Skip to main content

INTERNAZIONALE
Giardini da immaginare: tour nella storia

Giardini che c’erano e che ci sono ancora un poco. Sono quelli che ti porta a vedere la visita guidata “Verde estense”, organizzata all’interno di Internazionale, a Ferrara da ieri e fino a oggi pomeriggio. Il giro è gratuito, ma per partecipare bisogna prenotarsi all’Infopoint sul listone, in piazza Trento Trieste (oggi, domenica 4 ottobre 2015, ore 9-11). Oppure ci si può provare, a presentare sul posto, sperando che qualcuno che si è prenotato non ci sia.

Il giro vale il rischio. Perché quelli che si vanno a vedere non sono tanto i giardini che ci sono, ma soprattutto quelli che avrebbero potuto esserci, quelli favolosi di un tempo andato e quelli che qualcuno – come Giorgio Bassani o i duchi estensi – ha immaginato. Luoghi che magari si conoscono anche già, dove si è passati tante volte, ma da riguardare con occhi nuovi.

giardino-duchesse-albero-cachi-ferrara
Giardino delle duchesse a Ferrara con l’attrice e regista del Teatro Ferrara off, Roberta Pazi (foto Giorgia Mazzotti)
giardino-duchesse-albero-cachi-ferrara
Giardino delle duchesse a Ferrara (foto Giorgia Mazzotti)

Si parte dal Giardino delle duchesse, il cortile in cui si entra sia dal portone aperto su via Garibaldi 6 sia da piazza Castello. Qui la prima, bella sorpresa adesso è di trovarlo sgombro, vuoto, senza tutte quelle panche, bancarelle, casette tirolesi che tante volte lo affollano. Vabbè: in un angolo ci sono delle transenne e una ruspa; il terreno è chiazzato di pozzanghere che colmano il terreno sconnesso; la ghiaia si alterna a un praticello sparuto. Però, finalmente, si può spaziare con lo vista e immaginare questo luogo che accoglieva gli ospiti di Palazzo ducale (ora Municipio) e – soprattutto – ci si può riempire gli occhi dell’albero che troneggia lì in un bell’angolo, con le sue foglie rigogliose e i rami carichi di pomi verdi e tondi, che tra un poco si trasformeranno in cachi arancioni.

Il percorso prosegue dentro al castello e poi giù in corso Ercole I d’Este, la strada ferrarese dei giardini. A partire dal cortile con chiostro e pozzo del palazzo più celebre, che è Palazzo dei Diamanti, con una sbirciatina a quelli di tutti gli altri signori che accolsero l’invito ducale di dotarsi di un palazzo circondato da fronde, fiori e frutti. In mezzo c’è Parco Massari, giardino pubblico da diversi decenni. Lo storico Francesco Scafuri, in veste di guida, spiega perché è un luogo sempre così piacevole. Nel 1852 i conti Massari lo comprano e decidono di trasformare le aiuole rigide e i sentieri retti in uno spazio curvilineo e il più possibile simile a qualcosa di naturale, quasi selvatico. Non più giardino all’italiana, geometrico e schematico, ma parco di alberi e sentieri tortuosi, un luogo dove perdersi e fantasticare; dove riflettere, gioire o lasciarsi andare alla malinconia in sintonia con la natura.

Infine il giardino di palazzo Trotti Mosti. Niente di speciale, tutto sommato, a vedere questo prato con un po’ di alberi e un muretto intorno che affianca la sede del dipartimento di giurisprudenza, in corso Ercole I d’Este 37. Così, almeno, lo si può giudicare se ci si passa distratti e superficiali. La spiegazione dello storico rivela invece che proprio questo potrebbe essere uno dei giardini più cercati della città, da parte tanto dei ferraresi quanto dei visitatori di Ferrara: il romanzesco parco che dà il titolo al “Giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani. Proprio quello, sì. A rivelarlo a Scafuri un signore ormai molto anziano, che gli ha raccontato la sua frequentazione dell’edificio negli anni ’30, all’epoca abitazione della famiglia Pisa, di origine ebraica. E che ha voluto fargli sapere come nella lettura del romanzo più famoso di Bassani lo avessero colpito tanti particolari della case e del giardino che aveva visto proprio lì dentro. La distesa verde, certo, era un po’ diversa da adesso, molto più grande, tanto da scavalcare vie ed edifici arrivando fino in via Pavone.

La realtà e l’espansione edilizia cittadina hanno ristretto lo spazio del verde, ma la mente può partire da questi luoghi aperti e ricominciare a spaziare.

parco-massari-ferrara
Bicicletta per altoparlanti accompagna la visita guidata ai giardini (foto Giorgia Mazzotti)
parco-massari-ferrara
Parco Massari di Ferrara raccontato dallo storico Francesco Scafuri (foto Giorgia Mazzotti)
parco-massari-teatro-nucleo-giardini-ferrara
Intervento del Teatro Nucleo a Parco Massari (foto Giorgia Mazzotti)
giardino-palazzo-trotti-mosti-ferrara
Giardino di palazzo Trotti Mosti, a Ferrara (foto Giorgia Mazzotti)

La fantasia che diventa gesto ed emozione: prove tecniche di teatro per aspiranti attori

“Parlare della minestra è inutile, assaggiarla è meglio”. Con verve tipicamente toscana, Massimo Malucelli non disdegna la battuta neppure quando parla di teatro, infrangendone la sacralità così solennemente proclamata e platealmente praticata in scena da tanti suoi colleghi… “Il teatro è esperienza, l’invito è a fare un assaggino”. L’occasione per sperimentare il menu è offerta, lunedì 5 ottobre, dalla lezione che fa da anteprima al laboratorio teatrale che si dipanerà sino a maggio con incontri a cadenza settimanale.
“Si può presentare chi è curioso, liberamente, senza impegno. Sentirà due chiacchiere sulla filosofia che c’è dietro questo progetto e sulla mia concezione del teatro – spiega Malucelli che alterna al palco la ‘cattedra’ – ma soprattutto avrà la possibilità di mettersi alla prova, sperimentare direttamente, facendo un’esperienza minima ma pratica – non intellettuale – sentendo le parole e le emozioni attraversare il proprio corpo e diventare recita”.
E se la minestra piace?
Se la minestra, dopo l’assaggio, piace c’è possibilità di continuare a degustarla una volta alla settimane sino a maggio
Come è strutturato il corso e a chi è rivolto?
A tutti coloro che desiderano partecipare, senza alcun limite o vincolo. La prima parte è più prettamente pedagogica. Se il giochino diverte poi lo si applica, con una serie di esercitazioni finalizzate ad acquisire le tecniche di recitazione fino a metterle in pratica riunendo fantasia e contenuti in un personaggio.
Il crogiolo di questa esperienza è lo spazio teatrale…
La fantasia diviene concreta nel corpo e il teatro offre una grande opportunità: quando il contenuto transita dalla testa al corpo diventa storia teatrale. Dobbiamo fare diventare veri i fantasmi. Gli allievi si impratichiranno quindi attraverso appropriati esercizi. E applicheranno poi le loro acquisizioni a un personaggio e a una storia, fino a presentarsi in scena per raccogliere il riscontro del pubblico. Così la recita completa il suo itinerario e diviene esperienza comunitaria.

Avviata in battuta, la conversazione in battuta si chiude. Alla nostra richiesta di un giudizio sui suoi colleghi, un grande attore contemporaneo, un modello da indicare ai suoi allievi, Malucelli replica pronto: “Il signor Matteo Renzi! E’ un teatrante nato, riesce come pochi a trasformare con l’intonazione il senso dell’espressione verbale, creando magistralmente l’effetto del sottinteso: il signore in questione avrebbe dovuto fare teatro… Eh si, il teatro andrebbe rivalutato, potrebbe essere una grande potenzialità per il Paese!”.

Per info:
www.foneteatro.it
massimo.malucelli@gmail.com
347 5997889

IL RICORDO
L’ultimo battito. Se ne va Pietro Ingrao, ha testimoniato cosa significhi politica

Di Pietro Ingrao si deve ora parlare al passato. Non è più. Ma viva, attuale e imperitura resta la sua cristallina testimonianza di cosa significhi impegno politico.

Lo ricordiamo con il ritratto tracciato da Fiorenzo Baratelli su Ferraraitalia il 30 marzo scorso, in occasione del suo centesimo compleanno [vai all’articolo originale] che riportiamo anche qua sotto:

“Il secolo di Ingrao, passioni e dubbi di un comunista eretico”
di Fiorenzo Baratelli *

Oggi Pietro Ingrao compie cento anni: auguri di cuore! E’ stato un politico anomalo, difficilmente catalogabile, soprattutto se ci guardiamo attorno in questo tempo di crisi della politica. Comunista italiano, eretico, pacifista, utopista, dirigente politico, poeta, critico cinematografico, uomo delle istituzioni, sempre vicino ai movimenti nuovi della società civile, difensore della Costituzione aperto alle proposte di una sua riforma. Tante definizioni, e tutte insufficienti. E’ stato uno dei massimi dirigenti del Pci, ma fu più amato che seguito. E molti ‘ingraiani’, come spesso succede ai discepoli, non hanno sempre reso un bel servizio al Maestro. Ciò che costituiva l’elemento fondamentale del suo fascino, l’elogio del dubbio, era anche ciò che gli creava attorno un alone di sospetto e di inaffidabilità per i numerosi nipotini di Machiavelli: i ‘totus politicus’ di marca togliattiana. Fu più gramsciano che togliattiano.

Per sintetizzare il suo approccio alla politica ricordo una riflessione di un filosofo comunista e amico di Ingrao, Cesare Luporini: “Le cose non hanno un fondamento, hanno un fondo. Il ‘Grund’ di Marx non è un fondamento, è un fondo. Bisogna andare al fondo delle cose.” E per Ingrao questo fu sempre l’assillo del suo fare politica. Ci sono due concetti chiave del suo pensiero: l’attenzione per il molteplice e il dubbio permanente. Sono due ingredienti che fanno esplodere un concetto lineare della politica ridotta a puro esercizio del comando, o a carriera personale.
Facciamo parlare don Luigi Ciotti a commento di questi due pilastri dell’ingraismo. “Sono la base dell’etica e della conoscenza. ‘Attenzione per il molteplice’ significa coscienza della varietà e diversità della vita, del suo divenire, capace sempre di sorprenderci al di là delle previsioni, dei programmi, e delle spiegazioni che tutti pretendono di dare. ‘Dubbio permanente’ è l’atteggiamento di chi s’inoltra in questo cammino di conoscenza che non è solo intellettuale, ma esistenziale. Dubita chi non resta in superficie, chi sa che c’è sempre un ‘oltre’ e un ‘altro’ in attesa, chi rifiuta la scorciatoia delle risposte facili e dei pensieri sbrigativi, chi, più della verità, ama la ricerca della verità. Riassumo tutto questo nella parola ‘eresia’, intesa come scelta. L’eretico sceglie, si assume una responsabilità, un rischio, non si conforma per opportunismo, per paura o per quieto vivere all’andazzo generale. Ascolta la sua coscienza e difende, anche a caro prezzo, la sua dignità di persona libera. Che è quello che Pietro Ingrao ha fatto per tutta la vita.”
Eppure non fu facile, né lineare la sua militanza in un partito serio e duro come fu il Pci durante il novecento, il secolo ‘grande e terribile’. Ricordiamo due episodi esemplari. L’invasione dell’Ungheria nel 1956, quando Ingrao come direttore dell’Unità scrisse un articolo intitolato “Da una parte della barricata”, nel quale prendeva posizione a favore dell’intervento repressivo dell’Urss, e che giudicò il più grande errore della sua vita. E il momento della nascita dell’ingraismo come stile etico di un modo di stare nel partito quando all’XI congresso del Pci (1966) rispose all’assedio di critiche alla sua richiesta di ammettere la presenza del dissenso nella vita quotidiana del partito: “non mi avete convinto…”.

Non è il luogo per citare e commentare i numerosi libri e saggi che Ingrao ha scritto e pubblicato. Mi limito a riportare alcune frasi di un breve articolo che dedicò ad uno dei suoi eroi: “Charlot: l’antagonismo dell’eroe buffo” (“La Città futura”, 11 gennaio 1978). “Charlot non è solo un comico. Non è solo una vittima; è uno che combatte sempre, e ‘resiste’. Ricordate il gesto charlottiano: il gesto della mano con cui egli, anche quando si ritira per non buscarle, fa il segno al prepotente di starsene lontano, di stare attento: ribadisce una dignità e una autonomia. Ricordate i finali dei film chapliniani: l’omino si allontana in campo lungo, scrollandosi le spalle, rifiutando l’integrazione; ma non si vede dove porta la strada su cui cammina, ed è un’apparizione solitaria nella strada, anche quando (come nel finale di “Tempi moderni”) sono in due: lui e la donna, quest’immagine tante volte sognata. A voler adoperare un termine gramsciano, si potrebbe dire che nell’omino, anche quando è sconfitto e ripiega, resta sempre viva la dignità dello ‘spirito di scissione’.” Ai baldanzosi vincenti della politica di oggi suggerisco la lettura della sua raccolta di poesie: “Il dubbio dei vincitori” (Mondadori). Auguri, caro Pietro, politico democratico, colto e gentile. Con affetto e riconoscenza…

* direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara

L’APPUNTAMENTO
Legalità e responsabilità: binomio indissolubile

Una democrazia si alimenta di anime inquiete, instancabili nella ricerca di verità e giustizia.
(don Luigi Ciotti)

Secondo Gherardo Colombo la libertà è una cosa impegnativa, è un percorso che si conquista giorno per giorno, bisogna lavorare quotidianamente sul nostro stare assieme responsabilmente. Le leggi da sole non servono se non ci sono cittadini che le facciano proprie nelle loro coscienze prima ancora che pretenderne l’applicazione nella vita quotidiana.
Nando Dalla Chiesa sottolinea con forza che dobbiamo prendere coscienza che “la vera forza della mafia sta fuori dalla mafia, in tutto ciò che loro riescono a ottenere dalla società non mafiosa”: i fronti dell’antimafia in realtà sono la connivenza e la corruzione e l’antimafia è “un affare anche di chi non ha toghe e divise addosso”, una responsabilità di tutti e di ciascuno di “sentirci difensori della democrazia di questo paese e della sua Costituzione”.
Libertà, legalità e responsabilità, servono tutte e tre per ottenere vera giustizia. Ecco perché don Ciotti ha chiesto che si chiamasse “Festa della legalità e della responsabilità”. Quest’anno è giunta alla sua sesta edizione e sono sempre più gli eventi e i temi in programma e le realtà coinvolte: il Centro di mediazione-Progetto “Ferrara città solidale e sicura” del comune di Ferrara, il Coordinamento di Ferrara di Libera e il Presidio studentesco “Giuseppe Francese”, l’Ufficio stampa e l’Ufficio diritti dei minori del comune di Ferrara, la Pro Loco Voghiera e l’Università con il laboratorio MaCrO, Arci Ferrara e la Regione Emilia Romagna.

