Skip to main content

Duemila firme (+65) per le biblioteche del Duemila: e se a Ferrara fosse nata una nuova opposizione?

Le sei di sera, mi telefonano: sono in ritardo, appena in tempo per portare le firme raccolte tra amici e colleghi. Raggiungo la piccola e attivissima Biblioteca Rodari di viale Krasnodar, il punto di raccolta. Un magro bottino, le mie firme sono diciotto. “E in tutto quante sono?”, domando. “Con le tue siamo a 2.064 firme!!!“. 2065, perché proprio in quel momento un’utente si avvicina al banco prestiti per firmare il foglio della petizione popolare.

Appena venti giorni fa il sindacato promoveva una raccolta di firme per rilanciare e qualificare il sistema bibliotecario cittadino, nuove assunzioni e nuovi investimenti ( vai all’articolo ). Facciamo strada alla cultura, recitava il titolo della petizione e il gran successo della raccolta firme dimostra quanto i ferraresi tengano alla cultura e alle proprie biblioteche. Alla mozione dovrà rispondere direttamente il Sindaco a cui i promotori (venerdì mattina è prevista la conferenza stampa) porteranno in dono le oltre duemila firme. Insieme a una serie di domande scomode. Quali sono i programmi sulle biblioteche della nuova Giunta? Si impegna o no ad assumere almeno 10 nuovi bibliotecari, visto che le biblioteche sono già in emergenza personale e molti operatori andranno in pensione nei prossimi mesi?

E in ballo c’è anche la questione della ‘Grande Rodari’. Dopo che la nuova Giunta ha deciso di concedere il piano terra delle Corti di Medoro al comando dei vigili urbani, cancellando il progetto di aprire lì una grande e moderna biblioteca per servire tutta la zona Sud di Ferrara, Il sindaco Alan Fabbri ha dichiarato che per la nuova biblioteca verrà trovata una nuova collocazione. Ma dove, quando, con quali investimenti? Anche su questo la petizione chiede una risposta precisa.

Per ora si può dire che la nuova Giunta leghista rischia di essere sommersa dalle petizioni e dalle firme dei cittadini ferraresi. Tutto è cominciato con le 1.000 firme per chiedere la ripubblicizzazione del servizio rifiuti, gestito ora da Hera in regime di proroga. La petizione era stata presentata la primavera scorsa al sindaco Tagliani e discussa nel vecchio Consiglio Comunale, non senza qualche imbarazzo anche in casa PD. Ora la patata bollente è passata nelle mani del Sindaco Fabbri e dell’Assessore Balboni che dovrebbe avviare il tavolo partecipato di studio sulla ripubblicizzazione del servizio di raccolta rifiuti. A settembre il Consiglio Comunale non ha deciso nulla, ma nei prossimi giorni l’Assessore Balboni incontrerà i promotori del Battito della Città e si vedranno le reali intenzioni della Giunta.

Dopo quella sulla raccolta rifiuti è stata la volta della firmatissima (con la biro e sul web) petizione popolare pro-panchine, innescata dalla campagna contro le panchine del vicesindaco Nicola Naomo Lodi. Per ora (è nota la recente figuraccia in Consiglio Comunale) sono state riverniciate e ricollocate solo una decina di panchine, ma il vicesindaco ha ribadito i suoi programmi bellicosi. La battaglia pro e contro le panchine è destinata a continuare.

Terza petizione, quella promossa dagli studenti universitari contro la recinzione e chiusura notturna di piazza Verdi, un’altra idea made in Naomo, con l’appoggio del Sindaco e i dubbi del giovane Balboni. Ma, la notizia è di questi giorni, a essere recintata e lucchettata, piazza Verdi non sarà l’unica – viste le dimensioni della stessa, alla fine assomiglierà a un campo di basket in uno slum di New York – perché il vero obbiettivo della ‘campagna parchi sicuri’ rimane la zona del Grattacielo. Anche lì aspettiamoci cancelli, reti e lucchetti. E più telecamere. E più luci. E presto (anche questa è una solenne promessa) le pistole ai vigili urbani.

Bisogna ammetterlo, la nuova Giunta a guida leghista ha grandi progetti per trasformare Ferrara in una ‘città sicura’. L’unico problema è che ai ferraresi, o almeno a molti di loro, questi progetti non piacciono per niente. Ai giovani poi, le maledette sardine, ancora meno.

Nel prossimo futuro, sono sicuro, arriveranno nuove petizioni. Forse sta cambiando qualcosa in città. Nonostante la vittoria schiacciante alle ultime elezioni, a Ferrara l’opposizione non è morta, anzi, sembra viva e vegeta. Ha cambiato solo location: invece che dai banchi del Consiglio Comunale, si esprime altrove: con le firme, le petizioni popolari, i flash mob, i raduni di piazza. E le sardine naturalmente.

Il mondo magico di Anna Darshi Ferraresi

L’arte è da sempre rifugio e fuga per l’uomo; lo trasforma, lo guida a meravigliarsi di fronte a forme nuove, a osservare i colori del mondo in cui viviamo con un’altra consapevolezza.
Le opere di Anna Darshi Ferraresi esprimono vitalità musicale, sicurezza, forza e audacia. Basta osservare una sua qualunque opera per constatare come i diversi elementi siano illuminati da una luce intellettuale piena d’amore. I suoi sono racconti romantici, dove il colore entra in una dimensione poetica attraverso un percorso astratto a esiti informali. La sua pittura è un intreccio di linee, una superficie a profili incisi con un’impostazione grafica.

Anna conferisce alla realtà una dimensione fantastica e fiabesca, calibrando segni grafici e colori, trasmettendo un’intensa musicalità ai segni e alle linee che si muovono sinuosi in una danza che permea molte sue opere.
Indubbiamente la nostra pittrice è affascinata dal colore e dalle forme geometriche: punti, segni, cerchi, spazi aperti e chiusi confinanti, sovrapposti.

La sua “figura del mondo”, pur avendo radici nella decantazione trecentesca, si è via via aggiornata attraverso Kandinskij, Klee, Mirò e le figurette volanti di Chagall.
Anna si diverte a sconvolgere ordini e prospettive, a scomporre forme attraverso le visioni della fantasia.
“La semplicità può essere profondità”, come affermava spesso Mirò.

Per la nostra pittrice non è sufficiente creare interessanti opere astratte ed informali, ma affronta anche l’arte del surrealismo producendo, seppur in numero limitato, i tarocchi dei “gatti magici”, mazzi di carte degli Arcani maggiori che hanno come soggetto il felino più amato e misterioso, il gatto, e che saranno disponibili durante l’evento espositivo.

Anna Darshi Ferraresi sarà ospite alla Sala Nemesio Orsatti di Pontelagoscuro (Fe) dal 7/12/2019 (inaugurazione ore 16:00) al 21/12/2019.

Vite di carta /
La noncuranza con cui lascia cadere nel vuoto le parole

Vite di carta. La noncuranza con cui lascia cadere nel vuoto le parole

Molte cose accadono di mercoledì. Da molti anni registro che accadono perché al mio paese è giorno di mercato: aumentano le auto in circolazione, molte persone escono dalle case o affluiscono dai paesi vicini e dalla campagna per aggregarsi nella piazza.

