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Maggioritario o proporzionale? I casi e la storia

Maggioritario o proporzionale? Governabilità o rappresentatività? Stabile egemonia di pochi partiti o frammentazione dell’espressione popolare? E’ uno dei temi caldi del momento sul sistema di voto. Cinque regioni del nostro Paese – Veneto, Sardegna, Lombardia, Abruzzo ed ora Piemonte – si sono già espresse favorevoli alla consultazione popolare con referendum abrogativo della quota proporzionale prevista dalla legge elettorale nazionale. E proprio cinque è il numero necessario per ottenere il provvedimento. Si accende ancora una volta la diatriba su una questione mai risolta definitivamente, con schieramenti agguerriti, convinti per l’una o per l’altra tesi. Non hanno convinto nemmeno le rettifiche che tentano di mediare due sistemi agli antipodi, difendendo comunque il principio di base del sistema del momento. Sono due modalità che storicamente attingono alle teorie del voto intorno al 1770 in Francia, anche se alcuni scritti di Raimondo Lullo, scrittore, teologo, astrologo, alchimista e missionario spagnolo di palma di Maiorca, scoperti nel 2001, testimoniano che egli avesse già abbozzato entrambi i metodi nel XII secolo. L’epopea del sistema proporzionale continua nel ‘900, sulla spinta delle grandi formazioni politiche di massa, centriste popolari e sinistra socialista; il Belgio risulta il primo Paese ad applicarlo nel 1900. E’ una scelta che permette di fotografare le suddivisioni politiche offrendo una rappresentazione parlamentare il meno distorta possibile e va a tutelare le minoranze come, nel nostro caso italiano, il Südtiroler Volkspartei altoatesino, sebbene anche con il sistema maggioritario i partiti regionali di largo consenso locale, fortemente radicati sul territorio, possono trovare una loro rappresentatività nell’arco parlamentare, uscendo indenni o rafforzati dalle urne. Sull’adozione del sistema maggioritario o proporzionale la Storia ci racconta molto, basti pensare all’esperienza della Repubblica di Weimar, nata dalle ceneri della Germania distrutta nel 1919 e morta nel 1933, con l’ascesa al potere di Adolf Hitler. I riferimenti al sistema proporzionale con cui avvenivano le elezioni è troppo forte per ignorarne gli effetti; un sistema voluto convintamente da da Hugo Preuss, uno dei padri della nuova Costituzione, che introdusse anche il sistema automatico con il quale a ogni partito concorrente veniva assegnato un deputato per ogni 60.000 voti acquisiti. Con ciò si creava un legame imprescindibile tra i componenti della Camera e l’afflusso dell’elettorato, rendendo estremamente dinamiche e democratiche le elezioni. Ma le maggioranze parlamentari non funzionarono e operavano in perenne stato di crisi; le mutevoli composizioni del parlamento e del governo resero ingovernabile lo Stato tedesco dove il “governo effettivo dei partiti” teneva sotto scacco le istituzioni, testimoniando giochi politici per la dominanza o il soddisfacimento di interessi. Neppure la maggioranza al governo era compatta in una visione comune sulle questioni politiche, sociali e culturali. Il sistema elettorale proporzionale e le coalizioni ballerine e instabili resero i governi inefficaci nelle decisioni, minando l’equilibrio tra poteri e garanzie costituzionali. Una base traballante sulla quale non poteva svilupparsi alcuna strategia politica. Nel panorama politico tra il 1919 e il 1932 nella breve vita della repubblica di Weimar i governi parlamentari che si susseguirono furono 20: la durata minima appartiene al governo Stresemann nell’ottobre 1923, durato in carica per 48 giorni, che segue il governo Stresemann del 13 agosto 1923 durato 51 giorni. Il più longevo governo appartiene a Müller, che governò dal 29 giugno 1928 per ben 636 giorni, neppure due anni. Le falle del sistema si manifestarono in tutta la loro evidenza nel 1930, quando si rafforzarono i nazionalsocialisti e le debolezze della socialdemocrazia manifestarono ormai labili confini. Le accuse reciproche tra socialdemocratici e comunisti resero impossibile la costruzione di qualsiasi forma di comune impegno. Ma con tutta probabilità era già troppo tardi per impedire l’affossamento della democrazia tedesca. L’incapacità di trovare un comune denominatore è il vero dramma weimariano, la mancanza di “autorevolezza” e istanze decisionali forti condussero al baratro. Da qua in poi, è storia fin troppo nota: nel 1932 Hitler manifestò il proposito di assumere la leadership del governo e i pieni poteri, per il controllo dello Stato. Nel gennaio del ‘33 fu nominato Cancelliere dal Presidente Hindenburg e a febbraio le testate giornalistiche e le libere manifestazioni di pensiero e opinione avversarie furono soppresse. Interessanti le pagine autobiografiche di Otto Braun – ministro dell’Agricoltura, Demanio e Foreste, nonché Presidente dei ministri della Prussia dal 1920 al 1933, denominato dai nemici “zar rosso della Prussia”- che accompagnano come una marcia funebre le sorti della Repubblica di Weimar. Egli registra pagina dopo pagina con minuziose note, gli andamenti dei governi, non lesina sulle accuse di autoreferenzialità dei partiti maggiori, l’arroganza politica dei singoli partiti nel costruire coalizioni, la scarsa simpatia degli elettori per una politica arrendevole che sfugge costantemente alle responsabilità. Il grande esperimento di Weimar rimane comunque agli annali della Storia per quelle riforme sociali e quelle trasformazioni epocali di carattere culturale che hanno lasciato il segno anche dopo l’orrore nazista. Molti diritti e istituzioni che oggi sono normali in tutti i paesi democratici nascono proprio in quei giorni, affermando la priorità del sociale, edificando un welfare coraggioso per l’epoca, promuovendo garanzie sociali che meritano rispetto, voluti da una Costituzione illuminata che rimane punto fermo per tutte le democrazie moderne.

INTERNAZIONALE A FERRARA 2019
Volti e incontri dal secondo giorno di Festival

Ecco la foto-cronaca del secondo giorno del Festival di Internazionale a Ferrara.
Le immagini sono del nostro fotografo Valerio Pazzi.
Clicca sulle immagini per ingrandirle.

Tutta l’umanità ne parla.
Talk show impossibile con personaggi celebri degli ultimi trenta secoli provenienti da ogni parte del mondo per dibattere sui grandi temi dell’attualità. Con la partecipazione di alcuni ospiti del festival.
Con Edoardo Camurri e Pietro Del Soldà

Rassegna stampa e l’editoriale del giorno con Micheal Braun e la partecipazione di Alessio Falconio di Radio Radicale

Con l’acqua alla gola. La geografia socioeconomica del cambiamento climatico.
Con Francesco Lamperti, Scuola superiore Sant’Anna, Rff-Cmcc European institute of economics and the environment; Grammenos Mastrojeni, diplomatico e saggista; Preethi Nallu, giornalista indiana. Introduce e modera Gabriele Crescente

e altro ancora…

DIARIO IN PUBBLICO
Storia di un tavolo. In ricordo dell’amico Efisio

Appena sposati ci trasferimmo in un piccolo appartamento vicino a quello dove abitavano Efisio e Luciana. Nacque il problema di come arredarlo con pochi soldi ma con cose di gusto. Le tende comprate a Firenze da Hassler, la vecchia e brutta libreria, il bellissimo capoletto regalo dei suoceri. Urgeva soprattutto un tavolo da studio e pieno di speranze mi rivolsi a Efisio che immediatamente e trionfalmente mi propose un frat(t)ino seicentesco. Ingolosito galoppai a vederlo ed ecco trionfalmente mi viene esibito un tavolinuccio assai grezzo con evidenti inserti moderni ma dall’aria simpatica. Storsi la bocca ed Efi che conosceva il suo pollo disse che il prezzo era veramente speciale per un tavolo autentico. A questo aggiungeva due bellissimi candelieri di legno che avrebbero poi avuto i paralumi della signora Laura Fink e quindi il tavolo venne sistemato davanti alla libreria con i ‘bambini’ (i libri) stipati dietro. Eravamo veramente orgogliosi del fratino e a chi veniva facevo notare l’eleganza (?) del tavolo e la sua comodità illusoria perché era basso e non sopportava una sedia normale inserita. Tuttavia mi piaceva e lì componevo le sudate carte mentre l’attività degli amici si espandeva.
Aprirono un bellissimo negozio in un lato della chiesa dei Teatini e lì, ormai affermati antiquari, ci si vedeva con gli amici mentre Efisio con aria indifferente mi mostrava bellissime cose che non avrei mai potuto permettermi. Poi dopo iterati e sempre andati a vuoto inviti a vedere Tavolara, l’isola dove Efisio era una specie di monarca e che era la passione di mio cognato Romano che con occhi sognanti mi raccontava della natura selvaggia, della tendopoli, della vita naturale che vi si svolgeva tra i brividi miei compresi il sistema della toilette e soprattutto del vento che mi rese fino ai settanta anni e passa out quell’isola. Una sera mi affacciai al negozio con la mia Lilla prima di cui ero orgoglioso e mi trovai vicino ai nobili cani dei Chinelli e dell’amica Ippolita. La Lilla festosa si precipitò a richiedere le carezze che s’attendeva ma venne accolta da sonore risate da loro che mi domandavano dove avevo raccolto quello ‘scherz’ di natura. Odio furioso non placato nemmeno dalla vista di uno splendido carillon ottocentesco. Frattanto colleghi fiorentini nelle loro scappate ferraresi vennero messi in contatto con i Chinelli e da allora visite frequenti li portarono qui per arredare le loro case con gli oggetti e i mobili proposti dai ferraresi . Frattanto il fratino traslocò nel bell’appartamento che affittammo in via Contrari di fronte al campanile del Duomo e da quel momento il tavolo assunse importanza e si dette delle arie. Traslocò in seguito nel nostro appartamento di Firenze dove serviva anche da tavolo da pranzo; infine ha ora una (quasi) stabile sistemazione al L(a)ido degli Estensi non più usato come tavolo da lavoro ma come tavoli da pranzo.

La scomparsa di Efisio è un duro colpo per chi lo ha conosciuto così intimamente nel corso di una vita. Il tempo ci toglie le persone care ma non il ricordo.
Ciao Efisio.

Cristofori a Baratelli: “L’autoreferenzialità del Pd? Aspettiamo contributi da tutti…”

Da: Tommaso Cristofori

Al grido di “non avete più alibi dopo l’uscita di Renzi”, ci si domanda perché il Pd non è ancora cambiato (come se bastasse pigiare un tasto o fare un tweet). Perché il Pd non continua a flagellarsi per gli errori commessi? Perché non si rende conto che la sconfitta alle amministrative non è solo una questione nazionale? Perché ancora non ha sostituito i sui dirigenti e quindi i Segretati? Perché non coinvolge l’associazionismo di sinistra??
Ringrazio F.Baratelli per le sollecitazioni alle quali vorrei replicare da semplice iscritto di un Circolo. Noi siamo ancora un Partito, probabilmente oggi l’unico che possa definirsi tale, con le sue regole, i suoi statuti e strutture, che a volte possono sembrare ingombranti, ma che sono garanzia per gli iscritti, in quanto strumenti di correttezza nella selezione della classe dirigente. Anche queste regole andrebbero rinnovate, tuttavia con tutti i nostri difetti, tentiamo nel confronto, di maturare delle decisioni condivise in modo democratico, cosa tutt’altro che semplice o veloce.
Abbiamo eletto da pochi mesi con le primarie un Segretario nazionale che non è il capo politico o ancor meno il padrone delle decisioni, come peraltro si è visto in questi mesi.
Dopo il disastroso risultato elettorale e le conseguenti dimissioni di molti Segretari locali, abbiamo indetto il congresso del partito in tutti i Circoli della Provincia che proprio in questi giorni è in corso. Verranno eletti dagli iscritti nuovi Segretari in molti circoli, oltre al Segretario Provinciale e Comunale, rinnovati gli organismi assembleari e direzionali del partito. I confronti, lo ricordo, sono aperti alla partecipazione di chiunque voglia intervenire per dare il proprio contributo parere o solo ascoltare, capisco che può non essere sufficiente aprire le porte, ma dire che non lo facciamo non è esattamente vero.
Negli incontri che abbiamo avuto negli ultimi mesi, la vorrei rassicurare, abbiamo analizzato i nostri errori e siamo consapevoli che anche a livello locale abbiamo avuto importanti responsabilità, non tanto su come si è amministrato ma piuttosto su come il Pd non ha funzionato e non ha saputo svolgere negli ultimi anni il suo ruolo fra i cittadini, concretizzare la propria vocazione popolare. Questo nuovo momento congressuale ci auguriamo possa essere una ulteriore occasione di riflessione e speriamo un punto di partenza per una proposta nuova.
Ci domanda ancora come “può rappresentare il futuro del Pd dentro il Consiglio comunale il candidato sconfitto alle elezioni?”. Oggi, come prevede la legge, chi si candida e perde, in consiglio comunale fa l’opposizione. Inoltre, mi creda, alle scorse elezioni non è il nostro candidato che è stato sconfitto ma lo siamo tutti noi, ha perso tutto il mondo riformista e di sinistra, il mondo della cultura, il mondo dei diritti, quello del volontariato e della solidarietà. I ferraresi hanno scelto una destra che sicuramente non rappresenta questi mondi. Sarebbe troppo lungo, complicato ed inutile, ripercorrere ora come si è arrivati alle elezioni, una cosa è comunque certa: il centro sinistra non ha saputo costruire per tempo, un progetto in grado di sovvertire i sovranisti nostrani, quelli del metodo dei calci in culo.
In merito all’invito di “aprire in modo permanente alle idee e alle persone che compongono l’arcipelago plurale dell’associazionismo di area di sinistra”, lo condivido ma non mi pare una novità. Molti militanti, amici e simpatizzanti, che provengono da questi ambiti, sono stati fino a ieri la linfa vitale e gli ispiratori delle politiche promosse dall’amministrazione di centro sinistra in questi anni, hanno rappresentato il motore più originale per la crescita della città. Molti di loro sono stati parte attiva, spesso con ruoli di responsabilità dentro gli organismi del Pd. Si è operato spesso in simbiosi e lo dimostra anche la spietata e sleale campagna denigratoria dei nostri avversari che bollavano come “gli amici degli amici”, lasciando intendere agli elettori una sorta di connivenza, di interesse con l’associazionismo anziché una condivisione di obiettivi. Constato poi, con non poca amarezza, che alcune di queste associazioni non hanno tardato molto dopo le elezioni ad accomodarsi a fianco o sostenere di chi oggi governa, senza formalizzarsi troppo sugli ideali che Lega e compagni rappresentano.
Noi, come lei spesso ci ricorda, pecchiamo di autoreferenzialità e siamo pieni di tanti altri difetti, ma ho come l’impressione che non siamo gli unici a ritenerci detentori della verità; certamente è necessario un bagno di umiltà e riaprire un dialogo con chi si è sentito lasciato solo o tradito anche se non è sempre facile capire come e con una stampa in alcuni casi apertamente schierata con la Lega.
Siamo uno strano paese dove si preferisce parlare una giornata intera del ripieno dei tortellini perché ce l’ha ordinato Salvini da un palco, poi si rimane più o meno indifferenti se tre consiglieri comunali girano per le nostre scuole mandati dal sindaco ad attaccare crocifissi, o per esempio si finge di non capire quello che si sta prospettando proprio per il settore della cultura della nostra città.
Mi pare comunque uno strano modo di soccorrere un ferito, quello di rimanere sul ciglio a guardare, o magari tirandogli qualche calcio perché non si decide ad andare in ospedale a curarsi.
I nostri Circoli oggi e domani sono aperti per i congressi e aspettiamo contributi da tutti.

INTERNAZIONALE A FERRARA 2019
Il premio Anna Politkovskaja alla giornalista nigeriana Augustina Armstrong-Ogbonna

Da alcuni anni il Festival Internazionale a Ferrara si apre con il premio per il giornalismo d’inchiesta dedicato ad Anna Politkovskaja, la giornalista russa uccisa a Mosca nel 2006. Il premio, giunto alla sua undicesima edizione, sostiene l’impegno e il coraggio di giovani reporter che nel mondo si sono distinti per le loro inchieste.

Nella mattina di venerdì 4 ottobre 2019 il premio è stato conferito alla pluripremiata giornalista nigeriana Augustina Armstrong-Ogbonna, che ha affrontato minacce e persecuzioni per raccontare le comunità rurali in Nigeria devastate dai conflitti e dal degrado ambientale. La rivista Internazionale riconosce così l’importanza dell’impegno di Augustina nel denunciare le conseguenze ambientali dello sviluppo economico sulle piccole comunità locali di Lagos, in un momento in cui i giornalisti ambientali in tutto il mondo sono sempre più esposti ad aggressioni, violenze e pressioni.