LOCANDINA
La locandina della Festa della legalità e della responsabilità

Si parlerà di come “insegnare” la mafia (26 settembre) e del rapporto tra amministrazione pubblica e legalità (4 ottobre), facendo il punto sull’inchiesta Aemilia con Enzo Ciconte e parlando degli amministratori sotto tiro grazie al rapporto redatto da Avviso Pubblico. Fra i temi c’è anche il gioco d’azzardo: si approfondiranno le sue conseguenze sociali (martedì 6 ottobre), ma si tenterà anche di smascherare le sue dinamiche con la conferenza-spettacolo “Fate il nostro gioco”: l’idea di un matematico e un fisico torinesi è di usare la matematica come strumento di prevenzione, una specie di “antidoto logico”.
Verrà dedicato spazio anche a tematiche di grande attualità come quella delle ecomafie, è solo del 22 maggio scorso, infatti, l’inserimento degli eco-reati, come inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo e omessa bonifica, nel Codice Penale. Al seminario di formazione, aperto ai giornalisti e a tutti gli interessati, “Le leggi sui delitti ambientali e le inchieste giornalistiche” (8 ottobre) interverranno Alessandro Bratti, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle Attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su Illeciti ambientali ad esse correlati e i giornalisti della redazione di “Presa diretta”, la trasmissione condotta su Rai Tre da Riccardo Iacona: Giulia Bosetti, Federico Ruffo, Elena Stramentinoli.
Lo sfruttamento illecito del territorio sarà al centro anche di un altro appuntamento: la presentazione del “Rapporto zoomafia” della Lav (venerdì 9 ottobre) su truffe nell’ippica e corse clandestine di cavalli, macellazioni abusive, abigeato (furto di animali da allevamento), bracconaggio e pesca illegale, lotte tra cani, business dei canili, quanto da nuove frontiere criminali, in particolare i traffici di animali via internet e il traffico di cuccioli.
Grazie alla collaborazione con ARCI Ferrara il programma comprende anche una rassegna cinematografica al cinema Boldini che inizierà il 7 ottobre con la proiezione del film “Anime Nere”, preceduta da un aperitivo con i prodotti di Libera Terra e dai cortometraggi “#VitaallaTerra” e “Rotolando verso il profondo sud – Viaggio di consegna 2015” sul progetto “Voghiera e Libera per ridare vita alla terra” del Coordinamento di Libera di Ferrara e di Pro Loco Voghiera. Si continuerà poi a novembre con: “La mafia uccide solo d’estate”, “La nostra terra” e “Noi e la Giulia”.
“Le ecomafie e le zoomafie sono aspetti apparentemente collaterali – ci spiega Donato La Muscatella, referente del Coordinamento di Libera di Ferrara – spesso vengono visti e trattati come marginali, ma proprio per questo nascondono insidie ancor più pericolose e speculazioni che rischiano di restare nell’ombra. Inoltre, la possibilità di vedere “Anime nere” costituirà un momento di approfondimento culturale importante, preceduto da due brevi cortometraggi che raccontano un impegno concreto al fianco di chi lavora i terreni confiscati: una testimonianza che spiega come sia possibile un rapporto con l’ambiente diverso, che da fonte di sfruttamento lo rende luogo di diritti”.

Per il programma completo della Festa della legalità e della responsabilità clicca qui

EVENTUALMENTE
Alla Mlb Home Gallery le pietanze stravaganti di Marcello Carrà

Nell’immaginario collettivo la dispensa della nonna, piena di prelibatezze e manicaretti, rappresenta un luogo incantato al quale hanno accesso solo i bambini meritevoli. Marmellate, conserve e dolci di ogni sorta nascosti dalle ante di un antico mobile cigolante, riposte in attesa delle manine dei nipoti più golosi. Una credenza, che potrebbe benissimo essere arrivata da una vecchia casa di campagna, è esposta nella sala principale della MLB Home Gallery, in Corso Ercole I d’Este; è spalancata, quasi a invitare i curiosi a spiare ciò che custodisce: elisir di pesce pietra, infuso di armadillo gigante, essenza di tigre del bengala ed estratti di altre specie in via d’estinzione. I colorati intrugli sono riposti in bottiglie trasparenti e l’animale da cui proviene il contenuto è illustrato con i tratti precisi che contraddistinguono le opere di Marcello Carrà. L’artista ferrarese, in questa personale “Ricettario Visionario” come in esposizioni precedenti, richiama l’attenzione sulla salvaguardia della biodiversità e sulla caducità della vita.

Nell’anno dell’alimentazione, in cui siamo stati bombardati dallo slogan dell’Expo “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, dal quale derivano gli obiettivi della manifestazione internazionale milanese – educare a una corretta alimentazione, innovare la ricerca e risolvere i problemi della fame del mondo – Marcello Carrà spinge a soffermarsi su cosa, o chi, mangiamo e sul processo che l’ha portato fino alla nostra tavola. Proprio da una visita all’Expo nasce la voglia di soffermarsi a riflettere su come le nostre abitudini alimentari stiano contribuendo alla distruzione dei territori coltivati e all’estinzione di molte specie animali. Decide perciò di proporre una versione personale e ironica della mascotte Foody, la composizione di frutta e verdura che forma un volto sorridente: l’artista lo immagina triste e incravattato, un ibrido rappresentate del business e dell’economia mal nascosta dietro l’evento. La ridistribuzione del cibo, tra i principali messaggi dell’esposizione milanese, non è sfuggito all’artista che lo reinterpreta senza perbenismi e ipocrisie. Ispirandosi alla “Parabola dei Ciechi” di Bruegel, evidenzia con humor nero la cattiva distribuzione delle ricchezze, facendoci assistere a un goffo scontro in “Miseria ed Opulenza”: un levriero scheletrico tenta, inutilmente, di strappare un panino dalle zampe di un grasso maiale, entrambi inconsapevoli che questa lotta li porterà a precipitare in un burrone.

È giusto sottolineare che il messaggio non è un sostegno indiretto per una dieta priva di carne e derivati, piuttosto le opere vogliono essere uno spunto di riflessione sullo sfruttamento degli animali e del territorio. La carne e i vegetali arrivano sugli scaffali del nostro rivenditore di fiducia passando attraverso allevamenti intensivi, acque inquinate, disboscamenti e sprechi. L’artista vuole renderci consapevoli di questo percorso e, con le sue penne biro e i suoi pennini a china, raffigura animali ormai quasi scomparsi a causa nostra. Non solo specie in via d’estinzione, Carrà prepara fantasiose pietanze in cui l’ingrediente fondamentale è introvabile: un dodo decorato come un tacchino il giorno del Ringraziamento, una testa di varano gigante con ciliegine e un enorme arrosto-mammut. Originale l’abbinamento opera-ricetta che spiega nel dettaglio come preparare questi piatti, indicando tempi di cottura e difficoltà: preparatevi cuochi provetti, di questi tempi non è molto facile recuperare un dodo! L’occhio ancora vigile del mammut osserva i visitatori che si muovono nella sala e che, a loro volta, si avvicinano e ricambiano lo sguardo attratti dalle dimensioni dell’opera, soffermandosi sulle ombreggiature e sui singoli tratti neri, colpiti dalla realizzazione precisa e pulita di ogni dettaglio. La decisione di produrre le sue opere direttamente con l’inchiostro è la messa in pratica di un concetto astratto: come si affrontano le conseguenze di un’azione compiuta, non si possono cancellare i segni dopo averli prodotti, rendendo così il lavoro lento e ponderato.
La riflessione non è solo sulle specie animali, ma anche sulla distruzione dei terreni usati per le colture, sull’utilizzo di prodotti chimici e sulla tossicità delle acque, tinte con colori accesi, innaturali. Le carote e i cavoli in vetrocamera affondano le loro radici in questi liquidi nocivi, per ricordarci che anche gli alimenti che consideriamo sani possono essere dannosi per la nostra salute a causa dell’inquinamento, che sta avvelenando il pianeta.

“Ricettario Visionario”, a cura di Eva Beccati, è stata inaugurata domenica 20 settembre e rimarrà aperta alla MLB Home Gallery, in via Ercole d’Este, fino a domenica 8 novembre 2015.

Clicca sulle immagini per ingrandirle

Ricettario visionario
Foody reinterpretato da Marcello Carrà
Ricettario visionario
Arrosto Mammmut con Maria Livia Brunelli, Marcello Carrà ed Eva Beccati
Ricettario visionario
La ricetta “Dodo in casseruola”
Ricettario visionario
La ricetta “Dodo in casseruola” e l’opera che la raffigura

L’APPUNTAMENTO
Unifestival: per tre giorni l’Università di Ferrara fa ‘lezione’ in piazza

Era il 4 marzo 1391 quando il marchese Alberto V d’Este, grazie alla bolla concessa dal papa Bonifacio IX, fondava l’Università di Ferrara. Da allora sono passati 625 anni e l’ateneo vuole festeggiare con tutta la cittadinanza questo importante anniversario: lo fa con Unifestival, il festival universitario che dal 25 al 27 settembre porta l’università fuori dalle sue mura per incontrare la città di Ferrara. Perché Unife rivendica “con orgoglio” il suo carattere di “università pubblica”, come ha affermato il rettore Pasquale Nappi durante la conferenza stampa di presentazione, ma anche perché Ferrara diventa sempre più una città universitaria: con i suoi 18.000 studenti, il 60% dei quali provenienti da fuori regione, l’ateneo ferrarese “è una delle università italiane con il maggiore indice di attrattività”.
Unifestival perciò non è solo un’occasione per adempiere un dovere di trasparenza e rendicontazione alla cittadinanza di come vengono usati i finanziamenti pubblici per la ricerca e le attività didattiche, è soprattutto un’occasione di confronto e dialogo fra comunità che quotidianamente incrociano le proprie strade a Ferrara: comunità universitaria, comunità studentesca, comunità economica e comunità cittadina. Il tema principale è il trasferimento di conoscenze, nel senso più ampio del termine, come strumento per accrescere culturalmente ed economicamente il tessuto del territorio, ma soprattutto per “la costruzione di cittadinanza e sapere critico” che permettano “una partecipazione attiva” alla vita della comunità.
Aprendo le proprie porte e portando all’esterno le proprie attività e competenze è dunque un’osmosi di “stimoli, sollecitazioni e sollecitazioni” che Unife propone ai cittadini: “vogliamo ricevere domande, ma anche farle”, ha sottolineato Nappi.
Proprio dalla volontà di coprire a 360° tutte le sfaccettature dalla vita dell’ateneo ferrarese deriva la difficoltà a sintetizzare il programma di questa tre giorni: 200 persone coinvolte e circa 100 eventi organizzati. Si va dagli incontri, dagli esperimenti e laboratori clinici e fisici, tra i quali anche Drain Brain del professor Zamboni portato nello spazio da Astrosamantha, agli appuntamenti sul bilancio di genere e la pink economy, a quelli sulla concorrenza e la legalità, senza dimenticare di fare il punto sul terremoto e nemmeno le attività e gli studenti che portano Unife nel mondo e il mondo a Unife. E poi proiezioni e spettacoli, per grandi e piccoli.
Unifestival si aprirà e chiuderà con due camminate per la città. La prima è una vera e propria celebrazione dei 625 anni dell’ateneo: si partirà venerdì mattina alle 6.25 per percorrere 6,25 km in città. Alle 9.30 si terrà poi l’inaugurazione ufficiale del festival. Domenica 27 alle 21 sarà Francesco Scafuri, “preso a prestito” dall’ufficio ricerche storiche del comune, ad accompagnare chi lo vorrà in un’escursione culturale nei luoghi storici dell’università di Ferrara.

Il programma completo di Unifestival è disponibile alla pagina www.unife.it/primo-piano/unifestival

EVENTUALMENTE
Un mondo più accessibile: giocando con le idee si può

MEme
L’entrata del mercato coperto in via Boccacanale di S. Stefano

“Possiamo giocare con le idee? Certo che sì”. È con questo ideale che si apre il manifesto della seconda edizione di MEme: per due giorni il mercato coperto di via Boccacanale di S. Stefano torna a essere il centro di ritrovo dei makers, i moderni artigiani che coniugano tradizione e innovazione, incorporando creatività e idee negli oggetti che realizzano. Quest’anno c’è una sfida in più, non più solo “Makers Exposed”, ma “Learning Exposed”. Quello che il team di organizzatori, vuole realizzare è un vero e proprio esperimento di ecosistema innovativo temporaneo. “Nella prima edizione avevamo giocato con gli oggetti, in questa del 2015 vogliamo giocare con le idee, esporre la conoscenza, la capacità di progettare e rispondere a esigenze concrete e bisogni reali con i quali aziende che operano nel campo della cultura e della cooperazione sociale si scontrano tutti i giorni”, ci spiega Maurizio Bonizzi di Città della Cultura/Cultura della Città, la cooperativa culturale ideatrice e curatrice del progetto MEme.
“Meme.Learning exposed” è dunque uno spazio fisico e virtuale nel quale novanta partecipanti, tra progettisti, designer, sviluppatori, si incontrano e contaminano i rispettivi saperi per progettare soluzioni innovative, rispondendo a specifici bisogni appositamente espressi da imprese. “Per sedici ore, otto ore venerdì 18 e 8 sabato, il mercato coperto si trasforma in un grande laboratorio di lavoro”, continua Bonizzi.
Tema portante di questa edizione è l’accessibilità, come “caratteristica di un dispositivo, di una risorsa, di un servizio o di un ambiente urbano o turistico, che deve poter essere fruito da qualsiasi tipo di utente”. “Nuove idee” che considerino l’accessibilità non solo tecnologica, ma anche culturale e sociale, come punto di partenza per una maggiore condivisione, cooperazione, innovazione, in altre parole una maggiore democratizzazione dell’ambiente socio-culturale in cui viviamo.
Per farlo in questi due giorni si svolgono sei seminari, dalle opportunità offerte dagli open data ai piccoli comuni, ai modelli innovativi di organizzazione mutualistica per i nuovi lavori, fino al tema dell’open hardware e delle tecnologie democratiche, corporee e immersive, cinque “challenge”, a cui partecipano cinquanta makers, e tre “hackathon”, cioè maratone di programmazione, con quaranta partecipanti.

MEme
Lo spazio per le challenge e le hackathon

Le aziende emiliano romagnole e laziali che hanno deciso di “lanciare la sfida” per la risoluzione dei delle proprie esigenze riguardo una maggiore accessibilità sono: CIDAS per una serie da ausili da utilizzare durante lo svolgimento delle proprie attività nei confronti di soggetti con differenti patologie o necessità; Impronte sociali con bisogni legati ad attività relative all’agricoltura sociale; SAMA scavi archeologici e CoopCulture per attività relative alla condivisione del patrimonio culturale con diverse tipologie di fruitori; Camelot per la costruzione di un ecosistema tecnologico che proponga da un lato la raccolta di informazioni utili alla caratterizzazione delle persone che si trovano nella condizione temporanea di migranti e dall’altro fornisca informazioni rispetto al luogo in cui si trovano.

meme
I makers al lavoro. Dal profilo twitter di MEme

A fine giornata, dalle 17 in poi, i vari team o i singoli partecipanti che hanno deciso di raccogliere la sfida o di “correre” la maratona di progettazione presentano i propri progetti. “I vincitori di ciascuna challenge riceveranno un assegno di 800 euro e la possibilità di sviluppare la propria idea, mentre per le hackathon ci sono in palio premi tecnologici. In questi due giorni le persone dedicheranno tempo e lavoro ai progetti e, contrariamente a una tendenza sempre più dilagante, noi pensiamo che il lavoro vada pagato”, sottolinea Bonizzi.
“Giocare con le idee non è una ricetta per ricominciare a crescere perché non crediamo nelle ricette”, ci dice Sergio Fortini, anche lui in Città della cultura/Cultura della città: “è un’attitudine mentale, una modalità di pensiero, che dovrebbe aiutare la comunità a crescere traendo linfa dal cortocircuito fra gioco e realtà”. “L’innovazione – continua Fortini – per inverarsi ha bisogno sì di pensiero alto, quindi di lavoro e competenze, ma anche della capacità di prefigurare scenari diversi da quelli già in essere, proprio come potrebbe fare un bambino. Il motore primo sono le visione altre della realtà, temperate poi con la perizia tecnica e il ragionamento”.

