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IL CASO
Toccare il cielo con un cristallo

La notizia è di quelle che fanno rumore nel mondo dell`architettura, di quello industriale collegato e dei grandi record contemporanei: il principe Al-Waleed bin Talal, ricco uomo d`affari da oltre 20 miliardi di dollari e membro della famiglia reale Saudita, procederà da ora senza sosta con i lavori per la costruzione della sua futura torre in acciaio e cristallo, la Kingdom Tower, prevista a Gedda per il 2019. Una freccia scoccata nel punto più alto del mondo, pare oltre i 1000 metri, si mormora 1008 metri, ma ancora non è precisato il dettaglio finale.

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Il rendering della Kingdom Tower.

Prosegue di slancio nel terzo millennio ciò che dalla notte dei tempi è il sogno coltivato nella mente di uomini potenti, re e imperatori: ostentare attraverso il simbolo di una costruzione verticale che raggiunga e superi il cielo, oltre le nuvole, il potere inaccessibile ai più, il raggiungimento di una congiunzione tangibile fra il tempo terreno e il sovrannaturale, sospeso fra l`inquietudine, il tormento, la fama e l`insonnia degli architetti incaricati.
Gli esempi non mancano: dalla torre di Babele prepotente icona non ancora svelata appieno alta pare 90 metri, le piramidi egiziane alte oltre 140 metri o delle civiltà precolombiane nel Nuovo mondo, alle torri medievali cresciute nel tessuto urbano all`interno della competizione fra le varie famiglie nobiliari e i comitati d`affari, (a titolo di esempio fra le 100 stimate costruite in quel tempo a Bologna, la Torre degli Asinelli misura in altezza 98 metri) e, solo come modello dei tempi che stavano cambiando, la parigina Tour Eiffel alta 301 metri e simbolo dell`Esposizione Universale del 1889.
Dal XX secolo, con la costruzione delle prime torri americane, la Chrisler tower, la Trump tower, l`Empire State Building, se il successo commerciale e l`immagine rimangono la motivazione determinante, è la speculazione immobiliare che diviene trainante. Grazie al contributo delle nuove tecnologie progettuali e costruttive combinate all`innovazione dei materiali di rivestimento utilizzati nelle nuove torri, si introduce l`epopea dell`acciaio e del vetro quale abito conveniente e d`impatto, e diversi decenni dopo anche virtuoso e sostenibile.
Dagli anni Trenta del `900 le architetture verticali rappresentano i luoghi, sono i landmark per eccellenza. Archistar di tutto il mondo si sono confrontate, per la verità non sempre in modo originale, per far sì che il loro committente potesse toccare il cielo con un cristallo. Una grande emozione conquistarle queste vette e ve lo racconteremo.

Per vedere un breve video sulla costruzione delle Kigdom Tower clicca qui.

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L’INTERVISTA
L’AnarChic Vitaldix riporta in volo gli ‘angeli tremendi’

Vitaldo Conte/Vitaldix. Scrittore e teorico d’arte. Docente di Storia dell’arte all’Accademia di belle arti di Roma, dove vive. Come artista ha partecipato ad alcune centinaia di eventi e performance, esposizioni personali e collettive, in Italia e all’estero. Come teorico-performer ‘ri-nasce’ nel 2009 con il nome di Vitaldix.

Vitaldo, nei tuoi lavori costante l’interfaccia dell’arte contemporanea e – per dirla con lo stesso Renato Barilli o Marshall McLuhan o Carmelo Strano,dell’ estetica tecnologica? Un approfondimento?
L’arte contemporanea non può rifiutare oggi il rapporto con l’estetica, o meglio con la sinestesia tecnologica, sia in chiave di congiunzione di linguaggio e sia in chiave di riflessione critica. La tecnologia come linguaggio d’arte tende sempre più a incamerare, come nel mio lavoro teorico-artistico, le spinte visionarie e immaginali dell’essere (la spinta verso gli estremi confini del conoscibile), anche se a detrimento talvolta della sensorialità naturale che per non soccombere deve trovare in questa una propria ‘extreme extension’. Tutto ciò può divenire una meta-narrazione delle pulsioni translate nel gioco-rito della creazione.

Conte, più nello specifico, uno zoom in merito sui tuoi ultimi lavori pubblicistici?

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Opera di Vitaldo Conte

I miei attuali interessi teorici sono prevalentemente sul corpo come pagina e libro d’arte, fino alle sue estreme espressioni nel segno-ferita e nella Beauty art, presenti pure nelle sue maschere virtuali. In queste poetiche tradizione e avanguardia si congiungono nella vocazione di una scrittura che vuole evadere dai confini della pagina e tela. Un altro aspetto che sto approfondendo riguarda il Dada nelle sue molteplici anime.

Vitaldo in Vitaldix, anche costanti azioni performative, un florilegio?
Diverse sono state infatti le mie azioni performative negli ultimi tempi in rassegne varie. In queste la mia parola teorica è diventata azione-musica rituale e pulsionale di fuoriuscita espressiva, attraverso il mio avatar Vitaldix in compagnia delle T Rose. Come nel caso del mio ultimo evento: nella manifestazione sulle “Letture dell’Angelo” a Rocca Massima (Latina), ideata da Ugo Magnanti, in cui corpo e tecnologia si uniscono in un filo di una fune aerea, la più lunga del mondo, per esprimere un volo di poesia e arte. Ho dedicato il mio volo, che si svolgeva nel giorno del solstizio d’estate di quest’anno, agli “angeli tremendi” di Rilke e al Centauro auspicato da Marinetti.

Conte, riassumendo, quello che tu chiami Trans art e/o Futurdada o/e Transfuturismo, significa in un certo senso, dare un cuore e desiderio alla tecnoscienza? L’arte “elettronica” ha questo importante ruolo oggi, nonostante crisi contemporanea e economicismo dominante?
Le mie definizioni che hai citato auspicano infatti una tecnoscienza con in dotazione cuore e desiderio, che possono avere la maschera simbolica di una rosa rossa: come ho scritto in AnarChic, nel colloquio-intervista con Marco Fioramanti su NightItalia 9 (giugno 2015). Queste peculiarità sono fondamentali per esprimere una immagin/azione senza confini, che può essere un deterrente alle attuali crisi e imposizioni del cinismo economico-finanziario. La sfida alle stelle futurista può oggi essere vissuta come una reale possibilità di espressione, cercando la propria rotta nel caso come nelle vocazioni dadaiste.

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Vitaldo Conte

Fra le pubblicazioni: “Nuovi Segnali” (Antologia con audiocassetta sulle poetiche verbo-visuali e sonore italiane anni ‘70-’80, 1984); “Dispersione” (2000); “Anomalie e Malie come Arte” (2006); “SottoMissione d’Amore” (2007); “Pulsional Gender Art” (2011); “Avanguardia 21”, AA. VV.; “Marinetti 70. Sintesi della critica futurista” (a cura di A. Saccoccio e R. Guerra, Armando, 2014). Fra gli ebook: “Fuoripagina TransArt” (2014); “La Carmelina. Fra le mostre pubbliche curate: “Dispersione” (Foggia, 2000); “Malie plastiche” (Foggia, Lecce, 2002); “Anteprima XIV Quadriennale” (Palazzo Reale, Napoli, 2003-04); “Julius Evola” (Reggio Calabria, 2005-06); “Mistiche bianche” (Reggio Calabria, 2006); “DonnaArte” (Trepuzzi, 2007); “Eros Parola d’Arte” (Lecce, 2010). Poeta (lineare, verbo-visuale, video, sonoro-spettacolare) con pubblicazioni, cartelle, dvd, ecc.

Per saperne di più visita il sito di Vitaldo Conte cliccando qui.
Per vedere il video “Letture dell’Angelo” a Rocca Massima (Latina) clicca qui.

L’INTERVISTA
Simone Folletti, dalla Spal alla Juve il preparatore delle stelle

Umile e tenace, orgoglioso di aver raggiunto traguardi prestigiosi nella sua carriera. Simone Folletti è il capo preparatori atletici della Juventus. Da giovane giocava a calcio, poi è stata la pallavolo a rapirlo: “Ho fatto tutte le categorie del settore giovanile fino alla juniores in una squadra dilettantistica della provincia e poi ho virato sulla pallavolo, mi piaceva di più. La passione per lo sport me l’ha passata mio padre (giocatore di calcio a buon livello, ndr), ma fu il prof. Bellettini – mio insegnante di educazione fisica – a incoraggiarmi a lavorare nel mondo dello sport, al punto tale che già alle medie avevo in mente di fare l’Isef”. Un’idea che si è tramutata in realtà a Urbino e che si è perfezionata durante degli studi condotti al Centro biomedico diretto dal professor Conconi a Ferrara. “Ho cominciato per caso, durante il periodo universitario ho ricevuto la chiamata di un amico fisioterapista – Andrea Cavallini – e la mia avventura ha avuto inizio. Ho seguito Rudy Grazzi alla guida della Poggese. Dopo questa esperienza, e quella come coordinatore dell’attività del settore giovanile dell’Argentana, fui chiamato per svolgere la preparazione estiva alla Berretti della Spal con allenatore proprio Grazzi. Fu allora che feci colpo su Bozzao ed entrai nel settore giovanile della Spal dove ebbi modo di collaborare anche con gli Allievi nazionali guidati da Riccardo Righetti e con Fabio Mastrocinque nella stagione seguente alla Berretti… passo dopo passo sono arrivato sino alla finale di Berlino di qualche settimana fa.”
Quello del preparatore atletico è un ruolo spesso bistrattato e preso in causa solo nei momenti negativi: “È un ruolo svolto “dietro le quinte” come giusto che sia, ma spesso siamo i primi imputati quando ci sono infortuni, anche se le cose stanno lentamente cambiando. Bisogna capire che è pur sempre un incarico di supporto all’allenatore e lo considero uno dei mattoni che formano il muro di una squadra di calcio.” Un lavoro in cui Folletti crede fortemente: “Se non ci credessi non lo farei. Oltre agli aspetti tecnici, mantenere una preparazione fisica ottimale è il modo migliore per affrontare il calcio moderno che, personalmente, cerco di vivere come un gioco, pur conscio della grande responsabilità che il mio ruolo richiede. Non nego che ogni volta che indosso la divisa del club a cui appartengo le emozioni sono sempre fortissime. Mi rendo conto di far parte di una storia formata da tante storie diverse ma grandissime e sono orgoglioso di farne parte. Il ‘bambino’ in ognuno di noi è il motivo per cui ancora oggi vedo questo sport così: sono contento di condurre la mia professione in questa maniera e credo che questo si rispecchi nella quotidianità. Viviamo di emozioni e sono convinto siano queste a farci percepire l’importanza di ciò che stiamo vivendo: non è giusto abbattersi o esaltarsi nelle vicende che affrontiamo, ci vuole equilibrio”. Preparatore atletico alla vita, verrebbe da dire.
Allenare venti, trenta giocatori, e di conseguenza affrontare storie differenti non è semplice: “Abbiamo a che fare con ragazzi di estrazione e culture diverse: i più maturi capiscono e vivono l’evento sportivo nella sua totalità, altri magari faticano a capire l’utilità di uno sforzo fisico notevole e allora bisogna instaurare un rapporto di fiducia fondamentale per crescere insieme. Il contatto quotidiano con loro è il modo migliore per generare una relazione personalizzata con cui creare affettività e dar vita a legami importanti per lavorare bene. E’ un donarsi per ricevere, creando empatia. Il giusto mix, per me, è l’approccio pratico coadiuvato da conoscenze scientifiche. Le sfaccettature e i vari casi, giocatore per giocatore, si imparano strada facendo.”
La preparazione atletica rischia, di questi tempi in maniera particolare, di diventare moda: “Ogni anno sembra ci sia un nuovo modo di allenare e tutti sembrano impazzire per quello; per fare un esempio, il modo di gestione della palla degli spagnoli negli anni scorsi sembrava qualcosa di rivoluzionario. Ci sono culture che permettono un determinato tipo di preparazione con il pallone mentre credo ci debbano essere esercitazioni in cui ci sia un certo bilanciamento: lavoro con la palla e a secco, soprattutto durante la preparazione precampionato. Far fatica aiuta a sopportare le difficoltà, anche nella testa”. La parte fisica è importante, ma non bisogna dimenticare l’aspetto mentale, molto rilevante al giorno d’oggi: “E’ una delle componenti più trascurate nel quale ci sono maggior margini di miglioramento: tanti la snobbano, considerandola una debolezza, invece penso che la nostra mente abbia un potere clamoroso che nei momenti più difficili dello sforzo fisico ti possa aiutare. Il celebre motto della Juventus “fino alla fine”, nel nostro ambiente si percepisce e i giocatori l’hanno fatto loro, te lo posso garantire.“
Folletti racconta come ha variato in questi anni di lavoro pur mantenendo sempre fede alla sua indole: “L’atteggiamento professionale è sempre quello dei tempi della Spal. Quando lavoro sono un professionista e mi piace che le cose vengano fatte in un certo modo, anche se con il tempo e grazie a Mr. Allegri e Marco Landucci ho imparato ad essere più elastico: se prima imponevo un dogma, ora attraverso il dialogo con l’atleta cerco la soluzione giusta”. La capacità nel comunicare con giocatori che hanno caratteri diversi l’ha appresa col tempo: “In questo mi hanno aiutato il dott. Pecciarini e il dott. Vercelli, due esperti di psicologia applicata allo sport (in particolare quest’ultimo ha seguito atleti olimpici) che mi hanno fatto conoscere modalità e punti di vista differenti per approcciare l’atleta. È un percorso molto personale, con un continuum tra i due mental coach (prima al Milan e ora alla Juventus) che serve a me per rapportarmi meglio coi giocatori che alleno. Abbiamo trovato insieme qualche via che ci ha aiutato a raggiungere obiettivi comuni coi giocatori: quest’anno ho cercato un rapporto più personale con ognuno di loro, soprattutto con chi è predisposto alla conoscenza e si dimostra recettivo e voglioso di capire il lavoro. Credo fermamente nell’individualizzazione dell’allenamento. In base alla mia esperienza propongo esercizi personalizzati a ogni giocatore sempre nel loro interesse pur non stravolgendo coloro che hanno una tabella di marcia prestabilita da tempo che da’ loro frutti.”
Non di rado però, la preparazione atletica viene messa alla prova da fattori esterni che fanno sì che non ci sia continuità di lavoro: “Se uno potesse scegliere, credo che la montagna sarebbe il luogo più adatto: le temperature di lavoro più miti riescono a far rendere meglio gli atleti visto che sono previsti doppi allenamenti ogni giorno. Purtroppo però, gli sponsor e le tournée all’estero (sempre finalizzate ad acquisire introiti) non sempre agevolano il nostro lavoro durante la preparazione estiva. Il nostro obiettivo è mantenere un livello prestativo medio-alto per tutto il periodo della stagione: quest’anno abbiamo avuto un trend sempre positivo, testimoniato anche dal fatto che siamo stati in testa al campionato dalla prima all’ultima giornata. Non abbiamo avuto momenti particolarmente difficili, se non un lieve calo a gennaio con qualche pareggio di troppo poiché volevamo mettere benzina nella gambe dato che da febbraio avremmo giocato ogni tre giorni: abbiamo chiesto sforzi extra ai ragazzi che hanno avuto la capacità di capire che quello era il momento giusto per faticare ancora di più se volevano raggiungere risultati notevoli. Hanno caratteristiche fisico-tecniche e mentali che li rendono di un altro livello. Ci sono ragazzi che venivano da realtà (Inghilterra e Spagna) secondo cui fare la preparazione fisica non era necessario: la soddisfazione più grande è stato vedere come loro si ricredessero riconoscendo che dal lavoro, e non solo dalla parte tecnica, si raggiungono i risultati. Se riesci a piantare il seme e far crescere la pianta del lavoro dentro di te, è quello che poi ti porterà a grandi risultati per sempre: tanti sforzi e sacrifici che poi ti portano a vincere come squadra e a formarti come giocatore di livello, togliendoti enormi soddisfazioni”.
Sforzi fisici che in alcuni casi e in altre società, sono stati agevolati da sostanze non consentite: “Il doping non è una leggenda, ci sono state persone incriminate e purtroppo è, o è stata, realtà. Nelle società in cui sono stato, sarò ingenuo, non ho mai avuto sentore che ci potessero essere pasticci di questo tipo. Il reintegro idro-alimentare è normale che venga attualizzato ma che io sappia, sempre dentro la normalità delle cose”.
Riprende: “Il lavoro metabolico, legato ad un lavoro di forza, è alla base di una buona preparazione fisica. Inoltre, come club distribuiamo programmi personalizzati per prepararci al meglio durante le vacanze: ciò è frutto del lavoro di varie aree che collaborano alla gestione dei calciatori, creando un rapporto di collaborazione e sintonia. Le quattro aree principali sono: la tecnico-tattica, la performance – che è quella di cui mi occupo io – l’area medica-nutrizionale e quella mentale. Se queste aree lavorassero a compartimenti stagni il meccanismo non funzionerebbe. Anche la dirigenza all’interno del club risulta molto presente in maniera costruttiva e ciò, dal mio punto di vista, è impagabile.”
Una condivisione che, specialmente con l’allenatore, ha portato i suoi frutti: “Con mister Allegri ci basta uno sguardo per capire cosa c’è che va o che non va, la fiducia è determinante per lavorare in modo sereno. È grazie a questa che si crea affettività e di conseguenza si rende meglio anche sul lavoro. Lui è il responsabile di tutti noi collaboratori, il confronto sui programmi di lavoro è quotidiano ed è proprio durante questi incontri che si decidono le esercitazioni ed i tempi dell’allenamento.
Non c’è stato feeling immediato al suo arrivo alla Spal. Ricordo un nostro incontro in ritiro a Casole Bruzio con lui febbricitante in stanza ed io (alla prima esperienza in una prima squadra professionista) che gli spiegavo il mio modo di lavorare: da lì è stato un crescere di stima e ammirazione reciproca. Vede sempre il lato positivo delle cose – anche quando sono molto negative – e ha sempre una parola per stemperare la situazione. Io, di contro, tendo a essere iper critico in ciò che affronto e ad abbattermi un po’ e quindi ci completiamo, motivo per cui ho scelto di seguire il mister mentre qualche altro collega si lega alla società (come Tognaccini al Milan e Sassi alla Juventus). Mi piace creare rapporti con le persone e siccome ci devo lavorare a stretto contatto, non è detto che trovi sempre una persona empatica: dal momento che penso di averla trovata e lui crede in me, sono contento di rimanere dove sono, al suo fianco.”
Particolarmente carico di emozioni è stato l’anno appena passato: “Parlando di quest’anno, non abbiamo né rimpianti né rammarico: è stata una stagione straordinaria, forse irripetibile, anche se nulla è impossibile… diciamo che sarà un’altra bella sfida! Aver creato una coscienza collettiva e la convinzione di potersela giocare con tutti alla pari è stato lo ‘step’ su cui abbiamo impostato la nostra cavalcata, specialmente in Champions. Max (Allegri, ndr) ha sempre dichiarato che le potenzialità della squadra c’erano ed era fermamente convinto che potessimo arrivare fino in fondo, pur essendo l’unico all’inizio!” – ride. “E’ stato intelligente nel cambiare mentalità e gioco a piccoli passi, rendendo cosciente la squadra della propria forza giorno dopo giorno: un percorso lungo dieci mesi – probabilmente ancora più bello perché così lungo – che ci ha portato alla finale di Berlino, passando per Dortmund, vero nodo cruciale della stagione, dove abbiamo preso fiducia e abbiamo capito di essere sulla strada giusta. La sua filosofia alla squadra è piaciuta e si è visto, portando accorgimenti tattici ad un gruppo già vincente che quest’anno si è superato”.
Pur lavorando lontano da casa e avendo scisso la passione sportiva (era un tifoso del Milan) dal lavoro, Folletti ci tiene a ricordare come la Spal e la città di Ferrara siano uno dei ricordi più belli: “La Spal è sempre stata nel mio cuore, andavo allo stadio in curva ovest da ragazzo. Nella prima squadra professionista che ho allenato, ho avuto la fortuna di incontrare Ranzani e poi successivamente Bozzao che mi hanno trasmesso la storia della nostra squadra nella nostra città. Mattioli e Colombarini (membri della presidenza attuale) sono venuti a trovarci a Vinovo e poi, per uno strano caso del destino, la squadra ha inanellato le vittorie che per poco non ci hanno portato ai playoff di B. E’ una società che lavora bene e credo che alla lunga potrà portare la squadra a raggiungere risultati fino ad ora insperati. Penso che la dimensione sportiva giusta per la Spal possa essere la serie B, ma mai porre limiti ai sogni… Abbiamo avuto un grande presidente come Mazza che ha cambiato la visione del calcio moderno con l’introduzione del concetto di centro sportivo e della foresteria annessa. Quando Bozzao, mi guardò negli occhi e mi disse ‘per me sei in gamba, vuoi rimanere con noi per tutta la stagione?’ mai ci fu regalo più grande.”
Il futuro però sembra essere lontano dal calcio italiano: “Mi è sempre piaciuto viaggiare, anche con le storie dei giocatori che alleno: è un modo diverso ma pur sempre interessante per farlo. Sono molto attratto dagli sport americani, da come vivono lo sport negli States: non mi dispiacerebbe fare un’esperienza là. Mi piace il loro modo di pensare e l’opportunità di emergere che sono riusciti a dare a tante persone. Tanto è vero che la scorsa primavera, durante il periodo successivo all’esonero dal Milan, ho passato più di un mese tra Washington, Nebraska, California e Louisiana a captare qualche segreto nelle Università più importanti e nei club (soprattutto di Nba) per poter integrare la mia visione dello sport ad una modalità di lavoro perfezionista come quella americana, dove la tecnologia è più che mai al servizio dell’uomo. Se il mister venisse chiamato da quelle parti lo seguirei al volo!”, dice soddisfatto.

