Skip to main content

“L’assemblea pubblica del 30 luglio scorso dopo tre anni di silenzio e di ombre finalmente sembrava potesse segnare una svolta: in quella fase le azioni erano rischio, e sono state di fatto azzerate, ma solo di quelle si parlava, non delle obbligazioni. E ancora non si delineavano i fantasmi di Etruria, Banche Marche e Carichieti. Abbiamo firmato un patto col sangue, noi azionisti, accettando che i nostri titoli fossero svalutati da 41 euro fino a 27 centesimi. Lo abbiamo fatto perché ci avevano assicurato che con quel sacrificio la banca si sarebbe salvata. Ma ci hanno preso in giro…”

Mentre banche e fondi di investimento in questi giorni hanno presentato le loro offerte per la gestione della ‘Nuova Carife’, restano aperte e brucianti le ferite dei creditori della ‘bad bank’ e senza concrete risposte le loro richieste di risarcimento. Con Franco Mingozzi, piccolo imprenditore e titolare di un’officina meccanica in città, presidente nazionale di Unione Cna servizi, spesso interpellato dalle tv nazionali, uno fra i pochi azionisti che lo scorso luglio all’assemblea dei soci espressero senza troppi giri di parole il proprio pensiero in merito alla gestione dell’istituto di credito ferrarese, riprendiamo il filo del ragionamento facendo un passo indietro.

“Sì ci hanno proprio preso in giro – ribadisce – Avevano garantito che con il nostro sacrificio avremmo propiziato il salvataggio della banca, invece sappiamo tutti com’è andata finire…
Ma loro lo sapevano anche allora, conoscevano già il finale. Ecco vorrei almeno che quei due signori che hanno rappresentato la Banca d’Italia pagassero un po’ anche loro il conto del disastro…”

In quell’assemblea lei – con la premessa che nella vita aveva avuto tre certezze (suo padre, Berlinguer e la Carife) e due di queste non c’erano più – ha parlato chiaro e puntato l’indice, additando colpe e colpevoli, con la speranza che almeno la banca si salvasse…
Ho accusato la ‘mia’ politica ferrarese. Se non intervenivo io non diceva niente nessuno. E l’indomani diversi hanno mi hanno chiamato, mettendo in vista la loro coda di paglia. Oltretutto mi hanno dato risposte incoerente, perché non c’erano e non sapevano nemmeno bene di che cosa si era parlato. Forse non avevano nemmeno letto bene i giornali, magari si erano limitati ai titoli per non perdere tempo… Io in verità non ho accusato nessuno, ho espresso il mio parere, ma loro si sono sentiti presi in mezzo perché erano consapevoli delle responsabilità che avevano. Qualcuno ha persino provato a giustificarsi dicendo di non essere stato invitato all’assemblea… Ma come, ho obiettato, ti dovevi legare al portone della Carife per entrare! Qualcun altro ha spiegato che non aveva potuto esserci perché era impegnato altrove… Ma ti pare possibile? Con quel che stava succedendo. Eppure hanno sentito il bisogno di giustificarsi con me, perché non ero stato zitto e avevo denunciato la latitanza della politica. Io ripeto solo che quel giorno i nostri politici dovevano esserci e spendere le loro parole, mettendoci la faccia. Invece tutto è scivolato via. E poi è successo che qualche mese dopo, una bella domenica alle cinque del pomeriggio, si azzera tutto in 20 minuti, il governo decide e i risparmiatori si ritrovano con le tasche vuote. Cosa poteva capitare di peggio? Secondo me hanno agito con leggerezza, senza soppesare bene le conseguenze. E questo comportamento scriteriato sta determinando ora una fuga generalizzata dal sistema bancario. Oltretutto adesso è uscito fuori tutto e si è capito che i problemi non sono solo per le quattro banche fallite, ma anche per tanti altri istituti, da Popolare Vicenza a Veneto banca a molti altri…

Quali peccati di gestione sono stati commessi in Carife?
Siamo passati improvvisamente da un sistema di riferimento provinciale a uno nazionale, allargando gli orizzonti di azione. Forse non avevamo le competenze sufficienti o forse ci si è affidati troppo ai consulenti. Il risultato è che ci siamo impantanati in cose che non ci appartenevano. La nostra è sempre stata una banca del territorio, una vera istituzione per la città, un punto di riferimento importante. Forse gli amministratori sono stati indotti a credere a cose che erano valide solo sulla carta. Ma fra la teoria e la pratica si sa bene che c’è una grossa differenza e le scelte compiute – alla luce di ciò che accaduto dopo – sono state indubbiamente tragiche. Disastrose. Se fatti così succedono in una famiglia, quando ci si accorge di aver sbagliato si torna indietro. Qui invece si è perseverato, si è andati ostinatamente avanti a dispetto di tutti i segnali. Così fra il 2009 e il 2012 la Cassa ha progressivamente perso la propria autonomia fino a passare nel 2013 dal controllo al commissariamento della Banca d’Italia.

