La musica è un viaggio, e non è una metafora. Il Ferrara Buskers Festival on tour oggi porta musicisti organizzatori e giornalisti a Milano per l’anteprima della kermesse di artisti di strada che domani sarà a Comacchio, e sabato, finalmente, approderà a Ferrara. Il viaggio in pullman è l’occasione per una chiacchierata con gli storici organizzatori del Festival.
“Dopo Venezia nel 2013, e L’Aquila nel 2014, quest’anno per l’anteprima on tour non potevamo che scegliere Milano” spiega Roberta Galeotti, responsabile dei rapporti con i musicisti per il Fbf. “Non è solo per l’Expo – le fa eco Luigi Russo, direttore organizzativo del Fbf – ma anche perché Milano è la terza città al mondo tra quelle più friendly con gli artisti di strada, e per noi questo fa la differenza”.
Saranno 19 gli artisti dislocati tra il Castello Sforzesco e il Duomo che porteranno la magia del Festival nel centro del capoluogo lombardo. Anche se il fascino della cornice estense, più raccolta e metafisica, è ineguagliabile.
Fotoservizio di Stefania Andreotti
Stefano Bottoni, ideatore e direttore artistico del Fbf, è seduto davanti nel pullman, in un silenzio assorto. Gli chiediamo se dopo 28 edizioni riesce ancora a emozionarsi.
“Certo che sono emozionato, mi emoziono ogni anno, sennò non lo farei! Quando cominciano ad arrivare tutti i musicisti sento le farfalle nello stomaco”.
E il Festival riesce ancora ad emozionare?
“Se ci pensi – risponde Bottoni – il segreto del Festival è quello che accade nel momento in cui una persona suona e un’altra si ferma ad ascoltarla”.
Ma anche la bravura e l’esperienza nel far succedere questo incontro.
“Lo spirito del Festival è lasciarsi andare davanti ad uno che non si conosce”.
Un benefico esercizio di fiducia nel prossimo, cosa tanto rara di questi tempi.
“Il primo a farlo fu il Comune, quando dal nulla proponemmo di realizzare questo evento, che non esisteva in nessun’altra città”.
Da allora la magia si ripete ogni anno.
Bottoni torna assorto. “Mi è tornato alla mente un ricordo, che forse è alla base dell’idea del Festival. Quando avevo 8 o 10 anni, veniva a Ferrara una banda di motociclisti acrobati. Mettevano il loro camion davanti al teatrino Nuovo, poi tendevano un cavo fino alla cima della torre della vittoria. Poi salivano con delle moto scarburate senza gomme lungo il cavo. Io stavo male pensando a quando sarebbero dovuti tornare indietro in retromarcia. Poi qualcuno passava a fare cappello. Quel ricordo deve aver silenziosamente lavorato nella mia testa! Chissà se qualcun altro ne ha memoria!”.
Ma ora è tempo di tornare al presente, il pullman è arrivato a Milano, una nuova edizione del Ferrara Buskers Festival sta per avere inizio.
Nuovi punti musica ufficiali – piazzetta Carbone e Bersaglieri del Po – arricchiranno l’edizione 2015 del festival della musica di strada più antico d’Europa, “quello che conta il maggior numero di imitazioni, come la settimana enigmistica”; omaggiato pure dai… reali: ultimo il sovrano belga, che dà seguito alla precedenti lodi espresse dalla regina di Inghilterra e dal re di Spagna.
A Ferrara l’attesa è terminata: e anche quest’anno, sulla strada che porta alla città estense sono in arrivo gli artisti ospiti del Buskers Festival. Vera protagonista, la musica. Venti i gruppi che partecipano come invitati ufficiali, provenienti da tutto il mondo: tre dal Belgio – Les Busiciens, Tram33 e The Belgian Bluebirds – la nazione ospite di questo anno, ma come di consueto gli artisti attesi saranno nel complesso circa duecento. Previste novità e graditi ritorni, tra cui Victor L. C. Young, felice di festeggiare al festival gli 80 anni già compiuti, e i cinematografici Cosmic Sausages. Tenori e violinisti, melodie arabe e jazz folk, humppa finlandese e klezmer, one-man-band e gruppi multietnici avranno casa tra Lombardia ed Emilia Romagna nelle prossime due settimane, proseguendo la tradizione dell’on tour: questo anno si parte da Milano: a Palazzo Marino avrà luogo, giovedì 20 agosto, l’anteprima del festival con il suonatore di hang Paolo Borghi, per poi proseguire a Comacchio (venerdì 21), a Ferrara (sabato 22 e domenica 23, poi da martedì 25 sino a domenica 30 agosto) e Lugo (lunedì 24), per un evento che calamita ferraresi, italiani e non solo: in conferenza stampa sono presentati due coniugi francesi assidui frequentatori del festival, tanto da acquistare casa in città per poter seguire ogni anno l’attesa kermesse.
Una particolare attenzione è rivolta anche al sociale, in modo particolare ai malati di Alzheimer e ai detenuti in casa circondariale dove si esibiranno alcuni degli artisti coinvolti.
Per il quinto anno consecutivo poi il progetto EcoFestival accompagna il festival della musica: le associazioni CleaNap e Viale K, il ride sharing di BlaBlaCar e il bus sharing GoGoBus sono alcune delle iniziative eco che andranno ad arricchire questa edizione, insieme al punto di ristoro vegano curato dallo chef Marco Jannotta.
Confermate le iniziative dell’anno scorso che uniscono poesia e tango, storie dei buskers che popolano Ferrara e artigianato, che animeranno punti strategici della città estense. Per turisti e appassionati, gli allievi dell’Istituto d’arte “Dosso Dossi” di Ferrara saranno a disposizione per illustrare le bellezze artistiche della città in un originale percorso di trekking urbano.
Sempre seguendo la strada.
La 28esima edizione del Ferrara Buskers Festival, è patrocinata dal ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo e dal ministero dell’Ambiente. Presentata dal suo ideatore e direttore artistico Stefano Bottoni, dal direttore organizzativo Luigi Russo, dal vicesindaco Massimo Maisto, dal responsabile servizi ambientali Hera per Modena e Ferrara Alberto Santini e dal presidente della commissione parlamentare sugli illeciti ambientali Alessandro Bratti, con gli interventi dell’assessore Simonetta Zalambani e del sindaco di Lugo Davide Ranalli,
Importanti sono i nomi di sponsor e sostenitori. A partire da Citroën – un marchio francese che onora gli ospiti belgi – a Darsena Office Park passando per Birra Peroni.
Gruppo Hera collaborerà a questa edizione con una serie di iniziative mirate a valorizzare il territorio tutelandone l’ambiente e promuovere le occasioni di socialità. In primis avendo un occhio di riguardo alla pulizia della città attraverso la raccolta differenziata in contenitori stradali, astucci portacicche e distribuzione gratuita di acqua nel punto Hera nella sorgente urbana.
A questo si aggiungono il progetto CiboAmico, nato da dicembre 2009, che redistribuisce pasti non consumati a persone in situazione di difficoltà, con il supporto di Last Minute Market (Università di Bologna) e la collaborazione della società Elior; e la promozione del compostaggio il 28 e il 29 agosto con laboratori creativi di opere florovivaistiche dedicati ai più piccoli.
Perché il festival è anche collaborazione e iniziative: uno su tutti Ibo Italia, il cui presidente racconta la filosofia dell’associazione finalizzata al Buskers festival. Priorità è creare una cultura della “mondialità”, grazie ai volontari che da ogni parte del globo arrivano a prestare servizio alle porte di ingresso del festival con il Grande Cappello: le offerte qui raccolte andranno in parte all’organizzazione dello stesso festival e ad altre attività mondiali.
da MOSCA – Mosca in questi giorni è fresca e colorata: 13 agosto è iniziato infatti uno dei più grandi eventi dell’estate, che si protrarrà fino al 23: il Festival estivo della marmellata, quest’anno alla sua seconda edizione. Un successo, oggi come allora.
Stand tipico del Festival
Inmolte piazze e boulevard della città si possono trovare vasetti colorati, casette addobbate di fiori che vendono marmellate e mieli di ogni tipo, come quello bianco e cremoso della Crimea, eccellente. Ogni quartiere (raion) ha il suo frutto, se ci cerca la ciliegia basta andare alla Manezhnaya Square, l’anguria si trova sulla Tverskaya, l’uva sulla Arbat. Ce n’è per tutti i gusti. Tutto ruota intorno alle marmellate, dai concerti, alle master class, ai contest e ai divertenti giochi. Ogni momento è buono per gustare una dolce fetta di pane imburrata o per acquistare un vasetto delizioso che si potrà conservare per il freddo e lungo inverno, quando gli sgargianti colori estivi saranno solo un ricordo. Si possono assaggiare tanti tipi di conserve e miele e poi decidere.
Barattolo gigante di marmellata
Il centro principale dell’evento è la Manezhnaya Square, dove turisti e moscoviti si affollano, soprattutto nel fine settimana, per provare marmellate tradizionali ed esotiche preparate con petali di rose o olive. Statue alte circa sei metri fatte di arance, albicocche o mele decorano la via che conduce dalla Manezhnaya Square alla Ploshchad Revolyutsii, dove si può ammirare lo spettacolo-balletto sui roller “Cipollino”, di Gianni Rodari, diretto dal famoso pattinatore sul ghiaccio Pyotr Chernyshov. Cipollino è un piccolo di cipolla, il cui povero padre cade accidentalmente sul piede del principe Limone e per questo viene condannato all’ergastolo. Cipollino cerca di salvare il padre, ma deve scappare dalle grinfie del cavalier Pomodoro, del principe Limone e dell’esercito dei Limoncini. Un giorno incontra sor Zucchina che aveva una casa minuscola costruita sul prato delle Contesse del Ciliegio. Il cavalier Pomodoro si arrabbia, ma Cipollino lo provoca e il cavaliere gli strappa il ciuffo e scoppia a piangere. Il paese decide di nascondere la casina nel bosco. Ma il cavaliere ha la sua vendetta: dice ai Limoncini di catturare tutti i maschi del paese e portarli in prigione. Cipollino (e il tocco d’Italia) deve riuscire a salvare i prigionieri, ma per farlo passa un sacco di avventure… e qui, le avventure si possono davvero immaginare davvero tutte. Con la gallina fatta di zucchine, mele, arance e peperoni, la tartaruga di limoni e arance, la casetta costruita con peperoni rossi e gialli oltre che con tante belle zucchine. Vernici speciali le ricoprono, per evitare che si rovinino. E poi ci sono la bambola tipica russa, la farfalla multicolore che comprende anche delle piccole zucche e un vasetto immenso di marmellata. Sullo sfondo un cocomero verde gigante (la stessa struttura che d’inverno si trasforma in luminosa e splendente palla d’albero di Natale.
La creatività è alla sua massima rappresentazione ed ha il suo massimo sfogo. Il 19 agosto, l’apple pie più grande del mondo (250 kg) sarà preparato e offerto al pubblico nel Novopushkinsky Park; per i più piccoli ci sarà un piccolo zoo sul Tverskoi Bulvar. Tanti eventi simili sono anche sulla Arbat, lungo il Krimskaya Embankment.
A fare da contorno produttori di vari Paesi e di oltre 40 regioni della Russia che vendono i loro prodotti sotti i delicati chalet. Un tripudio di sapori. Qui tutto è fantasia, colore, spensieratezza, leggereza, fantasia, immaginazione, allegria e divertimento. Ecco allora una simpatica e piacevole carrellata fotografica, per voi, perché possiate partecipare a questo simpatico evento.
Lo hanno perseguitato, picchiato, ferito, arrestato. Hanno spento il suo blog, cercato di ucciderlo, di rubargli la voce e il pensiero. Ma non è servito. Il bengalese Asif Mohiuddin, 30 anni, vincitore dell’edizione 2015 del Premio giornalistico Anna Politkovskaja, istituito nel 2009 in occasione del festival di Internazionale, che si svolge a Ferrara in ottobre, non ha mai smesso di scrivere, parlare, difendere i diritti di donne e bambini del suo Paese, il Bangladesh. Di denunciare le aberrazioni di ogni fondamentalismo religioso, in particolare di quello islamico che, giorno dopo giorno guadagna terreno nel suo Paese. Lo ha fatto in modo laico e nel nome di una libertà d’espressione costata la vita a molti suoi colleghi e amici. La sua è un’esistenza a rischio, come quella di altri blogger, che seppure hanno lasciato il Paese, restano nell’occhio del ciclone, minacciati dagli estremisti di Allah sparpagliati in Europa.
“Non mi aspettavo di vincere il premio, è un riconoscimento che mi rende orgoglioso e mi spinge a fare il mio lavoro con sempre maggior professionalità”, dice con un pizzico di emozione. Sulla sua testa pende un processo per blasfemia, è accusato di essere un nemico dell’Islam e di aver diffamato il governo con i suoi commenti in rete. Il suo nome è finito insieme a quello di altri 83 colleghi in una lista nera stilata da una commissione di nove Imam nominata dalle autorità. Niente di buono, tanto che si è ritrovato dietro le sbarre dopo aver subito ogni sorta di interrogari. “Quando ero in carcere, hanno tentato di accoltellarmi, le prime settimane sono state davvero spaventose – racconta – erano tutti ragazzi, volevano uccidermi senza sapere il vero motivo per cui lo stavano facendo. Dietro a quel gesto c’era ignoranza, per questo sono convinto dell’importanza di incidere sul sistema educativo. La religione va insegnata come qualsiasi altra materia, non deve essere l’unico input e soprattutto non deve assoggettare le persone”. Una volta uscito dal carcere è espatriato, l’unica mossa per uscirne vivo, ma non senza rischi.
