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Il 10 dicembre a Torino erano in 40.000: un colpo d’occhio impressionante. Il ‘Cantagiro’ delle sardine non si arresta, anzi, ad ogni tappa il branco si ingrossa. Preoccupa (o spaventa) Matteo Salvini, convinto fino a qualche settimana fa di non avere rivali: nelle piazze, nelle urne, nella testa degli italiani. E imbarazza sempre di più cronisti, commentatori, analisti politici. Chi sono queste sardine? Da dove sbucano? E perché proprio adesso?  In un’Italia infestata dai sondaggisti, non poteva mancare un’ultima, fatidica e stupidissima domanda: quanti voti prenderebbe un futuribile Partito Delle Sardine?

Agli indovinelli sulle sardine di cui sopra, leggo e ascolto risposte di ogni tipo. Spericolate analisi sociologiche e confronti con passati moti di piazza, denunce di infantilismo o accuse di essere il frutto di un diabolico complotto del Partito Democratico. Nessuno però, visti i numeri e la tenuta del movimento, sembra più disposto a ‘sottovalutare il fenomeno’. Nessuno si augura più la fine delle sardine, e se in cuor suo lo spera, si guarda bene dal dirlo. Da Sinistra, ma anche da Destra, si moltiplicano i tentativi di entrare, di aggiungersi, di mettere il proprio segnaposto alla tavolata delle sardine. Perfino Casa Pound (ingoiando anche Bella ciao) vorrebbe andare in piazza San Giovanni con le sardine il prossimo 14 dicembre. Pericolo sventato, per fortuna!

Ogni giorno che passa, ogni piazza che riempiono, le sardine sono sempre più blandite e corteggiate. Per tanti, però, si portano sempre dietro il loro peccato originale. Il peccato di essere solo contro. Di rimanere nel vago, di agitare un desiderio diffuso ma confuso. Di non aver definito un programma, di non indicare proposte concrete per salvare l’Italia. Peggio ancora – e per le sardine sarebbe proprio il colmo – di non essere né carne né pesce.

A me invece il sentiero imboccato dalle sardine sembra chiarissimo. Ci sono comportamenti, gesti, segni, che raccontano molto di più di un programma politico. Ad esempio queste tre ‘piccole’ cose.

Una piazza senza centro. Le piazze delle sardine non hanno un palco, un capo, un comizio, un leader unico arringante con codazzo di comprimari. Non c’è un sopra e un sotto. Non c’è un centro e una periferia. Non ci sono bandiere. Non c’è servizio d’ordine. Non è forse già questa una proposta di nuova democrazia?

Cantare Bella ciao. Un inno, così è stato definito, non si sceglie per caso. Cantare Bella ciao in tutte le piazze è il contrario della nostalgia. Significa togliere dal dimenticatoio l’antifascismo e i suoi valori e metterli al centro del presente, riprendere in mano la nostra Costituzione incompiuta e proporla come guida di una politica italiana immiserita dalle schermaglie dei vecchi partiti. Significa proporre un’idea solidale di patria, come quella di Sandro Pertini, o di Carlo Azeglio Ciampi, o di Giuseppe Dossetti.

Un libro in mano.  Da qualche giorno – l’idea mi pare sia partita con la manifestazione di Ferrara del 9 dicembre – le sardine vanno in piazza con un libro in mano..Anch’io avevo la mia proposta di lettura; e ognuno alzava in alto il suo libro: indicava un tema, un argomento, una denuncia, una proposta. Molto di più di una mozione d’affetto per la cultura – e quanta ce ne vorrebbe per questa Italia distratta – ma una miriade di indicazioni per una classe politica che si occupa di tutt’altro.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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