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di Loredana Bondi

mamma-figliaHo provato una bella e intensa emozione ascoltando le parole dirette e chiare di una donna, Vaifra ‘Lilli’ Pesaro nata nel 1938, che ha avuto il “coraggio”, così lei sta stessa lo ha definito, di descrivere solo di recente la sua storia: quella di una bambina ebrea che ha vissuto nel periodo delle persecuzioni naziste durante la seconda guerra mondiale.
Ho potuto assistere mercoledì a questa narrazione, insieme a un folto gruppo di ragazzi e ragazze della scuola media “Bonati” dell’Itc “Perlasca” di Ferrara, che hanno affiancato a questa presenza, letture, musiche originali e canti davvero degni di esemplare esecuzione.
Ciò che mi ha commosso è stato sicuramente il ‘portato’ di profonda umanità di una storia personale che Lilli ha ripercorso, insieme a Sara Magnoli , scrittrice, ma soprattutto l’attenzione, il silenzio e la partecipazione dei ragazzi che traendo da questo testo le varie performance, ne hanno fatto un esempio di scuola attiva e responsabile.
Non si è trattato di un ‘rituale’ perché in questa commemorazione c’era il vero valore della memoria e di ciò che un giovane deve poter portare dentro e ricordare, quando è la storia ad indicare le conseguenze dei comportamenti che gli uomini scelgono di adottare e che mettono in gioco la vita e la dignità umana, come abbiamo potuto vedere con il grande dramma dell’Olocausto.
Sara Magnoli ha scritto e curato con Lilli Pesaro un libro davvero originale, “Il sogno di Lilli”, che raccoglie con parole e disegni, la memoria dei sogni e dei fatti che colpirono tragicamente la sua infanzia e che , attraverso il dolore profondo del ricordo, diventano ‘Memoria di tutti’.
La narrazione ha riempito di senso ed emozione profonda tutti coloro che hanno partecipato e ascoltato.
Credo che nel novero delle commemorazioni del 27 gennaio, Giorno della Memoria , questo incontro sia stato davvero importante per una serie di motivi. Il primo è che la testimonianza si è fatta vita vera, una pagina di storia che i ragazzi difficilmente dimenticheranno.

Si tratta di una storia narrata attraverso gli occhi di una bambina che ha sentito attorno a sé cose terribili, spesso sottaciute, a cui non sa dare una spiegazione: le dicono di non dire il suo cognome a nessuno, che non deve uscire dalla casa, non vede più il padre e la madre tenta di consolarla dicendole che deve lavorare e non può tornare, poi sarà la madre a scomparire e si ritroveranno con la fine della guerra. Questa realtà insinua la paura nella sua mente e nel suo cuore, la paura di tutto ciò che vede e sente e quella stessa paura le impedirà di ricordare, di riportare e di rivivere quella memoria e per tanti anni rimarrà sopita.

vaifra-lilli-pesaroDinnanzi ai ragazzi Lilli ora riesce a parlarne lucidamente: lei che, bambina, rimane nascosta per il periodo della guerra in casa di amici a Genova e non può sapere ciò che sta succedendo fuori, le viene nascosta la verità . Viene divisa dal padre e dalla madre perché catturati dai nazifascisti e verrà a sapere della morte del padre Canzio Pesaro, solo alla fine della guerra, perché finito in campo di concentramento ad Auschwitz, fucilato dai tedeschi in fuga, proprio pochi giorni prima della liberazione da parte dei militari sovietici. La madre ammalata, per salvare la bambina dalla cattura dichiara di averla abbandonata e la ritroverà solo dopo la guerra.

E’ una storia generata da una guerra atroce, forse come tantissime, troppe altre , ma ciò che più ha colpito nella Commemorazione di questa giornata, è stato l’atteggiamento degli alunni, che sicuramente ben preparati dai loro insegnanti , hanno dimostrato di saper ascoltare e partecipare, in una condizione socio-educativa ideale per la strutturazione del pensiero critico, della
costruzione di valori comuni alla base della dignità di un individuo.

Allora vorrei aggiungere qualche riflessione che tocca inequivocabilmente l’alto valore dell’educazione nella formazione di un individuo, fin dalla primissima infanzia e che famiglia, e scuola, istituzioni e direi ogni cittadino hanno il dovere di seguire e favorire.
Perché parlare di questo, perché portare alla memoria quanto di più terribile l’uomo può arrivare a fare contro i propri simili, altri che ritiene diversi? Cos’è in fondo la diversità? Perché l’assunto della diversità può rendere addirittura l’uomo folle e, allo stesso tempo, privo di un pensiero autonomo, per soggiacere al pensiero forte, unico e presuntuosamente superiore, che vede il diverso come qualcosa di minaccioso per l’esistenza del proprio potere?
Mi tornano alla mente molti altri testimoni a cominciare da Primo Levi che chiamava in causa anche se stesso sul piano della responsabilità di ciò che è accaduto in quel periodo, per non essere riuscito a reagire e a fermare l’orrore dell’Olocausto, pur essendone stato vittima.

La filosofa tedesca Hanna Arendt nel suo libro “La banalità del male” con intensa lucidità parla dell’orrore come di “normalità umana” che ha in fondo contraddistinto le ideologie naziste che hanno portato all’Olocausto, dopo aver assistito nel 1961 a Gerusalemme al processo al nazista Adolf Eichmann. Durante quel processo, Eichmann mostrò al mondo la sua vera personalità che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non aveva nulla di evidentemente demoniaco; in altre parole il male, secondo la Arendt, non nasce da un’innata malvagità, ma dall’assenza totale di pensiero e di idee e quel criminale nazista si rivelò una persona “banale”, mediocre e non come un demone capace di atrocità come quelle che ordinò ed eseguì contro gli ebrei e i diversi.
Le persone che come lui non riflettono, sono inclini ad eseguire gli ordini imposti dal potere senza nemmeno chiedersi se questi ordini siano giusti o sbagliati; ecco cos’è la banalità del male, nient’altro che la totale assenza di idee. Tale mancanza rende la persona un esecutore meccanico, un burattino. Furono proprio l’assenza di pensiero e l’incapacità di confutazione a rendere Eichmann un criminale.

Dal pensiero della Arendt si ricava che il bene proviene dalla mente, dalla riflessione e dal cuore; il male, al contrario, non si fonda su nulla, nemmeno sull’odio, ma è causato solo dalla totale incapacità critica.
Credo che l’appuntamento con la storia , attraverso la testimonianza diretta, il confronto, la lettura, la parola, pongano le basi del pensiero critico, delle idee di cui i giovani hanno bisogno per distinguere il bene dal male.
A un appuntamento del genere forse era augurabile una più folta partecipazione di genitori, ma la cosa davvero importante è che la scuola possa continuare a rappresentare per i ragazzi un punto fermo per costruire un futuro diverso e i ragazzi di oggi lo hanno dimostrato.

Grazie a tutti gli insegnanti, al dirigente, ai ragazzi e soprattutto a Lilli e Sara.
Quando la testimonianza offre emozione dà senso all’educazione.

 

Guarda il video di Tabloid con l’intervista a Lilli Pesaro

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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