Amnesty International, Reporter senza frontiere, il gruppo bengalese di Bielefeld e dell’Hamburg Foundation for Politically Persecuted People, hanno fatto il possibile per dar voce al suo caso e garantirgli un anno “protetto” lontano dal Bangladesh. Far conoscere il caso di Asif non ha significato azzerare completamente i pericoli che ne accompagnano l’esistenza e la paura che li accompagna. I brutti ricordi sono sempre una presenza scomoda. Nel 2013 davanti alla porta del proprio studio, fu aggredito e accoltellato alle spalle per ben 53 volte, lo trovarono in una pozza di sangue. E a molti suoi colleghi e attivisti andò peggio. “Ho perso tanti amici, assassinati, ma altri sono ancora in Bangladesh e continuiamo a sentirci attraverso la rete e il profilo face book. La situazione è molto pesante – racconta – Personalmente convivo con la paura da diverso tempo, sapevo di essere nella lista nera dei fondamentalisti, che mi hanno cercato anche all’estero”. Il diritto all’informazione, allo studio, alla libertà di espressione, però possono più della paura. E vivono sulla sua tastiera di blogger.
Tredicimila sono i progetti che lo scorso anno in Italia hanno fatto ricorso al sistema di crowdfunding (finanziamento comunitario). Meno della metà, 5.500 (cioè il 42,3% del totale) sono quelli che hanno raggiunto l’obiettivo prefissato. La raccolta generata attraverso le piattaforme specializzate, autorizzate sulla base delle normative attuali, ha registrato un ammontare complessivo calcolato in circa 30milioni di euro, per un valore medio di 2.300 a progetto, attribuito sulla base della totalità dei soggetti che si sono attivati. I dati sono stimati dagli analisti del settore, non sono dunque ufficiali, ma considerati pienamente attendibili.
Ferraraitalia può quindi essere particolarmente soddisfatta del risultato conseguito. Ha fatto centro la nostra pubblica richiesta di sostegno a un modello di “informazione verticale” pluralista, libera da preconcetti e indipendente da potentati e interessi di parte; un’informazione che privilegia l’approfondimento, favorisce la conoscenza e sollecita il confronto oltre i pregiudizi.
Il crowdfunding di Ferraraitalia si è concluso ieri con un attivo di 5.385 euro raccolti, pari al 108% dell’obiettivo, prefissato in cinquemila euro. Facciamo parte della minoranza dei proponenti (meno di uno su due) che ha realizzato il proprio scopo. E abbiamo conseguito, grazie alla generosità dei donatori, un risultato superiore al doppio della somma media versata.
Di questo straordinario successo siamo grati a tutti voi lettori, che avete voluto testimoniare anche concretamente l’apprezzamento al nostro lavoro. E’ uno stimolo in più per migliore il nostro quotidiano.
Da settembre ci riproponiamo di offrirvi un giornale più ricco e meglio ordinato nei contenuti. Questo periodo estivo in cui si lavora a ritmi un po’ più blandi ci consente di riorganizzare le idee e di tare al meglio la macchina. Grazie alla somma raccolta attraverso il crowdfunding per l’autunno Ferraraitalia avrà una redazione, un luogo fisico di lavoro e di incontro con la comunità. E’ il primo fondamentale passo per andare oltre la fase pionieristica e dare stabilità all’impresa, che tale diverrà anche in termini propri, aggregando in forma cooperativa il gruppo di giornalisti che concretamente garantisce la sviluppo di Ferraraitalia.
Pubblicamente esprimiamo la nostra gratitudine a tutti coloro che hanno contributo: i pensionati dello Spi Cgil Ferrara, i partigiani dell’Anpi provinciale di Ferrara, l’Istituto di Storia contemporanea di Ferrara, l’Associazione amici dei musei e dei monumenti ferraresi e Federmanager Ferrara, oltre ai cento-cittadini-cento che citiamo qua sotto uno per uno (ad eccezione di coloro che hanno scelto di non divulgare l’identità). Grazie anche al team Ginger [vedi sito] per l’imprescindibile ausilio tecnico e i preziosi suggerimenti offerti a supporto di tutta l’operazione.
Ferraraitalia è sostenuta da:
Andrea Cirelli
Mario Sunseri
Elena Tamburini
Cinzia Pagnoni
Maurizio Andreotti
Maria Conconi
Francesco Ragusa
Leonardo Fiorentini
Elisa Uccellatori
Paola Bonora
Maria Cavalieri
Alberta e Ranieri Varese
Davide Bassi
Enrico Testa
Federico Varese
Simone Ferraresi
Ivana Cambi
Raffaella Parizzi
Chiara Bertelli
Luca Gavagna
Andrea Boldrini
Paola Conconi
Raffaele Giordani
Camilla Ghedini
Sara Cambioli
Fernando Baraldi
Simonetta Sandri
Iris Corberi
Gianni Venturi
Lucia Marchetti
Giovanni Cocconi
Riccardo Pareschi
Raffaele Rinaldi
Giovanni Samannà
Stefano Pavani
Paolo Mandini e Paola Cardinali
Elisabetta Vincenzi
Giuseppe Milone
Andrea Bighi
Marco Bonora
Michele Andreotti
Claudio Allegra
Carlo Alberto Cova
Giorgia Mazzotti
Rolando Bellani
Alberto Pizzirani
Roberto Vincenzi
Catian Boni
Patrizia Moretti
Mario Caniatti
Alessandra Chiappini
Gianluca Fratini
Leonardo Facchini
Franco Stefani
Gabriella Cavalieri
Cesare Ricchiuti
Patrizio Fergnani
Carla Collina
Massimo Maisto
Fabrizio Saccenti
Alice Pelucchi
Anna Maria Baraldi Fioravanti
Paola Forlani
Fabio Zangara
Fiorenzo Baratelli
Tito Cuoghi
Giovanni Fioravanti
Daniele Lugli
Maurizio Vincenzi
Eleuterio Vincenzi
Giuseppe Sarti
Giorgia Zecchini
Luca Zucchi
Claudio Ramponi
Paolo Vincenzi
Marco Sgarbi
Renzo Canella
Laura Rossi
Donatella Marcigliano
Federica Marmai
Andrea Malacarne
Inoltre: Federmanager Ferrara
Spi Cgil Ferrara
Associazione amici dei musei e dei monumenti ferraresi
Anpi provinciale di Ferrara
Istituto di Storia contemporanea di Ferrara
Grazie a tutti coloro che hanno contribuito e a quanti leggono il nostro quotidiano online
“Oggi si vola”. Tanti – in questi giorni – volano: mare, montagna, lidi esotici o città internazionali. Ma il volo di questo resoconto, oggi, non va tanto lontano. E’ un volo in ultraleggero, un velivolo biposto che sale sulle nostre teste, si alza sulle case, il fiume e il paesaggio di tutti i giorni. Il pilota è Michele Ferrigato, ferrarese, che lavora per una grande casa editrice e che – oltre alla macchina in garage – tiene un P92, versione italiana del Cessna. Il parcheggio, ovviamente, richiede un po’ più di spazio e lui lo ha trovato insieme con altri due fratelli ugualmente appassionati di volo, che hanno un’azienda agricola nella campagna di Fiesso Umbertiano, provincia di Rovigo, quindici di chilometri da Ferrara. Nel campo coltivato a mais, vite e orto spicca una striscia lunga di terra, piana e rasata. E’ il campovolo Stella, che si trova appunto in via Stella e che da qualche tempo è stato riconosciuto come aviosuperficie a tutti gli effetti, segnalata da cartelli stradali e mappe aeree.
L’ultraleggero sta per uscire dall’hangar (foto Pava)
“Allora sei pronta?”, dice Michele, mentre fa salire la saracinesca dell’hangar lungo e bianco dove sono parcheggiati il suo piccolo aereo privato con gli altri due. Questi velivoli spiccano il volo spesso per destinazioni dove in tanti facciamo gite e viaggi, a Venezia, in Croazia o a Roma. Solo che Michele e i fratelli Mantovani, in questi casi, non prendono la macchina o il treno, ma fanno come oggi. Alzano il portellone, aprono il piccolo cofano del loro mezzo e controllano che i livelli di acqua e olio siano a posto. Michele fa girare un po’ l’elica manualmente poi spinge fuori il piccolo aereo che è parcheggiato in fila davanti al suo. Sì, basta spingerlo a mano e l’aereo cammina. “Pesa come una Panda”, commenta Michele. Provo, e penso che una Panda sarebbe più pesante per me. “Prego – dice a questo punto – adesso puoi salire. Prima devi infilare il piede sinistro, abbassi la testa e quindi appoggi dentro anche la gamba destra”. Fatto, sono a bordo. “Appoggiati bene allo schienale, che ti fisso le cinture”. Una volta fissate, non mi muovo più, non riesco mica ad avvicinarmi al vetro dell’abitacolo. “Sì, è così che deve essere”, sorride Michele, che intanto sale al posto del pilota e mi passa delle cuffie da infilare in testa. Controlla che la piccola barretta che fa da sicura della mia portiera sia abbassata e spiega: “Tieni il microfono ben vicino alla bocca, adesso metto in moto e ci parleremo attraverso le cuffie. L’unica cosa è che è meglio che non dici nulla quando mi metto in collegamento radio con Padova, perché sennò ti inserisci nel canale radio di comunicazioni aeree e ti sentono in tutta Italia!”. Ok.
La secca del Po (foto Giorgia Mazzotti)
Piccola inversione a U e poi via, sulla pista gialla che costeggia le piante di mais maturo. Appena sali un po’, vedi un’intera distesa di pannelli fotovoltaici e poi il fiume. Com’è secco il Po, lunghe strisce bianche di sabbia restringono il flusso verde scuro dell’acqua. “Se ti va – dice Michele – scendiamo a Rovigo a prenderci un gelato”. Bello. Ma la voglia di vedere dall’alto Ferrara prevale. “Tieni presente – continua Michele – che a Ferrara non posso scendere sotto i 2500 piedi, che sono circa 800 metri, e quindi vedrai tutto un po’ più da lontano, mentre qui possiamo abbassarci fino a 1500 piedi, cioè 500 metri”. Va bene, inversione di rotta e lui sbotta: “Ma quello è un mezzo del 118!”. Un elicottero giallo sfreccia in direzione Rovigo e Michele dice: “Se vedi aerei in giro, avvertimi, mi raccomando. Quattro occhi vedono meglio di due”. Ah però, è proprio vero che in ultraleggero si naviga a vista…
Stadio e acquedotto di Ferrara visti dall’aereo (foto Giorgia Mazzotti)
Pochi minuti ed ecco Ferrara. “Vedi, quello è il parco urbano, poi ci sono le mura e il cimitero”. Devo fare un attimo mente locale. Già, quelli che sembrano cespugli verdi sono gli alberi del parco Bassani. Ma il cimitero…? Oh, già, minuscola distesa di lapidi, ma siamo già di nuovo oltre. Un corso d’acqua, una nave, un ovale grigio-verde grande grande, un rettangolo di prato verde squillante. “Sono il Po di Volano con sopra il Sebastian pub, l’ippodromo e lo stadio”. Cavolo, ma allora, lì c’è la mia casa. Minuscola. Chissà perché, pensavo che avrei potuto ficcare il naso dentro le mie finestre. No, invece, è un po’ come guardare su Google maps quando fai lo zoom sulla versione satellitare. Solo che quassù grondi di sudore. Letteralmente. “Gira un po’ quel foro nel finestrino”, suggerisce lui. In effetti dal punto di ventilazione entra aria bella fresca, ma l’abitacolo di questo pomeriggio d’agosto padano è un fornetto. Il cielo, invece, sembra quello di un giorno di foschia tardo autunnale. “E’ l’umidità – dice Michele – bisogna che torniamo in una giornata più tersa”. Fa il giro, si piega un po’ per scattare una foto dal suo cellulare a castello e duomo formato mini-plastico, l’aereo si inclina tutto dalla mia parte verso terra. Mi rincuoro pensando che poco prima aveva controllato bene che la sicura della mia porta fosse abbassata. E si ritorna di nuovo al campo Stella. Wow, sembra fresco, adesso, quaggiù. Grazie Michele!
[clicca su un’immagine per ingrandirla e vederle tutte]
Il P92 pronto a decollare (foto Giorgia Mazzotti)
Il P92 in volo sul Po (foto Giorgia Mazzotti)
P92 in manovra (foto Giorgia Mazzotti)
Il P92 nell’hangar (foto Giorgia Mazzotti)
L’hangar del P92 affacciato sul frutteto (foto Giorgia Mazzotti)
Il P92 (foto Giorgia Mazzotti)
Il campovolo Stella di Fiesso Umbertiano (foto Giorgia Mazzotti)
Pronti al decollo sul P92 (foto Pava)
Ferrara con ippodromo e Po di Volano vista dall’aereo (foto Giorgia Mazzotti)
Castello e duomo di Ferrara visti dall’ultraleggero (foto Giorgia Mazzotti)
Se si osserva la società dal punto di vista dei bisogni, liberi per quanto possibile dai preconcetti del pensiero unico economico che quotidianamente ci assedia con PIL, Spread, Dow-Jones, FTSE e simili amenità, il nostro sguardo si apre su prospettive e paesaggi molto diversi da quelli che siamo abituati a vedere solitamente. Liberati un poco dal pregiudizio, da molti cliché e fors’anche da qualche strisciante ideologia, possiamo perfino immaginare che il fine della società nel suo insieme possa essere espresso con un linguaggio e con criteri differenti da quello della crescita, della riduzione del debito pubblico, dell’aumento dell’occupazione.