Foto LaPresse, si ringrazia per gentile concessione.

SALUTE & BENESSERE
Pressione alta? Consigli e suggerimenti per tenerla d’occhio

Cerchiamo di andare oltre le solite considerazioni e diamo consigli utili: è certamente importante cambiare lo stile di vita e due aspetti fondamentali sono l’esercizio motorio e un miglioramento nell’alimentazione.
L’ipertensione si associa molto spesso al sovrappeso e quindi una dieta s’impone quasi sempre. Si calcola che ogni chilo perso abbassi la pressione di 1 mm Hg. L’obiettivo è il mantenimento di un indice di massa corporea (BMI o IMC) compreso tra 18,5 e 24,9 kg/m2. Tale valore si calcola dividendo il peso in kg del soggetto con il quadrato dell’altezza espressa in metri.
Per ogni 10 chili persi, si ha una riduzione della pressione, sia massima che minima, che varia dai 5 ai 20 mmHg.
In altri termini si può considerare una riduzione di 1mmHg della pressione per ogni kg perso. Per tenere sotto controllo l’ipertensione è molto importante controllare non solo il peso corporeo totale, ma anche altri parametri come la distribuzione del grasso corporeo. Per un iperteso il grasso più pericoloso è quello che si accumula nel ventre formando il pancione tipico del sesso maschile (obesità androide o viscerale). Se questo supera i 102 cm nei maschi e gli 88 per le femmine, si può generalmente parlare di obesità androide e di conseguenza, di elevato rischio cardiovascolare.
Altro ‘must’ è limitare il consumo degli alcolici, del caffè e il fumo, anzi sarebbe meglio smettere di fumare. Le sostanze contenute nel fumo di tabacco contribuiscono a irrigidire le arterie, causando danni ai vasi sanguigni, mentre la nicotina delle sigarette provoca il restringimento dei vasi sanguigni.

Suggerimenti per una corretta alimentazione
E’ opportuna una restrizione del sodio (sale) a 4/6 grammi al giorno, ottenibile evitando di aggiungere sale nella preparazione dei cibi e insaporendoli invece con aglio, cipolla, salvia, prezzemolo, basilico, rosmarino, limone; evitare i cibi conservati e l’uso di estratti o dadi. Eliminare i salumi, i formaggi stagionati e piccanti, i cibi conservati. Certamente l’uomo moderno consuma molto più sale del passato. Ad essere in eccesso non è tanto quello che si aggiunge all’insalata e alle normali pietanze, ma quello “occulto” che si nasconde nei cibi conservati o confezionati. Addirittura anche le merendine, i cereali del mattino e altri cibi dolci di tipo commerciale contengono spesso notevoli quantità di sale. Ufficialmente si consiglia un consumo giornaliero di non oltre 5-6 g di sale, corrispondente ad un cucchiaino, mentre molti di noi viaggiano tranquillamente sugli 8-10 grammi. Infatti sappiamo che oltre la metà del sale ingerito proviene da cibi preconfezionati dalle industrie. E comunque il palato del mondo occidentale si è talmente adattato al sapore del sale, che i consumi a testa possono addirittura superare i 10 grammi al giornalieri. L’ideale sarebbe fare il sale in casa: il comune sale da tavola contiene troppo sodio, che fa trattenere i liquidi, con conseguente gonfiamento dei vasi sanguigni e innalzamento della pressione. Basta preparare allora un mix per insaporire i cibi con il 65% di sale da tavola, il 25% di sale di potassio e il 10% di sale inglese: questo cocktail può permetterti di abbassare la pressione di 6 punti, assicura uno studio australiano.

Inoltre è opportuno un buon apporto di calcio che regola la ritenzione idrica, un buon apporto di potassio che si può facilmente integrare consumando più frutta fresca e verdure (anche surgelate) e che regola la ritenzione idrica. Solitamente più alti sono i livelli di potassio nelle urine e più bassa è la pressione. Le patate o le banane ad esempio contengono potassio, un minerale che aumenta la diuresi, favorendo l’eliminazione del sodio in eccesso. Diversi studi hanno dimostrato che non è tanto un eccesso di sale alimentare (cloruro di sodio) a favorire l’ipertensione, quanto uno squilibrio del rapporto potassio/sodio nella dieta. Esiste una correlazione inversa tra l’aumento della pressione arteriosa e l’assunzione di potassio o il rapporto di escrezione urinaria sodio/potassio.
Sembra sia utile assumere magnesio. Regola la ritenzione idrica. Questo minerale contribuisce a rilassare il tessuto liscio dei muscoli situati intorno ai vasi sanguigni, consentendo a questi ultimi di allargarsi. Se prendete del magnesio, assicuratevi di prendere anche del calcio, assumendo questi integratori a un intervallo di due ore l’uno dall’altro per favorirne l’assorbimento.

Il coenzima Q-10 gioca un ruolo fondamentale nella trasformazione dei nutrienti in energia. Ogni singola cellula nel corpo necessita di questo fattore, ma le cellule dei tessuti a maggiore consumo energetico ne hanno più bisogno, come quelle del fegato, dei reni, del pancreas e del cuore.
La vitamina D stimola il corpo ad eliminare più sodio. La vitamina C aiuta a mantenere sani i vasi sanguigni messi sotto sforzo dalla maggior pressione esercitata su di essi dall’ipertensione ed è fondamentale per la salute cardiovascolare.
I bioflavonoidi riducono le emorragie cerebrali che causano la morte nelle persone ipertese. Gli omega-3 sono grassi che contrastano l’ipertensione e riducono i rischi di aritmia cardiaca. Gli Omega-3 inibiscono nel corpo la produzione di sostanze come le prostaglandine che restringono le arterie. Potete anche prendere un cucchiaio di olio di semi di lino al giorno, disciolto nel succo di frutta o aggiunto al condimento per l’insalata. Anche il pesce come nasello e merluzzo ricco di acidi grassi Omega 6 contrasta gli accumuli aterosclerotici all’interno delle arterie.
Succo di pomodoro, una ricerca che dimostra come il licopene, un antiossidante contenuto nel pomodoro, piò abbassare di 10 punti la massima e di 4 la minima nel giro di soli due mesi. Ti fa schifo il succo di pomodoro? Puoi sempre spalmare il concentrato su crostini di pane integrale: contiene il triplo del licopene del pomodoro fresco. E’ antiossidante che si trova soprattutto nei pomodori e nell’anguria.
Anche l’acido folico è utile per chi soffre di ipertensione: si trova in alimenti come piselli, carne, fagioli, frutta fresca e secca, ortaggi specie a foglia verde, etc.
La lisina e prolina sono due amminoacidi che proteggono le pareti arteriose e prevengono al formazione delle placche aterosclerotiche. La sclerosi delle pareti è spesso intimamente correlata con l’ipertensione.
L’arginina è un amminoacido che facilita l’azione di una piccola molecola chiamata ossido d’azoto, capace di aumentare l’elasticità delle pareti arteriose e aiutare a normalizzare la pressione.
Diverse preparazioni di fermenti lattici hanno mostrato effetti positivi sulla pressione e sulla prevenzione cardiovascolare. Più in generale, il consumo regolare d’alimenti fermentati è di grande aiuto nella cura e nella prevenzione dell’ipertensione.
Fare il pieno di integrali: pasta, riso, pane e corn-flakes integrali sono ricchi di fibre che abbassano il colesterolo. Dopo 8 settimane una dieta ricca di fibre consente di abbassare di quasi 2 punti la pressione (secondo le ricerche, nelle persone che già soffrono di ipertensione l’effetto è ancora maggiore: la massima scende di 6 mm/Hg e la minima di 4).
E per concludere con i consigli alimentari, un paio di rimedi della nonna: si può assumere una dose di aglio essiccato equivalente a circa 4g di aglio fresco al giorno; abbondare con le cipolle, grazie al loro contenuto di quercitina (30/50 mg per etto); e infine gustarsi un buon vino può aumentare i livelli di omega-3: all’Università di Campobasso hanno appurato che 2 bicchieri al giorno, la concentrazione degli omega-3 aumenta. Il vino, in particolare quello rosso, fa dilatare i vasi sanguigni e quindi aiuta la pressione a scendere. Oltre i due bicchieri al giorno ottieni però l’effetto opposto.

L’importanza del movimento
Per quanto riguarda il movimento, praticare un’attività fisica moderata (passeggiate, bicicletta, nuoto) è l’ideale. Le attività aerobiche come la bicicletta, il nuoto, la corsa leggera, la ginnastica dolce allenano l’organismo senza sottoporre il cuore a uno sforzo eccessivo. Sconsigliati invece tutti gli sport di potenza, che favoriscono l’aumento della pressione. Camminare, fare escursioni, nuotare, andare in bicicletta e altri sport all’aperto sono ottimi, ma se fatti con regolarità, una volta ogni tanto serve a poco.

Il consiglio dei consigli: rilassarsi ed evitare lo stress
Praticare eventuali tecniche di rilassamento. Assicurare un numero sufficiente di ore di sonno (dormire meno di 6 ore al giorno aumenta del 10 per cento il rischio di ipertensione). Seguire con costanza la terapia farmacologica prescritta dal medico e controllare periodicamente la pressione arteriosa, mantenendo uno stretto contatto con il proprio medico curante.
Infine, cercate di trovare un po’ di tranquillità: interagire con animali, che si tratti di una passeggiata con il cane, accarezzare un gatto o il solo osservare una vasca con pesciolini, porta ad un abbassamento della pressione. Gli hobby divertenti come praticare il giardinaggio, suonare uno strumento musicale o ad es. ricamare, hanno effetti benefici. Evitare di andare in giro in automobile quando c’è troppo traffico per strada: è risaputo che guidare in condizioni di traffico intenso provoca affaticamento e aumenta il livello di stress.
Si sa che lo stress cronico produce un aumento di adrenalina che è un vasocostrittore, pertanto riduce la possibilità del vaso sanguigno di dilatarsi con conseguente aumento della pressione diastolica. Stress e tensione causano la contrazione delle pareti arteriose che rimpicciolisce le arterie. Molte persone si costringono a ritmi di vita eccessivi e di conseguenza diventano ipertesi. Queste persone devono imparare ad evitare condizioni stressanti cambiando il loro stile di vita. Dovrebbero mangiare in modo tranquillo e regolare, cercare di evitare le preoccupazioni, concedersi molto tempo libero, prendere vacanze e in generale, vivere con moderazione in tutti i campi. Dovrebbero anche trovare dei modi per mitigare lo stress prolungato delle emozioni non espresse. Alcune persone, a causa delle loro caratteristiche personali, reagiscono in modo eccessivo a situazioni emotive, causando aumenti di pressione più frequenti e che durano più a lungo. Se questo fenomeno non viene corretto può provocare un’ipertensione sostenuta.

Il consiglio dell’osteopata
Provare la tecnica cranio-sacrale, basta qualche seduta per fare precipitare di 18 punti la pressione sistolica e di 8 la diastolica. Ed è anche un vero toccasana per i muscoli affaticati da sport e palestra.

 

IL RICORDO
Boldini e De Pisis in Castello: tutto iniziò con Franco Farina

di Maria Paola Forlani

Le collezioni d’Arte moderna e contemporanea di Ferrara, artefici dell’attuale evento al Castello Estense, riportano alla memoria il fondatore di tale e prestigiosa struttura: Franco Farina, e ‘l’età dell’oro’ in cui Palazzo dei Diamanti, grazie a lui, fu riconosciuto tra i musei più importanti in tutto il mondo.
Al Castello Estense di Ferrara è stata allestita una sezione di capolavori di due grandi pittori ferraresi che sono stati protagonisti della scena artistica tra Ottocento e Novecento, Giovanni Boldini e Filippo De Pisis. Il monumento simbolo della città fa da cornice alle opere dei due artisti scelte dalle collezioni delle Gallerie d’arte moderna e contemporanea di Palazzo Massari a Ferrara.
“L’arte per l’arte. Il Castello Estense ospita Giovanni Boldini e Filippo de Pisis” è un evento che intende riconsegnare al pubblico il patrimonio rimasto celato in seguito al terremoto del 2012 e sottolineare il rilievo della pittura moderna ferrarese attraverso due figure di statura internazionale. L’obiettivo degli organizzatori è quello di far vivere i musei nonostante la chiusura della sede che li accoglieva. Più che una mostra, questo magnifico percorso di splendidi capolavori, diventa un allestimento semi-temporaneo che può essere visitato sino alla riapertura di Palazzo Massari, ora in corso di restauro.
Le sale, fastosamente decorate al piano nobile del Castello Estense e i celebri Camerini di Alfonso I, sono ora la sede temporanea di due percorsi monografici che raccontano la parabola creativa di Boldini e De Pisis. I musei ferraresi conservano, infatti, i più ricchi e completi fondi dei due artisti, documentando ogni aspetto della loro ricerca: olii, pastelli e acquarelli, studi e annotazioni di Boldini, e le opere depisisiane sono messe in dialogo secondo due linee di lettura che restituiscono un intenso ritratto della personalità artistiche dei due maestri.
Il percorso espositivo si sviluppa a partire dalle sale del Governo, della Devoluzione, dei Paesaggi e delle Geografie, con dipinti opere su carta e documenti appartenuti a Boldini, dando risalto al ruolo di spicco dell’artista nel rinnovamento della pittura italiana e internazionale. Innanzitutto le prove nella Firenze dei macchiaioli, invenzioni di sorprendente immediatezza come “Le sorelle Lascaraky”; poi la produzione successiva al trasferimento nella Parigi degli impressionisti, in cui spiccano brillanti evocazioni delle atmosfere della vita moderna – da “Notturno a Montmartre” alla “Cantante mondana” – testimoni del confronto con Degas; infine, le icone della ritrattistica – come il “Ritratto del piccolo Subercaseaux”, “Fuoco d’artificio”, “La passeggiata al Bois de Boulogne” o “La signora in rosa” – che sanciscono l’affermazione della cifra stilistica con cui Boldini si impone come protagonista incontestato di questo genere in Europa e oltreoceano. L’allestimento presenta, in un affascinante sequenza, i volti delle protagoniste della Belle Èpoque, da Rita Lydig alla contessa de Leusse a Olivia Concha de Fontecilla, e gli amici artisti, come Degas, Menzel e Whisler.
I Camerini, solitamente non aperti al pubblico, ospitano la seconda parte dell’allestimento, dedicata a un altro talento ferrarese attivo sul palcoscenico parigino. A raccontare il percorso creativo di De Pisis sono le opere che sono entrate a far parte della raccolta ferrarese soprattutto grazie all’attività della Fondazione Pianori e al generoso lascito di Manlio e Franca Malabotta. Aprono la narrazione preziose testimonianze del periodo giovanile, da Natura morta col martin pescatore, dipinta a Ferrara prima del trasferimento nella capitale francese, a “Le cipolle di Socrate”, rivelatore della riflessione di De Pisis su De Chirico e la pittura metafisica. Seguono i capolavori del periodo parigino che raccontano la nascita di un linguaggio altamente personale: pure invenzioni liriche, come le nature morte marine e
“Il gladiolo fulminato”, o trascrizioni pittoriche delle brucianti emozioni che l’esperienza della Ville lumiére procura al pittore, di cui un esempio è “Strada di Parigi”. Il cerchio si chiude con la produzione successiva al rientro in Italia: penetranti effigi maschili come il “Ritratto di Allegro” e poi i commoventi capolavori dell’ultima stagione – “La rosa nella bottiglia” e “Natura morta con calamaio” – nei quali la poesia delle immagini si spoglia fino all’essenziale.
Un altro fondamentale apporto alla valorizzazione del patrimonio delle Gallerie d’Arte moderna e contemporanea è, infine, offerto dalla pubblicazione dell’edizione critica della corrispondenza boldiniana conservata presso il Museo Giovanni Boldini a cura di Barbara Guidi, che rappresenta un prezioso strumento scientifico per l’evoluzione degli studi del pittore ferrarese. Quello che succederà a questo patrimonio d’arte ferrarese, la loro permanenza nel Castello Estense, lo spostamento della Pinacoteca Nazionale è tutto da vedere…

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Franco Farina con Don Franco Patruno ad una mostra al Palazzo dei Diamanti

Ma questo omaggio alle raccolte dei Musei d’arte moderna e contemporanea, permette di rammentare il fondatore e l’artefice di questa importante struttura: Franco Farina, indimenticabile direttore ed operatore culturale. Scriveva sull’Osservatore Romano del 1, marzo 2000, Franco Patruno: “Ricordo ancora l’affollamento, nella trecentesca Casa Romei, alla prima delle grandi rassegne promosse da Franco Farina: era il 1963 e nel mirabile Palazzo dei Diamanti, vera perla quattrocentesca di Biagio Rossetti, si stavano svolgendo lavori di ripulitura interna per rendere funzionali ed agibili gli spazi per future mostre […]. La mostra era quella di Giovanni Boldini, non a caso un ferrarese sprovincializzato.”

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Andy Warhol e Liza Minelli a Palazzo Diamanti nel ’75 per l’apertura della mostra ‘Ladies and Gentleman’ curata da Franco Farina.

Fu proprio Franco Farina a raccogliere il patrimonio boldiniano ed a iniziare un fulgente caleidoscopio di mostre ed eventi indimenticabili. Palazzo Massari, quando gli fu affidato, lo restaurò lui stesso con un collaboratore interno (il pittore Giovanni Bandiera) trasformandolo in struttura “polivalente” per ospitare mostre ed eventi di “genere”. Tutto questo non va dimenticato, Palazzo dei Diamanti, a quel tempo, era diventato un museo dinamico noto in tutto il mondo come il “Beaubourg” di Parigi.

Non sarà facile ritornare agli antichi splendori, soprattutto per le attuali difficoltà economiche nel mondo dell’arte, ma quella prassi di aperture a tutti i linguaggi, a tutte le correnti, all’accoglienza di artisti e di giovani attenti al mondo della cultura e della ricerca spero possa ritornare un giorno, proprio come lo aveva ipotizzato e realizzato Franco Farina, in “quella età dell’oro estense” in cui “L’Arte per l’Arte” non era solo un motto o una sigla, ma segno di amore e solidarietà e che la città di Ferrara ha vissuto grazie ad una persona illuminata come questo “grande maestro”, carico di umanità.