Abbiamo una piazza grande a Poggio Renatico ed i banchi del mercato sono numerosi e vendono un po’ di tutto. Chi deve fare la spesa settimanale, oppure ha bisogno di andare per uffici aspetta il mercoledì; di mercoledì si possono depennare dalla lista delle commissioni da fare quasi tutte le voci, e se si arriva presto in piazza e non c’è troppa gente si riesce a fare tutto. Viva l’efficienza, che quando siamo indaffarati (e cioè, quasi sempre) diventa un valore.

Per me che ne scrivo il mercato del mercoledì assume da sempre un bel po’ di significati aggiunti. Mi entra in circolo una umanità così piena di umori che mi fa scattare dentro una sorta di corto circuito, e allora vanno a braccetto quotidianità e letteratura.

Anch’io faccio i miei giri entrando e uscendo dalla piazza, e mi fermo a parlare con tutte le persone che mi conoscono; molte di loro riesco a incontrarle solo in questo giorno della settimana. Pure, un doppio fondo nella mia valigia di parole mi accompagna e mi fa sentire la mia voce mentre parlo, mentre ascolto o mentre rispondo a domande. Mi fa stare dentro e fuori al tempo stesso.

Eccomi per esempio in una estate di molti anni fa, durante la mia adolescenza. Sono in piazza con mia madre che è la regina tra le bancarelle, conosce tutti i venditori sia che si tratti di compaesani, sia che vengano dai dintorni.

Il più distante è di San Pietro in Casale (inutile dire che la globalizzazione non c’è ancora) e parla un dialetto bolognese molto marcato. Ha un banco di scarpe molto belle, che espone in base ai prezzi raggruppando sotto la stessa cifra, in lire, i modelli più diversi e dai colori variopinti. Sono tutte scarpe da donna e sono campioni.

Oggi il venditore è più sornione del solito. A chi gli chiede se può provare un certo paio di scarpe risponde sì con la testa; chi invece gli chiede se ha l’assortimento dei numeri di un certo modello non ottiene risposta. Mia madre, che di scarpe e di pellami se ne intende, sferra un attacco dopo l’altro. Gira e rigira tra le mani un bel paio di mocassini color verde tenero, dalla linea affusolata e aggraziata, che mi invita a calzare. E intanto chiede di quale ditta sono, osserva che il pellame è di buona qualità, fa le prove per verificarne la morbidezza, mi sottrae e poi tiene con le due mani la scarpa destra e la piega ad arco trovando che si flette che è un piacere.

Io intanto. Mi trovo in mezzo tra l’entusiasmo di lei, così ciarliera in questo suo giretto del mercoledì (è l’unico svago che si prende durante la settimana, per molte ore ogni giorno la vedo seduta alla macchina per cucire, per cucire la pelle) ed il silenzio incantato che avvolge lui.

E ancora una volta lievito al di fuori dalla situazione; vedo mia madre e il venditore bolognese incastonati come diamanti in una bambagia dorata. Il caldo di luglio è appiccicoso come il miele. Le parole che lei ha pronunciato passano scavando piccoli cunicoli sospesi; sono tutte dirette verso di lui che è raggiunto dai tanti spruzzi di miele sonoro. Ma non parla.

Come? E la comunicazione dov’è? Mi sento indispettita per la noncuranza con cui lascia cadere nel vuoto le parole. Ho nella testa ben demarcate le liste di quello che si fa e di ciò che non si deve fare, come su di una lavagna quando alla scuola elementare tiravamo una riga centrale per scrivere i buoni da una parte e i cattivi dall’altra.

Devono passare molti anni prima che io ritrovi la serena accettazione di mia madre nelle parole di un poeta. Leggo i testi che il grande Eugenio Montale ha scritto per la moglie Drusilla, quando rivela di lei la capacità di capire gli uomini “anche al buio” col suo “radar da pipistrello”. La Drusilla che dando il braccio al poeta ha sceso con lui le scale della vita ed ha mediato sapientemente il rapporto del marito con la quotidianità.

Come la Drusilla, mia madre ha capito che il bolognese è stanco, oggi. Oppure è avvilito per qualcosa. Va comunque lasciato “nel suo”. Le persone sono così: non c’è alcun bisogno di esprimere giudizi per una volta che sono “spastati”.

E così dai miei libri, dai tanti che ho letto, come se una seconda madre mi stesse parlando, ho imparato. E ancora leggo, e imparo ogni volta. Anche se non è mercoledì.
Sono davvero tanti. Da esprimere uno alla volta finché potrà avere vita questa rubrica.

Incomincio.

Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di cartaclicca [Qui]

I DIALOGHI DELLA VAGINA
A DUE PIAZZE – Confidarsi con l’estraneo…

La confidenza e l’intimità, secondo Nickname, fanno rima con prevedibilità. Ma è sempre così? Dialogo A due piazze fra Riccarda e l’amico Nickname sull’affidarsi a chi non sa nulla di noi .

N: E’ curioso. Quando penso di conoscere del tutto una persona, quando so in anticipo cosa mi risponderà, quando vedo in anticipo la piega di tacita disapprovazione che le si disegnerà sulle labbra, quando la sua prevedibile reazione segnalerà anzitutto la mia, drammatica, prevedibilità, sarà allora che perderò ogni confidenza con lei. La confidenza e la conoscenza diventano allora in proporzione inversa: più conosco una persona, meno le parlo. Meno la conosco, più mi confido. Quest’ultimo rischio contiene un elemento di assurdità: per quale motivo confidarsi con una persona sconosciuta? Credo sia una forma vile di rischio: le persone sconosciute non ci giudicano.

R: E’ un paradosso che funziona. Con le persone conosciute, crediamo di avere già riempito la nostra sagoma e che non ci sia più spazio, con le nuove conoscenze, invece, abbiamo ancora tutto da dire. Non so in quale situazione siamo più autentici: con chi non sa nulla di noi e ce la possiamo giocare ogni volta ma col rischio di riproporre il nostro modello, oppure con chi sa molto, ma sicuramente non tutto? Ed è in quello spazio lì che, credo, dovremmo rimescolare i discorsi e ammettere che possiamo essere cambiati in qualcosa che all’altro potrebbe essere sfuggito. Non è sempre tutto così drammaticamente prevedibile dell’altra persona.

N: A me capita di mettere la mia intimità nelle mani di sconosciuti, incontrati per caso e scelti per intuito. Io, che sono noto per essere riservato fino all’ermetismo. Io, che sono quello che per intuito non sceglie nemmeno il colore del maglione. Ma forse è solo tirchieria: non mi va di raccontarla a uno che ti chiede 50 euro l’ora.

R: Ecco, vedi? Il tuo ermetismo, la tua tirchieria, il tuo pensarti così e non ritrovarti più. Per il colore del maglione, tranquillo, la scelta si limita a poche nuances: il tuo incarnato detta legge.

Pensate anche voi, come Nickname, che sia più facile raccontarsi a uno sconosciuto con cui nulla è prevedibile? E nel rapporto di coppia? L’intimità profonda finisce per limitare la voglia di confidarsi?