Possiamo ad esempio ipotizzare che il fine della società non possa e non debba essere disgiunto dalla sua capacità di risolvere i bisogni dei suoi membri, possiamo immaginare che esso non possa essere pensato come completamente indipendente dal più vasto sistema ecologico dal quale le società sono emerse e traggono sostentamento, possiamo vedere la gabbia d’acciaio che Max Weber ci ha insegnato a riconoscere e mettere in dubbio la presunta certezza di vivere in un mondo disincantato, indifferente alla sorte degli umani.
Siamo tuttavia così immersi nel brodo dell’informazione mainstream che un simile passaggio (mettere tra parentesi l’ideologia economica imperante) risulta essere molto difficile, ed è percepito dai più come un esercizio poco utile, se non completamente insensato. Cosa possiamo scoprire se osserviamo il nostro mondo da questa prospettiva particolare e, nell’osservarlo, immaginiamo di farlo assumendo diversi punti vista che possano essere rappresentativi di differenti posizioni dentro la struttura sociale?
1. Lo spirito del consumismo All’alba del pensiero diventato oggi egemone (siamo nel 1955, l’epoca dipinta nei suoi aspetti positivi dalla situation comedy Happy Days), un economista allora molto autorevole Victor Lebow, membro del gruppo di analisti economici del Presidente degli USA Eisenhower, se ne uscì con questo asserto, che è la chiave di volta dell’intero edificio della “nostra” società del consumo:
«La nostra economia incredibilmente produttiva ci richiede di elevare il consumismo a nostro stile di vita, a trasformare l’acquisto e l’uso di merci in rituali, di far sì che la nostra realizzazione personale e spirituale venga ricercata nel consumismo. Abbiamo bisogno che sempre più beni vengano consumati, distrutti e sostituiti ad un ritmo sempre maggiore».
Questa prospettiva, nella quale viviamo oggi completamente immersi come il pesce nell’acqua, al punto di non sapere neppure più cosa si intendesse (e si intenda) con il termine consumismo, pone la nozione stessa di bisogno su una base che ne determina in buona sostanza la dissoluzione. In un contesto di sovra-produzione, tutte le vecchie nozioni che si fondavano sulla penuria di beni e i rischi derivanti da eventi esterni imponderabili, sull’esigenza di mantenere una centratura rispetto alle esigenze basilari dell’esistere, vengono messe in discussione e presto cadono nell’obsolescenza; di fatto parlare di bisogno, almeno al livello di politica economica, diventa inutile poiché la prospettiva più importante, se non unica, diventa quella del consumo.
In che modo dunque, all’interno di questa prospettiva, le nostre società rispondono al bisogno? Superata la soglia della produzione di una massa di beni statisticamente sufficiente a coprire i bisogni primari di sussistenza, sostanzialmente attraverso 7 meccanismi fondamentali il cui scopo è appunto quello di aumentare i consumi:
la manipolazione sistematica dei sistemi di desiderio attraverso l’educazione al consumo che inizia fin dai primi anni di vita (“consumo quindi sono”);
l’obsolescenza programmata delle merci prodotte (i beni devono durare poco per essere sostituiti spesso) che si coniuga con il fascino dello sviluppo tecnologico;
la moda con tutte le sue implicazioni (ciò che ha ancora piena funzione d’uso deve essere rigettato in quanto non socialmente adatto);
lo specialismo esasperato e diffuso, dove il ruolo dell’esperto porta allo svuotamento sistematico delle capacità che possono rendere autonoma la persona e alla loro sostituzione con prestazioni a pagamento (“non so fare nulla che esca dal mio ambito ma so a chi rivolgermi”);
la sostituzione di attività prima svolte informalmente nelle reti comunitarie e familiari, con prestazioni specialistiche a pagamento;
la credenza acritica che la crescita del PIL sia l’unica via ed indispensabile per far crescere la torta da spartire, creare lavoro e quindi far entrare sempre nuovi consumatori nel sistema (è necessario crescere indefinitamente);
l’estensione forzosa del modello ritenuto (unico) portatore di benessere in tutto il pianeta e, con esso, dello stile di vita occidentale, ovviamente presentato come (unico) portatore di libertà e di democrazia.
2. Siamo ancora in grado di riconoscere i nostri bisogni? Lasciamo i suggerimenti del consigliere del presidente degli anni ’50 e proviamo ora a recuperare una sana prospettiva soggettiva, cambiamo punto di vista e consideriamo il tema del bisogno (nella duplice accezione di carenza e di motivazione all’azione) secondo ciò che percepiamo e sentiamo come persone, come singoli esseri sociali dotati di corpo, di emozioni e di pensieri. Con un impegno che ci è stato insegnato dalla fenomenologia, cerchiamo di mettere tra parentesi il nostro ruolo sociale e tentiamo di individuare in cosa consistono i nostri bisogni: ne scaturirà un elenco simile al seguente, proposto da un altro economista, Manfred Max-Neef (per non citare sempre il citatissimo Maslow), un personaggio decisamente diverso da quello citato in precedenza:
Sopravvivenza
Protezione
Affetto
Partecipazione
Ozio
Creazione
Identità
Libertà
Spiritualità
Osserviamo questo elenco, liberi per quanto possibile da soluzioni precotte e preconfezionate, affrontiamolo in modo creativo, e chiediamoci in quali modi possa essere affrontato da singoli soggetti e in quali modi concretamente lo affrontiamo nella nostra vita. Da questo punto di vista, chiamati in causa direttamente, siamo decisamente più propensi a credere che l’economia debba servire alle persone, piuttosto che le persone servire all’economia.
3. Il marketing ovvero l’arte di vendere e costruire nuovi bisogni In che modo la nostra società tende attualmente ad interpretare ed onorare tutti ed ognuno di questi bisogni? Secondo l’ipotesi mainstream o neoliberista, proprio e solo attraverso i mercati, la crescita forzosa del PIL e la conseguente corsa sfrenata al consumo (ben espressa dalla famosa PublicitàProgresso (!) “Fai girare l’economia”). Questa visione è esemplarmente sintetizzata in alcuni detti recentissimi (verbatim) che girano nel mondo (affascinante) del marketing, il sottosistema economico deputato per antonomasia a far crescere le vendite (e i consumi) che, sul tema dei bisogni, ha uno sguardo tanto originale quanto interessato:
“la pubblicità non è più l’anima del commercio, ma il commercio dell’anima”;
“senza sogno non c’è bisogno”;
“il consumatore compra emozioni, non materia: un marchio senza emozione è solo merce”;
“siamo ciò che compriamo”.
Considerati a prescindere dal loro appeal creativo ed attuale, questi motti esprimono perfettamente l’idea di un consumismo ormai orientato a dare risposte proprio a quelle che sembrerebbero essere le aspirazioni più alte e “spirituali” dell’uomo (il modello Marketing 3.0 dal prodotto, al cliente all’anima, discusso da P. Kotler nell’omonimo libro).
Restano solo sei giorni per sostenere con il vostro contributo lo sviluppo di Ferraraitalia. Domenica termina la raccolta del crowdfunding e trarremo il bilancio di un’operazione comunque già oltremodo positiva poiché il traguardo fissato all’inizio, quello dei cinquemila euro, è già stato raggiunto e oltrepassato. Siamo a 5.230 euro e c’è ancora un po’ di tempo per migliorare ulteriormente il risultato e contribuire a dare forza alla libera informazione. Abbiamo tante nuove idee per un rilancio in grande stile del giornale, il cui tratto distintivo resterà sempre quello dell’indipendenza e dell’assoluta autonomia di giudizio. Per questo ci rivolgiamo direttamente a voi lettori. Con i contributi raccolti provvederemo a dotarci di una sede redazionale che sarà la casa di Ferraraitalia: un luogo di lavoro per la redazione e di incontro con chi ci legge e ci sostiene.
Per fare una donazione a Ferraraitalia clicca [qua] oppure scrivici a interventi@ferraraitalia.it
Ecco l’elenco di chi ha finora contribuito al progetto (alcuni hnno preferito non rendere pubblico il loro nome). A ciascuno esprimiamo la nostra profonda gratitudine:
Istituto di Storia contemporanea di Ferrara
Marco Sgarbi
Simonetta Sandri
Vincenzi Paolo
Claudio Ramponi
Luca Zucchi
Giorgia Zecchini
Anpi provinciale di Ferrara
Giuseppe Sarti
Vincenzi Eleuterio
Vincenzi Maurizio
Daniele Lugli
Associazione amici dei musei e dei monumenti ferraresi
Giovanni Fioravanti
Tito Cuoghi
Fiorenzo Baratelli
Spi Cgil Ferrara
Fabio Zangara
Paola Forlani
Anna Maria Baraldi Fioravanti
Alice Pelucchi
Fabrizio Saccenti
Federmanager Ferrara
Massimo Maisto
Carla Collina
Patrizio Fergnani
Cesare Ricchiuti
Gabriella Cavalieri
Franco Stefani
Leonardo Facchini
Leonardo Facchini
Leonardo Facchini
Gianluca Fratini
alessandra chiappini
Mario Caniatti
Patrizia Moretti
Catian Boni
Roberto Vincenzi
Alberto Pizzirani
Rolando Bellani
Giorgia Mazzotti
Carlo Alberto Cova
claudio allegra
Michele Andreotti
marco bonora
Andrea Bighi
Giuseppe Milone
Elisabetta Vincenzi
Mandini Paolo/Cardinali Paola
Stefano Pavani
Giovanni Samannà
Raffaele Rinaldi
Riccardo Pareschi
Giovanni Cocconi
Giovanni Cocconi
Lucia Marchetti
Gianni Venturi
Iris Corberi
Simonetta Sandri
Fernando Baraldi
Sara Cambioli
Camilla Ghedini
Raffaele Giordani
Paola Conconi
Andrea Boldrini
luca gavagna
Chiara Bertelli
raffaella parizzi
Ivana Cambi
Simone Ferraresi
Federico Varese
Enrico Testa
Davide Bassi
alberta e ranieri varese
maria cavalieri
Paola Bonora
Elisa Uccellatori
Leonardo Fiorentini
Francesco Ragusa
Maria Conconi
Maurizio Andreotti
Cinzia Pagnoni
Elena Tamburini
mario sunseri
Andrea cirelli
Corman Cullinan, un avvocato sudafricano esperto di “governance” ambientale (socio fondatore della Cullinan&Associates Inc., studio legale di Città del Capo), firma il testo che Vandana Shiva definisce come una pietra miliare del percorso volto a garantire la sopravvivenza della specie umana e la salute della Madre Terra. La giurisprudenza creata dall’uomo non basta più, è giunto il momento di sottostare e rispettare la legge universale della Natura, pensa Cullinan.
Il volume I diritti della natura
Diviso in quattro parti, il libro insiste sulla necessità di allineare il pensiero ambientalista moderno con il diritto, facendoli convergere in una visione innovativa che possa far uscire il mondo dall’emergenza ecologica e umanitaria che ci si trova a vivere oggi. Principalmente sono criticati i falsi presupposti dei nostri sistemi amministrativi, secondo i quali gli esseri umani sarebbero separati dal loro ambiente e per i quali la prosperità sarebbe indipendente dalla salute della Terra. In realtà, la nostra salute e benessere non dipendono dallo sfruttamento della Terra, ma al contrario dalla conservazione dell’ecosistema globale. Strutture di governance, giurisprudenza e leggi consolidano, invece, l’illusione della separazione e dell’indipendenza. Gli esseri umani sono, nei sistemi legali attuali, gli unici soggetti dell’universo. Bisognerebbe, invece, pensare come il professor Christopher Stoner, che già nel 1972 scriveva un articolo innovativo, “Should Tree Have Standings? Toward Legal Rights for Natural Objects”, base della riflessione sul tema dei diritti nella prospettiva di una Terra al centro di tutto. Accettare e capire che la Terra è una partecipazione di soggetti e che i diritti nascono dove nasce l’universo e non solo dalla giurisprudenza significa che non è più possibile affermare che gli esseri umani abbiano dei diritti senza concedere che anche gli altri membri della comunità Terra abbiano i loro. Questo perché i diritti esistono nel contesto delle relazioni.
La sfida della giurisprudenza della Terra sarà, allora, quella di sviluppare metodi di governo che impediscano agli esseri umani di violare i diritti fondamentali della natura. Perché, come brillantemente conclude Cullinan, c’è qualcosa di ribelle nei germogli, riservati per natura e che non si vede mai quando spuntano. E se le idee sono come i germogli, questo libro “ribelle” potrà essere il seme di una nuova filosofia. E perché anche un albero ha un diritto di denuncia…
C. CULLINAN, I diritti della natura – Wild law, Zeitgest, Piano B edizioni, Prato, 2012, p. 261.
Un evento imperdibile per i cultori dell’arte medievale e per gli amanti del bello in generale, quello che si sta svolgendo nel Battistero di Firenze.