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RIFLETTENDO
Crisi greca: tra vendetta punitiva e enfasi retorica

Nella vita, sarà capitato a tutti di notarlo, certe parti in commedia sono più agevoli di altre, ci si cala in un attimo e con grande con facilità nel personaggio con la recitazione che immediatamente esce fluida e naturale, quasi senza bisogno di leggere il copione. Altre invece sono tremendamente più difficili e si preferirebbe lasciarle ad altri. D’altra parte siamo un popolo di commedianti e da noi la recita a soggetto è un elemento caratterizzante dell’identità nazionale, tant’è che neanche i grandi attori la disdegnano quando capita, in cui ognuno oltre a quello che pensa di questo o di quell’argomento mette in mostra se stesso, per quello che è o, soprattutto, vorrebbe essere. I personaggi sono più o meno quelli classici: il tipo sempre pronto a menare le mani, il presuntuoso Balanzone di turno, i servi più o meno sciocchi, i cavalieri senza paura e senza macchia. Nel dibattito andato in scena nei social network sulla crisi greca, tema per sua natura carico di suggestioni, li abbiamo visti tutti: schierati sia da una parte che dall’altra, ognuno vestendo i panni della propria maschera, ingaggiare lotte senza quartiere ed esclusione di colpi coi nemici.
Alcuni ruoli si addicono a ciascuno di noi meglio di altri: in questo caso sparare ad alzo zero contro l’egoismo cieco dei più ricchi, la rapacità dei banchieri e la grettezza e la scarsa lungimiranza dei politici, descrivendo a tinte forti le condizioni di disagio in cui vive una parte del popolo greco, è una parte in cui molti si sono calati; spesso anche a ragione, finché almeno non venivano superati i limiti del buon senso. Perché è fuor di dubbio che le condizioni imposte alla Grecia, forse più ancora nella forma che non nella sostanza, hanno in sé una valenza punitiva del tutto ingiustificata, che va persino oltre la logica spietata degli affari: una sorta di vendetta compiaciuta da parte delle formiche operose sulle cicale irriverenti e scialacquatrici.
C’è tuttavia nel repertorio della nostra commedia anche la figura del bastian contrario, colui cioè che spesso per solo puntiglio, ma altre volte con piena ragione (almeno così capita nelle storie), contrasta il punto di vista prevalente e ne mette in luce le contraddizioni. Devo dire che da un po’ trovo che quel ruolo mi si addica, più di quello del capitan Fracassa o del Balanzone, che semmai in altre fasi della vita mi hanno attratto maggiormente. Senilità incipiente, dirà qualcuno brandendo una clava e forse non del tutto a torto. Però se è pur da esecrare l’insensibilità delle formiche, oltretutto fin troppo attente a curare i propri interessi, è necessario che anche le cicale ammettano senza infingimenti che con il loro stile di vita non si passa l’inverno. Che le riforme vanno fatte, non solo perché lo chiedono i creditori, ma perché altrimenti non si costruisce una società moderna. Vanno perciò non solo sfamate, ma anche aiutate a mutare le loro abitudini per quel tanto che è necessario a non dover contare in eterno sulla pubblica carità, che è il nome che dopo un po’ assume la solidarietà nei confronti di chi non fa nulla per aiutarsi.
C’è invece chi, forse preso dalla foga e dall’enfasi retorica, è sembrato considerare il sistema greco quasi come un esempio ed un modello virtuoso da difendere di fronte agli attacchi della bieca finanza neoliberista. Un sistema, ricordiamolo, che è la causa principale di una situazione economica insostenibile: debito pubblico alle stelle, pubblica amministrazione inefficiente ed ipertrofica, legislazione fiscale incongrua, welfare e sanità sperequati. Il tutto in un contesto caratterizzato da un’industria quasi inesistente, un’agricoltura spesso arretrata ed un turismo sì sviluppato, ma che grazie alla fiscalità di favore ed all’evasione non contribuisce quanto potrebbe alle casse pubbliche.
E’ però fuor di dubbio che in tutto questo l’Europa ha brillato per la propria assenza, priva com’è di strutture istituzionali in grado di assumere decisioni sulle questioni più importanti. Se il Parlamento europeo non ha avuto modo di esprimersi sulla vicenda greca e se la Commissione ha svolto un semplice ruolo da notaio, ciò non è dovuto ad un golpe messo in atto da Angela Merkel e dal suo luciferino ministro dell’economia, ma al semplice fatto che questi organismi non hanno praticamente alcuna voce in capitolo. Se non si scioglie questo nodo, riprendendo cioè le fila del processo di integrazione politica interrotto dalla bocciatura nel 2005 della bozza di costituzione europea, è ben difficile poter immaginare da parte dei governi europei e, soprattutto, dei partiti che li sostengono comportamenti che non siano condizionati pesantemente dalle loro ripercussioni nella politica interna dei rispettivi Paesi. In una fase come quella attuale che vede una crescita impetuosa un po’ in tutta Europa di movimenti e partiti anti Ue e anti euro e con elezioni alle porte in alcuni paesi era ragionevolmente difficile aspettarsi qualcosa di diverso. Se c’è tuttavia un piccolo risvolto positivo in questa vicenda è che questa necessità sia stata toccata con mano anche da chi fino a ieri riteneva che il mercato e gli accordi di Maastricht fossero sufficienti per governare l’Europa.
Nota a margine. Bisogna smettere di addebitare determinate scelte “ai tedeschi” e non al governo che regge la Germania in questo momento. La differenza non è da poco e sarebbe meglio che, al contrario di quanto è successo in questi giorni, non si manifestassero altri rigurgiti di astio anti-tedesco: rinfocolare l’odio fra i popoli in Europa non credo faccia bene a nessuno. Oltretutto, ci sono milioni di tedeschi che disapprovano il comportamento del loro governo.

ECOLOGICAMENTE
Islam e ambiente: sguardo ai principi

Dalle statistiche attuali, l’Islam è sicuramente una delle religioni più professata al mondo. Se ne parla tanto ma non si evidenziano abbastanza i suoi insegnamenti positivi.
E ora che anche papa Francesco ha toccato il tema, perché non guardare anche da un’altra parte, per capire come, in fondo, tutte le religioni abbiano a cuore lo stesso bene comune.
Ci pareva, pertanto, interessante capire un po’ di più il legame fra Islam e Natura, che ricopre un ruolo sempre di maggior rilievo, per crescita e sviluppo. Nella visione dell’Islam, il termine ambiente non si riferisce solo alla definizione ‘popolare’ del termine, come insieme di organismi viventi e fenomeni naturali, ma comprende anche gli esseri umani. Non vi è, infatti, alcuna ragione per escludere questi ultimi, essendo essi non solo parte integrante dell’ambiente ma anche uno dei suoi elementi principali. Il benessere dell’ambiente dipende dal benessere spirituale dell’essere umano e la sua degradazione costituisce la diretta conseguenza dell’incapacità dell’uomo di coltivare la propria componente spirituale, intellettuale e fisica. Dio ha conferito piena fiducia all’essere umano assegnandogli la missione di prendersi cura, in Sua vece, dell’umanità stessa oltre che delle Sue creature. Se l’Uomo ha, quindi, il diritto di godere della terra e delle sue risorse (Corano 45:13 e 6:142), natura e animali, in quanto dono di Dio, vanno tuttavia rispettati e preservati, senza sfruttare gli altri o le generazioni future. L’universo è un bellissimo, variopinto e ricco libro aperto da rispettare nel leggerlo e sfogliarlo. Dio ha nominato e indicato all’umanità di agire come suo rappresentante e guardiano dei diritti universali (“E quando disse il tuo Signore: Io porrò sulla terra un mio vicario”, Corano II:30). La dimensione spirituale dell’ambiente è davvero forte.
La visione islamica di come sviluppare ecologicamente il mondo può essere articolata su due diversi, ma inter-relazionati, livelli. Il primo riguarda la visione che descrive la relazione tra Uomo, mondo e Dio. Il secondo è rappresentato dal quadro legale che regola la relazione fra Uomo e ambiente, da un lato, e fra Uomo e Creatore, dall’altro.
Partendo da tali elementi, proviamo a esaminare alcune regole islamiche dettate per “come lavorare con gli altri al fine di mantenere un ambiente sano condiviso”. Amare il Creato come pura espressione dell’amore divino è, e deve restare, la prima regola di ogni essere umano. I disastri ecologici sono il frutto della disobbedienza alle leggi di Dio e colpiscono tutti gli uomini senza distinzioni.

La missione dell’uomo come vicario divino: diritti e doveri verso l’ambiente
La responsabilità principale dell’Uomo resta quella di prendersi cura dell’universo e di mantenerlo, come parte integrante di esso. Il fatto che il mondo sia stato messo a disposizione dell’Uomo per avvantaggiarsene comporta anche, e soprattutto, la necessità di collaborazione fra gli esseri umani, perché a tutti è riconosciuto il diritto di sussistenza, in dignità e rispetto reciproci. L’essere umano ha l’obbligo di conservare l’universo tanto quantitativamente che qualitativamente.
Il diritto islamico indirizza la relazione tra essere umani e ambiente sullo stesso binario di diritti e doveri. Così come obbliga a conservare l’ambiente e a condividerlo con gli altri, garantisce a ognuno il diritto di risiedere in una zona pulita e bella dove vivere in pace e dignità. Ognuno resta libero di usare un ragionamento indipendente (ijtihad) per promuovere il benessere generale, basta seguire corretti principi ed applicarli nella vita quotidiana. Alcune indicazioni precise sono rivolte ad acqua, aria, terra e suolo, piante ed animali. “Ogni essere vivente proviene dall’acqua” (Corano 21:30): piante, animali ed essere umani dipendono da essa per la propria esistenza e la continuazione della loro vita. Dio ha creato la terra, ha mandato l’acqua giù dal cielo, per nutrire gli esseri umani, cosi come gli ha permesso di navigare mari e fiumi (Corano 14:32). Oltre ad una funzione vitale, l’acqua ha evidentemente anche un importante ruolo socio-religioso nella purificazione del corpo e del vestiario dalle impurità esterne. La conservazione della risorsa idrica, come elemento vitale, resta, senza dubbio, fondamentale per la preservazione e la continuazione della vita nelle sue varie forme, vegetale, animale ed umana. E’ quindi un obbligo, nel diritto islamico. Ogni azione che danneggi la funzione vitale, biologica e sociale, di tale elemento, va dunque condannata. Riconoscendo l’importanza dell’acqua come base della vita, Dio ne ha indicato l’uso come diritto comune di tutti gli esseri viventi. Un diritto inalienabile, irriconoscibile e libero.
L’elemento aria non è meno importante dell’acqua nella perpetuazione e preservazione della vita umana, animale e vegetale. Tutte le creature terrestri dipendono, infatti, dall’aria che respirano. Anche i venti hanno un ruolo fondamentale come “fertilizzanti”, nel loro ruolo nell’impollinazione (Corano 15:22). L’atmosfera pulita, in generale, occupa un posto di tutto rilievo nella conservazione della vita.
La terra ed il suolo, poi, sono essenziali per la sopravvivenza delle specie, creata per esse (Corano 55:10). Piante ed animali, infine, garantiscono la sopravvivenza. Piantare un albero e dare da mangiare attraverso i suoi frutti a un essere vivente è importante per un musulmano, poiché ridare vita alla natura significa valorizzare e proteggere ciò che Dio ci ha donato. Piantare un albero è considerata opera meritoria. Le piante, oltre a costituire fonte di nutrimento, contribuiscono all’arricchimento del suolo ed alla protezione dall’erosione di vento ed acqua. Hanno un valore immenso anche come medicinale, profumo, fibra e carburante. Gli animali contribuiscono a sussistenza di piante ed esseri umani. Contribuiscono all’atmosfera tramite il loro respiro, i loro movimenti migratori contribuiscono alla distribuzione delle piante, costituiscono cibo e forniscono all’uomo pelle, lana, carne, latte e miele. “Non vi sono bestie sulla terra né uccelli che volino con le ali nel cielo che non formino delle comunità come voi” (Corano 6:38).

Protezione dell’ambiente dagli impatti umani
Abbiamo percorso rapidamente alcuni passaggi principali dei testi sacri islamici che evidenziano l’importanza dell’ambiente nella preservazione delle generazioni presenti e future, il suo ruolo vitale in generale. Vedremo ora quali principi l’Islam prevede per la protezione dell’ambiente e dell’uomo dagli impatti di fattori esterni quali prodotti chimici e rifiuti. Danni di ogni tipo e forma sono proibiti, come principio generale. Rifiuti e sostanze pericolose, risultanti da attività umane o industriali ordinarie, devono essere trattati o eliminati con massima attenzione e cura, per garantire protezione adeguata dell’ambiente e dell’uomo dagli effetti pericolosi. Ri-uso dei beni e riciclaggio di materiali e rifiuti vanno altresì incoraggiati. Stessi principi si applicano ai pesticidi, inclusi insetticidi ed erbicidi. Riduzione e minimizzazione dei rumori vanno altresì incoraggiati, così come la prevenzione volta a ridurre gli impatti delle catastrofi naturali, quali alluvioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, uragani, desertificazione, infestazioni ed epidemie. Si pensi solo che secondo la Carta delle nazioni islamiche del 1992, la proprietà è definita come “una funzione che può essere utilizzata solo per il bene e l’interesse della collettività” e che essa “non deve nuocere al prossimo”.

Principi, politiche e istituzioni di diritto islamico a garanzia della protezione ambientale
Se la responsabilità ultima di un’azione corretta verso la preservazione dell’ambiente risiede nel singolo individuo poiché ultimo responsabile della propria condotta di fronte a Dio, le autorità hanno evidentemente un ruolo fondamentale nell’assicurare il benessere comune e nel ridurre danni e impatti negativi sull’ambiente. Si tratta anzi di uno dei loro doveri principali. I limiti di tale interferenza sono stabiliti con precisione dal principio per cui la gestione degli affari è regolata dal bene comune. Tutte le azioni sono valutate in termini di conseguenze come beni sociali e benefici (masalih) o come danni sociali (mafasid). Pianificatori e amministratori devono sempre puntare al bene comune universale di tutti gli esseri viventi, cercando quindi di armonizzare gli interessi di tutti. Ove questo non sia possibile, e nella realtà è facile che sia così, il bene comune richiede una valutazione e una prioritizzazione che deriva dal pesare il benessere del maggior numero di persone, l’importanza e l’urgenza dei vari interessi coinvolti, la certezza o la probabilità del beneficio o del danno. Beni o interessi sociali vanno valutati secondo loro necessità ed urgenza. Vi sono necessità (daruriyat) che sono assolutamente indispensabili per preservare la religione, la vita, la posterità, la proprietà; bisogni (hajiyat) che se non assicurati comportano difficoltà e disagio, e bisogni supplementari (tahsiniyat) che coinvolgono il perfezionamento dell’etica. Nella conservazione dell’ambiente, le autorità governative devono essere impegnate nella prevenzione dei danni e nel loro rimedio.

Conclusioni
La conservazione dell’ambiente è un imperativo comandato nell’Islam. La legge divina considera la natura come un elemento fondamentale della vita umana e non. Si tratta d’indicazione morale ed etica imprescindibile e di valore assoluto. Un’indicazione forte. In tale prospettiva, va assicurata un’attenzione massima alle problematiche ambientali e al rispetto della natura, in un’ottica di vero e proprio sviluppo sostenibile. Purtroppo in numerosi paesi, anche perché colpiti da guerre e povertà molto impegno resta da assicurare e da condividere, per tutti.

L’OPINIONE
I falchi della Troika umiliano la Grecia

Alcune considerazioni del giorno dopo…
1) L’accordo è bruttissimo. Il punto politico più grave è il ritorno della Troika ad Atene riducendo la Grecia ad un Paese sotto amministrazione controllata.
2) Nel documento sono scritte condizioni durissime che la Grecia deve accettare per accedere ad un nuovo programma di ‘aiuti’. Non mancano cadute nel ridicolo, come la richiesta di approvare in tre giorni un nuovo codice di procedura civile e far fronte alla crisi con l’apertura dei negozi la domenica e la liberalizzazione di panetterie e latterie…
3) Sono previste alcune misure che dovrebbero permettere all’economia greca di evitare il collasso. 4) Sei mesi di trattative non vanno considerati passati invano. Alcune verità scomode devono essere guardate in faccia senza abbellimenti retorici o autoconsolatori. Innanzitutto, l’Unione europea non esiste come federazione di Stati guidati da una concertazione politica democratica. Essa è dominata in modo assoluto dalla classe dirigente tedesca che “…punisce con il ferro e il fuoco le province ribelli…”. Inoltre, è tutta da costruire un’altra Europa politica ed economica. Il compito è difficile e non garantito. Servono nuovi soggetti politici (Podemos, Syriza ecc.) e un cambiamento di quelli vecchi (innanzitutto il Pse se è ancora in tempo e se è in grado di realizzarlo…). Le ‘nuove’ forze devono mettere al bando demagogie, promesse velleitarie, populismi che ‘saltano’ i nodi da sciogliere (rapporti di forza, analisi delle condizioni reali del proprio paese ecc.). Se non lo fanno, i ‘nodi’ si aggiungono alla corda sempre pronta degli avversari per ‘impiccare’ la vittima…
5) Infine un auspicio. Se l’obbiettivo politico perseguito dai ‘falchi’ alla Schauble è stato fin dall’inizio quello di cacciare la Grecia dall’Ue, speriamo che gli inevitabili e fondati dissensi presenti dentro Syriza non scoppino al punto da far saltare il governo di Tsipras…Se ciò accadesse, allora sì che il piano tedesco sarebbe totalmente realizzato. A proposito della Germania. Ha voluto stravincere. Ma la sua immagine ne esce male. L’arroganza, la prepotenza, il sadismo con cui ha voluto umiliare un Paese scassatissimo e in ginocchio non è detto che sia stata una mossa di lungimirante saggezza politica. Vedremo..

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Fahrenheit 451 in laguna

Cosa ha nel cervello chi pensa di togliere i libri ai bambini? Crescessero tra i libri, familiarizzassero subito con la lettura! Ormai è risaputo che da qui inizia il successo, la riuscita, l’amore per lo studio, la curiosità, la marcia in più nella vita di tutte le bambine e i bambini. Ma c’è ancora qualcuno che ritiene tutto ciò pericoloso. Ci sono gli adulti con la dittatura dei loro costrutti mentali, dei loro pensieri che anziché affiancare, accompagnare la libertà e l’autonomia dei piccoli, tagliano, proibiscono, vietano, censurano. Così a Venezia il novello sindaco, tutore premuroso dell’infanzia della laguna, mette in scena una nuova edizione di Fahrenheit 451 contro quella parte di letteratura per l’infanzia sospettata di plasmare subdolamente le innocenti menti infantili alle eretiche teorie gender, perché, dice, sono questioni di cui si devono occupare le famiglie e non le scuole. Scuole culturalmente asettiche, dunque. E allora cosa ci sta a fare l’insegnamento della religione cattolica impartito, nella scuola dell’infanzia come in quella elementare, per ben due ore settimanali “in conformità alla dottrina della Chiesa da insegnanti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica”? Non è anche questo affare che riguarda la famiglia e non la scuola, per di più pubblica e aconfessionale? E potremmo continuare con la lista.
È preoccupante che comportamenti come quello del sindaco di Venezia, che non è il primo e neppure l’unico, vengano approcciati come una sorta di folklorismo, anziché per la gravità che in se stessi costituiscono. Sono tante lacerazioni al nostro tessuto sociale, alla democrazia, alla nostra Costituzione, in particolare al suo articolo tre. Ma preoccupa ancora di più l’assenza di anticorpi nella nostra democrazia, che nessuna autorità, a partire dal ministro che dovrebbe garantire la laicità dell’istruzione pubblica, sia intervenuta a ripristinare il diritto di tutti a non subire censure sulla base dell’ideologia di alcuni o delle promesse elettorali di un sindaco.
Se è questa la partecipazione che i genitori vogliono nella scuola, si preparano duri tempi di oscurantismo. Per favore lontano i genitori e tutti quelli che intendono condizionare la scuola pubblica, difendiamola dalle intemperanze di questo o quel sindaco, oltre che della politica.
L’istruzione è una cosa seria, in particolar modo a partire dai primi anni di vita, per cui non può essere impunemente sbatacchiata a destra e a sinistra come un oggetto qualsiasi, smettiamola di giocare sulla testa dei bambini che tutto hanno in mente fuorché le nostre farneticazioni ideologiche, i nostri pruriti morali per il colore blu e giallo che diventano verde del capolavoro di Leo Lionni. Dove sono i professionisti dell’istruzione calpestati dall’ignoranza imbecille di un sindaco a difendere la loro professionalità? Dov’è la buona scuola? Se questo è il clima cosa si potrà mai costruire nel nostro Paese?
Perché tutto questo? Perché l’educazione da sempre è potere, è controllo sulle persone. L’educazione, così come pensata e strutturata oggi, è quella che consente al sindaco di Venezia di censurare i libri nelle scuole dell’infanzia, perché è il prodotto di un’ideologia e non solo la conseguenza di una incompetenza politica. Per questo non si riesce a ripensare l’educazione, perché nessuno vuole riformarne per davvero i sistemi.
Il comportamento del sindaco di Venezia è funzionale all’obiettivo, perseguito dalla maggior parte dei sistemi pedagogici, di far interiorizzare fin da piccoli le sole norme e credenze utili a radicare una coscienza conforme al modello di struttura sociale che si vuole. Pensare invece di educare ad essere padroni di se stessi, in questo contesto ideologico sarebbe dirompente, deviante, foriero di anarchie, disordini sociali e morali. Essere padroni di se stessi è molto pericoloso, perché vuol dire essere padroni delle proprie convinzioni e delle proprie azioni, sottratte al controllo di ogni indottrinamento religioso, ideologico, politico. A nulla servono la libertà politica e l’uguaglianza di fronte alla legge, se poi le azioni di un individuo sono guidate da un’autorità interiorizzata alla quale non si può sfuggire, prodotta da un’imposizione morale di origine religiosa, dal tipo di istruzione o dal processo educativo fin dall’infanzia. L’idea d’essere padroni di se stessi, che è il compito di ogni educazione, ha radici lontane nella cultura razionalista dell’Illuminismo, è proprio ciò che gente come il sindaco di Venezia e altri cattolici come lui considerano l’origine di ogni male.
Attenti a lasciar correre o sottovalutare scelte politiche così gravi come quella di censurare i libri a partire dai piccoli, perché poco per volta si moltiplicheranno le luci da spegnere, fino ad oscurare la vita presente e futura dei nostri giovani, e non solo.

