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(Pubblicato il 15 febbraio 2016)

Se vivessimo fino a 150 anni cosa cambierebbe nella nostra vita? Tra le tendenze discusse qualche settimana fa al World Economic Forum di Davos l’ipotesi che la durata della vita si sposti ben oltre il traguardo del secolo. L’aumento delle attese di vita è ormai costante da ormai un secolo: la tendenza in atto in tutti i Paesi del mondo è dovuta ai progressi medici e scientifici e agli studi biogenetici. Ciò ci ricorda che i limiti sono sempre mobili e segnati in primo luogo dalle possibilità offerte dalla scienza, con buona pace di coloro che considerano i valori eterni e fondativi della convivenza sociale.
Il traguardo di un allungamento consistente della esistenza propone già in un futuro prossimo questioni relative alla destinazione delle risorse pubbliche e all’organizzazione della vita sociale e anche nuove sfide per l’economia.
Quali sono le implicazioni? In un sondaggio fatto dall’World Economic forum tra i 2500 partecipanti, il 58% dice che i matrimoni dureranno di meno e si divorzierà di più; il 54% prevede che i figli si faranno più avanti negli anni. Gli individui si abitueranno al cambiamento, svilupperanno capacità di adattamento, ci sarà maggiore flessibilità e apertura al nuovo.
E’ piuttosto facile immaginare che la vita lavorativa si allungherà ulteriormente. Ma se le opportunità di lavoro sono già oggi erose dalle tecnologie digitali, quale lavoro attenderà i nostri nipoti alla soglia degli 80 anni? Molta letteratura ha sottolineato che la spinta alla distruzione creatrice che ha segnato le precedenti fasi dell’innovazione, è venuta meno: le tecnologie sono destinate a distruggere più lavoro di quello che creano. Soprattutto tendono a sostituire una larga parte di posizioni intermedie e a rendere rapidamente obsolete molte competenze.
Certo nella prospettiva di una lunga vita cambierà il rapporto con la formazione e l’apprendimento nel corso dell’esistenza. Imparare sarà una necessità primaria per tutti, sarà una condizione per stare al passo con le tecnologie che sempre di più entreranno nella quotidianità e sarà una condizione per poter stare all’interno di spazi comunitari che cambieranno sempre più velocemente. A dire il vero a questo sarebbe meglio pensare fin da oggi.
Le diseguaglianze attraverseranno più ancora di oggi i rapporti tra le generazioni. Le reti di protezione sociale probabilmente non saranno più solide. Rischi di marginalità colpiranno quegli anziani che alle spalle avranno avuto un lavoro precario. Mentre i super senior avranno bisogno di nuovi servizi: le domande di cura saranno in primo piano. Ma i rischi di un impoverimento diffuso renderanno ancor più urgente e complesso affrontare le questioni redistributive.
E forse non parliamo neppure di uno scenario troppo remoto: già il presente è preoccupante e prospetta molti di questi pericoli.


Maura Franchi vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi presso il Dipartimento di Economia. Studia le scelte di consumo e i mutamenti sociali indotti dalla rete nello spazio pubblico e nella vita quotidiana.
maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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