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Ma in Italia l’apprendimento permanente resta una chimera

Fare campagna perché le persone continuino a istruirsi anche dopo l’età della scuola può lasciare stupiti o dare l’impressione di una pedanteria pedagogica. Così succede nel Regno Unito dove la “Campaign for learning” ha pure un sito web, e pubblico e privato sono impegnati a promuovere l’apprendimento permanente, perché convinti del potere dell’istruzione continua.
Nulla del genere abita in Italia, terra di università popolari e della terza età, ma assolutamente analfabeta in materia di lifelong learning.
Neppure il nostro ministero dell’istruzione, università e ricerca brilla nel campo.
Oltre ai Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA), concepiti in chiave puramente scolastica, non va, mentre continua a marcare ritardi nell’attuazione delle disposizioni previste dall’articolo 4, comma 51, della legge 92 del 28 giugno 2012, più nota come la famigerata “legge Fornero”, tanto per intenderci sui livelli di consapevolezza del nostro Paese e della sua classe politica.
Aver riconosciuto che l’istruzione non abita solo tra le mura delle scuole e dell’università perché, oltre ad essere formale, può essere anche non formale e informale, avrebbe dovuto per lo meno portare a promuovere politiche di educazione permanente, di qualificazione, di valorizzazione e di coordinamento di tutto ciò che si muove su questo terreno.
Nessuno al Miur, ma neppure la politica, credo si sia mai posto l’obiettivo di realizzare l’ apprendimento permanente nella nostra società.
Conferenze, tavole rotonde, webinar, eventi culturali e tutto quanto si muove senza un filo conduttore nella brulicante fucina delle iniziative pubbliche e private, invece di andare deserto o sprecato, potrebbe costituire i tanti tasselli di un più vasto programma di istruzione continua. Un modo per consolidare come abitudine sociale l’apprendimento per tutta la vita ai livelli locali come a livello nazionale, con vantaggi notevoli per le comunità, le persone, l’economia e il lavoro.
Mentre ci si occupa d’altro, con gli edifici scolastici precari, oltre al personale che vi lavora, la fuga dei giovani all’estero, e le percentuali di dispersione scolastica che aumentano insieme alla povertà educativa, l’apprendimento, nel frattempo, si è arricchito di aggettivi che prima neppure avremmo preso in considerazione.
A partire dall’apprendimento “verticale”, che suggerisce l’idea di un apprendimento in piedi, dal basso verso l’alto, come la spinta nella vasca di Archimede.
È, appunto, l’apprendimento che accompagna tutta la vita, che ritiene insensato che si possa interrompere l’attività del sapere e dell’imparare una volta abbandonati i banchi di scuola e trovato un lavoro. L’apprendimento come processo che avviene ovunque, dinamico e continuo, che accompagna tutte le età della vita. Che cresce con le persone e fa crescere le persone, rendendole migliori, più attrezzate, più competenti, più ricche dentro, che ha bisogno di offerte e di occasioni, di ambienti stimolanti e propositivi.
Una verticalità che per svilupparsi necessita dunque di orizzontalità. Orizzonti di saperi. L’apprendimento “orizzontale”. È la dimensione spaziale dell’apprendimento e dei suoi luoghi. L’apprendimento come processo diffuso che può accadere in ogni contesto e non solo nei luoghi tradizionalmente deputati alla formazione. L’apprendimento che si allarga a comprendere le esperienze della vita in una dimensione del tempo che è quella delle occasioni che abbracciano la larghezza e l’ampiezza della vita con il succo prezioso delle sue offerte, opportunità e attrazioni. Comprende il tempo e gli spazi dell’esistenza di ciascuno di noi in cui si allargano gli apprendimenti.
In fine il deep learning, espressione sottratta all’intelligenza artificiale, ma utile al nostro discorso.
L’apprendimento “profondo”. Riguarda la nostra vita, la necessità inesauribile di apprendimento. Perché ogni angolo della vita, ogni anfratto ci richiede di sapere, vagliare, criticare. E allora apprendere è una corrente che non si può interrompere, che fa erompere il diritto delle persone a vivere in una società che metta a disposizione di tutti non solo l’informazione ma la formazione, le conoscenze, i saperi, le competenze, soprattutto per gestire l’informazione, che contrariamente ai saperi, ci proviene in abbondanza da tutte le parti.
L’apprendimento profondo è la terza dimensione che consente di partecipare pienamente alla vita della comunità, spiega il senso di una società che promuove l’educazione permanente come recupero pieno del significato dell’istruzione al servizio delle persone e della possibilità di essere se stesse.

DIARIO IN PUBBLICO
A proposito di sardine: il movimento e l’azione

Cerco di arrivare a tempo all’appuntamento con le sardine ferraresi, ma la strada è lunga “eppur bisogna andar”. Sono di ritorno da Bassano dove un’importante riunione ha rimesso in carreggiata l’ingombrantissimo carro dei lavori canoviani. Ma giunto in città erano ormai le venti passate. Mi rimane quindi un’unica possibilità: quella di guardare le foto delle città invase dai pesci. Da Firenze mi giungono le immagini di Dora Liscia, la nipote di Giorgio Bassani, che esibisce – non per nulla è storica dell’arte cosiddetta ‘minore’ – la più bella e raffinata immagine del pesce (vedi immagine di copertina).
A Ferrara Sandra Chiappini fotografa un cartello del Castello insardinato alzato davanti a quello vero; ma ciò che mi piace è la compostezza, la serenità di queste folle che hanno in sé un requisito di cui si era persa da tempo ogni traccia: la gentilezza. Che è un comportamento non ipocritamente insegnato a noi generazioni del passato ma una riconquista dei giovani, stanchi dell’urlo, dell’odio, delle risse televisive che inquadrano bocche urlanti, canine, pronte ad azzannare e a farsi strada con ‘i vers’, avrebbe detto in dialetto mia nonna. Ecco contro chi s’oppone la meglio gioventù delle sardine: a quel film visto fino alla nausea che si potrebbe titolare “L’urlo e il sibilo” ,che come folate di vento distruttore soffia dovunque, da destra, da sinistra impelagandosi in mulinelli micidiali al centro della tempesta politica.
Sorge dunque una speranza. Riusciranno i nostri a imporre un cambiamento; o meglio a suggerirlo?
Non sono eroi per fortuna. Non ne abbiamo bisogno. L’atrocità o meglio la lugubre esaltazione di un eroe della strage del London Bridge dove un assassino accoltella la folla e quello che è divenuto l’eroe dei tabloid inglesi lo insegue e lo blocca. Si scopre che anche lui ha ucciso, spietatamente.
Si è ormai innestata una coerente immagine del movimento che appare finalmente lontana dalle strumentalizzazioni ma porta con sé un grande interrogativo. Ce la faranno questi ragazzi a far coincidere l’impulso della massa-persone con le regole della politica? Domenica sera ascoltavo il portavoce dei quattro ragazzi che hanno coordinato e proposto i raduni delle sardine che incalzato da Fazio non si esponeva, non si voleva esporre alle tentazioni della politica attiva. L’intento è più che nobile. La difficoltà consiste nel trovare quel ‘quid’ che trasformi la proposta, l’offerta in prassi politica. E qui che noi ‘grandi’ d’età, ricordando le lotte passate e le tante proposte avanzate nei decenni che poi si sono estinte proprio perché proposte ammirano e nello stesso auspicano che la flotta delle sardine riesca a risalire il mare e trovare un porto che le accolga e le trasformi in azione politica, solida barriera ai sovranismi e alla istigazione all’odio.