Secondo il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), infatti, negli ultimi 10 anni sono 13 i giornalisti ambientali uccisi per le inchieste che stavano portando avanti. La consegna del premio Anna Politkovskaja ad Augustina Armstrong-Ogbonna è quindi anche un gesto simbolico di omaggio alla sua battaglia e a quella degli altri giornalisti e attivisti che si impegnano per documentare sul campo gli impatti territoriali di opere con interessi spesso internazionali e sovranazionali, aiutando tutti coloro che non sono in grado di lottare per i propri diritti.

Foto di Valerio Pazzi

IN MEMORIA DI GIANFRANCO MAIOZZI
Il senso degli stracci per il volo. Rapidi rilevamenti aerofotogrammetrici sui malvezzi che deturpano il paesaggio della lingua italiana

Uomo generoso, arguto, colto, sensibile… Gianfranco Maiozzi ci ha lasciato dopo una lunga malattia. Ha sofferto molto, ma non si è mai arreso. Aveva voglia di vivere e con tutte le sue forze, fino all’ultimo, si è aggrappato alla speranza. Gli piaceva dialogare, stare in mezzo agli altri; nutriva mille passioni e le alimentava nel confronto e nella condivisione. Il suo lavoro era all’ufficio Comunicazioni del ministero per lo Sviluppo, ma i suoi interessi svariavano in mille ambiti differenti, dalla politica alla sport, con un’irresistibile attrazione per la lettura e la scrittura. Appena pochi giorni fa abbiamo avuto una lunga e piacevole conversazione, durante la quale, con il consueto trasporto, aveva vagheggiato di programmi futuri e di cose da fare. Ci siamo illusi che la sorte potesse essere benevola.
Nel ricordarlo con profondo affetto e rimpianto, riproponiamo un suo intervento edito qualche anno fa su Ferraraitalia, uno scritto dal tono lieve, ma ricco di citazioni e calembour, del quale era particolarmente soddisfatto. Crediamo sia la maniera più giusta per salutarlo stringendolo in un ideale indissolubile abbraccio. (s.g.)

 

(Pubblicato il 13 maggio 2014)

Ci troviamo idealmente sul monte Falterona, nel cuore del Casentino, provincia di Arezzo. Qui, in località Capo d’Arno ci sono le sorgenti del fiumicel cantato da Dante nella Commedia e qui siamo saliti, sfidando condizioni meteo a dir poco avverse, per risciacquare nella pura freschezza dell’acqua sorgiva dell’Arno, quei “panni” di cui parlava Manzoni; e non solo quelli. A voi possiamo dirlo: siamo in missione per conto della lingua italiana, stanca di venire imbrattata quotidianamente con macchie di pressappochismo. Queste macchie hanno la caratteristica di non essere troppo evidenti ma una volta fatte vengono via con difficoltà e nei casi più seri alterano in modo indelebile il tessuto della lingua. Nel nostro Paese il congiuntivo è diventato un optional e quando lo si usa, spesso lo si usa a sproposito e talvolta si riesce a scivolare persino sull’indicativo. Tuttavia la cosa peggiore è che ormai in Italia si scrive e si parla in… approssimativo, estendendo sempre più spesso questa deplorevole pratica di pressappochismo militante a lingue diverse dall’italiano. Esagerazioni? Sentimentalismi per una lingua aulica e pre-televisiva che non esiste più? Nostalgie di gente che passa il tempo a far la punta alle matite? (“siam mica qui…” avrebbe detto qualcuno).

Soltanto pochi mesi fa, stampa, radio, tv rendevano giustamente conto e altrettanto giustamente avanzavano ipotesi sul confronto tra i leader del Partito Democratico. E fin qui tutto bene, era il loro lavoro. Meno bene invece,quell’espressione che accompagnava i commenti sulle aspre contese che agitavano la segreteria del Pd: “volano gli stracci”, attribuendo a tale locuzione significato di resa dei conti. “Ma mi faccia il piacere!” avrebbe detto Totò. E infatti siamo di fronte ad un uso del tutto arbitrario e improprio degli “stracci volanti”. Certo quando due o più soggetti litigano, il traffico aereo nella zona può essere particolarmente intenso. Possono volare insulti, parole grosse, oggetti – preferibilmente stoviglie e vasellame – in genere. Possono volare anche scarponi e certo, anche gli stracci o meglio gli strofinacci e i tovaglioli, e finire magari nella pentola dello zuppone alla porcara, come nella solenne litigata tra Gassman e Tognazzi nel film “I nuovi mostri” di Monicelli. Ma coloro che scrivono o dicono “volano gli stracci” volendo significare un “redde rationem” senza esclusione di colpi, beh sbagliano, sono dei pressappochisti. E qui ci sono le prove:
“Stracci che volano” com. l’espressione prov. sono gli stracci (o i cenci) che vanno all’aria, o volano, significa che sono i più deboli e indifesi che pagano per gli altri”. (Dizionario Treccani della lingua italiana).

Capito? Possiamo comprendere anche se non condividere la scelta di chi, nel corso di una telecronaca, usa l’espressione “fare a sportellate” per dire di due calciatori che si confrontano in modo molto fisico per contendersi la palla, ma non coloro che evocano la levitazione dei cenci anche se si discute della temperatura di servizio del caffè. La prima almeno è un neologismo di senso compiuto, non bello ma nemmeno privo di efficacia evocativa, la seconda è solo un travisamento di senso. “E va beh che sarà mai! Tanto rumore per quattro stracci…”, penserà qualcuno. Il problema è che non ci sono solo i cenci e nella breve antologia che segue ve ne renderete conto voi stessi. Solo pochi esempi, per ragioni di spazio, ché altrimenti dovremmo citare i primi versi di una vecchia canzone degli E.L.& P. “Welcome back my friends, to the show that never ends…”.

Cominciamo da quelli che non fanno distinzione tra riluttante e reticente; e come si fa a non richiamare in causa il principe de Curtis? …riluttante sarà lei ha capito? Razza di reticente!… Poi ci sono quelli che “non per essere veniale” oh yeah che a pensarci bene essere venali non è affatto veniale, per passare a quegli altri che usano la problematica, magari raddoppiando la bbi al posto di problema, pensando così di dare maggiore importanza a quel che dicono e ignorando che le due parole hanno significati simili ma ben distinti. Per la serie “ma che ce frega ma che ce ‘mporta….”. E va bene. Andiamo avanti.

Vogliano benevolmente sorvolare su quella tale che, presentando in radio una mostra sul Rinascimento italiano, non trovò niente di meglio che accompagnare il servizio con musiche tratte dal concerto per chitarra e orchestra di Mauro Giuliani. Bella composizione, senza dubbio! Scritta però qualche tempo dopo il periodo storico cui la mostra si riferiva, tanto da venire dedicata al… viceré d’Italia Eugenio Beauharnais, cognato di Napoleone. Et bien, glissons. Ma come non restare interdetti quando leggendo il nostro bravo quotidiano ci troviamo di fronte alla graticola di colpi che avrebbero investito dei malcapitati durante una rissa? Forse si voleva dire gragniuola. E la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso confusa con la spada di Damocle? Oppure l’impero cinese che da celeste diventa “del sol levante”: ma quello non era il Giappone? E ancora, la foto azzurro e oro della Cupola della Roccia, o di Omar che caratterizza lo skyline di Gerusalemme confusa da una didascalia con la non meno bella Moschea di Al Aqsa, che pur trovandosi come la prima nel “Haram ash Sharif”, il nobile recinto o più comunemente spianata delle moschee, è un edificio a se stante. Un po’ come se uno scrivesse sotto la foto del Battistero di Firenze che invece è Santa Maria del Fiore. Certo stanno entrambi in Piazza del Duomo, però… “Che ci arifrega che ci arimporta…“.

E la “panchina corta”? Ne vogliamo parlare? Sentito in un programma radiofonico nazionale. Si cita Winston Churchill e la “cortina di ferro” definendola una frase. Ma no che non è una frase! E nemmeno una parola, bensì…. una definizione, un’espressione. E-spres-siò-ne! “non so se capisce questa parola signor Arbore” avrebbe detto con l’accento messinese grave sulla o, il bravo presentatore Nino Frassica di ‘Indietro tutta’.
Ma andiamo avanti invece, per penoso che sia. Da un giornale online apprendiamo di una “squadra che ha ancora fame di vittorie come hanno dimostrato le recenti vittorie”: 2 vittorie in 6 parole. Dizionario dei sinonimi no!? La seconda volta si poteva ben usare affermazione o successo, ottenendo un risultato migliore. Il fatto è che, per restare alla metafora calcistica, spesso si gioca con la “panchina corta”, dove anziché i giocatori sono le parole ad essere contate. Si fanno tante ripetizioni o si usano termini imprecisi perché il parco terminologico di chi parla o scrive è incompleto, lacunoso.
E quello che si butta sotto i binari, evocando scenari da Gotham City? Ma dai!! direbbe la Gialappa. Meglio tacere e andare avanti come… mormorava il Piave.

Tuttavia qualche considerazione sull’avverbio piuttosto, usato con valore disgiuntivo al posto della ‘o’, e tipico di quell’italiano di consumo bruttino e conformista, bisognerà pur farla. Piuttosto che, piuttosto che, piuttosto che… maddeké! Ci si perdoni l’intervento in tackle scivolato nel vernacolo romanesco ma quando ce vo ce vo! Tutti questi piuttosto messi in fila come catarifrangenti su una statale, fanno tanto presentazione di Windows 9 o di un ennesimo iPhone per non far torto a nessuno …si può taggare p.c. editare p.c . inviate una mail ….p.c. videogiocare.
E, per citare Forrest Gump, su questo argomento non abbiano altro da dire. Si legga piuttosto l’esilarante consulenza linguistica sull’ottimo sito dell’Accademia della Crusca [vedi], strumento che non dovrebbe mancare nel tool-kit di ogni buon comunicatore.

Tranquilli, che ci avviamo a concludere. Non prima di aver rivolto un doveroso pensiero a tutti quei termini vittime di incidenti di pronuncia radiotelevisiva. Pochi, commossi esempi (piangere, in effetti, c’è da piangere). Prima di tutto il francese, la cui scarsa o inesistente conoscenza da parte di molti operatori dell’informazione nazionale, viene regolarmente aggirata pronunciandolo come se fosse inglese (a volte come fosse antani!). In un gr il nome del pilota ginevrino (Ginevra, Svizzera francofona: quella anglofona ancora non c’è: Svizzera, non Canada!) di Formula 1, Romain Grosjean diventava Grosgiin, come Billie Jean. Ma forse chi dava la notizia era un irriducibile fan di Michael Jackson. A proposito, se parliamo della pop star, il nome si legge Maikol ma se si tratta di Michael Schumacher che non è americano ma tedesco, si scrive nello stesso modo ma si dovrebbe dire Mihael con l’acca aspirata come pronuncia la c di casa un fiorentino di Borgo San Frediano.

E cambiamo senz’altro argomento. Che cosa diavolo sarebbe il “vin d’onor” sentito sempre in radio a proposito di un rinfresco legato a una mostra d’arte? Detto così ricorda la musicale lingua veneta usata da Carlo Goldoni nelle sue commedie “xe una dona /un cavalier d’onor” ma non è il francese dell’espressione vin d’honneur. Se non la si sa pronunciare comme il faut si dica vino d’onore che è comunque corretto e si fa più bella figura.
L’ultimo, toccante omaggio va alla nave militare italiana “Euro” che porta, come tutte le fregate c.d. di classe Maestrale, il nome di un vento. E quindi Grecale, Scirocco, Libeccio e così via. Euro è un vento ricordato anche da Dante “sopra ’l golfo che riceve da Euro maggior briga”, che spira da sud est. Vento mediterraneo il nostro Euro, nel mito greco accompagnatore dell’Aurora dalle dita rosate. Mai stato in Cornovaglia o alle isole Shetland. Come accidenti, sia potuto accadere che nel corso di un programma tv, a qualcuno sia venuto in mente di pronunciare Euro “iuro” (sic!) all’inglese, resta a tutt’oggi un mistero. Anche perché non risulta che la Royal Navy abbia vascelli con questo nome. E a proposito di Inghilterra, come non citare la frequente confusione tra gli steward, che sono come noto assistenti di volo o addetti alla sicurezza nelle manifestazioni sportive, e gli Stewart o Stuart, casa reale che diede re e regine ai troni di Scozia e di Inghilterra, ma anche cognome, tra gli altri, di un grande pilota di Formula 1 (Jackie) e di una giovane e promettente attrice (Kristen).

Un’ultima considerazione dal tavolino del caffè Le Giubbe Rosse di Firenze, che è il luogo reale (non lontano dall’Arno ma innegabilmente più comodo delle foreste casentinesi) dove abbiamo buttato giù queste righe. Lo stamani mattina cui ci sta abituando il nuovo presidente del consiglio ha una forte connotazione fiorentina ma per quanto un po’ ostentato è linguisticamente corretto. Meno bene la raffica di assolutamente sì (o assolutamente no) usati con troppa disinvoltura da cui veniamo investiti quotidianamente. Va bene nel caso in cui qualcuno ci chiede se siamo sempre convinti di partecipare a una regata transoceanica o a tentare una nuova via invernale sul Nanga Parbat. Meno bene se ci stanno servendo il caffè e ci chiedono se ci vogliamo lo zucchero. “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no”, ammoniva saggiamente venti secoli fa un giovane galileo.

INTERNAZIONALE A FERRARA 2019
Al via la tredicesima edizione del festival del giornalismo

da: ufficio stampa Comune di Ferrara

Più di 250 ospiti provenienti da 38 paesi e da 5 continenti per 250 ore di programmazione e 122 incontri, questi i numeri della XIII edizione di Internazionale a Ferrara, il festival di giornalismo organizzato dal settimanale Internazionale e dal Comune di Ferrara, presentato mercoledì alla Sala degli Arazzi del Palazzo Municipale di Ferrara.

“Questo festival – ha dichiarato Chiara Nielsen, vice direttore di Internazionale – è un’impresa collettiva che non riguarda solo noi e i giornali esteri che rendono per tre giorni Ferrara la redazione più grande del mondo, ma riguarda il coinvolgimento di tutte le realtà cittadine e che trasformano il festival in un momento di incontro tra tante anime e personalità. Quest’anno il filo rosso tra gli appuntamenti sarà il tema dell’emergenza climatica declinato in ogni settore, dall’economia alla società. Ricorderemo anche teatri di crisi dove l’attualità è incandescente. Inoltre, come ci siamo prefissi da diversi anni, ci saranno tante donne e si parlerà tanto di carcere. Come sempre non mancheranno i momenti di intrattenimento e una ricchissima programmazione per bambini”.
[Qui il programma completo]

“Diamo il benvenuto al festival di Internazionale – ha dichiarato il sindaco del Comune di Ferrara, Alan Fabbri – nella nostra bellissima Ferrara, patrimonio dell’Unesco, città ricca di storia e di tradizioni. Questi tre giorni dedicati a temi di grande attualità rappresentano, per tutti, un’occasione di riflessione sulle dinamiche che muovono politica ed economia, a livello nazionale e internazionale, e sulle ricadute che queste hanno sulla vita di ogni cittadino. Il valore intrinseco di una manifestazione come questa, sta nel dare spazio al confronto tra idee, anche diverse, senza limitazioni dettate da logiche di appartenenza. Siamo certi che dagli spunti che il festival saprà proporre potranno nascere ulteriori momenti di riflessione, capaci di arricchire l’intera comunità nella consapevolezza che le vicende del presente e del futuro ci appartengono e sono determinate dal percorso, dalle scelte e dalle idee di ciascuno di noi”.

Ad una settimana dalle grandi manifestazioni internazionali del 27 settembre scorso, parte il festival di Internazionale a Ferrara che ha scelto come filo conduttore le mobilitazioni che in tutto il mondo chiedono alla politica di agire contro il cambiamento climatico: #FerraraForFuture. Racconteranno il loro attivismo i protagonisti delle manifestazioni #FridaysForFuture: Maxime Lelong, organizzatore della prima Marcia per il Clima a Parigi, Daze Aghjl, attivista britannica di Extinction rebellion e Alexander Fiorentini, esponente di #FridaysForFuture Italia. Il premio Anna Politkovskaja, con cui si aprirà il festival, andrà alla giornalista ambientale nigeriana Augustina Armstrong-Ogbonna che per la sua inchiesta del 2016 sulle attività di dragaggio della società dell’ex Ministro degli Interni nigeriano Emmanuel Iheanacho è stata minacciata, sorvegliata dalle forze di sicurezza dello Stato e costretta a fuggire negli Stati Uniti.

Si parlerà del Brasile di Bolsonaro con Mônica Benicio, compagna di Marielle Franco, femminista brasiliana e attivista lgbt assassinata a marzo 2018, mentre il giornalista cileno Patricio Fernàndez con i colleghi Luz Mely Reyes, dal Venezuela, e Carlos Salinas Maldonado, dal Nicaragua, parleranno della svolta a destra nei governi dei loro paesi favorita dalla crisi economica e degli scandali di corruzione della sinistra. Approfondimenti anche sul Medio Oriente: dalla Siria allo Yemen fino alla rivalità tra Iran e Arabia Saudita che sta destabilizzando la regione. Ne discuteranno il professore Pejman Abdolmohammadi dell’Università di Trento, Stéphane Lacroix, politologo francese e il giornalista de L’Orient-Le Jour, Anthony Samrani.

