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NOTA A MARGINE
Con don Ciotti e Libera per costruire ponti verso un futuro di legalità

Dagli oltre 30.000 di Messina agli 8.000 di Reggio Emilia. Oltre 350.000 persone si sono ritrovate ieri in piazza in diverse città d’Italia, per celebrare da Nord a Sud la XXI Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti di tutte le mafie, quest’anno intitolata “Ponti di memoria. Luoghi d’impegno”: per costruire un’Italia che non si limita a dire cosa non va ma si mette in gioco per farle andare. Da Messina, scelta perché il paese ha bisogno non di grandi opere, ma di “ponti che allargano le coscienze e traghettano le speranze”, a Reggio Emilia, la città dei fratelli Cervi e del processo Aemilia, perché è necessaria “l’opera quotidiana di cittadini responsabili” per tradurre “la speranza di cambiamento in forza di cambiamento”. Tutti insieme, dalle 11 in poi per 40 minuti, hanno letto l’elenco di circa 900 nomi di padri, madri, figli, figlie, fratelli e sorelle uccisi dalle mafie nella storia dell’Italia. A Messina nella lettura si sono alternati giovani e famigliari, un ponte di memoria fra adulti e nuove generazioni. Contro “l’anestesia delle coscienze”, “la caduta del senso etico”, una memoria “non di circostanza”, ma “condivisa”, come ha affermato don Luigi Ciotti aprendo il suo discorso, che “non si limita a ricordare le vittime innocenti, ma si impegna a realizzare gli ideali per i quali sono vissute”. Ponti per il futuro costruiti con ideali e parole: scuola, cittadinanza, inclusione, partecipazione, dignità, responsabilità e libertà.

presidio giuseppe francese
I ragazzi del Presidio studentesco Giuseppe Francese di Ferrara a Reggio Emilia

“Nessun ragazzo sia escluso dalla scuola”, una scuola che deve fornire “la competenza alla cittadinanza”, per imparare a “riconoscersi uguali cittadini e diversi come persone” e a comprendere come “la libertà sia il più prezioso dei doni e la più esigente delle responsabilità”. Responsabilità, impegno e partecipazione, perché “le mafie non sono un corpo estraneo, sono i parassiti” che distruggono la nostra società. Noi stessi li alimentiamo, quando non denunciamo un sistema che non rispetta la dignità di milioni di persone, siano esse alle prese con la povertà materiale e culturale, di diritti e di valori, con il ricatto delle mafie e del lavoro nero, o siano gli immigrati “oggetto di accordi umilianti come quello fra Europa e Turchia, frutto dell’ipocrita distinzione tra profugo di guerra e migrante economico – ha denunciato don Ciotti – come se la guerra non fosse combattuta soprattutto con armi economiche e non fosse essa stessa fonte di profitto”. E poi c’è la dignità dell’ambiente in cui viviamo, una questione che secondo don Ciotti riguarda “il bene comune”, non “gli orientamenti personali”: a proposito delle trivellazioni e del referendum del prossimo 17 aprile ha parlato di “diritto delle popolazioni a opporsi allo scempio della propria terra”.
Un’altra parola per costruire ponti è “inclusione”, che “sta alla base della democrazia”. “Le mafie e la corruzione non troveranno spazio in comunità solidali, inclusive”, se “insieme sapremo vincere l’egoismo, l’indifferenza, l’opportunismo”, definiti da don Ciotti “i peccati più grandi della nostra epoca”.
Un ricordo agli amministratori, ai magistrati e alle forze di polizia che fanno il proprio dovere con coraggio, ai giornalisti che raccontano l’Italia che resiste e che si impegna, a Ignazio Cutrò e a Tiberio Bentivoglio, che con la loro testimonianza di dignità sono diventati parole di carne, ai “giovani dell’area penale della giustizia minorile”, che devono essere aiutati “a prendere coscienza delle proprie responsabilità”. Infine il richiamo alla Costituzione come “primo testo antimafia del nostro paese”, “bisogna amarla e applicarla”, “dobbiamo farla diventare costume e cultura”. In essa sono sanciti i “diritti sociali” senza i quali non si possono esercitare i diritti politici e civili.
Don Ciotti però non ha omesso le preoccupazioni che intralciano la costruzione di questi ponti di memoria, di impegno, di libertà: sull’iter della legge istitutiva del 21 marzo, che ha appena passato la prima lettura in Senato, e riguardo i beni confiscati, “uno strumento non usato in tutte le sue potenzialità”. Per giocare questa partita decisiva “occorre un’agenzia nazionale più attrezzata”, “un maggior coinvolgimento degli enti locali”, “occorre evidenziare il valore etico e sociale” delle esperienze di riutilizzo sociale e rimettere al centro “il problema delle aziende: il grande fallimento di questi anni”.

Il 21 marzo a Ferrara
Anche a Ferrara il 21 marzo è iniziato con il nome di una vittima innocente delle mafie: Roberto Mancini. Mancini, come ricordato dal referente del Coordinamento provinciale di Ferrara di Libera Donato La Muscatella, è morto nell’aprile 2014, a 53 anni, per cause di servizio: è l’investigatore che con le sue indagini, all’inizio degli anni Novanta, ha anticipato di 15 anni Gomorra e la Terra dei Fuochi. Da quelle indagini alla fine è stato avvelenato.
A Ferrara questo 21 marzo si è parlato di ecomafie, dei nuovi strumenti per combatterle e di come riconoscerne i primi sintomi, con l’incontro “A munnezza è oro. Una strage silenziosa. Società civile e diritto nel contrasto alle ecomafie” – presso il dipartimento di Giurisprudenza – e la presentazione del libro di Daniela De Crescenzo “Così vi ho avvelenato. Il grande affare dei rifiuti tossici raccontato da un boss della camorra” (Sperling and Kupfner) alla libreria Feltrinelli. Entrambi gli eventi sono stati organizzati in collaborazione da Comune di Ferrara, Coordinamento Provinciale di Ferrara di Libera, Laboratorio MaCrO del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara, Regione Emilia Romagna e Avviso Pubblico – Enti Locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie.
Alessandro Bratti, presidente della commissione parlamentare ecomafie – che quest’anno compie vent’anni, come la legge sulla confisca e il riutilizzo sociale dei beni della criminalità organizzata – nel suo intervento ha sottolineato la stretta connessione fra ecomafie e corruzione e come i reati ambientali rappresentino un vulnus non solo per l’ambiente, ma anche per la salute e l’economia di un territorio. E non è detto che il territorio sia solo quello campano. La distrazione di risorse economiche dall’economia legale e la creazione di una competizione distorta, sbilanciata a favore di chi non rispetta le regole, per non parlare degli enormi introiti che poi vengono riciclati in altre attività, sono tutte conseguenze dei fenomeni di “illegalità ambientale”, termine secondo Bratti preferibile al più evocativo ‘ecomafie’, che coinvolgono tutto il nostro paese. Gli eco-reati, come il traffico e lo smaltimento illegale di rifiuti, sono un vantaggiosissimo business per i clan; anche per questo c’è ormai una vera e propria internazionalizzazione, con direttrici che portano soprattutto verso Cina, Albania e Romania.
Bratti ha spiegato poi come ad aver favorito l’illegalità sia stato anche il fenomeno dei “commissariamenti”: agendo in deroga alle leggi ordinarie, la gestione del ciclo dei rifiuti è avvenuta “in regime emergenziale”, per esempio con affidamenti diretti senza gare. E questo non ha giovato alla trasparenza e alla legalità. Per quanto riguarda l’amministrazione, l’onorevole ha puntato il dito contro “la gestione clientelare del consenso”, attraverso “assunzioni nelle società” per la gestione della raccolta e dei trasporti dei rifiuti.

copertina ecomafie
La copertina del libro

Anche alla Feltrinelli si è parlato della pervasività geografica degli eco-reati. Non si tratta solo del fatto che i rifiuti smaltiti illegalmente venivano dalle imprese del Nord Italia. Daniela Di Crescenzo, autrice di “Così vi ho avvelenato”, ha rivelato che in realtà “non possiamo sapere fino in fondo dove siano finiti i rifiuti”. Il suo libro si basa sulle rivelazioni del pentito di Camorra Gaetano Vassallo, che racconta come in molti casi non avesse mai visto il materiale da smaltire, ma avesse “solo venduto la bolla”, cioè “la ricevuta delle spese di smaltimento”. Per Daniela il veleno dei rifiuti è anche il veleno morale della corruzione, che contagia e contamina le coscienze di amministratori, tecnici, imprenditori, “tutto per denaro”. “In Campania come in Veneto” il meccanismo è lo stesso, ha affermato Bratti. E ora, concordano i due, con “500 milioni circa messi a disposizione del sistema”, il rischio è che si crei un nuovo business: “quello delle bonifiche”. In altre parole “il rischio è che oggi bonifichino le stesse persone che prima hanno inquinato”, ha detto Di Crescenzo.
Tuttavia qualcosa è cambiato: dal maggio 2015 con la legge n°68 il Parlamento ha introdotto i reati ambientali nel Codice Penale e il bilancio fra guadagni e rischi delle attività illegali nel settore ambientale non è più così vantaggioso. La legge è un “passaggio importante”, perché fattispecie come inquinamento e disastro ambientale, abbandono illecito e impedimento del controllo, sono ora punibili penalmente e perché si è dato “specifico rilievo alle connessioni fra criminalità organizzata e crimini ambientali”, ha spiegato Costanza Bernasconi di Unife. Anche gli interventi di Giuseppe Battarino, consulente della Commissione Parlamentare Ecomafie, e di Antonio Pergolizzi, dell’Osservatorio nazionale ambiente e legalità di Legambiente, si sono focalizzati sulla nuova legge sugli eco-reati del maggio 2015. Pergolizzi ha parlato di “strumenti più efficaci per perseguire questi crimini odiosi”, come dimostra anche il dossier che verrà presentato proprio oggi da Legambiente sui “primi dieci mesi di applicazione” delle nuove norme: i numeri parlano di “1000 notizie di reato” e “784 prescrizioni” comminate.

A margine delle iniziative, abbiamo chiesto all’onorevole Bratti – che riveste anche la carica di presidente degli Ecologisti democratici ed è coordinatore dei parlamentari Ecodem – un commento sul referendum sulle trivellazioni, al quale anche don Ciotti aveva accennato in mattinata durante la manifestazione di Messina. La sua posizione è netta: “noi riteniamo che questo sia un referendum assolutamente inutile e fuorviante, perché che vinca il sì o che vinca il no, il giorno dopo non succede assolutamente nulla. Detto questo, dato il valore simbolico insito in ogni referendum, riteniamo si debba andare a votare ed esprimere il proprio voto. Però deve essere chiaro che questo referendum non cambia, se non di pochissimo, lo sfruttamento delle risorse fossili autoctone. Il tema vero è la rivisitazione della strategia energetica nazionale”.

Il 21 marzo a Reggio Emilia e a Ferrara (clicca sulle immagini per ingrandirle)

Libera Reggio
La manifestazione di Reggio Emilia
Libera Reggio
La manifestazione di Reggio Emilia
Libera Ferrara
L’incontro a Giurisprudenza
Libera Ferrara
La presentazione alla Feltrinelli

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Ponti di giustizia e legalità

Guarda il video della piazza di Messina

LA LETTERA
Intervento della polizia all’Ipsia Ercole d’Este: parlano gli studenti

da: studenti tutor Ipsia Ercole d’Este

IMG-20160319-WA0001Cari lettori,
noi studenti dell’IPSIA siamo consapevoli di ciò che è accaduto, e non intendiamo assolutamente minimizzarne la gravità. Tuttavia, noi tutor, parlando a nome di tutta la scuola, riteniamo di doverci dissociare da quanti pensano che l’IPSIA sia un luogo adibito allo spaccio e privo di regole: infatti quanto è accaduto rappresenta l’eccezione e non certo la regola!
Noi non siamo né migliori né peggiori dei ragazzi delle altre scuole, siamo ragazzi che credono in loro stessi, nelle loro capacità e progetti futuri, e che ogni giorno affrontano la scuola con serenità e dedizione.
Nessuno di noi è depositario di certezze, nessuno di noi giudica gli altri e nemmeno vuole essere giudicato secondo degli stereotipi che non hanno nessuna base.
Cari lettori, quanti di voi ragionano secondo gli stereotipi? Quanti di voi si mettono in discussione e conoscono la realtà di ogni singola scuola? Siete sicuri che noi rappresentiamo il degrado? Sinceramente noi, i 287 alunni dell’IPSIA, rispondiamo di no.
Noi pensiamo invece che non bisogna nascondere i problemi, ma affrontarli con determinazione e tramite questi crescere e dimostrare tutti i nostri punti di forza, che grazie alla scuola abbiamo la possibilità di esprimere.
Purtroppo però, come sempre accade, non fa notizia il nostro entusiasmo, il nostro impegno quotidiano e la nostra creatività. Fa più rumore un albero che cade, di una foresta che cresce.
Dopo avervi suscitato dei dubbi ed esserci messi in discussione, lo scopo di queste parole è di farvi conoscere il nostro lato migliore. Il bello di fare tante attività che ci permettono di diventare, prima che studenti, cittadini consapevoli, inseriti nella società, e futuri lavoratori in un mondo che purtroppo ha dimenticato la dignità del vero lavoro.
Per questo vogliamo riportare solo alcune delle attività che nel nostro Istituto sono state svolte nel corrente anno scolastico durante la pausa didattica (tra il primo e il secondo quadrimestre): promozione servizio civile, incontro con l’AVIS per sensibilizzare sul tema dellla donazione, corso sulla sicurezza in preparazione all’alternanza scuola-lavoro; incontro con i carabinieri e con la polizia per discutere rispettivamente di legalità e di prevenzione al bullismo (che secondo un altro stereotipo diffuso sarebbe appannaggio della nostra scuola); incontro con la Caritas per sensibilizzare alcune classi al volontariato; progetto ADMO (donazioni di midollo osseo); laboratori teatrali e proiezioni di film; sfilate e tante altre attività.
Ci auguriamo che questi aspetti positivi della nostra scuola ottengano la stessa visibilità che fino ad ora ha riguardato solo quelli negativi.

LA BELLEZZA CI SALVERÀ
Visitare Cuba… in attesa di un’altra Rivoluzione

I nostri mesi invernali sono ideali per visitare I’area Caraibica.
Piove a tratti e con intensità, siamo ai tropici, ma quando i giorni sono soleggiati si possono toccare i 35°, ottimi per un fantastico bagno nel Mar Caraibico.
Cuba è l’umanità carnosa che conosciamo, è la vegetazione che deborda, è il ballo e il canto, è ‘el ron’ (o rum), i cocktail sulle auto americane, è il coloniale e il barocco, il sole, il mare, l’Hemingway Special e la Revolucion o, perlomeno per chi vuol vedere, quel sogno drammaticamente infranto che ha ubriacato diverse generazioni e alimenta ancora qualche nostalgico – molti italiani – che si aggira per L’Avana nel nome del Che e di Fidel. Cuba è unica nell’universo caraibico per quel clima decadente che si respira per le vie di L’Avana. Palazzi oggi fatiscenti che lasciano immaginare una città superlativa e ricca al tempo della borghesia e dei mercanti di tabacco, di caffè, della canna da zucchero, coltivate da quei diversi milioni di schiavi neri forzatamente imbarcati dall’Africa.
Cuba ha capi orgogliosi, ma è rassegnata nella gran parte della popolazione: è in ginocchio, ha un’economia senza finanza e con nessun punto di forza, salvo il turismo per stranieri, che però può contare su pochissime strutture accettabili di ricezione. Minima la conoscenza dell’inglese (ostacolato), si parla solo spagnolo quindi un italiano si arrangia, ma sempre lì si finisce: “come va con il modello Fidel?” Con molta diffidenza e riluttanza i cubani ne parlano, senza dimenticare che fra canti, musica, danze in ogni angolo, ci troviamo nel pieno di una dittatura comunista, che opprime gli oppositori con i metodi usuali.
Viaggiare attraverso Cuba in auto è piacevole, gli autisti negoziano i costi dei percorsi e potete scegliere fra auto americane Dodge, Chevrolet, Ford, Pontiac dal ‘50 fino al ‘58 (con nuovi motori Hyunday, Mitshubishi). Le buche non vengono chiuse, il vero dramma dei driver è che rischiano i semiassi ogni volta che escono, mentre sul ciglio stradale troneggia martellante la propaganda politica del Che e di Fidel: “El pueblo unido jamás será vencido”.
Le vallate delle piantagioni del tabacco, un vero paradiso naturale, ospitano in condizioni per noi europei perlopiù inaccettabili, una popolazione all’apparenza serena; i mezzi di locomozione più popolari sono i piedi, il calesse, il cavallo. Le case dell’interno sono estremamente povere e contrastano con quelle eleganti del quartiere abitato dalla nomenclatura di L’Avana, l’area Miramar: pulita, ariosa con ville e parchi destinati ai politici locali e agli ospiti internazionali.
Trinidad deve essere visitata: un gioiello di città con cinquecento anni di vita, con case coloniali barocche intorno alla Plaza Mayor e dove, dalle finestre aperte, si possono ammirare con invidia arredi coloniali e liberty quasi fossero negozi di antiquari illuminati dai meravigliosi lampadari con cascate di gocce di cristallo.
I musei sono chiusi, tranne quello della Rivoluzione, dove si celebra la vittoria nella Baia dei Porci.
Le verdi campagne a fianco delle strade sono ricchissime d’acqua, ma non sono coltivate. I cubani ci dicono che se uno lancia un seme dopo un giorno già cresce qualcosa, ma nessuno è incoraggiato a coltivarle.
Un universo multietnico che oggi pare viva un’integrazione felice in un equilibrio sperimentale fra bianchi, di colore, mulatti, meticci e i pochi Indios salvatisi dall’occupazione spagnola.
I cubani, liberati dalla dittatura di Batista nel 1959 dalla rivoluzione castrista, sono stati poi costretti dallo stesso Castro in una camicia di forza con la quale non è consentito conoscere il mondo e che oggi intrappola e condanna al silenzio la generazione digitale.

