata dello spettacolo a selezionare e mettere in ordine gli oggetti ritenuti utili. Lei parla e lui “mette ordine” in un’incomunicabilità non solo di parole, ma anhttps://www.ferraraoff.it/chi-siamo/che di gesti, ridotti al minimo della routine di sopravvivenza.
Il declino dell’occidente è efficacemente rappresentato dallo scarto fra la  povertà dei gesti e il fiume di parole che raccontano l’eroismo di Khady Demba, riportando senza sosta riflessioni, emozioni, sensazioni della protagonista occidentale, interpretata da Diana Höbel, in un gemellaggio  spirituale con la donna nigeriana.

Marco Sgarbi – ph Giacomo Brini

Crisi della coppia occidentale, ridotta all’osso della routine rassicurante di un rapporto apparentemente di lunga data, in effetti con la funzione di paracadute nel disastro imminente della civiltà occidentale.
Con uno scatto che ha del colpo di scena, infatti, il compagno apparentemente acefalo di fronte alla donna cosciente, rivela la sua vera natura di “salvatore”, approntando uno zaino di sopravvivenza, enorme e quasi ridicolo nella quantità di attrezzi da cui penzolano, facendo un salto sul tavolo da cui declama la sua intenzione di fuggire. Rivela cioé di essere un prepper,  un individuo che  si prepara attivamente a difendersi negli eventi estremi. La fuga però è rifiutata della donna, non convinta dall’assenza di mete e di obiettivi.

Il nuovo spettacolo del Teatro OFF  mette in scena con stile iperrealistico le problematiche odierne, con accenti ironici e talvolta sarcastici, strappando a momenti nello spettatore  un sorriso amaro. Fondamentalmente didattico nella rappresentazione, sia delle problematiche planetarie, sia delle reazioni paradossali delle popolazioni, è rivolto in particolare agli studenti delle superiori e agli universitari.

In copertina e nel testo alcune foto di scena dello spettacolo – ph Giacomo Brini

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