Religione e nazionalismo saranno invece al centro del dibattito tra il politologo francese Olivier Roy e Monsignor Gian Carlo Perego, arcivescovo della diocesi di Ferrara e direttore della fondazione Migrantes. Sarà ospite del festival di Internazionale Shoshana Zuboff, attivista e professoressa alla Harvard Business School, autrice del libro The Age of Surveillance Capitalism che affronta il tema del controllo dei cittadini attraverso l’uso dei big data. Di tecnologie e futuro del lavoro discuteranno Maurizio Landini e il giornalista britannico Paul Mason, autore del recente Il futuro migliore (Il Saggiatore, 2019). Come ogni anno non mancheranno incontri dedicati al tema dei diritti umani e dei diritti delle donne. Dagli Stati Uniti, il giornalista Shane Bauer, la visual artist Nigel Poor e l’ex detenuto Earlonne Woods, co-conduttore e ideatore del podcast Ear Hustle, racconteranno come si vive all’interno delle prigioni americane. Un focus particolare sarà dedicato a come gli uomini che lavorano nell’industria culturale propongono l’immagine della donna. Ne parleranno Ellen Maria Tejle, promotrice della campagna A-rating per valutare i film in base alla rappresentazione delle donne, Christina Knight, copywriter e direttrice creativa svizzero-inglese, e Livia Podestà che promuove una corretta rappresentazione di genere sui media allo Swedish Institute di Stoccolma. Attenzione puntata anche sui diritti delle donne in Medio Oriente con Farahnaz Forotan, giornalista afghana, Fatima Faizi, corrispondente del New York Times da Kabul, e Rafia Zakaria, scrittrice e avvocata pachistana. Dialogheranno di femminismi la scrittrice e regista francese Virginie Despentes e il filosofo spagnolo Paul B. Preciado, filosofo della teoria queer e di studi di genere. E a Ferrara verrà lanciato l’European Network for Women Excellence, un database che raccoglie voci di donne autorevoli in tutta Europa.

Non mancheranno le presentazioni di libri e gli incontri con gli autori, fra gli altri il francese Edouard Louis. Infine, il cinema, la fotografia, il giornalismo per bambini e la musica. Alice Rohrwacher con Lazzaro Felice e Phaim Bhuiyan, che ha debuttato nei cinema italiani con Bangla. L’inchiesta di Laia Abril, fotografa e artista spagnola, lavoro multimediale sui rischi e le conseguenze dell’aborto illegale. Mentre dedicato al meglio del giornalismo per bambini sarà l’incontro con lo scrittore Davide Morosinotto e le giornaliste di due delle realtà internazionali editoriali più interessanti nel settore: Cécile Bourgneuf di P’tit Libé, Inge Kutter di Zeit Leo. Dedicati alla musica due appuntamenti speciali: sabato sera il concerto del cantautore italiano Diodato e domenica l’esibizione della band dei Musicisti per i diritti umani.

Appuntamento rinnovato anche per questa edizione con i documentari su attualità, diritti umani e informazione di Mondovisioni a cura di CineAgenzia, con la rassegna di audiodocumentari Mondoascolti, a cura di Jonathan Zenti e con i laboratori dedicati a bambine e bambini. Internazionale a Ferrara è un festival senza barriere architettoniche e accessibile a tutti. Alcuni degli incontri saranno tradotti nella Lingua dei segni italiana.

Michele Pinelli, delegato alla Terza Missione Università di Ferrara

“La diffusione del sapere, del dialogo e della riflessione sono le basi su cui si fonda la ormai solida e duratura collaborazione dell’Università di Ferrara con il Festival. Il coinvolgimento dell’Ateneo ha diverse manifestazioni: dall’apertura di palazzi di prestigio e aule per accogliere appuntamenti e incontri del programma ufficiale al tradizionale workshop organizzato dal Master in giornalismo scientifico. Novità di quest’anno, lo stand Unife presente in piazza Trento Trieste, in cui sarà possibile raccogliere informazioni sull’offerta formativa dell’Ateneo e su come immatricolarsi e in cui saranno presenti le nuovissime linee di abbigliamento e oggettistica griffate Unife. Ma soprattutto, lo stand veicolerà il messaggio del progetto di crowdfunding dedicato alla raccolta fondi per progetti di ricerca dell’Ateneo ad alto valore scientifico e con ricadute concrete sulla collettività”.

Francesca Molesini, Assessore alla Cultura del Comune di Portomaggiore

“Per il quarto anno il Comune di Portomaggiore aderisce al programma del Festival di Internazionale a Ferrara, ospitandone in Sala Consiliare l’unica tappa ‘fuori sede’. Sabato 5 Ottobre alle 10, avremo l’onore di incontrare la vincitrice del Premio Anna Politkovskaja 2019, Augustina Armstrong-Ogbonna, giornalista multimediale nigeriana, specializzata in informazione sull’ambiente e sviluppo sostenibile. Verrà intervistata dal giornalista Edoardo Vigna, caporedattore del magazine Sette del Corriere della Sera, dove cura anche la rubrica Afrasia e titolare del blog Globalist su corriere.it. Sarà un’importante occasione di confronto e approfondimento su una delle tematiche attualmente più rilevanti a livello mondiale”.

Paolo Govoni, presidente della Camera di Commercio di Ferrara

“Internazionale ci ricorda quanto complesse e difficili siano ancora oggi le problematiche del nostro tempo, che è importante documentare con misura critica, trasparenza e coraggio raccogliendo e valorizzando i fermenti di riscatto e di progresso che pure non mancano, e che si manifestano in tanti campi e settori, anche particolarmente avanzati e innovativi, e specialmente tra le nuove generazioni. Sono convinto che il Festival saprà, ancora una volta, assolvere un ruolo cruciale per promuovere il confronto pubblico sui problemi ancora aperti e sulle prospettive da perseguire”.

Chiara Magni, responsabile Public engagement di MSF Italia

“Anche quest’anno porteremo a Ferrara la nostra testimonianza dalle crisi umanitarie in cui operiamo – come il Venezuela, la Libia, l’Ebola in RDC – ma anche sulle sfide in corso per garantire le cure a chi ne ha bisogno. Oggi pazienti affetti da malattie come HIV, Tubercolosi ed Epatite C continuano a morire perché non hanno accesso ai trattamenti salvavita, ancora inadeguati, inaccessibili o troppo costosi. Ne parleremo celebrando i venti anni della nostra Campagna per l’Accesso ai Farmaci, che dal 1999 opera per promuovere l’accesso alle cure. Al corner di MSF in piazza Trento e Trieste una speciale installazione interattiva sul tema della Luna – anch’essa inaccessibile fino a 50 anni fa – coinvolgerà il pubblico e lo inviterà a fare la propria parte perché il diritto alla salute sia davvero garantito”.

Valentina Preti, Ufficio Comunicazione Alce Nero

“Torniamo al Festival di Internazionale perché troviamo qui il naturale contesto per affrontare le tematiche che mettiamo al centro del nostro lavoro. In particolare, quest’anno portiamo a Ferrara il progetto “Siamo fatti di terra”: un ciclo di eventi nati per approfondire, insieme ad agronomi, nutrizionisti e ricercatori, lo stretto rapporto tra la salute del pianeta e quella delle persone, partendo da un’agricoltura responsabile, biologica. Saremo al Teatro Nuovo domenica 6 ottobre alle 11:30″.

Daniele Bertarelli, Presidente della cooperativa Sociale CIDAS

“Anche quest’anno CIDAS conferma il sostegno al Festival Internazionale a Ferrara. La nostra cooperativa sociale è nata nel 1979 dalla volontà di un gruppo di famiglie di ragazzi con disabilità, che si è associato per fornire servizi a loro tutela. Oggi, 40 anni dopo, ci siamo ulteriormente specializzati nella cura della disabilità con 7 strutture tra centri socio riabilitativi residenziali e diurni, e un centro socio occupazionale. Nel tempo la cooperativa si è sviluppata ed attualmente offre anche servizi socio sanitari per anziani, attività educative per l’infanzia e l’adolescenza, fornisce trasporto sanitario, gestisce servizi rivolti all’accoglienza ed integrazione dei migranti, si occupa di mediazione sociale ed inclusione lavorativa, in Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Al centro del nostro lavoro ci sono sempre i diritti di cura e i bisogni degli ospiti e delle loro famiglie, per questo abbiamo proposto al Festival un appuntamento sull’affettività e la sessualità delle persone con disabilità, che vedrà la partecipazione di esperti del settore tra cui un nostro educatore.
Inoltre, dato il nostro impegno per l’inclusione delle persone migranti, con una nostra insegnante di italiano per stranieri, parteciperemo all’incontro sull’arricchimento linguistico e culturale dato dalla presenza nelle nostre comunità di persone di altri paesi”.

Luca Grandini, responsabile provinciale Cna Artistico e Tradizionale Ferrara

“Come ogni anno la Cna di Ferrara partecipa a Internazionale con l’eccellenza degli artigiani e dei sapori tradizionali delle nostre terre, in collaborazione con la strada dei Vini e dei Sapori. L’esposizione dell’artigianato artistico, la cena per i giornalisti e il mercato dei sapori artigiani sono altrettante dimostrazioni che uno sguardo sul mondo aperto e senza pregiudizi ben si concilia con la consapevolezza profonda delle proprie tradizioni”.

Paolo Bruni, presidente Cso Italia

“Le pere IGP dell’Emilia Romagna non sono solo straordinari frutti autunnali pieni di gusto e proprietà nutrizionali ma rappresentano anche una vera e propria bandiera del Made in Italy nel mondo. Sono coltivate esclusivamente in aree storicamente vocate tra le quali spicca Ferrara che, rappresenta la culla mondiale della produzione di pere seguita da Modena, Bologna, Reggio Emilia e Ravenna.
Il patrimonio produttivo della pericoltura emiliano romagnola rappresenta un importante traino per l’export agroalimentare che, come è noto è una delle voci più significative del pil nazionale. Una bandiera quindi che rappresenta i produttori italiani e che quest’anno sta vivendo una crisi drammatica legata alla presenza massiccia della cimice asiatica. Una crisi che rischia di mettere in ginocchio il settore. Per questo è importante unire le forze e le competenze per sostenere tutta la filiera”.

Francesca Tamascelli, responsabile Doc Servizi Ferrara

“Doc Press è la cooperativa dei giornalisti indipendenti nata per promuovere un giornalismo sostenibile e di qualità. I soci, che si sono dati un regolamento interno, puntano sulla professionalità, la cooperazione e utilizzano l’opportunità data dallo sviluppo di nuove tecnologie. Partecipiamo al Festival di Internazionale con una serie di iniziative e, tra queste, l’incontro ‘Cooperazione e nuove tecnologie per un giornalismo forte e sostenibile’ – venerdì 4 ottobre alle 15,30 – nell’Arci Bolognesi di Ferrara. Durante il Festival, del quale condividiamo i valori, vogliamo incontrare e parlare con il maggior numero possibile di giornalisti freelance. Ai colleghi vogliamo raccontare cosa facciamo e capire se possiamo sviluppare insieme opportunità. Doc Press fa parte di Doc, la rete di professionisti nei settori di Arte, Cultura, Industria Creativa e Impresa Culturale che gestiscono la propria attività in cooperativa per ottenere più vantaggi e tutele”.

Serena Scarfi, responsabile organizzazione mostra World Press Photo

“Anche quest’anno siamo felici di portare la mostra World Press Photo a Ferrara perché crediamo che sia la più importante rassegna internazionale di fotogiornalismo che, attraverso il linguaggio della fotografia, è in grado di restituire la complessità dell’umanità attuale. Ci auguriamo che la mostra rappresenti uno strumento di riflessione e di apertura verso la diversità e le paure, spesso indotte dai mezzi di comunicazione di massa. Per questo invitiamo tutti a visitare la mostra che si terrà al Padiglione d’Arte Contemporanea dal 4 ottobre al 3 novembre 2019”.

‘Laissez faire‘ non è uno slogan civile

Degli svaghi notturni dei giovani ferraresi, del fastidio procurato ai residenti e delle possibili soluzioni da adottare si è a lungo discusso nelle settimane scorse. Poi, come sempre, il dibattito pian piano si spegne. Ma il problemi restano aperti e insoluti. “Piazza Verdi” e la ‘movida’ di via Carlo Mayr sono specchio di situazioni che si verificano anche in altri luoghi e in altre città: conciliare aspettative e interessi divergenti non è mai cosa semplice.
Per quanto mi riguarda devo premettere, per onestà, che sono politicamente anti-leghista, sopratutto a causa della politica verso l’Europa e verso gli immigrati, per l’uso di un linguaggio spesso cosi volgare e aggressivo contro quasi tutti coloro che non gridano “Prima gli Italiani!”. Il senso della famosa sentenza ‘“law and order” richiesto da un leghista non è la stessa cosa ho in mente io. Le cose che costoro hanno presentato negli ultimi anni non rappresentano certo un modello per una nuova cultura democratica. Non voterei mai la Lega o, per me come cittadino tedesco, il partito “Alternativa per la Germania“ (Afd). ll loro antisemitismo e anti-democratciismo, la loro volgarità di linguaggio, non mi piacciono per niente.
Ma devo confessare, anche, che posso capire la politica del Comune di Ferrara, dell’amministrazione di Destra, verso la “Movida” notturna senza regole chiare.
Facciamo un esempio che mi fa arrabbiare non con il Comune ma con i clienti degli ‘streetbar’ in via Carlo Mayr: è un diritto bloccare completamente una strada pubblica come succede durante i mesi estivi quasi ogni notte? Certo, “cosi fan tutti” ma una strada pubblica ha le sue regole. Cosi invece, requisito un pezzo di città che è di tutti.
Talvolta, passando in piena notte a Ferrara, fra piazza Travaglio e piazza Verdi, in via Carlo Mayr ci si sente in un “failed district”, un territorio senza regole, dove il cliente diventa il re e il cittadino (non cliente) deve rispettare suo malgrado una legge non scritta.

Per essere chiaro: nemmeno io provo grande nostalgia per la ‘Ferrara funerea’, una città silenziosa e noiosa come è stata Ferrara per decenni. Mi piace l’idea della “movida”, con la possibilità di essere in contatto con amici e stranieri all’aperto; ma talvolta il rumore diventa davvero insopportabile come in un cantiere con le perforatrici ad aria compressa. Soprattutto venerdì o sabato notte, talvolta fino alle 4 di mattina, non è possibile dormire. Non capisco neppure perché molte stradine in questo storico e bellissimo quartiere di Ferrara siano diventate con gli anni sempre più una sorta di bagno pubblico a cielo aperto, per qualsiasi impellente “bisogno umano”.
Anche per questo avverto grande solidarietà per i residenti, che mattina dopo mattina curano il quartiere dove vivono. Grande rispetto anche per le donne e gli uomini della nettezza urbana, che ogni giorno fanno un lavoro, spesso sgradevole, per riportare un po’ di civiltà in un quartiere incantevole durante il giorno e che lo dovrebbe essere anche di notte.
“Tutti devono accettare le norme”, come ha detto la candidata sindaca della lista civica Roberta Fusari durante la campagna elettorale, ma senza un chiara indicazione di sanzione legale per i trasgressori resta un’affermazione un po’ naif .
Negli anni precedenti, di notte, purtroppo, tanti clienti degli ‘streetbar’ non hanno mai accettato le norme e non credo che le accetterebbero oggi solo perché lo chiede una rappresentante dell’opposizione in Consiglio comunale.

Ampliando il concetto, quanto succede a Ferrara è specchio di tanti piccoli diffusi disagi che insieme però rendono conflittuale il clima comunitario. Una nuova Sinistra, in Italia e in Europa, deve trovare una posizione chiara e credibile a partire già da queste situazioni di quotidiani fastidi, e non di tipo “laissez faire”: se la Sinistra non ha il coraggio di prendere posizione sui problemi della sicurezza e delle norme di convivenza, incluse le sanzioni possibili, la Destra (sia la Lega in Italia, sia l’Afd in Germania) avrà di fronte un futuro radioso per anni.
Sulla sicurezza urbana, il rispetto verso gli altri (anche verso gli stranieri) e sull’angoscia diffusa si giocherà infatti la partita politica dei prossimi anni. E, proprio per questo, “laissez faire” non è, e non può più essere, uno slogan adeguato né per una nuova Sinistra, né più in generale, per le forze che si definiscono civili e “non-populiste”.