cuba

Un paese purtroppo orientato verso un destino incerto e senza obiettivi, a meno che qualcosa non succeda.
Ed ecco apparire Obama e la soluzione, a poche miglia marine verso la Florida, nel passato via di fuga dei perseguitati da Castro e oggi orizzonte di nuove opportunità, ma che viaggiano in direzione opposta. Da ieri, per la prima volta dopo 88 anni, un Presidente Usa è in visita nell’isola caraibica, per una tre giorni di carattere politico e…commerciale: una compagnia alberghiera americana ha appena firmato un accordo per la gestione di tre strutture a L’Avana.
Le diverse sfumature con le quali i cittadini cubani vivono le aspettative, nell’attesa di una seconda rivoluzione, non limitano il loro guardare verso Nord, verso quella terra a stelle e strisce che potrebbe rappresentare la nuova frontiera per intraprendere un nuovo cammino e realizzare nuovi sogni in una nuova rivoluzione che, è un augurio, non li spogli di una cultura secolare e di una identità originale.
Ci hanno detto “la teoria della rivoluzione è una cosa, la pratica purtroppo è diversa”.
Cuba è affascinante, visitatela subito. Miami è troppo vicina.

L’INTERVENTO
La casa del sisma: gli avvocati della famiglia Zaniboni rispondono al sindaco di Vigarano

Da avvocato Giovanni Govi e avvocato Valerio Guazzarini

La famiglia Zaniboni, per il tramite dei propri legali Avv.ti Giovanni Govi e Valerio Guazzarini, tiene a formulare alcune fondamentali precisazioni rispetto ai contenuti dell’articolo relativo al contenzioso in essere con il Comune di Vigarano Mainarda ed alle dichiarazioni del Sindaco e funzionari comunali ivi riportate.
In primo luogo, si tiene a rimarcare che la condizione di inagibilità dell’intero immobile di proprietà Zaniboni è stata, in primis, attestata dai Tecnici della Protezione Civile, come inequivocabilmente emerge dal contenuto della scheda Aedes n. 11 del 4/7/2012, ove, per l’appunto, tali Tecnici (anche evidenziando la completa accuratezza della verifica dai medesimi condotta) si esprimono in termini di inagibilità dell’intero edificio per alto rischio strutturale.
Dunque, i Tecnici della famiglia Zaniboni – peraltro qualificatissimi esperti che hanno redatto perizie e formulato valutazioni sotto la propria responsabilità – in sostanza si sono espressi in linea con quanto era già stato accertato dalla Protezione Civile.
S’aggiunga che in conformità con quanto attestato dalla Protezione Civile si è anche recentemente espresso il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Ferrara che, in esito a sopralluogo del 18/01/2016, ha confermato come l’intero fabbricato in questione sia, nella sua interezza, non fruibile proprio a causa delle “lesioni diffuse alle strutture” derivanti dalle scosse sismiche verificatesi durante il terremoto del 20 – 29 maggio 2012.
Dunque, il Comune, con il diniego di contributi e la revoca dell’Ordinanza di sgombero (ossia con gli atti impugnati innanzi al TAR nel giudizio tutt’ora in corso), ha ritenuto di basarsi sugli asseriti (e contestati) esiti di quell’unico sopralluogo svolto – in pochi minuti e senza particolare approfondimento – dall’Ufficio Intercomunale.
Ciò, quando, invece, tutti i sopralluoghi e le verifiche analitiche e circostanziate condotte dagli altri tecnici (ossia, tanto da quelli incaricati dalla proprietà, quanto da quelli della Protezione civile e dal Comando dei Vigili del Fuoco) hanno portato all’accertamento dell’inagibilità dell’intero immobile per gravi lesioni alle strutture.
Quanto, poi, allo stato del contenzioso, si tiene a ribadire come, ad oggi, si siano avuti soltanto pronunciamenti relativi alla c.d. “fase cautelare”, non essendosi ancora giunti ad una disamina nel merito da parte del Tar (innanzi al quale la causa tutt’ora pende).
In proposito, fermo che nel caso di specie risulta sussistere un gravissimo pregiudizio per la famiglia Zaniboni (atteso che l’inagibilità della propria abitazione incide anche sui diritti – costituzionalmente garantiti – alla casa ed all’incolumità), v’è, comunque, da evidenziare che il Consiglio di Stato, nell’Ordinanza con cui si è esclusivamente pronunciato in via cautelare, ha rilevato che “il provvedimento di diniego dei contributi comporta un danno di natura patrimoniale”.
Ciò, dunque, con la conseguenza che, ove le ragioni della famiglia Zaniboni vengano accolte nel merito, incomberà sull’Amministrazione comunale l’obbligo di risarcire il ricorrente della somma di € 917.637,45 oltre iva (corrispondente ai contributi negati), oltre ad interessi e rivalutazione, ed oltre ad ulteriori danni subiti e subendi anche sotto il profilo morale, esistenziale, biologico e psicofisico.
In proposito, si deve, altresì, rimarcare che la richiamata Ordinanza del Consiglio di Stato riconosce la rilevanza dell’accertamento tecnico per la cui ammissione rimanda al TAR.
Il che è, in verità, in linea con la richiesta di Consulenza Tecnica d’Ufficio formulata da parte Zaniboni sin dal ricorso introduttivo al TAR.
La famiglia Zaniboni, infatti, sin dal primo atto del contenzioso in essere, ha richiesto che lo stato della propria abitazione (e, dunque, il livello di danno e l’inagibilità della stessa) vengano, per l’appunto, constatati da un tecnico nominato dal TAR e, dunque, da un tecnico che dovrà essere super partes.
V’è, dunque, non solo la disponibilità all’effettuazione di ulteriori verifiche (per quanto le risultanze degli accertamenti svolti dalla Protezione civile, dal Comando dei Vigili del Fuoco e da tutti i tecnici incaricati dalla Proprietà, siano conformi nell’attestare la richiamata inagibilità dell’intero immobile), ma nuovi accertamenti sono addirittura auspicati, purché condotti da tecnici effettivamente obiettivi.
Quanto, poi, ai riferimenti alle richieste di sopralluogo dei tecnici della Regione – tecnici attivati dal Comune – si precisa che di tali richieste due non sono state accolte per insufficiente preavviso e per sussistenza di precedenti impegni della famiglia Zaniboni.
L’ultima richiesta di sopralluogo, invece, è stata declinata in considerazione della circostanza che, nelle more, è avvenuto il deposito, presso la Procura della Repubblica di Ferrara, di una denuncia da parte della sig.ra Zaniboni e dunque, nella consapevolezza che la ridetta denuncia avrebbe potuto minare la serenità dei funzionari regionali che si fossero espressi, ritenendo opportuno rinviare ogni ulteriore accertamento in attesa degli accertamenti della Magistratura.
Tanto posto, e pur con tutte le riserve del caso, prendendo atto delle recenti esternazioni del Sindaco circa il fatto che la “prima preoccupazione” dello stesso Sindaco sarebbe la “sicurezza”, la famiglia Zaniboni tiene a evidenziare nuovamente la propria disponibilità all’effettuazione di un sopralluogo da parte dei tecnici regionali, ovviamente in contraddittorio con i propri tecnici.
Disponibilità che viene rinnovata nell’auspicio che ciò finalmente conduca ad una definizione rapida ed obbiettiva della vicenda e, dunque, non determini ulteriori ingiustizie a carico della famiglia Zaniboni.
Ciò, sempre fermo che l’inagibilità dell’immobile già risulta dalla documentazione tecnica da tempo in possesso del Sindaco (documentazione, come ricordato, proveniente dalla Protezione Civile, dal Comando dei Vigili del Fuoco e dai numerosi tecnici incaricati dalla Proprietà) e, dunque, sempre fermo il dovere del Sindaco di prendere atto di tali risultanze (ed, in proposito, si rimarca che anche il Consiglio di Stato, nella citata Ordinanza, tiene a richiamare i “poteri” – con i connessi doveri – “sindacali a tutela della pubblica incolumità”).
D’altro canto, tale rinnovata disponibilità viene ad essere esternata anche in considerazione della circostanza che il Sindaco, sul quotidiano on –line “Estense.com” , ha, comunque, pure dichiarato “l’attiguo fienile, che è ufficialmente inagibile e riceverà i fondi per il ripristino” .
Anche se, in verità, nel caso di specie, come abbondantemente documentato, ciò che viene definito “fienile” è, a tutti gli effetti, parte dell’unica abitazione, le riportate affermazioni del Sindaco costituiscono una novità che ci si augura possa essere un primo passo verso il riconoscimento alla famiglia Zaniboni di tutto ciò che alla stessa spetta.

IL FATTO
Clara, la nuova frontiera della raccolta dei rifiuti in provincia di Ferrara

Si chiamerà “Clara – Servizi Ambientali per il Territorio” la Newco nata dall’unione delle società Area Copparo e Cmv, le due multiutility in-house specializzate nella raccolta rifiuti e servizi, che conta fra i soci 22 comuni della provincia di Ferrara. Nome, logo e sede sono stati svelati ieri mattina in conferenza stampa in comune a Copparo; al tavolo dei relatori il sindaco di Cento, Piero Lodi, e quello di Copparo, Nicola Rossi, l’amministratore unico di Cmv Raccolta, Nicoletta Bologna, e Gian Paolo Barbieri, attuale presidente di Area.
“Abbiamo voluto svelare logo e nome con sei mesi di anticipo rispetto alla chiusura della procedura di fusione fra le aziende – ha spiegato Barbieri – per dare la possibilità ai nostri utenti di abituarsi al nuovo nome, per imparare a conoscerci.”
Azzurro e verde, il logo della Newco riprende i colori che hanno caratterizzato per tanti anni le due aziende e diventa il marchio di una nuova realtà del territorio che non intende perdere il contatto con i cittadini.
“In rappresentanza di tutti i comuni soci di Cmv sono felice di poter dire che questa giornata è un punto di approdo, per il duro lavoro fatto in questi mesi, ma è anche un nuovo inizio – ha spiegato il sindaco Lodi – Con la nascita di Clara si apre una nuova dimensione geografica e politica: geografica perché tutti i comuni del ferrarese, eccetto Ferrara e Argenta, entrano a far parte di una stessa realtà territoriale che fornisce ai cittadini interessati un interlocutore unico, più forte e credibile. Con la nuova società facciamo un grande passo avanti verso la semplificazione, superiamo i campanili unendo luoghi e prassi per dare ai nostri cittadini una maggiore efficienza di governance. Diventiamo infatti più grandi, ma non perdiamo affatto la nostra identità locale”.
A fare eco il sindaco di Copparo: “E’ l’inizio di un nuovo percorso che sconvolge un po’ il punto di vista culturale che avevamo della raccolta dei rifiuti: si focalizzerà sul cercare la migliore risposta possibile delle comunità di riferimento. Il prossimo step sarà riuscire a creare un’azienda in grado di fare del rifiuto una risorsa. La nostra volontà è migliorare la vita e la salute dei cittadini, ma anche riuscire ad abbattere le tariffe, dopo un momento di investimento necessario sono sicuro che ci riusciremo”.
Concorda con il beneficio che la fusione porterà alla comunità anche l’amministratore unico di Cmv Raccolta, Nicoletta Bologna. “Questo percorso fatto assieme sarà assolutamente positivo per i cittadini, stiamo lavorando per questo.”
“Anche se l’iter di fusione non è ancora terminato – ha concluso Barbieri – noi stiamo interagendo e lavorando già come una sola azienda, con incontri settimanali per procedere unitariamente su tutti i fronti e le idee chiare rispetto a quello che sarà. I prossimi passi saranno innanzitutto la consegna dei bilanci consuntivi 2015, necessari per il riparto delle quote, poi la conclusione del confronto con i sindacati, per gli aspetti legati al progetto di fusione dal punto di vista della gestione dei nostri lavoratori, infine il voto del progetto di fusione in tutti i consigli comunali interessati. A settembre avremo quindi l’atto formale di fusione e la nascita di Clara.”
Il Consiglio di Amministrazione sarà composto da un rappresentante ex Area, uno ex Cmv e uno di Comacchio, visto che è atteso l’ingresso nella in-house anche del comune costiero. I nominativi dei membri del Consiglio saranno indicati dai soci.
La sede principale sarà a Copparo, nella struttura dell’ex caserma dei Carabinieri, di fianco alla sede del Municipio: l’edificio è in disuso e sarà oggetto di una ristrutturazione importante, così come potrebbe essere inglobato nel progetto la palazzina dell’ ex dispensario dell’AUSL, per la cessione del quale sono in corso serrate trattative.
“Resteranno operative le due sedi attuali, tutti gli sportelli per l’utenza e i servizi di call center – ha rassicurato infine Barbieri – Clara si presenta ai cittadini come un’azienda maggiormente efficace e competitiva, con un bacino di 120.000 clienti domestici e 13.500 aziende su un territorio di quasi 2.000 chilometri quadrati di superficie, ma vicina agli utenti”.

LA SEGNALAZIONE
Unlearning, il film documentario di Lucio Bassadone, fa tappa al Ferrara Sharing Festival

da: ufficio stampa Sedicieventi

Non poteva essere altrimenti! Farà tappa anche al Ferrara Sharing Festival il tour di Unlearning, film documentario di Lucio Bassadone che racconta il viaggio di una famiglia italiana alla scoperta di nuovi modelli di vita basati sulla sharing economy.

Reduce dal successo nei maggiori festival di documentario italiani e internazionali e dopo la prima proiezione di gennaio, la pellicola sarà nuovamente proposta al pubblico del cinema Boldini sabato 21 maggio alle ore 17.30.

L’iniziativa, organizzata tramite Movieday (piattaforma web che consente a chiunque di proporre proiezioni in alcune sale cinematografiche) si inserisce in un più vasto calendario di appuntamenti culturali e musicali, promossi in collaborazione con Arci Ferrara. Fra questi, il Primo Festival Musicale delle Produzioni dal basso, ideato da artisti che hanno prodotto le proprie opere grazie a piattaforme sharing e ad altre forme di condivisione e autoproduzione.

Da oggi ed entro il 14 maggio, è necessario prenotare online (http://www.movieday.it/event/event_details?event_id=311) il biglietto per Unlearning , per raggiungere il quorum minimo di partecipanti che permette la conferma dell’evento. Il film è un appassionante racconto di una famiglia in viaggio che accetta di mettere in discussione il proprio modo di vivere sperimentando modelli alternativi basati sul baratto: dal Woofing (ospitalità in cambio di lavoro in fattorie biologiche), al WorkAway (ospitalità in cambio di sostegno a progetti di strutture indipendenti nel mondo dell’arte, della cultura e dell’educazione), dall’Home Excange (scambio di appartame6292e85c-d647-4bb5-a0d0-af311a1b12cbnto) al Couch Surfing (“scambi di divano”, ospitalità con altre famiglia). Tutti temi dibattuti e di grande attualità che verranno approfonditi, insieme a molti altri argomenti, nei giorni del Ferrara Sharing Festival. La rassegna, organizzata da Sedicieventi con il patrocinio del Comune di Ferrara e la direzione artistica di Davide Pellegrini (Presidente Aise Associazione Italiana Sharing Economy), chiamerà a raccolta cittadini, Istituzioni ed esperti del settore all’insegna del claim Condivido Pienamente!