Maggiori informazioni e programma completo su: memexposed.com

L’EVENTO
Sofri, Fresu, Zerocalcare e il Pulitzer Jared Diamond per la nona di Internazionale

Il vignettista Zerocalcare con Adriano Sofri, l’autore di “Congo” Van Reybrouck, l’economista Andrea Baranes, il vincitore del Premio Strega Nicola Lagioia, i giornalisti Serge Michel (Le Monde) e Howard Waring French (New York Times), il geografo premio Pulitzer Jared Diamond e il blogger bangladese vincitore del premio “Anna Politkovskaja” Asif Mohiuddin: questi solo alcuni dei 230 ospiti della nona edizione del festival di Internazionale, frutto del fortunato sodalizio tra il settimanale diretto da Giovanni de Mauro e Ferrara che si terrà nella città estense dal 2 al 4 ottobre.

La locandina dell’edizione 2015
La locandina dell’edizione 2015

Nella conferenza stampa di presentazione del programma, svoltasi stamane presso la sala Lorenzo Natali della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea a Roma, è emerso come l’attualissimo tema delle nuove frontiere, sia geografiche ma anche riguardo ai diritti e alle libertà collettive e individuali, sia il filo conduttore di questa edizione 2015, assieme a tematiche come le discriminazioni di genere e la libertà di stampa che da sempre caratterizzano il festival. In rilievo, vista la concomitanza con Expo, saranno anche i dibatti su cibo e sostenibilità; a parlarne, tra gli altri, gli scrittori Martin Caparros e David Rieff e l’ambasciatrice dell’alimentazione sana Alice Waters. Torneranno inoltre i grandi documentari di Mondovisione e la rassegna di audio-documentari Mondoascoliti, oltre che l’appuntamento con i film d’essai di Mondocinema. Tra gli immancabili workshop ed alcuni spazi dedicati ai bambini, ci sarà anche spazio per la musica di Paolo Fresu.

Appuntamento quindi per il primo weekend di ottobre con Internazionale a Ferrara, la più grande redazione fatta a città presente nel mondo. A questo link il programma completo della manifestazione.

LA NOVITA’
Roadissea, un’opera rock per raccontare un eroe sempre attuale

Ulisse un uomo che non va mai giù di moda. All’eroe di Omero è dedicata Roadissea, opera rock italiana scritta e diretta da Ricky “doc” Scandiani, pianista e insegnante della Scuola di Musica Moderna di Ferrara, produttrice dello spettacolo teatrale a cui è dedicato un doppio cd in presentazione alla Sala Estense il 7 novembre. Si tratta del primo appuntamento ufficiale con musica e canzoni dello spettacolo, una sorta di assaggio dell’opera teatrale in programma il 28 novembre al Teatro De Micheli di Copparo.

Un cast di 52 allievi, tra musicisti e cantanti, a cui si aggiungono 10 ballerini di pole dance, mix di danza e ginnastica acrobatica con pertiche e nastri, che sotto la guida di Ingrid Cassani di A.S.D Attiva Med di Portomaggiore, arricchiscono lo spettacolo. I numerosi cambi scena e i differenti costumi curati da Virna Comini assicurano l’incedere incalzante del viaggio di Ulisse. “Una figura epica di cui ho sempre subito il fascino, in parte per la sua modernità e in parte per quella veste da eroe nella quale si è ritrovato suo malgrado – spiega Scandiani – non era un patito della guerra, ma ha cercato di venirne fuori il più in fretta possibile lavorando d’astuzia. Non dimentichiamo l’invenzione del cavallo di troia, cose da Ulisse, un po’ truffaldino se vogliamo, ma in fondo è proprio il suo modo di essere, di affrontare la vita, di venirci a patti a renderlo interessante”. Cucirgli addosso il panni di un hippy anni ’70 è stato il “gioco” con cui 33 anni fa, alcuni degli attuali docenti della Scuola di Musica Moderna si sono cimentati per poi riprendere in mano il progetto. Da insegnanti.

Il viaggio on the road fa tappa in molti dei mondi attraversati da Ulisse, sono universi liberamente ispirati all’opera di Omero tanto da metterci di fronte a una Circe femminista il cui pensiero estremo, la induce a trasformare il maschio esattamente in quello che lei crede sia: un porco. C’è poi una Calipso depressa, figlia del nostro tempo e un Polifemo ipnotizzatore, antimilitarista. “Abbiamo cercato soluzioni, anche fantasiose, che potessero sposarsi alle esigenze di un palcoscenico, dove i ragazzi cantano dal vivo, senza alcuna base. E’ tutto alive”.

Né trucchi né inganni per l’opera rock, la prima in Italia, che fatta a spizzichi e bocconi in questi anni ha avuto le sue soddisfazioni. Il brano “Aspettando l’alba”, si è aggiudicato il primo posto in classifica grazie ai voti della rete, che hanno mandato in tilt la scaletta di Cielo, promotrice della trasmissione dedicata ai pezzi canori preferiti dagli ascoltatori. Ma non dalla conduttrice, che ha letteralmente ignorato il risultato del sondaggio. Segno che tra tv e rete, c’è una voragine incolmabile da parte di certe professionalità incapaci di valutare e far fronte al lato divertente delle sorprese on line.

EVENTI
Ferrara e il fiume, un legame da riscoprire

Vista dal fiume, Ferrara e un’altra cosa. Si scopre la sua antica dimensione, quella di città nata sull’acqua. Una genesi rimossa, cancellata come un fastidio, al punto da celarne l’essenza nel tessuto urbano. Financo fontane e fontanelle scarseggiano in città e di quelle che esistono, talune, rinsecchite, sono trasformate in fioriere o in impropri depositi per rifiuti…

Eppure l’acqua è vita, ancestrale il richiamo che esercita. La sua forza si sprigiona già nella polimorfa vegetazione che ricopre le sponde del Po di Volano. E’ sufficiente percorre in battello il tratto che dalla darsena porta a San Giorgio e osservare gli argini: è uno spettacolo. Gli arbusti celano la vista di strade e case che si affacciano appena pochi metri più sopra, lungo la via Putinati, ed offrono un paesaggio inconsueto, rurale, che ottunde i tratti dell’urbanizzazione.

Ridare vita al fiume che, ignorato, attraversa il centro cittadino; riscoprirne il fascino e indulgere alla suggestione dell’acqua: questa la missione di “Smart dock”, progetto scaturito da una pluralità di associazioni e gruppi cittadini impegnati a proporre “tattiche di riuso intelligente della darsena di Ferrara”. L’intento è promuovere una “rigenerazione urbana dal basso” e favorire la “riappropriazione del fiume”.

Coerente e intelligente l’idea di ospitare sulla Nina, il vaporetto del Po ferrarese, la conferenza stampa di presentazione delle iniziative: così oltre a enunciare si può mostrare. Gli eventi, immaginati per catalizzare l’attenzione sul fiume dimenticato, sono concentrati fra il 18 settembre e il 30 ottobre. Si svolgeranno a palazzo Savonuzzi, che ospita il vivace consorzio Wunderkammer, e negli spazi antistanti.

Da elemento di cesura fra il centro antico e la città nuova si vorrebbe tradurre il Volano in alveo di connessione: le sponde come ventri accoglienti, i ponti come braccia che uniscono e propiziano l’incontro.

Leonardo Delmonte, coordinatore del progetto, illustra con passione lo spirito delle iniziative messe in calendario in questo frangente d’autunno. “Ferrara è riconosciuta dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità anche per il suo Delta” – sottolinea – richiamando l’acqua come elemento che qualifica l’eccellenza del territorio. “C’è tanto da fare”, afferma. Lo slancio è sorretto da robusti cardini valoriali e ottime intenzioni: consapevolezza, potenzialità, tutela, valorizzazione, confronto, collaborazione, sono le parole chiave che ricorrono nei vari interventi.

Massimo Maisto, vicesindaco, nonché assessore alla cultura e al turismo, sempre attento ai fermenti del territorio, sprona gli attori in forza della sua triplice veste istituzionale e della convinta adesione al disegno. Sagace, l’architetto Moreno Po, in rappresentanza della Provincia, stigmatizza l’allergia dei ferraresi per l’acqua, implicitamente invitandoli a riconsiderarne la forza vitale.
Un altro architetto, Romeo Farinella dell’Università di Ferrara, parla di acqua come patrimonio e dell’esigenza di una rigenerazione urbana.
Meritevoli tutti di citazione i soggetti che contribuiscono all’organizzazione: Basso profilo, Fiumana, Encanto, Associazione musicisti di Ferrara, Wunderkammer, Canoa Club Ferrara, Citer (di Unife) con la collaborazione di Nena, Altrosguardo, Centro per le famiglie, Andos e il patrocinio di Comune e Provincia di Ferrara.

Con il festival Risonanze, venerdì, si accendono idealmente i riflettori. Mostre, balli, concerti, pic-nic e aperitivi, compongono il caleidoscopico spettacolo che avrà teatro sulle rive del fiume. Imprescindibili gli ambiti di confronto e di riflessione, previsti nelle modalità tradizionali e in quelle più informali: al “world caffé” del 10 ottobre, per esempio, si ragionerà a piccoli gruppi di soluzioni per il fronte fluviale, proprio come in una qualsiasi caffetteria. A chiudere, il 30 ottobre, un insolito concerto con i suoni del fiume, performace sperimentale dell’artista Dominique Vaccaro.

Per impedire che a conclusione degli eventi sul Volano calino di nuovo le tenebre e tutto torni come prima, le intelligenze dovranno continuare a correre “come corre quest’acqua di fiume – ce lo ricorda il canto di De Gregori – che sembra che è ferma, ma hai voglia se va…”.

I brani intonati [clicca per ascoltare]:
Fiorella Mannoia, Il fiume e la nebbia
De Gregori, Mimì sarà

Leggi anche
La proposta – Un percorso ciclopedonale lungo il Volano fra San Giorgio e la Darsena

LA CURIOSITA’
Memorie d’estate: grilli cantanti in città

grilli-gabbie
Gabbie per grilli in vendita in una bancarella orientale (foto Alessandro Vecchi su Il Girovago)

Nel buio senti cri-cri. Ma in casa. Poi lo vedi che saltella. Prima uno – nel bel mezzo del soggiorno – poi un altro tra la cucina e la terrazza. Verso sera ne saltano fuori altri due, tre, quattro. Grilli, pensa un po’. Chi abita nella campagna attorno a Ferrara conferma: “Ce ne sono davvero tanti, quest’estate di grilli. Quando si taglia l’erba ne escono centinaia”. Anche chi ha un giardino urbano, li nota numerosi. Più curioso averli in casa, in pieno centro. Ma anche questo fatto, da una piccola indagine cittadina condotta nei giorni passati, non è inusuale .

I grilli, nei racconti orientali, sono considerati una gran bella cosa. Per questi insetti in Cina costruiscono addirittura piccole gabbie, dove vengono nutriti e abbeverati amorevolmente utilizzando minuscole ciotole in ceramica con vezzose decorazioni in scala. Lo scopo è quello di ascoltare il loro canto. E ogni esemplare sembra che emetta un suono un po’ diverso rispetto agli altri. Sono un bel po’ di secoli che, in Oriente, li prendono, addomesticano, vezzeggiano. Mi ricordo un racconto letto tanto tempo fa, e lo spiega e documenta bene con tanto di fotografie di bancarelle con gabbiette per grilli Alessandro Vecchi nel blog “Il girovago”.

grillo-jan-van-kessel-il-vecchio
Particolare di un grillo fra gli “Insetti” dipinti da Jan van Kessel il vecchio su it-wikipedia

Meno scontato era trovarceli in casa, questi animaletti. Colore marrone chiaro-beige e dimensione medio-piccola. Sarà stato il grande caldo. Viene da cacciarli, ma se pensi quanto ci teneva, al suo grillo, il protagonista di quell’antico racconto orientale, ti sembra quasi un peccato. Cri-cri, di notte. Sempre più aggraziato, in effetti, del craaa-craaa a squarciagola che fanno durante il giorno le cicale. Pezzi di campagna in città. Qualche entomologo potrà forse spiegare come e perché…

IL FATTO
Anche Ferrara accoglie la marcia della solidarietà a piedi scalzi

Questa mattina nel centro di Ferrara non c’erano soltanto gli sbandieratori arrivati da tutta Italia in città per gareggiare. Per le vie c’erano anche diverse persone che camminavano senza scarpe, a piedi nudi o con i calzini, forse vi sarà capitato di vederli lungo via Mazzini o in piazza Trento Trieste. Si trattava dei partecipanti alla “Marcia delle donne e degli uomini scalzi”, nata per iniziativa di intellettuali e artisti che hanno chiesto ai cittadini di sfilare senza scarpe in segno di solidarietà ai migranti in fuga dai loro paesi. Da Trento fino a Napoli passando per il tappeto rosso del Lido di Venezia, per Roma e per il Festival della letteratura di Mantova, sono state 71 le città aderenti, nelle quali ieri si sono tenuti diversi cortei.
“È arrivato il momento di decidere da che parte stare. È vero che non ci sono soluzioni semplici e che ogni cosa in questo mondo è sempre più complessa. Ma per affrontare i cambiamenti epocali della storia è necessario avere una posizione, sapere quali sono le priorità per poter prendere delle scelte. Noi stiamo dalla parte delle donne e degli uomini scalzi. Di chi ha bisogno di mettere il proprio corpo in pericolo per poter sperare di vivere o di sopravvivere”. Questo l’incipit dell’appello, da cui sono scaturite le manifestazioni per chiedere “cambiamenti delle politiche migratorie europee e globali”, perché “la storia appartenga alle donne e agli uomini scalzi e al nostro camminare insieme”. In particolare, secondo gli organizzatori, le prime azioni da mettere in atto sarebbero: “certezza di corridoi umanitari sicuri per vittime di guerre, catastrofi e dittature”, “accoglienza degna e rispettosa per tutti”, “chiusura e smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti”, “creare un vero sistema unico di asilo in Europa superando il regolamento di Dublino”.
A Ferrara, fra gli altri, hanno aderito il Forum Terzo Settore, Emergency, Cgil, Cisl, Città del Ragazzo Opera Don Calabria, il Movimento Nonviolento, Cittadini del Mondo, Arci, Agire sociale Csv, Libera, Uisp, Associazione Badanti Nadiya Onlus, Associazione Viale K, il Pd, Sel, l’Altra Emilia Romagna, la Caritas Diocesana, Acli, Aci-Alleanza Cooperative Italiane. Passo dopo passo, lungo il percorso da via Saraceno fino in piazza Duomo, alcuni cittadini si sono tolti le scarpe e si sono uniti al corteo. “Oggi è un segno”, hanno affermato “gli scalzi” a fine marcia, “dobbiamo continuare a fare qualcosa ogni giorno per portare la nostra solidarietà non solo ai migranti, ma a tutte le persone in difficoltà nel nostro paese”. “Vogliamo lanciare un segnale, soprattutto a chi la pensa in modo diverso, per dire che non si può continuare a instillare solo paura nelle persone, ma che ci sono alternative, perché la paura porta solamente all’isolamento”. Per questo durante la manifestazione è stata lanciata la proposta di un tavolo per l’accoglienza: “Ferrara che accoglie” dovrebbe essere uno strumento per “rendere l’accoglienza nella nostra e nel nostro territorio la migliore possibile, consapevoli che i problemi sono tanti, ma che prima di tutto viene la vicinanza alle persone e che insieme si possono risolvere meglio le cose”. “Aiutiamoci e aiutiamo gli altri” è l’impegno con cui ci si saluta alla fine. Poi un minuto di silenzio in memoria delle vittime dei viaggi della speranza e “per ricordare le fatiche che compiono tutti i giorni le donne e gli uomini scalzi” in tutto il mondo.