Il ritorno della Modern Monetary Theory, l’Europa forse ci ripensa

In principio fu Paolo Barnard a portare la Mmt (Modern Monetary Theory) in Italia. Lo fece con forza raggruppando i suoi massimi esponenti all’Itt di Rimini del 2012 ovvero Michael Hudson, William Black, Stephanie Kelton, Marshall Aurback e Alain Parquez di fronte a quasi duemila persone. Un record assoluto per un convegno di economia, segno che la crisi stava colpendo duro. Le aziende chiudevano, la disoccupazione saliva e le misure di austerità divennero il leitmotiv del governo Monti che avrebbe poi addirittura costituzionalizzato il pareggio di bilancio.
A Rimini c’era invece voglia di conoscere qualcosa di innovativo che potesse dare vita ad un nuovo corso nelle manovre economiche ed una spiegazione alternativa alle teorie sulle colpe dei Piigs, i Paesi maiali (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna). Ma, come spesso succede, il fuoco si spense presto, insieme alle speranze dei partecipanti e dei tanti gruppi territoriali a supporto della Mmt che si formarono.
Paolo Barnard, autore de “Il più grande crimine”, ancora scaricabile dal suo sito in maniera gratuita, accompagnò Warren Mosler nel 2013 in un tour che toccò anche Ferrara, poi ebbe dei momenti nella trasmissione di Gianluigi Paragone “La gabbia”, articoli vari, blog e follower ma con una condanna all’oblìo già scritta.
Il suo modo graffiante di dire la verità senza compromessi, di essere scomodo al sistema non poteva permettergli di più di qualche rara apparizione sui media, nonostante fosse anche stato autore e co-fondatore di una trasmissione televisiva come Report. Ispiratore di scoop sul commercio internazionale, sugli intrighi di palazzo a Bruxelles, sulle case farmaceutiche e profeta di una crisi economica già scritta nei rimedi prospettati dal 2008.
La Mmt è una teoria che affonda le sue radici in numerosi autori di inizio Novecento. Prevede l’intervento dello Stato in funzione anticiclica e lo Stato garante, attraverso il controllo della Banca Centrale, del suo debito. Vede quindi una fusione tra politica monetaria e politica fiscale e la spesa pubblica in funzione di riequilibratore del mercato, si taglia quando l’economia si riscalda e si alimenta quando si è in recessione.
I deficit governativi non rappresentano sempre un pericolo, almeno per le nazioni che utilizzano la propria moneta e che sono in grado di controllare.
L’esperienza keynesiana e il new deal rooseveltiano supportano storicamente l’idea di un saggio intervento statale teso alla tenuta della domanda.
L’applicazione di questi principi, secondo Mmt e Barnard, avrebbe evitato migliaia di suicidi e tanti sacrifici. Se l’ossessione per i tagli della spesa e gli equilibri del bilancio dello stato fosse stata meglio compensata con la necessità di supportare la domanda aggregata e sostenere aziende e lavoro, la storia degli ultimi anni sarebbe stata diversa.
Ma perché ne stiamo parlando ora?
Contro l’austerità e i vincoli di bilancio che frenano lo sviluppo e per la capacità di spesa dello Stato in deficit per migliorare le condizioni di vita dei cittadini si era pronunciata l’astro nascente della politica americana Alexandria Ocasio-Cortes. Abbracciando dunque la Mmt come teoria economica utile per far fronte ai bisogni sociali, dall’estensione del programma Medicare al salario minimo di quindici dollari, dall’istruzione gratuita per tutti al diritto alla casa. La Ocasio-Cortes ripeteva quello che tanti economisti americani dicono da anni, da Warren Mosler a Mark Blyth, da Joseph Stiglitz a Paul Kraugman.
Ma anche qui in Europa il dibattito sembra volersi aprire e segnali importanti, seppur timidi, cominciano ad intravedersi nelle stanze del potere. Mario Draghi, rispondendo alla domanda di un eurodeputato sul modo migliore di incanalare i fondi all’economia reale in modo da combattere il cambiamento climatico o compensare le diseguaglianze, ha citato proprio la Mmt e uno studio dell’ex vice presidente della Federal Reserve, Stanley Fischer.
Tale studio sostiene che le banche centrali dovrebbero immettere moneta direttamente nelle mani di chi spende nel settore pubblico e privato. “Sono idee piuttosto nuove.” ha affermato Draghi, “Non sono state discusse dal Consiglio direttivo ma dovremmo farlo, anche se non sono state testate.”
Succede poi che la candidata alla successione di Sabine Lautenschläger, ex vice presidente della Bundesbank, uno dei sei membri dell’Executive Board e del Governing Council della Bce in carica dal 27 gennaio 2014 e che ha lasciato con due anni di anticipo in dissidio con la politica monetaria accomodante di Mario Draghi, sia Elga Bartsch, tedesca ed economista di Black Rock.
È proprio Elga Bartsch, in occasione dell’incontro annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole lo scorso agosto, insieme agli economisti Stanley Fischer, ex governatore della Bank of Israel ed ex vice presidente della Federal Reserve degli Stati Uniti, Jean Boivin, ex vice governatore della Bank of Canada, aveva stilato un documento. Una proposta per un coordinamento più esplicito tra le banche centrali e i governi quando le economie sono in una recessione in modo che la politica monetaria e fiscale possano lavorare meglio in sinergia. L’obiettivo è di andare diretti con denaro ai consumatori e alle società per ravvivare i consumi.
Si tratta, in entrambi i casi, della controversa teoria dell’helicopter money (denaro buttato giù dall’elicottero). Far arrivare soldi alle persone perché possano spendere per rimettere in circolo l’economia.
Poi c’è la Lagarde, prossimo Governatore della Bce e a suo tempo spietata sostenitrice dell’applicazione alla martoriata Grecia dell’austerità senza sconti, che afferma “non pensiamo che la Mmt possa essere la panacea. Non pensiamo che questa teoria sia sostenibile e possa funzionare in tutti gli stati ma i modelli matematici sembrano reggere. Potrebbe funzionare per risollevare alcuni paesi dalla trappola della liquidità e dalla deflazione”. Un’apertura ad una sua possibile applicazione anche se in momenti e situazioni specifiche, comunque uno sdoganamento.
Il prossimo commissario agli affari economici sarà Paolo Gentiloni che ha affermato di aver capito come deputato l’importanza sia di salvaguardare la sostenibilità del debito pubblico sia la capacità di sostenere l’economia in tempi di crisi. Per cui, in caso di conferma per il ruolo di commissario, dice “cercherò di fare in modo che la Commissione applichi il patto di Stabilità e crescita facendo pieno uso di tutta la flessibilità prevista dalla regole”.
Significa quindi un appoggio a politiche di deficit almeno al 3%? Forse non arriverà a tanto ma sembra aver compreso l’importanza che le regole in tempo di crisi non possono essere le stesse dei tempi buoni.
E poi c’è il nuovo ministro dell’economia Gualtieri che oltre a saper suonare la chitarra ha affermato di voler trovare risorse anche dalla spesa a deficit tenendosi tra ilo 2,04 di flessibilità avuto dal precedente governo e quanto da questi a suo tempo chiesto, il 2,4%. Affermazione poi confermata nella Nadef di questi giorni dove il deficit viene fissato al 2,2%.
Non si può pretendere di più. I tempi sono cambiati dal 2012 e tante scelte non possono essere messe in discussione come sarebbe stato possibile fare allora. Il tempo passa e le politiche economiche andrebbero adattate sempre alla situazione, così come dovrebbero cambiare le persone al comando. Negli Usa c’è la faccia pulita della Cortes, nella vecchia Europa, invece, si aspetta che coloro che a suo tempo decisero la giustezza degli equilibri di bilancio e dell’austerità, ovvero gli stessi che ancora prima avevano deciso per la moneta unica e per un’unione europea senz’anima, e che ancora prima di prima avevano deciso la separazione della politica monetaria dalla politica fiscale, adesso decideranno se è il momento di cambiare perché forse si è andati troppo oltre.
Anche noi siamo gli stessi e, come sempre, aspetteremo che gli stessi di sopra decidano come dovrà essere il nostro futuro.

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Se la scuola tornasse a fare il suo mestiere

La Terra è al collasso e di mezzo ci si mette il libretto delle giustificazioni, siamo alla comicità italiana. I giovani che si assentano dalle lezioni per partecipare al Friday for future per essere riammessi a scuola non devono fornire la giustificazione firmata dai loro genitori. Così ha deciso il ministro della pubblica istruzione con una invasione di campo non richiesta.
Precipitarsi a dare una pacca sulle spalle a ragazze e ragazzi perché fanno qualcosa di buono, che ai grandi neppure è mai passato per la testa di fare, altro non è che il segno della profonda immaturità degli adulti nella relazione con le nuove generazioni. Rispettarne le iniziative, apprezzarne il valore e l’importanza non significa cambiare le regole del gioco, anzi, potrebbe finire per svilirle. Per dire che non tutti gli atti che sembrano buoni alla fine lo siano veramente, o per lo meno sono indifferenti.
Nell’atteggiamento del ministro dell’istruzione c’è una fregola all’educazione, al rinforzo positivo, questo spiegherebbe l’invasione di campo. È che il ministro è il ministro dell’istruzione non dell’educazione.
Ancora una volta la scuola si dimostra debole sul lato del suo mestiere che è la conoscenza. Imparare a conoscere. Imparare ad imparare. È facile aderire allo sciopero dei ragazzi, è più difficile offrirgli una scuola diversa, una scuola utile al loro futuro, per il quale manifestano.
Il ministro promette di aggiungere più ambiente ai programmi scolastici, se mai con gli esiti non certo esaltanti della recente legge su più educazione civica. Il tema è di cosa hanno bisogno i nostri studenti perché la scuola non rubi i loro sogni e il loro futuro.
In un bel libro di venticinque anni fa, Terra-Patria, Edgar Morin scriveva: “Alle soglie del terzo millennio, la nostra è una condizione “di agonia”, sospesi come siamo tra possibilità di rinascita e vigilia di distruzione”.
Dunque, avremmo potuto fare molto già da tempo, senza attendere Greta. E una scuola che insegue i giovani anziché anticiparli e guidarli non si salva ora chiedendo ai presidi di non considerare assenti i giovani mobilitati a manifestare contro i grandi della Terra.
Chi insegna ai giovani di oggi come considerare il mondo nuovo che ci travolge? Su quali concetti essenziali devono fondare la comprensione del futuro? Su quali basi teoriche possono appoggiarsi per vincere le sfide che si accumulano?
Queste sono le domande a cui la scuola dovrebbe rispondere per essere utile ai giovani di oggi, perché siano aiutati ad affrontare meglio il loro destino e a meglio comprendere il nostro pianeta.
Sono le domande che anni fa l’Unesco ha rivolto ad Edgard Morin il quale ha risposto nel 1999 con “I sette saperi necessari all’educazione del futuro”. Un ministro serio di una scuola seria di un paese serio di qui prenderebbe le mosse.
Le sfide si fanno sempre più impegnative e la nostra scuola rischia di essere sempre più piccola, sempre meno adatta a fornire gli attrezzi necessari per essere all’altezza dei compiti che abbiamo di fronte.
Tra i sette saperi di Morin c’è innanzitutto la conoscenza. La scuola luogo della conoscenza è cieca su come funzionano i dispositivi della conoscenza umana. La conoscenza della conoscenza dovrebbe costituire l’obiettivo primario, volto ad affrontare i rischi permanenti degli errori e delle illusioni che non cessano di parassitare la mente umana. Si tratta sostiene Morin di “armare ogni mente nel combattimento vitale per la lucidità”.
La conoscenza nelle nostre scuole è frammentata nelle discipline e questo rende spesso incapaci di effettuare legami tra le parti e il tutto. Sarebbe invece necessario sviluppare l’attitudine naturale della mente umana a situare tutte le informazioni in un contesto e in un insieme. È necessario insegnare i metodi che permettono di cogliere le mutue relazioni e le influenze reciproche tra le parti e il tutto in un mondo complesso.
La stessa unità della natura umana è oggi completamente disintegrata nell’insegnamento attraverso le materie. Ciò rende impossibile apprendere ciò che significa essere umano. Eppure ciò che oggi ci è richiesto è appunto prendere conoscenza e coscienza sia del carattere complesso della propria identità sia dell’identità che abbiamo in comune con tutti gli altri umani.
Ecco, la condizione umana dovrebbe essere oggetto essenziale di ogni insegnamento. Il destino ormai planetario del genere umano. Una realtà che nessun insegnamento può più ignorare. La conoscenza degli sviluppi dell’era planetaria e il riconoscimento dell’identità terrestre devono divenire uno dei principali oggetti di insegnamento.
Le scienze ci hanno fatto acquisire molte certezze, ma ci hanno rivelato anche innumerevoli campi di incertezza. Si dovrebbero apprendere le strategie che permettono di affrontare i rischi, l’inatteso e l’incerto, come suggerisce Morin, bisogna apprendere a navigare in un oceano di incertezze attraverso arcipelaghi di certezza.
Abbiamo bisogno di imparare la comprensione. La comprensione è il mezzo e il fine della comunicazione umana. Il pianeta ha bisogno in tutti i sensi di reciproche comprensioni. Questo deve essere il compito dell’educazione del futuro. La reciproca comprensione fra umani, sia prossimi che lontani.
Per Morin l’insegnamento deve produrre una “antropo-etica”, portare a compimento l’Umanità come comunità planetaria. L’insegnamento deve non solo contribuire a una presa di coscienza della nostra Terra-Patria, ma anche permettere che questa coscienza si traduca in volontà di realizzare la cittadinanza terrestre.
Se la scuola tornasse a fare il suo mestiere, forse i prossimi Friday for future invece di essere celebrati nelle piazze delle città saranno partecipati nelle aule delle nostre scuole.

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7/10 Biblioteca Ariostea – Presentazione del volume “Il passaggiere disingannato. Guide di Ferrara in età pontificia.”

Da: Organizzatori

“Il Passeggiere disingannato. Guide di Ferrara in età pontificia.” Atti del convegno tenuto il 19 ottobre 2017 in omaggio a Carlo Bassi (1923-2017), Firenze, Le Lettere 2019 pp. 284 € 44

Il volume, curato da Ranieri Varese dell’Università di Ferrara, analizza il tema, locale ma di generale valenza, delle guide di Ferrara e della loro rappresentazione della città durante il periodo del governo pontificio. Alcuni contributi aprono allo stesso tema per il successivo tempo della unità italiana.

Hanno partecipato studiosi specialisti delle Università di Bologna, Ferrara, Roma, Parma e ricercatori della Biblioteca Ariostea e dell’Archivio Storico Comunale. La Biblioteca Ariostea ha ospitato il convegno nella ‘Sala Agnelli’ e ha fornito un aiuto e un contributo fondamentali consentendo larga consultazione dei materiali custoditi.

Le ‘guide’ sono lo strumento che la classe dirigente cittadina utilizza per dare rappresentazione di sé e del proprio governo ai viaggiatori e ai propri concittadini.
Il genere ha una particolare fioritura nel XVIII secolo nel momento in cui il ‘Grand Tour’ e la visita in Italia era divenuto momento obbligato per la formazione intellettuale e civile della borghesia e della aristocrazia europee.

Per la città di Ferrara i saggi raccolti sono il primo intervento, organico e scientificamente garantito, su questo argomento. Si va dai contributi generali sui testi apparsi in età legatizia (Corinna Mezzetti) e nel paese unificato (Barbara Ghelfi), ai percorsi per raggiungere Ferrara (Franco Cazzola), ai precedenti seicenteschi (Matteo Provasi), a Ferrara nel ‘Grand Tour’ (Valter Curzi), ai mutamenti del gusto (Jadranka Bentini). Rita Fabbri apre alle testimonianze che appaiono sull’impianto urbanistico e monumentale; Paola Zanardi rilegge il carattere dei ferraresi. Jasmine Habcy individua le presenze ‘forestiere’. Mirna Bonazza analizza i testimoni manoscritti per l’edizione della guida di Cesare Barotti, e illustra il patrimonio conservato nella Biblioteca Ariostea. Ranieri Varese propone una inedita guida di Ferrara opera di Girolamo Agnelli.

Una ricca selezione di testi integra i saggi con brani scelti dalle opere di: Giuseppe Agnelli, Cesare Barotti, Girolamo Baruffaldi, Carlo Bassi, Chateaubriand, Luciano Chiappini, Leopoldo Cicognara, Luigi Napoleone Cittadella, Gualtiero Medri, Pietro Niccolini, Christian Norberg-Schulz, Ella Noyes, abate di Saint Non, Niccolò Tommaseo.
I testi introduttivi sono del Prorettore Ursula Thun Hohenstein, dell’Assessore alla Cultura e Vice Sindaco Massimo Maisto, del dirigente del servizio archivi e biblioteche Enrico Spinelli, di Francesca Cappelletti professore ordinario di storia dell’arte presso il Dipartimento di Studi Umanistici.