Fino all’8 settembre prossimo rimarrà esposta, e soprattutto visibile da pochi metri di distanza, la grande vetrataistoriata, legata al piombo, dell’occhio centrale della cattedrale di Santa Maria del Fiore, posta dietro il rosone centrale da oltre sei secoli e restaurata in questi ultimi mesi dalla storica ditta vetraria artistica Polloni di Firenze.
Vetrata di Lorenzo Ghiberti
La vetrata circolare raffigura l’Assunzione della Vergine e venne collocata sul portale principale della Cattedrale nel 1405. È un gioiello dell’arte medievale: i cartoni furono disegnati da Lorenzo Ghiberti alle fine del Trecento, come parte di un ciclo di oltre quaranta vetrate istoriate ideate fin verso la metà del Quattrocento. Nei suoi Commentari Ghiberti riporta: “Disegnai nella faccia di Santa Maria del Fiore, nell’occhio di mezzo, l’assunzione di Nostra Donna e disegnai gli altri [vetri che] sono dallato”. Il Maestro fiorentino, scultore già famoso per le formelle della porta del Battistero, creò qui un’opera in vetro destinata a brillare per secoli di luce multicolore: il rubino, il topazio, lo smeraldo, lo zaffiro si alternano in tasselli in vetro dipinto assiemati con i listelli in piombo, dall’altrettanto celebre maestro vetraio del tempo Niccolò di Piero Tedesco.
La vetrata ha dimensioni da record: oltre 6 metri di diametro, circa dieci braccia fiorentine, divisa in 28 antelli. Per questo è da sottolineare l’ardita operazione di smontaggio, considerandone anche il posizionamento in altezza, a circa quaranta metri; il delicato contesto urbano entro cui si trova la cattedrale; il peso e naturalmente la preziosità artistica.
Il restauro della vetrata si è reso necessario per fronteggiare gli aggressivi fenomeni secolari di degrado superficiale, chimico e fisico, sul vetro dell’epoca, che hanno causato la perdita delle grisaglie fissate a caldo negli incarnatie e nei panneggi e lo scurimento per deposizione di patine, che pregiudicavano la vivacità dei colori dei vetri. In aggiunta, era necessario recuperare la stabilità e la verticalità dei piombi rilassati dal vento e dai cedimenti strutturali del telaio metallico.
Al termine dell’esposizione la vetrata tornerà al suo posto, lassù a oltre quaranta metri, per illuminare e guidare, come avrebbe voluto Ghiberti, i pellegrini e i visitatori che a migliaia ancora affollano la cattedrale oggi come nel Quattrocento.
Vetrata di Duccio di Buoninsegna
A “pochi passi” dal Battistero c’è un altro gioiello medievale, unico come il primo e altrettanto imperdibile, tanto da costringere a una visita: si tratta della grande vetrata absidale istoriata del XIIIsecolo installata nel Duomo di Siena, attribuita definitivamente a Duccio di Buoninsegna negli anni Cinquanta del Novecento, e restaurata all’inizio del Duemila dal Maestro restauratore bolognese Camillo Tarozzi.
La vetrata circolare, gigantesca come la precedente di Ghiberti, di 6 metri di diametro e frazionata in 14 grandi antelli, raffigura le Storie Mariane: i tre pannelli centrali raffigurano la Dormitio, l’Assunzione e l’Incoronazione della Vergine, accompagnate dalla raffigurazione laterali degli Evangelisti e di Santi e Patroni locali.
Se escludiamo alcune ipotesi fatte sull’occhio absidale dell’Abbazia di San Galgano, ora testimonianza scheletrica e affascinante, la vetrata di Duccio legata al piombo da un maestro vetraio rimasto sconosciuto è nel Duecento un unicum per le sue dimensioni e i soggetti.
L’originale vetrata policroma dagli sgargianti colori giallo blu e rossi è attualmente conservata al Museo dell’Opera, a fianco della cattedrale, mentre una copia prodotta con le tecniche duecentesche domina l’abside con la propria luce prorompente e mistica e dopo secoli ancora cattura l’attenzione dei nostri occhi e della nostra anima.
Due opere senza eguali nel mondo occidentale per colori e maestria compositiva che ispireranno posteri illustri. Il sacerdote e alchimista fiorentino Antonio Neri alla fine del Cinquecento scrive: “e se bene si dice, e pare sia vero, che l’arte non può arrivare alla natura, tuttavia l’esperienza in molte cose mostra e in questa particolarmente de i colori nel vetro, che l’arte non solo arrivi e adegui la natura: ma di gran lunga la superi e passi.
“Perché Anna, la protagonista de “La ragione dei sensi”, è una donna così indipendente e serena? Vorrei che tante sognassero di essere come lei… sarebbe già uno stimolo a desiderare l’autoaffermazione e la ricerca del proprio benessere”.
La ragione dei sensi
Grazia, “La ragione dei sensi”, una storia erotica diversamente infinita?
Più che una storia infinita sembra essere una storia sempre attuale: all’epoca della prima edizione, pubblicata nel 2010 da Rusconi, scrivere di relazioni virtuali era piuttosto innovativo perché non era ancora così diffuso l’utilizzo dei social network e dei siti per instaurare un rapporto virtual-erotico. Adesso è attualissimo! Dopo aver ripreso i diritti dalla Rusconi ho tenuto “La ragione dei sensi” nel classico cassetto, rifiutando proposte da parte di altri editori. Poi l’estate scorsa ho deciso di scrivere a Stefano Mauri, proprietario del Gruppo Editoriale Mauri-Spagnol, per una questione che definirei “affettiva”: il primo romanzo erotico che mi ha segnata, in senso letterario, è stato “Le età di Lulù” di Almudena Grandes, edito proprio da TEA, e pensare al mio romanzo con apposto quel marchio, mi dava una sensazione di completezza!
Il testo è stato valutato personalmente da Stefano Res, direttore editoriale della casa editrice TEA, ed è stato pubblicato nella veste che avevo immaginato. In TEA ho trovato professionalità e collaborazione davvero onorabili, ho fatto i miei complimenti a Stefano Mauri per la cordialità e la competenza dello staff, non perché abbiano pubblicato il mio romanzo, ma per il loro metodo lavorativo e il rapporto che hanno con gli scrittori. Davvero un’ottima esperienza.
Grazia, le donne al potere, rivoluzione o ultima beffa patricentrica?
Le donne al potere sono una farsa, salvo pochi casi eccezionali, nei quali comunque hanno ottenuto potere per concessione maschile, innegabile. Con questo chiaramente non intendo affermare che le donne non abbiano le capacità e la determinazione per arrivare, ma semplicemente che ancora oggi sono un veicolo: vengono piazzate laddove servono alla macchina del potere per aumentare consensi, dove è necessario dimostrare che si è aperti e progressisti, ma non vedo ancora un effettivo riconoscimento delle capacità femminili. D’altro canto io sono tutt’altro che comprensiva con il modo di agire delle donne, ancora troppe vivono all’ombra della comodità, non si mettono realmente in gioco e non riescono a sopraffare quel senso di inferiorità che è stato attribuito al nostro genere dalla notte dei tempi. Posso sembrare acida, ma sono anni che dico alle donne che nessuno mai andrà a cercarle per dar loro il potere, che nessuno avrà per loro riconoscimento gratuito! Prendi me: sono in tante a dirmi che sono fortunata perché ho un marito che mi lascia fare questo lavoro, perché posso parlare di sessualità senza avere problemi con la gente, che posso frequentare ambienti culturali importanti, personaggi noti e altre cose del genere. Fortuna? Vogliamo fare un’altra intervista dove racconto i miei ultimi cinque anni? Più che avere la fortuna di poter vivere queste esperienze, ho avuto il coraggio di affrontarle e anche di affrontare la fatica che ha comportato e comporta! Ferrara non mi dava spazio, sono andata a cercarmelo a Roma, a Milano, ovunque ci fosse la possibilità di guadagnare affermazione. E tutto questo avendo una famiglia, difficoltà di salute, e mettiamoci pure la situazione post-terremoto, che mi vede ancora abitare nel giardino di casa dentro un modulo abitativo, in attesa che la Regione decida se la mia casa va abbattuta o solo ristrutturata. Non mi sto lamentando, semplicemente voglio che le donne capiscano che per uscire dalla condizione in cui la società ci vuole, siamo noi a doverci impegnare perché nessuno ci verrà a cercare. Il sistema è di chiara gerenza maschile e gli uomini al potere non sono poi così interessati a favorire le donne: vorrei che questo fosse chiaro alle donne!
Verranno restituite con l’assegno previdenziale di agosto le somme spettanti in qualità di rimborso della mancata indicizzazione delle pensioni operata per gli anni 2012 e 2013 ai trattamenti superiori a tre volte il minimo per effetto del decreto Salva Italia (Dl 201/2011).
Maurizio Crozza
In futuro si andrà in pensione a 80 anni, l’anno dopo aver trovato il posto fisso.(Maurizio Crozza)
Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…
I mesi estivi sono per molti di noi l’occasione per prendere una pausa, più o meno lunga, dalla frenesia della vita quotidiana. Ci sono diversi modi di rilassarsi e ricaricarsi. Di seguito vi proponiamo alcuni semplici esercizi per mantenere e aumentare la forza vitale intrinseca nel corpo umano non solo in vacanza, ma durante tutto il tempo dell’anno. Eseguiti giornalmente, questi esercizi consentiranno una salute migliore e di aumentare la propria vitalità.
Respirazioni
Seduti diritti e confortevolmente, posizionare la lingua appena sopra i due incisivi contro il palato. Chiudere la bocca e inspirare attraverso le narici, espandendo completamente i polmoni, e mantenendo l’apnea inspiratoria per circa 7 secondi. Espirare attraverso la bocca, con il proprio ritmo, mantenendo la lingua contro il palato. Eseguire questo esercizio per 7 respirazioni due volte al giorno. Questo è l’esercizio più semplice ma è anche il più importante.
Sollevamento delle braccia
Sollevamento delle braccia
In piedi con le gambe divaricate in linea con le spalle, braccia in fuori all’altezza delle spalle.
Palmo della mano sinistra verso l’alto, palmo destro verso il basso.
Mantenere la posizione il più a lungo possibile, eseguendo delle respirazioni ampie e profonde. La durata ideale e di 5-10 min, ma bastano anche 5-6 min.
Al termine dell’esercizio, mantenendo le braccia tese, portarle in alto passando per fuori, non permettendo alle braccia di andare in avanti; in fine abbassare le braccia.
Rotazione delle anche
Rotazione delle anche
Supini, braccia in fuori all’altezza delle spalle con il palmo sinistro rivolto in alto ed il destro verso il basso. Prendere contatto insieme con le ginocchia distese.
Sollevare la gamba sinistra mantenendola tesa e ruotare l’anca e la gamba sinistra sopra quella destra. Mantenere entrambe le spalle a contatto del terreno e respirare profondamente fissando la posizione fino a 5 minuti o finché si avverte dolore.
Eseguire l’esercizio fino a che non si e in grado di mantenere la posizione per 5 minuti senza avvertire dolore.
Ritornare alla posizione di partenza ed eseguire l’esercizio sul lato destro. Mantenere la posizione per 5 minuti o fino alla soglia del dolore su ogni lato una volta al giorno.
L’esercizio dovrebbe essere eseguito senza provare dolore.
Stretching spinale
Stretching spinale
Seduti su una sedia con schienale diritto, in modo che le cosce siano parallele al pavimento e le gambe perpendicolari.
Flettersi in avanti in modo che i gomiti si vengano a trovare tra le ginocchia.
Ruotare le palma delle mani in fuori da ciascun lato e piegare le dita sotto ciascun arco plantare, posizionando i pollici sulla parte superiore del piede.
Lasciare che il rachide si stiri completamente in questa posizione. Respirare lentamente e completamente fino a 5 minuti. Eseguire una volta al giorno iniziando con cautela.
Esercizio in piedi n.1
In piedi contro il muro in modo che talloni, colonna lombare, dorsale e nuca tocchino la parete.
Sollevare le braccia in avanti con i pollici che si toccano, fino all’altezza delle spalle. Poi il più lentamente possibile portare le braccia tese sopra la testa e infine, toccare il muro. Più lenti si va meglio è.
Abbassare le braccia ritornando alla posizione di partenza.
Respirare lentamente e profondamente. Eseguire una, due volte al giorno.
Esercizio in piedi n.2
In piedi, a 1 / 1.5 metri di fronte ad un muro, con i piedi a distanza delle spalle, appoggiare le palma alla parete all’altezza delle spalle.
Piegare ii piu possibile le ginocchia, mantenendo i talloni a contatto del pavimento.
Mentre le ginocchia sono piegate, respirare profondamente per un minuto. Eseguire cinque ripetizioni, una volta al giorno.
Esercizio in piedi n.1
Esercizio in piedi n.2
Circonduzione delle spalle
Circonduzione delle spalle
Seduti su una sedia con la schiena diritta ed entrambi i piedi appoggiati sul pavimento.
Flettere i gomiti e appoggiare i polpastrelli sulle spalle.
Respirando lentamente e profondamente, nella fase di inspirazione sollevare i gomiti verso il soffitto e flettere in basso il capo, mentre nella fase espiratoria, ruotare i gomiti in fuori e dietro verso la posizione di partenza, sollevando indietro il capo.