Clicca sulle immagini per ingrandirle.

marcia scalzi
La partenza
marcia scalzi
via Saraceno
marcia scalzi
via Mazzini
marcia scalzi
Lettura
marcia scalzi
piazza Trento Trieste
marcia scalzi
piedi partecipanti
marcia scalzi
piedi partecipanti
marcia scalzi
piedi partecipanti
marcia scalzi
In marcia
marcia scalzi
piazza Duomo

LA SEGNALAZIONE
Tutti i graffi dell’anima di Janis Joplin nella biografia in pellicola di Amy Berg

Freedom’s just another word for nothing left to lose.
“Bobby McGee”, da Pearl (1971, postumo)

Lei qualcosa da perdere non ce l’aveva mai avuto, ma sarebbe stata la musica a perdersi qualcosa se non avesse conosciuto Janis.
Presentato fuori concorso alla 72esima edizione del Festival del Cinema di Venezia e nei cinema dall’8 ottobre, “Janis” di Amy Berg è il film documentario che, attraverso testimonianze audiovisive, lettere ad amici e familiari, fotografie, racconta la vita di Janis Joplin.
La pellicola della Berg riesce a privilegiare l’aspetto personale e intimo della donna e quello emotivo dell’artista, senza mai cadere in una falsariga retorica né nostalgica, né tanto meno censoria, del suo modo di essere totalmente inadatto, vero, autolesionista, tanto oggi quanto negli anni in cui è esplosa. Perché nascere in una tranquilla famiglia borghese degli anni Quaranta in una provincia battista del Sud e non riuscire a essere come tutti gli altri – partite di football e bella faccia anonima da poter esibire vicino ad altre mille uguali e insignificanti – voleva dire, e vuole dire tutt’oggi, essere fuori dal mondo, messa in un angolo. Ma mettere in un angolo una come lei è cosa ardua. Cacciata dal coro in cui canta, abbandonata la scuola all’ultimo anno di college, sempre al centro di risse, che scatena durante le scorribande con inseparabili amici rigorosamente uomini, preferenza di genere che manterrà un po’ ironica e un po’ seria negli anni a venire. Giocando a fare quella cattiva ragazza che in realtà non è. Solo così riesce a difendersi e a non lasciarsi ammazzare da una sensibilità emotiva completamente, stupidamente inadatta per chi come lei nasce con la dote di essere diverso, ma nello stesso tempo con il desiderio di essere accettata e apprezzata.
Lei il suo sogno americano lo vuole comunque. E se lo conquista con i rischi e le critiche del caso, abbandonando l’abito al ginocchio, la villetta a schiera e la famiglia seduta al tavolo rotondo in una sbiadita fotografia per diventare una ribelle beatnik che beve, fuma e canta con una voce che viene da chiedersi se davvero sia bianco il corpo dal quale esce.
Per lei, conquistarsi la copertina della rivista più in voga significa avere fatto qualcosa per cui meritare di sentirsi dire “brava”. Ma “brava”, al pari di “bella”, sente di esserlo solo quando lascia Port Arthur per San Francisco e trova i primi ingaggi, con quella voce sporca e sincera, scoperta per caso cantando un brano di Odetta, il suo primo grande amore insieme a Big Mama Thornton e Bessie Smith. Poi Aretha Franklin e Billie Holiday, quelle che dopo tre note ti hanno già fatto rapito. E ancora Otis Redding, che ascolta per caso una sera a un concerto, prendendogli a prestito il groove vocale della ripetizione.
Si presenta all’audizione con i Big Brother and the Holding Company e ne diventa la vocalist, trascinandoli in un successo dietro l’altro a partire dal debutto nel Festival di musica pop di Monterey, fino a intraprendere la carriera solista con gruppi di supporto tra cui la Kozmic Blue Band.
Folk, rock, country, bluegrass, il blues, per cui ha una empatia particolare, e il soul, forse il genere che le appartiene più di ogni altro. Li attraversa tutti, i generi musicali; se li fa tutti, nello stesso incondizionato modo in cui si abbandona all’altra grande compensatrice della sua anima: l’eroina, che la stona per l’ultima volta il 4 ottobre 1970. L’ultima fermata del treno che taglia la campagna assolata – immagine ricorrente nel film della Berg – correndo verso nuovi traguardi senza lasciarsi mai davvero alle spalle quella arrabbiata malinconia, graffiata di continuo dall’amore di cui è alla perenne ricerca e che non trova mai fino in fondo. Non importa essere ormai un simbolo indipendente, forte e deciso, quanto sensibile e devastato dalla solitudine in cui ripiomba ogni volta che lo spettacolo finisce, non importa avere lo stesso manager di Bob Dylan, né avere un contratto con la Columbia, né avere conquistato il disco d’oro dopo tre giorni dalla pubblicazione del nuovo album. La musica è semplicemente il mezzo, il “la”, attraverso cui si dà completamente, sofferente e delicata, scoprendo sul palco quello che c’è fuori e dentro di lei.JANIS JOPLIN “Quando canti entri in contatto con la tua immaginazione e la sua verità, cose che difficilmente proveresti passando da una festa all’altra, facendotela con chi ti pare.” È sempre e solo una questione di sentire, quando canti e quando vivi. Te lo dice quel “Ce n’è ancora” urlato dal palco di Woodstock a fine canzone, rivolto al pubblico e a se stessa, prima di ogni altro.
Perché se di te stesso dai solo una parte, allora, come essere umano e come artista, nella vita di graffi ne hai ricevuti troppo pochi.

L’APPUNTAMENTO
Nel segno della molteplicità: la nuova stagione di prosa della Fondazione Teatro Comunale Claudio Abbado

Dopo la pausa estiva riapre il 12 settembre la campagna abbonamenti della stagione di prosa 2015-2016 della Fondazione Teatro Comunale Claudio Abbado. Tornano sul palco estense grandi nomi dello spettacolo dal vivo e non, da Angela Finocchiaro a Gioele Dix a Paolo Rossi, e del teatro civile, come Marco Paolini e Ascanio Celestini. Autori e personaggi classici del teatro come Molière e Goldoni, Cyrano e Carmen, vengono riletti in chiave contemporanea per mettere in luce tutta la loro attualità. Infine la sperimentazione del ravennate Teatro delle Albe e le produzioni di compagnie affermate come il milanese Teatro dell’Elfo.
L’avvio di stagione è affidato a una commedia tutta al femminile, a Ferrara in prima nazionale: “Calendar Girls”, che vede per la prima volta insieme Angela Finocchiaro e Laura Curino, esponente di spicco della sperimentazione teatrale, dirette da Cristina Pezzoli. Poi due graditi ritorni: Gioele Dix nei panni del “Malato immaginario” di Molière, in una produzione che riprende l’allestimento cavallo di battaglia dell’indimenticabile Franco Parenti, e Jurij Ferrini, che nel suo “Cyrano de Bergerac” utilizza un linguaggio quasi cinematografico per sottolinearne la profonda contemporaneità. In gennaio vedremo il nuovo lavoro del Teatro delle Albe, “Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi”, e la giovane compagnia Il mulino di Amleto alle prese con “Gl’innamorati” di Goldoni con musiche originali dei Marlene Kuntz. In febbraio e marzo saliranno sul palco estense tre giganti del teatro italiano: Paolo Rossi, che prende spunto da uno dei lavori meno conosciuti di Molière, “La recita di Versailles”, per raccontare le “fatiche” dell’uomo di spettacolo con il supporto di una compagnia composta da 10 attori e 4 musicisti; Marco Paolini con “Ballata di uomini e cani”, tributo a Jack London; Ascanio Celestini con “Laika”, spettacolo in cui vestirà i panni di un Dio tornato sulla terra per vedere che ne è stato dell’umanità. Infine il Teatro dell’Elfo con il dramma di Arthur Miller “Morte di un commesso viaggiatore” e il gran finale con l’unica tappa in regione della “Carmen” del drammaturgo partenopeo Enzo Moscato e del regista Mario Martone, coproduzione della Fondazione del Teatro Stabile di Torino e del Teatro di Roma: nei ruoli principali Iaia Forte e Roberto De Francesco, mentre la partitura musicale di Bizet, rielaborata da Mario Tronco, sarà eseguita in scena dai musicisti/attori dell’Orchestra di Piazza Vittorio.
È difficile sintetizzare la molteplicità delle espressioni culturali e artistiche racchiuse nei dieci spettacoli di questa nuova stagione di prosa, ma è proprio questa “pluralità di accenti”, come scrive il direttore artistico Marino Pedroni nell’introduzione al calendario della stagione, a rendere “il teatro snodo della riflessione politica e sociale”. Gli abbiamo posto qualche domanda alla vigilia della riapertura della campagna abbonamenti.

logo-prosa
Il logo della stagione di prosa 2015-2016

Qual è la chiave di lettura della stagione di prosa 2015-2016?
Non essendo un teatro di tendenza o un teatro gestito da una compagnia, ma un teatro pubblico, “comunale” appunto, abbiamo come obiettivo quello di presentare un ventaglio di esperienze piuttosto ampio, tenendo comunque conto di alcuni valori. Innanzi tutto la proposta di testi e drammaturgie che, pur confrontandosi con il passato, vengono rimessi in scena con un occhio alla contemporaneità, quindi non una mera riproposizione, ma un richiamo al passato per dire qualcosa di proprio. Sto pensando al “Cyrano” di Ferrini o a “Morte di un commesso viaggiatore” del Teatro dell’Elfo. Un secondo elemento che cerchiamo sempre di inserire sono compagnie di rottura, che cioè tendono a costruire nuove forme di linguaggio teatrale. Quest’anno presentiamo Il mulino di Amleto, compagnia costituita da trentenni che porterà un allestimento di Goldoni, e il Teatro delle Albe di Ermanna Montanari e Marco Martinelli, che abbiamo già avuto in passato con “Pantani” e torneranno con “Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi” che si richiama a Brecht e affronta tematiche legate al potere, alla democrazia e all’arte di estrema attualità. Da ultimo la chiusura con Martone, che verrà solo da noi per quanto riguarda l’Emilia Romagna e che abbiamo voluto inserire nonostante lo sforzo organizzativo che comporta perché è una rilettura intelligentissima della “Carmen”, sia dal punto di vista musicale sia dal punto letterario. Grazie a questa figura femminile emblematica di donna ogni volta riletta e scavata da grandi autori riusciamo anche far dialogare fra di loro i linguaggi delle stagioni del teatro: la “Carmen” è presente infatti anche nella programmazione della danza, con la coreografia della giovane sudafricana Dada Masilo. Un’operazione che faremo anche con la stagione di danza e quella lirica, che presenteranno entrambe l’opera wagneriana “Tristano e Isotta”.

Ci sono anche grandi nomi del teatro civile italiano
Sì, questo è un altro elemento del panorama ampio di cui parlavamo prima. C’è Laura Curino, un’esponente di spicco della sperimentazione teatrale italiana, che farà “Calendar girls” con Angela Finocchiaro. Poi avremo Celestini e Paolini, ma anche quello del Teatro delle Albe è un lavoro che affronta temi civili molto forti

Scorrendo il programma si nota però l’assenza di quelli che potremmo chiamare “appuntamenti con la storia”, in particolare ferrarese: sto pensando al centenario della nascita di Giorgio Bassani oppure al cinquecentenario della pubblicazione dell’Orlando Furioso. Sono solo appuntamenti rimandati al prossimo autunno oppure avete pensato ad altri spazi per queste ricorrenze?
Per quanto riguarda l’Orlando Furioso di Ariosto è solo un rinvio: la mostra a lui dedicata da Ferrara Arte aprirà nell’autunno 2016, perciò sia musicalmente sia sotto il profilo teatrale e laddove possibile coreografico ci siamo concentrati su quel periodo e quindi sulle stagioni 2016-2017. È vero che ci sono diversi anniversari e per quanto possibile cerchiamo di muoverci anche nella direzione di queste occasioni di riflessione, ma non partiamo da lì per costruire la programmazione: in altre parole non cerchiamo di inserire a tutti i costi spettacoli guardando il calendario degli anniversari, anche se c’è chi lo fa, l’elemento discriminante è l’interesse e l’approfondimento reale dei lavori. Per quanto riguarda l’Ariosto, per esempio, ho individuato alcune cose legate al teatro di figura, come i pupi siciliani dei Cuticchio, mentre per quanto riguarda Bassani mi è arrivato un copione di un drammaturgo sul “Giardino dei Finzi-Contini”: anche in questo caso potrebbe essere perciò un rinvio legato alla speranza di trovare un lavoro di valore e di qualità.

Tutte le informazioni su abbonamenti e biglietti su: www.teatrocomunaleferrara.it

teatrocomunale

L’EVENTO
La nuova stagione di danza della Fondazione Teatro Comunale Claudio Abbado fra visioni, sperimentazioni e rielaborazioni.