Il giorno dopo…
Rimpianti e buoni propositi di una sardina ritardataria

Quante sardine c’erano sabato sera in piazza? Nessuno si era portato il pallottoliere ma, dentro quel fitto fitto, contarle era un’impresa impossibile. Le stime divergono: una folla, forse 6.000 (La Nuova Ferrara); più di 6.000 (estense.com); per me eravamo di più, quasi 10.000. Diecimila? Ma dai, manco ci stanno 10.000 persone in piazza Castello. Sia come sia, il colpo d’occhio faceva impressione. Non ricordo a Ferrara un appuntamento politico tanto affollato. In piazza Castello è andata in scena la manifestazione più grande degli ultimi decenni. Ed è stata, prima di tutto, una grande festa.

 

Fin qui la cronaca, con una postilla molto istruttiva, il battibecco a distanza tra Lorenzo Donnoli, uno dei giovani promotori delle sardine ferraresi, e il sindaco Alan Fabbri. Fabbri voleva incontrare gli organizzatori, ma Donnoli ha declinato l’invito: “La parola d’ordine è Amore, e a Ferrara abbiamo un sindaco che si fotografa mentre umilia un senza tetto: la sua offerta di dialogo è strumentale, nel momento in cui si è passato il tempo a lucrare sulle difficoltà della nostra città con la narrazione del quartiere Gad.” La risposta valeva anche per l’ultima triste nuova: lo stesso 30 novembre, il sindaco aveva chiuso le strade al traffico per far passare uno sparuto gruppetto di militanti di Forza Nuova, che annunciava ufficialmente il suo insediamento nella città estense.

Che peccato però – questo pensiero credo sia passato per la testa di tutte le sardine (giovani e attempate) stipate in piazza Castello – peccato che a Ferrara la rivoluzione delle sardine sia arrivata con sei mesi di ritardo. Lo scorso 10 giugno la nuova Destra a guida leghista aveva vinto a mani basse le elezioni municipali, e il sindaco di cui sopra aveva raccolto il 56,8% dei voti. La storia non si fa con i se, ma è impossibile evitare qualche rimpianto. Non era già scritto, non è vero che era destino perdere. Io credo che avremmo potuto vincere se, allora, avessimo avuto il coraggio di fare un passo avanti: se avessimo avuto l’innocenza, lo spirito unitario, la libertà di pensiero, l’autonomia dai partiti, la voglia di cambiamento che oggi si esprimono nel movimento delle sardine.

Che c’entra l’innocenza con la politica? Lo spiega benissimo Marco Revelli che la settimana scorsa ha scritto il commento più bello, più acuto e più emozionante sulle sardine. Eccone un brano: “Considero L’INNOCENZA una delle parole chiave che spiegano quanto si è materializzato nelle piazze. Forse “la” parola chiave, che spiega la FORZA di quel primo appello che ha riempito Piazza Grande di una folla fitta e compatta come non se ne vedeva da tempo. Quella massa variegata e multicolore, strabordante e composta, ha risposto in forma così immediata e (possiamo dirlo? “irriflessa”) alla chiamata perché questa rispondeva a un bisogno profondo, vissuto, fino ad allora inespresso e però potente, sentito. Ma anche perché a chiamare erano figure “innocenti”, nel senso di “non compromesse”, come solo chi appartiene alla generazione nata a ridosso del passaggio di secolo può essere, ragazzi che non portano le (tante) colpe di chi in questo ventennio ha assunto responsabilità politiche. O anche solo ha fatto organicamente parte del gran circo della politica politicante, in tutte le possibili sinistre, o i possibili centri, chiese o sette che fossero, e ne ha subito, volente o nolente, i compromessi, gli abbandoni di ideali, le burocratizzazioni e le degradazioni funzionariali, i linguaggi gergali e morti, la separazione dai propri reciproci popoli; chi non ha prodotto delusioni in quanti hanno creduto in loro e non ha subito delusioni da parte di coloro in cui ha creduto, non si è ammalato di frustrazione né di settarismo, di arroganza né di risentimento.[…]”. L’intervento illuminante di Marco Revelli merita di essere letto per intero. Lo trovate Qui

Forse le sardine non dureranno. Forse l’enorme branco di giovani ‘innocenti’ che ora sta invadendo il mare delle piazze di tutta Italia, tornerà alle occupazioni (o alla disoccupazione) di tutti i giorni. Ma sarebbe importante che la Sinistra dei partiti e la società civile progressista, recepissero il cuore del messaggio che le sardine ci trasmettono. Una grande lezione, anzi, forse l’ultimo avvertimento, per non lasciare definitivamente il campo al populismo e all’egoismo sociale.

In parole povere: si tratta di fare il contrario di quanto si è fatto finora. Quello che ci ha fatto perdere tutte, ma proprio tutte le elezioni. Quello che ha regalato a Ferrara  Alan Fabbri, Naomo Lodi e Alessandro Balboni. Alle ultime elezioni comunali la Sinistra, anzi, tutto il campo progressista si è presentato con il solito vestito vecchio. Nel segno della beneamata continuità. I soliti partiti in prima fila, i collaudati uomini politici come capilista, i vecchi programmi un po’ riverniciati. Anche alle affollate assemblee espressione della società civile è mancato il coraggio di ‘nuotare da sole’: invece di unirsi e proporre insieme ai ferraresi un programma nel segno del cambiamento, alla fine si sono accodate alle liste (a quelle di partito o a quelle collegate alle prime). Si poteva così parlare un lingua nuova? No. Si poteva portare al voto i delusi, gli scontenti, i distratti? No. Si poteva vincere? No. Infatti si è perso. Malissimo.

Sono in molti a sperare che le sardine durino almeno fino alla fine di gennaio. Sperano (anche io naturalmente) che questi giovani pesciolini possano portare un po’ di linfa (un po’ di voti), che possano fare da traino per fermare l’avanzata leghista e salvare l’ultimo fortino, la regione Emilia Romagna. A sperare non si fa peccato, è un ragionamento legittimo, ma terribilmente politicista. Talmente miope e di corto respiro che può rivelarsi una ennesima illusione.

Le sardine rappresentano (e chiedono) altro, propongono l’innocenza di cui scriveva Marco Revelli. Chiedono alla Sinistra una muta, cioè di iniziare finalmente a cambiare pelle. Nuovi comportamenti e nuovi rapporti. Nuovi visioni e nuovi programmi. Nuove persone e nuove forme di democrazia partecipata. Comunque sia andata a Ferrara sei mesi fa, comunque vada in Emilia alle elezioni di gennaio, occorrerà partire da questa domanda inevasa. Forse non è troppo tardi per provarci.