Parigi, estate 1942, una Francia sotto l’occupazione tedesca, con il governo collaborazionista di Vichy del maresciallo Petain, una pagina nera della storia francese, una macchia che resta per molti indelebile. Le vite dei francesi che scorrono lente, nella paura e nel sospetto del tradimento, molte che incappano in avventure che salveranno altre vite. Il caso di Edmond Batignole, simpatico macellaio titolare dell’omonimo negozio, che viene suo malgrado coinvolto dal futuro genero, arrogante e attivo collaborazionista, nell’arresto della famiglia ebrea dei Bernstein, suoi vicini di casa.
La locandina
Simon, uno dei giovani figli dei Bernstein, riesce a scappare ma, presentatosi alla soglia di casa, convinto di trovarne i genitori, scopre che Edmond e la sua famiglia ne hanno preso possesso e vivono lì. Edmond, sentendosi in colpa, decide di nascondere il ragazzo, il quale viene presto raggiunto da due cuginette i cui genitori sono stati a loro volta deportati. La permanenza dei ragazzini nella soffitta del palazzo si protrae per lungo tempo, finché Batignole decide di aiutarli nella loro fuga di salvezza verso la Svizzera, con l’aiuto dei soldi ricavati dalla vendita di un quadro di valore appartenuto al padre di Simon.
Le avventure saranno tante, con screzi, incomprensioni e divergenze ma anche con tanti divertenti scambi di battute ironiche e pungenti fra un ragazzino colto dell’alta borghesia parigina (figlio di un noto medico, Simon parla tedesco, inglese e russo, oltre a suonare benissimo il violino) e un bottegaio sempliciotto. Un film che, per certi aspetti, assomiglia a “La Vita è bella”, una tragi-commedia che sa parlare di un dramma come l’Olocausto con toni leggeri che arrivano ogni tanto anche ad avere il sapore della farsa. Simon non è in realtà la classica vittima, ma un ragazzino saccente e petulante, a volte troppo conscio della sua superiorità culturale rispetto a Edmond.
L’originalità del film sta anche nell’affrontare il tema della Shoah non dal di dentro, come spesso avviene, ovvero dalla parte del popolo ebreo, ma dal di fuori, con lo sguardo di quella piccola e media borghesia francese che vi rimase indifferente, che scelse di non voler sapere, che restò a guardare silente per non perdere i propri privilegi, preoccupata solo del quieto vivere e di mantenere una sorta di tranquillità apparente. Se Edmond era uno di loro, il film è però la storia della sua trasformazione, della sua presa di coscienza, del suo riscatto. Un eroe per caso, come ve ne sono stati tanti. Con un lieto fine e una mano leggera che risparmia sentimentalismi e immagini forti o violente.
“Monsieur Batignole”, di Gerard Jugnot, con Gerard Jugnot, Michele Garcia, Jules Sitruk, Jean-Paul Rouve, Francia 2002, 100 mn.
Ferrara in questi giorni è bellissima, pesantemente afosa, ma bellissima. In alcune ore della giornata è deserta, un paesaggio quasi surreale. Solo le cicale sembrano avere il fiato che manca a quelle poche anime che si aggirano accaldate per i vicoli della città. Se poi è un venerdì sera di fine luglio, l’effetto è amplificato dall’assenza di chi è scappato verso i lidi alla ricerca di un qualche refrigerio lontano.
Tornando ogni tanto, dai freschi fine settimana moscoviti, mi piace aggirarmi per i viottoli antichi da sola, in compagnia della mia fulminea macchina fotografica e del mio taccuino curioso e colorato. Anche un lampione ha la capacità di incuriosirmi e di scatenare la mia fantasia libera e leggera in questi ultimi scampoli di vacanze. Non è il caldo che dà alla testa, ma il fascino del girovagare senza pensieri. I lampioni sono tanti, pronti a illuminare la città, in attesa di lanciare qualche raggio di luce a una coppia che lì sotto si bacerà romanticamente e appassionatamente, a due amici chiacchierini che parleranno del loro futuro, a un’anziana e simpatica signora che passeggerà con il suo cocker dolorante.
Quei lampioni hanno visto tanto, storie di una città che ride e che soffre, aliti di parole di chi si è lasciato e di chi si è ripreso, al fioco bagliore di quella luce incantata. Sotto di loro domande di fidanzamento, un bacio appassionato, promesse di amore eterno. Un bambino che apre una caramella, un braccialetto donato all’amichetta dai boccoli biondi, una lettera misteriosa aperta all’improvviso, una pagina di giornale che comunica un lieto evento, un cagnolino che fa pipì. E poi una zanzara schiacciata, una mosca scacciata, un signore che cerca di pulirsi la scarpa dal chewing-gum lasciato cadere da un punk scriteriato, una carezza nell’ombra rubata al tramonto della sera. Un viaggio che si progetta, un film che è piaciuto, un libro sfogliato che ha ridato una forza perduta, un messaggio lasciato in una bottiglia di birra, un biglietto del pullman regalato a chi percorrerà centinaia di chilometri per rivedere la sorella in Ucraina. Scambi di doni, scambi di pensieri, di parole, di speranze, di gioie, di dolori, di amori, di amicizie, di giorni e di vite. Questo sono i lampioni di Ferrara. Sotto di essi il tutto. Che felicità.
“L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.” (Costituzione della Repubblica Italiana, art.41).
Nel panorama della teoria e della pratica aziendale è sempre più facile imbattersi in espressioni come bilancio sociale, bilancio di sostenibilità, codice etico, accountability e certificazione degli standard di qualità dell’impresa: tutti documenti attraverso i quali l’azienda tenta di rileggittimare la propria attività, dichiarando la propria attenzione verso la comunità di riferimento, enfatizzando il proprio legame con il territorio e il proprio impegno per la sua tutela, dal punto di vista culturale e/o ambientale. In altre parole si asserisce di essere un soggetto economico che, perseguendo il proprio interesse prevalente, contribuisce a migliorare la qualità della vita dei membri della società in cui è inserito.
Salvo poi scoprire che nella realtà dei fatti spesso questi rimangono solamente documenti, dichiarazioni d’intenti formali, che non si traducono nella vita quotidiana delle aziende o, sarebbe meglio dire, di coloro i quali in quelle imprese lavorano, delle loro famiglie e dei territori sui quali avviene la produzione.
Insomma la “fabbrica per l’uomo” di olivettiana memoria rimane una bella utopia. Spesso, ma fortunatamente non sempre. Stando a “Corriere Imprese”, l’inserto economico del Corriere della Sera, in particolare in Emilia Romagna si possono contare alcuni imprenditori impegnati come l’industriale di Ivrea a “distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia”, attraverso finanziamenti per progetti sociali e istituzioni culturali e scientifiche erogati direttamente o attraverso fondazioni di impresa.
Fra questi c’è Lino Aldrovandi, ad di Renner Italia, che nel 2015 ha deciso di strutturare i propri interventi a favore del no-profit addirittura attraverso una piattaforma di responsabilità sociale: “La buona vernice”. L’elemento innovativo de “La buona vernice” è che i finanziamenti verranno erogati attraverso un sistema di votazione on-line su www.labuonavernice.it.
Il nome deriva forse dal core business di Renner: vernici all’acqua per legno. L’azienda è nata dal 2004, quando Adrovandi viene licenziato dalla multinazionale statunitense che ha acquisito l’azienda da lui amministrata. Lui non ci sta, raggiunge un accordo con gli eredi del fondatore della sua ex azienda e il maggiore azionista della Renner Sayerlack, società brasiliana detentrice di know-how nell’ambito delle vernici per il legno e leader di mercato in Sudamerica. A credere in questo nuovo progetto sono anche i ricercatori chimici e diversi dipendenti dell’altra azienda, che si dimettono per seguire Aldrovandi. In questi anni Renner è diventata la dimostrazione che business ed ecosostenibilità non sono binari divergenti; con i suoi prodotti ha restaurato gratuitamente le parti lignee dell’antica Torre Prendiparte di Bologna e ha rivestito l’Albero della Vita di Expo Milano 2015. E soprattutto ha davvero messo in pratica un sistema di produzione etico e sostenibile per l’ambiente e per i suoi dipendenti: grazie a un accordo sottoscritto con Filctem Cgil dal 2012 nelle bustepaga viene incluso anche il 50% del risparmio energetico, mentre dal 2013 ha preso il via “Uno stipendio in più per tutti” che prevede la suddivisione tra tutti i 250 dipendenti del 15% degli utili.
Dunque, a quanto pare, davvero una “buona vernice” di nome e di fatto.
Una delle immagini del concorso “La buona vernice”
Dal 15 maggio su www.labuonavernice.it è stato indetto un concorso, che si concluderà martedì 1 settembre, attraverso il quale Renner destinerà una donazione complessiva di 35.000 euro a 10 progetti di rilevanza sociale presentati da organizzazioni no-profit impegnate sul territorio della provincia di Bologna in ambiti di solidarietà e servizi di assistenza, promozione della cultura, incentivazione alla pratica sportiva fra i giovani. Sono 76 le associazioni candidate al finanziamento, i cui progetti si possono consultare e votare sul sito. L’associazione Nuovamente ha per ora conseguito il maggior numero di preferenze. Propone la realizzazione di laboratori sui temi della legalità e della corruzione, con studenti delle scuole superiori e dell’università di Bologna, che diventeranno protagonisti di una campagna comunicativa per e nella comunità; Bologna Studenti vorrebbe rendere il suo doposcuola gratuito sempre più inclusivo attraverso figure specifiche che aiutino in tutte le materie e nell’insegnamento dell’italiano, per combattere dispersione scolastica e emarginazione; l’associazione SenzaSpine vuole realizzare spettacoli che includono anche la presenza di attori, ballerini ed effetti visivi e portare con la sua orchestra di under 30 la musica classica in luoghi in cui è difficile da incontrare; mentre l’associazione Banco di Solidarietà di Bologna ha presentato “1€ = 1kg” per acquistare pacchi di pasta e generi alimentari per le oltre 260 famiglie che assiste a Bologna. Questi sono solo alcuni esempi, fra i partecipanti ci sono anche Avvocati di Strada Onlus e la circoscrizione regionale di Amnesty International e molti altri.
Cinquemila volte grazie. Forte del sostegno dei propri lettori, Ferraraitalia ha centrato in anticipo l’obiettivo di raccolta del crowdfunding. E non è finita! Il bersaglio era decisamente ambizioso, il conseguimento per nulla scontato. Anzi, rappresentava per noi una sfida e un banco di prova. La nostra gratitudine, sincera e profonda, va a tutti coloro che hanno contribuito a realizzare questo straordinario risultato: cinquemila euro già donati. Oltre novanta cittadini hanno finora aderito all’appello, sottolineando così l’affinità di valori con Ferraraitalia e il proprio apprezzamento. Non potendo citarvi uno per uno esprimiamo a ciascuno di voi la nostra autentica riconoscenza. La stessa che nutriamo per chi, nei giorni scorsi, ha contribuito in forma associativa, riconoscendo le radici di un impegno condiviso: ci riferiamo allo Spi Cgil, sindacato pensionati di Ferrara; all’Anpi, associazione partigiani provinciale ferrarese; e agli Amici dei musei e dei monumenti ferraresi.
Rimangono ancora 12 giorni per incrementare la raccolta e irrobustire le basi di questo nostro atipico quotidiano che ha scelto di praticare la strada dell’approfondimento informativo e si pone al servizio della comunità stimolando il confronto, contrastando il pregiudizio e cercando di alimentare le basi della conoscenza. Domani sera dalle 20 saremo al Giardino delle duchesse, in occasione dell’ultimo appuntamento del ciclo Autori a corte. Sarà una bella cornice di incontro, Chi vorrà potrà versare direttamente il proprio contributo a sostegno dell’informazione libera e indipendente, quella che Ferraraitalia si impegna praticare con coerenza ogni giorno.
Nei dodici giorni restanti confidiamo lieviti ancora il budget che contribuirà all’acquisizione di uno spazio redazionale, concepito come luogo di lavoro e al contempo come punto di incontro e di riflessione condivisa con i lettori. Un surplus di cassa consentirebbe l’organizzazione di una grande conferenza pubblica alla quale pensiamo da tempo. Vorremmo ragionare, senza scontati rituali e sulla base di proposte concrete, dello sviluppo e del futuro della nostra città, riprendendo il filo sviluppato sulle nostre pagine online e intessuto già lo scorso gennaio durante il ciclo di appuntamenti alla biblioteca Ariostea.
Quando mancano ormai pochi giorni al termine della nostra campagna di raccolta fondi dal basso “Una redazione condivisa per Ferraraitalia” (clicca qui per saperne di più progetto), torniamo a parlare dello strumento del crowdfunding e questa volta lo facciamo incontrando chi ci ha accompagnato per questo tratto di strada: Agnese Agrizzi di Ginger.
Il logo di Ginger
Ginger, cioè Gestione Idee Nuove Geniali Emilia Romagna, è una piattaforma di crowdfunding territoriale fondata nel 2013 da Agnese, Virginia, Martina, Nicole e Caterina, cinque ragazze che hanno trovato il modo per far incontrare formazione umanistica e manageriale offrendo ad associazioni, start-up e altre realtà della nostra regione e non solo consulenze e formazione per sviluppare la propria campagna di crowdfunding. Le parole d’ordine sono territorio e comunità, mentre la filosofia che anima la loro azienda è: “Le idee non dormono mai!”