Sperimentazione, reinterpretazione, formazione, queste sono le parole chiave attorno alle quali è costruita la nuova stagione coreutica della Fondazione Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara, presentata sabato mattina nelle sale del Ridotto dal presidente Roberta Ziosi e dal direttore artistico Marino Pedroni, insieme a Gisberto Morselli e Francesca Pennini. Senza dimenticare la dimensione internazionale che da sempre caratterizza le programmazioni di danza estensi. L’apertura, il 7 ottobre, è affidata infatti “alla più importante compagnia brasiliana, che sarà per la prima volta a Ferrara”, ha spiegato Morselli: i 21 interpreti di Grupo Corpo, fondata nel 1975 da Rodrigo Pederneiras, porteranno sul palco “Triz” e “Parabelo”, coreografie esemplari del loro lavoro ormai quarantennale. Il 5 dicembre tornerà poi la sudafricana Dada Masilo con una rivisitazione di “Carmen” che coniuga flamenco, danza africana e contemporanea. Infine, il 14 aprile, per il finale di stagione, arriverà per la prima volta a Ferrara Israel Galván, creatore e interprete di un flamenco innovatore: il suo “La edad de oro” è un personalissimo omaggio ai grandi maestri del periodo d’oro di questa danza spagnola. “Era da tempo che desideravamo invitare Israel Galván: è forse uno dei massimi esponenti del flamenco di oggi, la qualità della sua danza è tale da aver ispirato un libro del filosofo Didi Huberman”, ci ha confidato Marino Pedroni a margine dell’incontro con i giornalisti.
Per quanto riguarda la sperimentazione, ci saranno in novembre i consueti appuntamenti con le nuove compagnie emergenti di FuoriStrada, mentre in marzo sarà la volta della nuova produzione “I am beatiful” del siciliano Roberto Zappalà. E poi le tre serate della compagnia residente Collettivo Cinetico, fondata dalla ferrarese Francesca Pennini: il 20 e 21 novembre “10 miniballetti”, “il nostro primo solo, originato da alcuni miei quaderni coreografici”, ha spiegato Francesca, e “Come il cavallo guarda il falco”, esito finale di un laboratorio con studenti universitari, poi il 3 dicembre “Amleto”, uno “spettacolo dal formato aperto in cui ogni volta quattro candidati si propongono per il ruolo di Amleto”. Proprio grazie alla residenza è sempre maggiore la collaborazione con Collettivo Cinetico che, in cambio dell’ospitalità della Fondazione, mette in scena il proprio lavoro di sperimentazione sul gesto e sulla visione e porta avanti progetti di formazione “sia con giovani artisti sia con i ragazzi degli istituti scolastici ferraresi, come quelli che erano presenti anche stamattina in conferenza stampa”: “quello pedagogico è un ambito a cui teniamo molto”. Anche in questo, secondo Pedroni, risiede il valore della residenza: “è molto importante portarla avanti, pur essendo un teatro di tradizione non una fondazione lirica e non avendo quindi gli elementi che la dovrebbero caratterizzare: una sala prove o addirittura un palco a disposizione della compagnia, una dotazione tecnica, possibilità di vitto e alloggio”.
Anche quest’anno nella prima parte della stagione ci si concentrerà su un’area linguistico-geografica specifica. Dopo il Giappone, l’area francofona del Québec con un trittico di tutto rispetto: l’ensemble Cas Public di Hélène Blackburn con la prima italiana di “Symphonie Dramatique” (9 ottobre); la danzatrice e coreografa Marie Chouinard, con due tra i suoi lavori più significativi “Prélude à l’après-midi d’un faune” e “Le sacre du printemps”, omaggio a Vaslav Nijinsky (13 ottobre); infine di nuovo una prima nazionale con la compagnia Daniel Léveillé Danse e il suo “Solitudes duo” (28 novembre), “tre duetti dal grande valore tecnico ed estetico”, ha spiegato Gisberto Morselli. “Per quanto riguarda il ciclo Focus Québec – ci ha detto Pedroni – abbiamo preparato attività collaterali di grande interesse, come per esempio gli incontri in collaborazione con l’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara sul ruolo del Canada nella liberazione di alcune zone del nostro territorio e sulla costituzione del Canada, che riconosce i diritti dei nativi e adotta una politica culturale”. Ci saranno poi appuntamenti organizzati con l’Associazione Amici della Biblioteca Ariostea e il Centro Documentazione Donna e una rassegna cinematografica realizzata in collaborazione con il Conseil des arts et des lettres du Québec e la Delegazione del Québec a Roma. “L’obiettivo è costruire un percorso, una sorta di mappa se vogliamo, che ci consenta di approfondire un’area geografica e culturale di grande interesse e di grande fervore artistico”.
Non mancherà poi l’attenzione alla danza contemporanea italiana degli anni Ottanta e Novanta, con la prosecuzione del progetto Progetto RIC.CI Reconstruction Italian Contemporary Choreography. In novembre Dancehaus riallestirà “Pupilla” di Valeria Magli, mentre in febbraio Aterballetto riproporrà “e-ink” di Michele Di Stefano insieme al suo recentissimo “Upper-East-Side” e a “Tempesta” di Cristina Rizzo. Così il direttore artistico ci ha spiegato il senso di questo recupero di lavori passati: “Negli anni Ottanta e Novanta dopo un periodo di relativa stasi la danza contemporanea italiana si è andata strutturando, ma in questa fase è stata seguita da una “piccolissima tribù” di italiani. Da qui l’idea di riproporre gli spettacoli di quegli anni, come è successo per “Terramara” la scorsa stagione e altri in precedenza, perché allora sono stati visti da un numero ristretto di persone e perché ancora oggi mantengono una propria attualità e una grande qualità stilistica. Senza contare che, senza i lavori di questa epoca felice che ha posto le basi per la danza italiana contemporanea, i giovani artisti di oggi, come Francesca Pennini, sarebbero impensabili”.
Infine, nel gennaio del 2016, un grande ritorno: il Ballet du Grand Thèâtre de Genève, con l’unica tappa italiana della tournée europea della nuova creazione di Joëlle Bouvier “Tristano & Isotta “Salutami il mondo!”” ispirata all’opera di Richard Wagner. Come accade per la figura di Carmen, presente sia nella stagione di danza con Dada Masilo sia nella prosa con Mario Martone, anche in questo caso le programmazioni della Fondazione fanno dialogare fra loro i linguaggi artistici: l’appuntamento fa parte di un progetto più ampio sull’opera wagneriana che vedrà una rappresentazione di “Tristano e Isotta” anche durante la stagione lirica.
Fra le novità della stagione le due forme di abbonamento a posto fisso: “Focus più”, che comprende il ciclo Focus Québec, Dada Masilo e Israel Galván, e “Non solo classica”, con Grupo Corpo, Collettivo cinetico, il Ballet du Grand Thèâtre de Genève, Aterballetto e Compagnia Zappalà Danza. “Capiamo che acquistare dieci appuntamenti al giorno d’oggi sia impegnativo in termini economici e di tempo, perciò abbiamo scelto di dividere la stagione in due parti seguendo idealmente le parti in cui è divisa la programmazione – ci ha spiegato il direttore Marino Pedroni – ma chi desiderasse vedere tutte le serate può acquistare entrambi i turni usufruendo di due posti omaggio fra gli appuntamenti fuori abbonamento”.

Tutte le informazioni su abbonamenti e biglietti su: www.teatrocomunaleferrara.it

Clicca sulle immagini per ingrandirle.

“Parabelo”di Grupo Corpo. © Josè Luiz Pederneiras
“Triz” di Grupo Corpo. © Jose Luiz Pederneiras
Cas public. © Damian Siqueiros
“Carmen” di Dada Masilo. © John Hogg.
“Tristano e Isotta” del Ballet du Grand Thèâtre de Genève. © Gregory Batardo
“La edad de oro” di Israel Galván. ©Félix Vàzquez
centro-lumière-mpsca

LA CURIOSITA’
Al Centro Lumière, la forza delle immagini e il dolce sapore dell’ospitalità

da MOSCA – C’è un posto magico a Mosca, fra i tanti. Un luogo dove ci si può fermare a leggere, a pensare, a immaginare, a viaggiare, sognare, vagheggiare ma soprattutto scrivere. Come sempre, bastano un taccuino o un piccolo computer e la propria fantasia. Comode poltrone, luci soffuse se pur emanate da un grande lampadario bianco ricamato, un piccolo bar fornito e, davanti a una fetta di squisita torta al limone con un dolce succo di mela fatto in casa, siamo pronti. Accanto a noi librerie cariche di libri di fotografia che possono liberamente essere consultati da ogni curioso lettore o semplice passante.

centro-lumière-mpsca
La facciata dell’edificio

Siamo entrati nel caffè del Centro di fotografia dei fratelli Lumière, nel quartiere moscovita di Ottobre Rosso, dopo aver visitato una mostra ospitata nelle sue sale e aver acquistato vari libri nel suo bookstore fornitissimo. Rimaniamo colpiti dalle immagini appese ai candidi e alti muri bianchi; le poltrone sono morbide, accoglienti, avvolgenti come le pagine di quei libri che stiamo sfogliando con cura. La torta è dolce e piacevole come le immagini di alcuni bambini che corrono, lontano da scuola, quando la campanella è suonata perché la lezione è finita. Il succo di mela è un po’ aspro, come una delle immagini di guerra intravviste da lontano. Pungente ma da conoscere. Necessario come la conoscenza di altri mondi difficili e lontani, che aiutano a crescere e a diventare più forti ed esigenti. Alcune locandine colorate sbucano dai vetri del tavolino che ospita le mie righe leggere.

centro-lumière-mpsca
Tavolino della caffetteria

Le righe riempiono a poco a poco il taccuino, i primi appunti sono schizzati su quei fogli bianchi comprati nella mia città avvolta dall’afa. Quel libriccino vuoto dalla copertina colorata da ali di farfalla ha fatto tanti chilometri per accompagnarmi fino a qui. Mi ha promesso fedeltà, subito, ed eccolo qui, allora, con me. Fedele amico e compagno. Attorno a me ci sono solamente una giovane famiglia e due ragazzi giovani, intenti a leggere, ogni tanto si scambiano qualche parola e qualche suggerimento su un paio di app. Sono carini ed educati, parlano finemente sottovoce in un luogo quasi sacro, dove la fotografia incontra la scrittura. Un signore in un angolo sfoglia una rivista, tranquillamente.

Tutto qui è immaginazione, voglia di sapere, sete di conoscere.
Tutto qui è fantasia, capacità di confrontarsi.
Tutto qui è magia. Quella che serve in un fresco pomeriggio di fine estate.

LA STORIA
La sfida antimafia di Antonio e Simmaco: passare dalla difesa all’attacco

“Volevo avvertire il nostro ignoto estorsore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia”. (Libero Grassi, imprenditore e vittima innocente di mafia, 1924-1991)

“La nostra non è solo la terra dei fuochi, è la terra di don Peppe Diana, non è solo Gomorra, è la Campania felix”. Così Antonio Picascia, amministratore delegato di Cleprin descrive la sua terra, la provincia di Caserta, dove lavora con la sua azienda di detergenti. Al Parco Nord di Bologna, durante la Festa dell’Unità, Antonio racconta la sua storia in una sera di fine d’estate, insieme a Simmaco Perillo di NCONuova Cooperazione Organizzata – che con lui sta portando avanti un nuovo modo di fare antimafia: andare oltre il coraggio della denuncia e creare un’alternativa di legalità, avere non solo il coraggio della resistenza, ma sognare una vera e propria rivoluzione.

Antonio nel 2007 ha denunciato i tentativi prima di infiltrazione nella Cleprin e poi di estorsione da parte del clan di Sessa Aurunca, affiliato ai Casalesi. Simmaco con la sua cooperativa sociale “Al di là dei sogni” dal 2004 fa inserimento lavorativo e produce prodotti biologici su terreni confiscati alla Camorra, ma da un po’ di tempo ha proposto ad Antonio di inserire i ragazzi anche nella sua azienda, magari nella sua produzione di detergenti idrosolubili e completamente eco-compatibili: “pensa che bello se ragazzi con alle spalle storie di tossicodipendenza lavorassero alle tue eco-dosi”.

Antonio e Simmaco però hanno in comune anche qualcos’altro: gli incendi che in luglio hanno devastato il loro lavoro. Fuochi con caratteristiche curiose: quello che ha danneggiato il pescheto di “Al di là dei sogni”, mettendo seriamente a rischio il raccolto, si è misteriosamente fermato al confine con l’altra proprietà seguendo una linea dritta come un muro invisibile; mentre quello che ha distrutto quasi due terzi dell’azienda di Antonio è divampato nella notte fra il 23 e il 24 luglio. Guarda caso il 24 luglio 1991 a Sessa Aurunca è stato ucciso Alberto Varone, commerciante di 49 anni con cinque figli, che non aveva ceduto alle richieste di estorsione, l’ultima delle quali era venuta addirittura “dalla nipote di 16 anni”, rivela amareggiato Simmaco. E per un’altra strana coincidenza il killer era il fratello proprio dell’uomo che, secondo il clan, Antonio avrebbe dovuto assumere alla Cleprin.

Né Simmaco né Antonio si sono fermati. Sui 17 ettari del bene confiscato al clan Moccia e intitolato proprio ad Alberto Varone anche quest’anno sono arrivati i tanti ragazzi di EstateLiberi!, i campi estivi di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. E alla Cleprin, terminata la conta dei danni e le operazioni di ripristino dello stato di sicurezza della zona, Antonio, il suo socio Franco Beneduce e i 33 dipendenti hanno ripreso la produzione. Grazie anche alle istituzioni: il dissequestro di una parte dell’azienda è arrivato subito, per cercare di ridurre l’impatto ambientale del disastro, c’erano tensioattivi e materiali che andavano messi in sicurezza. Produzione, imbottigliamento e spedizione, si fa tutto nel reparto magazzino, risparmiato dalle fiamme, con gli unici tre miscelatori rimasti dei 17 presenti prima dell’incendio.

Cleprin Festa Unità
Il palco dell’incontro al Parco Nord. Foto da Voghiera e Libera per dare vita alla terra

Antonio sabato sera ha usato il mito della caverna di Platone, come ha fatto con i ragazzi dei campi estivi che hanno visitato la Cleprin dopo l’incendio, per portare “non solidarietà ma corresponsabilità”, come ha detto don Ciotti il 31 luglio nel piazzale dell’azienda. “Bisogna spezzare le catene per uscire e vedere le cose come sono veramente”: uscendo dalla caverna alla luce del sole si può iniziare a reclamare i propri diritti, non accontentandosi più dei privilegi offerti dalla criminalità organizzata, che altro non sono se non ombre.

Incendi, furti, danneggiamenti, “sono atti non di forza, ma di debolezza”, afferma Antonio, perché la loro rivoluzione sta funzionando, stanno dimostrando al territorio che l’alternativa culturale ed economica al sistema della criminalità organizzata è possibile. Non solo: lo stanno facendo attraverso un modello sociale e produttivo etico e sostenibile dal punto di vista ambientale. Nel 2007 gli unici a stare accanto ad Antonio e al suo socio erano stati i carabinieri della caserma di Mondragone che avevano raccolto la loro denuncia, “l’indifferenza della società civile è stata la cosa più brutta di quei momenti”: le istituzioni allora avevano risposto, ma erano mancati i cittadini. Oggi non è più cosi, dopo l’incendio “non siamo rimasti soli”, alla Cleprin sono arrivate “decine, centinaia, migliaia di persone che nemmeno conoscevamo”.

casertano-incendio-cleprin
Uno dei post pubblicati sulla pagina Facebook della fabbrica di detersivi ecocompatibili Cleprin di Sessa Aurunca.

Articoli correlati:

IL FATTO Incendio della Cleprin nel casertano. Antonio Picascia: “Ma non manderete in fumo un sogno”

L’IDEA I fuochi della passione e della legalità

L’APPUNTAMENTO
La vita sopra tutto. L’istituto Gramsci ricorda Schweitzer nella chiesa di santa Francesca Romana

“E’ destino di ogni verità di essere oggetto di derisione quando viene proclamata per la prima volta. Un tempo era considerato folle supporre che gli uomini di colore fossero realmente degli esseri umani e dovessero venir trattati come tali. Ciò che era un tempo una follia è divenuto ora una verità riconosciuta. Oggi si considera esagerato dichiarare che il costante rispetto per ogni forma di vita è la seria esigenza di un’etica razionale. Ma verrà il tempo in cui la gente si meraviglierà che la razza umana abbia impiegato tanto tempo a riconoscere che l’offesa alla vita per mancanza di riflessione è incompatibile con la vera etica. L’etica è in senso generale responsabilità estesa a tutto ciò che ha vita: uomini e donne, animali, natura.” (Albert Schweitzer “Etica”, tratto da “Rispetto per la vita” Edizioni di Comunità ).