E che valutazione dà dell’operato della Banca d’Italia?
Banca d’Italia, direttamente o indirettamente, è stata vari anni dentro a Carife. Mi rendo conto che ci siano problemi per rivoluzionare gli assetti, le prassi organizzative e cambiare il management. Apparentemente qualche segnale di inversione di rotta c’è anche stato, tant’è che a un certo punto la Banca d’Italia ha chiesto – non semplicemente autorizzato ma chiesto – un aumento di capitale di 150 milioni. Una somma precisa, predeterminata quella che evidentemente, secondo i loro calcoli, doveva servire per sanare il deficit. I soldi sono stati raccolti, ma a raccolta finita sono arrivati i commissari. Perché? Avevano visto male? Avevano contato male? Se se l’esito era incerto, allora perché richiedere l’aumento di capitale che ha determinato un ulteriore indubbio impoverimento di un territorio che già aveva sopportato negli anni recenti il peso del crack della Costruttori e di altre importanti imprese del territorio, oltre al terremoto, alla siccità e alle alluvioni… Colpi durissimi, e quello della Carife è stato un acceleratore dell’agonia del territorio, ci ha praticamente ammazzati.

Gli affidamenti bancari, alcuni dei quali fatti forse senza le necessarie cautele, quanto hanno inciso?
Parecchio. È vero che Carife in quanto banca del territorio doveva avere un occhio di riguardo per le imprese locali, ma alcune hanno usufruito di finanziamenti importanti senza offrire le necessarie garanzie. E persino grandi imprese non ferraresi hanno goduto di un metro di misura piuttosto elastico, come Caltagirone e Siano. Ribadisco il concetto: siamo usciti dal nostro territorio seguendo una tendenza e ci siamo trovati invischiati in un terreno paludoso. Siamo stati polli, per non dire di peggio… Ripeto: la banca del territorio deve essere vicino alle imprese locali ma chi chiede troppo e tutto in una volta va guardato con molta circospezione. Invece qualcuno è stato trattato con speciale riguardo.

Abbiamo parlato dei peccati. I peccatori hanno nome?
Non c’è dubbio che il problema nasca dentro Carife. Credo che molti guai siano sorti con la gestione Murolo. Poi magari le carte dei giudici diranno altro, ma io la penso così. Il Cda? Evidentemente responsabilità ce ne sono state anche lì. Alla base forse anche una certa impreparazione al ruolo: c’era gente abituata a fare altro, senza esperienza nella gestione degli istituti di credito, che magari ha valutato l’importanza di chi aveva davanti piuttosto che le garanzie che poteva offrire. Poi c’è da dire che quando il direttore generale afferma con convinzione la propria linea i consiglieri sono indotti ad assecondarlo.

Santini?
Era un duca sui generis, avallava anche cose sconvenienti. Tutto di lui si può pensare tranne che sia un ingenuo, come egli stesso invece ha cercato di dipingersi.

E adesso?
Ora il problema è la Banca d’Italia. E’ stata partecipe in modo incredibilmente importante, non solo controllando in maniera forse non appropriata, ma contribuendo all’aumento del deficit. Il patrimonio – accresciuto con l’aumento di capitale di 150 milioni di euro sollecitato proprio Bankitalia – dopo due anni si era completamente azzerato, non c’era più nulla. Di tutto ciò che si erano impegnati a fare nulla si è avverato. Solo sui prepensionamenti sono stati di parola, bei fenomeni! Non sapevano nulla del territorio, ma hanno messo lì i loro geni della finanza altamente pagati a comandare. La Banca d’Italia ha contribuito a peggiorare la situazione. E noi creditori siamo stati fregati da loro e dalla politica.

Confida nei risarcimenti? Ha intrapreso iniziative per tutelarsi?
Nessuna. Non credo più a nulla, sparano patacche solo per tenerci buoni.

 

Leggi anche: “Suicidio di una banca…”

tag:

Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

I commenti sono chiusi.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it