GIARDINI&PAESAGGI
Manutenzione del Verginese.
Considerazioni in ordine sparso

Alcune settimane fa, in occasione di un concerto alla Delizia del Verginese, ne ho approfittato per fare un giro nel giardino. Lo conosco abbastanza bene e in più di un’occasione l’ho usato come esempio per mostrare come le intenzioni di un buon progetto sulla carta, nella realtà, possano cambiare e diventare altro. Il nocciolo della questione è sempre lo stesso: la manutenzione. E qui apro la solita parentesi che ripeterò fino alla sfinimento. Un giardino, di qualsiasi forma e dimensione, pubblico o privato che sia, può essere progettato dal miglior paesaggista sulla piazza, ma chi fa il giardino è chi lo cura quotidianamente, cioè il giardiniere. Oggi è molto di moda improvvisarsi giardinieri, il giardino piace, è trendy, sembra la soluzione ottimale per far risorgere ogni spazio dimenticato, non importa se quel luogo con il verde non ci azzecca, basta piantare un albero e tutto per magia si “valorizza” e rinasce a nuova vita. Se poi ci mettiamo dentro un po’ di pomodori e di erbe aromatiche, mescolate ad un po’ di partecipazione, l’insalata è servita. Quasi ogni giorno leggo di iniziative bellissime, in cui persone a vario titolo, mettono sulla carta progetti per riqualificare spazi vuoti dimenticati e risulte urbane attraverso la creazione di aiuole e altre tipologie di arredo vegetale. Ormai nessuno mi chiede pareri o consulenze a riguardo, perché a nessuno piace sentirsi fare le fatidiche domande: chi farà la manutenzione? chi la pagherà? chi si prenderà l’incarico di curare queste piante quando l’entusiasmo dei volontari andrà a farsi benedire distratto da altri richiami, o semplicemente perché impegnato dal lavoro e dalla famiglia? Sembra che la cosa più importante sia partire, agire, piantare, inverdire, far fiorire, come se tutto questo spuntasse come un fungo dopo un temporale e soprattutto, si mantenesse per magia.
Al Verginese è successa la stessa cosa. Un buon progetto che non ha valutato pienamente gli effetti di una manutenzione a singhiozzo. Meglio il Parco Urbano, che nel tempo ha saputo crescere bene proprio perché aveva un impianto di base semplicissimo (molto criticato all’inizio, come spoglio, povero, ecc.) con la possibilità di essere mantenuto con interventi di manutenzione banali: annaffiature, sfalcio, potatura di controllo periodica delle siepi. Questo è quello che ci possiamo permettere. Possiamo mettere una scimmia sub-sub-sub appaltata sul trattorino e l’erba verrà tagliata.
Quante volte prima di inserire una nuova pianta in un progetto, ho pensato allo sconforto di Ada Segre, quando vide che le sue piantagioni di papaveri ornamentali, che dovevano colorare la base dei rosai prima della fioritura di maggio, erano state eliminate come erbacce dal giardiniere di turno, una persona che non avendo avuto le sue istruzioni, aveva agito secondo le regole del giardinaggio agricolo: i papaveri sono erbacce da togliere e sotto i rosai si fa terra bruciata. Lo stesso discorso vale per le bordure di perenni che circondavano le superfici a prato. Sono state pensate con varietà rustiche, ma per dare il massimo delle fioritura bisogna conoscerle, cimarle al momento giusto, togliere il secco, diradarle in tempi diversi, insomma si possono arrangiare, ma nel tempo, ci saranno quelle che prenderanno il sopravvento su altre o alla peggio, scompariranno. Il giardino del Verginese è stato inaugurato il 12 maggio del 2006, e del progetto originale rimane poco, purtroppo nessuno ci insegna a vedere i giardini, ci limitiamo a guardare, e siamo così abituati ai progetti non finiti e ai naufragi delle buone intenzioni, che un giardino, che nelle giornate di sole fa ancora la sua figura davanti alla macchina fotografica, ci sembra una cosa stratosferica. Se ad ogni stagione i giardinieri cambiano, tutte le conoscenze acquisite vanno perdute e si ricomincia daccapo, e non c’è niente di più triste che perdere le conoscenze basate sull’esperienza. Per la cura di ogni giardino, e sottolineo, per ogni spazio verde pubblico, dovrebbe essere obbligatorio un riferimento costante, una persona, o meglio ancora un gruppo di persone, responsabili, pagate e preparate, in grado di seguire la storia del giardino in modo continuativo, e in grado di fornire tutte le indicazioni necessarie a quelli che faranno la manutenzione in modo saltuario. Sicuramente ci sarà qualche avveniristica app che illude di poter risolvere tutti i problemi, ma per i giardini non funziona, quindi prima di partire con progetti, anche solo prima di farsi venire delle idee di riqualificazione “verde” ovunque e comunque, sarebbe il caso di poter contare su una risposta vera, non su promesse, per la manutenzione, altrimenti si fanno dei voli, bellissimi sogni destinati a fallire.

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Mi rivolgo a te. A te che ci leggi e ci conosci. A te che apprezzi il nostro lavoro. A te che ritieni che l’indipendenza e la libertà di stampa siano valori preziosi da praticare e difendere. A te che ci hai incontrato, che ci hai scritto, che hai partecipato alle nostre iniziative… Questo giornale si regge sul volontariato, ma vuole ora strutturarsi e diventare una realtà solida e stabile. Il punto di partenza è il lavoro svolto finora. Due mesi fa abbiamo avviato una raccolta di fondi per favorire la costituzione di una cooperativa di gestione e l’acquisizione di una sede redazionale che immaginiamo come luogo di produzione giornalistica e al tempo stesso di incontro e di confronto con i nostri lettori. Cioè con te. Manca un mese al termine del crowdfunding, il cui esito rappresenta per noi una fondamentale opportunità e insieme un banco di prova del tangibile interesse dei lettori per il lavoro che svolgiamo. In tanti hanno già aderito, abbiamo raccolto finora la metà della cifra necessaria. Per arrivare al traguardo serve ora uno slancio decisivo. Diversamente tutto lo sforzo prodotto risulterà inutile, l’impegno dei sostenitori sarà vanificato e le somme versate verranno restituite ai donatori. Ecco perché abbiamo bisogno di te per il buon esito dell’operazione. E allora aderisci anche tu, contribuisci al mantenimento e al consolidamento di Ferraraitalia. Donare è semplice. Per versare il tuo contributo apri questo link [clic qua]. Se dovessi avere difficoltà per il pagamento on-line scrivici a interventi@ferraraitalia.it e ti diremo come fare. Ci conto. Ci contiamo tutti.

LA SEGNALAZIONE
Invisibile in mostra. Profumi tra storia e chimica

Mostrare l’invisibile: profumi, essenze, sensazioni. E’ quello che vuole fare “Stazioni olfattive”. Ma cos’è che si va a vedere, sentire, annusare? Lo spiega il sottotitolo dell’esposizione, a Ferrara nel palazzo Turchi di Bagno, proprio di fronte a palazzo dei Diamanti, sede della facoltà universitaria di Biologia. L’esposizione è descritta con un elenco che sembra la formula di un alchimista, fatta di “benzoino, cannella, zibetto e ambracane”. In mostra – oltre a resina, spezie e frutti – ci sono bei vasi da farmacia decorati con la tecnica del graffito estense: sono gli albarelli, ovvero i recipienti usati per contenere spezie e preparazioni erboristiche e medicinali. Altri scaffali mostrano antiche scatole per cosmetici, cipria e sapone; poi bottiglie; e pannelli con la storia del profumo.

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I vasi delle “stazioni olfattive” (foto Giorgia Mazzotti)
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Contenitori per essenze in mostra (foto Giorgia Mazzotti)
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Scatole per cosmetici d’epoca (foto Giorgia Mazzotti)
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Il famoso “naso” Pierre Bourdon alla mostra

Nei musei, di solito, ti dicono di non toccare. Qui, invece, devi farlo. Sollevi i coperchi dei vasi in ceramica, ti avvicini, odori. E da quei recipienti, come per incanto, si materializzano boschi di cedro e sandalo, mazzi di rose e gelsomini, vaniglia d’Oriente e benzoino. “Sono le varie famiglie olfattive“, spiega Chiara Beatrice Vicentini, docente di Storia del farmaco al dipartimento di Unife. Ecco allora le famiglie degli agrumati; dei floreali; delle fougère, che in francese indica le felci, e che mette insieme tutti quegli odori freschi e amarognoli, tipici delle profumazioni maschili (lavanda, bergamotto, cumarina). Vai avanti e trovi il gruppo di Chypre, con gli effluvi cipriati; dopo ci sono i legnosi; l’Oriente degli ambrati e, infine, i Cuirs che riproducono l’odore di cuoio, tabacco, muschio.

Via dalla sala, si può uscire in giardino con ancora nel naso le essenze emanate da quei recipienti e, negli occhi, le immagini di ampolle e alambicchi che raccontano la storia del profumo. All’aperto, la mostra riprende negli spazi verdi dell’Orto botanico dell’Università, quello in cui normalmente si entra da corso Porta Mare 2. Lì c’è da seguire un itinerario di vasi, sentieri, aiuole e alberi: sono le tappe delle grandi “famiglie olfattive” vegetali. Si costeggiano alberi, arbusti, frutti e fiori da cui i profumi nascono. Si parte dai vasi di agrumi, si attraversa la distesa delle erbe odorose e si arriva fino a gelsomino, rosa, geranio. In mezzo ci sono i tunnel di rampicanti, la vasca delle ninfee pattugliata dalle tartarughe e le serre con le piante grasse. Perché, tra i meriti di questa iniziativa, va messo anche quello di rendere eccezionalmente accessibile l’Orto botanico sia in orario pomeridiano che nei giorni festivi.

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Percorso all’Orto botanico legato alla mostra (foto Unife)
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Arancio amaro che apre il percorso tra le essenze del giardino (foto Giorgia Mazzotti)
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Il gelsomino tra le essenze dell’Orto botanico universitario (foto Giorgia Mazzotti)
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Laboratorio del profumo da Venezia a Ferrara

Come i sentori aromatici delle preziose bottigliette, “Stazioni olfattive” è una manifestazione avvolgente che si diffonde come una scia negli antichi palazzi e musei cittadini.

Chi ha voglia, e magari scarpe comode, può approfondire l’argomento con una visita al Museo archeologico nazionale, in via XX Settembre 122. Qui sono stati tirati fuori gli antichi balsamari, contenitori in alabastro e pasta di vetro, con dentro unguenti ed essenze profumate per il viso e il corpo delle signore dell’antica civiltà etrusca di Spina. E se ci si allunga fino alla Biblioteca Ariostea, in via Scienze 17, nella sezione dei manoscritti e degli incunaboli si possono sbirciare dal vero i volumi riprodotti in un grande schermo della mostra, che scorre le pagine di preparati medicamentosi e abbellenti, ricette e testi che portano all’origine storica della ricerca cosmetica.

La mostra, allestita per celebrare i 35 anni del master in Scienze e tecnologie cosmetiche (Cosmast) dell’Università di Ferrara, è a cura di Sistema museale d’ateneo e Museo del profumo e del costume di Palazzo Mocenigo di Venezia in collaborazione con Farmacia Navarra, Orto botanico e Collezione di scienze fisiche, Fondazione musei civici di Venezia, Museo archeologico nazionale di Ferrara, Musei civici di arte antica di Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Accademia italiana di storia della farmacia, Master MuSeC e Cosmast.

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Taglio del nastro con Mirna Bonazza, Angelo Beccarelli, Chiara Beatrice Vicentini, Caterina Cornelio, Francesco Bernardi
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Chiara Beatrice Vicentini, Caterina Cornelio, Francesco Bernardi, Stefano Manfredini, Ursula Thun Hohenstein alla mostra
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L’esposizione a Palazzo Turchi di Bagno (foto Unife)
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Ampolle e fragranze in mostra (foto Unife)

“Stazioni olfattive” è visitabile da lunedì a domenica ore 10-18, venerdì solo 10-17, a Palazzo Turchi Di Bagno, corso Ercole I d’Este 32, Ferrara. Fino a domenica 19 luglio 2015. L’ingresso è libero.

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ECOLOGICAMENTE
Tutte le cose finiscono.
Valutare dove per riciclare meglio

Ogni prodotto prima o poi non serve più e diventa rifiuto, per questo è importante studiarne la sua vita e soprattutto prevederne la sua fine. L’analisi del ciclo di vita di un prodotto rappresenta dunque una metodologia che consente di valutare e di quantificare l’impatto ambientale generato lungo l’intero suo ciclo di vita. Sembra un ragionamento complesso, ma vorrei proporlo perché importante e in fondo semplice.
Il “Life cycle assessment” (LCA) è un approccio fondamentale per considerare l’intero ciclo di vita del materiale basandosi sul motto “ dalla culla alla tomba” (“from cradle to grave”). Questa analisi, che di approfondire tutte le fasi in un percorso iterativo, permette di avere una visione globale del processo produttivo, scomponendolo in una serie di unità produttive (dunque partendo dall’estrazione delle materie prime, considerando le fasi di trasporto, di trasformazione, di gestione del fine vita) e considerando le emissioni, quindi gli effetti di ogni unità sull’ambiente.
Lo sviluppo di questa metodologia ha prodotto importanti scoperte e soprattutto ha spesso fornito importanti soluzioni. La struttura di LCA la possiamo suddividere in quattro momenti principali:
• la individuazione e definizione degli obiettivi (fase preliminare) in cui sono definiti il campo di applicazione, l’unità funzionale, i confini del sistema, il fabbisogno di dati, le premesse e i vincoli, chi esegue e a chi è indirizzato lo studio, quale funzioni o prodotti si studiano, i requisiti di qualità dei dati.
• la fase di raccolta delle informazioni e quindi dei dati necessari (con le procedure di calcolo volte a quantificare i flussi in entrata e in uscita rilevanti di un sistema di prodotto) in accordo all’obiettivo e al campo di applicazione.
• la valutazione dell’impatto del ciclo di vita, fase critica fondamentale, che ha lo scopo di valutare la portata dei potenziali impatti ambientali utilizzando i risultati dell’analisi di inventario del ciclo di vita.
• la sintesi della interpretazione conclusiva, che è un procedimento sistematico volto all’identificazione, qualifica, verifica e valutazione dei risultati delle fasi di inventario e di valutazione degli impatti, al fine di presentarli in forma tale da soddisfare i requisiti dell’applicazione descritti nell’obiettivo e nel campo di applicazione, nonché di trarre conclusioni e raccomandazioni.
Apparentemente complesso, ma in verità solo uno strumento di buonsenso che sarebbe bene fosse applicato in molti settori e in molte occasioni. LCA infatti è una metodologia di valutazione ambientale applicabile in ogni settore industriale o di servizi
che fornisce una visione globale e dettagliata del sistema in osservazione, perché permette di:
• evidenziare e localizzare le opportunità di riduzione degli impatti ambientali;
• supportare decisioni in merito a interventi su processi, prodotti e attività;
• informare i cittadini in merito all’impatto ambientale legato al ciclo di vita dei prodotti;
• identificare linee strategiche per lo sviluppo di nuovi prodotti o servizi;
• paragonare tra loro prodotti con la medesima funzione;
• valutare e confrontare gli effetti legati a diverse politiche ambientali e di gestione delle risorse;
• approfondire la valutazione ambientale del sistema di prodotto nel contesto della certificazione.

L’interesse per l’LCA non è storia recente, anzi risale almeno a quarant’anni fa quando si pensò di introdurre una serie di metodi per la valutazione quantitativa degli impatti riguardo a differenti tematiche ambientali (impoverimento delle risorse, riscaldamento globale, inquinamento da impianti). Si comprese subito che sarebbe stato un importante strumento di trasparenza e di informazione ai cittadini, tuttavia ci si rese anche conto che vi era in genere una scarsa uniformazione delle valutazioni.
Forse siamo ancora fermi qui. Anzi direi di più, in realtà a livello europeo esiste una schematizzazione che non è utilizzata da tutti e che anzi ognuno utilizza a proprio vantaggio per fare risultare i dati che vuole . Questa mancanza di strumento condiviso fa perdere il valore di sistema che dovrebbe avere; potrebbe invece essere lo strumento principe in molti settori, a partire anche dalla Pianificazione rifiuti (se i dati di input fossero veritieri e gli scenari pragmatici e non fantasiosi, come spesso accade).

Eppure il metodo offre numerose possibilità di utilizzo e con un poco di fiducia e di serietà potrebbe permettere:
• la valutazione dell’impatto ambientale di prodotti differenti, aventi la medesima funzione;
• l’identificazione, all’interno del ciclo produttivo o del ciclo di vita del prodotto, dei principali percorsi verso possibili miglioramenti, intervenendo sulla scelta dei materiali, delle tecnologie e degli imballaggi;
• il sostegno alla progettazione di nuovi prodotti e la segnalazione di innovative strategie per lo sviluppo, consentendo risparmi, sia per l’azienda, sia per il consumatore;
• la dimostrazione di aver ottenuto un ridotto impatto ambientale ai fini dell’attribuzione del marchio ecologico comunitario (Ecolabel);
• l’ottenimento di un risparmio energetico e il sostegno nella scelta dei procedimenti per il disinquinamento;
• il supporto nella scelta delle soluzioni più efficaci e idonee per il trattamento dei rifiuti;
• la base oggettiva di informazioni e di lavoro per l’elaborazione dei regolamenti che riguardano l’ambiente.
Insomma basta cercare l’ovvio e farlo.

L’EVENTO
Autori a Corte: al via l’edizione 2015

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La conferenza stampa di presentazione di Autori a corte 2015

Lavorare sui libri e privilegiare le storie, le idee e i contenuti, prima ancora che gli autori: questo è l’intento della nuova rassegna di “Autori a Corte – Presentazioni letterarie con degustazione”, originale format il cui programma è stato presentato venerdì in conferenza stampa alla Sala Arengo della Residenza Comunale, alla presenza degli ideatori Federico Felloni e Vincenzo Iannuzzo (Associazione Bukowski), dell’assessore alla cultura Massimo Maisto, del rappresentante di Banca Mediolanum Cristiano Delfini e di Antonio Marchini, responsabile didattico della Città del Ragazzo, che inaugurerà la stagione mercoledì 1 luglio al Giardino delle Duchesse.

Già collaudato nelle edizioni estiva e natalizia 2014, “Autori a corte” è patrocinato da Assessorato alla Cultura del Comune di Ferrara, Istituto di Storia Contemporanea, Istituto Alberghiero Vergani Navarra, Città del Ragazzo e LILT – Sezione di Ferrara, collaborazioni che rispecchiano l’obiettivo di coniugare esigenze e interessi diversi, settore commerciale, attività extrascolastiche e letteratura di non facile fruizione: “Presentiamo anche due libri di poesia, genere oramai difficile da fare entrare nelle librerie: un progetto a cui teniamo molto”, hanno sottolineato gli organizzatori.

Cinque serate a cadenza settimanale nell’arco del mese di luglio ospiteranno tre momenti tematici, dedicati a scrittori esordienti e affermati nomi della letteratura, del giornalismo e della televisione, intervallati dalle degustazioni offerte da Panificio Dellepiane, Azienda Vitivinicola Zanatta Roberto, Caffetteria 2000, Storie di Tè e Caffè, Ristorante Cinarmonico Li Xia, Agriturismo La Strozza e Azienda agricola Corte Madonnina.

Il momento Antipasto d’Autore alle 20.00 sarà dedicato proprio libro in una formula di dialogo incrociato con moderatore.

La manifestazione vedrà così alternarsi cinematerapia (Ghila Pancera con “Farsi un film: pillole di cinematerapia”, Este Edition) e viaggi nella storia di Russia (Fabrizio Resca con “Odore di Russia – Viaggi nell’ex impero sovietico”, Este Edition) il 1 luglio; futurismo (Roberto Guerra con “Futurismo per la nuova umanità”, Armando Editore) e poesia (Rita Marconi con “Le ali di seta”, Este Edition e Cetty Muscolino con “Ti cerco”, Edizioni La Carmelina) l’8 luglio; fisica quantistica (Davide Grandi con “Dio e D’io – fisica quantistica e spiritualità”, Este Edition) e giallo (Davide Nani con “Anatema”, Este Edition) il 14 luglio; racconti nell’attesa di una saletta (Franco Mari con “Sala d’attesa”, Este Edition) e racconti su personaggi di paese (Matteo Rubbini con “Dizionario del borgo”, Edizioni La Carmelina) il 22 luglio; le anteprime nazionali Daniele Tedeschi e Samuele Govoni con “Una batteria in valigia”, Edizioni La Carmelina e Stefano Bottoni e Giorgia Pizzirani con “Per miglia e miglia”, Edizioni La Carmelina, biografie dal taglio musicale e cantautorale, il 29 luglio.

La novità, rispetto alle edizioni precedenti, è l’introduzione di uno speciale spazio dedicato ad autori emergenti che saranno protagonisti di presentazioni con performance: alle 21.00 sarà così la volta di Spazio Outsider, che ospiterà Roberta Marrelli con il fantasy “Melissa Wincher e l’ottagono divino”, Corbo Editore (1 luglio) accompagnata dal performer Andrea Poltronieri, Francesco Eleuteri con “Il sangue dei sibillini”, Capponi Editore (8 luglio), Stefano Malvestio con la guida “Anello cicloturistico dei quattro fiumi. In bicicletta per 553 chilometri lungo l’Adige, il Mincio, il Po e il Brenta”, Inveneto Editore (8 luglio); Aristide Bergamasco con il thriller storico “L’ultimo segreto di Galileo”, Leone Editore, e Vittoria Tomasi con il fantasy “Anita e la setta dei padroni del tempo”, Mannarino Editore (22 luglio); Elio Facchini, Marcella Trivella ed Elisa Pampolini con “Vegano più g(i)usto più sano”, Edizioni La Carmelina, che coniuga cucina vegana, ristorazione e naturopatia (29 luglio), altra anteprima nazionale dell’associazione che coniuga presentazioni letterarie con degustazione.