La filosofia del crowdfunding è “Non tanto da pochi, ma poco da tanti”, perché piccole somme aggregate possono fare la differenza. Sì, la specificità dello strumento del crowdfunding, rispetto alle altre forme di finanziamento, è la richiesta di una partecipazione attiva delle persone che donano: non si tratta perciò semplicemente di chiedere una somma, ma di aprire il proprio progetto a una partecipazione collettiva, di chiedere alle persone un coinvolgimento diretto. Per questo il crowdfunding è perfetto per tutte quelle realtà che hanno non soltanto bisogno di raccogliere finanziamenti, ma anche l’esigenza di aprire le proprie porte alla partecipazione di una comunità.
Una comunità che può essere, anzi deve essere, sia sulla rete sia sul territorio di riferimento, no? Il bello del web è appunto che non ha confini, perciò tutto il mondo virtualmente può sostenere un progetto. Allo stesso tempo nessun progetto può funzionare se rimane esclusivamente virtuale: serve un’interazione reale, la creazione di una rete di relazioni che deve uscire dal web e coinvolgere fisicamente le persone. Il crowdfunding territoriale ha dalla sua proprio questo vantaggio: può permettersi di usare sia le leve del web, sia quelle del territorio. Per questo puntiamo molto anche sugli eventi e sulla raccolta off-line nelle nostre campagne: fare eventi significa incontrare concretamente i donatori e convincerli davvero che il proprio progetto merita di essere finanziato. In altre parole, ci si mette davvero la faccia e questo è un fattore fondamentale nel crowdfunding.
Dunque il crowdfunding può essere considerato anche uno strumento per creare e consolidare il riconoscimento sociale di un progetto nella comunità di riferimento? E in questo modo diventa anche una leva di sviluppo economico e sociale… Sì, esatto. Come Ginger in due anni abbiamo assistito alla nascita di circa 50 progetti territoriali che hanno utilizzato la nostra piattaforma per dare inizio alla propria attività, nel settore culturale e creativo ma non solo. Per farlo, hanno prima dovuto fare un’analisi di mercato confrontandosi così con quella che sarebbe stata la loro community di riferimento anche nel prosieguo della loro esistenza, hanno avuto così modo di capire quali linguaggi usare, quali domande avevano più risposta. Ecco che il crowdfunding diventa uno strumento per far iniziare un’impresa con il piede giusto, cioè una buona consapevolezza del pubblico al quale si riferisce e delle sue caratteristiche, dandole così anche maggiori opportunità di rimanere in attività sul lungo periodo.
Agnese, il crowdfunding è ancora uno strumento poco conosciuto in Italia. Da quanto è arrivato nel nostro paese? In Italia si parla di crowdfunding da non più di tre anni. Nell’ultimo anno se ne è parlato molto più spesso, grazie anche a progetti come “Un passo per San Luca”, che abbiamo curato noi (piattaforma on-line per il finanziamento del restauro dei portici di San Luca, ndr): ha coinvolto una città intera e raccolto circa 340.000 euro, ma è anche diventato un modello di buone pratiche di cui si è parlato sui giornali e in tv. Oggi questa parola è meno straniera e più vicina alle persone, speriamo che vada sempre meglio.
Rimanendo ancora in Italia: sono più i progetti profit o no-profit a ricorrere a questo metodo di finanziamento? E qual è la quota richiesta in media? In Italia la parte più rilevante e anche il settore che raggiunge maggiori risultati è il no-profit, quasi un progetto su due raggiunge l’obiettivo. Questo è dovuto in parte al fatto che il profit si pone spesso traguardi più difficili, mentre il no-profit riesce a sfruttare anche fattori emotivi, che per il crowdfunding sono abbastanza importanti. Per quanto riguarda la quota media di finanziamento, ti posso dire che quella dei progetti che hanno successo a livello globale è di 4.000 dollari.
A proposito, secondo te qual è il segreto perché un progetto raggiunga l’obiettivo? Il segreto del successo è la predisposizione da parte dei progettisti ad aprire la propria idea ai donatori: più il processo partecipativo è coinvolgente, più la campagna funziona. Un altro elemento fondamentale è quanto i progettisti si divertono durante la campagna: lo noto quotidianamente, i risultati si vedono subito.
Le ragazze di Ginger
Parliamo un po’ di voi, come e quando è nata Ginger? Ginger è nata nel giugno 2013 a Bologna. Insieme a Virginia, Martina, Nicole e Caterina, abbiamo deciso di unirci, pur venendo da background diversi: io vengo da Lettere e filosofia, Virginia da Lingue e letterature straniere, Nicole viene dal Dams indirizzo Arte e Caterina dall’indirizzo Musica, Martina da Scienze politiche. Ci siamo conosciute durante il corso di laurea magistrale in Gestione ed Innovazione delle Organizzazioni Culturali ed Artistiche: ha un’impostazione più pragmatica che teorica, con molte esercitazioni pratiche e lavori di gruppo, quindi ci ha permesso di lavorare insieme già durante gli studi e conoscerci anche a livello professionale. Così quando abbiamo iniziato eravamo un team già testato.
La differenza rispetto ad altre piattaforme è che cerchiamo di rimanere molto vicine ai progettisti, per capire insieme a loro qual è il modo migliore di fare crowdfunding per il loro progetto. Si potrebbe quasi dire che Ginger è una sorta di progetto di ricerca perché come fare crowdfunding è una storia ancora da scrivere in Italia ed è la domanda che ci facciamo tutte le mattine andando al lavoro: poter cercare la risposta fianco a fianco con i nostri progettisti ci permette di avere una visuale molto immediata di come si stia strutturando la pratica del crowdfunding nel nostro paese. Nel giro di due anni siamo riuscite a ottenere un grado di successo di circa il 60% e ne siamo molto orgogliose: significa che 6 progetti su 10 raggiungono il finanziamento, mentre in Italia le media è del 30%.
Quanti progetti avete seguito finora? Ce ne sono alcuni ai quali siete più affezionate? Credo siano circa una settantina in due anni, attualmente sono dieci, compreso il vostro “Una redazione condivisa”. Ammetto di sì, ad alcuni siamo più affezionate. Per esempio abbiamo curato una piattaforma di crowdfunding per conto di Fondazione Nord Est, che riunisce le tre Confindustrie del Nord Est: si chiamava Fablab a scuola e serviva per finanziare 10 fablab all’interno di 10 istituti tecnici del Nord Est.
A proposito della nostra campagna “Una redazione condivisa”, avete altri progetti ferraresi oppure legati al settore editoriale e giornalistico? Direi che non stiamo seguendo altri progetti su Ferrara, abbiamo invece ospitato un progetto legato all’editoria: si trattava della campagna per finanziare le spese di pubblicazione di un libro inchiesta sulla morte di Francesco Lorusso. Il tema era molto sentito ed è stato un caso di grande successo.
Ora la domanda fatidica: perché avete deciso un tratto di strada insieme a noi? Abbiamo delle perplessità rispetto al mondo dell’editoria giornalistica in Italia: dal punto di vista gestionale è un settore molto difficile, vediamo testate in difficoltà e costrette alla chiusura, mentre altre sono legate ai finanziamenti pubblici o a partiti politici. Per questo creare un gruppo libero, di qualità e legato strettamente a un territorio ci sembra una bella sfida. Se Ferraraitalia ce la farà con il crowdfunding, porrà una solida premessa per lo sviluppo delle attività della cooperativa. Insomma appoggiamo il progetto culturale, ma anche la volontà di approfondire il lavoro di squadra e il tema della comunità di lettori, tre caratteristiche fondamentali per il crowdfunding.
L’ultima domanda è sul futuro: sia per voi di Ginger, sia per quanto riguarda il crowdfunding in Italia. I nostri obiettivi futuri sono: arrivare sempre più capillarmente nel territorio della regione, ci piace anche l’idea di poter replicare il modello Ginger su altri territori italiani, inoltre vorremmo lavorare sempre più sui beni culturali, proprio partendo dall’esperienza del Portico di San Luca, un progetto di rilievo portato avanti insieme a un’istituzione pubblica, ma che crediamo possa essere percorribile per molti altri casi. E poi c’è qualcos’altro nel cassetto a cui stiamo lavorando, ma che purtroppo non posso ancora rivelare. Per quanto riguarda il crowdfunding in Italia, io spero da un lato che aumenti la consapevolezza riguardo questo strumento da parte dei progettisti, dall’altro sono fiduciosa che la generosità degli italiani e la loro voglia di partecipare aiuterà sempre di più il successo delle campagne di crowdfunding.
Passeggiata lungo il lago di Braies, omonima valle laterale alla Val Pusteria, il luogo incantato dove è girata gran parte della fiction Un passo al cielo per intenderci. Metà luglio, 1496 metri, un paradiso che giace ai piedi della parete rocciosa della Croda del Becco, all’interno del parco naturale Fanes-Sennes e Braies. Tanti turisti, tantissimi, molti attirati dalla casetta di Terence Hill, pochi altri guidati dall’amore per i colori di quelle acque cristalline, gli habitués che però poco alla volta scompaiono, perché travolti da masse zoccolanti e vocianti.
Il Lago di Braies
Nulla contro il turismo per tutti, per carità, ma si resta allibiti, se non basiti, di fronte a orde di turisti in infradito che percorrono i circa due chilometri di lunghezza del lago con borracce, cappellini e passeggini. Nella parte più ripida, con scalini irti degni di un colorato racconto himalayano, giovani aitanti imbracciano passeggini piegati su se stessi come poveri ombrellini stanchi e accaldati, mentre le mogli sudate (sempre in infradito dorate) portano i bambini sulle spalle. C’è anche chi carica passeggino e bambino di colpo, senza minimamente preoccuparsi dei rischi per lo stesso e per gli altri. Potete immaginare la tragedia di una caduta da un simile pendio? La mia sorpresa è grande, ma parlando con amici comprendo che i soccorsi della Val Pusteria, in particolare di San Candido, sono sempre più impegnati nel recuperare turisti avventati che affrontano impegnative ferrate con le infradito.
È apparsa su “La Repubblica” qualche giorno fa la notizia di alpinisti, avventori e famiglie che, lasciata la macchina al Pontal d’Entréves, salgono in quindici minuti di funivia sul tetto d’Europa, il Rifugio Torino sul Monte Bianco, 3466 metri. Fin qui nulla di strano, se non fosse che gli avventurieri vi arrivano senza alcuna misura di sicurezza, senza attrezzatura adeguata, ma solo con pantaloncini, scarpe da tennis e spesso sandali o infradito. Non si resiste ai selfie sul ghiacciaio, pronti a postarli su facebook agli amici che si sciolgono al caldo delle città, avvolti da umido, afa e zanzare. Ma se salire sembra facile, quasi un gioco, con il ghiaccio non si scherza e le guide alpine lanciano l’allarme: c’è chi arriva a torso nudo, armato di macchina fotografica, bibita e panino imbottito; chi vorrebbe addirittura levarsi le ciabatte, per sentire sulle piante dei piedi il freddo della neve.
“È assurdo. Noi andiamo imbragati, legati e siamo esperti, e qui la gente viene con lo stesso atteggiamento con cui andrebbe al parco giochi. Ma la montagna chiede rispetto e prudenza”, dicono alcuni esperti. Ci sono i cartelli, le avvertenze, le note informative, in molte lingue, ma a nulla servono. Ci si domanda allora, vale la pena rendere accessibile un luogo così bello ma ostile? Sì, perché tutti hanno diritto alla bellezza. Ma se volete vederlo, fatelo bene, per favore, in sicurezza, per voi e per gli altri. Non ci vuole poi tanto.
Abbiamo conosciuto Antonio Picascia, amministratore delegato di Cleprin, in marzo quando è venuto a parlare a Ferrara ospite della cooperativa di commercio equo altraqualità, insieme a Simmaco Perrillo di NCO-Nuova Cooperazione Organizzata: una concreta alternativa di legalità per la rinascita della provincia di Caserta (leggi l’articolo).
Incendio alla Cleprin, fabbrica di Sessa Aurunca nel casertano (foto tratta dal sito Vita.it)
Appena due giorni fa un incendio, le cui cause rimangono per ora sconosciute ma che lasciano pensare alla pista dolosa, ha seriamente danneggiato l’impianto industriale. Come segno di solidarietà con chi quotidianamente si impegna per un cambiamento economico e culturale nella propria terra, la redazione di Ferraraitalia ha deciso di pubblicare il comunicato di Pro Loco Voghiera e del Coordinamento Provinciale di Ferrara di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, con l’impegno di continuare a tenervi aggiornati sulla situazione.
Uno dei post pubblicati sulla pagina Facebook della fabbrica di detersivi ecocompatibili Cleprin di Sessa Aurunca.
di Prolo Loco Voghiera e Coordinamento Provinciale di Ferrara di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie
La scorsa notte un vasto incendio ha devastato l’area produttiva della Cleprin Srl, industria chimica casertana specializzata nella produzione e vendita di detersivi industriali e nella produzione di detergenti in eco-dosi idrosolubili e completamente eco-compatibili.