 

 

 

 

LA VIGNETTA
Il sistema della frittura mista

Delle sardine in piazza apprezzo una cosa su tutte:
la buona fede!
Purtroppo, la buona fede da sola non basta a cambiare le cose per davvero… specie se si va in piazza per manifestare contro qualcosa e non si ha ben chiaro dove si voglia stare con esattezza!
La cosa che apprezzo meno delle sardine in piazza, in effetti, è la fumosità delle idee!
Tutti siamo capaci di dire “W la democrazia! W la libertà… Abbasso il fascismo, abbasso il sovranismo, abbasso il populismo…” (ammesso e non concesso che essere populisti significa esattamente andare in piazza a fare le sardine, chi non è d’accordo mi dica dove sta la differenza e soprattutto cosa significa “populista”, grazie)
E poi?
Servono proposte, idee concrete su temi concreti… Senza questo la destra vincerà a mani basse!
Alla gente non interessa sentir parlare di fascismo e antifascismo. Spiace dirlo, ma alla gente, alla stragrande maggioranza di essa, non interessa granché nemmeno di ius soli, accoglienza, eccetera. Sembra che i cavalli di battaglia dell’attuale attivismo di sinistra siano antifascismo e integrazione, solo questo!
La sinistra che ho conosciuto io, quella con cui sono cresciuto, difendeva il lavoro, i diritti dei lavoratori, combatteva lo sfruttamento e lottava per l’uguaglianza sociale. Era contro i potentati economici e le lobby, promuoveva la difesa del potere d’acquisto dei salari, tutelava i piccoli risparmiatori, sosteneva l’impresa pubblica e lo stato sociale… e naturalmente era antifascista!
Peccato che questa sinistra (direi l’unica sinistra che io conosca) sia evaporata miseramente!
Queste sardine, oltre ad essere antifasciste e cantare ‘bella ciao’, cosa pensano di tutto il resto?
Oltre a riempire le piazze per fare rave party pacifisti e raccontarsela, queste sardine sono capaci di mettersi contro l’establishment, quello vero, e magari sporcarsi le mani con azioni di protesta vera?
Stiano attente le sardine che il mare è pieno di squali, sia che nuotino a destra sia che nuotino a sinistra!

illustrazione di Carlo Tassi
(tutti i diritti riservati)

OSSERVATORIO POLITICO
Sardine contro l’odio, per una politica seria e responsabile

Piazza Castello stracolma! E’ una bella notizia. Forse la pacchia per Salvini e la destra
sta finendo. Vedremo. Intanto registriamo alcuni fatti. Il movimento delle ‘sardine’ è
nazionale. Le parole d’ordine delle imponenti manifestazioni sono chiare e forti:
contro l’odio, la guerra tra poveri la vincono i ricchi, chiediamo alla politica serietà e
responsabilità, basta con il populismo intollerante e violento, siamo antifascisti e i
valori della Costituzione sono la nostra guida.

Giustamente, i partiti del centro-sinistra partecipano, ma fanno attenzione a non strumentalizzare.
Quando nascono movimenti di questa portata bisogna interpretarli bene. La scintilla che li porta alla
ribalta è sempre occasionale. Ricordiamo Nanni Moretti che anni fa gridò alla piazza:
“Con questi dirigenti non vinceremo mai!”. Da lì nacquero i ‘girotondini’.
Oggi, è stato l’arrogante e spavaldo Salvini ad eccedere e a suscitare la reazione delle prime
‘sardine’ a Bologna. Hanno, poi, preso il largo nel mare grande delle cttà di tutto il
Paese. Vuol dire che sotto la cenere le braci erano accese. Il messaggio è indirizzato
a tutta la politica. Contro l’avversario ben individuato: la destra. Polemico verso il
campo diviso e rissoso della sinistra.

Rispettarne l’autonomia non significa non esprimere gratitudine a chi sta organizzando manifestazioni in tutto il paese.
E non ci esime, a noi vecchi militanti di una sinistra in crisi e stanca, di auspicare che questa
energia fresca e tranquilla diventi decisiva per vincere le elezioni del 26 gennaio.

Unità nella diversità per non consegnare la civile Emilia-Romagna a chi ospita nelle
proprie manifestazioni i fascisti di Forza Nuova e CasaPound. Ma ciò che si è
sedimentato nel profondo della società in questi anni ci fa sperare in una possibile
riscossa di più lunga durata. Vedremo.

Intanto casualmente, ieri a Ferrara, è avvenuto un confronto significativo.
In mattnata, una cinquantina di militanti di Forza Nuova erano al Grattacielo con le cupe,
tragiche e tristi bandiere nere.
In serata, migliaia e migliaia di giovani e persone di ogni età hanno manifestato con
serenità esibendo colori di ogni tipo e simboli gioiosi. E’ un buon inizio e di buon
auspicio. Eravamo stanchi della replica della stessa scena. Salvini chiuso in un teatro
a tenere un comizio. Fuori qualche Centro Sociale incendiava auto o si scontrava con
la polizia. La musica è cambiata. I suonatori, lo spartito e il pubblico fanno ben
sperare in una scena nuova.
Per dirla con un autore della mia giovinezza: “Ben scavato, vecchia talpa!”

PER CERTI VERSI
La mia lotta col cancro

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

LA MIA LOTTA COL CANCRO

Anche questa è una poesia per noi
Ho visto la morte in faccia
Non era male
Anzi era vita
Peggio era il male
Peggio era il dolore ancestrale
Ho dormito i sonni più bianchi
Non era la brina
La neve le nuvole
Il cuscino il letto
Le lenzuola
Ma la morfina
Ho visto persone mai morte mai guarite
E così basta un niente
Una nausea
Che si riaprono le ferite
Ho vomitato l’anima
Strizzata come uno straccio
Fermo ore ed ore
Con la chemio fluida
nel braccio
Ho dato la mia vita
ai medici
per credere in loro
È andata
la guerra è finita
Da quei giorni
mi spaventa
più che la morte
La vita

Sardine ovunque: ma nuotare ‘in direzione ostinata e contraria’
è l’unico modo per non farsi mettere in scatola

Novembre Duemiladiciannove: le sardine dilagano in un’Italia allagata.

Dopo ‘La Prima’, andata in scena a Bologna il 14 novembre con 15.000 sardine protagoniste, lo spettacolo si sta ripetendo ovunque. All’appello hanno già risposto più di 60 città (grandi, medie e piccole). Hanno già riempito le piazze di Modena, Sorrento, Reggio Emilia, Palermo, Reggio Emilia, Rimini, Marsala, Parma… Giovedì scorso le sardine manifestavano a Genova, Piacenza e Verona, ieri a Mantova, oggi invece saranno in 20 città: da Milano a Firenze, da Monfalcone a Pesaro, da Rovigo a Treviso, e a La Spezia, Cosenza, La Maddalena, perfino ad Amsterdam.

Sempre oggi, le sardine si sono date appuntamento alle 20 in piazza Castello, a Ferrara, la ‘roccaforte rossa’ (si fa per dire) caduta dopo settant’anni in mano della Lega e del Centrodestra. E da domani si ricomincia: Milano, Padova, Taranto, Avellino, Benevento, Ascoli Piceno, Cagliari, Siena, Taranto, Pescara, Dublino, Bari, Forlì, Torino… fino all’appuntamento del 14 dicembre a Roma, proprio nella storica piazza San Giovanni: dove a ottobre Salvini aveva raccolto 200.000 seguaci, le libere sardine vogliono arrivare al milione.