Alle 21.45 giungerà il momento degli ospiti d’onore. Il 1 luglio il giornalista Salvatore Giannella, già direttore del settimanale “L’Europeo”, presenterà “Operazione salvataggio” (Chiarelettere), racconti di eroi che hanno messo in salvo opere d’arte attraversando momenti storici di crisi e guerre, dalla Seconda guerra mondiale al conflitto afghano, e che ha ispirato “Monument Man” di George Clooney. L’8 luglio sarà la volta di Marcello Simoni, già autore di saggi storici, Premio Bancarella con il suo esordio “Il mercante di libri maledetti” e Premio Lizza d’Oro con “L’isola dei monaci senza nome” che presenterà “L’abbazia dei cento peccati” (Newton Compton), ambientato alla Corte Estense del 1300, tra sanguinose sparizioni e reliquie misteriose. Il 14 luglio arriva Magdi Allam, il controverso ex vice-direttore del quotidiano “La Stampa” che presenterà “Il Corano – spiegato da Magdi Cristiano Allam” (Il Giornale), in cui si pone l’obiettivo di far conoscere l’Islam operando un confronto tra religioni. Il 22 luglio il testimone passa a Gianluigi Nuzzi, vicedirettore di Videonews e conduttore di “Quarto grado”, già inviato speciale di Panorama, che illustra in “Sua Santità” (Chiarelettere) il dietro le quinte della Chiesa di oggi attraverso i personaggi.

Protagonista della serata finale, il 29 luglio, sarà Sammy Basso, fondatore della Associazione Italiana Progeria,a raccontare la sua esperienza attraverso gli Stati Uniti nel libro “Il viaggio di Sammy” (Rizzoli).

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Un momento della conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2015 di Autori a Corte

Completa la scena un ricco parterre di presentatori, tra cui i giornalisti Sergio Gnudi, Leonardo Rosa, Marco Zavagli (Estense.com), Nicola Franceschini (Telestense), Riccardo Roversi (Este Edition), Riccarda Dalbuoni (Ufficio Stampa Comune di Occhiobello), Sergio Gessi (Ferraraitalia.it) e Federica Pezzoli, il Presidente dell’Istituto di Storia Contemporanea Anna Maria Quarzi; il direttore artistico della rassegna letteraria Librandosi, Leonardo Romani ,e l’operatore culturale Leonardo Punginelli.

L’APPUNTAMENTO
Emergency chiama Ferrara risponde

Ci sono cose da non fare mai, / né di giorno né di notte / né per mare né per terra / per esempio, la guerra / (Gianni Rodari)

Cinque giorni per parlare di nuove resistenze, legalità, cittadinanza consapevole, solidarietà e accoglienza: sono gli Emergency Days, che si terranno da mercoledì 1 a domenica 5 luglio in Viale Alfonso I d’Este (zona Bagni Ducali), organizzati dal Gruppo di Emergency di Ferrara con il patrocinio del Comune di Ferrara e della Regione Emilia Romagna.

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La locandina degli Emergency Days

L’associazione di Gino Strada e della figlia Cecilia non ha bisogno di presentazioni, sono i fatti a parlare per Emergency: dal 1994 al 2014 ha fornito cure e assistenza sanitaria gratuite a oltre sei milioni di persone in 16 paesi nel mondo. La prima missione è stata a Kigali in Ruanda, proprio in quel terribile 1994, l’anno del genocidio. Da allora Emergency ha costruito ospedali, centri di riabilitazione fisica e sociale, posti di primo soccorso, ha iniziato a gestire centri sanitari e pediatrici, poliambulatori e ambulatori mobili, e soprattutto ha fornito e continua a fornire formazione al personale locale. Opera in Afghanistan, Iraq, Repubblica Centrafricana, Sudan, Sierra Leone e dal 2006 anche in Italia, con l’apertura del poliambulatorio di Palermo, cui sono seguiti nel 2010 quello di Marghera e nel 2013 quello di Polistena.

A Ferrara il gruppo di Emergency si è formato nel 2001 e conta attualmente circa 30 volontari. Nella loro sede di via Ravenna, incontro Serena che a ogni mia domanda risponde con la prima persona plurale, un “noi” che rivela tutta la passione e la partecipazione con cui i volontari seguono le attività dell’associazione. Parliamo del Programma Italia: “si sta ampliando sempre più. Oltre alla necessità di accogliere il numero sempre maggiore di migranti che sbarcano sulle nostre coste, ci siamo resi conto, perché all’inizio non lo immaginavamo nemmeno noi, che anche molti italiani hanno bisogno di noi perché non hanno accesso alle cure per vari motivi. Solo per farti un esempio, al Poliambulatorio di Marghera il 20-30% dei pazienti sono italiani, spesso sono poveri perché hanno perso il lavoro e non possono permettersi le cure specialistiche che il servizio sanitario non fornisce: le protesi dentarie, le visite oculistiche o molte malattie croniche. Un altro servizio fondamentale è la mediazione culturale che offriamo negli sportelli di orientamento socio-sanitario per aiutare i malati, migranti e non solo, a far rispettare i propri diritti presso le strutture pubbliche”. Nell’estate del 2012, dopo il sisma, i loro ambulatori mobili sono arrivati anche nel modenese e nel ferrarese: “la problematica principale che abbiamo affrontato all’inizio era il disorientamento delle persone, inoltre abbiamo offerto il nostro aiuto ai medici che volevano continuare a lavorare pur avendo il proprio ambulatorio inagibile”. Parliamo anche di Ventimiglia, della stazione centrale di Milano, e della (inesistente) politica europea sull’immigrazione: “quello che penso io è che le persone dovrebbero potersi spostare liberamente. Siamo tutti esseri umani, tutti sotto lo stesso cielo, tanto più quando sono persone in fuga da guerre”.

Parliamo soprattutto della sesta edizione degli Emergency Days, che dall’1 al 5 luglio tornano in città dopo una pausa di tre anni: l’ultima edizione è stata quella del 2011, quando il gruppo ferrarese ha festeggiato anche il proprio decennale. Quest’anno i fondi raccolti contribuiranno a sostenere il Centro Pediatrico di Goderich in Sierra Leone, uno dei paesi più poveri del mondo. “Emergency è in Sierra Leone dal 2001, quando è finita la guerra civile che è durata dieci anni e ha devastato il paese, lasciandolo completamente senza infrastrutture come sempre accade. Abbiamo costruito prima un centro chirurgico e poi l’anno successivo un centro pediatrico, dove ogni giorno vengono visitati più di 70 bambini”. Da allora le visite sono state 204.735 e i ricoveri 14.969, solo nel 2014 a Goderich sono state visitate 27.443 persone e ricoverate 1.604. “Nel 2014 la situazione si è aggravata a causa dell’epidemia di ebola: entrambi gli operatori che si sono ammalati lavoravano in Sierra Leone”. A fine anno erano 1.600 i bambini colpiti dal virus, che purtroppo ha fatto anche vittime indirette: molti bambini non hanno avuto accesso alle cure perché alcuni ospedali sono rimasti chiusi per mesi dato che il personale non si recava al lavoro per paura di contrarre la malattia. “Abbiamo dovuto aprire più centri per la diagnosi e poi per la cura dell’ebola”.

Per sostenere il Programma Sierra Leone i volontari hanno organizzato questi cinque giorni di dibattiti, musica e buon cibo, “un programma a cui lavoriamo ormai da tanti mesi e del quale siamo molto orgogliosi” sottolinea Serena. Tutti i giorni dalle 16:30 inizieranno le attività per i più piccoli con Francesca Venturoli, la Bottega di Copparo, Teresa Fregola della Piccola Compagnia dell’Airone e con gli Ambulaclaun e MusicTogether Associazione Carpemira. Sarà anche aperta la libreria Libri Liberi con titoli per grandi e piccini, in collaborazione con LibrieLetture.com, e si potrà visitare la mostra fotografica “La nostra Africa” con immagini realizzate presso i Centri sanitari di Emergency in Repubblica Centrafricana, Sierra Leone e Sudan da tre fotografi del collettivo congolese “Génération Elili”, Khelly Manou de Mahoungou, Arnaud Makalou e Baudouin Mouanda. Al Barzebone gestito dai volontari dell’associazione si potranno degustare menù speciali preparati il mercoledì dal ristorante Scaccianuvole, il giovedì dalla Trattoria il Cucco, il venerdì dall’agriturismo Sapori Semplici e il sabato dalla gastronomia La Vegana, mentre domenica ci sarà un aperitivo con i prodotti di Libera.

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La conferenza stampa di presentazione degli Emergency Days

Ogni giorno dalle 18.30 si terranno incontri e presentazioni di libri: il primo giorno si parlerà di Resistenza e resistenze; il 2 luglio di mafia e antimafia; il 3 luglio sarà dedicato a Emergency con “Ruanda-Sierra, 21 anni di attività sociosanitarie”, mentre il 4 si tenterà di rispondere alla domanda “Italia terra di accoglienza?”. Infine dalle 21: musica dal vivo con due gruppi ad alternarsi sul palco ogni sera. Il gran finale sarà domenica 5 luglio: dalle 10:30 partiranno i “Giochi senza frontiere” organizzati in collaborazione con l’Ente Palio di Ferrara, le contrade e la Corte Ducale si sfideranno in alcuni divertentissimi giochi medioevali, dalla corsa nei sacchi al tiro alla fune, dal lancio dell’Orco alla Torre, alla palla ferrarina, fino agli scacchi giganti.

 

Link correalati:

Gli Emergency Days giorno per giorno

Pagina Facebook degli Emergency Days

LA MOSTRA
L’emozione è a colori per Bratti

Ancora giovani artisti ferraresi, ancora menti creative che cercano spazio. E noi a cercare di darglielo, quello che sarà dedicato a Massimiliano Bratti  da oggi, venerdì 26 giugno, all’Osteria de’ Romei. Massimiliano (Max per gli amici), classe 1994, è alla sua prima mostra, gioca a pallavolo a Ferrara e ha studiato al liceo scientifico Roiti. La sua vita, ci racconta, è sempre andata controcorrente con una grande passione per la pittura e l’arte. Fin da piccolo, la creatività, e il disegno in particolare, sono stati momenti di “distacco” e di protezione, in un certo senso, da ciò che poteva metterlo in difficoltà … Disegnare è sempre stato il suo autentico sfogo. Autodidatta, sogna di diventare art director.
Tutto parte dall’opera artistico-filosofica di Vasilij Kandiskij: “Lo Spirituale nell’arte”. L’inizio. Si tratta di una scoperta abbastanza recente, per il giovane artista, ma fondamentale. Attraverso l’uso dei colori primari rosso, giallo e blu, ci spiega Max, Kandinskij espone le sue teorie sull’uso del colore, in un nesso strettissimo tra opera d’arte e dimensione spirituale. Il colore può avere due possibili effetti sullo spettatore: un “effetto fisico”, superficiale e basato su sensazioni momentanee, determinato dalla registrazione da parte della retina di un colore piuttosto che di un altro, o un “effetto psichico” dovuto alla vibrazione spirituale, prodotta dalla forza psichica dell’uomo, attraverso cui il colore raggiunge l’anima. Esso può essere diretto o verificarsi per associazione con gli altri sensi. L’effetto psichico del colore è determinato dalle sue qualità sensibili: il colore ha un odore, un sapore, un suono. Il colore, aggiungerei, ha una sua dimensione e un suo senso. Un senso unico, nella vera accezione direzionale, ma anche in quella di una vera originalità.
Nei quadri di Max, il blu, il rosso e il giallo danno sensazioni varie e molto intense, che spaziano dall’immensità del mare e del suo infinito tendere verso un orizzonte lontano ma meraviglioso, all’intensità della passione, fino alla grandezza dell’intuizione.
Vediamo alcune opere, allora, pronti a perderci in esse e a volare con la fantasia. Lontano ma anche vicino. Sicuri di capire, ma non poi più tanto certi, dopo averli osservati bene.

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“Deep Blue” di Massimiliano Bratti

Associato al cielo e al mare, il blu evoca luce, profondità, intuizione dell’infinito, tensione verso l’ultraterreno, unione con il tutto. Siamo tutti sotto lo stesso cielo e le stesse nuvole, ci perdiamo e ci ritroviamo dentro la profondità dei nostri pensieri e della nostra esistenza.
Il “Blue” è anche musica, nostalgica e triste, come sa esserlo la musica afro-americana, dolce e straziante allo stesso tempo, coinvolgente e melodica, una ricerca di quella profondità dell’anima umana che racchiude emozioni, idee, pensieri, mistero e nostalgia.
Il blu è proiezione delle nostre più profonde emozioni, un senso di tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e che si perde nelle sfumature di uno spazio sicuro circondato da un metaforico mare. Un mare che ci culla e lentamente ci trasporta verso un lento naufragio tra le sue onde. Un mare che può essere infinito e sconfinato, che crea disordine.

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Passione I e II di Massimiliano Bratti

Il colore rosso, invece, ci porta nel mondo della passione. Da sempre, i due concetti sono strettamente legati. Sognare tale colore allude al bisogno di calore e di protezione, alla possibilità di resistere a difficoltà e cambiamento, ma riporta anche a un aspetto spirituale e trasmutativo. Il rosso è lo specchio delle nostre emozioni, che non sempre ci riflette un’immagine coerente con ciò che siamo veramente, o meglio, con ciò che crediamo di essere. La nostra pace interiore, la nostra sicurezza, diventano spesso schiave delle nostre passioni. Ma attraverso la passione, acquistiamo forza. Attraverso la forza, potere.
La passione è anche libido, un vero meccanismo di repressione-liberazione delle pulsioni. Un’esplosione di azioni, di sensazioni, di emozioni, che sfugge al controllo dell’essere umano, che va oltre la sua capacità di razionalizzare ciò che gli sta attorno. Un’esplosione di colore che invade la nostra mente e la nostra vita. Un vulcano in eruzione.
Un ulteriore collegamento con il mondo onirico è dato dal giallo. In genere tale colore nei sogni esprime il desiderio di riportare l’ordine nel caos, di comprendere meglio la realtà, di analizzare i dettagli con spirito critico, di ampliare le proprie conoscenze. Può indicare che si sta cercando una soluzione ai propri problemi, che si è alla ricerca della propria dimensione. Giallo è connesso alla luce del sole, è il colore dell’intuizione, dell’intelligenza che penetra a fondo le cose, del ragionamento che dissipa le tenebre e che chiarisce ciò che prima risultava oscuro e confuso. Il giallo è il colore che avverte di possibili pericoli e invita alla prudenza e alla cautela. E’ un’energia senza fine, una voglia di volare lontano.
Quest’opera riprende il concetto fisico di entropia, la teoria del disordine. Attraverso il caos abbiamo energia, abbiamo trasformazione e, in alcuni casi, paradossalmente, ordine.
Per quanto riguarda questo quadro, “esso è una rappresentazione caotica nella quale io personalmente ho ritrovato un mio ordine”, ci dice Max. “Cerco di spiegarmi meglio… Quando faccio un quadro spesso mi lascio prendere dall’ispirazione e mentre lo faccio associo a esso concetti che mi affascinano e che in quel momento ritrovo nei miei pensieri…. Avevo visto la sera prima un documentario su Discovery che parlava dello spazio e di quanto fosse infinitamente grande o piccolo, del concerto fisico del disordine, e quando mi sono messo a dipingere nella mia mente ero attratto da quello!”.
Ancora energia, cambiamento, disordine dall’ordine, ordine dal disordine.
Infine, l’ombra della luce: lo stato migliore della vita terrena è visibile come proiezione, ombra, indotta dalla luce della vita superiore, che non possiamo vedere ma solo intuire.
Voto positivo. Passaggio alla mostra meritato.

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Massimiliano Bratti

“Forma mentis”, via de’ Romei 51 a Ferrara oggi dalle 18,30

SALUTE & BENESSERE
Bebè, serenità che parte dalla testa

La terapia craniosacrale è un metodo non invasivo di lavorare sul corpo, iniziato dall’osteopata americano William Garner Sutherland all’inizio del ’900. Il terapeuta ha scoperto l’esistenza di un movimento spontaneo delle ossa craniali e ha osservato un sottile impulso ritmico che è palpabile in tutto il corpo. E’ un sistema fisiologico che è fondamentale nel mantenere la salute e la vitalità del sistema mente-corpo. Si chiama ‘Meccanismo respiratorio primario’ (MRP). A livello anatomico, coinvolge il sistema muscolo-scheletrico, il fluido cerebrospinale, le membrane dure, i tessuti connettivi, il sistema nervoso autonomo e i fluidi.

Il neurocranio è la “scatola” che contiene meningi, fluidi, cervello, cervelletto etc. La formazione del cervello nasce come un “tubo” pieno di liquido che si allarga, si inspessisce e crea da dentro il suo contenitore osseo. Ogni malformazione ossea è il riflesso di un’eventuale disfunzione che ha a che vedere con il sistema nervoso. In più, il neuro-cranio non è una noce di cocco bella compatta, ma è costituito da diverse ossa “incastrate “ tra loro. La domanda è: perché la natura ha fatto ciò? Questo punto interrogativo è il fulcro da cui partì il fondatore dell’idea di un Sistema respiratorio primario, basato sul meccanismo craniosacrale. Osservate l’osso temporale, quello che contiene l’orecchio interno ed esterno, proprio sopra la parte superiore dell’orecchio, si “articola” con l’osso parietale (se vi toccate delicatamente sopra le orecchie sentite una sporgenza) come una squama di un pesce.

La tecnica craniosacrale per i bebè subito dopo la nascita è imperiale e ne traggono un beneficio incredibile. Tutti i bebè possono trarre beneficio da qualche sessione di craniosacrale. Il processo del parto è lavoro duro per la mamma e il bambino, e anche stressante. Questo può portare come risultati a coliche, irrequietezza, e problemi di sonno. Il corpicino è estremamente flessibile, e le diverse ossa del cranio sono come delle piccole isole che si muovono molto facilmente. Insomma, siamo come una busta piena d’acqua, con qualche osso qui e là. Quando il bebè è pronto per passare per il canale vaginale, la forte compressione e le forze di decompressione possono muovere uno sopra l’altro le piccole ossa durante il parto. Se rimangono incastrate, i nervi o le vene possono bloccarsi. Il punto più vulnerabile è la base del cranio, visto che i nervi e le vene passano dentro e fuori dal cranio per quel punto — soprattutto il nervo vago, che regola le funzioni di quasi tutti gli organi — e in più la respirazione, la digestione e il rilassamento del cuore. Usando un tocco delicato alla base craniale, le forze di compressione si rilasciano e lavorando con la zona del petto, il piccolo respira meglio e le tensioni sono rilasciate.

Rilanciare il sistema nervoso ha un effetto incredibile sul benessere del bebè (e dei genitori!). Quello che cerco quando lavoro con i bebè sono dei segni molto sottili nel comportamento e riposte al trattamento, che indicano quali aree hanno bisogno di attenzione o cosa c’è bisogno di fare. Segnali come il linguaggio corporeo del bimbo, i riflessi, la sensibilità al tocco mi danno informazioni importanti. E’ molto chiaro quando un bebè non vuole essere toccato in un area specifica — lui o lei si volterà dall’altra parte o spingerà con le braccia o le gambe — e questo va rispettato. Niente viene fatto senza il permesso dei genitori e dei bebè. Come in tutto il nostro lavoro, è la persona che determina la velocità e il processo di lavoro, non il terapista.”

La terapia craniosacrale è particolarmente importante per i bambini nati con il taglio cesareo. Perché? Ci sono due tipi di parti cesarei: elettivo (quando il bebè non scende nel canale vaginale) e d’emergenza (quando il bimbo è sceso nel canale vaginale e il parto è già avviato). Nel primo caso, c’è un rapido cambio di pressione nel sistema nervoso autonomo, e lo shock parasimpatico è comune. Questi sono i bebè che dormono molto; i cosiddetti ‘bebè buoni’. Più in la nella vita, queste persone possono ritrovarsi con poca energia, fatica cronica e poca motivazione. In questo caso, cerco di orientare delicatamente il bebè alla possibilità di movimento e spinta, per poter mobilizzare una risposta nervosa più simpatica — usando contatto leggero e una pressione verso l’alto sulla pianta dei piedi. Uso anche una voce rassicurante e incoraggiante.