Quella del suo amministratore delegato Antonio Picascia e di tutti i lavoratori dell’azienda è una doppia scommessa: la riappropriazione e rigenerazione del territorio campano attraverso la creazione di un sistema economico legale ed etico, come antidoto all’economia criminale. Nonostante i tentativi prima di infiltrazione nella Cleprin e poi di estorsione da parte del clan di Sessa Aurunca, affiliato ai Casalesi, Antonio ha scelto, infatti, la propria dignità e la propria libertà di imprenditore, denunciando l’accaduto alle forze dell’ordine.
Appena una quindicina di giorni fa, lo scorso 7 luglio, la delegazione del Coordinamento di Ferrara Libera e di Pro Loco Voghiera – nel corso del viaggio in Sicilia per consegnare alla Cooperativa Rita Atria il camioncino destinato a lavorare su un bene confiscato alle mafie – aveva fatto visita all’azienda e conosciuto Antonio, che aveva trasmesso ai giovani volontari il proprio impegno quotidiano contro la criminalità organizzata.
Le cause del rogo sono ancora sconosciute e al momento nessuna pista viene esclusa.
“La notizia ci ha lasciato senza parole – afferma Elia Fantini, segretario Pro Loco Voghiera e volontario del Coordinamento di Ferrara di Libera – solo pochi giorni fa siamo rimasti sbalorditi di fronte alla professionalità, allo spirito imprenditoriale, alla competenza e alla serietà della ditta Cleprin, del suo amministratore e di tutti i suoi lavoratori. Abbiamo conosciuto persone e professionisti in grado di fare della legalità e dell’impegno i valori fondamentali della loro attività economica, dimostrando potenzialità che sono un esempio per tutti noi ragazzi”.
“Si tratta, purtroppo, dell’ennesima conferma – aggiunge Donato La Muscatella, Referente per il Coordinamento di Ferrara di Libera – di quanto le organizzazioni criminali temano la rivoluzione culturale che sviluppano sul territorio aziende come la Cleprin, proponendo un modello imprenditoriale virtuoso che promuove i diritti di tanti e non la ricchezza di pochi. Ora più che mai bisogna far sentire ad Antonio Picascia e a tutti i lavoratori che non sono soli”
Pro Loco Voghiera e il Coordinamento di Ferrara di Libera vogliono ribadire la propria vicinanza e il proprio sostegno ad Antonio, a Simmaco e a tutti i lavoratori e collaboratori di Cleprin e Nuova Cooperazione Organizzata in questo momento così difficile: la battaglia per un’economia e una cultura di legalità è lunga e difficile, ma vale la pena combatterla e noi siamo al vostro fianco.
2. SEGUE – Fra le prime cinque torri commerciali, i grattacieli, nella graduatoria stilata in architettura dal World’s Tallest Skyscrapers Emporis, risultano in ordine crescente di altezza:
5° posto Taipei 101 Taipei mt 509
4° posto Freedom tower New York mt 541
3° posto Abraj al Bbait La Mecca mt 601
2° posto Shangai tower Shangai mt 632
1° posto Burj Kalifa Dubai City mt 828
Un primo posto esaltato dalla notte del record senza collocazione nel tempo, tanto attesa a Dubai City dopo cinque anni di intenso lavoro, e non poche traversie finanziarie. La grande torre, la torre del Califfo, o Burj Khalifa, viene letteralmente incendiata da una cascata di fuochi d`artificio dalla sommità alla base. Arricchita da fontane con giochi d`acqua lanciati fino a 150 metri intonanti Il “Nessun dorma” di Pavarotti come un tributo alla grandiosità, il capolavoro dell`ingegneria viene resa al mondo in tutta la sua potenza estetica con la livrea argentea luccicante come un abito da sera formato da 150.000 metriquadrati di cristalli specchianti ad altissima prestazione.
La notte ha stelle, tante stelle, ma lo spettacolo per noi occidentali è fissato sul palcoscenico regale quando lo sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum entra nello spazio visuale, una “Le mille e una notte”, nella sua kandhoura bianca per inaugurare il Burj che a sorpresa si chiamerà Burj Khalifa, in omaggio allo sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahayan, anche lui presente, sovrano di Abu Dhabi e finanziatore ultimo del progetto.
Per i più distratti, la torre di proprietà di Emaar Properties e progettata dall’architetto britannico Adrian Smith, è ispirata alle forme di un fiore di Hymenocallis, molto popolare a Dubai; possiede il più veloce ascensore al mondo, manco a dirlo, che raggiunge in 50 secondi il 124° piano, circa 550 metri di altezza, l’ultimo fruibile dai visitatori. Si ipotizza che da qui si abbia un allungamento della vista fino a ottanta chilometri di fronte, ma è impressionante vedere transitare giganteschi aerei al disotto dei propri piedi posti a circa 550 metri di altezza.
Accoglie l’esclusivo Hotel Armani oltre 700 appartamenti tutti venduti, uffici, piscine e il tutto per un investimento di 1,5 miliardi di dollari. Da terra, guardando in alto, le nuvole si rincorrono e spesso gli ricoprono il puntale come un grande albero di Natale; dall`apparire del Burj Khalifa le altre torri sulla terra sono affette da nanismo, lo skyline di Dubai City ha subito un cambio senza precedenti considerato che le torri presenti nell`area misurano in altezza solo, si fa per dire, 200/250 metri.
Le critiche sulla realizzazione erano e sono taglienti. Quale sostenibilità? Contestuale-urbanistica? Ambientale? Sostenibilità sociale ? Economica?.
E` convincimento comune che oggi di una torre, vista l`importanza materica, si dovrebbe valutarne anche la virtuosità sotto il profilo dell`analisi Lca e quindi non solo misurare la propria efficienza energetica o il rapporto con le energie rinnovabili applicate, ma anche quanto abbia agito sull`ambiente la sua costruzione e quanto abbiano pesato per la sostenibilità ambientale i componenti necessari e prodotti, impiegati per la sua costruzione, nonchè la manutenzione e l`ipotetico costo energetico per la demolizione.
Si è scritto “dell’arroganza di pianificazione degli sceicchi” oppure “rappresenta un contributo difficilmente sostenibile.” “Un cattivo esempio per l’Europa che si sta concentrando sull’ ammodernamento degli edifici in chiave efficiente e sostenibile”, o ancora “un’ inutile simbolo di prestigio economico, che rappresenta solo il potere del denaro” e per altri “inevitabile la necessità di paragonare l’edificio alla torre di babele, portatrice nel libro della Genesi di odio e discordia”, fino al “monumento auto-celebrativo è un invito al disastro”.
Di certo è che nel Burj Khalifa sono state impiegate le piὺ attuali tecnologie progettuali e costruttive, tenendo anche in considerazione gli elementi ambientali come il vento pari ad una velocità di 250 km orari, le oscillazioni apicali e le differenze di temperatura fra la sommità e la base assimilabili ad un cambio di stagione. Le vetrazioni sono il meglio a disposizione, la livrea argentea del gioco pirotecnico dei cristalli specchianti è posta in funzione di un clima esterno dalle alte temperature e per le decise escursioni termiche. Un severo impegno per gli esperti del microclima avendo di fronte l`obiettivo di rendere vivibile un volume di straordinaria complessità abitativa. Ma i record, anche i piὺ estremi, hanno la prerogativa di essere abbattuti. Altre altissime torri fino a 1200 metri di altezza si stanno annunciando per i prossimi anni, in una competizione fra Paesi mediorientali, asiatici e Cina.
Sappiamo che ancora sarà un cristallo brillante e prestazionale ad oltrepassare le nuvole.
Ne seguiremo gli sviluppi aspettando la prossima notte dei record.
È arrivata l’estate e con lei gli inevitabili consigli per le letture estive da gustarsi sotto l’ombrellone o le fresche fronde di un bosco di montagna oppure seduti in un caffè durante una pausa del vostro tour in una città d’arte.
Invece di scegliere al posto vostro, noi di Ferraraitalia abbiamo pensato di chiedere a voi che ci seguite quali sono gli articoli che vi piacciono o vi sono piaciuti maggiormente in questi mesi e di consigliarli a chi come voi segue il nostro lavoro perché li possa leggere on-line dovunque si trovi quest’estate.
È un modo per tenerci in contatto ovunque siamo anche durante queste vacanze estive e dimostrarvi che per noi della redazione la vostra opinione conta. Ecco perché abbiamo scelto il titolo “Ferraraitalia sono anch’io”: da domenica fino a fine luglio ci aiuterete a scegliere gli articoli che ripubblicheremo nel mese di agosto.
Ecco come: fino al 31 luglio visitate la nostra pagina Facebook, pubblicheremo tre articoli dal nostro archivio che voi potrete votare dalle ore 7 alle ore 21 di ogni giorno semplicemente cliccando “mi piace”. Verranno conteggiati esclusivamente i “mi piace” ottenuti da ogni singolo articolo il giorno stesso della pubblicazione.
Al termine del contest, gli articoli che avranno ricevuto più voti saranno riproposti e ripubblicati sulla nostra testata durante il mese di agosto.
Grazie alla vita che mi ha dato tanto mi diede due stelle che quando le apro perfettamente distinguo il nero dal bianco E nell’alto del cielo Il suo sfondo stellato E tra le moltitudini L’uomo che amo Grazie alla vita che mi ha dato tanto (….)
“Gracias a la vida”, Violeta Parra
Le orme dell’orso
Ho atteso un po’ prima di affrontare questa lettura. Ho tentennato, ammetto, ho preso tempo. Temevo il contatto e il confronto con il dolore, con la sofferenza legata all’abbandono, con il sangue vivo di ferite non ancora ben rimarginate. Tuttavia sapevo, ne ero sicura, che vi avrei trovato coraggio, amore, ardore e passione, insieme a tanta vita vissuta intensamente e che, ancora e sempre, avrebbe cercato intensità, avventure e riscossa.
Adriana, la titolare dell’omonimo salone Valles, è tutto questo, e chi la frequenta lo sa bene. Conosco questa splendida donna da qualche anno – troppo poco – e anche per questo non osavo entrare in una simile intimità, per timore di violarla. Non osavo varcare la soglia di momenti felici e infelici, toccare la passione di qualcuno, come lei, che sfioravo ogni tanto ma che ogni volta sentivo sempre così vicino. Una corrispondenza di sentimenti e di punti d’incontro che si manifestava sempre, anche solo sfiorandosi i pensieri, scambiandosi le sensazioni di donne e di figlie. E poi ho preso il libro, mi sono decisa, mi sono detta che se Adriana aveva voluto quelle pagine era anche per dirci qualcosa, oltre che per percorrere un cammino liberatorio di pace con se stessa e i propri fantasmi. E allora l’ho sfiorato con delicatezza e con leggerezza, sottile ed esile com’era, accarezzato, girato e rigirato e… divorato. Un baleno di emozioni, un lampo luminoso di momenti unici, consapevoli, dolci e amari, autentici e indimenticabili, intensi, generosi, commoventi, toccanti, penetranti.
Ammiro Adriana per la sua bellezza, dentro e fuori, per le sue mani leggere che ti pettinano e ti fanno sentire donna, bella, elegante, sensuale, insostituibile, unica. Ogni volta che entravo nel suo salone, di rientro dai miei lunghi viaggi, avevo l’impressione di tornare a casa, di accomodarmi su una poltrona calda e comoda che qualcuno teneva li’ sempre pronta per me. E la sensazione non cambiava, anzi si ripeteva ogni volta, con sempre maggior forza. Quel salone non era e non è un luogo come tanti, qui si percepisce il calore, la complicità, la generosità, l’abbraccio, la musica, la poesia, ci si sente quasi sfiorati da una leggera bacchetta magica che accarezza i pensieri e i riflessi delle luci sui tuoi capelli. E in queste pagine abilmente ricamate dalla ferrarese Francesca Boari, subito si coglie questa voglia di Adriana di renderti unica. Perché lei stessa dice immediatamente che “mi piaceva mettere le mani tra i capelli delle donne, mi sembrava che ogni volta mi affidassero un piccolo passo verso una trasformazione, verso uno dei tanti volti che abitano in quella parte remota di noi che sveliamo piano piano, specie se riusciamo a incrociare sulle nostre strade un tramite che ci dia accesso alla nostra intimità. Le guardavo entrare nel negozio e mi piaceva ascoltare tutto quello che dicevano e anche i loro silenzi. Al lavatesta appoggiavo delicatamente le mie mani tra i loro capelli e sognavo di essere io quel tramite che le avrebbe rese anche solo per un istante felici di specchiarsi”.
La nonna Celestina illumina tutto il percorso di una donna che sa di profumo di gelsomino, di fresca acqua di colonia, di ali d’angelo. L’amore dà l’anima a tutto il resto, dal marito Sergio al figlio Giacomo, un amore per la vita stessa che accende ogni giorno a spazza via ogni nuvola. In queste pagine si percorre la bellezza, spesso messa in ombra dal grande dolore dell’abbandono materno, ma riscattatasi in un affetto ritrovato, tardi negli anni, che, in un grande abbraccio finale, avvolge magia, incanto e luce del perdono. Non una semplice storia di un salone di bellezza, nel senso più profondo della parola, ma vere meraviglie del cuore, Memorie di Adriana.
Termina oggi il programma di Ferrara International Piano Festival, dedicato a uno degli esponenti del tardo romanticismo, il compositore russo Alexander Skriabin, di cui ricorre il centenario della morte.