Fin qui i numeri, davvero impressionanti. E, ancora più sorprendente, è la rapidità e la capillarità con cui questo movimento (io lo chiamo così anche se molti non sono d’accordo) si è diffuso in tutta la penisola. Gli stessi media sono rimasti spiazzati. Esattamente come era successo alcuni mesi fa davanti ai ragazzini del Friday for Future. E sorpreso è stato tutto il mondo dei partiti e della politica, tutta la nomenclatura che, normalmente, si sbraita e si accapiglia in parlamento, in televisione, sui social.

Primo fra tutti – il più sorpreso, il più spiazzato, il più in difficoltà – colui che da molti mesi percorre incontrastato le piazze mediatiche e quelle reali. Negli ultimi due anni Matteo Salvini era stato l’ultimo (il penultimo era stato Beppe Grillo con i suo Vaffa day) a girare per l’Italia accolto da folle osannanti, l’unico a ‘fare il ‘pieno’ in qualsiasi piazza. Tutti gli altri (a sinistra come a destra) nemmeno ci provano a presentarsi sopra un palco all’aperto. Passato all’opposizione del governo giallo-rosso, Salvini ha raddoppiato il suo attivismo e, dopo aver trionfato in Umbria, sta puntando il mirino sulle elezioni di gennaio in Emilia Romagna, la regione simbolo della Sinistra.

In realtà, anche stando all’opposizione – complice quel poderoso vento di destra che agita tutto il pianeta (da Orban alla Le Pen, da Trump a Maldonado) – continua ad avere, anzi, ad essere in maggioranza: la sua narrazione populista e sovranista, il suo ritornello sugli emigranti invasori, sembra sovrastare qualsiasi voce contraria. Finché un giorno, senza nessun preavviso, senza nessuna regia occulta, arrivano quelle maledette sardine: giovani, pacifiche, ironiche, coloratissime. Cantano Bella Ciao, sbeffeggiano il leader leghista, si dichiarano antifasciste, anti-populiste, anti-sovraniste. Così il popolo delle sardine ha occupato il campo e rischia di rubare la scena a Matteo Salvini. Il quale Salvini fa spallucce, ostenta la consueta sicurezza, ma non riesce a nascondere la preoccupazione. Come fai a vincere sulle sardine? Quelle, sono molto più pericolose di Conte, Di Maio e Zingaretti messi insieme.

Finita la sorpresa, sono cominciati i commenti, le analisi, le obiezioni, le critiche. Le insinuazioni. E naturalmente i buoni consigli alle giovani, ingenue e inesperte sardine che si stanno avventurando nel procelloso mare della politica.

La prima obiezione, solo apparentemente fondata, è che le sardine, prendendosela in primis con Salvini, fanno opposizione all’opposizione, invece che al governo in carica. ‘E’ un controsenso’, ripetono tutti gli esponenti della Destra e del Centrodestra. E non solo loro. Anche commentatori e intellettuali progressisti – anche Claudio Pisapia su questo giornale – muovono la medesima obiezione. Senza capire che siamo di fronte a un movimento spontaneo e di massa, non ad un partito o a una formazione politica organizzata. I movimenti fiutano l’aria e si muovono (pro o contro) di conseguenza. Così, le sardine hanno sentito come insopportabile l’egemonia (mediatica, culturale, politica) della narrazione populista, sovranista ed egoista. Contro questa egemonia – che oggi è di fatto in maggioranza in Italia e in Europa – hanno deciso di battere un colpo, di rendersi visibili, di proporre una diversa narrazione. E si sono dati appuntamento in piazza, una esperienza che molti ventenni e trentenni non avevano mai provato in vita loro.

Dietro Greta Thunberg, ad animare il movimento planetario del Friday for Future e del Green Friday (anche ieri è andata in scena una replica in 139 città italiane e in tutto il mondo), sono i teenager, i ragazzini del terzo millennio. Gli inventori e promotori del popolo delle sardine sono invece i ventenni e trentenni, la cosiddetta ‘generazione invisibile’. La grande novità – tutta politica – di questi movimenti sta proprio qui. L’emersione (nel caso delle sardine mi sembra la parola giusta) di nuovi soggetti che fino allora se n’erano stati zitti e buoni, solerti consumatori dell’ultimo articolo immesso sul mercato.

Eppure l’odore delle sardine a molti non piace, storcono il naso. Siete effimeri, un fuoco di paglia destinato a spegnersi rapidamente  Siete infantili, ‘troppo poco politici’, siete solo contro, non proponete niente di concreto. E, visto che affollate le piazze, visto che siete un popolo, siete populisti anche voi. In un talk show ho sentito un giornalista evocare addirittura gli orrori della Rivoluzione Russa e appioppare alle sardine una citazione (storpiata) di Lenin: “L’infantilismo è la malattia del comunismo”. In realtà Lenin diceva che “l’estremismo è la malattia infantile del comunismo”. Beh, tutto si può dire delle sardine, tranne che siano un movimento estremista e violento..

Non so se le sardine avranno una lunga vita, non so che direzione prenderanno nel prossimo futuro, ma la loro navigazione è piena di insidie. Insieme alle critiche, stanno infatti arrivando anche gli applausi e i complimenti. Più o meno interessati. Probabilmente c’è qualcuno che sogna – qualcuno ci prova sempre – di ‘incanalare il movimento’; di metterci sopra il cappello, o la propria bandiera.  Da qui viene il pericolo maggiore, non dai pinguini sovranisti recentemente apparsi sul web.

Per ora le sardine nuotano libere, se però non riusciranno a difendere la loro autonomia, corrono il rischio inscritto nel triste destino di alici e consimili, quello di finire in scatola.

 