Altro è il caso di un parto d’emergenza. In quel caso, il sistema nervoso parasimpatico è ingaggiato, quindi le forze e i temi di un parto naturale sono presenti. Un cambiamento improvviso può causare uno schema craniale inusuale causato dalle forze che non sono quelle che il sistema è naturalmente predisposto a incontrare. Questo può risultare in un cattivo orientamento e senso dei confini nel bebè. Quando cominciamo a lavorare con questi bimbi, aiutandoli a tranquillizzarsi, mi connetto con l’osso sacro per ri-bilanciare il sistema nervoso. Siccome il processo del parto è stato interrotto, c’è stata una specie di ciclo adrenalinico e quindi questo tipo di bebè a volte esprime rabbia scalciando o spingendosi via. Con bambini di questo genere, prendo molto tempo per l’approccio, applico le mani solo per brevi periodi.

Bisogna creare e diffondere questa cultura..essenziale per i bebè e i bambini, ma che agisce anche per tutti gli stati di ansia e depressione degli adulti. Consigliato rivolgetersi sempre a osteopata regolarmente professionista e membro del R.O.I.

LA SEGNALAZIONE
Quelle erbacce commestibili
Elogio dei mercati contadini

Erbacce commestibili. Una volta ci andavano nonni e zie, in campagna, a raccoglierle, tra fossi e distese di ortica, da fare lessare per poi tirarci fuori una sfoglia verde verde che veniva arrotolata e magicamente trasformata in tagliatelle così saporite. Adesso, in città, ce le portano loro, i contadini che mettono su il loro banchetto. Magari l’ortica non c’è, ma la portulaca sì, e ha foglie rotonde e carnose dal sapore croccante e un retrogusto leggermente di limone. “Si mangia tutta, compreso il gambo”, spiega Massimiliano Santi, che in piazza XXIV Maggio la porta dai campi della sua azienda Sole Sereno, lungo la via Consandolo di Molinella. Bordo seghettato e consistenza un po’ vellutata e opaca, invece, per il farinello comune. “Le foglie – dice – si possono mescolare crude in insalata, ma se si lessa, si mangia tutto e ha il sapore degli spinaci, appena un po’ più dolce”. Poi si può avere cicoria, tarassaco, bietola. Gli intenditori sanno che ci sono più omega 3, antiossidanti e vitamine qui, in queste spiegazzate erbe randage, che in mille promettenti etichette lustre e nei barattolini di seriosi e seriali integratori.

In un altro banco le signore che vengono dal Polesine con grandi albicocche, ciliegie, una varietà antica e scura di patate dall’anima viola, patate rosse, gialle e altri ortaggi. Ma quante albicocche colorite ci hanno già ammiccato, adescato e sedotto, finora, per poi deluderci tristemente con la loro inutile, insapore e scialba polpa? Saranno poi davvero buone, queste qui? E le ciliegie? “Le assaggi pure”, ti invitano loro tranquille. In barba all’igiene, non lasci spazio al bluff. Afferri e assaggi. Oh, yeah! E’ frutta. Duroni dal sapore denso, forte, dolce con una punta deliziosamente asprigna. Evvai. Arrivano anche a 5 o 6 euro al chilo, ma alla fine li possono valere. Il problema sarà, piuttosto, quello di tornare agli scaffali del solito supermercato, dove lampeggiano colori e offerte speciali che riempiono sporte, ma lasciano vuote le papille, spiazzate dall’inganno ottico che promette sapori e ricordi che non mantiene.

Un banco di pane e biscotti fa largo alla farina di grani antichi. Ma ci sono anche prodotti a base solo di grano saraceno, che è quello scuro e naturalmente senza glutine, che si gonfia in rotondi pasticcini allo zucchero di canna; poi zenzero candito, amaretti, muffin all’albicocca.

Il banco dell’azienda di Giorgio Donati, che viene da Porotto, ha solo farina e biscotti di farina di mais tradizionale, non ibrido. E’ un mais biologico integrale di una varietà antica chiamata ottofile. Poi ci sono piatti di pesce (baccalà, frittura), uova fresche, una signora che tesse, barattoli di marmellate, succhi di sola frutta. Pochi, sparuti banchi, un po’ di terra attaccata alle radici e gusto di roba vera.

A Ferrara questi prodotti arrivano dalle persone che li fanno il giovedì (ore 16.30-20,ma da oggi anche con alcuni espositori dalle 8 del mattino) nella piazza dell’Acquedotto con il mercato Biopertutti. Altre occasioni il venerdì mattina (ore 8-13) con Campagna Amica accanto a Porta Paola, dove finisce via Bologna e inizia il mercato settimanale; il sabato mattina al Mercato della terra, nello spiazzo imboscato in fondo al sentiero ghiaioso di viale Alfonso I d’Este.

Ancora il sabato (ore 8-14) in piazza Castellina, c’è il km zero di Campagna Amica a ridosso della stazione; una domenica sì e una no (ore 10-18) quello in piazza Municipale, dove i prossimi appuntamenti sono programmati per 5 e 19 luglio, 2 e agosto; 6 e 20 settembre.

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Erbe selvatiche, frutta e patate antiche del mercato Biopertutti (foto Giorgia Mazzotti)
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Portulaca e farinello comune: erbacce commestibili (foto Giorgia Mazzotti)
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Mercato biologico all’Acquedotto di Ferrara (foto di Cecilia Dall’Ara)
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La gente al Mercato della Terra in fondo a viale Alfonso I d’Este a Ferrara

L’OPINIONE
No alla deriva delle ronde fai-da-te

La prima volta che nella sera ho udito le urla e le voci dilatate dai megafoni d’improvviso irrompere oltre le finestre di casa mia, ho avuto un sussulto di sorpresa e di preoccupazione.

La prima sensazione è quella di essere violato nella tranquillità della tua abitazione dall’estemporaneità di soggetti che si mettono improvvisamente a gridare per strada. Chissà poi perché le ronde della Gad debbano farlo, dimostrando che ci sono tante forme di violenza, compresa quelle delle urla e delle grida non richieste.

Ma non c’è solo il sopruso acustico, ciò che più inquieta è la violenza psicologica, il ricordarti la paura, quella che nella tua comodità piccolo borghese, alla fine di una giornata, ti permetti di non avere, almeno per tentare prima di andare a dormire di conciliarti con la vita.

Non ci sto che qualcuno in nome di un pericolo che forse minaccia la mia sicurezza si arroghi il diritto di farsi paladino in mia difesa. Non ci sto e pretendo che questo sindaco e questa Amministrazione comunale, che ho votato, non consentano più che questo possa accadere. Non può essere riconosciuta alcuna legittimità a chi ritiene di eleggersi, di investirsi del ruolo di ronda in nome della sicurezza del quartiere, il contratto tra cittadino e Stato prevede ben altro, che per questo ci siano le forze dell’ordine che paghiamo con le nostre tasse. Tutto il resto è abuso, è violenza fatta alla normale convivenza democratica.

È sopruso, prepotenza, un volontariato e una gratuità subdoli che alterano le regole della normale convivenza civile.

No, non riconosco, come residente della Gad, alle ronde biciclettare e caciare nessun ruolo e nessun compito, a partire da quello di violare la meritata quiete delle persone con le loro urla scomposte, i loro fischietti e megafoni.

Ritengo tutto ciò l’esito di una grave deriva della convivenza nella nostra città, il prodotto di una Amministrazione che ha chiuso i luoghi di partecipazione senza riuscire a idearne dei nuovi, di una Amministrazione incapace di interrogarsi sulla città, i suoi abitanti in una nuova prospettiva che non abbia il respiro del giorno per giorno.

Le ronde fai da te, c’è lo dice la storia, sono il segnale inquietante che qualcosa così non va, che è ora di ripensare la città, il vivere e la vita dei suoi abitanti, una bella sfida che richiede che le forze democratiche e progressiste di questa città si diano una svegliatina e alla svelta.

L’INTERVISTA
In bilico tra purezza e oscenità: Marco Missiroli, “L’eros ci permette di passare dall’io al noi”

“Alla fine uno si sente incompleto
ed è soltanto giovane” (Italo Calvino)

In occasione della presentazione del suo ultimo libro “Atti osceni in luogo privato” alla Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara, in programma per venerdì 26 giugno alle 20.15, nell’ambito della tappa ferrarese delGiro d’Italia in 80 librerie” [vedi], abbiamo chiesto a Marco Missiroli qualche impressione. Gentilmente (e timidamente) ci ha risposto, con una chiarezza e una determinazione che ci hanno fatto rivedere alcune posizioni iniziali, ammettiamo, leggermente scettiche. Perché vulnerabili, per pudore.
Nella storia del dodicenne protagonista Libero Marcell, una sorta di educazione sentimentale accompagnata da quella letteraria, tutto si gioca fra purezza e oscenità. E se dovessi scegliere fra purezza, oscenità e libertà, per riassumere il libro, forse prima aggiungerei “il noi”, la fragilità e la dignità di scegliere; poi concluderei con le donne che concepiscono, che mettono al mondo. Perché sono loro qui a fare bella figura. Sono loro le vere protagoniste.

Innanzitutto perché ha scelto questa foto per la copertina? A mio avviso, non dà subito un impatto positivo. Gli lo avranno già chiesto in tanti, ma la cover lascia un po’ interdetti (ammetto di averla nascosta mentre leggevo il libro in metropolitana a Roma, nel lungo tragitto verso Cinecittà). Non si poteva scegliere di meglio?
La domanda che ci facciamo subito è sicuramente: che cos’è? Il sedere di una donna? Quello di un uomo? Un divano? Una croce dall’aria un po’ blasfema? Che effetto ci fa? Si tratta della riproduzione di una celebre fotografia del grande Erwin Blumenfeld, del 1967, intitolata “Holy Cross” (In hoc signo vinces). L’opera è stata esposta al MoMA (Museum of Modern Art) di New York per qualche tempo, poi è comparsa su Vogue, proprio quell’opera che nel libro il protagonista Libero vede durante il suo viaggio nella Grande mela «[…] c’era quest’opera su sfondo bianco con quattro linee curve che si lambivano e davano forma a una croce o a una feritoia, feci un passo indietro e capii che era il punto dove i glutei e le gambe convergono. Lo fissai, delicato e ambiguo, brutale: quel corpo mi conteneva». Una scelta voluta. Ho discusso a lungo con l’editore su questa scelta. E’ un’immagine forte, le persone si sentirebbero a disagio a tener in mano un libro con una simile copertina sui mezzi pubblici. Però è una parte talmente importante all’interno del libro che non poteva non essere così. Siamo in un Paese bigotto, se pensi, soprattutto, che si tratta di un culo culturale. Sono indignato da tanta ipocrisia, per un’immagine che fa arrossire anche chi è aperto (o che si dichiara tale) e s’imbarazza per una cosa simile. In Italia, siamo ancora avvolti da un incredibile scrigno di pudore. Resta per me sorprendente come e quanto questa copertina abbia fatto parlare. Immagine paracula? Per nulla, non fa certo vendere. Il lettore non è attirato da questa copertina, peraltro in bianco e nero, ma per me è un vero mix energetico. Sono contento di averla scelta. Chi è erotico (e bisogna esserlo per capire) sa bene che quella è la croce santa, il luogo del concepimento della vita. Un po’ come L’origine del mondo di Gustave Courbet. Tutto parte da lì.

Come è nato il romanzo?
Senza premeditazione. Il giorno esatto che ho iniziato a scriverlo non avrei dovuto scriverlo. Non era premeditato e l’ho scritto in soli 21 giorni. Era una vera carne sentimentale e, come tale, a uno stato primitivo, partorita troppo in fretta. Ho passato i successivi due anni e mezzo a riscriverlo, limarlo, approfondirlo, rileggerlo, plasmarlo. Volerlo. Per farlo, ho attinto anche un po’ al mio passato, alla mia storia erotica, che poi assomiglia a quella di tutti i timidi, come me, sbeffeggiati per non aver ancora perso la verginità o, meglio, per averlo fatto in grande ritardo rispetto ai coetanei. Quindi la storia di Libero, protagonista del libro, è in parte la mia storia, un romanzo sul voler essere qualcuno, sul diventare se stessi, processo che passa inevitabilmente attraverso l’erotismo e la scoperta del corpo, ma che in un persona timida, come il protagonista, è molto complesso. A dodici anni non si sa nulla della vita, del sesso o dell’amore, e se poi la madre tradisce con il migliore amico del padre, la gelosia e il “battesimo erotico” aiutano da soli a entrare nel mondo degli adulti. Accanto a ciò, il desiderio segreto, la bibliotecaria Marie, l’appuntamento con i sogni, la confidente che fa scoprire, come una coscienza parlante, l’affascinante mondo dei libri, iniziando da “Lo straniero” di Camus, libro preferito del padre.

Mi piace molto il percorso di educazione letteraria affiancato a quella sentimentale. Come ha scelto i libri che cita e perché? Vedo che sono soprattutto americani…
La letteratura non è un qualcosa di estraneo all’uomo, in quanto, come la vita, è uno strumento di ricerca e, quindi, di verità. Insieme all’eros e all’amore è l’unico strumento che ci consente in qualche modo di «passare dalla prima persona singolare alla prima persona plurale». E’ sicuramente vero che il ruolo fondamentale, all’interno del romanzo, è svolto dai libri, quelli che Marie passa a Libero (“Se uno non riesce a vivere nel mondo, può vivere nella letteratura. Se uno vive tanto nel mondo e legge, vive ancora di più nel mondo”). Tre sono i romanzi principali che vengono citati, tutti con un ruolo preciso: “Mentre morivo” di Faulkner, “Il deserto dei Tartari” di Buzzati e “Lo straniero” di Camus. Questi tre libri sono così importanti per Libero perché si rende conto che sono, in realtà, evasioni dai carceri esistenziali e allora inizia a correre. E poi c’è Walt Whitman, che obbliga Libero a rovistare nei suoi angoli reconditi. Libero ammette di non “avere la sua arte poetica, di non possedere alcuna arte tranne l’alfabeto del sentimento, elemosinando legami camuffati da delusioni, collezionando carne per avere cuori”. “Tra i rumori della folla ce ne stiamo noi due,/ felici di essere insieme, parlando poco,/ forse nemmeno una parola”. Strano personaggio, Whitman, ha risvegliato i sensi dell’America, vedendo l’uomo non come singolo ma come un alito di anima sugli altri uomini E’ molto viscerale, carnale, ha risvegliato la poesia, non è solo cuore ma anche pancia, direi pancia estetica. Lo amo come amo Rilke anche se sono molto diversi. Se però mi dici che ti è piaciuta questa parte letteraria è come se davanti a un bel piatto di carne con purè tu mi dicessi che ti è piaciuto il purè. Hai amato il contorno più che la pietanza principale, ti è piaciuto un terzo del romanzo. Questo è un libro che deve andare a 360 gradi, resta urtante. Molto. Preferisco si dica che il libro non è piaciuto ma che ci sono parti del libro interessanti. Il (falso) pudore, ancora una volta….

Vero, forse il pudore, per educazione e cultura, mi ha lasciato inizialmente reticente. Ma questo romanzo non è volgare, per quello ho continuato una lettura inizialmente per me non agevole e, parlando con te ora, capisco qualcosa che mi era sfuggito…
Il libro ha venduto 40.000 copie, gran parte sono lettrici. Ricevo ogni giorno messaggi su Facebook da parte di donne di 50 e 60 anni, che si congratulano e ringraziano per come ho saputo vedere e raffigurare il mondo della fragilità dell’essere maschile oltre che comprendere la grande forza dell’universo femminile. Chiariamo: il libro è dedicato all’utero non al cazzo, alle donne che mettono al mondo. Ritorniamo all’immagine di copertina: voglio mostrare come spesso l’uomo è un maschile-femminile che diventa un miraggio, o si diventa uomini aggressivi o si diventa uomini femminili che amano talmente tanto le donne da diventare anch’essi femminili. Qui parliamo di percezione maschile di fragilità, non di vitellonismo. Fa bella figura la donna non l’uomo, il vero midollo è femminile.

I personaggi femminili del libro testimoniano quanto mi dice: Marie, Lunette, Frida, Anna e la madre di Libero. Qual è, a suo avviso, il più riuscito?
Sono tutti personaggi molto diversi tra loro, e tutti ben caratterizzati, che hanno un po’ fatto perdonare l’assenza di personaggi femminili nei romanzi precedenti. Il più difficile da scrivere, su cui ho lavorato maggiormente, è stato Frida, che volevo caratterizzare bene. Insieme a Marie, è quella meglio riuscita. Frida è la più importante perché è un personaggio mimetico, pare insensato, purgatoriale, una via di mezzo che aiuta a diventare se stessi senza volerlo far vedere. Anna è a suo modo molto importante e, allo stesso tempo, per nulla importante, Anna palindromo (che può esser percorso in entrami i sensi), come il suo nome, che ti dà qualcosa e che non ti dà niente. Un doppio senso da percorrere.

Qualche critico ha avvicinato il suo libro a “Il Giovane Holden”. Ti ci ritrovi?
Direi di no, i due romanzi sono molto diversi, anche se hanno qualche punto in comune. Tipo che la formazione nasce dal trauma (il tradimento della madre per Libero e il rifiuto della comunità / società per il solitario Holden Caulfield) o che magari sia Libero che Holden hanno la voce un po’ marcata. Entrambi sono sicuramente romanzi di “deformazione”.

Alla madre ammalata che muore…
Cosa c’entra la morfina con la purezza? Più della purezza, si trattava della dignità. La dignità di scegliere, Libero. Ecco perché quel nome. Tutta l’esistenza di Libero trova un senso nel raccontare. “Perché in fondo la gioventù è più solitaria della vecchiaia”, diceva Anna Frank. E una parola, alla fine, a riassumere tutto: padre. Perché si era insieme, e tutto il resto era stato dimenticato.

Marco Missiroli, “Atti osceni in luogo privato”, Feltrinelli, 2015, 249 p.

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
E lo chiamavano “Maturità”

Si chiamava “maturità” e in alcuni paesi dell’Europa è ancora designato come “matura”. In Irlanda “leaving certificate”, quasi a indicare che si abbandona un ciclo della vita per iniziarne un altro. Oggi è “l’esame di Stato conclusivo del corso di studio di istruzione secondaria superiore”, secondo la dizione voluta nel 1997 dall’allora ministro dell’istruzione Luigi Berlinguer.

Nell’ottobre del 2014 la Società italiana di scienze matematiche e fisiche, Mathesis, tenne a Rovigo, all’Accademia dei Concordi, un convegno internazionale dal titolo “Dall’esame di Stato all’esame Europeo”, ma intanto ancora quest’anno si compie, identico a se stesso, il rito di passaggio per circa 500 mila ragazzi che concludono le Superiori, per non contare la quota altrettanto rilevante dei loro compagni quattordicenni che devono affrontare l’esame di terza media, pure esso di Stato.

Quella che era la maturità oggi costa al contribuente italiano 200 milioni di euro, cifra questa fornita dallo stesso MIUR che, nella prima bozza del disegno di legge sulla stabilità per il 2014, proponeva il ritorno a commissioni d’esame tutte interne alla scuola, fatta eccezione per il presidente, in una prospettiva di contenimento della spesa pubblica. L’idea del ministro Giannini da sola è sufficiente a denunciare l’inutilità di questo esame che ci si ostina a mantenere in vita con un accanimento terapeutico degno di miglior causa. Se a esaminarti sono gli stessi docenti che ti hanno insegnato a che serve l’esame? Delle due l’una, o sono gli insegnanti inadeguati o è l’esame che a questo punto è un controsenso. Del resto si tratta di un esame da tempo discusso, a partire dalla quantità e qualità dei 100 con lode tra Nord e Sud del paese, per non parlare delle terza prova, da sempre sospetta di taroccamenti, inoltre il voto conseguito è irrilevante per accedere all’università.

È la nostra Costituzione a dettare al quinto comma dell’articolo 33: “E` prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi […].” Ma a nessuno di quelli impegnati a ragionare della riforma della carta costituzionale gli viene in mente che sarebbe intanto necessario apportare qualche ritocco dovuto agli inevitabili segni del tempo.

Era esame di Stato pure quello di licenza elementare, intelligentemente abolito con l’unificazione in un unico ciclo di istruzione della scuola elementare e media inferiore. Evidenziando che è più facile intervenire sull’organizzazione del sistema scolastico che non sul dettato costituzionale.

Problema questo neppure preso in considerazione dagli estensori della ‘buona scuola’, perché il pensiero degli studenti e degli esami non gli ha mai attraversato lontanamente il cervello.

Nel nostro Paese, amante dei sofismi, ancora ci si gingilla tra obbligo scolastico e istruzione obbligatoria, come fossero la stessa cosa. Fortunatamente il legislatore ha sancito che “l’istruzione obbligatoria è impartita per almeno 10 anni” e che è finalizzata “al conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale”. L’obbligo, quindi, non tanto di sostare a scuola, semmai ripetendo la stessa classe per anni, ma di progredire nell’istruzione verso un traguardo preciso. E allora che ci sta a fare su questa strada l’esame di terza media? In considerazione poi del fatto che l’Europa ci chiede di certificare le competenze a sedici anni, e per questo non è richiesto un esame, anzi, nel merito, ogni istituzione scolastica ha il suo fai da te.