Il Convegno doveva essere presieduto dall’architetto Carlo Bassi. Ferrarese, autore, nella sua città, di edifici civili e religiosi, studioso attento dell’opera di Biagio Rossetti, autore di numerose guide dedicate a Ferrara. Purtroppo è venuto a mancare poco prima che il convegno avesse inizio. A lui è stato dedicato il volume che ne raccoglie i risultati.
Il Convegno ha ottenuto il patrocinio della Università degli Studi e della Amministrazione Comunale di Ferrara. È stato congiuntamente organizzato dalla Associazione Amici della Biblioteca Ariostea e dalla Deputazione Ferrarese di Storia Patria.

Il comitato scientifico e organizzatore è stato così composto: Franco Cazzola, Università di Bologna; Ranieri Varese, Università di Ferrara; Silvana Vecchio, Università di Ferrara; Paola Zanardi, Università di Ferrara.

Nella convinzione che ognuno deve fare la sua parte, per quello che sono le proprie competenze e impegni istituzionali, le Associazioni promotrici pensano che non vi può essere integrazione per i nuovi cittadini se non vi è conoscenza del luogo in cui ci si trova a vivere. La attualità è formata dalla storia e dal passato della città che condizionano e definiscono oggi il nostro vivere. Senza conoscenza vi è contrapposizione e incomprensione.

Le guide che descrivono Ferrara, a partire dal XVII secolo sino ad oggi, sono uno degli strumenti della conoscenza di sé. Sino ad oggi scarsissima è stata l’attenzione loro rivolta e sono state utilizzate quasi solamente come base documentaria nel settore, troppo specialistico, degli storici dell’arte.
Il problema del senso e del significato delle guide dedicate a Ferrara non è mai stato affrontato. E’ questa la prima occasione di incontro, di dibattito e di verifica.

Le associazioni organizzatrici e tutti gli autori dei contributi hanno ben chiaro il valore e l’importanza del periodo estense; lamentano, senza che per questo vi sia contrapposizione, che troppo spesso ci si dimentica che la città è esistita sia prima che dopo la signoria degli Este. Gli oltre due secoli del governo pontificio hanno visto momenti significativi ed importanti: dalla regolamentazione e controllo dell’apparato idraulico nel territorio alla committenza artistica per gli edifici religiosi e per l’aristocrazia e la borghesia cittadine. Un tempo che è sbagliato tentare di cancellare definendolo minore e oscurantista.

Il volume sarà presentato lunedì 7 Ottobre alle ore 17, presso la biblioteca Ariostea, dalle professoresse Francesca Cappelletti, docente di storia dell’arte moderna presso l’università di Ferrara, e Fiammetta Sabba, docente di storia della bibliografia presso l’università di Bologna.

TACCUINO POLITICO
“Aprire porte e finestre”… Qualche domanda a Massimo Maisto e al Pd ferrarese

Ho partecipato alle primarie del Pd e ho votato Zingaretti. L’ho fatto mosso dalla speranza che si voltasse pagina rispetto al passato recente e meno recente. Al netto dei cambiamenti politici nazionali innescati dal ‘colpo di sole’ ferragostano di Salvini mi pare che il ‘cambiamento’ del Pd sia ancora prigioniero di belle parole, ma scarso di fatti. Ormai Zingaretti non ha più alibi dopo l’uscita di Renzi dal Pd. Prendiamo una parola d’ordine che è stata il motivo dominante della sua elezione a segretario: bisogna aprire porte e finestre per fare entrare aria nuova. Se prendo in considerazione la preparazione del congresso della Federazione Pd di Ferrara, mi sento di dire che le porte sono state tenute sprangate con le finestre ben chiuse con doppi vetri. Facendo salva la mia stima per Massimo Maisto, gli rivolgo alcune domande.
1 – Dopo la catastrofe generale che ha investito il Pd nazionale il 4 marzo 2018, è presente ai dirigenti locali del Pd la sconfitta storico-epocale subita nelle elezioni amministrative locali? E’ falsa e consolatoria l’interpretazione che accolla al ‘vento nazionale’ la causa della sconfitta ferrarese, perché in altre città emiliane il centro-sinistra ha vinto. E’ quindi evidente che ci sono seri motivi locali da esaminare per capire le cause della debacle e che riguardano i temi programmatici, i responsabili politici e gli amministratori del Pd. Domanda: può rappresentare il futuro del Pd dentro il Consiglio comunale il candidato sconfitto alle elezioni? Ne state discutendo nei congressi in corso?
2 – Le vecchie culture politiche che vengono dal Novecento si sono sfarinate. Con che cosa le sta sostituendo la sinistra del tempo della ‘meglio gioventù’ di Greta? Zingaretti parla di idee nuove e nuove pratiche. Quali? Si tratta di idee generiche e di pratiche assenti perché il partito nei territori non esiste più da anni. Caro Massimo, a fronte di questa realtà perché non avete organizzato iniziative preparatorie ai congressi aperte all’associazionismo culturale la cui vitalità e ricchezza conosci bene come ex assessore alla Cultura? Parlo come Presidente dell’Istituto Gramsci che da quasi dieci anni organizza cicli di eccellente qualità culturale sui temi della democrazia, libertà, Europa, globalizzazione, e che continua ad essere ignorato dal Pd. Come pensa di cambiare e di ricostruire una presenza forte nei territori il Pd ferrarese se non si apre in modo permanente alle idee e alle persone che compongono l’arcipelago plurale dell’associazionismo di area di sinistra?
3 – In estrema sintesi conclusiva… Sono preoccupato per l’autoreferenzialità di una classe dirigente che continua a passare da una sconfitta all’altra senza mai fare i conti con le cause profonde che le hanno determinate e che hanno radici lontane, ben oltre l’era di Renzi. Se svolgo queste aspre riflessioni è perché ho sempre considerato indispensabile la presenza di un grande partito della sinistra. Nessun movimento (o lista elettorale) civico/a potrà incidere nel medio-lungo periodo in assenza di un rinnovato, forte e organizzato partito democratico. Non dovremmo mai dimenticare che il ribaltone governativo è ‘merito’ di Salvini e non di un mutamento negli orientamenti nella società civile. Salvini può passare, ma il consenso che rappresenta la Lega non è una parentesi, come non lo era il fascismo nonostante lo pensasse Benedetto Croce. Aveva ragione negli anni Venti del secolo scorso il giovanissimo Piero Gobetti a definire il fascismo ‘l’autobiografia della Nazione’, così come oggi lo è la Lega rispetto ad una parte larga dell’opinione pubblica nazionale. Senza una nuova azione culturale e civile diffusa e continua dentro la società non ci sarà astuzia tattica o demonizzazione dell’avversario che ci potrà assicurare un futuro. Si potrebbe cominciare raccogliendo l’invito del giovane Leopardi: “Convertire la ragione in passione…”.

labirinto-museo-archeologico

Si scrive Giardino degli Dèi, si legge Miniera di Racconti: alla (ri)scoperta di Ferrara

Demetra, Ade, Zefiro… Tra tutti i personaggi della mitologia greca, evocati dalle e dagli studenti del Liceo Scientifico Antonio Roiti, è stato forse Zeus, il padrone del tempo, il più velatamente presente, con la sua leggera e rinfrescante pioggia mattutina. Anche quest’anno, le Giornate Europee del Patrimonio la nostra città non se le è lasciate sfuggire. Si tratta di un appuntamento ormai fisso nel panorama del continente, che consente a milioni di persone di ammirare per la prima volta monumenti spesso non accessibili. Il tema scelto per l’edizione 2019 è ‘Un due tre… Arte! Cultura e intrattenimento’, con un obiettivo ambizioso: riflettere sul benessere che deriva dall’esperienza culturale e sui benefici che la fruizione del patrimonio può determinare. In particolare, il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara ha arricchito la propria offerta partecipando alla rassegna regionale ‘Vivi il Verde’, che da anni mira a far vivere alle e ai cittadini emiliano-romagnoli la natura in ogni sua declinazione. Il sottotitolo, ‘Intelligenza della natura e progetto umano’, è tutto un programma: partire dall’idea classica di giardino, artificio umano, per arrivare a immaginare nuove modalità di alleanza tra la nostra specie e il resto dell’ambiente.

Come non approfittare dell’occasione per vivere in una veste nuova il giardino neorinascimentale di Palazzo Costabili, detto di Ludovico il Moro? Grazie alla guida della classe 5N e delle docenti Francesca Bianchini ed Elena Cavalieri D’Oro, le piante coltivate e gli intricati percorsi del labirinto non avranno più, d’ora in poi, così tanti segreti. Nonostante l’inclemenza meteorologica, le visitatrici e i visitatori, domenica 22 settembre, hanno con interesse seguito i piacevoli racconti legati alla moderna botanica e alle antiche leggende. L’evento, deliziato da un collaterale buffet, era parte del progetto scolastico ‘Muse Inquietanti’, portato avanti anche tra le sale del museo in qualità di alternanza scuola-lavoro, che negli ultimi tempi ha fornito il giardino di nuovi apparati fissi, dai quali è possibile apprendere molte informazioni su ciò che un occhio inesperto potrebbe non riconoscere.

Ma se si parla di questa ricchezza novecentesca, certamente il Garden Club Ferrara non può esserne del tutto estraneo. L’associazione ha infatti partecipato alle varie fasi del progetto, in virtù del forte legame che da sempre la unisce a tale luogo. La presidente Gianna Borghesani non ha avuto remore nel ricordare come proprio le volontarie e i volontari associati, a fine secolo, furono i grandi protagonisti del recupero di ciò che allora era semplicemente un accumulo di erbacce, che aveva addirittura nascosto del tutto il celebre labirinto.

Le ragazze e i ragazzi non erano tuttavia soli nell’allietare il curioso pubblico, poiché il Club Amici dell’Arte aveva, già dal giorno prima, allestito una mostra temporanea di proprie opere pittoriche, grafiche e fotografiche, all’interno della magnifica Sala del Tesoro e lungo il porticato, dando così voce al proprio scopo di promozione dell’arte e della cultura.

Eppure, è proprio il caso di dirlo, non è tutto rose e viole, come ha voluto sottolineare un’arguta lettura del labirinto fornita da una liceale. Se un tempo l’essere umano era chiamato a scegliere la strada con le proprie forze, nell’era di Internet nessun dedalo è più affrontabile con il solo aiuto del proprio ingegno.

 

Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
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Le grandi bugie e l’annullamento delle verità storiche

La falce e il martello come la croce uncinata, come il fascio littorio, come la croce celtica. Marx come Hitler, entrambi tedeschi, Gramsci come Mussolini, entrambi italiani.
Fatico a scrivere e commentare ciò che combatto dalla quinta elementare, l’omologazione, la grande bugia, l’annullamento della verità storica.
Credo di averlo detto e scritto, dagli anni dell’infanzia e della prima adolescenza, dai banchi della Ercole Mosti, e dall’ultima fila della Giuseppe Garibaldi, Stalin fu un dittatore, la sua presa del potere post Lenin, non portò alla dittatura del proletariato, ma alla dittatura dell’apparato, al culto della personalità, quella fu dittatura, non comunismo.
Senza Stalin però e senza i 23.000.000 (ventitrè milioni) di morti sovietici, rileggete il numero e scanditelo a voce alta, la storia d’Europa sarebbe diversa, si marcerebbe col passo dell’oca e al posto di “Bella ciao”, si fischietterebbe “faccetta nera”.
Il democratico e intellegibile parlamento Europeo, coi voti pure di sedicenti esponenti di sinistra, ha voluto equiparare Nazismo/Fascismo al Comunismo. Perché? Perché la storia deve essere interpretata, e non studiata?
La falce ed il martello rappresentano le forze del lavoro, gli operai ed i contadini del mondo intero, senza confini e senza frontiere, la croce uncinata rappresenta la pura e bionda razza ariana, il fascio littorio rappresenta i latifondisti e la ricca borghesia italiana degli anni venti, i padroni del vapore, quelli che si nascondevano dietro al privilegio, non il popolo, carne da cannone. Mussolini entrò in guerra “ per portare qualche migliaio di morti al tavolo delle trattative”.
Lo scellerato patto Ribbentrop / Molotov, fu davvero molto diverso dall’immobilismo decennale delle forze occidentali nei confronti di Mussolini prima, Franco poi, ed Hitler dopo?
Ora, elencare i filosofi, pensatori, intellettuali e martiri comunisti e paragonarli a Goebbels, Himmler, Heydrich, Eicke ed altri topi di fogna simili è offensivo e vomitevole, ed infatti, io non lo farò.
Altersì, paragonare il Manifesto, il Capitale, i quaderni del carcere, Canto General, ed altri mille testi filosofici, economici, poetici al Mein Kampf è pura follia.
Citare i pensatori del passato, non comunisti, come Thomas Mann e riportare cosa pensavano della differenza tra Comunismo e Nazismo è come gettare perle ai porci.
Quindi, sinteticamente, voi rappresentanti dei popoli europei attuali, voi revisionisti e ‘pansisti’ imperanti, fate pure i vostri nauseabondi paragoni, (fascista è chi il fascista fa, semi cit.), io sto dalla parte delle Brigate Garibaldi, sto dalla Parte del Partito Comunista d’Italia, dalla parte del Partito Socialista di Giolitti, sto dalla parte dei martiri, sono in cella con Gramsci, muoio in povertà in un sobborgo di Londra con Marx.
Scappo braccato dai neri avvoltoi del regime, come Pablo Neruda, difendo il mio popolo fino alla fine, dalle stanze della Moneda, come Salvador Allende, giaccio su un tavolaccio di legno, all’interno di una lavanderia, con gli occhi aperti diventatimi improvvisamente azzurri, con il Che, parlo ai microfoni della mia radio, contro i baroni di Mafiopoli, come Peppino Impastato, esalo l’ultimo pensiero dal palco di Padova… strada per strada, casa per casa… come Enrico Berlinguer.
Se poi ai simboli, si vogliono associare i morti, entriamo in una diatriba infinita, una contabilità dell’orrore che non esime, anzi vede primi in classifica i simboli religiosi, ma a nessuno viene in mente di paragonare tutte le religioni al Nazi-fascismo, perché?
I morti sono lì, basta solo andare a ricontarli.

Ecco, questo ero, questo sono e questo sarò, incriminatemi, incatenatemi, mettetemi alla gogna, io sono Comunista, alzo il pugno, sventolo la bandiera rossa, la falce e il martello sono tatuate nel mio cuore. Voi omologatevi pure, ma io non sarò mai come volete voi.

“Una vergogna equiparare comunismo e nazi-fascismo” secondo il professor Gianni Fresu

La risoluzione votata dal Parlamento Europeo, la quale equipara il nazi-fascismo al comunismo, sta facendo parecchio discutere, soprattutto perché, tra i favorevoli, ci sono stati molti voti di europarlamentari afferenti al Partito Democratico. Abbiamo chiesto di fare chiarezza su questa diatriba al professor Gianni Fresu, profondo conoscitore del comunismo e della sua storia, professore di storia nell’Università federale di Uberlândia in Brasile e presidente dell’International Gramsci Society Brasil, il quale ha pubblicato un libro tal titolo “Antonio Gramsci. L’uomo filosofo” (Aipsa Edizioni) qualche settimana fa.

Cosa ne pensa di questa risoluzione del Parlamento Europeo?
Penso sia un vergognoso e irresponsabile atto di revisionismo, reso ancora più grave dall’essere il frutto di un mercanteggiamento con i Paesi del blocco orientale (Polonia e Ungheria), non certo distintisi in questi anni per il rispetto delle pratiche democratiche. Il fascismo nasce come negazione storica del comunismo, tra le trincee e le fortificazioni delle classi dirigenti europee, abbarbicate nella disperata difesa dei vecchi equilibri passivi tra le classi. Senza il contributo dei comunisti, il nazifascismo mai e poi mai sarebbe stato sconfitto. Presentare il fascismo e il comunismo come fratelli gemelli, nati dalla stessa degenerazione genetica, ha una sola finalità logica: assolvere il liberalismo e le classi dirigenti europee dalle loro storiche gravissime responsabilità rispetto alla nascita e all’avvento dei movimenti di Mussolini e Hitler.

Cosa hanno di diverso comunismo e nazifascismo?
Il fascismo rappresenta un grande buco nero per la civiltà europea, nel nostro caso, la contraddizione nazionale rispetto alla quale i liberali italiani non riescono a nascondere la propria lunghissima coda di paglia. Per questa ragione Croce definì il fascismo una crisi morale europea senza alcuna radice sociale (borghesia) o politica (liberalismo) riconducibile al suo album di famiglia e, oggi, i suoi discendenti, anziché studiare le responsabilità endogene del collasso liberale, preferiscono considerarlo una conseguenza del fanatismo totalitario bolscevico, non il prodotto storico del colonialismo e del suo portato ideologico autoritario e razzista di dominio assoluto di una civiltà sulle altre. Il movimento comunista nasce in contraddizione con i paradigmi della civilizzazione occidentale e le pretese dell’Imperialismo. Se il fascismo è una forma nuova ed esasperata di nazionalismo, sorto in un contesto segnato dalla crisi di egemonia delle vecchie classi dirigenti liberali e di radicalizzazione della lotta sociale per l’irrompere delle masse popolari mobilitate nella Prima guerra mondiale, il comunismo si costruisce attorno a un principio di universalità della dignità umana in contrapposizione a ogni ideologia nazionalista e razzista.