“A cinquant’anni dalla morte (4 settembre 1965 – 4 settembre 2015) – dice Fiorenzo Baratelli, presidente dell’istituto Gramsci di Ferrara – ricorderemo la vita e l’opera di una fra le più grandi figure ‘etiche’ del Novecento. Fu medico, teologo, filosofo, musicologo… Ma, soprattutto, creò nel cuore dell’Africa equatoriale (Lambaranè, Gabon) un villaggio-ospedale per curare le gravissime malattie (malattia del sonno, lebbra, dissenteria, malaria…) che colpivano gli abitanti più poveri di quelle zone. Albert Einstein disse di lui alla radio americana: “Nella foresta equatoriale vive e lavora uno dei più grandi uomini dei tempi moderni, se non il più grande”. Nel 1952, la sua grande opera fu riconosciuta a livello mondiale con l’attribuzione del premio Nobel per la Pace.”

La figura di Albert Schweitzer sarà celebrata a Ferrara proprio nella ricorrenza della scomparsa, venerdì 4 alle 21, nella chiesa di santa Francesca Romana di via XX settembre, con musiche per organo su partiture di Bach, precedute da una riflessione di Fiorenzo Baratelli.

EVENTUALMENTE
Ferrara 11 settembre: giornata scientifica contro i tumori, per infondere una ‘ragionevole’ speranza

Si svolgerà l’11 Settembre a Ferrara il “One day against brain tumors”, convegno internazionale sui tumori al cervello. La giornata è stata organizzata e fortemente voluta da Gian Paolo Cestari, presidente de “Il Quadrifoglio Verde P.S. P.S.”, associazione no profit cittadina, nata per sostenere e finanziare gli scienziati nella ricerca oncologica: “Questo progetto nasce da una mia idea in seguito alla contrazione del glioblastoma da parte di un mio caro: da quel momento ho girato diversi ospedali dove ho avuto la possibilità di confrontarmi con medici che, con sensibilità e professionalità, mi hanno spiegato in maniera accurata la malattia. Con questo evento vogliamo dare la possibilità anche ad altri pazienti di avere un colloquio con gli esperti del settore così da sensibilizzare l’opinione pubblica”, ha spiegato Cestari alla conferenza stampa svoltasi questa mattina presso la Torre di san Paolo in Castello.
Il meeting tratterà delle più recenti e importanti scoperte scientifiche sui tumori cerebrali, in particolare sul glioblastoma, tumore “nato” negli ultimi dieci anni e sempre più presente nella fascia degli over 55 anni, ma in alcuni casi anche nei bambini. “E’ un male particolarmente aggressivo che ha origine in una zona di congiunzione tra cervello e midollo spinale – non si diffonde quasi mai all’esterno – e di conseguenza risulta difficilmente debellabile chirurgicamente. Lo contraggono circa quattro individui all’anno su un campione di centomila persone e può manifestarsi con crisi epilettiche prima mai avvenute, perdita di sensibilità negli arti e forme di dislessia. In Italia sono alcune migliaia i pazienti coinvolti” specifica il dr. Finocchiaro, direttore dell’unità operativa di neurologia VIII del dipartimento di neuro-oncologia dell’Istituto Besta di Milano.
Innovativa la scansione della giornata, pensata per soddisfare più esigenze: “E’ fondamentale creare un evento scientifico che sia costruttivo anche per i pazienti e i propri familiari. In queste situazioni di difficoltà il rischio è quello di affidarsi troppo a Internet e perdersi in false speranze. In quest’occasione invece, per la mattinata è previsto un workshop “a porte chiuse” tra i più autorevoli esperti della neuro-oncologia (provenienti da Stati Uniti, Francia, Svizzera, Regno Unito e Italia) durante il quale potranno parlare e confrontarsi con altri medici provenienti da tutta la penisola sugli sviluppi delle ricerche effettuate fino ad oggi, mentre nel pomeriggio i dottori saranno a disposizione del pubblico che vorrà cogliere l’occasione per cercare risposte a domande relative questa patologia”, aggiunge Cestari.
Sarà un momento molto importante per lanciare un messaggio d’incoraggiamento e infondere una “ragionevole” speranza a chi ha contratto tale tumore, espone il dr. Finocchiaro: “Al giorno d’oggi, con il lavoro che siamo riusciti a fare sulla biologia del Dna della cellula malata, abbiamo constatato come il sistema immunitario dell’essere umano sia un’arma formidabile molto più di quanto ci si possa aspettare: è in quest’ottica che sosterremo i nostri pazienti cercando di debellare il tumore passo dopo passo, sostanzialmente prolungando l’esistenza dell’individuo, grazie a nuovi farmaci attivatori del sistema immunitario che recentemente hanno dato segnali incoraggianti e a ‘marker’ nel sangue che segnalano eventuali valori non consoni”.

L’appuntamento dunque è per l’11settembre in Castello, data non scelta a caso, visto che si vuole dare una valenza positiva ad una giornata che nel passato recente viene collegata ai tremendi attentati alle Torri gemelle, rendendo così onore alla comunità di medici americana, formidabile nel mettere in atto network indispensabili per lo studio di queste malattie.

L’evento verrà trasmesso in modalità streaming sul sito de Il Quadrifoglio.

LA SEGNALAZIONE
Progetto America Latina: esperienze all’estero per aziende

di Sara Spinedi*

Un fenomeno non prettamente italiano, ma decisamente frequente in Italia è la cosiddetta “fuga dei cervelli”. In realtà a fuggire sono i giovani in generale, consci delle poche opportunità che offre il proprio Paese e col desiderio di partire verso un futuro più positivo. In molti decidono di tentare questa strada, partendo anche con poco, con il minimo necessario e portandosi, dopo aver messo a confronto carte prepagate (info su http://www.apprendistatoprovinciaroma.it/confronto-carte-prepagate/) la cifra giusta per vivere qualche mese. Spesso l’avventura si conclude con un nuovo posto di lavoro, ma non tutti hanno questa fortuna e in certi casi, anche se ha il sapore della sconfitta, si torna indietro verso casa.
Ci sono però diverse opportunità che possono essere colte ancor prima di partire all’avventura e quindi progettando con un certo margine di sicurezza quella che può diventare un’esperienza all’estero non solo positiva, ma anche proficua. Questo è quello che accade grazie al progetto America Latina promosso da Unioncamere Emilia-Romagna e PromoFirenze in collaborazione con la Interamerican Investiment Corporation. In cosa consiste il progetto? In poche parole nel dare l’opportunità a degli imprenditori desiderosi di provare quei mercati di inserirsi in tali sistemi di affari.
Più nel dettaglio si tratta di una missione commerciale in Cile e Perù, nello specifico nelle città di Santiago e di Lima della durata di una settimana. In questa settimana i partecipanti all’iniziativa potranno prendere contatti e cogliere le opportunità commerciali in America Latina grazie a tutta una serie di incontri organizzati ad hoc per ciascuna impresa e mirati allo scopo. In questo modo gli imprenditori italiani che parteciperanno alla missione potranno conoscere realtà locali dell’America Latina, nonché imprenditori e fornitori del luogo. I settori che offrono maggiori opportunità sono quelli dell’abbigliamento di lusso, edilizia, medicale, design e arredo, macchinari energia e ambiente.
Si tratta quindi di un ventaglio abbastanza ampio dove le possibilità potrebbero essere davvero molte. Per partecipare l’impresa interessata deve compilare un’apposita scheda del proprio profilo che verrà visionata dagli uffici di Santiago. Se tutto procede al meglio e l’adesione viene accettata si deve formalizzare l’iscrizione entro il 28 settembre. La quota di partecipazione prevista è di 1.400 euro, una cifra abbastanza abbordabile a fronte della quale ci si possono aprire diverse possibilità.

* Giornalista, attualmente cura la sezione news su siti a tema finanza, tecnologia ed informazione.

IL FATTO
Segnali di pace e sviluppo dal Sud Sudan

E’ di ieri la notizia della firma, da parte del presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, di un accordo di pace con i ribelli capeggiati dall’ex vice presidente Riek Machar. Da più di venti mesi nel Sud Sudan è in corso una sanguinosa guerra civile che vede uno scontro tra le etnie Dinka e Nuerdi, di cui sono rappresentanti supremi (rispettivamente) proprio il presidente e il generale ribelle.
Machar aveva già siglato l’intesa la settimana scorsa in Etiopia, mentre Kiir aveva chiesto tempo. Il 27 agosto ha ceduto, in particolare dopo le minacce Usa di imporre nuove sanzioni e le pressioni esercitate dalle Nazioni Unite. In base all’accordo, entro 90 giorni dovrà essere formato un governo di coalizione. Una speranza di pace per il Paese, dopo tanto sangue. Un buon motivo per tornare a parlare ora di questo Paese dimenticato.

Tempo fa avevamo riferito di Avsi e dell’esperienza di Anna Sambo qui nel Sud Sudan [leggi]. Meritano di essere segnalate alcune altre interessanti realtà, che offrono piccole testimonianze di un grande impegno volto ad aiutare questo Paese disastrato. Colpiscono e destano attenzione, in particolare, due progetti di sviluppo rivolti alle donne, promossi anch’essi da Avsi.

buone notizie-sud-sudan
Centro di formazione di Juba

Le foto che pubblichiamo, immagini di alcuni vestiti cuciti a mano, tipicamente africani, dai colori accesi e vivaci, sono quelle di un centro di formazione professionale a Juba, “molto bello – dice Anna – una struttura costruita da Jaica (la cooperazione giapponese) e gestita dal governo”. Avsi fa parte del forum di coordinamento dei Vocational training center, centri di supporto all’istruzione e alla formazione professionale, unici strumenti che possono veramente far evolvere una società. “Questi progetti sono molto importanti – continua Anna – perché il lavoro è il modo che abbiamo per essere umani e usare la testa, creare cose nuove, mostrare cosa sappiamo fare, crescere. Nel centro di formazione di Juba ci sono corsi di tailoring, edilizia, carpenteria, meccanica, elettrotecnica, idraulica, agricoltura. È in una zona disastrata, ma poi varchi il cancello e vedi una possibilità per il futuro di questa gente”.

buone-notizie-sud-sudan
Centro di formazione nello Stato dei Lakes

Altre immagini ritraggono ragazze giovani che seguono alcuni corsi, nello Stato dei Lakes. Il progetto triennale implementato da Avsi da marzo 2014 è finanziato dall’Unione europea, un centro di formazione professionale che prima era solo maschile (con corsi di edilizia e carpenteria) e ora invece ospita anche 20 ragazze, 10 delle quali alloggiate lì. Il progetto prevede attività di educazione, attività agricole e di sensibilizzazione al ruolo degli adulti nei confronti dello sviluppo di loro stessi e dei loro figli. Avsi implementa il progetto con una ong locale (Ireneo Dud Foundation) e con una onlus italiana (Sudin), al fine di sviluppare progetti che siano sostenibili. La zona, ai confini dei territori in guerra, è estremamente isolata e pericolosa per i continui conflitti tra sottogruppi della stessa etnia, che è quella Dinka (una tribù che vive nelle regioni di Bahr al Ghazal, Kordofan del sud, Jonglei e Alto Nilo, circa 1,5 milioni di persone, corrispondenti al 18% della popolazione totale del Sud Sudan). In queste aree, come in tutto il Sud Sudan, le bambine sono merce di scambio per ottenere mucche, che sono la cosa più preziosa per i Dinka, ben più delle donne stesse e dei bambini. Qui il tasso di analfabetismo è davvero altissimo, ancor più alto per le donne, ovviamente. Anna dice che queste bambine, molte delle quali orfane, sono stupende, infinitamente felici di poter andare a scuola. “Speriamo in un futuro per loro. E in un presente in cui si incominci a considerarle come esseri umani”.

Galleria fotografica, Centro di Juba. Clicca le immagini per ingrandirle.

buone notizie-sud-sudan
Centro di formazione di Juba
buone-notizie-sud-sudan

Fotografie di Anna Sambo

Vedi anche frase del giorno e foto correlata [clicca qui].

EVENTUALMENTE
Con le melodie di Andràs Petruska riparte il mercato BioperTutti

dagli organizzatori del Mercato Biopertutti

Domani giovedì 27 Agosto riprende dopo la pausa estiva il Mercato BioperTutti in P.zza XXIV Maggio (Acquedotto) dalle 8.00 alle 14.30 all’insegna della musica degli artisti di strada e con la degustazione delle bontà del mercato. In collaborazione con il Buskers Festival, il mercato BioperTutti ospiterà giovedì 27 Agosto, dalle ore 10.30, il bravissimo e pluripremiato chitarrista ungherese Andràs Petruska. L’artista, che fonde suoni e melodie tipiche della musica folk ungherese con il groove dell’hiphop, accompagnerà con la sua voce intensa e armoniosa i consumatori nella degustazione delle golosità del mercato per un’esperienza davvero unica ed originale [vedi].

biopertuttibiopertuttiGià dalle 8 potrete trovare IL PANE E I GOLOSI BISCOTTI di Zenzero Candito, FRUTTA E VERDURA FRESCHISSIMI dell’ Azienda Ai Pavoni e dell’Agriturismo Arcadia, IL FRITTO CROCCANTE E I FILETTI DI PESCE di Biofish! E naturalmente vino senza solfiti, succhi di fragola, mela, mirtillo, miele,nocciolinda e tanto altro!
Vi aspettiamo per il consueto appuntamento settimanale per farvi gustare tutte le bontà del mercato e regalarvi una bellissima giornata di gioia e allegria!

DA GIOVEDI’ 27 AGOSTO OGNI SETTIMANA DALLE ORE 8.00 ALLE 14.00

EVENTUALMENTE
Stasera al Puedes: Dente porta lo stupore e la meraviglia

dagli organizzatori di Autori a corte

Giuseppe Peveri, in arte Dente, ospite d’eccezione al Puedes Summer Night per l’ultimo incontro di “Libri da Bere-Autori a Corte Outside” di stasera, martedì 25 agosto al Ferrara Buskers Festival 2015.

Nell’ambito del Ferrara Buskers Festival 2015, ospite d’eccezione martedì 25 agosto (alle 20,15 circa) al Puedes Summer Night, in occasione dell’ultimo incontro di “Libri da Bere-Autori a Corte Outside”, con uno dei più popolari cantautori italiani dell’ultima generazione: Giuseppe Peveri in arte Dente, che giunge a Ferrara per presentare il suo libro “Favole per bambini molto stanchi” (Bompiani Editore). Nato a Fidenza nel 1976, Dente, ha all’attivo cinque dischi che gli sono valsi un’accoglienza calorosa del pubblico e della critica. Il libro, diviso in dodici “capitoli”, illustrato da Franco Matticchio che è già alla terza ristampa, parla di solitudine, di paure, di lupi, di amore per risvegliare lo stupore, la meraviglia, la fantasia di grandi e piccini, facendoli entrare in un universo di pianeti curiosi e impertinenti, che rifiutano la logica, giocano con la morale, rovesciano le leggi della fisica e della sintassi. Eppure, come accade nella vita di tutti i giorni, i personaggi che li abitano si innamorano e si odiano, si parlano e non si capiscono, sono fragili e un po’ spietati, ma soprattutto ridono molto, rimanendo serissimi. A condurre l’incontro sarà la giornalista e scrittrice Giorgia Pizzirani, del quotidiano Ferraraitalia.