L’appuntamento è dal 20 al 22 maggio 2016 nel capoluogo estense: vi aspettiamo!

www.sharingfestival.it
Facebook, Twitter e Instagram: @SharingFestival

RIFLETTENDO
Perché gli scrittori devono essere giovani

Quant’è bella giovinezza / che si fugge tuttavia!  / Chi vuole esser lieto, sia, / di doman non c’è certezza. (Lorenzo il Magnifico)

scrittoriSarò impopolare. Un po’. Forse molto. Da tempo ormai volevo scriverne e sono giunta a un momento tale della vita nel quale non mi interessa troppo il giudizio altrui. Dire quello che si pensa, sempre, ovviamente nei limiti della correttezza e puntando all’obiettività per quanto possibile, anche a costo di non piacere. Non è che non mi senta più tanto giovane, anzi. Ma a volte, forse spesso, incentivando e premiando alcuni, pur volendo ben fare, si fa torto ad altri e non si garantiscono reali pari opportunità. Mi riferisco a molti concorsi e premi di scrittura. Perché sempre per under qualcosa (di solito 30-35)? E gli altri? Non fraintendetemi, ve ne prego, non voglio dare l’idea della persona matura, per quanto soddisfatta, che non vuole dare spazio ai giovani, lungi da me. Ad essi immensi spazi prima di tutto. Mi domando però perché i talenti letterari devono sempre essere per forza under? Basta pensare al grande Camilleri: se avesse cercato visibilità e notorietà’ attraverso simili canali, probabilmente non lo avremmo mai letto. Se poi anche Meryl Streep ha fondato un laboratorio di scrittura per donne quarantenni e oltre (The Writers Lab, vedi), forse non sono la sola a pensarla così. timthumbPerché si deve sempre parlare di scrittori “giovani” emergenti e non limitarsi a un più generico e meno discriminante scrittori “emergenti”? Molti premi prestigiosi non danno solo un supporto finanziario, ma portano anche a benefici a medio-lungo termine per la carriera di scrittore. Non si tratta quindi solo di soldi, ma di una reale possibilità di emergere. Ben vengano, quindi, i riconoscimenti letterari a chi cerca di farsi conoscere, ma se essi riguardano solo giovani, a mio avviso un problema c’è. In un mondo come quello di oggi che, con internet che imperversa, si apre sempre di più a tutti, questo tipo di iniziativa è ormai datata, obsoleta. E, anche se non intenzionalmente, è anche un po’ discriminatoria. Essere scrittori emergenti significa semplicemente essere scrittori alle prime armi, indipendentemente dall’eta’. E molti lo sono verso i 40 anni, quando esperienza di vita e maturità di pensiero e di scrittura hanno fatto il loro corso. Non tutti sono geni letterati dalla nascita, la scrittura richiede tanto allenamento e studio. Una palestra quotidiana, che spesso da i suoi frutti con il tempo. Scrivere da giovani e’ poi spesso un vero privilegio, non tutti possono permetterselo, se si deve lavorare e combattere con le preoccupazioni quotidiane di un’eta’ dove si iniziano a gestire molte preoccupazioni da soli. Si possono avere più lavori, figli piccoli e mille incombenze. Trovare una stanza tutta per sé non è sempre facile in quel momento. Non si tratta di istituire premi per over, ma magari, semplicemente, di togliere il requisito dell’età e focalizzarsi sul momento della vita e la fase della scrittura, emergente o meno. Forse giovane è sexy (e vende) ma emergente è rock. Almeno per me.

Immagine in evidenza Scuola Holden

 

NOTA A MARGINE
Il design in Italia oggi, fra modelli ingombranti e troppi luoghi comuni

Tracciare un profilo ben definito del designer contemporaneo oggi risulta difficile. Farlo in casa nostra, l’Italia, da sempre considerata patria del buon gusto, dell’estetica, del tanto inneggiato ‘made in Italy’, è paradossalmente ancora più complicato. Qual è allora lo stato del design italiano?
A questa difficile domanda ha provato a rispondere il corso di laurea in Design del prodotto industriale del dipartimento di Architettura di Ferrara, organizzando un seminario dal titolo “Design in Italia oggi. Luoghi comuni e mestieri speciali”, tenuto da Chiara Alessi.
Giornalista, saggista, collaboratrice per riviste come “Domus”, “Interni”, “Klat” e il “Fatto Quotidiano”, dove tiene un blog, Chiara Alessi si occupa prevalentemente di design in ambito giornalistico, con una particolare attenzione al rapporto tra il design stesso, la critica e la società. Negli ultimi due anni ha pubblicato per Laterza due saggi (“Dopo gli anni zero. Il nuovo designi italiano ”, 2014, e “Design senza designer”, 2015), entrambi frutto di approfonditi lavori sul campo per delineare una mappatura circa la situazione odierna di questo settore lungo la penisola.

Introdotta dal coordinatore del corso di laurea Alfonso Acocella e dal professor Dario Scodeller, la giornalista ha subito chiarito come come il cosiddetto ‘anno zero’ del design sia “un anno che circoscrive un’epoca critica, dato che viviamo in tempi in cui la nostra generazione dà per scontate un’infinità di cose, finendo poi per perdere di vista i filtri e il contatto con la realtà del mondo che ci circonda”. Il quesito necessario da porsi è quindi di che cosa stiamo parlando davvero: esiste ancora il concetto di design nel nostro Paese? Alessi risponde ammonendo che “all’estero si critica tanto il design italiano perché i primi a criticarlo siamo noi stessi” e, scorrendo numerose citazioni di personaggi illustri di questo settore, aggiunge quanto “sia necessario trovare un nuovo punto di partenza e staccarsi dall’epoca dei grandi maestri, oggi diventata troppo ingombrante per le nuove generazioni in cerca di stimoli diversi. Io ho avuto la fortuna di girare l’Italia da Nord a Sud e posso assicurare che esistono tante potenzialità, tante idee e interessi da valorizzare”.

Il problema è quindi uno sguardo rivolto indietro verso un grande passato che si manifesta in un’arretratezza diffusa: “quando si entra nella sala d’ingresso del tempio del design italiano, il Politecnico di Milano – continua Alessi – le gigantografie dei principali designer italiane sembrano quasi dire ‘noi siamo la storia, voi ora datevi da fare…’”. Inoltre, le riviste specializzate non hanno più il ruolo di un tempo quando erano considerate “veri e propri laboratori di lavoro e orientamento, fucine di idee alle quali si prestava particolare attenzione”. Problemi da ricercare anche in alcuni equivoci inerenti il mondo delle aziende: “oggi si pensa erroneamente siano divise in quelle che lavorano in maniera tradizionale e quelle che producono in maniera più innovativa, ma in realtà le aziende italiane sono ibride e queste due caratteristiche convivono benissimo da tempo”. I mercati poi, secondo la giornalista, “si sentono contrastati da internet e dall’e-commerce, dimenticando che l’online è in realtà una risorsa che rende il mercato più innovativo e competitivo”.

Chiara Alessi ha poi illustrato il profilo del designer degli anni 2000, professione che “per la prima volta può dirsi davvero tale”, fino a quindici anni fa non aveva nemmeno una facoltà universitaria; oggi invece ha iniziato ad “avere una sua autonomia, nonostante fatichi ancora dal punto di vista economico, dato che in media i designer dichiarano di ricavare soltanto il 30% del fatturato dal loro prodotto”.
Un mondo in continua evoluzione e difficile da analizzare. Ecco perchè Alessi ha cercato di individuare alcuni punti stilistici chiave della ‘poetica del design’: ci sono il punto esclamativo (che sorprende) e la fiction (narrazione di realtà alternative), il realismo, il ready made e la performance, passando per alcuni dualismi quali unico-irripetibile, assenza-presenza, produzione-autoproduzione. Realtà nelle quali “è difficile orientarsi, ma che convivono bene tra loro, poiché la cosa che più le contraddistingue è appunto l’eclettismo stilistico”.

Spazio infine per qualche aneddoto circa la sua pubblicazione più recente, un lavoro che capovolge le modalità di ricerca della precedente. In proposito, l’autrice afferma che “oggi ci si potrebbe chiedere se siamo tutti designer, visto il sempre più facilitato accesso a mezzi di produzione e creazione, ma nonostante tutto per me qualcuno è sempre più designer di qualcun altro. La vera abilità del designer di oggi – ha continuato Chiara – non è più nel disegno o nell’autoproduzione, ma nell’essere capaci di individuare le persone giuste, instaurare le relazioni migliori. Insomma, sapere un po’ di tutto”. E poi bisogna sfatare alcuni luoghi comuni tra i quali: il ruolo salvifico del ‘made in Italy’ sempre più ricercato non solo dagli utenti, ma anche aziende straniere; la filosofia de ‘il futuro è artigiano’, se presa per vera, da noi vale almeno cinquant’anni; il contrasto tra retail ed e-commerce, sbaglia chi crede che il secondo affosserà il primo, basta guardare il caso Ikea; e l’annunciata fine dei distretti e della critica.

ECOLOGICAMENTE
Abc del ciclo integrato dell’acqua

World Water Day: il 22 marzo è il giorno mondiale dell’acqua.
L’acqua è un elemento vitale ed è un fondamentale sostegno dell’ambiente, ma anche un elemento essenziale dello sviluppo della società. Il ciclo integrato dell’acqua e la gestione di questa importantissima risorsa ha un profondo impatto sull’ecosistema, sull’economia dei servizi pubblici, ma anche sulla salute e sulla politica industriale di un territorio. La conoscenza di questi impatti è un elemento imprescindibile per la qualità del processo gestionale e deve essere messa a disposizione di tutti gli interlocutori del sistema per perseguire un’attenta politica ambientale orientata alla sostenibilità. L’esigenza crescente è prevedere un sistema di regolazione in grado di valorizzare sia i diritti degli utenti sia lo sviluppo delle gestioni per mezzo di un intervento istituzionale che vigili sulle situazioni di criticità, semplifichi e innovi il sistema della governance, per migliorare il posizionamento strategico e competitivo sul territorio nel servizio pubblico ambientale di gestione dell’acqua. La risoluzione delle molte criticità è da ricercare in un insieme di soluzioni: una maggiore efficienza, una razionalizzazione delle risorse idriche, migliore distribuzione e riduzione delle perdite, maggiore consapevolezza e partecipazione da parte di tutti, l’impegno per garantire il diritto all’acqua, la condivisione di informazioni, la trasparenza e lo sviluppo di nuovi modi per procurarsi acqua anche attraverso il riutilizzo, il riciclo e la desalinizzazione.

Si deve partire dalla conoscenza dei dati; forse non ne parliamo a sufficienza e forse non ne sappiamo a sufficienza. Conoscere i dati caratterizzanti il territorio al fine di individuare i flussi di rifiuti e le possibilità di gestione del sistema integrato deve essere una possibilità per ciascun cittadino, in quanto la conoscenza dei dati è elemento necessario per lo sviluppo sostenibile dell’acqua. Non ci si deve accontentare di avere acqua se apriamo il rubinetto. Dobbiamo conoscere il sistema di gestione e l’assetto impiantistico e logistico di riferimento, con quadro dei flussi previsionali nel breve, medio periodo per ciascuna delle fasi del ciclo (captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue). Chi amministra e chi gestisce il ciclo dell’acqua deve prendersi impegni seri su questi temi.
Da parte dei cittadini, nel contempo, deve crescer l’attenzione a questi temi. Per fare crescere la consapevolezza del bene ‘acqua’ deve crescere la partecipazione. Si tratta di una fase fondamentale di ascolto e di confronto. Tali obiettivi potranno essere raggiunti, tra l’altro, attraverso l’individuazione di indici di qualità per tutti i corpi idrici, il rispetto dei valori limite agli scarichi, l’individuazione di misure tese alla conservazione e al riutilizzo-riciclo delle risorse idriche, l’adeguamento dei sistemi di fognatura, collettamento e depurazione degli scarichi idrici, la tutela integrata degli aspetti qualitativi e quantitativi nell’ambito di ciascun bacino e soprattutto un adeguato sistema di controlli e di sanzioni.
Ricordiamoci che l’acqua, in natura, è tra i principali costituenti degli ecosistemi ed è base di tutte le forme di vita conosciute, uomo compreso. Abbiamo bisogno di capire meglio tutte le categorie di acqua:
Acque potabili: tutte le acque trattate o non trattate, destinate a uso potabile, per la preparazione dei cibi e bevande o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterna in bottiglie o in contenitori.
Acque reflue domestiche: acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche.
Acque reflue industriali: qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento.
Acque reflue urbane: miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, e/o di quelle meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato.
Acque sotterranee: tutte le acque che si trovano sotto la superficie del suolo nella zona di saturazione e a contatto diretto con il suolo o il sottosuolo
Acque superficiali: sono le acque interne, a eccezione delle acque sotterranee, le acque di transizione e le acque costiere, tranne per quanto riguarda lo stato chimico, in relazione al quale sono incluse anche le acque territoriali.

Il ciclo di utilizzazione dell’acqua è un sistema complesso che ha bisogno di una gestione integrata delle sue attività. La regolamentazione e la gestione sostenibile dei prelievi di risorse idriche, sia in termini di qualità che di quantità, rappresentano una questione prioritaria. In sintesi bisogna perseguire uno sviluppo sostenibile, che comporta un approccio integrato e preventivo alle tematiche ambientali a cui si conformino i comportamenti di tutti i soggetti coinvolti: dalle amministrazioni pubbliche e dai gestori, ma anche i comportamenti di imprese, industrie e dei cittadini.

L’APPUNTAMENTO
Con il Fai si riscopre la Ferrara sotto i nostri occhi

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Far notare la bellezza che è quotidianamente sotto i nostri occhi: questo è lo scopo dell’edizione 2016 delle Giornate Fai di Primavera ferraresi, che si terranno questo fine settimana.
Con oltre 900 visite straordinarie in 380 località in tutte le regioni d’Italia, l’appuntamento primaverile con il Fai-Fondo Ambiente Italiano, arrivato alla sua 24 edizione, è il più importante evento di piazza dedicato ai beni culturali, un grande spettacolo di arte e bellezza dedicato a tutti coloro che hanno a cuore il patrimonio artistico e naturalistico italiano. La delegazione ferrarese dell’associazione quest’anno ha scelto due beni che sono già aperti al pubblico, ma arricchendo la visita con ambienti nascosti, normalmente non accessibili al pubblico. Quelle di sabato 19 e domenica 20 marzo sono dunque aperture ‘straordinarie’ perché permetteranno a cittadini e turisti di ascoltare storie e notare particolari insoliti e originali, guardando così con occhi diversi al nostro patrimonio artistico e culturale.
Il primo luogo è il Palazzo Ducale Estense, sede del Comune di Ferrara. Il percorso si snoderà tra la Sala delle Lapidi, il Salone d’Onore e la Sala degli Arazzi, ma anche nelle stanze dove ora hanno sede la Segreteria e l’Ufficio del Sindaco. Oltre alla descrizione delle opere d’arte e degli arredi di pregio del palazzo, i partecipanti potranno ascoltare storie e curiosità sull’edificio: come quella dell’ala sistemata scenograficamente da Ludovico Ariosto in persona per allestirvi le sue opere. I visitatori, inoltre, potranno attraversare la via Coperta, uscendo nel cortile del Castello Estense. Il secondo bene sarà la Basilica di San Giorgio fuori le mura, la prima cattedrale di Ferrara: oltre alla chiesa sarà possibile visitare il monastero e il chiostro e la tomba di Cosmè Tura.
Con i volontari dell’associazione, a fare da Ciceroni, o meglio da Apprendisti Ciceroni, ci saranno gli studenti ferraresi delle classi quarte e quinte dell’Istituto Superiore “Giovan Battista Aleotti” presso San Giorgio e del Liceo Scientifico “Antonio Roiti”, per chi si recherà a Palazzo Ducale.
Alla conferenza stampa di presentazione dell’evento, che si è svolta lunedì mattina nella Sala degli Arazzi della residenza municipale, i docenti che hanno preparato i ragazzi hanno sottolineato il valore formativo di queste iniziative perché non si tratta più solo di uno studio teorico e mnemonico in cambio di un bel voto dopo un’interrogazione, ma di entrare in contatto con il patrimonio culturale del proprio territorio e con il pubblico che arriverà per le visite. In particolare Fabio Muzi, dirigente scolastico e docente dell’“Istituto Aleotti” ha sottolineato come le giornate Fai siano “l’occasione per una reale interiorizzazione del patrimonio artistico e culturale cittadino”. E a proposito della sfida posta dai diversi tipi di pubblico e registri linguistici: le visite guidate saranno disponibili anche in lingua straniera.
“Le visite – ha precisato il capo della delegazione di Ferrara Piero Sinz – saranno a offerta libera e il ricavato sarà come sempre finalizzato alla raccolta di fondi per il restauro dei beni Fai che poi vengono aperti al pubblico”.