Quindi l’universalità come differenza principale?
Il principio “proletari di tutti i Paesi unitevi” è concettualmente e praticamente incompatibile con il fascismo. Il comunismo è un movimento che nasce attorno all’esigenza dell’emancipazione umana, ossia nasce dalla necessità di risolvere le contraddizioni economico-sociali che limitano l’effettivo esercizio delle libertà formali. Il fascismo, per essere compreso, non può essere espulso dal terreno reale della storia, non fu la “banalità del male” né una parentesi irrazionale, un metodo o il frutto di una psicosi collettiva che travolse le difese morali della civiltà europea sorto al di fuori della sua cultura. Il fascismo fu un movimento sociale ed un’ideologia storicamente determinata, il risultato di specifiche condizioni sociali e culturali funzionali a determinate esigenze di classe. Al di là delle situazioni eccezionali che determinarono la sua apparizione, nel contesto che accompagna e segue la Prima guerra mondiale, il fascismo rappresentò il tentativo di instaurare l’ideologia tradizionale del colonialismo e dell’imperialismo dentro gli stessi confini dell’Europa. Uno dei suoi concetti chiave è il diritto allo “spazio vitale”, ma tale principio non è una invenzione di Corradini, Mussolini e Hitler. Fa parte organicamente della cultura politica delle potenze occidentali durante l’epopea dell’Imperialismo. Più in generale, è parte integrante dell’ideologia coloniale, che considerava lecito dominare, sfruttare e anche eliminare le “civiltà inferiori” o “primitive” che si frapponevano al desiderio di trasformare tutto il mondo in funzione strumentale dello sviluppo europeo.

La questione sulle razze inferiori e superiori in pratica.
Il razzismo e la scientifica disumanizzazione degli “incivili” sono tipici del colonialismo, che si servì delle teorie sull’esistenza di una gerarchia tra le razze per legittimare il sistema criminale di dominio degli Occidentali sui popoli coloniali. Del resto, come Domenico Losurdo non mancò di sottolineare ripetutamente, Hitler utilizzò l’esempio della “Conquista del West” per legittimare la sua idea di “spazio vitale”, ispirandosi esattamente a quella concezione di “avanzata della civiltà”, quando immaginò di riservare ai popoli slavi la stessa sorte toccata ai popoli dei nativi americani sterminati dai coloni nordamericani. Dunque, se proprio vogliamo trovare un elemento di fratellanza ideologica del fascismo dobbiamo guardare alla storia dell’Occidente, non certo al comunismo. Il fascismo è il prodotto delle contraddizioni oggettive e soggettive delle società liberali in crisi, ma al tempo stesso è uno sviluppo politico e culturale della brutale civilizzazione che ha storicamente sottomesso e schiavizzato i popoli non europei. Non riconoscere questi legami organici rifiutandosi di storicizzare premesse e cause razionali di questo fenomeno, inevitabilmente porta all’utilizzo delle categorie antistoriche della ‘teratologia’, che pretendono di rappresentale la realtà come risultato inspiegabile della mostruosità o della deformità.

Due anni fa c’è stato il centenario della rivoluzione Russa. Quell’esperienza come dovrebbe essere letta storicamente? In maniera positiva o negativa?
Senza il contributo della Rivoluzione d’Ottobre non si spiegano nemmeno l’affermazione dei diritti sociali e l’estensione dei diritti di cittadinanza alle donne, fino al 1917 escluse dal concetto di universalità occidentale. Oltre a questo, la Rivoluzione d’Ottobre investì da subito e diede un vigoroso impulso alle lotte di liberazione nazionale dei popoli assoggettati al dominio occidentale, dando luogo alla decolonizzazione più diffusa e profonda nella storia dell’umanità.

Spesso i detrattori del comunismo citano i milioni di morti causati da Stalin nell’est Europa e da Mao in Cina, cosa puoi dire a tal proposito?
Oramai è diventato un luogo comune citare la discutibile contabilità dei lutti fatta (all’ingrosso) nel famigerato “Libro nero del comunismo”, nel quale vengono compresi anche i morti per guerre e carestie in gran parte dei casi indotte dall’esterno. Sarebbe ora, credo, di scrivere pure un “Libro nero del liberalismo”. Domenico Losurdo ha fatto nei decenni questo lavoro attraverso una puntuale critica storica e filosofica, manca però un banale libro in cifre, di semplice ragioneria politica del capitalismo. Se, infatti, usassimo gli stessi parametri adottati da Stéphane Courtois &Co., quante centinaia di milioni di morti dovremmo imputare all’espansione mondiale delle nostre relazioni sociali borghesi? Proviamo solo a pensare a questo: le conseguenze storiche dell’accumulazione originale del capitale sulle sterminate masse rurali cacciate dalle campagne trasformate in moltitudini mendicanti nelle grandi periferie urbane; lo sterminio dei popoli nativi nel Nord e Sud America, Asia e Oceania; i morti dovuti alla miseria e allo sfruttamento coloniale occidentale in Africa, schiavismo compreso; le infinite guerre imperialiste condotte negli ultimi due secoli in ogni angolo del pianeta per rapinare le risorse dei “popoli incivili”. Un’ecatombe, ben occultata nei libri o nelle trattazioni divulgative sulla storia dell’umanità. Anche questo conferma un punto già colto da Marx e Engels nella metà dell’800: è proprio nel terreno delle ideologie il vero successo della società borghese, così l’aver trasformato il mondo in un grande cimitero è presentato come affermazione dei principi di libertà e civiltà sulla barbarie. Il paradosso storico è che, pur essendo maestri di ideologia, i grandi e piccoli teorici del liberalismo fanno della critica alle ideologie la propria battaglia più caratterizzante. La conferma della loro capacità egemonica è che la maggioranza delle persone, dotata anche di una buona cultura, ci crede e la riproduce più o meno consapevolmente.

Nell’est Europa esiste “l’apologia di comunismo”. Come puoi spiegare questa scelta?
Si spiega con la logica della Restaurazione successiva a una guerra che il socialismo ha oggettivamente perso. Uso una citazione per spiegarmi meglio: “L’idra della rivoluzione è già stata annientata nei suoi fautori e in buona parte dei suoi prodotti; ma bisogna ancora soffocarne la semenza, nel timore che possa riprodursi sotto altre forme. I troni legittimi sono stati ristabiliti: ora mi dispongo a ricollocare sul trono anche la scienza legittima, quella che si pone al servizio del supremo Signore, la verità della quale è attestata da tutto l’universo” (C. L. Von Haller, La Restaurazione della scienza politica, (a cura di) M. Sancipriano Utet, Torino, 1963, pag. 75). In questo modo uno dei massimi teorici della Restaurazione, Karl Ludwig Von Haller, apriva nel 1816 la sua opera più celebre con un intento dichiarato: sconfiggere, anche sul piano teorico, le dottrine rivoluzionarie, già battute sul piano politico dalla riaffermazione dei principi dinastici in Europa. Sebbene travolte, egli intravvedeva il rischio di una loro possibile riemersione e il diffondersi di una nuova fiammata di sussulti insurrezionali. Dopo il 1815, la resistenza filosofica, tesa a comprendere razionalmente le ragioni e le eredità positive della Rivoluzione francese, svolse un ruolo che travalicava la lotta politica immediata. Lo stesso discorso vale oggi rispetto agli avvenimenti del 1917 presentati come l’origine di ogni male e disastro, generatori dei lutti di un secolo insanguinato, e responsabile di ogni fanatismo ideologico, fascismo compreso.

Lo stalinismo è diverso dal comunismo?
Lo “stalinismo”, ammesso che tale definizione sia corretta, fa parte della storia del comunismo e, come qualsiasi fenomeno, deve essere storicizzato attraverso categorie analitiche razionali e gli strumenti scientifici della scienza politica, dell’economia, della filosofia e, ovviamente, della storia. La tradizionale interpretazione che fa affidamento sulla teoria del “culto della personalità” difetta da tutti questi punti di vista.

Cosa direbbe Gramsci, padre del comunismo in Italia, di questa risoluzione, soprattutto guardando al fatto che è stata votata anche da europarlamentari del Pd, partito che dovrebbe essere un discendente del Pci?
Gramsci era un polemista fenomenale, credo che avrebbe stigmatizzato con veemenza, e insieme ironia, questo autentico cortocircuito teorico considerandolo assai rappresentativo della profonda involuzione culturale e politica caratteristica di questo periodo storico

Il comunismo, ai giorni nostri, ha ancora ragione di esistere?
“L’Internationale sera le genre humain”. In questo ritornello, che scandiva e concludeva il più bell’inno della storia, trovava sintesi l’aspirazione alla “futura umanità” (come diceva la versione italiana) contrapposta al pericolo incipiente della distruzione della civiltà umana. Un bivio storico testimoniato da secoli di colonialismo genocida dell’Occidente, drammaticamente oggettivatosi in una fase storica insanguinata dalle inutili stragi dei nazionalismi in guerra e dal baratro reazionario dell’ideologia fascista. Nonostante le stolte equiparazioni, oggi tanto di moda, sebbene tutto dica il contrario, personalmente credo ancora che l’alternativa sia tra “socialismo e barbarie”. Non è eccesso per idealismo, né il frutto di un ingenuo ottimismo, è l’esatto contrario.

DIARIO IN PUBBLICO
Sogni ebraici tra ricordi e musiche

Antefatto: la Sinagoga italiana di via Mazzini, luogo mitico, devastato durante la guerra dall’odio razzista e chiuso al pubblico per decenni è stata teatro della prima riunione tenuta in preparazione della ventesima edizione della Giornata europea della Cultura Ebraica il cui tema era: Sogni. Una scala verso il cielo. Si entra nella spaziosa sala dove ancora alcuni armadi e lapidi ricordano la sua funzione e nello splendore della mattinata settembrina la vista è immediatamente attratta dai grandi finestroni che danno sui tetti dove due colombe tubano. Imperioso riaffiora il ricordo del celebre passo de Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani tra i momenti più alti dello scrittore:

“Quando ci incontravamo sulla soglia del portone del Tempio, [….] finiva quasi sempre che salissimo in gruppo anche le ripide scale che portavano  al secondo piano, dove ampia, gremita di popolo misto echeggiante di suoni d’organo e di canti come una chiesa- e così alta , sui tetti[…], coi finestroni laterali spalancati […] c’era la sinagoga italiana”.

E nella solennità, ribadita anche dalle parole di Bassani, che gli ebrei conoscevano così bene della esclusività di appartenere alla sinagoga italiana non a caso devastata dalla furia fascista, in quella sala si è svolto il gruppo di conferenze sul sogno indette dalla Comunità e dal Meis.

Inizia il Rav Luciano Caro  capo della Comunità ebraica ferrarese su un’affascinane tema: “Sogni nella Torah” in cui,  con lo spirito arguto che lo distingue, racconta la funzione, il senso, la necessità dei sogni specie nella prima parte della Bibbia, ovvero il Pentateuco.

A seguire Simonetta della Seta direttore del Meis affronta un importantissimo argomento legato a una figura fondamentale per la nascita e sviluppo del Sionismo: “Il sogno sionista di Theodor Herzl a Ferrara”. La studiosa racconta come uno dei maggiori studiosi e propagatori del Sionismo, lo Herzl, contatta un importante personaggio ebreo ferrarese, Felice di  Leone Ravenna, che fu tra i fondatori, insieme a Carlo Conigliani, della Federazione sionistica italiana (FSI) di cui tenne la presidenza fino al 1920. Il Ravenna riesce ad ottenere per lo Herzl un appuntamento e con il re Vittorio Emanuele III e con il nuovo papa Pio X avvenuti nel 1904.I due rimasero uniti epistolarmente  e preziosa risulta una cartolina esibita dalla relatrice inviata da Vienna a Ravenna da Herzl, scritta in italiano “ Saluti e bacci” con due ‘c’.  Infinitamente meglio dei contemporanei ‘bacioni’!  Un sogno, dunque, politico che tangenzialmente coinvolge Ferrara e la Comunità ebraica.

Massimo Acanfora Torrefranca, vice presidente della Comunità ferrarese e musicologo di fama ha parlato di un oratorio poco conosciuto di Schönberg, “La scala di Giacobbe”. Lo sviluppo dell’opera, la sua parziale composizione s’intrecciano nelle parole del Torrefranca con la faticosa vita privata del compositore sempre alle prese con malattie, con il servizio militare, con il suo innegabile negativismo personale. Si svolge il percorso della composizione con la stesura del testo, l’impossibile idea di farlo eseguire con effetto stereofonico da un organico colossale : un coro a 12 voci formato da 720 coristi; in più altri due cori invisibili e a 13 cantanti soliti. Ne “La scala di Giacobbe”  (traggo le notizie dalla guida all’ascolto dell’Oratorio, eseguito dall’Orchestra Virtuale del Flaminio, di Sergio Sablich) il protagonista non è  Giacobbe ma colui che sta in cima alla scala elevata al cielo: l’arcangelo Gabriele  “ che –scrive Sablich- sta presso il trono divino e passa in rassegna le anime  che sfilano davanti a lui [..] Dalla massa anonima emergono alcune voci: Gabriele le interroga sui loro destini individuali e ne mostra a ciascuno la limitatezza. Solo l’espiazione e la preghiera possono avvicinare l’uomo a Dio innalzandolo fino all’apice della scala:”

Alla fine del racconto si innalzano le note sublimi che invadono la sala e rendono l’atmosfera magica.

L’ultimo intervento della mattinata  è quello del professor Gavriel Levi insigne biblista: “ La Torah sogna?/ sognare la Torah” uno splendido intervento che ruota  attorno ad alcuni sogni del Genesi : quelli di Giuseppe, quelli del Faraone ed altri sogni interconnessi per convalidare la tesi straordinaria enunciata nel titolo.

 SOGNI CON ANIMA E CORPO

 Per i cento anni di Primo Levi, le sue poesie in musica

“Sognavamo nelle notti feroci,

Sogni densi e violenti

Sognati con anima e corpo:

Tornare; mangiare; raccontare”.

(Primo Levi, versi tratti dalla poesia “Alzarsi”, 11 gennaio 1946)

Il 15 settembre, poi, in occasione della ventesima edizione della Giornata Europea della Cultura Ebraica dedicata a “Sogni. Una scala verso il cielo”, il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, in collaborazione con il Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario della nascita di Primo Levi e la Comunità ebraica di Ferrara, organizza un concerto dedicato alle poesie di Primo Levi incentrato sui sogni di libertà e liberazione dopo il trauma della Shoah.

Shai Bachar, Shulamit Ottolenghi,Simonetta della Seta,Frank London (Foto di Marco Caselli Nirmal)

Lo splendido concerto tra i più importanti eseguiti a Ferrara negli ultimi anni e che ha visto la presenza del prefetto di Ferrara e di molti rappresentanti dell’associazionismo ferrarese ma non i rappresentanti dell’amministrazione nasce dalla meditazione di Shulamit Ottolenghi -cantante di World Music , emigrata in Israele nel 1973. Nel 2013 ha cominciato la sua collaborazione con i due altri musicisti da cui è nata la registrazione del CD “For you the sun will shine- Songs of women in the Shoah”- di mettere in musica le poesie di Primo Levi che nella bibliografia del grande scrittore rappresenta un episodio non molto conosciuto. Le poesie di Primo Levi  pubblicate dall’editore Garzanti nel centenario della nascita dello scrittore sono state meditate ed elaborate dalla Ottolenghi con l’aiuto di due musicisti di fama internazionale, Frank London, vincitore di un Grammy per la Contemporary World Music  e Shai Bachar compositore, pianista e produttore.

Così il programma di sala espone i motivi del Concerto “Sogni con anima e corpo”:

“Esattamente come la sua prosa, la poesia di Levi, scritta sporadicamente nel corso di alcuni decenni, è precisa, descrittiva, fatta per comunicare i moti dell’animo, sensazioni ed emozioni: a volte forse anche quelle sensazioni ed emozioni che sembra egli abbia avuto pudore di portare allo scoperto nei suoi testi in prosa.  “Le melodie che accompagnano questi testi – penetranti, incalzanti e a volte terribili nella loro immediatezza – ne sottolineano e intensificano il significato, senza mai sopraffarlo o contraddirlo con un’eco impropria. È una musica dell’anima che all’anima parla”Il connubio profondo di parole e musica risulta estremamente attuale e nel contempo a-temporale e si pone per chi ascolta, non solo come un’esperienza estetica, ma anche come una riflessione etica. “..

Dopo l’esecuzione de “Il canto del corvo” mi sono ritrovato con il viso bagnato di lacrime: Non lacrime di commozione , ma di sdegno.

E nell’immenso “Shemà” alla ripresa di

“Considerate se questo è un uomo,

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,

senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d’inverno”

mi si è parata davanti la figura di Liliana Segre e quella lì presente, in teatro,  di Marcella Ravenna.

