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Vite di carta. “Aggiustare l’universo di Raffaella Romagnolo: un romanzo classico-contemporaneo

A dispetto del titolo di questo mio testo, che pare inoltrarsi nel territorio a delta dei generi letterari, voglio partire da un gatto. Un gatto nero che è sulla copertina di Aggiustare l’universo di Raffaella Romagnolo, tra i libri finalisti del Premio Strega 2024, e che dentro la storia occupa un ruolo non secondario in qualità di amico salvifico della bambina protagonista.

Ho un gatto nero che da poco entra in casa nostra e si accolla le nostre abitudini mentre ci impone le sue: sono nel pieno di una nuova consolazione, mi appoggio al suo istinto e sento che si ricompone l’amicizia con un animale che mi è necessaria.

Quando il felino è comparso tra le pagine del libro ne ho sentito la forza: la bambina di nome Francesca, che vive all’orfanotrofio e non parla, lo custodisce in un luogo segreto, gli porta ogni giorno un po’ di pane che si è levata dalla bocca e lo mantiene in vita per lei sola. In cambio lo copre di parole.

Il libro finisce con le fusa del gatto, che intanto ha avuto un nome ed è Lucifero, e che in realtà è femmina, mentre si intrufola nei meandri dell’orfanotrofio e si addormenta beato sulle gambe di una figura femminile.

Il finale lieto della storia va all’unisono col ron ron del micio: nessuna segregazione all’orizzonte per lui e per gli umani, a guerra finita. E poi la libertà di muoversi tra i corridoi e l’esterno del grande edificio; per gli uomini la libertà di viaggiare da una città all’altra, da un paese all’altro. Il viaggio di Francesca è stato un ritorno alla sua città, Casale Monferrato. Specularmente a Lucifero, il portatore di luce, la bambina ritrova la propria identità e la propria religione.

Ora devo uscire dal punto di vista del gatto se voglio rendere conto della Storia con la maiuscola che il romanzo racconta.

Il libro racconta della maestra Gilla, 22 anni, che a guerra finita rimane a insegnare nel piccolo paese di Borgo di Dentro, dove nell’autunno del 1942 si è rifugiata insieme ai genitori per sfuggire ai bombardamenti su Genova. Racconta in parallelo di Francesca, la bambina più brava nella quinta classe dove Gilla insegna con passione.

L’anno scolastico 1945-46 rappresenta quel segmento di tempo che le fa incontrare, insegnante e allieva,  e si rivela un tratto di vita risolutivo per entrambe.

La maestra deve ripartire dalle macerie dell’Italia liberata e tentare di ricostruire giorno dopo giorno un universo ordinato dentro la testa delle sue alunne: ha a disposizione le regole scolastiche e tanti piccoli saperi che fa depositare sui loro quaderni. I problemi di matematica, gli elaborati di italiano, le attività manuali e soprattutto la conoscenza del cosmo.

Ha trovato  perlustrando i locali della scuola un planetario meccanico in metallo e cartapesta che riproduce il sistema solare, ha “i pianeti dipinti a tempera, la base con i segni zodiacali disegnati a filo d’oro”.

Si mette a ripararne le ammaccature e ad aggiungere le parti mancanti: intanto che l’anno scolastico avanza Gilla aggiusta l’universo per tenere le lezioni di astronomia alle bambine. Francesca, in particolare, assorbe la sua attenzione di educatrice. Francesca vive nel vicino orfanotrofio, è preparata e pronta in ogni materia ma comunica scrivendo, oppure si esprime con i gesti. Parla soltanto col proprio gatto, ma questo la maestra viene a saperlo solo ad anno avanzato, quando il segreto è stato svelato alla compagna di banco, unica figura amica nella solitudine di Francesca.

Maria Luisa, così si chiama la compagna, nel rivelarlo a Gilla dimostra quanto la maestra sia divenuta un punto di riferimento fondamentale per le allieve, colei che col proprio intervento può restituire a Francesca la voce che rifiuta di usare. La voce le sarà indispensabile per affrontare gli esami di licenza elementare, la maestra lo sa. Anche Maria Luisa ha intuito che il mutismo dell’amica può causare la più ingiusta delle bocciature.

Che motivi hanno spinto Francesca a non parlare in questi lunghi mesi? La narrazione, condotta come è nella nostra tradizione romanzesca da una voce narrante onnisciente, ce ne dà conto andando indietro di alcuni anni fino al famigerato 1938 con l’emanazione delle leggi razziali e risale lungo gli anni della seconda guerra. Veniamo a conoscere il prima nella vita di Gilla, la sua infanzia a Genova, gli studi da maestra e i rischi che ha corso facendo da staffetta per i partigiani e per il suo amato Michele.

In parallelo Francesca, che è nata in una colta famiglia ebrea e in realtà si chiama Ester, ha vissuto la prima infanzia a Casale Monferrato finché il terremoto delle leggi razziali non ha spezzato il suo mondo familiare. Il padre è finito ad Auschwitz, la madre l’ha affidata alle suore dell’orfanotrofio sotto falso nome per salvarla.

I capitoli si alternano tra questo passato recente che ha lasciato traumi fortissimi in entrambe le protagoniste e il presente dell’anno scolastico della ripartenza. A ogni trimestre, il cursore del tempo che avanza coincide con un quadro che si è fatto più preciso del loro difficile mondo interiore: Gilla a poco a poco impara a convivere con la perdita di Michele ucciso dai soldati tedeschi, Francesca-Ester ha trovato in Maria Luisa e nel gatto un baluardo da opporre alla perdita di sé.

Il romanzo rispecchia l’impianto del romanzo realistico ottocentesco anche mentre si avvia a finire. Lo dice il titolo che possiamo aspettarci una ricomposizione finale dopo la diaspora dei sentimenti, dei beni materiali, delle vite intere che la guerra ha abbattuto.

Le ultime pagine ci dicono che tutte le bambine della classe quinta D sono state promosse, che Ester tornando a Casale accompagnata da Gilla ha ritrovato la propria famiglia e ora la sua vita è piena di voci. Risente quelle degli avi che le ridonano la base d’appoggio per vivere, la propria cultura.

Certo, c’è la lingua del romanzo, così sintatticamente fluida, fatta di frasi brevi e precise, a dirci che siamo nel ventunesimo secolo. E c’è la figura dominante dalla ipotiposi, quell’uso delle parole che riesce a far vedere ogni scena ammiccando al linguaggio del cinema e alla lezione che il neorealismo da ormai ottant’anni ha lasciato nel nostro immaginario.

Nota bibliografica:

  • Raffaella Romagnolo, Aggiustare l’universo, Mondadori, 2023

Per leggere gli altri articoli di Vite di carta la rubrica quindicinale di Roberta Barbieri clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

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Roberta Barbieri

Dopo la laurea in Lettere e la specializzazione in Filologia Moderna all’Università di Bologna ha insegnato nel suo liceo, l’Ariosto di Ferrara, per oltre trent’anni. Con passione e per la passione verso la letteratura e la lettura. Le ha concepite come strumento per condividere l’Immaginario con gli studenti e con i colleghi, come modo di fare scuola. E ora? Ora prova anche a scrivere

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