Giornate Fai di Primavera a Ferrara
Basilica di Giorgio fuori le mura-Il Chiostro, la sacrestia, l’abside e molto altro
Venerdì: 10.00-12.30 (ultimo ingresso)
Sabato 10.00-17.30 (ultimo ingresso)
Domenica 13.30-17.30 (ultimo ingresso)
Castello Estense-Le Sale del Duca
Piazza del Municipio 2
Sabato e domenica:
10.00-12.30 (ultimo ingresso)
14.30-17.00(ultimo ingresso)

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L’APPUNTAMENTO
Il viaggio nella comunità dei saperi termina con le emozioni

Termina oggi il “Viaggio nella comunità dei saperi” che presso la Sala Agnelli della biblioteca Ariostea ha portato il pubblico alla scoperta delle parole per questo millennio. Diversità, abilità, impegno, ragione, beni comuni, sono solo alcuni dei temi affrontati dal ciclo di incontri organizzato da Istituto Gramsci e Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara. A chiudere, con la psicoanalista Chiara Baratelli, saranno le ‘emozioni’.

Le emozioni permeano ogni istante della nostra esistenza, ma nonostante questo, non è facile riconoscerle, gestirle e dare loro un nome.Ci sono persone che temono a tal punto di provare qualsiasi forma di emozioni che arrivano a controllarle ammalando così il corpo. Ci sono persone che si negano qualsiasi possibilità di provare emozioni fino ad arrivare all’uso di sostanze e persone che ne sono così sopraffatte da vivere attacchi di panico. Educare alle emozioni non significa insegnare a reprimerle, ad esempio impedire ad un bambino a non provare rabbia. Significa permettere al bambino di arrabbiarsi abituandolo a riconoscere quello che prova e a dargli un nome. Fare i conti con le emozioni, per tutti noi, significa imparare a sostare in esse senza esserne sopraffatti.
Introduce Gian Luca Pizzotti

IL VIDEO
La musica di Frescobaldi e le delizie estensi

La musica di Girolamo Frescobaldi e la splendida location della sala affrescata della Delizia di Belriguardo in un video segnalatoci da Francesco Cera, clavicembalista e organista attivo nel campo concertistico della musica rinascimentale e barocca.

Girolamo Frescobaldi (1583-1643), al quale è intitolato il conservatorio di Largo Antonioni, è nato e cresciuto a Ferrara, che a metà Cinquecento città poteva vantare in ambito musicale una vera e propria scuola sviluppatasi grazie al mecenatismo culturale della Casa d’Este. Poco si sa della sua formazione, ma certo potè giovarsi dei tanti maestri che in quegli anni, gli ultimi prima della Devoluzione del Ducato Estense allo Stato Pontificio e del trasferimento dei musicisti a Roma, gravitavano attorno alla corte.
Già alla nascita di Girolamo erano attivi in città Alfonso della Viola, il Concerto delle dame, Luzzasco Luzzaschi. Inoltre visitarono Ferrara Luca Marenzio, John Dowland, Jacques De Wert, Orlando di Lasso, e persino due giganti come Claudio Monteverdi, che lavorò a una collezione di madrigali dedicati ad Alfonso II d’Este, e Carlo Gesualdo: il principe di Venosa arrivò nel febbraio del 1594 per celebrarvi il suo matrimonio con Eleonora, cugina di Alfonso II e sorella di Cesare d’Este.

Questo è il clima in cui crebbe il compositore e musicista, “fondamentale per lo sviluppo delle sue composizioni stampate a Roma nel 1615”, come ci spiega anche Francesco Cera nel video. Questo lavoro, registrato nel novembre 2015 grazie al sostegno dell’Asp Ferrara e del Museo Ugo Marano, è una piccola anticipazione di un’incisione che uscirà il prossimo anno per una casa discografica internazionale che Cera ha potuto eseguire proprio nella sala situata a Voghiera: la registrazione del “Primo libro di Toccate” del compositore ferrarese. “Il video – spiega il musicista – intende proprio far comprendere il nesso culturale tra Frescobaldi e la musica che da giovane potè ascoltare presso la corte”.

LA SEGNALAZIONE
Celestini povero Cristo narra miracoli di periferia

Laika è la cagnolina che i sovietici hanno spedito in orbita nel novembre del 1957 e che per quelle poche ore “è stato l’essere vivente più vicino a Dio”; laica è la misericordia, la compassione, delle parabole che Ascanio Celestini racconta al pubblico del Teatro Comunale Claudio Abbado fino a domenica 13 marzo. In questo gioco di parole si nasconde la poesia di “Laika”, il nuovo spettacolo dell’autore romano, un altro gradito ritorno sul palco estense dopo quello di Marco Paolini. Curiosa coincidenza: entrambi ci hanno portato a teatro credendo di ascoltare storie di cani. Invece abbiamo ascoltato storie di uomini, ci hanno parlato dell’umanità.
Quella di Ascanio Celestini è un’umanità perduta, almeno agli occhi dei più. E non a caso a narrarcela è un povero Cristo cieco – o che finge di esser cieco – davanti a una bottiglia di Sambuca scadente. Una periferia umana e geografica, o meglio umana perché geografica, o meglio… decidete voi. Un mondo di emarginati, di sbandati, anime strane, buone ma non candide, le cui vicende si intrecciano fra case occupate, monolocali da 35 metri quadrati, il parcheggio di un supermercato, dove le loro vite inciampano le une nelle altre.
“In principio c’è Dio o in alternativa il Big Bang”, almeno secondo Stephen Hawking, secondo cui Dio è “una favoletta” e, infatti, Dio lo punisce “togliendogli il saluto”, nel senso che non può più dire “Buongiorno” e “Buonasera”. “Dio è fatto così, nessuno è perfetto!”, dice il ‘santo bevitore’ di Celestini. “In principio c’è Dio”, ma al centro c’è l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, anche quando è una vecchia che non crede, una donna con “la testa impicciata” il cui figlio non si capisce se è vivo o morto, un facchino che carica e scarica pacchi da un furgoncino giallo e va avanti giorno dopo giorno solo perché nella sua mente pensa solamente “il mio turno finirà”, un barbone negro, che tutti evitano, o peggio di cui nessuno si cura, perché nel suo bicchiere non c’è la Sambuca, ma gli spiccioli dell’elemosina. Non è sempre stato un barbone, anche lui prima era un facchino; per lui e un collega, entrambi licenziati dopo un incidente sul lavoro, ora “i facchini negri africani” fanno sciopero e le guardie li menano, ma il picchetto resiste: “con una mano fermano i crumiri, con l’altra sostengono la volta celeste”. E Pietro, con la voce bambina di Alba Rohrwacher e il corpo e la fisarmonica di Gianluca Casadei, dice al povero Cristo: “non ci sono giornalisti”, se uno di questi negri africani morisse, la gente saprebbe che è morto “di freddo”.
Personaggi perduti, o meglio dimenticati, emarginati che vivono esiliati in una società che non vuole, non sa più ascoltarli. Proprio loro diventano i protagonisti di un prodigio eccezionale, di un miracolo laico che sfida le nostre coscienze: “una vecchia, una donna con la testa impicciata e di un cieco, scesi in strada nel cuore della notte per difendere un barbone negro” dalle guardie che caricano il picchetto. Un evento tanto straordinario eppure di una semplicità quasi sconfortante perché ci mette di fronte alla possibilità di un gesto d’amore: dunque ne saremmo ancora capaci, ci chiediamo mentre anche in teatro è sceso il buio di quella notte.
Il finale di “Laika” sembra invocare una sorta di nuovo umanesimo, la fine dell’indifferenza, un embrione di rivolta. Ma Celestini non dà scampo al pubblico: non gli permette cedere all’autoassoluzione, alla tentazione di pensare che basti assistere alle sue parabole contemporanee per collocarci d’ufficio dalla “parte giusta”. La redenzione, se c’è, è solo letteraria, non consola, perché l’assenza di un Dio, di un senso, di una giustizia, di un’etica continua ad aleggiare sulle vicende dei personaggi e del pubblico.

L’INCHIESTA
Chi dice donna dice … lavoro

SEGUE. Nel 2014, nel G20 Australiano, si pianificò di far entrare nel mercato del lavoro 100 milioni di donne in 10 anni, attraverso la piattaforma creata dal gruppo di lavoro Women20.
Secondo l’ISTAT, nel 2015 – per rimettere in linea l’Italia con il resto d’Europa – sarebbero dovute entrare nel mondo del lavoro 2,7 milioni di lavoratrici, il che avrebbe portato un beneficio al Pil italiano del 7%. In realtà, siamo davvero lontani dalla meta.

Il Gender Equality Index elaborato dall’Eige (l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere) ha piazzato l’Italia al 69° posto nella classifica mondiale per la parità di genere: secondo lo studio, in Italia “la struttura economica, l’organizzazione del lavoro, gli stereotipi di genere sono strettamente correlati a quanto lavoro di cura ci si aspetta che venga svolto dalle donne nelle case, al tipo di welfare a cui hanno accesso e alle possibilità che hanno di entrare nel mercato del lavoro”.

Secondo i dati Eurostat le donne italiane dedicano alle responsabilità familiari più tempo di tutte le altre donne europee: ben 5 ore e 20 minuti al giorno. In Svezia, dove l’occupazione femminile è il top d’Europa, sono a 73 minuti. Se consideriamo il part-time maschile come un indicatore della partecipazione degli uomini al lavoro domestico i dati vengono confermati: quello italiano è uno dei più bassi d’Europa, l’8,4% contro il 7,8% in Francia, il 10,8% in Germania, il 13,1% in Uk e il 15,1% in Svezia.
Su questa situazione incidono la bassissima copertura dei servizi per la prima infanzia (al 13,5%) e le politiche di austerity, che hanno tagliato servizi come il tempo pieno nelle scuole primarie e i servizi di assistenza domiciliare ad anziani e ammalati.
Nel 2015 erano ben 2,3 milioni le donne che risultavano inattive per motivi di famiglia, di queste il 40% ha un diploma di scuola superiore o una laurea e il 18% lavorerebbe se i servizi fossero adeguati.
In questo contesto la maternità rappresenta ancora un rischio concreto di fuoriuscita dal mercato del lavoro: sempre dai dati Istat si nota che il 22,4% delle madri impiegate prima della gravidanza, intervistate dopo due anni, avevano perso il lavoro.

Eppure le donne italiane ottengono risultati migliori degli uomini nello studio, come afferma il rapporto Almalaurea: nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni, il 30% delle donne ha un una laurea contro il 18% degli uomini. “Questo vantaggio non si riflette però nel mercato del lavoro: gli stereotipi di genere influenzano le scelte di carriera delle donne, che tendono a preferire materie (letteratura, insegnamento, linguistica, geografia, chimica-farmaceutica, legge, architettura) in cui c’è troppa offerta rispetto alla domanda, specialmente se comparate con le materie tecnico-scientifiche in cui si registra una netta prevalenza maschile. Il risultato – spiega il report Almalaurea 2015 – è che a cinque anni dalla laurea hanno trovato lavoro l’88% dei laureati e solo il 63,5% delle laureate e gli uomini guadagnano 1556 euro contro i 1192 delle donne”.

Il “Gender Pay Gap” – la differenza di retribuzione fra uomo e donna – la maggiore esposizione al “part time involontario” e alla precarietà rendono il mondo del lavoro ancora più ostico a quante riescono a inseririsi nel mondo del lavoro. In questo ambito, inoltre, viene comunque promosso un modello di leadership per cui avere una carriera significa essere presenti “sempre e comunque”. L’Istat ha riportato in proposito che circa il 40% delle donne che si considera ‘adeguata’ a ricoprire un ruolo apicale, sostiene che sia il modello dominante di leadership l’ostacolo principale alla sua stessa carriera.

Per quanto riguarda le donne migranti, una su due lavora nelle famiglie italiane fornendo servizi di cura: rappresentano l’80% della forza lavoro del settore ma, nonostante questo, sono maggiormente sottoposte a sfruttamento, irregolarità dei contratti e precarietà.
Con l’ingresso della legge sulle ‘quote rosa’ nei consigli di amministrazione (che impone di avere almeno il 20% di donne nei consigli di amministrazione delle società pubbliche e private) i dati sono migliorati: il rapporto Consob 2015 ha contato un 27,3% di donne nei consigli di amministrazione, anche se solo il 5% sono amministratori delegati e nessuna donna è amministratore delegato di aziende quotate. Qualche sedia rosa in più si conta anche in politica: nell’attuale governo le ministre sono il 41% e sia alla Camera sia al Senato le donne registrano un inedito 31% di presenze.

Come vivono le donne ‘normali’ il rapporto fra gli impegni di lavoro, le cure domestiche e gli impegni familiari? Abbiamo somministrato un semplice questionario a un piccolissimo campione composto da 62 donne residenti a Ferrara, fra i 27 e i 51 anni per indagare sull’argomento. Il 79% delle intervistate ha un titolo di studio universitario e un lavoro dipendente, che le porta a trascorrere fuori casa in media 9 ore. Il 64% è sposata o convivente e il 42% ha uno o più figli.

La totalità delle intervistate ha dichiarato che nell’organigramma aziendale o delle istituzioni nelle quali lavorano la posizione più alta relativa al loro campo di impiego è occupato da uomini, che i colleghi maschi hanno benefit che non hanno le colleghe con pari responsabilità e che gli stessi sono più disposti a lavorare per più ore, se necessario, ma sono meno disponibili per le attività di formazione e coordinamento aziendale.
Il 96% delle intervistate ha dichiarato che nella gestione di casa e famiglia l’impegno in media è così diviso: 70% alle donne e il 30% agli uomini, che si occupano prevalentemente dell’auto e di accompagnare i figli in attività sportive o ricreative. La quasi totalità delle intervistate ritiene che la gestione della vita sociale della famiglia sia a loro carico.

LA SEGNALAZIONE
Tornare alla Costituzione, riscoprire la politica. Pluralismo e Dissenso propone due eventi sull’articolo 49

“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. La riflessione di ‘Puralismo e Dissenso’ riparte dall’articolo 49 della Costituzione. Dopo il ‘think tank’ per analizzare gli ultimi decenni della politica ferrarese e gli incontri incentrati sull’approfondimento della delicata questione immigrazione, gli incontri organizzati dall’associazione riprendono per affrontare un tema che, a detta dell’associazione stessa, diventerà a breve di estrema importanza: si tratta appunto della discussione sull’articolo 49, uno dei più brevi della Carta costituzionale.

A illustrare il programma durante la conferenza stampa di presentazione Mario Zamorani e Paolo Niccolò Giubelli: “Questo articolo della nostra Costituzione da tempo è rimasto senza una normativa di attuazione”, ha affermato Zamorani, specificando che “essendo stati da poco depositati in Commissione Affari costituzionali alcuni disegni di legge riguardo tale attuazione, e avvicinandoci quindi alla discussione attorno a queste tematiche, abbiamo pensato di organizzare due eventi chiamando come ospiti personalità che da tempo seguono con attenzione questi avvicendamenti”.
La prima delle due discussioni sull’argomento – entrambe alla Sala dell’Arengo – sarà venerdì 11 marzo alle 17 con ospiti Giuditta Brunelli, Ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico dell’Università di Ferrara, e Roberto Montanari della direzione nazionale del partito Democratico; venerdì 18 marzo alle 17,30 sarà poi l’occasione per sentire le opinioni dei due maggiori partiti in termini di numeri, il Pd e il M5S: oltre agli ospiti confermati (Leonardo Fiorentini, segretario organizzativo del Pd di Ferrara, e la sociologa Elena Romani) Zamorani afferma che “nessuna risposta è pervenuta dal Movimento Cinque Stelle, cosa molto strana poiché un partito nato per essere diverso da tutti e al quale la questione in ballo dovrebbe interessare più di altri, dovrebbe avere quantomeno l’orgoglio di entrare nel dibattito”. “C’è quindi un evidente problema in termini di moralità ed educazione politica” ha concluso Zamorani, speranzoso tuttavia di ricevere una risposta nei prossimi giorni per ottenere il confronto.