“Esame” è etimologicamente l’atto di pesare, di stimare, di giudicare, come “maturo” ha la stessa radice di “misura” e di “mattino”. È in gioco la crescita dei giovani, come hanno impiegato il loro tempo. Ma c’è molto di più, e non certo culturalmente e socialmente di poco conto: stabilire se è il sapere che deve essere al servizio dell’individuo o l’individuo al servizio del sapere. Certo la pratica dell’esame di Stato risponde alla seconda ipotesi. Si attendono i giovani a dar prova di sé senza mai aver consentito loro di avere un ruolo nella società, senza aver permesso loro di sperimentarsi in progetti utili alla comunità, in stage funzionali a mettersi in gioco, in stage presso le università, come in altri paesi avviene. I nostri esami sono luoghi di scritti e di orali, di passività e ripetitività, di mortificazione delle intelligenze, oltre che dell’identità e dell’esistenza di tante ragazze e ragazzi.

Basterebbe guardarsi un po’ attorno nel mondo per accorgersi che c’è anche chi ha intrapreso strade nuove. Scuole superiori dove i progressi nell’apprendimento vengono misurati attraverso valutazioni qualitative delle capacità e delle competenze, documentate da tutta l’esperienza dello studente, piuttosto che misurate su un risultato discreto.

Le valutazioni personalizzate sono una pratica regolare e quotidiana, parte del processo di apprendimento d’ogni studente, e un’attenzione peculiare è riservata alla capacità di condurre a termine piccoli e grandi progetti. Come risultato, gli studenti sanno in ogni momento quali sono i loro punti di forza, dove hanno margini di miglioramento, e come stanno affrontando i loro progressi. Questo processo prende il posto dei convenzionali esami al termine della scuola.

Allora si comprende che è la relazione tra giovani, scuola e società che va radicalmente ripensata, e che gli esami sono i residui di una cultura classista e selezionatrice, inibitrice delle intelligenze, della libertà e del diritto alla realizzazione dei nostri giovani. Retaggi della cultura gentiliana, di quella cultura che destinava agli studi superiori solo le classi agiate.

Di qui si tocca con mano quanta distanza da questi temi ancora ci sia nello sparlare di scuola che si continua a fare, un po’ da tutte le parti, dal governo, ma anche da quanti in questi mesi dicono di volere una scuola pubblica, democratica, di sana e robusta Costituzione.

Sarebbe il caso di avere il coraggio di chiedersi perché gli insegnanti, che sono la classe intellettuale più estesa del paese, non sono in grado di svolgere tale ruolo, mettendo in campo pensieri e idee nuovi e forti. Eppure la storia della nostra scuola è fatta di figure di insegnanti significative per la loro capacità di innovazione dalla parte dei ragazzi e delle ragazze, sfidando la resistenza di ogni canone tradizionale.

ECOLOGICAMENTE
I rifiuti e la cultura dello scarto. Domani l’incontro al Corpus Domini

Il rifiuto solido urbano viene prodotto principalmente nella fase del consumo finale dei prodotti e dei servizi. Complessivamente le famiglie producono direttamente circa la metà dei rifiuti urbani mentre l’altra metà viene prodotto dagli operatori dei servizi, del commercio, dei pubblici esercizi che gestiscono tutto il sistema del consumo.
E’ importante perciò sottolineare che la famiglia, come consumatore finale, controlla solo una parte dei rifiuti urbani e pertanto le strategie della raccolta differenziata dovranno considerare il peso che questo canale ha nella produzione dei rifiuti. Nello specifico le famiglie consumano il 50% dell’organico presente nei rifiuti (si stima una produzione media giornaliera pro-capite di organico di circa 200-250 grammi), il 40% degli imballaggi (per la maggior parte primari) e insieme al terziario e servizi (uffici) circa il 90% della carta da giornali e della carta non da imballo.
E’ però anche utile fare alcune valutazioni sulle diversità dei territori. Ogni territorio, infatti, avendo la sua specificità è in grado di raggiungere obiettivi di raccolta differenziata comunque diversi rispetto a zone territoriali con caratteristiche differenti; di questo è opportuno tenere presente nella individuazione degli obiettivi e soprattutto quanto si fanno i paragoni.
Da alcune analisi, ad esempio sulla distribuzione dei materiali nei rifiuti, la percentuale più significativa dell’organico è ottenuta nei comuni di medie dimensioni (tra i 20 e gli 80.000 abitanti), mentre un terzo arriva dai comuni con meno di 20.000 abitanti. Per le città o comunque i grossi comuni il tema è delicato sia per le difficoltà di raccolta sia per la qualità del conferito; un orientamento verso la raccolta di organico del non-domestico è assolutamente da privilegiare e consolidare in queste aree. Lo stesso ragionamento è opportuno svilupparlo su tutti i materiali; le aree metropolitane e urbane maggiori producono mediamente un terzo dei materiali recuperabili presenti sul territorio.
In generale, però, per allineare l’Italia nella gestione dei rifiuti alla linea di politica ambientale dettata dalla Ue, e peraltro già affermatasi in diversi Paesi comunitari, bisogna invertire il processo in corso, e occorre procedere tempestivamente ad un ribaltamento di una situazione da tempo critica e indecisa nelle sue scelte. Per fare questo occorrono non singoli provvedimenti, ma interventi organici non dettati dall’emergenza, in armonia con le direttive comunitarie. Si ritiene dunque che su alcuni principi e riferimenti debba essere sviluppato un maggior confronto tra i vari interlocutori del sistema per ricercare soluzioni nuove e condivise. Il passaggio fondamentale è superare la generica affermazione di principio (a cui purtroppo anche qui non ci sottraiamo) con una logica basata sulla programmazione e sul raggiungimento graduale di risultati.

Anche papa Francesco ne parla nella sua enciclica “Laudato si’” uscita qualche giorno fa e che vi invito a leggere con attenzione [leggi]; si trovano principi e concetti di altissimo valore e rappresenta un appello ecologico di grandissima rilevanza, sintetizzato nel sottotitolo “Sulla cura della casa comune”.

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Dell’enciclica se ne parlerà domani martedì 23 giugno, alle ore 17,30, presso il monastero Corpus Domini di via Campofranco, Ferrara, all’incontro “Laudato si’, sulla cura della casa comune – La nuova enciclica di Papa Francesco“, con Massimo Faggioli, docente di Storia del cristianesimo (University of St. Thomas – Minneapolis / St. Paul) e Piero Stefani, biblista e redattore della Rivista “Il Regno”, coordina Roberto Cassoli [vedi].

L’OPINIONE
Dalla salama alla ricerca dell’eden. Uno sguardo sulla città e sul mondo

Dai giardini alla cucina alla politica politicata ai pozzi neri dell’orrore totale di Charleston alle parole del Papa agli scricchiolii del progetto Renzi. Una settimana d’angoscia e di riso se si sfogliano o si ascoltano le notizie global e local  direbbero i miei pronipoti calcando molto sulle ferraresi “elle” pronunciate quasi fossero un borborigmo; difesa estrema alla pronuncia generalizzata delle parole secondo lo stile romano tra un “c’è” che diventa “cz’è” e la “carne italiana” che diventa la “garne idaliana”: parola di Gringo.

E per il glocal al di là della noiosissima querelle sulla postazione del mercato a fianco della Cattedrale, strepitosa la notizia della salama da sugo, straordinario prodotto delle terre ferraresi, offerta a Michelle Obama all’Expo e ritenuto oggetto potenzialmente pericoloso tanto da far intervenire gli agenti della sicurezza. Così la nobile salama da sugo cantata da Mario Soldati e commentata da un esperto critico della cucina come Romano Guzzinati diventa oggetto di terrore nel mondo impazzito tra digiuno e sazietà, tra “eccellenze” e fame nel mondo. Ci è voluto poco a riportare la salama alla sua funzione di grande prodotto della nostra cucina, anche se confesso con molta vergogna, che la sua consistenza non è mai stata gradita al mio stomaco e al mio gusto, ma è interessante notare come ormai qualsiasi prodotto può divenire oggetto di terrorismo o di possibilità di terrorismo o di disperazione. E se ci si sposta poi al mondo dell’arte è ormai consueto inneggiare alle magnifiche sorti e progressive degli avvenimenti che si succedono a ritmo continua nella capitale estense. Mai nulla può smentire il cammino trionfale di tutto quello che succede qui siano i palloni areostatici che i festival di musica da strada o Ferrara sotto le stelle, una manifestazione che un tempo osò portare sotto i cieli della nostra città dei grandi attori che recitavano Ariosto; uno spettacolo liberamente proposto ai cittadini senza il cappio di prenotazioni che, mi si dice, hanno lasciato fuori dalle dipinte mura di Schifanoia coloro che desideravano assistere a una rappresentazione di “Aminta” del Tasso andata esaurita per prenotazioni non previste. Ma “relata refero” e siamo tutti contenti di questi mesi di spettacoli dove regna sovrano quello che è considerata la massima delle manifestazioni: il Palio di Ferrara, affettuosamente declinato dai ferraresi come il “Paglio”. Basterebbe? No di certo, perché ormai tutto deve per forza essere accompagnato da sagre, degustazioni, mangiarini ExcelLand che possano consolare il periodo buio della nostra economia nell’anno che il cibo diventa l’assoluta priorità del Paese.

Poi uno apre il telegiornale e vede quello che succede a Ventimiglia  e, immediatamente dopo, le grida e gli inni di coloro che sul prato di Pontida inneggiano alle ruspe invocate da Salvini che con quella “faccia un po’ così” strizza furbescamente l’occhio scandendo quelle parole che garantiscono che le ruspe serviranno non a radere al suolo un campo rom ma Renzi e la sua cricca.

Del resto che può dire di meglio e di più per combattere la concorrenza del poco giudizioso Grillo scrivente e non parlante che con piglio alla John Wayne vuol spazzar  via sporcizia, topi e …migranti da una Roma aperta ad ogni tipo di abusi e di scandali. Certo se la deformazione prodotta da una possibile vittoria elettorale e partitica porta al continuo declinare i miserabilia di questa politica impazzita cosa pensare di quel che è accaduto a Charleston? Una città che poteva al massimo evocare un ballo di moda ai tempi di mia madre e che ora spalanca le fogne senza fondo di un razzismo impazzito e che osa ancora nel paese della democrazia proclamare che tutto questo è successo per l’imprevvidenza dei fedeli massacrati nella chiesa dal ragazzo impastato d’odio che hanno fatto una fine prevedibile in quanto non avevano portato con sé le armi per difendersi! Allora sì che si può pensare di disprezzare l’umanità senza alcuna possibilità di redenzione.

Certamente l’umanità è riscattata poi dal discorso di papa Francesco tanto più trionfante sul pensiero laico, di cui sono seguace, e che per di più sa mettere in dubbio certezze e pregiudizi. Una chiesa tra le chiese non mossa da furori teologali ma che guarda gli altri, il popolo, con misericordia; una parola che solo pochissimi sono in grado di pronunciare e che sulle labbra di Francesco ha un suono nuovo: di speranza.

Arrivati a un possibile punto di non ritorno – e domani sapremo cosa ne sarà della Grecia – tuttavia sembra che alcune luci si accendano nel buio d’inferno direbbe l’amatissimo Dante in cui brancoliamo prede di pulsioni strane e diverse.

La mostra a Casal di Principe organizzata in quel luogo infaustamente conosciuto per la mafia che gli Uffizi e il suo straordinario direttore Natali hanno voluto portare per sperimentare la forza della bellezza coniugata platonicamente con la bontà a refrigerio del cuore stanco. E bene ha fatto il ministro Franceschini ad assistere di persona alla sua inaugurazione.

L’opera nobile di chi non si è sottratto a portare un piccolo aiuto ai migranti esposti nella teca della stazione centrale di Milano o tra i sassi di Ventimiglia che compensano in parte quell’abbraccio politico e un po’ repellente tra Hollande e Renzi in visita all’Expo.

Le parole appassionate con cui gli insegnanti hanno sottolineato la loro indisponibilità alla “buona scuola”

L’entusiasmo non sopito per la socialità e i diritti tra i giovani spesso penalizzati da quelle ridicole pose che li ha resi icone e modelli della pubblicità e della moda. Per fortuna alla pur giusta e necessaria compartecipazione a forme sociali di svago che li vedono tutti barbuti e tutti con un bicchiere in mano sanno reagire con dignità e coraggio a una situazione che noi, figli della guerra, non abbiamo mai sperimentato. A noi, allora, nessuno ci ha negato un lavoro. Ora per molti di loro non resta che aggrapparsi a una speranza che diventa utopia prima di realizzarsi.

Oggi sulle pagine di “La Repubblica” Nadia Fusini commenta l’irrefrenabile passione per il giardino e per quello che esso rappresenta nell’immaginario contemporaneo. Alla sua lista avrei aggiunto altri titoli e altri autori ma quel che resta inconfutabile è che l’antico significato della parola Eden ha ancora una sua irresistibile attrattiva in un mondo dove molto spesso il deserto dello spirito prevale sulla speranza di un “paradiso” a premio sulla terra della nostra spesso colpevole infelicità umana

L’EVENTO
Tappa ferrarese del “Giro d’Italia in 80 librerie”

Finalmente ci siamo, venerdì 26 giugno arriva a Ferrara il “Giro d’Italia in 80 librerie“: percorso a tappe lungo 1200 chilometri, dal Friuli Venezia Giulia alla Puglia lungo la costa adriatica con incursioni tematiche nell’interno: arrivi e partenze sono in libreria, in biblioteca, nelle piazze e nelle scuole.

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Flyer del Giro d’Italia in 80 librerie

La tappa ferrarese si svolgerà alla Biblioteca Ariostea in serata: alle 20.15 avrà luogo lo spettacolo “Chi l’ha letto?”, “il primo format di piazza della non televisione italiana”; a seguire, l’incontro coi protagonisti della tappa ferrarese, Marco Zapparoli, fondatore di Marcos y Marcos, Marco Missiroli, autore di “Atti osceni in luogo privato”, e lo scrittore ferrarese Edoardo Rosso, autore del libro “Binda, l’invincibile”. Dopo lo spettacolo prenderà il via “Il Giro di Ferrara in 80 minuti”, un suggestivo tour in bicicletta nelle vie della città con proiezioni sui muri di chiese e palazzi ad opera della “Cinebicicletta” che proietterà una sequenza di corti selezionati dal Booktrailer film festival di Brescia [vedi].

Abbiamo voluto conoscere gli organizzatori Simone Sacco e Marco Zapparoli, e li abbiamo incontrati durante la tappa ad Argenta del 12 e 13 giugno per farci raccontare come nasce l’idea del tour ciclistico-letterario.

“La bicicletta è la penna che scrive sull’asfalto” (Guy Demaysoncel)

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Marco Zapparoli durante la tappa ad Argenta.

“Leggere è istruttivo, divertente, utile. Per leggere si deve oltrepassare uno scoglio, che implica lo sforzo e la fatica di applicarsi, quello che poi genera conoscenza ma anche piacere. Questo perché la lettura è fondamentale, non solo nella sua accezione più conosciuta. L’aspetto magico è la modalità ampia di interpretare i libri, allo stesso modo in cui si possono leggere la storia, o le pietre: lo scorso anno ho incontrato una archeologa che leggeva la storia nelle pietre. L’idea iniziale del Giro d’Italia in 80 librerie – racconta Marco Zapparoli, fondatore della casa editrice indipendente milanese MarcosyMarcos e co-ideatore dell’iniziativa – risale a tre anni fa, quando organizzai una staffetta ciclistica. La formula del giro è stata sperimentata per la prima volta nel settembre 2013. L’anno scorso abbiamo percorso la via Francigena. Quest’anno invece siamo partiti dal Friuli per poi arrivare a Bari, in un itinerario che mira a diffondere l’amore per i libri e la lettura, attraverso itinerari che percorrono la penisola in percorsi a prova di panorama e sostenibilità, veicolando varie forme espressive e artistiche tra cui la fotografia e la musica, oltre che la lettura.”

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Biciclette fornite per il Giro da BiciDeltaPo

La bicicletta è il principale partner meccanico, e anche il tramite con la tecnologia applicata ai mezzi comunicativi. Una delle idee era creare biciclette in grado di proiettare immagini e suoni sui muri di un paese o di una città, creando un potente sistema di prodotti audiovisivi: così sono nate le biciclette parlanti, cosiddette perché portano diffusori acustici pilotati da smartphone.
“Abbiamo scelto come accompagnatori mezzi di movimento di viabilità dolce, tra cui anche gli asini, protagonisti indiscussi della tappa di Monte Grimano Terme grazie a Massimo Montanari.

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Sul battello ‘Pesce di legno’ durante il laboratorio di scrittura con Michele Marziani.

La barca è il mezzo di locomozione di Libri in voga, organizzata in occasione della nostra tappa veneziana dedicata a Jack London, in cui 15 barche libere si fermavano in alcuni punti e a turno i partecipanti leggevano un brano. Proprio London, il cui viso campeggia serioso sulla maglietta bianca di Marco, è uno dei protagonisti di “Chi l’ha letto?” in cui i campioni di oggi uniscono i propri lavori ai grandi classici. Proprio quelli che rientrano protagonisti grazie alle letture scelte per l’evento, che propongono 12 classici della letteratura spariti da scaffali di librerie e biblioteche, di cui sono rimaste le effigi a mezzobusto tracciate, a mo’ di foto segnaletica, da Tuono Pettinato, poi riportate su magliette e cestini di biglie. “Obiettivo è rivitalizzare la presenza dei classici in modo scherzoso e alternativo. La lettura combatte la superficialità, la piccolezza delle cose.”

“Perché la bicicletta non importa dove porti, è tutto un equilibrio di periodi e di rapporti…” (Frankie Hi-nrg, Pedala)

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Simone Sacco in sella verso il bosco.

“Leggere è un atto d’amore, ed è per tutti. Attraverso questa iniziativa contiamo di avvicinare le persone all’aspetto più aperto della lettura, sdoganandolo dagli aspetti principali che lo connotano, di silenzio e raccoglimento, senza per questo renderlo meno intimista.” Me lo racconta tra una pedalata e l’altra Simone Sacco, pedalatore rinnovabile, amante librico, membro dell’associazione Letteratura rinnovabile e socio di Marco in questa avventura, nel pomeriggio dedicato alla lettura all’Ecomuseo delle Valli di Argenta, nell’Oasi di Campotto, mèta della tappa del 12 e 13 giugno in cui sono state proposte alcune iniziative deliziose: la passeggiata con letture nel bosco di notte, dedicata ai bambini e da loro pilotata con le lanterne create da loro per l’occasione, poi i novelli Pollicini, si sono addentrati nel bosco rapiti dalle letture al lume di quella lanterna; il laboratorio di scrittura navigante sul fiume Idice con il battello “Pesce di legno”; e infine con il laboratorio di fotografia.

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Costruzione delle lanterne da parte dei bambini.
Bambini in marcia per ‘Letture nel bosco. Le mille e una notte con Sharazade’.
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Bambini incantati a ‘Letture nel bosco’.
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Protagonisti del laboratorio di fotografia con Sergio Stignani.

“Parlando con Marco nascono idee, spunti, immaginazioni: alcune incredibili, sognanti e sognatrici che si scontrano con una loro effettiva realizzabilità; altre invece eccole, le portiamo in giro su ruote e con altri mezzi – racconta Simone – Il tutto potendo mantenere totale indipendenza tanto nella linea editoriale quanto politica dell’evento, grazie agli sponsor che ci hanno sostenuto in questa iniziativa, la Snam e la Federazione ciclistica italiana.”

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Laboratorio di lettura nel bosco con Massimo Vitali.

Leggimi! Sembrano chiamarti, mentre ne peschi uno dal mazzo che propone Massimo Vitali, scrittore bolognese e mentore della tappa argentana insieme a Michele Marziani e Sergio Stignani. Partire in bicicletta sulla ghiaia, che scricchiola sotto le ruote e scotta sotto il sole, per raggiungere un angolo di verde, una radura in cui scendere dalle compagne arancioni a due ruote uscite da un capanno in legno scuro e subito pronte ad accompagnare bipedi accaldati verso un ristoro fatto non solo di parole. Arrivati alla radura ognuno dei partecipanti trae il proprio nutrimento non dalla magia nera, ma dalle parole che premono per uscire dai fogli di carta stampati per finire dritte in pasto a famelici lettori. I quali, ben lontano dal potersi tenere dentro tanta poesia, la rimettono in circolo.
Cesare Zavattini, Stefano Benni, Julio Cortázar, Giovanni Guareschi, Truman Capote, Gabriel García Márquez sono alcuni degli amici di questo sabato pomeriggio, letture suddivise in momenti topici – Poesia, Caos, Racconto; incipit storici e quasi nuovi, condivisi, partecipati e sentiti, a voce bassa o tonante, con mani ferme e teatrali o con occhi sfuggenti e chini sulla lettura. Ascolti che sono stati seguiti dagli applausi e dai silenzi, da occhi chiusi per meglio godersi il potere del suono di una parola e commentati e votati (ma non al silenzio) sotto la guida di Vitali.

Il gruppo dei ciclo-lettori
Campi nell Valli di Campotto
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Massimo Vitali legge Alessandro Bergonzoni.
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Il gruppo durante una lettura nel bosco
Giorgia Pizzirani di Ferraraitalia durante ‘Letture nel bosco’.
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Letture nel bosco, una partecipante.