Alla fine tutti gli spettatori nel teatro strapieno sono usciti commossi e giustamente sconvolti mentre lo scalone del Municipio, deserto, rappresentava plasticamente l’assenza.

Orrori, suore e orfanotrofi… a Ferrara

Da: Ufficio Stampa Faust Edizioni

Sabato 21 settembre 2019, alle ore 17.30, presso la Galleria Cloister (corso Porta Reno 45), si terrà la presentazione del libro-verità di Giancarla Melecci – autrice nativa delle nostre terre e oggi residente ad Anzola dell’Emilia – “Cinque anni, una vita – Orrori, suore e orfanotrofi: la mia storia vera”, pubblicato dalla casa editrice ferrarese Faust Edizioni di Fausto Bassini.
Introdurrà l’avvocato Giorgio Ferroni.
Letture a cura del gruppo “Cuciparole” (Claudia Forni, Piera Serra, Morena Cremonini, Carla Cavallini, Simona Zavaglia).
Sarà presente l’autrice.
L’evento è ospitato nell’ambito della quarta edizione di “Anime senza voce”, manifestazione internazionale contro l’abuso minorile ideata da Brigitte Ostwald e in programma da giovedì 19 a domenica 22 settembre 2019 nel centro storico di Ferrara.
L’ingresso è libero e gratuito.

«Battei forte la testa sul pavimento, ma non sentii dolore, era molto più forte il dolore che avevo dentro di me.
Quando aprii gli occhi, vidi la gamba tesa di Suor Innocenza rivolta verso il mio corpo, ma non mi resi immediatamente conto che stava per colpirmi furiosamente in pieno petto prima, e nella schiena, poi.
Incassai i duri colpi un’ulteriore volta, ma neppure una lacrima ebbe il coraggio di uscirmi dagli occhi chiusi.
Aspettai che i passi si allontanassero fino a non sentirli più e mi rigirai supina, accusando dolori fortissimi all’addome e ai reni.
Rimasi così con gli occhi chiusi, il viso rivolto al soffitto, le braccia sul petto e le gambe distese; completamente rilassata già pensavo a una azione di vendetta.
Avevo circa tre anni e già conoscevo l’odio» 

(Dal libro “Cinque anni, una vita” di Giancarla Melecci, Faust Edizioni, 2019)

Unife, il professor Picci sul caso Zauli: “C’è un mistero da risolvere”

La vicenda che vede coinvolto il rettore dell’Università di Ferrara, Giorgio Zauli, continua a dividere e a far discutere. Le contestazioni, relative a un presunto comportamento scorretto da parte del massimo rappresentante dell’Ateneo estense, scaturiscono a seguito della segnalazione di uno specialista di etica della ricerca scientifica, Leonid Schneider il quale, su “For better science” fin dal 15 maggio 2018 e in successivi interventi, ha accusato Zauli (e Paola Secchiero, sua collaboratrice) di aver manipolato grafici e immagini in alcune loro pubblicazioni scientifiche inerenti al campo dell’ematologia. Le imputazioni mosse da Schneider sono state successivamente condivise, fra gli altri, anche dalla giornalista scientifica Sylvie Coyaud, che della vicenda si è occupata a più riprese, scrivendone fra l’altro sul blog Ocasapiens del settimanale “D” di Repubblica e in “Oggi scienza”.

Il professor Andrea Pugiotto, presidente della Commissione etica di Unife, che avrebbe avuto titolo per intervenire, nei mesi scorsi non si è mai pubblicamente pronunciato nel merito della vicenda, spiegando che i membri della commissione – presidente incluso – sono tenuti “al totale riserbo”. Salvo poi dimettersi dall’incarico a fine agosto, unitamente ai vice Paola Migliori e Gian Matteo Rigolin, appena pochi giorni dopo il diniego opposto dal Rettorato alla richiesta di accesso agli atti della medesima commissione etica relativi alla vicenda Zauli, presentata dai colleghi di Estense.com. Ma già Schneider, il principale accusatore, fin dall’inizio aveva sollecitato l’intervento della Commissione etica di Unife. La sua richiesta, però, fu rigettata “per difetto di legittimità”. Al contrario venne accolta, dalla medesima commissione, la richiesta formulata dal rettore, che chiedeva un parere di conformità relativo alla propria condotta in riferimento al vigente codice etico.

Il professor Lucio Picci

Fra coloro che autorevolmente sono intervenuti sulla questione, si segnala il professor Lucio Picci, ordinario di Politica economica all’Università di Bologna e docente con un curriculum di notevole rilievo: studi negli Stati Uniti con una tesi di dottorato sotto la supervisione di un premio Nobel oltre a numerose prestigiose pubblicazioni. Inoltre, accanto all’attività scientifica, il professor Picci vanta familiarità con importanti istituzioni internazionali – ha collaborato tra gli altri con la Commissione Europea e con la Banca Mondiale – e nazionali, con una lunga lista che spazia fra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’attuale ruolo di esperto per l’Autorità nazionale Anticorruzione. Picci, peraltro, si è occupato specificamente di corruzione accademica, criticando in più occasioni l’università italiana che, a suo avviso, “è colpevole di scarso interesse per l’etica della ricerca e di sistematiche assoluzioni all’insegna del corporativismo”. Una voce autorevole che spesso trova eco sulla stampa, come nel caso delle sue ferme prese di posizione, su varie vicende, fra le quali le più note hanno riguardato il professor Stefano Zamagni dell’Università di Bologna e l’attuale ministro, nonché docente universitario, Francesco Boccia.

Stanti le premesse chiedo a lei, professor Picci – che pure già è intervenuto in merito a questa imbarazzante situazione – un parere sulla vicenda che vede coinvolto il professor Zauli. In questi mesi se ne è parlato parecchio, ma chi è fuori dalle logiche universitarie forse fatica a capire. La prima cosa che le domando, dunque, è se ci può spiegare con chiarezza qual è il punto focale e cosa sostanzialmente viene contestato al rettore…
Una considerazione iniziale: trovo la vicenda avvincente come un thriller, di cui ha gli ingredienti essenziali; vi sono alcune certezze, che permettono una serie di supposizioni, per tentare di risolvere un mistero. Il punto di partenza sono i fatti noti: un sito americano che si chiama Pubpeer e che si occupa di “qualità della ricerca scientifica”, ha pubblicato materiali che, se veri, indicano violazioni delle regole di base dell’etica scientifica da parte del professor Giorgio Zauli (e di altri). Chiariamo allora, una volta per tutte, la portata delle accuse con un esempio. Supponiamo di cancellare i nomi degli autori, e per evitare qualunque personalismo di sostituirli con “tizio”, “caio”, eccetera. Se si chiedesse a qualunque scienziato in giro per il mondo di valutare quanto denunciato, l’interpellato concluderebbe che le accuse, se vere (sottolineo “se”), sono devastanti. Anche perché riguardano – ad oggi – una quarantina di pubblicazioni, e non si tratterebbe, dunque, di errori presentabili come sporadici. Aggiungerebbe poi che chi risultasse eventualmente colpevole di quanto denunciato non potrebbe in alcun modo guidare una comunità accademica seria.
Minimizzare le accuse è impossibile: questo risponderebbe qualunque scienziato rigoroso e in buona fede, senza leggere che l’autore è “Zauli” – per non farsi influenzare – ma “tizio” o “caio”. Se, ripeto ancora, quanto denunciato è vero, in toto o anche solo in buona parte.

Zauli peraltro ha diffidato il suo accusatore, intimandogli di cancellare il contenuto dell’articolo e prefigurando azioni giudiziarie in sede civile e penale. Secondo il rettore, Schneider avrebbe pubblicato “informazioni false e non provate sulla supposta inesattezza di alcune pubblicazioni scientifiche del sottoscritto”…
Attenzione: Schneider, che in ogni caso non ha cancellato un bel nulla, e anzi insiste e rincara la dose, ha ripreso le affermazioni contenute nel sito Pubpeer e, per così dire, ne ha fatto un caso. E neanche Pubpeer ha cancellato nulla, anzi, recentemente ha segnalato ulteriori pubblicazioni “incriminate” a firma Giorgio Zauli. È importante ribadire che il materiale infamante verso il professor Zauli è di Pubpeer e non di Schneider. Io non sono mai entrato nel merito di tutte queste accuse. Ho invece affermato con forza, prima dell’estate, che la questione doveva essere chiarita pubblicamente: l’Università di Ferrara aveva messo al lavoro sul caso la sua Commissione etica e non se ne era più saputo nulla. E alla mia richiesta, il rettore Zauli ha risposto in modo netto e inequivocabile, affermando che “la Commissione Etica (nel gennaio 2019, ndr) ha archiviato il caso non essendo emersi a mio carico né elementi dolosi né di colpa grave. Quindi, stando a quel rapporto, il rettore Zauli è innocente, anzi è vittima: e questo, prima dell’estate, mi pareva chiudesse la questione. Però, di conseguenza, nasceva un altro interrogativo dai tratti davvero inquietanti: ripeto, la vicenda è un vero thriller…

A cosa si riferisce?
Innanzitutto preciso che qui terminano le certezze e si entra nel campo delle supposizioni, dato che, come segnalato, l’Università di Ferrara sta difendendo coi denti la segretezza della relazione della Commissione etica. E’ impossibile che a fronte di accuse così gravi – se comprovate – il rettore possa essere scagionato. Per cui io deduco che la Commissione etica abbia considerato falso quanto pubblicato su Pubpeer. Ma attenzione: si tratterebbe di un falso corposo, composto da tanti documenti, grafici, tabelle relativi a decine di pubblicazioni! Un tale falso non può essere l’opera criminale di un singolo: induce a supporre l’esistenza di una vera e propria organizzazione a delinquere, mossa dall’intento di calunniare il rettore dell’Università di Ferrara…
E’ una prospettiva inquietante, non trova? E rimanda ad altri interrogativi: quali i moventi e le complicità di una tale organizzazione malavitosa? Considerato il suo carattere internazionale, non potrebbe esserci dietro la manina di una qualche potenza straniera? A chi ha pestato i calli, l’Università di Ferrara, perché si arrivasse a tanto?

Lasciamo aperti questi interrogativi… Stando alle cronache, per quanto si è capito della vicenda, emerge un aspetto che, secondo gli accusatori di Zauli, verrebbe a prefigurarsi come aggravante, al di là dell’imputazione: il fatto che il rettore avrebbe fatto scudo attorno a sé, ritenendo di non dover rendere pubblici gli atti e i documenti che potrebbero chiarire la vicenda, in un senso o nell’altro. E’ così?
Altro che “fare scudo”! E proprio qui sta il mistero… Ci attenderemmo che l’Università di Ferrara si difenda dal complotto che sarebbe stato ordito ai suoi danni. Che intraprenda un’azione legale nei confronti del sito Pubpeer e lo smascheri pubblicamente. Con facilità, peraltro: da una parte si pubblicano i loro documenti falsi, e dall’altra quelli autentici: così chiunque si renderebbe conto di dove sta la ragione e dove il torto. E invece che hanno fatto? Si sono mossi come un soldato che, anziché sparare al nemico, si scaglia contro i suoi possibili alleati: contro chi chiede di capirci qualcosa, e tra questi i giornalisti che sarebbero ben felici di raccontare al pubblico una tale inedita congiura, contribuendo a far trionfare il bene sul male. “L’Università di Ferrara vittima di un complotto internazionale”: sarebbe un vero scoop, il sogno di ogni giornalista. E invece, siamo arrivati al caso estremo di un comunicato ufficiale firmato dal rettore Zauli, in cui si propone un parallelo implicito tra chi ha chiesto trasparenza (io tra questi, ahimè) e Goebbels, il maggiore teorico dell’olocausto
Non sono in grado di formulare neppure una plausibile ipotesi sul perché di questa scelta. Le confesso che mi pare una follia, ma forse, semplicemente, io non ho la stoffa del detective…

Al riguardo, secondo quanto scrivono sia la Nuova Ferrara che Estense, il Senato accademico starebbe valutando la possibilità di annullare – per un presunto vizio di procedura – la decisione con la quale la Commissione Etica ha archiviato la posizione di Zauli. Come interpreta questa evenienza?
Annullerebbero ora una relazione che fu approvata in gennaio? A distanza di nove mesi, ad orologeria insomma? E guarda caso, subito dopo l’annunciata richiesta di revisione (da parte di Estense.com) del diniego opposto alla richiesta di renderla pubblica? ‘Sacrificando’ il professor Pugiotto, già presidente di quella commissione, e il dirigente responsabile, che vivaddio dovrebbero rispondere di tali ipotetici ‘vizi di procedura’?
Non ci posso credere. Sembra una voce nata apposta per diffondere il sospetto che quel documento non s’ha da pubblicare, ne ora ne mai, perché a leggerlo bene non assolve nessuno, e per gettare altro fango sull’Università di Ferrara. Trucchi meschini: esprimo la mia solidarietà a Giorgio Zauli. Ma chi c’è dietro a queste macchinazioni? Utilizzano tecniche di disinformazione sofisticate: personalmente non escluderei neppure il coinvolgimento di qualche servizio segreto straniero.

E magari è proprio questa la spiegazione a una vicenda che a rigor di logica diversamente si fatica a comprendere e giustificare… Un’ultima domanda, ritornando alla realtà: lei tempo addietro aveva stigmatizzato “l’inspiegabile silenzio” dei docenti di Unife sulla vicenda. Immagino che avrà saputo del documento recentemente formulato a sostegno del rettore, sottoscritto da 240 docenti di Unife (su 642). Che ne pensa?
Mi meraviglio che le firme siano soltanto quelle che dice perché, come sosteneva Ennio Flaiano, gli italiani sono sempre pronti a correre in soccorso dei vincitori. Ma in Italia c’è anche un’altra tradizione, minoritaria, ma credo più nobile: di chi, quando di fronte si trova il potere borioso e arrogante, gli ride in faccia.

PER CERTI VERSI
Apriti cielo

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

APRITI CIELO

Apriti cielo
a volte mi dico
E vorrei urlare
Per disarcionare
Quell’angoscia di vivere
che mi guida
senza meta
Apriti cielo
A volte mi dico
E vorrei piangere
Per togliermi quel peso
che mi zavorra lo stomaco
addolora dire e sentire questa tenaglia
Ma non a te
Che conosci le giornate storte tue
e anche mie
E mi aiuta
La tua scialuppa
Per cavarsi dalle onde
Dal loro mattatoio
E infilare il tuo abbraccio
Come accappatoio

Mostre sul fiume Po e su Lucrezia: dal mare Lucio Scardino anticipa i progetti per Ferrara

Un ferrarese che tutte le estati trasmigra in riva al mare di Romagna, ma che la sua città se la porta sempre con sé e non smette mai di sentirsela e avercela intorno, anche quando sbuffa e dice “qui sì che mi rigenero”.

Casa marittima di Lucio Scardino con collezione di quadri e opere d’arte legate a Ferrara (foto GioM)

Quella del critico d’arte ed editore Lucio Scardino, infatti, è una casa del mare romagnolo con le pareti tappezzate dai dipinti del fiume Po e da rivisitazioni del Duomo di Ferrara, gli scaffali pieni di libri d’arte e una collezione di piatti e zuppiere che sembrano quelli di una vecchia signora inglese e che – quando li osservi meglio – scopri che invece hanno disegnato sopra il Castello Estense rivisitato in chiave avventurosa, nelle tinte monocrome del blu, del color ruggine o del marrone sulla porcellana bianca dove galleggia persino un veliero.

Collezione di ceramiche con rappresentazioni del Castello Estense nella casa al mare di Lucio Scardino (foto GioM)

Qui, nell’appartamento tra i pini marittimi di Lido di Classe, tra Ravenna e Cervia, il critico d’arte ferrarese Lucio Scardino si trasferisce nel periodo estivo senza rinunciare alla compagnia delle opere di artisti a lui cari. Tra i 250 pezzi di questa collezione variegata di tele, sculture e schizzi c’è un disegno di Jenny Bassani, sorella dello scrittore Giorgio, con la borgata di Quacchio ripresa nel 1943, qualche mese prima dei bombardamenti.

Collezione di quadri e opere d’arte nella casa di Lido di Classe di Lucio Scardino (foto GioM)

Poco più in là, sulla parete c’è uno scorcio del fiume Po, colto poco prima dell’alluvione da Gastone Gaddi, nel 1951. Sculture e quadri sul tema di San Sebastiano si mescolano a un olio su tavola di Augusto Droghetti che – spiega Scardino – “rende bene le atmosfere e la prospettiva del fiume, con la visione dell’isola bianca di Pontelagoscuro sullo sfondo”. Così, tra una passeggiata in spiaggia e una capatina nella sala del cinema all’aperto, il critico-editore medita e studia, organizza e riflette, preparando lo sbarco cittadino d’autunno. Perché Ferrara, Scardino, ce l’ha sempre in testa, negli occhi e tra le dita. Ecco allora che sul tavolone rotondo, vicino alla caraffa di tè freddo e ai frollini, salta fuori un catalogo di disegni di paesaggio e il volume con il romanzo dedicato alla “Famiglia” di Lucrezia Borgia, raccontata nientemeno che dall’autore del “Padrino”, Mario Puzo.