È stata poi l’occasione per fare il punto della situazione circa le sette petizioni presentate qualche mese fa da Pluralismo e Dissenso e depositate dopo aver raggiunto il numero di firme necessarie. Delle prime due – una che riguarda la “città del futuro” improntata sulla richiesta all’Amministrazione di disegnare un progetto per Ferrara che sia in grado di circondarsi di cittadini attivi e figure di alta professionalità, “visionari” secondo Zamorani; e un’altra che riguarda l’importante salvaguardia e lo sviluppo delle Mura – Pluralismo e Dissenso si dice “moderatamente soddisfatto” dell’avanzamento dei lavori, anche in virtù del fatto che “dieci anni fa proponemmo dieci petizioni, nessuna delle quali accolte”, ha specificato Zamorani. Bene anche lo stato dei lavori per la petizione riguardante la trasformazione di Ferrara nella prima città d’Italia con frequenti consultazioni popolari, “ancora in fase di lavoro” le richieste sul fronte centro storico e, nello specifico, sulla pedonalizzazione e sull’attuazione di misure a sostegno del commercio, mentre notizie non confortanti arrivano dalla richiesta di un intervento di valorizzazione del Bastione di San Lorenzo, oggi adibito a parcheggio pubblico.

In conclusione spazio ad una nuova proposta: “Abbiamo pensato a un’iniziativa che possa essere in grado di riportare le persone ad interessarsi alla politica e conoscere meglio assessori e consiglieri dei comuni della provincia – ha spiegato Giubelli – Per farlo sottoporremo a questi ultimi un questionario che non presenterà domande inerenti alla politica, all’economia e così via, ma che mettano in luce questioni più personali come interessi, curiosità, virtù, eventi e personaggi storici preferiti, proprio per farsi meglio conoscere dalla gente”.

 

ECOLOGICAMENTE
La carta

Parliamo di carta: quanta ne buttiamo e soprattutto quanta ne raccogliamo? Proviamo a rendercene conto. La frazione cellulosica e quella organica rappresentano, nel loro insieme, il 66,2% del totale della raccolta differenziata. Sono 10 milioni di tonnellate. Sistemati carta e organico, avremmo quindi risolto buona parte dei problemi. Nella nostra regione (fonte: Arpa) si producono 637.000 tonnellate di carta e cartone e se ne avviano al riciclo 342.000, il 54% del totale, una buona percentuale. Data l’importanza del materiale però, dobbiamo arrivare a risultati migliori nel breve tempo.

La composizione delle materie prime per l’industria cartaria in Italia vede la carta da macero al 49%, la fibra vegetale al 35% e gli additivi non fibrosi al 16%.
Il processo è questo: dalla carta da macero si esclude per pulizia un 5-10% di scarti di pulper, poi si separano fibre corte e fanghi da disincrostazione (per un valore variabile tra il 20 e il 40%) il resto va alla produzione della carta. Bisogna anche ricordare che la percentuale dei residui della industria cartaria che va a recupero energetico è del 25% (in Europa la percentuale è il doppio), il resto va in discarica e per ripristini ambientali.
Però mi chiedo (e non ho una risposta): se stiamo aumentando la raccolta differenziata perché il settore della cartiere è in crisi e soprattutto perché continuiamo a importarla?

Analizzando il rapporto 2015 di Ispra sui rifiuti urbani si legge che mediamente in Italia si raccolgono circa 50 kg all’anno per abitante, però c’è grande differenze fra territori, tra nord e sud: nella nostra regione, per esempio, siamo oltre gli 80 kg/abitante; mentre la raccolta pro capite si colloca a 63 kg per abitante per anno nel Nord, a 62 kg per abitante per anno nel Centro e a 31 kg per abitante per anno nel Sud. A livello di macro-area territoriale, il costo di gestione risulta pari a 13,97 euro centesimi/kg al Nord e 16,43 euro centesimi/kg al Centro, al Sud invece la cifra sale molto. Per quanto riguarda il valore del materiale dobbiamo distinguere tra carta e cartone, quest’ultimo vale molto di più e per questo si trova spesso chi lo raccoglie senza autorizzazione.

Nel 1997 nacque Comieco per raggiungere gli obiettivi nazionali di recupero e riciclo degli imballaggi di carta e cartone (in riferimento alle norme europee). Oggi raccoglie oltre tre milioni di tonnellate di carta e sostiene che in questi anni il saldo netto dei benefici per la comunità, derivati dalla raccolta differenziata di carta e cartone, sia superiore ai cinque miliardi di euro: solo nel 2014 sarebbero stati trasferiti ai Comuni corrispettivi per 94,6 milioni di euro. Anche la qualità del raccolto in questi anni sta migliorando (dice Comieco che divide il raccolto in prima fascia, con impurità inferiori al 3%, e di 1,5% per la raccolta selettiva). Però permettetemi di ricordarvi che non dovete buttare parti di plastica nei contenitori della carta; otteniamo dei rifiuti e non del riciclo.

La produzione cartaria in questi ultimi anni è rimasta invariata sopra gli otto milioni di tonnellate. La produzione di imballaggi si attesta sul 33% e il suo tasso di riciclo è vicino all’80%.
Un tema molto importante da sviluppare in futuro (e non solo per la carta) è ricercare un packaging sostenibile, identificando nuovi spazi di innovazione e di ricerca soprattutto nella grande distribuzione e nel consumo finale. Cito dal rapporto Ispra: “Colore, texture, spessori, forma e tecnologia sono gli elementi che contraddistinguono le soluzioni proposte per architetture, ambienti domestici, uffici, tempo libero e negozi. Negli ultimi dieci anni le fibre di carta e cartone riciclate sono state oggetto di numerosi interventi innovativi finalizzati a nobilitare il materiale attraverso applicazioni che coprono molteplici comparti merceologici”.
Infine credo sia importante citare l’ultima iniziativa europea. E’ stato avviato un nuovo progetto di ricerca, “Impact Paper Rec”, che ha l’obiettivo di aumentare il riciclo della carta promuovendo azioni di raccolta contro lo smaltimento nel rispetto della circular economy. Con i bandi di Horizon 2020 sono stati messi a disposizione anche finanziamenti per migliorare le procedure di raccolta in molti paesi europei, tra cui però non è compresa l’Italia. Ed è stato creato pure uno specifico manuale di buone prassi.

NOTE
Litanie d’evasione

di Pier Luigi Guerrini

Si evade nella denuncia dei redditi. Segando le sbarre della cella. Nei Consigli di Amministrazione. Nel “sistema del bottino” (spoil system) spacciato per spazio ai più meritevoli. Nel sesto senso perché settimo non rubare. Nei programmi televisivi purgati. Nei purgatori della comunicazione. Nei discorsi di principio. Nei convegni senza conclusioni. Nelle conclusioni sconvenienti. Nei convegni ad escludendum. Nelle ipocrisie di convenienza o di convivenza. Nelle praterie dell’ignoranza. Nei festini con delitto per vedere l’effetto che fa.
Si evade nell’anticamera della morte. Si evade dalla speranza. Nella ragione rassicurante. Si evade nella santa Messa solenne. Dalla messa in discussione. Nelle certezze degli ideali. Nei divieti rassicuranti. Nei luoghi comuni della solitudine. Nella solitudine dei luoghi comuni.
Si evade nelle quote d’ingresso. Nei problemi dell’accesso. Nelle impronte digitali per gli stranieri. Nelle impronte digitali solo per certi stranieri. Nelle impronte di novità. Nelle impronte di civiltà occidentale.
Si evade nel conflitto d’interessi. Nel conflitto. Negli interessi. Nel conflitto purché (dia) interessi. Nei condoni d’interesse. Negli sconti etici. Nelle presenze maieutiche. Nelle etichette.
Si evade nella par condicio. Nella pre condicio. Nei programmi dell’accesso. Nei programmi di successo. Nell’Isola dei (saranno) Famosi. Nel saranno fumosi. Nei proclami dell’eccesso. Nelle assenze strategiche. Nella ricerca di senso. Nel sesso unico.
Si evade nel “tutti coperti”. Nelle maggioranze rumorose. Nelle arroganze fascinose. Nelle capacità dialettiche. Nell’obiezione maniacale. Nel cittadino comune prestato alla politica. Nella politica a perdere. Nel vate elettorale. Nel voto elettorale. Nel vuoto elettorale. Nell’astensione. Nel campo avverso perché l’ideale s’è perso. Nelle Primarie dei replicanti. Negli sconti di posizione. Negli sconti d’eversione.
Si evade col cellulare spento. Nel cellulare.
Si evade nei racconti d’evasione.

NOTA A MARGINE
Dopo Casa Minerbi ora si aspetta la riapertura alla cultura di Casa Cini

di Maria Paola Forlani

Era da più di vent’anni che i ferraresi aspettavano questo momento: finalmente Casa Minerbi riapre i battenti, accogliendo la cittadinanza tra le sue mura. La città ritrova un grande contenitore colmo di capolavori. Mentre resta nell’assoluto abbandono Casa Cini e il suo patrimonio di biblioteche e opere d’arte.
Oltre alla parte museale con il ciclo di affreschi trecenteschi, il palazzo ospita una sala conferenze, l’Istituto di studi rinascimentali con la prestigiosa biblioteca Ravenna e il nuovo Centro studi bassaniani, inaugurato in occasione del centenario della nascita del noto scrittore ferrarese.

L’edificio è stato edificato attorno alla metà del Trecento dalla famiglia Del Sale. L’identificazione della committenza con questa famiglia è stata resa possibile grazie al riconoscimento dell’impresa araldica, un leone rampante con testa d’elefante, scolpita nei capitelli del loggiato e affrescata nei clipei della sala degli Stemmi.
Fino all’Ottocento i documenti e le notizie storiche, emersi da archivi e da indagini svolte in occasione dei restauri, sono insufficienti a definire i diversi passaggi della proprietà di casa Del Sale che si succedono nel corso dei secoli. Dalla seconda metà del Novecento la casa ha assunto per la sua identificazione il nome degli ultimi proprietari che l’hanno abitata: Minerbi e Del Sale. Nel 1995 il Comune di Ferrara e il Demanio dello Stato hanno acquistato dagli eredi Minerbi la proprietà dell’intero immobile.
L’edificio ha una pianta a forma di quadrilatero irregolare ed è esposto su due livelli, tra loro un tempo comunicanti probabilmente attraverso scale di legno.
Il piano terra presenta in facciata un portico a tre arcate dove, nei capitelli dei pilastri, è scolpito il simbolo araldico della famiglia Del Sale. In una delle due grandi stanze, con soffitti lignei, all’interno di una nicchia semitamponata è stato rinvenuto un affresco che raffigura San Cristoforo. Al primo piano in corrispondenza del portico è situato il salone delle Allegorie delle Virtù e dei Vizi. Da questo salone si può accedere attraverso un arco, di recente riaperto, a due ambienti. Sulla sinistra si trova la sala degli Stemmi, mentre sulla destra è situata un’altra sala le cui decorazioni sono completamente scomparse e resta solo un timpano affrescato con specchiature a finto marmo.
Casa Minerbi-Del Sale, oltre che per gli affreschi, riveste particolare importanza anche come testimonianza architettonica. Gli esempi di edifici privati trecenteschi che si sono conservati nella città di Ferrara e in generale nell’Italia Settentrionale sono, infatti, abbastanza rari e spesso hanno subìto trasformazioni tali da renderne difficile la lettura. Questo vale, per esempio, per il poco edificante restauro voluto dalla Diocesi di Ferrara della splendida (e ormai deturpata) Casa Cini in via Boccaleone Santo Stefano.
Gli studi del Salone delle allegorie delle Virtù e dei Vizi di Casa Minerbi, dal punto iconografico, sono incentrati prevalentemente sul rapporto di dipendenza tra il ciclo ferrarese e quello realizzato agli inizi del Trecento da Giotto nello zoccolo della cappella degli Scrovegni a Padova.
Il maestro di casa Minerbi, così denominato da Carlo Ludovico Ragghianti, ma che oggi viene chiamato Stefano da Ferrara, non ha lavorato da solo nella loggia superiore. Giustizia, Carità e Speranza, in rapporto alle altre allegorie, pur nella tenuta poetica sempre elevata, tendono a declinare in accenti più popolari e ciò si può ritenere dovuto all’intervento di un aiuto, pur ben inserito, negli stilemi del maestro. Si tratta comunque di immagini e di stesure gentilissime, in una composizione nuova e fresca per l’affacciarsi occhieggiante delle frotte angeliche degli esili profili e dai diafani colori.
Ancora da indagare resta l’iconografia delle teste inserite nei quadrilobi mistilinei che affiancano le allegorie.
Per quanto riguarda l’aspetto strutturale, la vicina sala degli Stemmi ha subito nel corso dei secoli diverse modifiche dovute all’apertura di porte e finestre che hanno distrutto in maniera irreparabile ampie porzioni degli affreschi delle pareti. Il tetto della sala è a capanna con capriate a vista e nelle pareti nord e sud ci sono timpani affrescati. Nel primo sono visibili decorazioni a finto marmo, nel secondo una scena di lotta o di gioco tra due personaggi affiancati dai rispettivi cani.
La decorazione pittorica ricopre tutta la superficie delle pareti. Nella parte superiore si trovano specchiature rettangolari a finto marmo, al cui interno sono disposte tredici losanghe romboidali contornate da cornici colorate di bianco, scorciate prospetticamente dal basso verso l’alto, che racchiudono una serie di teste di uomini e di donne raffigurati prevalentemente di profilo. Nella parte inferiore tutta la sala è avvolta da un finto velario giallo con bordo rosso appeso per punti così da formare profonde e ampie ricadute delle pieghe. La fascia centrale delle quattro pareti è composta da un reticolato a intreccio geometrico che può essere suddiviso in tre registri. Il registro in alto e quello in basso racchiudono una teoria di clipei dipinti a chiaroscuro a eccezione di due colorati presenti nella parete ovest che raffigura busti di profilo. Il registro centrale riporta in maniera seriale l’impresa araldica della famiglia Del Sale. L’effetto coloristico delle pareti è di grande impatto visivo e non si può non apprezzare il gusto per l’uso del colore presente in questa sala.
Quando i locali in cui si trovano gli affreschi furono adibiti a solaio, in epoca non precisabile, iniziò il degrado del ciclo ferrarese. Solo intorno al 1950 Giuseppe Minerbi, la cui famiglia possedeva la Casa fin dal secolo precedente, raccolse la sfida costituita dal recupero di tutto l’insieme dell’edificio, per renderlo vivibile. Esistono foto in cui Minerbi è immortalato in quegli ambienti tornati degni di una reggia, con gli affreschi curati sebbene non guariti.
In tali testimonianze intorno a lui si vedono celebrità come Giorgio Bassani insieme a sua madre Dora Minerbi, Riccardo Bacchelli con la moglie Ada, e ancora colui che operò l’esemplare restauro di casa Minerbi, l’architetto Pietro Bottoni.

Ora Casa Minerbi è tornata ‘luogo di cultura’, si apriranno le biblioteche e gli spazi agli studiosi ma, soprattutto, ai giovani in quell’armonia che con la ‘bellezza’ apre il cuore alla solidarietà e alla ricerca.
Resta il rimpianto, nell’antica Ferrara, dell’abbandono di quella donazione che il conte Cini fece alla città: la sua dimora, Casa Giorgio Cini, un tempo tempio della cultura e dell’accoglienza, ora distrutta da indefinibili e ambigue affittanze e spregevoli restauri, mentre all’interno splendidi saloni, caminetti e biblioteche piangono per il degrado architettonico e umano.
Questa è stata una scelta scellerata della diocesi estense che ha portato un edificio così caro ai ferraresi, al silenzio sulla sua storia.
Resta la speranza che, sotto la spinta all’amore, alla solidarietà e alla cultura di Papa Francesco, si decida di ricominciare dalla presto interrotta sperimentazione culturale di un tempo e di imboccare il prima possibile la strada così colma d’attese del suo mecenate, che l’aveva donata “ai giovani e alla cultura”, accendendo anche qui quei fermenti di entusiasmo ora così vivi nella nuova Casa Minerbi.
“Credono infatti che la vergogna più infamante
consista nell’annotare nei pubblici registri che
la città, allettata da una somma di denaro, e per
di più da una somma modesta, ha venduto e trasferito
legalmente su altri la proprietà di oggetti
ricevuti dagli antenati”.
(Cicerone, Quarta orazione contro Verre, 70 a. C.)

L’INTERVENTO
L’8 marzo delle donne: riflessioni, domande e desiderio di partecipazione

da: Annalisa Felletti, assessora alle Pari Opportunità Città di Ferrara

In questa giornata dell’8 marzo, a “soffiare nel vento” con l’odore delle mimose, più che le risposte, sono le domande. Una su tutte, quella di “futuro”, che le giovani generazioni, ma anche le meno giovani, pongono alla politica, alle istituzioni, e a chi governa.

Non può essere diversamente, se è vero – come confermano le statistiche ufficiali dell’Istat – che il livello d’istruzione femminile da molto tempo è più alto rispetto a quello maschile nella fascia d’età dai 25 ai 34 anni. Un “sorpasso” che è indice del grande desiderio di partecipazione che ci rende fiere protagoniste del cambiamento.