LA BELLEZZA CI SALVERA’
Art Kane a Modena: lo sguardo visionario dietro l’obiettivo

“Preferisco interpretare piuttosto che registrare” (Art Kane, 1982)

Il suo primo incarico è stato nel 1958 un servizio per Esquire: “Avevo due settimane per andare a Las Vegas e fotografare Louis. L’ho portato nel deserto e l’ho messo sulla sedia a dondolo […] Non volevo la sua immagine stereotipata […]. Il sole stava tramontando, l’ho allineato ai suoi occhi, il tramonto della sua vita: molto banale, ma credo che abbia funzionato. Tutti lo ricordano esuberante e allegro, io invece volevo ritrarlo come era realmente, un uomo arrivato all’età in cui ci si volge a considerare il passato. […] è probabilmente l’immagine più significativa della mia vita. Mi ha trasformato da art director in fotografo, cosa di cui non mi sono mai pentito”. Louis era il celebre jazzista Louis Armstrong, ritratto nel deserto del Mojave, dando inizio alla serie di “Harlem 1958”: questo è il titolo della fotografia scattata in una domenica d’agosto riuscendo a raggruppare ben 57 leggende del jazz su un marciapiede della 126ma strada a Harlem, diventata forse l’immagine più significativa della storia del jazz.

E’ stato così che Art Kane ha reinventato la sua vita professionale, passando dall’essere il più giovane art director della storia – incarico ricoperto a soli 27 anni per la rivista Seventeen – all’essere uno dei fotografi più innovativi della seconda meta del Novecento. A vent’anni dalla sua scomparsa e nel novantesimo della sua nascita l’esposizione “Art Kane. Visionary” porta per la prima volta alcuni dei suoi capolavori in Italia, a Modena, e li rende visibili gratuitamente, senza il pagamento di un biglietto.

Le sue immagini sono entrate nell’immaginario comune, soprattutto in quello del mondo della musica. È lui, infatti, ad aver intrappolato nel 1966 Bob Dylan accucciato nell’angolo fra due candide pareti con un’aria a metà tra l’impudente e il sognante, ad averci regalato nel 1967 un poetico ritratto in bianco e nero di Aretha Franklin, ad aver catturato il grido disperato di Janis Joplin (1968). Celeberrimi anche i suoi lavori con i Rolling Stones, Frank Zappa, i Doors e gli Who, frutto di un lavoro di ricerca su e con tutti questi artisti.

Il suo lavoro però non si è fermato alle icone della musica jazz, pop e rock, ha attraversato gli anni Sessanta e Settanta delle lotte per i diritti civili e della guerra in Vietnam ideando immagini dal linguaggio allo stesso tempo drammatico e popolare. Negli anni Ottanta ha rivoluzionato la fotografia commerciale, l’immagine di moda, il ritratto di celebrità e il nudo, grazie a un utilizzo spericolato del grandangolo, di pellicole dai colori ipersaturati e di un umorismo surreale. Il suo lavoro è stato pionieristico non solo dal punto di vista della ricerca estetica, ma anche da quello tecnico: trent’anni prima di photoshop, armato solo di un tavolo luminoso e di una lente di ingrandimento, Kane ha inventato l’immagine “sandwich” montando due diapositive a registro nello stesso telaio. Sviluppando questa tecnica oltre ogni limite, Kane è divenuto un vero e proprio anticipatore della narrazione fotografica, che ha condotto avvalendosi anche di metafora e poesia, trasformando di fatto la fotografia in illustrazione. Commoventi le immagini sandwich della serie “Our indian heritage” del 1971 e sorprendenti quelle della serie su Venezia di poco precedenti.

Il suo scopo è sempre stato fuggire dal fotorealismo e, nello stesso tempo, da uno stile riconoscibile: le sue sono immagini pensanti, visioni che comunicano sempre un personalissimo punto di vista, sul razzismo, sulla guerra, sulla società, sulla moda o sulla musica. “Penso ad Art Kane come a un colore acceso, diciamo, come un sole color zucca in mezzo ad un cielo blu. Come il sole, Art fissa il raggio del suo sguardo sul suo soggetto, e quel che vede, lui fotografa, e di solito si tratta di un’interpretazione drammatica della sua personalità”. Così lo dipingeva Andy Warhol, dopo aver collaborato con lui in alcune campagne pubblicitarie.

La mostra a cura di Jonathan Kane, Holly Anderson e Guido Harari, organizzata e prodotta dalla Galleria civica di Modena e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, in collaborazione con Solares Fondazione delle Arti di Parma e Wall of Sound Gallery di Alba, rimarrà aperta fino al 20 settembre nelle sale di Palazzo Santa Margherita in corso Canalgrande 103. Una parte è dedicata ai ritratti e alle celebri foto delle maggiori icone della musica, una all’impegno civile – soprattutto per i diritti civili degli afroamericani e degli indiani, il Vietnam, l’incubo nucleare di Hiroshima, il consumismo – e poi le visioni risultato dei “sandwich” e gli scatti per la moda.

Unico neo di questa bella operazione culturale, proprio in ragione della sua importanza, è forse l’orario di apertura un po’ limitato: l’esposizione è visitabile il giovedì e il venerdì dalle 17 alle 19.30, dalle 10.30 alle 19.30 sabato, domenica e nei giorni festivi, mentre rimane chiusa dal lunedì al mercoledì. Tuttavia per dimenticarsi di questo piccolo inconveniente basta fare un salto all’attiguo Museo della figurina, nello stesso Palazzo Margherita e anch’esso gratuito: un grazioso gioiello dove ritrovare una parte dell’immaginario della propria infanzia.

Per maggiori informazioni su “Art Kane. Visionary” clicca qui

Clicca sulle immagini per ingrandirle

harlem
Harlem di Art Kane (1958)
Art Kane
Alcuni lavori di Art Kane
Art Kane
Alcune immagini di Art Kane
Kane serie sui diritti civili
Alcuni lavori di Art Kane sui diritti civili
we the people
We the people, di Art Kane (1961)
ritratti di icone rock
Ritratti rock di Art Kane
Kane, ritratti di musicisti
Tre ritratti rock di Art Kane
Art Kane
Tre lavori di Art Kane sulla guerra

 

LA STORIA
“In memoria del mio papà”. Dall’Inghilterra a Ravenna il palloncino viola del ricordo

Sembra la sceneggiatura di un film, una storia degna di una favola – se non fosse per il triste evento che la origina – ma che di una fiaba ha, comunque, il finale. I protagonisti: due bambini, una mamma, un padre malato che vola in cielo. Una famiglia, come tante, colpita da una tragedia, di quelle che segnano e cambiano per sempre. E poi un asilo inglese, dei palloncini viola, un agricoltore e una generosa comunità lontana. I luoghi: Bordon, in Inghilterra, il cielo, le nuvole, le montagne, i laghi, i fiumi, la terra, la sabbia, il mare, il vento, Borgo Montone, in Romagna, e la città di Ravenna.

palloncino-viola
Oscar e Beth il giorno del lancio dei palloncini

Questa è la storia vera di un palloncino viola con un bigliettino inserito al suo interno, scritto da due bambini inglesi, Oscar e Beth, per il loro papà morto qualche mese prima: “Vola alto Simon” e la richiesta a chi lo trovasse di avvertire l’asilo da cui era partito. Lo ha trovato Christian Grassi, un agricoltore di Borgo Montone, nel ravennate, lo scorso mese di gennaio: stava lavorando nel campo della sua azienda di prodotti biologici “Mater Naturae” [vedi], quando ha notato un palloncino afflosciato viola impigliatosi in un fossato, con attaccata una cartolina plastificata contenente la foto di una famiglia composta da padre, madre e due figli e il testo in inglese che invitava chi lo trovasse ad avvertire l’asilo dal quale era partito.

palloncino-viola
Biglietto ritrovato nel palloncino viola da Christian Grassi

“Il bello del mio lavoro è che quasi ogni giorno fai un incontro (con una persona o un animale), o accade qualcosa che ti lascia un ricordo o un pensiero”, ha scritto l’agricoltore su Facebook. “Mentre lavoravo i campi ancora ghiacciati ho notato dentro a un fosso una macchia viola. Era un palloncino con appesa una cartolina. Era un messaggio in ricordo di Simon Cook, lanciato assieme a tanti altri palloncini dai bimbi della Bordon Garrison Pre-school & Creche. Sul retro “R.I.P. Simon. Love Robyn. Il mio pensiero a Simon Cook, ai suoi cari e ai piccoli che lo hanno salutato”. Scattano subito le ricerche sulla rete e il ritrovamento della pagina Facebook della scuola di Bordon, nell’Hampshire, dalla quale, lo scorso 18 novembre, quell’oggetto pieno d’amore era partito, la Bordon Garrison Pre-School & Creche [vedi].

palloncino-viola
Il lancio dei palloncini dalla scuola inglese

I compagni di Oscar e Beth, con l’aiuto della madre Zoe, avevano lanciato nel cielo tanti palloncini viola, sperando che qualcuno, un giorno, ne ritrovasse ameno uno e li avvertisse. E il desiderio si è avverato, quel palloncino viaggiatore ha visto mari, laghi, montagne e colline ed è atterrato tranquillo, dopo quasi 1700 km, sul suolo italiano, la terra della bellezza, la terra della bontà e della solidarietà. Dal momento del ritrovamento, infatti, è iniziato il lavoro del Comitato cittadino di Borgo Montone [vedi] e della famiglia Grassi per ospitare la famiglia Cook. L’incontro è avvenuto a fine luglio: Zoe, la madre, coi suoi piccoli Oscar (3 anni) e Beth (7 anni) e la loro insegnante Lucy, sono arrivati a Ravenna per trascorrere una settimana in Romagna, visitando i monumenti Unesco della città, godendo delle spiagge e del mare e della buona cucina romagnola.

palloncino-viola
Ristorante La Campaza, tavolo riservato ai Cook
palloncino-viola
Allestimento della tavola col colore viola

I titolari del ristorante La Campaza [vedi] che ha ospitalo la famiglia, ci riferiscono, via email, di essere stati contattati direttamente dal presidente del comitato cittadino, Ottaviano Rossi, e di aver riservato ai loro ospiti un tavolo allestito con fiocchi, palloncini viola e candele in tinta. Tutti felici e grati, anche per la scelta simbolica del colore. Una gioia dopo il grande dolore, che sicuramente non fa dimenticare ma che allevia, almeno un po’. Il calore, la tenerezza e l’umanità possono aiutare, e molto.

palloncino-viola
Da sinistra Lucy, mamma Zoe, i piccoli Oscar e Beth e Lorenzo Ferrari del Comitato Borgo Montone (Corriere Romagna, foto Corelli)

Un commosso e felice Christian Grassi, dalla sua pagina Facebook [vedi], ricorda come questo palloncino “sia riuscito a compiere la magia di far incontrare, conoscere e condividere emozioni, così tante persone come i protagonisti di questa storia. Lorenzo Ferrari, Sergio Belli, Filippo Donati, Massimiliano Reggio, Ottaviano Rossi, Amici Di Chichester, Galla E Teo, Comitato Cittadino di Borgo Montone, Elena Zanfanti, Lucy McDiarmid, Zoe Cook e tantissimi altri. Persone che prima non si conoscevano e che questa storia, scatenata da un palloncino, ha reso migliori. Mi piace pensare a questo oggetto come ad un qualcosa con una volontà propria che ha scelto noi e la nostra comunità con uno scopo. Un oggetto carico di significati simbolici e di positività che sentivo che doveva ritornare a casa con chi lo aveva lanciato. E’ per questo che prima di salutare i nostri amici d’oltremanica ho reso loro ciò che restava del palloncino e la cartolina che vi era appesa. Un ricordo e un portafortuna soprattutto per i bimbi. Scrivo qui ciò che non ho saputo esprimere prima data la mia pessima padronanza dell’inglese. Un grazie infine a tutte le realtà che hanno reso possibile questa storia: l’Hotel Diana di Ravenna, il Bagno Perla di Punta Marina, il ristorante La Campaza di Fosso Ghiaia, il Ristorante Molinetto, Mirabilandia, Bagno Azzurro, Easyasta, Zoosafari, la Casa delle Farfalle Milano Marittima, la Diocesi di Ravenna, Ravenna Pallanuoto, i Vigili del Fuoco di Ravenna, la Confesercenti Ravenna. Sperando di non aver trascurato nessuno”.

palloncino-viola
La famiglia Cook e la comunita’ di Borgo Montone

Una vera lezione di solidarietà e di empatia. Un volo d’amore. Per una vacanza da ricordare, un’esperienza umana che rimarrà per sempre nella memoria delle due famiglie e delle loro comunità.

 

 

Si ringrazia il ristorante La Campaza per le gentile concessione delle foto dei tavoli apparecchiati.
Le altre foto sono prese da Facebook e Internet.

LA RICORRENZA
L’isola di Simi, quando l’Italia si ritirò dall’Egeo

Vivere l`isola di Simi (oppure Symi) può considerarsi un privilegio, un luogo dove trascorrere le vacanze circondati dal mare Egeo blu intenso, baie e rocce a strapiombo mozzafiato. Un cono irregolare di roccia lavorabile, un polipo emerso dai tentacoli allargati e immobile sul mare. Simi è parte del Dodecaneso, quella collana di isole piccole, medie e piccolissime che geograficamente e storicamente fanno capo a Rodi, l’isola più grande posta a sud-ovest dell`arcipelago. Ma di quanto sia magica Simi e della sua storia antica ne scriveremo più avanti, l`aspetto su cui ci soffermiamo oggi è l`evento storico che si svolse su questo scoglio esattamente settant’anni fa, nel 1945, al sipario finale di un periodo di turbolenze geopolitiche che condizionarono un capitolo di storia italiana da ricordare sempre, una pagina di luci e ombre durato oltre trent’anni, nella prima metà del Novecento. Ricordate la pellicola “Mediterraneo” di Gabriele Salvatores e il suo composito drappello di militari sbarcati su un’isola? Ad un tiro di schioppo dall`isola greca, sulla quale passa il tormentato confine greco-turco (ancor più evidente oggi per via delle numerose presenze di sbarchi migratori provenienti dall`oriente con in maggioranza siriani, pachistani e afgani), vi sono le prime balze turche. La notte, le baie della località turca Datcha che attanagliano come una chela di granchio la piccola isola greca, brillano di luci a intermittenza che in lontananza ricordano i tempi dei drammatici assalti notturni dei pirati costieri.
Fu proprio dalla guerra italo-turca, la guerra di Libia, combattuta e vinta dal Regno d’Italia contro l’Impero ottomano tra il 29 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912 per conquistare le regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica, che cominciò l`avventura italiana in questa parte nord-est del Mar Mediterraneo: il 12 maggio 1912 Simi vene occupata dall`esercito italiano come Colonia del Dodecaneso.

simi
Simi, palazzo Kampsopoulou (1945)

