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Da millenni giardini e labirinti si configurano come strettamente correlati e non sempre distinguibili. Gli uni possono esistere senza gli altri, e viceversa, ma quando si trovano a coesistere fino a fondersi e confondersi, la curiosità e la voglia di saperne di più non stentano a manifestarsi impetuose.
Partire dalle origini dei termini aiuta a comprenderne il significato più profondo e il punto di partenza della loro storia. Etimologicamente, infatti, giardino vuol dire luogo chiuso, solitamente ornato con colture erbacee o arboree, mentre del labirinto, inteso oggi come intreccio inestricabile, poco si sa. Ripercorrere le ipotesi stilate da esperte ed esperti può essere interessante: visto che la terminazione della parola labýrinthos rimandava in una antica lingua greca al concetto di luogo, si era ipotizzato che il labirinto fosse la casa di un’arma del potere, l’ascia bipenne làbrys – e cioè il Palazzo di Cnosso, la leggendaria reggia di Minosse da cui non era possibile uscire senza una guida. Da qualche tempo, però, l’opinione si è modificata, a favore di un’altra interpretazione nata dal rinvenimento, proprio a Cnosso, di una tavoletta micenea di terracotta risalente al 1400 a.c. In questa iscrizione, “labirinto” si riferirebbe a un insieme di corridoi articolati fra loro e destinati al mondo della danza, simile alla raffigurazione presente su un’altra tavoletta, oppure potrebbe voler dire semplicemente danza, arte che da sempre si pone a imitazione del movimento della natura e dei corpi celesti. Ma oltre alla terminazione, vi è anche la radice di labýrinthos da prendere in considerazione, sì perché avrebbe origini pre-indoeuropee e indicherebbe l’idea molto generale di pietra, che secondo gli antichi Greci costituiva le ossa della Madre Terra. Poteva perciò essere visto come il palazzo di una divinità degli inferi, chiamata “signora del labirinto”, il cui dominio si estendeva su un luogo denominato appunto labirinto, e costituito da grotte, dove avrebbe abitato anche il mitico Minotauro. Ma anche nel caso del mito cretese, il Palazzo di Cnosso era realmente come ci è stato raccontato? Tanto per cominciare, non è neppure chiaro se fosse davvero a Cnosso. E soprattutto, emerge un altro problema: è solo con Platone che il labirinto diventa un percorso ingarbugliato ed è l’ellenistico Callimaco a porvi l’uccisione del Minotauro. In effetti, il dedalo cretese era del tutto semplice e di forma immediata, con un tragitto obbligato che dall’ingresso conduce direttamente al centro, senza inganni. E per giunta, non era una costruzione artificiale, come piuttosto inizierà a essere percepito dall’epoca romana. Il primo a tramandare per iscritto il mito del labirinto di Cnosso fu del resto Callimaco, che lo descriveva come luogo tortuoso, ed è forse proprio a lui che dobbiamo l’inizio della concezione odierna. L’esperienza simbolica del labirinto, vero e proprio viaggio insidioso di iniziazione che dalle ombre circostanti conduce solo chi è pronto alla luce del suo centro, è a Ferrara percorribile da chiunque lo voglia. Tale simbolo visse un momento d’oro nel Rinascimento, avviato urbanisticamente proprio dalla nostra città, che si riempì di giardini di estrema perfezione, ammirati da tutte le persone illustri che poterono visitarli. L’individuo, al centro del proprio universo, era ora libero di intraprendere nei labirinti dei giardini la via che più preferiva, al di là di qualsiasi costrizione esterna. Il Palazzo Costabili, sede del Museo Archeologico Nazionale, è figlio di quel periodo storico, ma il labirinto di bosso che vanta attualmente è in realtà più tardo. Venne aggiunto dopo gli anni Cinquanta, in spazi che prima risultavano vuoti e che nell’età rinascimentale erano adibiti a prati, dove crescevano anche piante spontanee.
Dalla spontaneità del giardino primordiale, l’Eden, alle costruzioni sempre più ingarbugliate e labirintiche, il trait d’union può forse ritrovarsi, sorprendentemente, nell’essere umano, che nel cammino della propria esistenza è sempre chiamato a ricercare il senso delle cose e di se stesso, percorrendo strade tortuose indirizzate alla morte e rinascita nel giardino della Conoscenza.

 

Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
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Ivan Fiorillo

“Lo Scettico”: un divulgatore non convenzionale alla ricerca della verità.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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