Le piazze, le sardine, il populismo… e Salvini vince ancora

Il manifesto delle sardine, che non ha nulla a che vedere con il Manifesto del 1848, recita “Cari populisti, lo avete capito. La festa è finita” e poi “Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto”. Il loro leader si chiama Mattia Santori e in una delle tante interviste che ha concesso, diceva che le sardine vogliono parlare di cose pratiche, della vita reale. Tutte cose per le quali loro hanno già ricevuto attestati di merito.
L’attacco ai populisti che campeggia nel manifesto ittico svela già l’origine e la fine del mistero sulla provenienza e sulle intenzioni di questo “nuovo” movimento sorto proprio nel momento giusto. Elezioni regionali, riforma del Mes, governo in bilico sulla legge di bilancio, pignorabilità più facile dei conti correnti, Germania (con Finlandia e Olanda) all’attacco sul fronte banche e misure espansive. Insomma ci voleva una boccata d’ossigeno ed ecco che le piazze si riempiono. Ma non perché da solo il nuovo Mes rischia di trasformare l’Italia nella Grecia di qualche anno fa, piuttosto e semplicemente perché Salvini sta disturbando la “normalità” delle nostre giornate.
Il problema sono i populisti dunque, anche se loro si sentono popolo, forse. “Cari populisti”, cari voi che vi ispirate a quel movimento che idealizzava il popolo come portatore di valori positivi in contrasto con le élite. A quel movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia tra il 19° e 20° secolo, che si proponeva di raggiungere […] un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate, specialmente dei contadini e dei servi della gleba, insomma proprio per voi… “la festa è finita” (cit. Enciclopedia Treccani).
Ed è finita allora anche per il povero Chomsky, anche lui ovviamente un sovversivo della destra estrema, che dava la sua “faziosa” definizione di populismo quando diceva che questa parolaccia “significa appellarsi alla popolazione” e spiegava che “chi detiene il potere vuole invece che la popolazione venga tenuta lontana dalla gestione degli affari pubblici”. Vuole insomma che si occupi di mantenere la sua vita “normale”.
Casualmente occuparsi della cosa pubblica una volta significava anche “democrazia” e la democrazia si nutre anche di politica e in politica di solito si riempiono le piazze per protestare contro il governo o per proporre un’alternativa, magari proprio un manifesto che proponga soluzioni diverse rispetto a iniziative governative. Non tanto per rivendicare il proprio diritto alla normalità, cioè svegliarsi, andare a lavorare, tornare a casa, dormire e ricominciare modello George Orwell formato millennial ed oltre.
Rivendicare il proprio diritto alla tranquillità e alla normalità va bene ma non è un progetto politico degno di attenzione, da portare in piazza. A me personalmente piace vedere giovani impegnati in qualcosa che non sia video giochi on line o a seguire gli “amici di Maria”. Ma pretendere la normalità in tempi dove non c’è nulla di normale, dove si attenta al futuro delle persone, richiede qualcosa in più. Magari un Manifesto anche scopiazzato da quello del 1848, potrebbe funzionare meglio. Ma forse risulterebbe troppo populista “Proletari di tutti i Paesi, unitevi!”, figuriamoci. Roba vecchia come il Cynar e il mito del Che Guevara.
L’esercizio della democrazia richiede impegno e va al di là della capacità di riempire una piazza, bisogna anche far capire per cosa lo si fa in maniera chiara e spiegare se si sta scendendo in piazza per i diritti del popolo oppure per i bisogni della casta, che sono sempre gli stessi dai tempi di Marx, ovvero che la massa non si occupi di cose serie come oggi sono le questioni economiche. Non si occupi, ad esempio, della riforma del Mes che attenta ai principi di giustizia sociale, ai diritti acquisiti in anni di lotte sindacali e di quel popolo che voleva contare qualcosa.
La parola populista è diventata sinonimo di demagogia, si è accuratamente storpiata per oscurarne la radice popolare e antisistema. E con le piazze oggi vogliamo far vincere il sistema? Dargli ragione quando pretende che non dobbiamo occuparci del nostro futuro e ritornare alla nostra normalità? Oggi più che mai sta passando il concetto che sia inutile occuparsi di questioni più grandi di noi, che all’Unione bancaria devono pensarci gli esperti come hanno fatto fino a quando poi abbiamo scoperto che esisteva un caso Carife. Quante volte sono scesi in piazza i giovani per le banche fatte fallire da un sistema di potere che vuole addossare le responsabilità di ogni cosa al popolo in stile bail in?
Dobbiamo convincerci che gli interessi popolari, populisti, non siano di nostra competenza e per farlo dobbiamo confonderli con la demagogia. Dobbiamo convincerci che ci sono questioni talmente utopiche, oltre la possibilità di realizzazione, impossibili, come una volta era impossibile immaginare il voto alle donne e quindi cullarci nella nostra normalità, fare volontariato, parlare di accoglienza qui e ora, non preoccuparci del perché le cose succedono. Dobbiamo far diventare contemporaneamente affari seri e imprescindibili questioni come la paura del passato che non potrà mai più tornare, confortati in questo dalle statistiche appena sfornate. Tranne nelle piazze delle sardine e nelle trasmissioni di Lucia Annunziata, ovviamente.
E poi “Occuparsi di cose pratiche”. Il motivo del successo di Salvini sta proprio nel fatto che parla alla pancia della gente, gli parla della quotidianità, delle aziende che chiudono per mancanza di credito, dell’incapacità dimostrata dai vari governi sull’accoglienza, dei tetti delle scuole che cadono, delle difficoltà delle forze dell’ordine nel fare il loro lavoro, della svalutazione del lavoro causata dal sistema della moneta unica, delle ingerenze della Commissione europea, dell’impossibilità di proporre politiche economiche a causa di vincoli europei ritenuti oramai da tutti gli economisti obsoleti e troppo rigidi. E a dirlo sono addirittura Mario Draghi e Christine Lagarde, che scomoda persino San Tommaso per convincere i tedeschi che sono necessarie politiche fiscali espansive.
Ed è su questo che andrebbe contestato Salvini e la sua Lega a cui “l’Emilia non si lega”, sulle cose pratiche e sugli argomenti politici, sulle soluzioni che propone dicendo perché e come invece sarebbe meglio procedere, ma andava fatto quando era al governo. Ora al governo vuole tornare ed occupa le piazze in un gioco che si chiama democrazia e che vede chi è all’opposizione protestare contro il governo. Contro l’opposizione si protesta non andando alle loro manifestazioni. Che senso ha e quanto è democratico fare opposizione all’opposizione? Se ci si sente sulla stessa linea dei partiti che sono al governo li si sostenga, si aiuti il governo ad illustrare quanto bene stanno facendo nell’attuare le loro politiche economiche e sociali. Ve ne saremmo grati, a dir poco.

“Se tu fossi una città”, Roberto Dall’Olio illustra il suo itinerario poetico fra memoria e presente

Se tu fossi una città è il titolo della più recente raccolta di poesie pubblicata da Roberto Dall’Olio, impreziosita dalla prefazione di Romano Prodi: “In quest’opera – scrive il noto statista – si coglie un sentimento ampio, universale, romantico e cosmopolita, ma pur sempre intimo. Con la sua poesia Roberto Dall’Olio mette in scena una continua migrazione, grazie all’uso del ‘leitmotiv’ “Se tu fossi una città saresti…”. Il Diverso, l’Altro diventano valori da esaltare… Ogni città, da Bologna a New York, da Epidauro a Matera, arricchisce il testo a modo suo… Il soggetto principale, l’individuo a cui è rivolto il testo, è un prodotto diretto di questo continuo riaffiorare del passato e delle radici che ci sostengono. Viaggio e memoria…”.

Questo pomeriggio, alle 17,30, il volume edito da l’Arcolaio sarà presentato alle libreria Feltrinelli di Ferrara. Con l’autore dialogheranno Maria Calabrese, Roberta Barbieri (docenti del liceo Ariosto) e Sergio Gessi, direttore di Ferraraitalia.

Dove lo metto Giulio Regeni?

No,non prendete per vera la foto di copertina. Niente facciata del Duomo per adesso. E’ solo una ‘modesta proposta’. L’idea (lo stupendo  fotomontaggio) l’ho presa a prestito da un profilo di un amico su Facebook. Ma la faccio mia senz’altro: è troppo tempo che la verità per Giulio Regeni non ha più casa a Ferrara.