L’entusiasmo si scontra tuttavia con una realtà che i numeri fotografano solo in parte. L’investimento delle donne negli studi troppo spesso deve fare i conti con maggiori difficoltà all’ingresso nel mercato del lavoro, retribuzioni più basse rispetto a quelle maschili, problemi nella conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro.

Non a caso le donne occupate, in corrispondenza della maternità, si trovano a sperimentare in misura crescente la perdita o l’abbandono del lavoro.

Uno “svantaggio” che va a saldarsi in un abbraccio soffocante, con la crisi economica e finanziaria condita dall’ipocrisia di chi cavalca la fase di difficoltà per azzardare attuali (ma vecchissime) forme di discriminazione, come chi offre lavoro a personale femminile libero “da impegni familiari”, incurante delle norme di legge.

Ma il raggiungimento di una parità formale non è, purtroppo, garanzia della parità culturale, come dovrebbe essere in ogni società evoluta e virtuosa.

Per questa ragione, l’8 marzo è per tutte Voi, giovani donne.

La giornata internazionale delle donne è per tutte Noi, che abbiamo vite talvolta così diverse, ma accomunate da una storia scritta sulla nostra pelle, su quella delle nostre madri, delle nostre nonne.

Questa giornata non è semplicemente una “festa”, perché non ha la leggerezza di una ricorrenza, ma la profondità e il valore di una giornata “storica” per i diritti delle donne e per la pace internazionale.

Va calata nella nostra nuova realtà, ma tenuta saldamente legata alla memoria delle donne che in tutto il mondo si sono prese per mano, hanno lottato e hanno resistito per il sogno di un mondo migliore, più equo, più giusto.

Oggi più che mai, gli scenari di guerra e le migrazioni ci impongono di osservare e cogliere tutte le sfumature, oltre il giallo di una mimosa. Sapendo che se sono le donne a progredire nei differenti contesti di sviluppo, sarà la società nel suo complesso a crescere.

Tanti, troppi sono i capitoli aperti senza un lieto fine, dalla violenza di genere al mancato rispetto delle leggi sull’interruzione di gravidanza e all’obiezione di coscienza; dalla disoccupazione alle condizioni precarie di lavoro che di fatto rendono impossibile la maternità.

Il processo di sviluppo è nelle mani delle donne.

Le tante di voi che quest’anno, nel 2016, potranno votare per la prima volta, devono sapere che questo diritto, oggi così scontato, è stato conquistato dalle donne in Italia solo 70 anni fa. Oggi come allora non si può manifestare indifferenza: solo il protagonismo ci consentirà di crescere. È nel segno di questo auspicio e forti di questa consapevolezza che sabato 12 marzo dalle 10 nella Sala Consigliare del Palazzo Ducale, si terrà un’iniziativa alla quale invitiamo tutta la cittadinanza a partecipare, nel corso della quale “riporteremo sui banchi consiliari” quelle amministratrici che si sono succedute nella storia delle legislature della nostra Città dal 1946 ad oggi, invitandole a condividere i loro ricordi, e le loro esperienze.

Settant’anni fa le Italiane andarono al loro primo voto, quello che avrebbe segnato l’inizio della democrazia repubblicana, e la nostra Città si appresta a ricordarlo, senza dimenticarci che proprio la nostra città consegnò alla storia di questo Paese, un primato, quello incarnato dalla figura di Luisa Gallotti in Balboni: prima Sindaca in Italia di una Città capoluogo di provincia.

Sono certa che questa data e le celebrazioni predisposte non saranno percepite come un momento di rimembranza fine a se stesso, ma come espressione forte del desiderio di un cammino evolutivo che non riguarda unicamente la donna in quanto tale, ma è per tutti gli esseri umani. Buon 8 Marzo!

Annalisa Felletti, assessora alle Pari Opportunità Città di Ferrara

IL DIBATTITO
La sinistra intellettuale e le slide quotidiane

Il dibattito “Idee di Sinistra” su Ferraraitalia offre spunti interessanti.
Mi si perdoni questo intervento forse a gamba tesa, da esterno, un semplice lettore che, come si evincerà, non appartiene alla categoria degli osservatori professionisti della politica e neppure agli analisti delle tattiche partitiche, ma alcune poche e semplici considerazioni sembrano d’obbligo.
Io partirei dalla domanda che Lavezzi si è posto il 17 febbraio che mi pare rappresenti la madre di tutte le questioni: “Ma allora perché se tutte le premesse sociali ed economiche ci sono la Sinistra fatica a imporsi sul piano politico?” Ci sono anche le prime righe del bell’articolo a firma Carlo Tassi, del 2 marzo, o l’articolo successivo di Roby Guerra.
Si comprende bene che il destinatario ultimo di cotanta insoddisfazione del mondo intellettuale della Sinistra è con tutta evidenza l’attuale Presidente del Consiglio Matteo Renzi, e con lui quel giglio magico che vive all’ombra del grande imbonitore, il quale fra l’altro non più tardi di alcune settimane fa ha proclamato pomposamente: “con me ci sono cinquanta milioni di italiani”.
L’ha certamente sparata grossa, come è nel suo stile, ma io chiedo a chi dibatte sulla sua (di Renzi) congruità alla Sinistra: ricordate l’inizio? “Enrico stai sereno”. Con i tweet, come un pifferaio 2.0, vi ha assopito le coscienze e alle elezioni europee, ha zuccherato e convinto, spargendo gli ottanta euro, parte del 40% di votanti (con 50% di astensione) a dargli il voto.
Non avete percepito qualche fremito di troppo quando, intorno a Monte dei Paschi e Banca Etruria o Carife o Banca Marche, storiche roccaforti del potere ‘rosso’, oltre al parentado della ministra Boschi in contatto con faccendieri anni Ottanta, svolazzava il supporter della Leopolda, il finanziere Davide Serra, che Bersani apostrofava così: “ma perché non paga le tasse in Italia invece che dispensare consigli al Renzi ?”
La verità, da ciò che si fiuta, è che lui (il Renzi), con il cinismo e l’opportunismo, ha messo in un angolo gli intellettuali e molti cittadini (anche non di sinistra), gli stessi che in buona fede ancora continuano a dibattere con convinzione sui grandi principi del sociale, di ideali rimpianti e volatilizzati nel dibattito della Leopolda.
E torniamo alla domanda di Lavezzi per tentare una (mia) risposta non aulica, ma semplice (non semplicistica), anche se composita, e comprensibile agli italiani che lavorano, “la vera carne” del dibattito politico e sociale.
Il Renzi ha inculcato un concetto nuovo per la Sinistra (diciamo a una parte maggioritaria): si deve vincere e non importa come: cinismo? Opportunismo? Concetti superati: è il realismo dell’Italia che cresce! Si può comunicare anche il peggio, ma il messaggio deve bucare; ma quale ‘questione morale berlingueriana’? L’articolo 18? Voto di coscienza, quale? E cosi via.
Si deve passare in Parlamento anche con Verdini (il nemico giurato della Sinistra, se possibile fino a pochi mesi fa ancora più odiato di Berlusconi) insieme alla marmellata dei transfughi usciti da partiti di Centro, di estrema sinistra, di Scelta Civica. Le cooperative dell’accoglienza di Roma hanno truffato sotto gli occhi del Pd? Il Sistema cooperativo edile emiliano è crollato con migliaia di posti di lavoro persi?
La piazza dimentica presto quando poi si vince e si governano i Comuni, le Regioni e lo Stato. Le banche delle aree rosse possono fallire: colpa di qualche funzionario e dell’Europa! Il debito pubblico cresce inesorabilmente? Nessun problema: dal 2017 o 2018 lo risolveremo. Intanto diamo 500 euro ai diciottenni futuri elettori, smantelliamo il Senato con voti di fiducia, approviamo le Unioni Civili con Verdini. E adesso annunciamo un gigantesco obiettivo futuro: il Ponte sullo stretto di Messina!
Il Renzi ha puntato al linguaggio diretto, sulle slide: il senso è semplice, chiaro e comprensibile a tutti. Poco importa (per lui e per i suoi ) se saranno credibili e perseguibili, ma il gioco è fatto. Basta con la vocazione all’autoflagellazione della sinistra, diamo da bere al popolo ciò che vuole: immagine e promesse, in sintesi: panem et circenses.
Ecco perché io penso (da semplice lettore), che con Baumann, Bodei, Habermas, con Weber e altri si educano i futuri accademici, si mantiene alto il dibattito (che io apprezzo) fra le èlite di intellettuali che continueranno e dialogare fra di loro nel salotto buono di qualche sezione o in qualche blasonata biblioteca, ma non si comunica con il popolo della Sinistra.
Nonostante quanto accaduto in questi quasi tre anni senza elezioni, i senatori e i deputati del Pd continueranno a sostenere Renzi. Se si andasse al voto ora, molto probabilmente diversi di loro perderebbero il posto in Parlamento e pertanto dei vostri idealismi romantici, concentrato di tanta secolare cultura sociologica, se ne infischiano.
Continuando così, a sinistra la conta dei voti premierà Renzi grazie alle sue astute, semplici e ingannevoli slide di ‘sinistra’.

LA BELLEZZA CI SALVERÀ
Casa Minerbi-Dal Sale centro della cultura ferrarese tra passato e presente

Casa Minerbi-Dal Sale torna a essere il luogo dove il contemporaneo dialoga con il passato e con la memoria. È stato così negli anni Cinquanta con il restauro voluto dal proprietario e inquilino Giuseppe Minerbi; sarà così da ora in poi con il Centro Studi Bassaniani e l’Istituto di Studi Rinascimentali, che avranno qui la loro sede e con le loro attività torneranno ad animare gli splendidi ambienti di questo gioiello architettonico ferrarese. Proprio come è successo per tre giorni, da giovedì 3 a sabato 5 marzo, quando l’edificio di via Giuoco del Pallone ha riaperto eccezionalmente le sue porte al pubblico.

La lunga storia di questo complesso inizia nella seconda metà del Trecento, quando viene fatta edificare dalla famiglia Dal Sale (o Del Sale) e vengono realizzati gli eccezionali affreschi del salone dei Vizi e delle Virtù e della Sala degli Stemmi. A fine Ottocento l’edificio viene acquistato dalla famiglia Minerbi. Sarà Giuseppe Minerbi a decidere nel 1957 di restaurare parte degli ambienti, comprese le sale affrescate, per farne la propria abitazione, affidando il progetto al noto architetto milanese Piero Bottoni. Ed è qui che entra in scena Giorgio Bassani: amico e lontano parente di Giuseppe Minerbi, come spesso accadeva per i componenti dell’antichissima comunità ebraica ferrarese, come presidente di Italia Nostra, proprio per questo restauro chiede a “Beppe”, come veniva chiamato da chi lo conosceva bene, di guidare la sezione ferrarese dell’associazione. Minerbi rifiuta e la scelta ricade così su un altro grande animatore della realtà culturale ferrarese e non solo, l’avvocato Paolo Ravenna. Giorgio Bassani dedicherà poi al suo vecchio amico Beppe il suo ultimo romanzo: “L’airone”.
Il penultimo capitolo di questa secolare vicenda inizia nel 1995, quando il Comune di Ferrara e il Ministero per i beni culturali, mediante l’esercizio del diritto di prelazione, acquistano casa Minerbi-Dal Sale con lo scopo di renderla un luogo pubblico a disposizione dei cittadini.È così che Casa Minerbi-Dal Sale viene destinata a museo, per quanto riguarda le sale affrescate, e a sede dell’Istituto di Studi Rinascimentali.

Secondo Gianni Venturi, che sabato ha fatto gli onori di casa e ha accolto il pubblico, allo studio e alla cultura si è aggiunto “un atto d’amore”: quello di Portia Anne Prebys, compagna di Giorgio Bassani per 25 anni. Con la sua donazione, avvenuta a dicembre 2015, ha fornito il nucleo fondamentale del Centro Studi Bassaniani (di cui la Portia Prebys è curatrice, mentre il professo Venturi è il co-curatore), che non poteva avere la sua casa se non in via Giuoco del Pallone, in quelle stanze così spesso frequentate dallo scrittore. Circa 9.000 cartelle contenenti informazioni bio-bibliografiche relative a Giorgio Bassani fino al 2000 – raccolte in quarant’anni di ricerche da Portia Prebys – e 5.000 libri “appartenenti allo stesso Giorgio Bassani”, fra i quali “tutte le edizioni in lingua originale” delle sue opere, come spiega ancora Venturi. Il Lascito Prebys comprende anche una collezione di memorabilia personale, con mobili, sculture, stampe e acqueforti, porcellane e cristalleria, provenienti dalla casa di Roma, ma anche dalla casa natale di via Cisterna del Follo. È la stessa Portia ad accogliere il pubblico, seduta al tavolo da pranzo al posto solitamente occupato da Giorgio, e a spiegare che in questa stanza a pianterreno di Casa Minerbi ha voluto “ricreare l’ambiente dove l’uomo Bassani viveva”. Dietro di lei il ritratto di Bassani realizzato da Carlo Levi nel 1953, di fronte una serie di stampe con una pianta di Roma, realizzate nel Settecento da Giovanni Battista Piranesi e da Gianbattista Nolli: “ogni mattina Giorgio si alzava e dopo colazione sceglieva una meta, un quartiere da visitare”.

L’apertura definitiva al pubblico è prevista per maggio, dopo il trasloco del materiale dell’Istituto di Studi Rinascimentali: oltre 15.000 volumi disponibili a scaffale aperto, l’Archivio Giglioli, contenente “documenti che vanno dal 1260 al 1940”, e “i busti di gesso, compreso quello di Canova, che adornavano il Palazzo Giglioli Maffei”, come ha anticipato Gianni Venturi.
L’ultimo capitolo della storia di Casa Minerbi-Dal Sale è appena iniziato e nuove pagine aspettano di essere scritte.

Guarda il video su Casa Minerbi-Dal Sale realizzato da Mibact e Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia Romagna.

Clicca sulle foto per ingrandirle.

 

E’ nata Legacoop Estense, radici sul territorio e sguardo al futuro

Una nuova realtà associativa che unisce nello stesso progetto Il percorso cooperativo di Ferrara e di Modena, mantiene le radici ben piantate sul territorio e lo sguardo orientato al futuro.
Porta la data del 4 marzo la nascita di Legacoop Estense. Suo presidente è il ferrarese Andrea Benini. Luogo dell’evento la Pinacoteca Nazionale di Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Testimoni gli associati, i rappresentanti delle istituzioni e della stampa.
“Siamo qui oggi per festeggiare una unione importante: la Lega Coop Estense, che vede da oggi assieme Ferrara e Modena in un progetto che ci accomuna. – ha detto la direttrice delle Gallerie Estensi Martina Bagnoli, facendo gli onori di casa in Pinacoteca – Anche noi, nel settore della cultura, siamo diventati un’entità cooperativa, un nuovo modo di concepire il museo come una rete di luoghi: le Gallerie Estensi fra Ferrara e Modena, che diventano uno snodo sociale importante, radicato nel territorio, nella vita della comunità, per costruire un rapporto vivace fra pubblico e privato, dove la social economy si possa realizzare per la crescita della città”.

A salutare i presenti anche Patrizia Bertelli, vice presidente di LegaCoop Ferrara e il sindaco Tiziano Tagliani, che nel suo discorso alla platea ha sottolineato che “Gli Estensi costruivano costantemente alleanze con le diverse anime del territorio, per trovare una via migliore per esprimere la propria presenza sullo stesso territorio. Questo carattere culturale è lo stesso che ritroviamo qui oggi, con questa manifesta comunanza di storia e di intenti”.
“Dalla Casa del Popolo di Ravalle (dove nel congresso della Lega Coop del 2014 si iniziò il cammino per il progetto di fusione, ndr) a Palazzo dei Diamanti, mi sembra un percorso abbastanza simbolico dell’unione della vicinanza alla gente e della tradizione che la nuova Legacoop Estense vuole realizzare. – ha detto nel suo intervento Andrea Benini, presidente di Legacoop Ferrara – Con questa giornata noi manteniamo un impegno importante, quello della fusione, ma per tutti noi non è un punto di arrivo, bensì uno di partenza: stiamo fondendo due esperienze singolari, che hanno dato tanto ai loro territori, e che si mettono assieme per rispondere alle esigenze dei soci e delle comunità di riferimento, che evolvono assieme come imprese, che impostano un cammino comune per avere massa critica sul mercato.”