Prima – terminando la chiacchierata con Marco – parlavamo di magia: e allora ti dico che sto rileggendo “Il vagabondo delle stelle” di London, uno dei classici libri dai quali si resta letteralmente incantati. Ed è la storia di un condannato a morte che riesce, grazie alla sua mente, a uscire dalla cella in cui si trova: è la sua immaginazione a permettergli di prendere distanza dal proprio corpo e prendendo al contempo per mano il lettore sprigionando tutta la forza del patto narrativo tra scrittore e lettore.” Lui, l’arcano incantatore, è perfettamente a suo agio tra frasche e fiori selvatici, pigre e grasse lumache che tastano gli intrusi con antenne sempre all’erta, forse di qualche parola che vuole crearsi una storia per i fatti propri. E ci riesce.

NOTA A MARGINE
Un tavolo lungo un parco, con l’intitolazione ad Andrea Bui la festa raddoppia

È sempre difficile trovare le forze per reagire dopo una disgrazia, e lo è ancora di più se, poco tempo dopo, se ne aggiunge un’altra. Una di queste disgrazie la conosciamo in molti, il terremoto di quei maledetti giorni di tre anni fa; la seconda, dello scorso anno, è la scomparsa di Andrea Bui, cittadino di viale Krasnodar conosciuto da tutti per aver piantato oltre cento piante in circa 20 anni nell’immenso Parco dell’Amicizia.

Un tavolo lungo un parcoE Viale Krasnodar è il quartiere che da queste avversità ha trovato il modo giusto di reagire e mettersi in gioco, nel segno della condivisione e della convivialità: “Un tavolo lungo un parco”, la grande cena dei residenti che dal 2013 si tiene lungo il Parco dell’Amicizia, luogo dei riversamenti in seguito alla scossa del 29 maggio e di quei primi pranzi e ritrovi “forzati” che hanno poi dato l’ispirazione e che oggi sono diventati una vera e propria tradizione.
Di venerdì scorso la terza edizione, un ennesimo successo visto il superamento del numero di partecipanti (toccata quota 400) rispetto all’anno passato, a conferma del trend positivo che ogni anno convince sempre più curiosi o interessati ad uscire dai palazzi della zona e prendere parte alla lunghissima tavolata.
Ma quest’anno i numeri sono passati in secondo piano perché, come anticipato nella scorsa edizione, lo stesso Parco dell’Amicizia è stato ufficialmente intitolato proprio ad Andrea Bui. Le tantissime persone accorse all’evento sono state infatti accolte da alcune nuove targhe poste agli estremi del parco, ognuna delle quali riportante la dedica ad Andrea Bui, ricordato semplicemente come “L’uomo che piantava gli alberi” e “Cittadino volontario”, frasi brevi che meglio non potrebbero sintetizzare le caratteristiche di quest’uomo, scomparso lo scorso anno ma ben presente nel ricordo dei suoi vicini. Un parco che se oggi è così alberato, verde ed accogliente lo si deve anche e soprattutto a lui, come ricordato durante la breve e toccante cerimonia di inaugurazione da Patrizio Fergnani, organizzatore dell’iniziativa, dell’assessore Aldo Modonesi, della moglie di Andrea Bui Mafalda e dal parroco di viale Krasnodar.

Un tavolo lungo un parcoTerminata la cerimonia e impreziositi da questa bellissima novità, i quattrocento residenti hanno poi finalmente potuto aprire teglie di lasagne e bottiglie di vino, tagliare salami, condire immense ciotole di riso freddo e, per non farsi mancare niente, distribuire il cous-cous. La cena è finalmente servita, ognuno ha portato da casa tavoli, sedie e cibo: c’è chi preferisce stare seduto al proprio posto e andare sul sicuro con il proprio, chi assaggia dal tavolo di fianco, chi invece percorre il perimetro dell’intera tavolata alla caccia delle pietanze più gettonate, quelle degli abitanti storici di Krasnodar. Ai lati, schiere infinite di bambini che giocano ad ogni tipo di sport esistente senza mai stancarsi, ragazzi che improvvisano giochi e canti, altri che impugnano la chitarra.
Patrizio Fergani non aveva dubbi e si dice “veramente soddisfatto della giornata, soprattutto perché con la cerimonia dell’intitolazione del parco ad Andrea Bui la festa è stata doppia. Un desiderio nato spontaneo l’anno passato e divenuto realtà in pochissimo tempo. Anche quest’anno – continua – non possiamo che essere entusiasti di questa iniziativa che oramai viaggia da sola e vive di vita propria, ci si organizza tramite la pagina Facebook e la risposta sono tutte queste persone che in armonia si ritrovano qua ogni anno più numerose, felici di riscoprire il vero senso di comunità”.Un tavolo lungo un parco
Lo stesso entusiasmo lo si legge nei volti di alcune signore intente a distribuire i loro piatti migliori. Le saluto, mi invitano a sedermi e in pochi secondi sono circondato da cibo e bibite:“Noi nel nostro palazzo ci troviamo spesso per cenare tutti insieme e non possiamo che essere felici se la cena di tutto il quartiere ha questo successo – mi racconta una di queste – Siamo in tanti ma potremmo essere ancora di più, speriamo che nei prossimi anni si unisca anche chi ora ci guarda dalle finestre”.

E così, tirati fuori anche i dolci e gli amari, la serata prosegue in allegria. Il sole si abbassa, si accendono i lampioni e, all’imbrunire di questo nuvoloso giorno d’inizio estate, il colpo d’occhio è unico… ancora più forte l’emozione di vedere il tutto dal tetto del palazzo per fotografare la tavolata nella sua interezza: un’atmosfera di pace e amicizia, quella vera, che oggi raramente si può trovare.

 

LA SEGNALAZIONE
Sotto il vestito… la passione. Dietro le maschere di Star Wars in parata per il Fe Comics & Games

Cosa spinge decine di persone adulte in un bollente sabato di giugno a vestirsi con corazze di plastica e marciare sugli insidiosi ciottoli del centro storico di Ferrara per tutto il pomeriggio, accettando pazienti una scarica continua di foto con bambini, ragazze e turisti?

I soldi? No, sono tutti volontari. La fama? No nessuno li riconosce sotto quelle maschere.
La passione? Ecco, quella si. Ce lo spiega Eleonora Frascati, che, come recita la sua polo d’ordinanza, fa parte della Rebel Legion Italian Base, il gruppo autorizzato direttamente dalla Disney e dalla Lucas Film, a indossare i costumi che replicano quelli del film Star Wars.

“Noi siamo costumer, non cosplayer – ci dice, entrando subito nel tecnico – cioè i nostri costumi sono ufficializzati dalla casa di produzione del film”.

Ieri era il primo giorno di ferie di Eleonora, che fa la commessa, e invece di correre in qualche spiaggia, si è precipitata in centro dove tra piazza Municipale, Giardino delle Duchesse, piazza Trento e Trieste e chiostro di San Paolo, è in corso la manifestazione Fe Comics & Games, che ieri e oggi propone stand, spettacoli ed incontri che riguardano il mondo del fumetto, delle serie tv, del fantasy, dei giochi da tavolo e dei videogiochi.

Il compito di Eleonora era quello di guidare la truppa imperiale che ha sfilato in costume per il centro della città, per evitare che la scarsa visibilità data dalle maschere, provocasse rovinose cadute. Per Eleonora ieri niente costume, non ha fatto in tempo a travestirsi dopo il lavoro, “ma a casa ne ho quattro, domani li indosso”, ci confessa.
“Quando ci vedono passare, alcuni ci prendono per pazzi e non capiscono il nostro amore per le trilogie di Guerre Stellari, altri invece si commuovono”. Forse perché tutti hanno bisogno di un mondo fantastico in cui perdersi, come da bambini. E loro sono riusciti a portarlo nella realtà afosa di una città spesso fin troppo reale. Che la forza sia con loro.

La manifestazione prosegue anche oggi. Il programma sul sito di Fe Comics & Games [vedi].

EVENTUALMENTE
In esposizione alla festa di via De’ Romei le opere di Andrea Forlani pittore e videomaker

“Veniamo da un uovo più piccolo di una testa di spillo, e viviamo su una pietra che gira intorno a una stella nana e che, contro questa stella, prima o poi, si scontrerà. Tuttavia, siamo stati fatti di luce, oltre che di carbonio, ossigeno, merda, morte e altre cose e, in fin dei conti, siamo qui da quando la bellezza dell’universo ha avuto bisogno di essere vista da qualcuno.” (Eduardo Galeano)

Splendide righe ispirano la personale di Andrea Forlani, pittore e regista ferrarese, che si terrà oggi (12 giugno) all’Osteria dal 1997, in occasione della terza edizione di “Via de’ Romei in festa: musica in strada a Ferrara [vedi]. L’inaugurazione si svolgerà dalle 19, e l’allestimento esterno, lungo la storica via che sarà ancora una volta animata, piena di luce e di una vita che pare caratterizzare sempre di più le rinate, creative, poliedriche e operose vie cittadine.
Andrea Forlani aveva già esposto, nel proprio studio-giardino in via Quartieri 7, il 29 maggio, ma solo per poche ore (dalle 18 alle 21.30): l’aveva definita la mostra d’arte più breve della storia, e, “a grande richiesta, per chi non l’aveva saputo, per chi avrebbe voluto esserci ma non ha potuto, per chi avrebbe potuto esserci ma non ha voluto, e per chi non verrà e per chi allegramente ci sarà, si replica”! Eccoci qui, allora, curiosi.

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Andrea Forlani

Andrea, classe 1972, fondatore di Videobiografie [vedi], ama sperimentare, intuire, vivere di passioni e nuove prospettive, incontrando e collaborando con videomaker, pittori, scrittori, musicisti, architetti, ma anche con dentisti, idraulici casalinghe, esperti di pellami, preti, gommisti e babysitter. Tutti hanno idee da portare.
Ciò che l’accompagna sempre è, quindi, la grande passione per l’immagine, in tutte le sue espressioni, che lo porta a osservare la realtà attraverso la lente della telecamera ma soprattutto l’occhio attento del pittore. Nella mostra di via de Romei, fra musica, performance di vario tipo, buon cibo e un calice di vino, saranno esposti alcuni dei suoi quadri, in una sorta di galleria naturale che scorre libera e lascia immaginare. Gli abbiamo chiesto qualche anteprima e gentilmente ci ha spiegato la genesi di alcune delle opere che ci hanno maggiormente colpito e ispirato. Eccone alcune, fra quelle che potrete ammirare il 12 Giugno. Ne ha dipinte 450, in 25 anni. Tante. La selezione è sicuramente ardua.

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Cicatrice

Cicatrice – Quello che pare un fiume in piena che scorre fra case e campi irrigati (a prima vista il quadro mi ricordava molto una delle fotografie di Yann Arthus-Bertrand della terra vista dal cielo) è, in realtà, un’opera intensa che fa parte di una serie chiamata “cicatrici”. Dal 1995, Andrea ha dipinto questa serie, che prende spunto da una cicatrice di 50 punti che ha su una gamba. Non ne ha un numero definito perché, come per le altre ricerche, l’artista continua a produrne, quindi più che un periodo rappresentano qualcosa da dire, non una ripetizione ma un altro pezzo di frase, nuovo.
“Per leggere correttamente quello che faccio”- dice -, “bisognerebbe iniziare a vedermi come un dissociato; infatti quando penso all’immagine del mio cervello, vedo una stanza ellittica con una dozzina di porte a perimetrare e al centro un divano circolare stile bordello francese di Toulouse Lautrec; ogni tanto, qualcuno, o più di uno, esce da queste porte, si siede, parla e…”. Vi lasciamo continuare da soli, liberi di immaginare, di mettervi i vostri pensieri e le vostre parole, come lui vorrebbe.

Magari – Vignetta realizzata dopo i fatti parigini di Charlie Hebdo. Perché questo titolo? “Semplice. Perché l’artista avrebbe preferito che gli attentatori avessero puntato su se stessi l’arma.

My Munch – Fa parte di una serie di tre opere che rileggono tre grandi classici del passato come “La Monnalisa”, “La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso”, di Masaccio e “L’urlo di Munch”, esposte la prima volta in occasione della mostra Generazioni, collettiva generazionale di Artisti dal Dosso Dossi di Ferrara (Zanni, Guidi, Cattani, Camerani); i Collage realizzati per Vinicio Capossela per il divertente album “Canzoni a Manovella” usati nel video Marajà [vedi].

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Collage P
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Collage R
Collage S

L’uovo di Giorgio – Un’enorme astronave bianca che arriva dal cielo, grandissima rispetto alle dimensioni degli uomini, un quadro sognato, null’altro. Quasi un dono con una sorpresa all’interno. A voi, però, immaginare, ancora una volta.

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Magari
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My Munch
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L’uovo di Giorgio

Mondo – Si tratta di un gioco che Andrea ha fatto e sta ancora facendo, che consiste nel chiedere alla gente di disegnare la mappa del mondo e riportare poi i loro disegni all’interno dei suoi lavori informali. Si tratta di circa 400 fogli e foglietti disegnati con mondi fatti da un campione eterogeneo di persone, molto divertente.

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Mondo
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Mondo
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Colorbars

 

Colorbars o barre di colore (di cui all’immagine in copertina) – “Sono il monoscopio – spiega Andrea – ragionato come un microscopio, inizio da dove Mondrian pensava di avere finito.” I colori ci portano lontano, dove vogliamo, dove ci piace andare. Tutto è, insomma, un richiamo divertente, e quasi canzonatorio, all’oggi, un gioco con l’arte contemporanea (come si deduce già dal titolo) che unisce vari periodi e momenti dell’arte oltre che diverse visioni del mondo. Che spesso, magari, non vuole dire nulla, ma che distrae e diverte, almeno per un po’, per una serata leggera.

Una visione che merita un passaggio…

Andrea Forlani si diploma Maestro d’arte nel 1990 all’Istituto d’arte Dosso Dossi di Ferrara. Pittore e videomaker, dal 1992 è attivo nel panorama artistico Italiano. Nel 1995, espone a Palazzo ducale di Genova, partecipa alla Biennale dei giovani artisti (1996), rappresenta l’Italia alla Mostra internazionale di pittura di Veliko Turnovo in Bulgaria (1997), collabora con Vinicio Capossela a grafica e scenografie di “Canzoni a manovella” (1999, menzione speciale agli Mtv Awards Italy).

IL CASO
Sbatti il mostro in prima pagina: il ‘re dei vitalizi parlamentari’ e il rovescio dell’informazione

“Luca Boneschi, proclamato deputato il 12 maggio 1982, è giunto al termine del mandato 24 ore dopo. Non ha mai partecipato a una seduta parlamentare, ma gode di una pensione da 3.108 euro lordi da 32 anni. È un avvocato di prestigio e si occupa, non casualmente, di diritto del lavoro”. La notizia, pubblicata dall’Eco, di Bergamo, è stata amplificata un paio di settimane fa dal popolare programma di Rai 3 Ballarò, in occasione di una puntata dedicata ai vitalizi dei parlamentari. Nella messa in onda, l’avvocato Boneschi, pedinato dagli inviati Rai che gli chiedono spiegazioni, reagisce con stizza e rimedia una pessima figura. Sembra la conferma di quanto emerge dalla cronache: il comportamento tracotante di chi si avvinghia ai propri privilegi e rifiuta persino il confronto.

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Luca Boneschi

Boneschi però non è un signor nessuno piovuto dalla luna: ha un significativo percorso professionale e politico alle spalle, si è distinto per un costante impegno volto alla tutela dei diritti civili, del diritto all’informazione e dei diritti dei lavoratori, è stato eletto in Parlamento come rappresentante del libertario partito Radicale. Lo abbiamo quindi interpellato per domandargli ragione di un atteggiamento apparso irriguardoso nei confronti dei cittadini prima ancora che dei giornalisti che lo intervistavano. “Il problema – ci ha spiegato con cortesia – è che uscire dopo dodici ore di pesante lavoro alla mia abbastanza ragguardevole età (76 anni, ndr), essere pedinato per almeno trecento metri e bloccato per strada da tre persone ‘armate’ di microfono telecamera e lampada, che si mettono a farmi domande, ma che in realtà non vogliono risposte, con date e circostanze tanto suggestive quanto fuorvianti, ed essere impedito di proseguire, oppure continuamente seguito fino in ascensore, non è cosa da poco. Ho reagito male, lo so, e me ne sono subito pentito, perché ho capito quale uso sarebbe stato fatto delle riprese e delle poche frasi che ho detto (tra l’altro, di quelle poche sono state utilizzate solo quelle che facevano comodo agli intervistatori). Anche le cifre non corrispondono alla realtà, ma fare un’inchiesta giornalistica seria è faticoso”.

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L’avvocato Boneschi ai tempi del processo Masi

L’avvocato ci ha fornito una serie di documenti dai quali emergono alcuni aspetti interessanti della vicenda: le repentine dimissioni dalla carica parlamentare risultano, secondo la sua versione e stando a quanto all’epoca scrisse alla presidente della Camera Nilde Jotti per motivarle, una scelta di responsabilità. L’avvocato era a quel tempo impegnato per parte civile nel processo relativo alla morte di Giorgiana Masi, studentessa diciottenne, simpatizzante di Avanguardia operaia, uccisa a Roma durante uno scontro con la polizia nel maggio 1977 a seguito di una manifestazione in difesa dei diritti civili. Il legale si era battuto con passione e determinazione per ottenere la condanna dei poliziotti che riteneva responsabili della morta della ragazza. Il coinvolgimento fu tale da costargli una denuncia per diffamazione da parte del giudice che aveva archiviato le indagini. E proprio per non intralciare un’eventuale riapertura del procedimento, Boneschi decise di rinunciare, pur a malincuore, al seggio (che gli sarebbe toccato secondo una prassi di rotazione delle cariche all’epoca in uso nel partito Radicale) e con esso alla conseguente immunità parlamentare che avrebbe determinato un rallentamento della macchina giudiziaria. Il risultato fu beffardo: la sua condanna e la definitiva archiviazione dell’inchiesta per l’omicidio di Giorgiana Masi, i cui responsabili restarono così impuniti.
Ma con questo ricordo, Boneschi ci dice che non ci fu speculazione da parte sua in funzione del futuro vitalizio, che al contrario quelle dimissioni gli pesarono ma furono una scelta doverosa concepita in uno spirito di servizio in ossequi alla propria deontologia professionale.
Peraltro, l’avvocato precisa che il vitalizio – che una legge certo opinabile prevede anche per coloro che hanno anche solo per brevissimo tempo assunto un incarico parlamentare – fu corrisposto non dal 1983 come riportato dalle cronache, ma dal 1999. Boneschi percepisce dunque l’indennità da 16 anni e non da 32. Inoltre, per avere diritto a quel vitalizio, riconosciuto al compimento del sessantesimo anno di età, ha preventivamente dovuto versare le indennità contributive necessarie, quantificate in 91 milioni di lire.

A margine delle sue argomentazioni va detto, comunque, che il baratto resta pur sempre molto vantaggioso (poiché con appena 15 mesi di ‘pensione’ ha pareggiato la somma da lui versata in contributi) e che la legge che concede questi privilegi appare scandalosa.
Però i termini della questione assumono altri contorni. Ma proprio per questo Boneschi avrebbe fatto bene a spiegare con precisione e pacatezza a chi glielo domandava quali furono i presupposti e le motivazioni della rinuncia. “Ho cercato subito di chiarire le circostanze con Massimo Giannini, ma inutilmente – replica -. Perché ho dato le dimissioni rinunciando a una carica prestigiosa che rappresentava un traguardo ambìto, perché le ho date in quel giorno e non qualche mese dopo, come mai molti anni più tardi io abbia versato i contributi e poi percepito il vitalizio, e via dicendo. Ma tutto questo non interessa alla trasmissione perché non fa audience, non è scandalistico: e quindi si cancella tutto. Non è la prima volta che mi succede, e ormai ho capito il meccanismo. Quando c’è qualcuno che vuole parlare seriamente, non ho problemi, ma certo giornalismo attuale preferisce questi metodi: non cercano di capire, hanno una tesi e devono dimostrarla”.

Insomma, se la parte di vittima non si attaglia all’avvocato neppure quella di arrogante privo di scrupoli gli si confà. La sua vicenda è comunque la riprova di come la realtà sia sempre più complessa, sfaccettate e ricche di sfumature rispetto a come la si immagina o ci viene rappresentata.  “24 ore deputato, 3mila euro da 32 anni” è indubbiamente un titolo che fa effetto e fa vendere, ma non rende piena giustizia della complessità della storia e delle ragioni dei suoi protagonisti.
Talvolta le informazioni risultano imprecise per superficialità e non per dolo. Ma mantenere l’intelletto vigile è sempre necessario, soprattutto per non cadere nelle artate trappole dei trafficanti di verità, di coloro, cioè, che intenzionalmente ci vogliono convincere del proprio punto di vista, semplificando o alterando i fatti per favorire un preciso interesse.