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(Pubblicato il 29 novembre 2013)

2/CONTINUA – Torniamo più propriamente ai temi del lavoro dal quale la nostra chiacchierata con Luigi Cattani era partita.
Lei sostiene che l’avere introdotto maggiore flessibilità contrattuale non ha giovato all’occupazione e non ha arginato la crisi produttiva.
“Sono i fatti a dimostrarlo. La stagione della flessibilità è stata inaugurata nel ’97 dal governo Prodi con il famoso pacchetto Treu. E la crisi strutturale, guarda caso, coincide proprio con quella fase e dura ormai da 15 anni. Senza volere forzare l’analisi si può tranquillamente dire che quei provvedimenti e quelli di segno analogo che sono seguiti non hanno avuto la capacità di contenere gli effetti devastanti della stagnazione prima e della recessione poi”.
Fra i provvedimenti successivi c’è stata la controversa modifica all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, introdotta dal governo Monti sotto la spinta del ministro Fornero. Quali le conseguenze?
“Il provvedimento è stato accompagnato dalla fortissima pressione di Confindustria. L’articolo 18 codifica il principio che il lavoratore non può essere licenziato indiscriminatamente, senza un confronto fra le parti. La modifica ha portato a un imbarbarimento nelle relazioni e nei rapporti di lavoro, inclusi quelli nel comparto pubblico. Ciò è stato possibile all’interno di un quadro generale di destrutturazione dei rapporti sociali di questo Paese”.
E l’effetto più immediato?
“Il fatto che il lavoratore ha perso di importanza e non è più percepito come fulcro del processo produttivo”.
Ciò cosa comporta?
“Faccio un esempio clamoroso. Il made in Italy è una bella etichetta, ma l’apparenza non basta. Coerentemente con la logica della marginalità del lavoratore molti imprenditori del comparto hanno delocalizzato o terziarizzato la produzione affidandola a manodopera non all’altezza. L’esito è stato drammatico e ha compromesso la competitività e il posizionamento di un settore che rappresentava un nostro indiscusso fiore all’occhiello”.
E quindi come si esce dalla crisi?
“Risposta molto impegnativa. Diciamo che ognuno dovrebbe fare il proprio mestiere. Confindustria andando oltre il mantra della flessibilità e recuperando il proprio ruolo di guida e di stimolo alle imprese, chiamate a investire e innovare. Il sindacato facendo il sindacato, affrancandosi dal ruolo subalterno cui la mancanza di una strategia generale sul mondo del lavoro lo ha relegato in questi anni e garantendo la tutela dei lavoratori in un’ottica di espansione dei diritti individuali e collettivi. Gli enti locali ridando impulso alla spesa pubblica attraverso interventi di riqualificazione della città che mirino alla soddisfazione dei bisogni dei cittadini e che sono possibili anche in questa drammatica congiuntura, che condiziona pesantemente le scelte ma che talvolta diventa anche alibi per l’inerzia. E infine il governo, impegnandosi a recuperare risorse, quelle che oggi per esempio mancano persino per assicurare la cassa integrazione in deroga…”
Questi sono gli ingredienti. E la ricetta?
“Deve essere chiaro a tutti che il rinnovamento delle imprese, condizione imprescindibile per recuperare competitività a livello internazionale, richiede investimenti sul processo e sul prodotto. L’olio di gomito dei lavoratori non basta”.

2 – FINE

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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