Nel presentare al pubblico i principi della neonata cooperativa, Benini ha anche ricordato l’impegno di solidarietà che ogni socio dovrebbe profondere per sostenere le realtà in difficoltà: “Approfitto di questo momento per ricordare la situazione della Cooperativa dei Lavoranti in Legno, verso i cui lavoratori vi chiederei di valutare il reinserimento presso le vostre aziende”.
“Secondo Unioncamere – ha poi spiegato – la competitività di un’azienda è direttamente proporzionale alla situazione del territorio e alla soddisfazione del lavoratore. Questo significa che le aziende funzionano bene se servite bene dal territorio, in un reciproco “dare e avere”. Il territorio di Ferrara e Modena conta più di 110.000 imprese, Legacoop Estense conterà invece un totale di 263 cooperative, per un fatturato aggregato di 6 miliardi di euro, 500.000 soci e 35.000 lavoratori, che costituiscono quasi l’8% degli occupati nei due territori. Le cooperative associate operano in tutti i settori, dall’agroalimentare ai servizi, dal sociale alla grande distribuzione. La nuova associazione avrà una governance rappresentativa dei due territori e prevede, accanto alla Direzione e al Consiglio di Presidenza composti dai rappresentanti delle cooperative associate, un Presidente a tempo pieno, un Vicepresidente part-time, che affianca l’incarico al proprio impegno all’interno della cooperativa che guida, un Direttore e un coordinatore territoriale, nonché due sedi, una a Ferrara l’altra a Modena, al fine di rispondere al meglio alle esigenze delle imprese associate. E’ risaputa la resistenza che noi ferraresi muoviamo verso le novità e gli accorpamenti e io so che è per la paura di perdere qualcosa delle nostre peculiarità: con la Legacoop Estense questo non potrà accadere, visto che metteremo in campo le reciproche eccellenze, in un nuovo assetto organizzativo che faccia più massa critica sul mercato ma conservi il legame con le città e le loro peculiarità.”

“Questa riorganizzazione – ha concluso Benini – rappresenterà un’opportunità non solo per l’associazione e le cooperative, ma anche per la comunità e il territorio, in risposta al riordino istituzionale e ai cambiamenti economici e sociali in atto. Non si può immaginare di rispondere ai problemi di oggi senza far evolvere le strutture di ieri.”
La giornata di lavori è poi proseguita con gli interventi dei soci di Ferrara e – dopo la pausa per il pranzo – c’è stato il trasferimento a Modena, dove si è tenuta l’Assemblea Costitutiva della Legacoop Estense. Qui, di fronte a una folta platea di rappresentanti delle cooperative associate e di ospiti, Andrea Benini, è stato nominato presidente della nuova Associazione, affiancato dalla Vice Presidente Francesca Federzoni, e dal Direttore Gianluca Verasani.
Lauro Lugli, dopo 5 anni alla guida di Legacoop Modena ha deciso invece di concludere la propria esperienza per favorire il rinnovamento ed ha espresso grande soddisfazione per la positiva conclusione di un percorso di unificazione da lui fortemente sostenuto, che lo ha visto per mesi in prima linea per favorirne la positiva conclusione.

Nel suo primo intervento da neo-presidente Andrea Benini ha sottolineato lo spirito di servizio col quale affronterà questa nuova sfida, e ha esortato tutti – cooperatrici e cooperatori, ma anche rappresentati delle Istituzioni e mondo associativo e imprenditoriale – a “non pensarci più come ferraresi e modenesi, ma come cooperatori e cooperatrici che cercano di affrontare problemi e cercare nuove prospettive. Evolvono i mercati di riferimento, evolvono le cooperative, evolvono le associazioni. Mettersi insieme è una scelta, una risposta, un’opportunità. Grazie a quest’unificazione le cooperative potranno trovare maggiori possibilità di sinergia, collaborazione, integrazione, eliminando vincoli territoriali nati per sostenere ma divenuti poi un ostacolo. E tutto questo lo faremo sempre con lo sguardo rivolto alla nascita, nel 2017, di un’unica Associazione nazionale delle Cooperative Italiane”.

Dopo la Tavola Rotonda, nella quale il Presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, i Sindaci dei Comuni di Modena e Ferrara Giancarlo Muzzarelli e Tiziano Tagliani, e il Presidente di Legacoop Emilia Romagna Giovanni Monti, hanno discusso di riordino istituzionale dei territori, aree vaste, processi di aggregazione fra associazioni e fra imprese, il Presidente di Legacoop Nazionale Mauro Lusetti ha concluso una giornata storica.

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LA SEGNALAZIONE
In mostra a Bologna l’Officina Pasolini

di Federico Di Bisceglie

Il 2 novembre 1975, all’idroscalo di Ostia, veniva trovato il corpo straziato e senza vita di uno dei più controversi, discussi, criticati e amati, autori del Novecento italiano: Pier Paolo Pasolini.
A quarant’anni di distanza Bologna, la città che gli diede i natali il 5 marzo 1922, ospita presso il MamBo, il museo d’arte moderna, una mostra in onore del “poeta” per usare una definizione di moraviana memoria, sebbene per Pasolini le definizioni si potrebbero sprecare. “Officina Pasolini”, promossa dalla Fondazione Cineteca di Bologna, in collaborazione con l’Istituzione Bologna Musei e l’Università di Bologna – Scuola di Lettere e Beni culturali, è ormai al suo ultimo mese di apertura: chiuderà, infatti, il 28 marzo 2016.

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La locandina della mostra

Quello nelle sale del MamBo vuole essere un percorso tematico per trasportare il visitatore nell’intricato mondo di Pasolini, tra idee, appunti, frammenti di cinematografia, racconti della vita quotidiana. Il metodo usato è lo stesso del protagonista: una sequenza di scene per narrare l’universo poetico, estetico e culturale di questo artista e intellettuale precorritore dei suoi tempi: dalla formazione bolognese all’ultimo film uscito postumo, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, e al romanzo incompiuto “Petrolio”; dalla profonda critica alla classe borghese e dalle categorie politiche riscontrabili ne “Gli scritti corsari” alla dura realtà delle borgate di Roma, che l’autore magistralmente descrive nella sua opera del 1955 “Ragazzi di Vita”. Il poeta, il romanziere, il regista, il grecista, il drammaturgo, insomma: Pier Paolo Pasolini. È stato senza dubbio una figura che ha radicalmente cambiato la storia del nostro Paese, attraverso soprattutto narrazioni di realtà che in quegli anni si tendeva a nascondere, per preservare una sorta di falso perbenismo borghese che caratterizzava ampiamente la civiltà di quegli anni.

Anche il nome scelto per l’iniziativa non è assolutamente casuale, infatti richiama un altro interessante aspetto dell’opera pasoliniana, il giornalismo, che ha un forte legame proprio con la città felsinea. Pasolini, infatti, insieme a Roversi e Leonetti, fondò negli anni Cinquanta una rivista denominata “Officina”, termine impiegato nel 1934 per la descrizione della pittura ferrarese dallo storico dell’arte forse più famoso in Italia allora: Roberto Longhi, che è stato suo docente di estetica delle arti figurative a Bologna.

La mostra costituisce un unicum, sia per quanto riguarda la scelta di ciò che è esposto, sia per quanto riguarda la possibilità che offre di una maggiore conoscenza dell’inesauribile produzione artistica di un autore troppo spesso dimenticato e sottovalutato.

Clicca [qui] per maggiori informazioni e [qui] per orari e prezzi di ingresso.

NOTA A MARGINE
La rivoluzione degli ebook, una bomba ancora inesplosa

In tanti ancora faticano anche solo a concepirlo: innaturale, rigido, non si può sfogliare, non se ne possono collezionare file intere sugli scaffali di una libreria. Questo si dice di lui. E poi, la ‘scusa’ più originale di tutte: non profuma di carta.
Ovviamente stiamo parlando dell’ebook, il libro elettronico (o digitale che dir si voglia), diffuso ormai da molti anni, ma che a differenza di tante altre innovazioni nei campi della cultura (musica e cinema) fatica ancora a trovare il suo vero e proprio consolidamento. Tutto comprensibile se pensiamo alla lunga storia di un settore come l’editoria, di sicuro tra quelli dalla tradizione più longeva a livello globale e difficili da modificare per storia e tradizione, ma da anni in profonda crisi. Eppure già in tanti leggono in digitale e tutti noi, in fondo, sappiamo che prima o poi qualcosa accadrà e sempre più persone trasferiranno le proprie letture sui nuovi dispositivi.

Per fare il punto su questa fase di transizione nel mondo e nel nostro territorio, si è svolta un’interessante conferenza in Biblioteca Ariostea inserita nella rassegna “Viaggio nella comunità dei saperi” a cura dell’Istituto Gramsci e dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara. Titolo dell’evento “Le nuove frontiere dell’ebook”, relatore il responsabile delle attività culturali del servizio biblioteche e archivi del comune di Ferrara Fausto Natali, introdotto dal direttore della biblioteca Enrico Spinelli e da Daniela Cappagli del Gramsci. Un’occasione per conoscere più a fondo cosa sono e come si utilizzano i libri digitali, oltre che per discutere circa alcuni punti interrogativi ancora in sospeso: come sta cambiando il mondo del libro? Quali sono i pro e i contro? In quanti leggono digitale e attraverso quali dispositivi?

Natali, a quanto pare lettore digitale da parecchi anni, ha fatto una doverosa premessa: in Italia è ancora molto basso il numero annuale di lettori. Le statistiche più recenti indicano, infatti, che solo il 13% della popolazione legge almeno un libro al mese e ciò si ripercuote inevitabilmente sul mondo della cultura (di solito chi non legge è meno propenso a frequentare cinema, teatri, concerti) e sui lettori di domani (i figli sono più indotti a leggere se lo fanno anche i genitori).
Tuttavia le vendite di ebook in Italia non sono assolutamente in calo: sono 4 milioni e mezzo gli italiani che nel 2015 hanno letto almeno un libro elettronico, e se è vero che oltre il 90% di chi acquista libri online predilige il cartaceo, è vero pure che molti tra questi decidono di comprare anche in formato digitale.
Leggermente in calo, ma con numeri comunque molto alti, la situazione del libro digitale negli Stati Uniti: gli ebook rappresentano il 20% dell’intero mercato dell’editoria, con un’industria come Amazon (leader indiscusso del settore, nonché pioniere dell’editoria digitale e da qualche anno anche editore del Washington Post) in possesso del 65% di questa quota.

Se quindi, in linea di massima, il mercato degli ebook è stabile o in crescita, lo stesso si può dire dei lettori e-reader. Come spiegato anche da Natali, ciò non è casuale vista l’enorme diffusione dei tablet e soprattutto degli smartphone, che oggi sono più di sette miliardi in tutto il mondo. Una diffusione che non va assolutamente sottovalutata, dato che lo smartphone è il device oggi prediletto dalla maggior parte delle persone per fare qualsiasi cosa in ogni momento della giornata. A quanto pare, anche leggere libri. Non è forse un caso quindi il fatto che un colosso come Apple abbia deciso, a partire dal prossimo aggiornamento del proprio sistema operativo per dispositivi mobili, di integrare la ‘modalità notturna’ per non affaticare gli occhi durante la lettura al buio, sintomo di un’attenzione privilegiata ai tanti lettori che preferiscono lo schermo luminoso al più consigliabile (almeno per le letture scorrevoli e longeve) inchiostro elettronico degli e-reader.

Natali è poi entrato nei dettagli più tecnici, specificando quali dispositivi utilizzare a seconda delle esigenze, i formati da privilegiare per una più vasta fruizione, la gestione dei Drm e dei meccanismi di protezione dei diritti, la catalogazione delle librerie online e così via. Questioni scontate per i nativi digitali e per alcuni della generazione dei millenials, ma di difficile comprensione soprattutto per quella fascia di lettori più in età, la stessa che probabilmente pone la maggiore resistenza a questa innovazione. Tuttavia il profilo del lettore oggigiorno non sembra cambiare a seconda della tecnologia utilizzata per leggere: secondo Natali è davvero solo questione di abitudine, il prodotto finale ovviamente è sempre e solo il contenuto del libro in sé.
Interessanti anche i dati che riguardano i piccoli editori e le auto-pubblicazioni (tra quelli che hanno goduto maggiormente di questo cambiamento) e la pirateria, ancora poco diffusa in questo settore, ma una probabile bolla pronta a esplodere nel caso di un consolidamento.
In sintesi, è chiaro che il futuro degli ebook e degli e-reader è ancora estremamente imprevedibile: Natali ricorda come le previsioni che qualche anno fa volevano la completa transizione dal cartaceo al digitale nel 2017 non si siano in realtà avverate. Un errore da ricercare probabilmente nella mancata capacità degli operatori del settore nel trovare una formula davvero innovativa e soprattutto in grado di diffondere capillarmente la lettura digitale.

Nel frattempo Ferrara non è stata certo ad aspettare, si è rimboccata le maniche: il servizio bibliotecario offre il prestito di libri digitali, iniziative come “Pane e Internet” aiutano la diffusione di queste nuove tecnologie e tante altre idee sono in cantiere per favorire un futuro nel quale il magico mondo del libro sia in grado coniugare tradizione e innovazione.

LA LETTURA
Alla ricerca di un’amicizia perduta

Sara Salar
Sara Salar

Dal vetro della macchina guardo il cielo, il cielo color piombo di Teheran… Ho detto al dottore: – E’ come mi fossi persa anni fa, persa nel cielo nero stellato di Zahedan. (Probabilmente mi sono persa, Sara Salar)

Un libro coinvolgente, pagine che si leggono d’un fiato dribblando le macchine, gli incroci e i semafori di una Teheran affollata e persa nei suoi pensieri. Romanzo rivelazione di Sara Salar, nota al pubblico iraniano principalmente per le sue traduzioni di Haruki Murakami, “Probabilmente mi sono persa” (pubblicato nel 2009 e vincitore del prestigioso premio letterario Golshiri) è oggi, nella sua versione italiana, la prima traduzione straniera che esce dai confini dell’Iran.

La protagonista è un’inquieta giovane donna, di cui si ignora il nome, mai pronunciato, che si risveglia confusa e con un occhio pesto. Ignoreremo anche la causa di questo. Quello che la trentacinquenne sa è di avere un figlio di cinque anni, Samiar, ma quella mattina al riveglio non lo trova nella sua stanza. Crede di ricordarsi di averlo infilato in un taxi e spedito all’asilo. Un pensiero ricorre però sempre su tutti, potente come una voragine, insopportabile come una trottola che gira vertiginosamente e che ossessiona: Gandom, l’ex amica, conosciuta al primo anno di liceo e poi persa, scomparsa. Gandom si presenta nei sogni, si intrufola nei ricordi, si fa rimpianto e dolore, è sempre nella sua mente affollata dal quell’unico pensiero di un’amicizia che non c’è più. “Come era potuto succedere che quel giorno, al liceo, tra tutte quelle ragazze, lei guardasse proprio me, che sorridesse proprio a me?… ridicolo! In tutta la mia vita non mi era mai capitata una cosa così: tra tutte quelle ragazze, una mi guardava e mi sorrideva”. Gandom è bella, sfrontata, magnetica, eccitante, coraggiosa, colorata, solare, instancabile, elegante, ricca, piace ai ragazzi e agli uomini, ama la vita, sfida il destino, non teme nulla e nessuno. Ha tutto ciò che la protagonista sa di non avere, è tutto quello che sa di non essere e non poter mai essere.

Eccoci persi fra le strade di Teheran, quasi seduti accanto alla protagonista, che guida una macchina che sfreccia tra smog, traffico e cartelloni pubblicitari enormi, che sfilano lungo strade polverose e rumorose. E’ un viaggio a ritroso nel tempo, dove il presente si mescola con il passato, dove si intrecciano dialoghi di ora e di allora. La confusione è ovunque, ma i dialoghi si seguono, sbalzati destra e sinistra in una montagna di emozioni he travolgono, inframezzati da un dialogo/confessione con uno psicologo. Ma sempre c’è Gandom, luminosa come un miraggio, onnipresente come una stella in cielo. Lassù.

La copertina del volume

Straniamento, ossessione, fastidio per un corteggiatore insistente, Mansur, il socio del marito (in realtà timore che quell’avvicinamento non dispiaccia, mai i ruoli vanno mantenuti, i limiti rispettati), senso di inadeguatezza, paura di non essere una buona madre, nostalgia per un passato che se ne è andato e che non ritornerà. Tutto è difficile, ci si affanna, ogni cosa pare in salita, una salita che non vede arrivo, che non vede discesa, che non trova la sua fine naturale. Raccontare questi timori di donna non è sicuramente semplice, mai, immaginiamo in Iran, dove in effetti il libro è stato a lungo censurato. Ci si può perdere, e ci si perde, e in società che non ammettono cedimento o disorientamento sarebbe dura per chiunque. Invece qui si mettono a nudo fragilità e inquietudini, attrazione e repulsione, in una scrittura serrata e quasi compulsiva. “Dico, dice, ho detto, ho esitato, dissi, disse”, questo il ritmo, come se si picchiasse con forza e rabbia sui tasti di un pianoforte. Tin tin, ton ton, tum tum. Boom. Nell’utilizzo di tanti puntini di sospensione ritroviamo esitazioni, frenesia, fastidio. Una girandola di emozioni che giocherella con i nostri pensieri quasi parcheggiati in una rumorosa e pericolosa doppia fila. Bisogna essere pronti per una lettura non sempre semplice come questa, ma che resta raccomandata.