Il logo di Ferrara Piano Festival
Ferrara Piano Festival è l’associazione fondata a New York dal pianista ferrarese Simone Ferraresi con lo scopo di organizzare annualmente il festival e rendere così Ferrara più conosciuta all’estero. Il festival, infatti, organizza masterclass con pianisti di fama mondiale per giovani talenti provenienti da Italia, Polonia, Francia, Malesia, Cina, Stati Uniti e Olanda. In contemporanea offre alla città e al pubblico ferrarese e non solo una serie di appuntamenti imperdibili per tutti gli appassionati di musica classica.
Ecco il programma di oggi:
ore 17.30 presso il Ridotto del teatro Comunale: “Alexander Skriabin, cento anni dopo”, a cura di Luigi Verdi e Roberto Becheri con interventi di Dario Favretti e Simone Ferraresi (ingresso libero).
ore 21.00 presso Palazzo Costabili, sede del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, Firenze Piano Duo.
In occasione del concerto di chiusura dell’International Piano Festival 2015 il Museo Acheologico Nazionale di Ferrara organizza alle ore 19.30 una visita alle raccolta museali, a cura delle archeologhe Griggio e Timossi del Progetto MiBACT “1000 giovani per la cultura”.
La sindrome emorroidale è tra le più diffuse patologie nei paesi occidentali. A favorire l’infiammazione delle emorroidi è il nostro tipico stile di vita: dieta povera di fibre, stress, cibi spazzatura, cattiva postura, obesità e scarso movimento e poca attività fisica.
Ma cosa sono le emorroidi? Ognuno di noi le ha, perché servono a migliorare la continenza anale. Sono strutture vascolari del canale anale dotate di “valvole” che, aprendosi, favoriscono l’afflusso di sangue nell’ano, parte terminale del retto, molto ricco di vasi sanguigni, arterie e capillari. Così facendo si gonfiano, chiudendo l’ano e aiutando la continenza di liquidi e gas. Le emorroidi sono sia interne, ricoperte di mucosa rettale e quindi insensibili al dolore, sia esterne, ricoperte di una strato di pelle particolarmente sensibile.
Quando c’è un malfunzionamento del sistema che regola la tensione dei cuscinetti emorroidali, questi possono rimanere gonfi per lunghi periodi e, sformandosi, non rientrare nella loro posizione originale. Non c’è una causa univoca e precisa dell’insorgenza delle emorroidi, a provocare questa patologia è piuttosto una serie di fattori legati tra loro. Alla base possono esserci fattori meccanici, che dipendono, per esempio, da un indebolimento della mucosa del canale rettale dovuto all’età oppure a stipsi cronica. Ci sono però anche altri elementi che ne possono favorire lo sviluppo:
familiarità o predisposizione ereditaria;
diarrea cronica e/o abuso di lassativi;
dieta povera di fibre;
lavoro estenuante o sforzi eccessivi;
obesità;
vita sedentaria;
gravidanza;
alcune attività sportive come ciclismo, equitazione, motociclismo.
Esiste una classificazione delle emorroidi sulla base delle manifestazioni cliniche e che deve essere sempre diagnosticata dopo un attento esame clinico da parte del medico e/o dallo specialista proctologo.
Le emorroidi hanno una serie di sintomi molto precisi, non necessariamente tutti presenti:
sanguinamento durante la defecazione, con perdita di sangue rosso vivo;
dolore, di tipo acuto o cronico, legato alle emorroidi esterne, in genere è causato dall’insorgenza di una ragade, ematomi o ascessi;
prolasso: le emorroidi e la mucosa rettale fuoriescono dal canale anale;
prurito e bruciore anale, insieme ad una produzione eccessiva di muco che può causare anche lo sviluppo di infezioni o micosi.
Nei casi meno gravi spesso è sufficiente adottare piccoli accorgimenti per prevenire le fasi acute: è consigliabile praticare attività fisica e seguire una dieta ricca di fibre, in modo da mantenere un corretto e regolare transito intestinale e, di conseguenza, limitare l’insorgenza della patologia emorroidaria. È utile anche bere almeno 1,5 – 2 litri di acqua al giorno: insieme a una dieta ricca di fibre, infatti, facilita l’evacuazione e favorisce l’equilibrio della flora batterica intestinale.
Ecco i cibi da preferire in caso di stipsi e per prevenire le emorroidi:
legumi freschi e secchi come fagioli, lenticchie, piselli;
frutta secca come prugne secche, uvetta, fichi secchi, noci;
pane e pasta integrale;
frutta e verdura fresca;
avena e cereali integrali;
yogurt
Altri consigli utili:
consumare i pasti senza fretta e con regolarità;
dedicare tempo alla colazione.
non fare sforzi eccessivi ed evitare una defecazione prolungata.
Infine, lavarsi con acqua tiepida e sapone acido e asciugarsi tamponando delicatamente con un panno morbido. Evitare assolutamente l’applicazione di ghiaccio, che peggiora i sintomi, meglio utilizzare alcune pomate locali, che alleviano i sintomi e aiutano il rientro spontaneo delle emorroidi.
La regolare attività fisica deve mirare a tonificare gli arti inferiori e soprattutto i muscoli dei glutei. Tra le altre attività consigliate per scongiurare l’insorgenza delle emorroidi sintomatiche ci sono: il tapis roulant, la corsa, la ginnastica posturale, lo stretching dolce, gli esercizi di fitness, lo yoga ma anche il nuoto e gli esercizi di acquagym, tutte mirno a stimolare il rilassamento e, nello stesso tempo, la tonificazione della muscolatura addominale e del pavimento pelvico, oltre a favorire una regolare circolazione del sangue. Per prevenire la formazione della patologia emorroidaria si possono poi svolgere con costanza semplici esercizi basati sulla tecnica di tensione e rilascio della muscolatura che interessa il canale rettale: consistono nello stringere i glutei per due secondi e poi rilasciarli; il movimento deve essere eseguito più volte consecutivamente, diverse volte al giorno.
Chiari segnali intorno a noi raccontano della supremazia dell’economia sulla politica. La cosa è nota, palpabile, ossessivamente ripetuta in mille modi diversi dai media e a tutte le ore del giorno e per tutte le intelligenze. Diventa scontato, quindi, che un governo nulla possa contro le fluttuazioni della Borsa e, nel caso dell’Eurozona, sia pacatamente alla mercé dello Spread, della Bce e del Fmi. Ovvio anche che personaggi come Draghi o la Lagarde possano decidere della vita e della dignità di interi popoli.
Elezioni, referendum e voleri popolari sono stati del tutto accantonati in nome del dio denaro. Le politiche monetarie invadono la vita di tutti i giorni e gli umori della finanza determinano la crescita o la distruzione dei Paesi. Presidenti del Consiglio giustificano sofferenze, tagli alla spesa e ai servizi per conto dei mercati, parlano di austerità necessaria oggi per alleviare i peccati del passato in nome di una crescita futura, sempre più vaga e lontana, impalpabile ai più.
Non ricordiamo quando tutto questo sia iniziato, per i più il punto di rottura è stato il 2008 con il fallimento della Lehman Brothers ma io proverei ad andare più indietro, cercare tra le righe di innumerevoli piccole e grandi riforme che hanno visto la politica abdicare ai propri doveri. Ad esempio nel 1981 la Banca d’Italia “divorzia” dal Ministero del Tesoro ed inizia l’era del debito pubblico incontrollato. Come non ricordare il 1992 e l’allora Presidente del Consiglio Amato che in nome della salvezza della Patria regalava agli italiani le prime finanziarie lacrime e sangue insieme a un prelievo forzoso dai nostri conti correnti. E poi il Trattato di Maastricht, il Patto di stabilità e crescita, l’eliminazione della separazione delle banche commerciali e banche d’investimento, il ‘bail out’ (salvataggio delle banche attraverso l’intervento degli Stati quindi aumento del debito pubblico che pagano i cittadini) e oggi ‘bail in’ (ovvero la possibilità che anche piccoli azionisti o correntisti siano chiamati a salvare direttamente le banche, quindi pagano ancora i cittadini), limiti alla spesa pubblica e austerità a carico dei più deboli.
Comunque il 1992 fu annus horribilis. Si iniziò a interiorizzare la parola default e si partì con la storia da imparare a memoria che avevamo vissuto al disopra delle nostre possibilità e quindi iniziarono le grandi svendite del patrimonio pubblico. Ma dopo ventitré anni ancora non siamo riusciti ad espiare le nostre colpe nonostante le ricette miracolose provenienti da sinistra, destra, centro nonché dai governi tecnici. Oggi poi abbiamo una specie di ibrido al governo, dice di essere di sinistra, fa cose di destra che nemmeno alla destra piacciono ma di sicuro riceve il plauso dei grandi industriali, dei mercati e della finanza.
La gente continua ad approvare perché in fondo non c’è scelta, il dio denaro chiama e il governo deve rispondere. In natura però non è così, normalmente è l’uomo che decide come utilizzare le cose e non il contrario. In genere un metro non vive di vita propria ma ci dice esattamente quanto misura una stanza e una bilancia non impone dei chilogrammi in più o in meno all’oggetto che decidiamo di pesare. Potrebbe farlo solo se la persona che lo controlla decidesse di barare. Anche il denaro è una misura (di valore) ma sembra le abbiamo attribuito vita propria e nel nome di una misura sacrifichiamo le nostre vite, con il consenso di chi non vede altra scelta.
Ma tutto questo è una finzione, la politica non nasce subordinata all’economia o al denaro ma solo ai bisogni dell’essere umano e dei cittadini. Lo è diventata quando degli uomini hanno deciso che gli interessi di pochi dovessero prevalere sulle masse, in maniera lenta per non suscitare reazioni, abituandola attraverso proclami, gli slogan, le pubblicità ingannevoli.
Le politiche economiche e monetarie dovrebbero essere indirizzate al benessere dei cittadini, ma perché lo siano devono necessariamente essere orientate dalla politica, la buona politica, quella degli statisti che oggi purtroppo non abbiamo, ma guai a perderne del tutto la visione. Siamo in tempo per il risveglio, gli schiaffi che stanno destinando alla Grecia dovrebbero insegnarci qualcosa, aprire uno spiraglio nella nebbia dell’insofferenza e dell’accondiscendenza di questi ultimi trent’anni vissuti non al disopra delle nostre possibilità ma al disotto della nostra dignità.
Foto di Christian Hartmann/Reuters per Pri’s The World
Mancano tre settimane per arrivare al traguardo del nostro crowdfunding, ma il risultato fin qui raggiunto è già un successo. Si, perché la media italiana, è di tremila euro. Noi li abbiamo oltrepassati, siamo infatti arrivati a quota tremila 150. Un bel risultato per noi e per Ferrara, che ha dimostrato davvero di essere un passo avanti. Perché il nostro è il primo esperimento di questo tipo in ambito giornalistico fatto in città e nel territorio. Speriamo di essere pionieri per altri.
Ma noi vogliamo andare oltre e arrivare entro il 31 luglio a 5mila euro. Questa è la vera sfida.
Intanto ringraziamo chi ha dato e darà il proprio contributo per un progetto di informazione libera e indipendente. Quella che a parole reclamiamo tutti e di cui oggi possiamo essere concretamente partecipi. Sostenere significa infatti partecipare. FerraraItalia nasce e vuole continuare a crescere come quotidiano che assicura ai cittadini il ‘diritto’ di essere informati e sollecita il ‘dovere’ di informarsi.
Se volete essere con noi, contribuite già oggi cliccando [qua]per un versamento online o contattandoci all’indirizzo interventi@ferraraitalia.it per un versamento diretto.
Saremo presenticon un nostro banchetto anche mercoledì 29 luglio al Giardino delle duchesse dalle 20 alle 23 nell’ambito della rassegna Autori a Corte.
Spariscono le sue figlie e scompare anche lei, Irina, la mamma, assediata da una ricerca che non trova risposte. Non sa più dove siano Alessia e Livia, due gemelle di appena sei anni, partite con il padre che fa perdere le tracce. Il loro amore era finito, era finita anche quella parte di vita subìta da Irina, quando viveva le umiliazioni quotidiane di un marito che le infilava ovunque, come le più consolidate abitudine domestiche. Irina cerca le sue figlie ovunque, una madre lo fa, non cede anche quando le indagini finiscono. I minuti dell’attesa sono più lunghi degli anni passati, perché i minuti sono quel tempo in cui ti rendi conto cosa manca, specie in assenza di chi ami. Irina, questo lo pensa e lo vive ogni istante.
Poi un giorno, dall’altra parte del mondo, arriva Louis che rimette insieme i brandelli di una donna che non si riconosce più. E’ possibile che una madre sopravviva e riparta con un dolore così? Sì, è possibile. La felicità ancora esiste, Irina lo capisce quando la trova dentro di sé e non da altre parti, quando sente il tempo per quello che è: adesso, senza retrospettive, né proiezioni.
Louis è un nuovo amore che non toglie nulla a ciò che è stato, “toglie lo zaino dalle spalle quando pesa troppo”. In bilico tra ricordare (ricondurre al cuore) e dimenticare (portare lontano dalla mente), Irina trova un nuovo equilibrio, con Louis vicino.
“Mi sa che fuori è primavera“, Concita De Gregorio, Feltrinelli, 2015, un libro a sostegno di Missing Children Switzerland.