Da allora sull`isola si sono moltiplicati i segni indelebili dell`occupazione italiana che dal 1926 sarebbe appartenuta al nuovo Governo delle isole italiane dell’Egeo. All`arrivo a Simi via mare, nella baia di Gialos, l`immagine più evidente, oltre al colpo d`occhio irripetibile delle case pastello neoclassiche e da affascinanti ville dal tocco neoclassico italiano costruite a mezzacosta, è la sede della polizia ricavata da un palazzo signorile dal sapore rinascimentale-veneziano costruito da un commerciante italiano; le scuole elementari e medie sembrano un pezzo della nostra pianura fra Bologna e Ferrara, e l`aspetto più inaspettato è l`entusiasmo con il quale gli ottuagenari e oltre locali, vogliono parlarti nel loro perfetto italiano appreso quando durante il ventennio fascista (fino alla fine degli anni ’40 la lingua italiana si insegnava nelle scuole locali).
Ma la guerra è crudele e alcuni tragici episodi che videro protagonista il nostro esercito italiano sono documentati nella sede del Municipio. Il capolavoro di Gabriele Salvatores, premio Oscar nel 1992, affresca delicatamente questo pezzo di storia, dall`occupazione militare italiana del 1941 girata a Kastelorizo (ma potrebbe essere anche Simi) a molti mesi dopo l`armistizio del 1943, quando gli attoniti ufficiali inglesi recuperano sulla lancia di salvataggio i dimenticati militari del Regio esercito italiano e la mula.
I nostri militari loro malgrado verranno poi nuovamente coinvolti durante l`occupazione tedesca dei due anni successivi durante i cruenti e drammatici risvolti che conosciamo essere accaduti non solo a Simi ma anche in altre parti della Grecia. E siamo all’8 maggio del 1945, quando nel palazzo Kampsopoulou (oggi trasformato da un imprenditore privato simiota in Art Gallery-LOS) posto sul lungo-baia a sinistra di Gialos, viene firmato il trattato di resa delle isole del Dodecaneso agli Alleati.

simi
Targa in memoria della resa

Con il Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, le isole passarono alla Grecia come prevedeva l’articolo 14 del trattato: “L’Italia cede alla Grecia in sovranità piena le Isole del Dodecaneso in appresso indicate e precisamente: Stampalia (Astropalia) Rodi (Rhodos) Calki (Kharki), Scarpanto, Casos (Casso), Piscopis (Tilos), Misiros (Nisyros), Calimnos (Kalymnos), Leros, Patmos, Lipsos (Lipso), Simi (Symi) Cos (Kos) e Castellorizo, come pure le isolette adiacenti.”
Dal 7 marzo 1948 le isole del Dodecaneso entrano a far parte a tutti gli effetti della Grecia e dopo pochi mesi scompare l’insegnamento della lingua italiana sull’isola a cono, circondata dal blu profondo del mare. La più che trentennale presenza italiana in Egeo si era ufficialmente e definitivamente conclusa.

LA LETTURA
Carla Fracci: “La danza è impegno e cultura”

In un paese come la Russia, dove il balletto fa da padrone e permea molte serate di intellettuali e gente comune, è quasi inevitabile riprendere in mano alcune letture sul tema. Un must, un richiamo vero e proprio a ripercorrere storie di ballo e di legami anche con il nostro Paese. Il ricordo va subito alla grande, unica e indimenticabile Carla Fracci e alle sue esperienze con i russi Michail Baryšnikov o Rudolf Nureyev.

fracci-passo-dopo-passo
La copertina

Chi ama la danza non può non ricordare il suo primo libro “La mia vita sulle punte. Come diventare ballerina”. Per anni quelle pagine mi hanno accompagnato nei sogni più lontani, stropicciate tanto le sfogliavo, le guardavo e riguardavo. Non sono diventata una ballerina, ma molti di quegli insegnamenti su disciplina, tenacia e coraggio li ho portati stretti gelosamente a me. Con “Passo dopo passo“, Carla ci accompagna, con la dolcezza e la delicatezza che la contraddistinguono, nella sua storia che è allo stesso tempo personale e intergenerazionale. Anzi, se permettete, direi nazionale, perché parte importante della storia culturale del nostro paese, della sua splendida tradizione di bellezza e di arte.
Nel libro la Fracci ripercorre gli oltre duecento personaggi da essa interpretati nella sua lunga e ricca carriera, le loro storie, la varietà delle sensazioni e dei sentimenti da essi ispirati, le scene e i palcoscenici calcati e ricalcati, scavati dalla forza e dall’energia dei passi, pervasi da forti scambi di emozioni. Un’autobiografia intima e intensa che ci coinvolge e ci mantiene incollati alle pagine in queste serene feste natalizie. Un libro che letteralmente divoriamo.
Chi ama e segue questa donna, sa delle sue origini, del padre tranviere e della madre operaia, dei sacrifici di quei corsi che iniziavano alla mattina presto, quando si usciva di casa con poca luce, “schiscetta” in cartella e gelo che pizzicava le guance rosee. Sono belle quelle immagini di chi guarda all’insù nella piazza antistante La Scala per vedere e osservare curiosi le ballerine che si riflettono sui vetri delle finestre, pensando che dietro vi siano solo giovani fanciulle serene e leggiadre quando invece vi si nascondono ore e ore di esercizi alla sbarra, sacrifici, dura disciplina e impegno. Altrettanto magica è l’immagine di Carla bambina che vede una piccola figura elegante vestita di nero uscire dalla galleria Vittorio Emanuele e scomparire sotto il portico del caffè Biffi. Sembra un personaggio da fiaba, ed è Margot Fonteyn, divenuta maestra, collega e amica. Per un attimo ci siamo trovati immersi nella magia, abbiamo sfiorato anche noi un mantello e una bacchetta magica. Dai primi ruoli, come quello di Cenerentola di Prokof’ev (che caso, sottolinea anche Carla, quello di un primo ruolo, proprio di Cenerentola, dato ad una bambina povera che non sapeva cos’era la danza..), attraverso le grandi interpretazioni di Giulietta, Giselle, fino a quelle di Francesca, Odette, Gelsomina e della Filumena del grande Eduardo, il passo e’ breve. Festival di Nervi, London Festival Ballet, Teatro dell’Opera di Roma, American Ballet Theatre di New York, Teatro San Carlo di Napoli, l’Arena di Verona, il Bol’šoj di Mosca sono solo alcuni dei grandi palcoscenici che hanno accolto Carla, sempre a braccia aperte, sempre con un successo di pubblico caloroso e spesso clamoroso.
Il compagno e marito, Beppe, dice sempre a Carla che la sua anima di ballerina è fatta di tre G: Giselle, Giulietta e Gelsomina. Anima di donna intensa e forte, spirito di donna vera traboccante di amore e passione autentica. Quella stessa che non riesci a dividere donna e artista, perché danza ciò che è ed è ciò che danza. Una fusione totale e completa fra personaggi e artista, una trasposizione, quasi una trasfigurazione mistica e illuminata. La danza assomiglia alla poesia per il modo in cui supera ogni limite, l’assenza di parola, a differenza del teatro, rende il balletto più penetrante e per certo verso più potente. Alla sua chiusura si ride, si piange, ci si abbraccia, si condivide la forza e l’energia. Con la danza di Carla c’è però anche la famiglia, gli affetti, la maternità, l’amicizia. Tanto amore.
Gli incontri più emozionanti restano per me quelli con Rudy e Misha. Rudolf Nureyev, il primo, è lo scambio intenso di emozioni fra ballerini poco più che ventenni nell’autunno di una grande Londra. Rudy dal temperamento tenace e forte, desideroso di sfida che l’aveva portato a vincere l’ambiente duro in cui era cresciuto, soprannominato il Muzik, il paesano, perché veniva da una famiglia povera e semplice della Siberia. Rudy spesso capriccioso, vibrante, aggressivo, che obbligava ad impegnarsi fino allo spasimo per essere degni di lui, ma anche coraggioso, imprevedibile, partner generoso e, alla fine, amico-complice. E poi Misha, Michail Baryšnikov, e la Medea di Spoleto del 1975, un’altra donna, gelosa e tormentata, che vive la passione intensamente. Misha che chiamava Carla “la bella” e che rimaneva abbagliato da una Firenze illuminata, dalla quale era fuggito per la troppa bellezza. Forse colpito dalla Sindrome di Stendhal…
Mi piace vedere Carla mentre sceglie con accuratezza le sete del suo tutù, parte di un suo personale rituale. Mi piace sentire il profumo delle fresie e dei gelsomini emanare dalla sua corona di fiori che cinge i lunghi e lucidi capelli neri. Mi piace immaginarmela curare i fiori e le piante della sua terrazza, affondare le mani affusolate nella terra appena smossa dei vasi, quasi immersa nel ricordo della sua terra lombarda umida e nebbiosa. La vedo percorrere i corridoi della sua casa milanese piena di quadri e statue, le sue foto appese al muro, le cornici affollate di ricordi ed amici preziosi e vicini. Qui osserviamo tanti eroi di un mondo che non c’è più, valori antichi che stanno scomparendo, la nostra storia che se ne va. Un ricordo ed una memoria che dobbiamo sicuramente preservare e trasmettere.
Il libro si conclude con una riflessione che dovrebbe essere monito per tutti: l’impegno è la base del successo, in tutti i campi, serietà ed applicazione sono le parole chiave. E poi la disciplina, i programmi, le regole, l’eleganza, la semplicità, e un appello per tutti: “la cosa più importante in un paese è un impegno serio per il futuro dei giovani. Ogni italiano di buona volontà ha il diritto di farsi una cultura”. (…). Carla vorrebbe che in Italia nascesse una Compagnia nazionale di balletto, una compagnia che possa girare il mondo con le nostre eccellenze, perché la forza dei danzatori è il gruppo. Ma anche per questo serve il sostegno delle istituzioni che pare non arrivare. Se l’unione fa la forza, non possiamo pensare che il patrimonio che Carla porta con sé non si tramandi, che i suoi insegnamenti rimangano isolati e per pochi. Se la sua esistenza è circondata da poesia e musica bellissime, da indimenticabili e unici maestri di lavoro e di vita, lei vorrebbe che tutti i ragazzi avessero la sua stessa fortuna e la forza di non smarrire la strada. Bisogna agire per non farli sentire soli e abbandonati. Mai stanchi. Chi deve capire capisca.

Carla Fracci, “Passo dopo passo. La mia storia”. Mondadori, 2013, 207 p.

STORIE IN PELLICOLA
Il profumo dei limoni e la secolare disputa
di un territorio

La quarantacinquenne palestinese Salma Zidane (l’intensa Hiam Abbass) vive in Cisgiordania, dopo essere rimasta sola: il marito è morto e i suoi figli se ne sono andati in America. Qui sopravvive grazie ai suoi limoni, coltivando un giardino ereditato, appartenente alla sua famiglia, mai coinvolta in azioni terroristiche, da svariate generazioni.

giardino-di-limoni
La locandina del film

Un bel (e triste) giorno, il Ministro della difesa israeliano, Navon (Doron Tavory) s’insedia nella super protetta abitazione limitrofa e, per ragioni di sicurezza, ordina lo sradicamento delle piante della vicina, proponendolo la concessione di un adeguato risarcimento in denaro. Triste giorno perché da qui inizierà una battaglia legale, ingaggiata dalla donna, che sarà lunga e stremante, con il rifiuto categorico di un risarcimento che solo il Ministro considera adeguato, perché per Salma quella terra è tutto ciò che le rimane, tutta la sua vita fatta di duro lavoro, di solitudine, di amore e di ricordi. Oltre che sua unica fonte di sostegno economico. Aiutata da un giovane avvocato in carriera, divorziato e immaturo, a tratti egocentrico e ambiguo, Ziad Daudv (Ali Suliman), con cui avvierà anche una relazione sentimentale, la donna intraprende una battaglia che la porterà fino alla Corte suprema dello Stato ebraico. Salma troverà, inaspettatamente, anche il supporto di Mira (Rona Lipaz Michael), la moglie del Ministro, che, stanca della sua vita solitaria per i continui e numerosi impegni del marito, prende a cuore il caso della sua vicina di casa palestinese.

giardino-di-limoni
La protagonista

E’ una storia semplice, quella di questo film del regista noto per “La sposa siriana”, quella di una donna e dei suoi alberi, di vicini di casa che possono essere davvero molto “invadenti”, di una storia che, nella sua semplicità, prova a parlare, sommessamente, delle complesse e intricate relazioni tra i popoli in Medioriente (non solo tra Israele e Palestina), coi suoi drammi, le sue contraddizioni, i suoi intoppi, le sue tragedie, la difficoltà totale al dialogo. Non si vede violenza (che resta fuori e sullo sfondo), se non quella psicologica, una lotta e una resistenza che si tentano di portare avanti con la strenua disobbedienza civile, un normale trascorrere delle vite precluso a causa di ataviche controversie politiche.

Lo spettatore è portato ad affrontare il tema della questione irrisolta del conflitto arabo-israeliano (“Non ci sono riusciti in tremila anni…”, si dice nel film), di cui il volto di Hiam Abbas, così come la sua condizione di cittadina israeliana di etnia araba, sono interpreti ideali. Ci sono poi gli affetti familiari, le tradizioni, il legame con la propria terra, la dignità e l’autodeterminazione dei popoli, il clima di sospetto reciproco e di paura a cercare di parlare. E un’altra donna, alla fine, la sola ad interessarsi seriamente del dramma della vicina cercando di superare il confine storico-politico oltre che fisico. Un ponte di amicizia, di pace e di coraggio che si cerca di costruire, con immensa fatica. Una narrazione che avvolge.

giardino-di-limoni
Il giardino dei limoni

Non c’è l’happy end, anzi il finale lascia un po’ d’amaro in bocca (gli alberi di limone non sono abbattuti ma sono mozzati, resi inutili, decimati dalla sentenza e dalla stupidità degli uomini); non c’è un vero vincitore perché ognuno perde qualcosa nel gioco assurdo dei confini imposti, in una vita dominata da soprusi e da soverchierie gratuite e inutili. Quella vittoria parziale porta a un finale amaro e incompiuto.Tanti sono gli sguardi, i sorrisi, le lacrime, la fusione tra il bel sogno e la dura realtà.

La disputa su quel giardino profumato di limoni diviene la metafora della contrapposizione tra ciò che si vorrebbe veramente e quello che ciascuno è invece costretto a vivere nella quotidianità, stupido retaggio di un passato fatto di lutti e sofferenza. Dietro a un imponente e infinitamente lungo muro grigio che non lascia molte speranze. E poi, ricorda il regista, il limone è una pianta semplice e leggiadra, dai frutti bellissimi ma che praticamente non si possono mangiare e, soprattutto, non è carica del significato morale e storico dato all’olivo (e i film che raccontano della situazione tra Israele e Palestina trattano spesso il tema della devastazione del territorio e dello sradicamento degli olivi).

La lotta di Salma in difesa dei suoi limoni assume una valenza universale. La sua è la lotta di ogni popolo oppresso, di chi si batte per la libertà e per il futuro. Instancabilmente. Un film che non fa miracoli, che non racconta nulla di nuovo, per i territori occupati, che non ha messaggi politici, perché non si schiera da una parte o dall’altra o non manipola le diverse realtà, ma che si concentra solo sull’uomo, sul suo dramma esistenziale nei conflitti e la sua voglia di sopravvivere in serenità. Un bel messaggio, bello proprio perché universale.

Il giardino di limoni di Eran Riklis, con Hiam Abbass, Ali Suliman, Rona Lipaz Michael, Doron Tavory, Tarik Copty, Amos Lavie, Amnon Wolf, Smadar Yaaron, Ayelet Robinson, Danny Leshman, Israele, Germania, Francia 2008, 106 mn.