Un’opera di Daniele Cestari per la mostra di Lucio Scardino dedicata ai “Paesaggi d’acqua”

“Sto preparando due mostre” racconta il critico ed editore.
“Paesaggi d’acqua” è il titolo dell’esposizione che verrà inaugurata venerdì 27 settembre 2019 alla galleria Fabula Fine Art (via del Podestà 11, Ferrara) con “una quindicina di opere sul Po che andranno dall’inizio del ’900 ai giorni nostri”. Neanche a dirlo “non si tratterà di una mostra di cartoline illustrate, ma di collage d’arte moderna che rievocano il mito di Fetonte (autrice Rita Da Re), acquerelli degli argini fluviali, chiatte, barche, anse e golene; e poi immagini rievocative del mito delle ‘anguane’, le sirene che la leggenda vuole che popolino le acque dolci e le rive fluviali come quella del ‘Notturno sul Po’ realizzata da Oreste Forlani attorno al 1905″. Una versione concettuale del Po quella contenuta nell’opera  di Daniele Cestari: “Qui – fa notare il curatore della mostra – il fiume è condensato in una striscia color smeraldo, unica traccia di colore sulla carta che riproduce la facciata di Porta Paula. In questo punto di ingresso a Ferrara, infatti, è stata rinvenuta un’antica barca che testimonia la presenza del corso d’acqua nei secoli passati, anche se ormai si trova all’asciutto da tempo”.

Opera in rame di Nicola Zamboni dedicata alla laguna di Comacchio per la mostra di Lucio Scardino in programma dal 27 settembre 2019

L’altra mostra in fase di programmazione è quella dedicata a “Lucrezia Borgia” con “una quindicina di opere ispirate alla duchessa ferrarese e che sta appositamente realizzando il pittore fiorentino Impero Nigiani”. Quest’altra mostra verrà allestita in dicembre 2019, sempre alla galleria Fabula Fine Art (via del Podestà 11, Ferrara).

“Paesaggi d’acqua”27 settembre-15 ottobre 2019, galleria Fabula Fine Artvia del Podestà 11, Ferrara. Ingresso libero.

PER CERTI VERSI
Vecchi ricordi

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

VECCHI RICORDI

La vita
La memoria
Sono in filigrana
Dei piccoli fotogrammi
Che ritornano
Dei boomerang
Nella mente
Ricordo di te
A una cena con altri di come mi guardavi
Con una tenerezza
E un languore
Così dolci
Da magnete
Forse anch’io
Ti guardavo in maniera speciale
Poi mi sedetti accanto a te
Come un complice del mistero

PER CERTI VERSI
Per Artemisia

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

PER ARTEMISIA

E adesso tu
Hai acceso la luce
Portando il mio corpo
alla fantasia del tuo abbraccio
Si la magia dell’unità
Della fusione calda
Che non ci confonda
L’immateriale lieto trasportare
delle onde magnetiche
al mistero che ci circonda

E adesso tu
Hai acceso la luce
Nelle nostre cavità
Come una sponda
di lama
Di fiamma che accarezza le labbra
di chi si chiama
A giorno
Sulla nave
Della torba
L’humus che conforta
Di volere anima e terra
In un cerchio
Che s’apre
Si sferra in nuce

E adesso tu
Hai acceso la luce

Elogio della panchina

La campagna ‘Parchi puliti’ e l’intenzione dell’iperattivo vicesindaco Nicola Naomo Lodi di smantellare le panchine in città come prima misura antispaccio è una notizia che ha qualcosa di surreale. Come possibile pensare che togliere posti a sedere possa servire a contrastare gli spacciatori e bonificare i giardini del grattacielo? C’è forse bisogno di avere una panchina a disposizione per vendere e acquistare droga? Non basta girare a piedi e ‘spacciare in movimento’? O, come sta già succedendo, spostarsi in qualche altra zona di Ferrara?
La campagna contro le panchine – ad oggi non sappiamo fino a che punto verrà portata a compimento – sembra una misura talmente assurda e incongruente da indurre più all’ironia e alla satira che alla protesta civile. Così infatti Diego Marani, in un suo gustoso intervento sulla Nuova Ferrara, non resiste alla tentazione di mettere alla berlina la giunta leghista che eliminando il luogo (la panchina) pensa di eliminare il fenomeno (lo spaccio): “Seguendo questa logica, l’assessore Lodi dovrebbe allora vietare le borsette alle signore per sventare gli scippi, confiscare tutte le biciclette per evitarne il furto, chiudere le banche per scoraggiare le rapine”. Il vecchietto nella vignetta di Carlo Tassi su questo giornale propone invece come estremo deterrente una attualissima idea amazzonica: eliminare in toto gli alberi che regalano un’ombra accogliente agli spacciatori e ai malintenzionati.
Insomma, la tentazione di metterla in ridere è forte. Eppure sarebbe sbagliato prenderla sottogamba: la battaglia contro le panchine – si tratti pure di una semplice operazione propagandistica senza drastiche e definitive conseguenze – è un segnale preoccupante, rappresenta con assoluta evidenza un’idea pericolosa di governo della città. Significa voler affrontare un problema di sicurezza sociale – e quello dello spaccio a Ferrara lo è eccome – chiudendo spazi, eliminando luoghi e occasioni di incontro e moltiplicando inferriate, telecamere e controlli. Insomma, la questione è terribilmente seria. In questi giorni singoli cittadini e Associazioni stanno promuovendo una raccolta di firme contro lo smantellamento delle panchine, E’ una buona notizia.
C’è naturalmente altro. Dopo aver smontato e disperso il campo nomadi, anche verso i giovani e i pericoli della ‘movida’ di una città con più di 20.000 studenti universitari la nuova Giunta propone un giro di vite.E che ne sarà in un prossimo futuro dei festival ferraresi o dei concerti d’estate, pericolosa occasione di folle schiamazzanti?
A Ferrara tira oggi un’aria di chiusura, come se per difendersi dal malessere e dal disagio sociale non si possa fare altro che ridurre gli spazi della socialità invece di riempire e riconquistare gli spazi perduti. Panchine comprese. E’ su questo che occorre porre attenzione. Se la sicurezza diventa l’imperativo categorico, la via maestra che ispira tutte le scelte di governo della città (in assoluta continuità con l’operato dell’ex Ministro dell’Interno) allora la faccia di Ferrara è destinata a cambiare progressivamente. Come? Per immaginare il punto d’arrivo, basta avere in mente alcuni quartieri delle grandi metropoli: piazze e strade vuote, e la gente prigioniera in case blindate come casseforti.
La panchina è un bel simbolo di socialità. In panchina non sostano solo gli spacciatori. Ci si siedono gli anziani (Ferrara è una delle città più vecchie d’Italia), i ragazzi, le mamme con i bambini… In panchina ci si dà appuntamento, ci si incontra, si parla, si legge un libro, si guarda il verde dei prati e degli alberi, ci si innamora perfino. Se non ho più dove sostare (e dove bere un sorso d’acqua: le fontanelle sono sempre più rare) la città diventa solo un luogo da attraversare in fretta, non un posto dove vivere.
Non mi piace disegnare scenari apocalittici, ma senza accorgercene rischiamo di imboccare un bivio: la chiusura invece dell’apertura, la difesa invece del coraggio. Non leviamo le panchine, mettiamone altre, e aggiungiamo magari qualche fontanella.

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Dall’aula abbandonata ai barbari d’Italia

Aveva sfiorato anche me il dubbio che la causa della situazione politica in cui versa il Paese andasse ricercata nella nostra scuola. Se invece di professarmi insegnante democratico, quello di “non uno di meno”, dell’ “I care” ne avessi bocciato qualcuno dei miei studenti, forse i barbari alla guida del paese non ci sarebbero mai arrivati.
Ma evidentemente anch’io appartengo a quella classe degli Ottimati, di cui scrive Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 19 agosto, che scopre solo ora di vivere accanto a un’altra Italia, sudaticcia, incolta, ignara di cosa sia “il bene pubblico”, che detesta Greta e le Ong, che frequenta il Papeete, vota Lega e 5 Stelle: l’Italia barbara.
Questo il Galli della Loggia che, in formato ferragostano, torna a sproloquiare di scuola. Perché per parlare di scuola è sufficiente averla frequentata, avere insegnato all’università e soprattutto avere avuto una nonna maestra così scrive nel suo “L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola”. Ora ha scoperto con improvvida illuminazione che l’invasione dei Barbari poteva benissimo essere fermata:”Sarebbe bastato ad esempio fare delle riforme della scuola diverse di quelle approvate per tanti anni”. Le riforme di cui parla Ernesto Galli della Loggia le ha viste solo lui, perché l’Italia sarà pure un paese invaso dai Barbari ora, ma non ha mai smesso di essere un paese gattopardesco dove le riforme si fanno perché nulla cambi.
A seguire il Galli-pensiero si comprende che la parola “riforma” non si addice alla scuola, regno della conservazione e archivio del passato. Per la scuola deve valere il motto dei Certosini a proposito della loro comunità: “mai riformata perché mai deformata”. E ciò che non doveva essere deformata è la scuola, quella frequentata da lui, bambino e poi ragazzo: l’elementare Principessa Mafalda di Savoia (di cui apprezza che non sia stata mutata l’intitolazione), la media Ippolito Nievo e il liceo Goffredo Mameli di Roma.
Tale doveva restare, immobile nel tempo, come le memorie dell’infanzia. All’Ippolito Nievo insegnava la professoressa De Sanctis, con un passato da intellettuale fascista, che “trattava gli alunni come se fossero gli allievi di una accademia militare”, capace di lezioni di vita e di somministrare i primi rudimenti del latino in maniera indimenticabile. Una scuola in cui si respirava l’atmosfera dell’ esempio e della disciplina e che, per questo, certo non aveva bisogno di educazione civica né di cittadinanza e Costituzione. La scuola dei riassunti, con qualche mezzo canto della Divina Commedia mandato a memoria.
È sempre la scuola di ieri la scuola migliore, mai quella di oggi, per non parlare di quella di domani che non si è in grado neppure di immaginare.
Ma l’affondo Galli della Loggia lo riserva al “successo formativo” obbligatorio, considerato una deriva demagogica, una palla al piede dell’istruzione.
Galli è di quelli a cui Barbiana continua a pesare sullo stomaco, gli procura cattive digestioni e notti insonni.
A Galli della Loggia deve essere sfuggita l’ultima relazione della Corte dei Conti sulla dispersione scolastica e su come contrastarla. Altro che “democraticismi demagogici”, come sostiene con faciloneria, ad essere in gioco non è la scuola di una volta ma la politica, qui ed ora. Governi e ministri che in tutti questi anni non sono stati in grado di fornire al paese un sistema scolastico capace di garantire a ciascuno il pieno esercizio del diritto allo studio, per miseria economica e intellettuale, sarei tentato di dire.
Mentre l’Europa a Lisbona, nel 2000, apre la strada alla società della conoscenza e all’istruzione per tutta la vita, noi siamo ancora alle premesse. Prima ancora di parlare di cosa studiare e di come studiare dovremmo ragionare dell’accesso allo studio, forse non saremmo un paese con il minor numero di laureati, dopo la Romania, e con il 41% della popolazione tra i 15 e i 64 anni che ha conseguito al massimo la terza media.
La relazione della Corte dei Conti, pubblicata a fine luglio, denuncia una scuola colabrodo, che dal 1995 ad oggi ha perso per strada oltre 3 milioni e mezzo di ragazze e ragazzi, è come se fosse sparita un’intera metropoli.
Bastava a Galli della Loggia leggere le poche righe di sintesi, all’inizio della relazione, dove è messo in evidenza come il nostro sistema di istruzione soffra di una inadeguata valorizzazione di quell’immenso capitale umano che è la formazione dei giovani. Della carenza di decisione e progettualità, oltre che di una forte resistenza a mettere in discussione il modello curricolare tradizionale e gli stili professionali consolidati dei docenti, alla faccia delle riforme.
Dopo la diagnosi è suggerita la cura. Sviluppare strategie che consentano di intercettare il disagio, che riescano a rimotivare lo studente con percorsi di istruzione basati sull’esperienza dell’apprendimento e non sul contenuto (ciò che si deve insegnare), prevenendo così, sia la dispersione scolastica che l’insuccesso nei percorsi superiori (vedi università) migliorando sensibilmente la capacità di ingresso nel mondo del lavoro. Tutto l’opposto del Galli-pensiero.
Forse più che un paese di barbari, il nostro è ancora un paese barbaro. E allora perché stupirsi di Barbari, Ottimati e dei Galli della Loggia?

Incendio foresta Amazzonica

Da: Coordinamento nazionale dei diritti umani

Il Coordinamento nazionale dei docenti della disciplina dei diritti umani esprime profonda apprensione e amarezza in merito agli incendi devastanti che stanno intaccando irrimediabilmente il polmone verde della Terra: l’Amazzonia. Com’è possibile pensare di profanare uno dei luoghi più simbolici, sacri e “salvifici” dell’intero pineta? Davvero la cecità umana non consce limiti.
Pare proprio che la distruzione progressiva del mondo ad opera dell’uomo non abbia alcuna logica; eppure la ragione dovrebbe suggerire che devastare, inquinare, consumare in modo scriteriato le risorse naturali comporta a breve termine il nostro annientamento. Invece assistiamo all’ennesima follia criminale perpetrata ai danni della Natura, in funzione del Dio denaro. Ai potenti della Terra il compito di invertire la rotta, perché se è vero che i primi a subire gli effetti di un pianeta malato saranno i più poveri, prima o poi le conseguenze di una cattiva condotta ecologica riguarderanno tutti. Per chi opera nella scuola, la responsabilità di sensibilizzare i giovani è fortemente sentita da tanti colleghi. Il Coordinamento invita il MIUR ad organizzare una Conferenza internazionale nel mondo della scuola sulla difesa dell’ambiente che coinvolga tutti gli istituti di ogni ordine e grado; gli attivisti, le associazioni, le fondazioni e le aziende interessate in modo da avviare un macro progetto di salvaguardia / buone pratiche ambientali, avvalendosi anche di network e piattaforme digitali.
“La lotta per salvare l’ambiente globale è molto più difficile che la lotta per sconfiggere Hitler, perché questa volta la guerra è con noi stessi. Noi siamo il nostro nemico, così come abbiamo solo noi stessi come alleato.”
(Al Gore)

TACCUINO POLITICO
Si Salvini chi può

1.
Matteo Salvini è fuori di testa e disperato. Il deliro di onnipotenza lo ha portato in un vicolo cieco. E in un attimo le sue parole diventano confuse e assurde. Per esempio, quando dice: “Ho chiesto i pieni poteri secondo la Costituzione”. Un ossimoro da bocciatura all’esame di Diritto Costituzionale. Oppure, negando spudoratamente l’evidenza dei fatti, dichiara: “Conte ha lavorato per sfasciare”. L’augurio che formulo è che l’evoluzione della crisi di governo volga in una direzione che sanzioni il suo isolamento politico e l’inizio della parabola di un ‘piccolo uomo’ che aveva indossato la divisa di… Napoleone.

2.
Il Pd è di fronte ad una prova che ricorda la classica quadratura del cerchio. Zingaretti ha sempre sostenuto la diversità del M5s rispetto alla Lega, anche quando nel suo partito c’era chi li metteva sullo stesso piano. Ma nella trattativa non si possono dimenticare quattordici mesi di governo disastroso ed egemonizzato dalla destra leghista. Per esempio il M5s ha condiviso i decreti sulla sicurezza che sono un monumento alla disumanità. Senza il riconoscimento di una nuova fase l’eventuale nuova maggioranza sarebbe percepita come il solito ribaltone trasformista. Che regalo si farebbe a Salvini! Cercherebbe di uscire dall’angolo e incendierebbe le piazze contro la ‘casta delle poltrone’ e contro il Parlamento. Il Pd deve impegnarsi per dar vita ad un governo solido e duraturo, respingendo pasticci per paura del voto. C’è da battere una destra razzista e feroce, ma alle porte non c’è un nuovo fascismo che richieda un Badoglio dei nostri giorni. Nuovo e autorevole Presidente del Consiglio e nuovo programma di governo alternativo alla destra devono essere i due fondamenti della discontinuità.

3.
A Ferrara come sta reagendo la Lega alla crisi provocata dal suo capitano? Silenzio. Con una prevedibile eccezione: Nicola Lodi. Il vicesindaco ha ripubblicato in rete una sua foto assieme a Salvini con una semplice didascalia: “Sempre con te”. Fedele fino all’ultimo come in ogni copione che si rispetti di ascesa e caduta di un capo. Ma attenzione a non confondere questa scena con quelle drammatiche di altri fedeli che decisero di morire nel bunker insieme al proprio capo. Come ricordava il vecchio Karl Marx, spesso la storia si ripete due volte: la prima come tragedia e la seconda come farsa.