 

Sara Salar, Probabilmente mi sono persa, Ponte33, 2014, pagg. 119

NARRAZIONI
Incostituzionale

 di Cristiano Tonioli

Un giorno mi dichiareranno incostituzionale
Insieme ai tuoi abbracci
Alla sambuca e all’albero di Natale
Incostituzionale come i nostri capricci
Incostituzionale come le cose da dirci
Un giorno il Bene non sarà più sul dizionario
Con buona pace al cuore reazionario
Ci scalderemo in una coperta di legalità
E ogni carezza passerà al vaglio della legittimità
Anche l’odore che mi lasci a letto
Mentre ti faccio la colazione
Anche la moneta che dò a un senzatetto
Senza presentarne dichiarazione

Ma un giorno forse saremo incostituzionali
E ci fotteremo di queste noiose questioni
Che ci fanno ingoiare a gran bocconi
Rendendoci puntigliosi e cafoni.
Un giorno ci chiederemo come mai
La Costituzione più bella del mondo
Da un secolo ci dà tanti guai
Per il suo amaro problema di fondo:
Che per la morale non c’é manuale
Che è una presa per il culo la vostra legge universale
Che val poco una mattonata di Costituzione
Se bisogna adottarla come religione

Un giorno e spero presto saremo incostituzionali
Lo saremo tutti, belli e brutti
Perchè avremo capito la magagna:
La legge è per menti banali
Per animi crucchi e cuori farabutti
E io e te ce ne andremo in montagna

Amore e anarchia!
Un buon film e la maria

ECOLOGICAMENTE
Il vetro: interamente riciclabile all’infinito

Il vetro in terminologia chimica diventa tante cose, ma per gli imballaggi si parla prevalentemente di ossido di silicio (vetri silicei) e di vetro cavo (il vetro piano lo lasciamo all’edilizia). Le tipologie di imballaggio sono soprattutto bottiglie, ma anche flaconi (per esempio di cosmesi), fiale e vasi.
Le preferenze dei consumatori sulle bottiglie in vetro (di acqua, birra e vino) sono in leggero aumento soprattutto per la fascia medio-alta di prodotti.
Il vetro è un materiale riciclabile al 100% e all’infinito. Inoltre, al contrario di molti altri materiali riciclabili, la materia prima che si ottiene, tecnicamente chiamata materia prima seconda e, nel nostro caso, “vetro pronto al forno”, ha le stesse caratteristiche e proprietà della materia prima vergine.
Qualche giorno fa è stato presentato il rapporto “Il riciclo del vetro e i nuovi obiettivi europei per la circular economy”, realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile per conto di Assovetro.
In sintesi:
– l’industria del riciclo del vetro dà lavoro a 20.200 occupati e produce 1,4 miliardi di Pil;
– il settore ha generato 125.000 posti di lavoro e ha ridotto del 48% l’utilizzo di materie prime;
– la raccolta differenziata di questo materiale è arrivata al 77% e il tasso di riciclo è al 70,3%;
Esiste anche un percorso di ricondizionamento dei contenitori vuoti e di riutilizzo industriale di difficile quantificazione (parliamo di birre e acque per una quota di circa 200 mila tonnellate).
Il sistema della ripresa dei vuoti prevede che il cittadino, una volta consumato il contenuto della bottiglia, possa restituire quest’ultima al distributore e scegliere se riprendere la cauzione eventualmente versata o ottenere uno sconto sul prossimo acquisto dello stesso prodotto. Scopo di questo metodo, generalmente conosciuto come “vuoto a rendere”, è riutilizzare gli stessi contenitori per essere riempiti e rivenduti più volte.

Dice il Conai che sono stati immessi 2,3 Kton di vetro nel 2014 e ne sono stati avviati al riciclo 1,6 Kton, quindi oltre il 70 %: un importante risultato. Si sostiene che così si è ridotta l’importazione; tuttavia il settore ha molte questioni ancora da risolvere, a partire dalla crisi dei trasformatori (basta guardare lungo la via Emilia), nonostante l’aumento delle raccolte differenziate.
Grazie al vetro riciclato, ogni anno vengono prodotti in Italia circa 10 miliardi di contenitori, che portano il proprio valore aggiunto di trasparenza, inalterabilità nel tempo, igiene, impermeabilità e sostenibilità ambientale in innumerevoli aspetti della vita quotidiana.
Ma c’è un problema: dal rottame di vetro di colore misto – il solo generato in Italia dalla raccolta differenziata – non è possibile creare contenitori di colore bianco-trasparente. Infatti, per quanto riguarda la raccolta del solo vetro bianco siamo ancora molto indietro rispetto a paesi come Germania e Francia, costringendo così le nostre aziende ad importarlo.
Il Comune di Ferrara e la società Hera, con il patrocinio di Coreve, hanno avviato nel febbraio 2007 un progetto pilota per la raccolta monocolore del vetro, prevedendo la separazione del vetro bianco o incolore, dalle altre tipologie di vetro colorato. Non credo che il progetto abbia avuto successo.
Alle vetrerie conviene utilizzare il vetro usato, perché consente di risparmiare il 25% circa di energia nel processo di produzione. Il vetro usato è certamente un materiale di qualità, ma non consente di avere ricavi elevati. Per poter avere delle opportunità di vendita sul mercato internazionale, è necessario operare una raccolta differenziata per colori. Esportare vetro frantumato ha senso solo se può essere riutilizzato per la produzione di bottiglie. A questo scopo, si utilizzano preferibilmente cocci di vetro separato per colori. Sul mercato del vetro usato sono particolarmente richiesti cocci di vetro marrone o bianco.

Dall’ultimo rapporto Ispra sui rifiuti urbani (novembre 2015) risulta che il costo medio di gestione per kg di materiale, valutato a livello nazionale, è di 11,15 eurocent, in corrispondenza di un conferimento pro capite di 31,3 kg/abitante per anno, mentre il costo annuo pro capite risulta di 3,49 euro/abitante per anno. Nella Rd del vetro di imballaggio (Cer 150107) i costi di raccolta e trasporto incidono per il 90,1% sui costi totali.
Un altro problema è dato dalla presenza indesiderata della ceramica. Ci sono, infatti, materiali che sembrano vetro, ma vetro non lo sono. Il caso più insidioso è forse quello dei materiali inerti che fondono a temperature più alte del vetro, come la vetroceramica. È però importante ricordarsi di tenere la vetroceramica (tipo il “pirex”) – così come i piatti, le tazzine in ceramica o porcellana – ‘alla larga’ dal vetro perché è sufficiente un solo frammento di questi materiali mescolato al rottame di vetro pronto al forno per vanificare il processo di riciclo, dando origine a contenitori destinati irrimediabilmente a infrangersi. Per questo tra Coreve e Anci è stato siglato un accordo per abbattere i quantitativi di ceramica nella raccolta del vetro, annunciando la temporanea modifica delle le specifiche tecniche previste dall’Accordo Quadro, relativamente alla quota di inerti presenti nella raccolta differenziata del vetro.
In Emilia Romagna nel 2014 sono state raccolte in maniera differenziata 153.912 tonnellate di vetro, che corrispondono a 35 kg per abitante. Di queste, 152.503 t sono state raccolte dai gestori del servizio pubblico (60.868 t monomateriale e 91.635 t nel multimateriale) e 1.409 t sono rifiuti vetrosi assimilati che il produttore ha avviato direttamente a recupero. Una prima analisi dei flussi evidenzia che, rispetto al totale raccolto, pari a 153.912 t, il 5% dei rifiuti vetrosi ha seguito la via del libero mercato, mentre il 95% è stato avviato a effettivo riciclo tramite il sistema consortile CoReVe (Consorzio Recupero Vetro).

Poi c’è l’alluminio. Il vetro e l’alluminio riciclati mantengono quasi del tutto inalterate le proprie qualità, consentendo di risparmiare sia le materie prime sia l’energia necessaria a produrli. Per questo in molti casi si raccolgono insieme. Per la raccolta e il riciclo dell’alluminio è stato costituito uno specifico consorzio, il Cial. L’alluminio – identificato con il simbolo Al – è un elemento comune che costituisce l’8% della crosta terrestre e si presenta in natura sotto forma di minerale: la bauxite. E’ un metallo fondamentale dell’era dello sviluppo tecnologico. Da molti anni ormai l’industria italiana del riciclo dell’alluminio detiene una posizione di rilievo nel panorama mondiale per quantità di materiale riciclato. Il nostro Paese è infatti terzo nel mondo, insieme alla Germania, dopo Stati Uniti e Giappone.

Leggi il rapporto Il riciclo del vetro e i nuovi obiettivi europei per la circolar economy: Dossier-Assovetro

NOTA A MARGINE
Bullismo omofobico, legge sulle unioni civili e ideologia gender: perchè l’Italia non va avanti sulla strada dei diritti

Bullismo omofobico, ideologia gender, ddl Cirinnà sulle unioni civili: sono tre temi trattati durante l’ultima edizione del Tag festival di Ferrara, conclusosi domenica 28 febbraio. Non è un caso che li abbia citati insieme, sono strettamente legati fra loro in un circolo vizioso che ha creato nel nostro paese un sostrato culturale tale da viziare il dibattito di queste settimane e impedire che la società italiana possa compiere passi in avanti in termini di diritti.

Cominciamo dall’inizio. Sabato mattina in Sala Estense sono stati presentati i dati di un’importante ricerca, svolta nell’ambito di un progetto regionale di prevenzione e contrasto al fenomeno del bullismo omofobico promosso in Friuli Venezia Giulia da Regione, Ufficio Scolastico Regionale, Università di Trieste e associazioni Lgbt. La ricerca – che ha coinvolto 2.138 studenti degli istituti di secondo grado ed enti professionali, con un’età media del campione di 16,5 anni – ha indagato con quale frequenza “emergono le possibili tipologie di comportamenti di bullismo omofobico nei confronti dei/delle ragazzi/e omosessuali o ritenuti/e tali”, cercando anche di capire quali sono le “variabili socio psicologiche che promuovono o prevengono tali comportamenti”. Il questionario ha sondato la frequenza con cui gli studenti hanno assistito, hanno messo in atto o sono stati vittima di episodi di bullismo, intendendo aggressioni sia verbali sia fisiche, la conoscenza diretta di persone omosessuali, come i ragazzi percepiscono l’omosessualità e gli stereotipi legati all’orientamento sessuale. Ketty Segatti – funzionario della Direzione centrale lavoro, formazione, istruzione, pari opportunità, politiche giovanili, ricerca e università della Regione Friuli – ha spiegato che il 43,4% dei ragazzi ha assistito a fenomeni di bullismo nei confronti di maschi omosessuali o ritenuti tali (la percentuale scende al 33,3% nei confronti di femmine); l’11,7% – quindi uno studente su 10 – ha messo in atto aggressioni verbali e/o fisiche nei confronti di maschi, il 4,7% nei confronti di femmine; infine, il 27,8% degli intervistati ha subito aggressioni a sfondo omofobico. Risultati interessanti sono poi quelli riguardanti l’indagine sulle parole: “c’è una stretta correlazione – ha affermato Segatti – fra il linguaggio e gli atti di bullismo”, inoltre “gli epiteti omofobici come ‘frocio’ o ‘finocchio’ sono ritenuti più offensivi di ‘scemo’ o ‘stupido’ e tanto denigratori quanto ‘stronzo’ o ‘coglione’.”
Ketty Segatti precisa però che questa pur importante ricerca – è il primo tentativo di fotografare il fenomeno in un campione così esteso di popolazione studentesca – è solo un pezzo di un percorso di formazione più ampio, che ha incluso incontri degli studenti con ragazzi e ragazze omosessuali “per ridurre le barriere” e anche un lavoro di formazione con gli insegnanti, perché la percezione del loro comportamento nei confronti del bullismo da parte dei ragazzi è risultata cruciale nella riduzione nel fenomeno. La soluzione per la prevenzione del bullismo omofobico, secondo Segatti, è infatti “lavorare a più livelli: informazione e formazione per ragazzi, docenti e famiglie”.
Ecco il punto: sull’opuscolo del progetto, messo a disposizione durante l’incontro, si legge che anche in Friuli l’attuazione del comma 16 della “Buona Scuola” sulla prevenzione della violenza di genere e dl le discriminazioni e persino lo svolgimento di questo percorso sul bullismo omofobico hanno dato origine a polemiche contro l’introduzione dell’ideologia del gender nelle scuole. Uno spauracchio agitato ogniqualvolta si tenti di introdurre nelle scuole percorsi di educazione al rispetto delle differenze e di contrasto alle discriminazioni. Chi si oppone all’introduzione di questi programmi formativi lo fa in nome di un presunto diritto dei genitori di provvedere all’educazione dei propri figli secondo le proprie convinzioni filosofiche e religiose. Fermo restando che i genitori possono informarsi in qualsiasi momento sui percorsi seguiti dai figli tramite il Pof (Piano dell’offerta formativa), la Corte Europea di Strasburgo ha stabilito che la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo non garantisce il diritto dei genitori affinchè i figli non vengano esposti nell’ambiente scolastico a opinioni non conformi alle proprie convinzioni; inoltre non bisogna dimenticare che compito primario della scuola è educare ai principi di cittadinanza e alla pari dignità sociale dei cittadini, senza discriminazioni fondate su origine etnica, fede religiosa o orientamento sessuale, e assicurare il benessere di ogni studente, creando un ambiente scolastico libero da ogni forma di discriminazione e violenza.

Ma non c’è nulla da fare, la cosiddetta ideologia gender è ormai entrata nella vita di ciascuno di noi; ma vi siete mai domandati che cosa sia, come sia entrata nell’immaginario comune e chi abbia formulato le teorie su cui si fonda? Questo è stato il tema del dibattito di sabato pomeriggio. Secondo la giornalista Caterina Coppola la ‘leggenda’ dell’ideologia gender si è propagata come la teoria per cui i vaccini causerebbero automaticamente l’autismo: “non ha fondamenti reali, ma i mass media hanno iniziato a mettere a confronto i suoi promotori con sociologi, psicologi, filosofi, accreditando così la percezione che avesse una dignità scientifica”. Per di più il dibattito riguarda la scuola e i bambini, cioè il futuro della nostra società, ecco così che si cavalcano le paure dei genitori e non solo.
La teologa Benedetta Selene Zorzi fa riflettere il pubblico sul fatto che nessuno sembra volersi attribuire la ‘paternità’ di questa teorizzazione dell’ideologia gender. E forse non è un caso: non è altro se non “un grossolano fraintendimento degli studi sul genere”; si accomunano il dato biologico e fisico del sesso e la costruzione sociale e culturale dei ruoli di genere e poi si sostiene che l’ideologia gender “vorrebbe cancellare la differenza fra i sessi”, ma “faccio appello all’intelligenza di ognuno di voi, è possibile che qualcuno possa mai sostenere che l’umanità non è divisa fra maschi e femmine?”
Secondo Michela Marzano – deputata Pd e autrice del volume “Papà, mamma e gender” – il problema è ancora più grave: “c’è anche un appiattimento dell’orientamento sessuale sulle pratiche sessuali, che a loro volta vengono spesso identificate con la perversione”. Dietro, secondo la filosofa, c’è “una confusione fra il piano valoriale del concetto di uguaglianza e quello descrittivo dell’identità”. Uguaglianza non significa cancellare le differenze, anzi, queste vengono valorizzate, si educa “al rispetto delle differenze per arrivare all’uguaglianza dei diritti”.
E proprio qui si rivela il disegno soggiacente al fantasma dell’ideologia gender, che ha contribuito ad affossare il ddl Cirinnà: si sono sancite differenze, che sono diventate “discriminazioni”, costruendo “un recinto dal quale sarà difficile uscire”. “Se si può dire che la Cirinnà è un’evoluzione giuridica, è però un’involuzione culturale”, “ha vinto chi pensa che esista un’ideologia gender” e che “ci sia un amore degno e un amore indegno”.
Ecco perché Marzano, che in nome del rifiuto dell’ideologia gender si è vista anche negare sale pubbliche per ospitare le presentazioni del suo libro, ha affermato di voler lasciare il Pd e ha ribadito più volte con forza che in Italia c’è bisogno di una vera e propria battaglia culturale per far sì che non ci siano più paure irrazionali da cavalcare e che nessuno, nel XXI secolo nel nostro paese, si possa permettere di dire nel silenzio generale che qualcun altro solo perché è diverso è “contro natura”.

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