La storia (tremenda e inconclusa) di Giulio Regeni, il giovane dottorando italiano torturato ed ucciso a Il Cairo nel febbraio del 2016, è nota a tutti. La magistratura italiana indaga, il coinvolgimento della polizia e dei servizi segreti egiziani è ormai acclarato, ma le autorità egiziane non sembrano disposte a far piena luce sulle circostanze dell’omicidio Regeni. Pressato dall’opinione pubblica il governo Gentiloni ha insistito (sottovoce, con molto garbo) sul governo egiziano. Il primo Governo Conte molto meno: è rimasto alle cronache il sommo cinismo dell’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini che, nel giugno dell’anno scorso, rispondeva così a una domanda di un giornalista: “Regeni? Sono più importanti i rapporti con l’Egitto.”.

Intanto il nome di Giulio Regeni, la richiesta di arrivare alla verità sulla sua morte, si spargeva in tutte le piazze d’Italia. Ovunque veniva appeso lo striscione giallo di Amnesty International. Anche a Ferrara, dove da oltre tre anni stava appeso allo Scalone di piazza Municipale.

Ci eravamo tanto abituati, che la piazza non sarebbe stata più la stessa senza quella invocazione alla giustizia e alla verità. Poi, dopo la vittoria leghista alle ultime elezioni comunali, quello striscione ha iniziato a diventare scomodo. E qualche volonteroso militante aveva subito pensato a coprirlo con una bandiera di partito.

La storia continua. Per la destra ferrarese quello striscione doveva risultare davvero indigesto, infatti, la notte dello scorso 7 agosto sparisce del tutto. Da allora sono passati più di tre mesi. Il gruppo Amnesty International di Ferrara ha ripetutamente chiesto alla nuova Giunta di ripristinarlo. Senza successo. Sembra proprio non si riesca a trovare un posto per Giulio Regeni. E per la verità.

Proprio ieri il Sindaco Alan Fabbri prendeva altro tempo. Ma siccome Alan Fabbri ama far la parte del poliziotto buono – lasciando al vicesindaco Naomo Lodi il ruolo di poliziotto cattivo – la questione striscione diventa puramente un problema di estetica e di decoro urbano. Lo striscione non tornerà sullo scalone del municipio, ma “la nostra idea – dice il Sindaco rispondendo ad Amnesty International – è di spostarlo in un altra collocazione, altrettanto importante, per ragioni legate all’afflusso turistico e alla attività istituzionale collegati allo Scalone”. Collegati come, non è dato intuire.

Non ci pareva che qualche turista avesse protestato per l’obbobrio di uno striscione civile sul fianco dello Scalone. Non ci sembrava costituire un vulnus alla bellezza di Ferrara. Né che potesse in qualche modo intralciare i lavori del Consiglio Comunale e della Giunta. Ma insomma, vogliamo prendere per buone le intenzioni del Sindaco che da più di 100 giorni si sta lambiccando il cervello per trovare un posticino adatto (“altrettanto importante” ha detto) per Giulio Regeni. L’idea della facciata del Duomo, fasciata a lungo per i lavori di restauro, ci pare un’ottima location. Ci pensi su. E prenda una decisione. Non credo che il vescovo avrà obiezioni.

 

 

Le verità nascoste su piazza Fontana. Oggi a Ferrara il giornalista-scrittore Paolo Morando

Una piccola storia ignobile della giustizia italiana, subito cancellata e rimossa. “Prima di piazza Fontana. La prova generale”, accurata e approfondita analisi condotta dal giornalista e scrittore Paolo Morando raccolta nel recente volume edito da Laterza “Prima di piazza Fontana. La prova generale”, sarà oggetto di confronto e dibattito alla presenza dall’autore, oggi all 18 alla libreria Ibs – Il libraccio di piazza Trento e Trieste. Il volume fa seguito alle due precedenti preziose analisi di Morando sulle radici del nostro anestetizzato presente: “Dancing days: ’78/’79 i due anni che hanno cambiato l’Italia” e “’80, l’inizio della barbarie”.

Sempre oggi, ma alle 16, al Polo di Unife in via degli Adelardi 33, è in programma il seminario (aperto a tutti) dal titolo: “Tensione e distrazione: strategie per il controllo sociale”, nell’ambito del ciclo “l’Etica in pratica” organizzato dal prof. Sergio Gessi a integrazione del suo corso di Etica della comunicazione. A tenerlo sarà proprio il giornalista autore del libro-inchiesta che, a cinquant’anni dai fatti, rivela le verità nascoste di uno dei momenti chiave della storia repubblicana.

La misconosciuta vicenda oggetto del saggio di Paolo Morando fa riferimento ai due ordigni scoppiati a Milano il 25 aprile 1969, alla Fiera campionaria e all’Ufficio cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni della Stazione centrale, che provocarono una ventina di feriti. La tesi dell’autore è che si tratti del primo atto della campagna di attentati che pochi mesi dopo porterà a Piazza Fontana.
Anche in quella circostanza l’Ufficio politico della questura, fin dalle prime ore, punta verso gli anarchici. A condurre le indagini sono il commissario Luigi Calabresi e i suoi uomini, gli stessi che si troveranno nel suo ufficio la notte della morte di Giuseppe Pinelli, nome che nell’inchiesta spunterà di continuo, come quello di Pietro Valpreda, che già qui si profila come futuro capro espiatorio. Nel giro di pochi giorni vengono arrestati tre giovani (e altrettanti nelle settimane successive) e una coppia di noti anarchici milanesi, amici dell’editore Giangiacomo Feltrinelli, che pure verrà rinviato a giudizio assieme alla moglie. Due anni dopo, con un colpo di scena dietro l’altro, il processo chiarirà le dimensioni della macchinazione anti-anarchica innescata da quegli attentati. Una vicenda determinante per comprendere fino in fondo i misteri di Piazza Fontana. Un racconto serrato di una pagina nera per la giustizia italiana, da allora totalmente rimossa dalla memoria, che assume nuova luce grazie alla scoperta di documenti fin qui inediti.

DIARIO IN PUBBLICO
Sommerso dai ‘d/D’

Una particella del discorso che indica l’appartenenza mi assilla in questo momento. Va aggiunto anche la serissima inchiesta sulla ‘d’ minuscola o maiuscola: de Pisis o D’annunzio? La minuscola indicante la nobiltà del casato, la maiuscola invece negandola. Allora de Pisis, de Chirico, De Nittis, D’Annunzio (all’anagrafe d’Annunzio). E vai col tango e con i filologi!

Ma l’alluvione del de/De non si ferma qui e metaforicamente produce altri dubbi e interrogativi che si esprime in una fulminante e inquietante domanda. Ma noi (forma di pluralis maiestatis) a quale popolo apparteniamo? Le sardine?, il Pd?, a qualche altra formazione non sovranista? La domanda diventa ancor più imbarazzante quando si scatena il (falso) problema dell’illuminazione del Castello, ma soprattutto quello che viene chiamato con un’orrida immagine l’incendio del Castello. Apriti cielo! Cittadini virtuosi m’insultano rinfacciandomi che voglio affossare l’economia e negare a 30 mila innocenti l’innocuo piacere di danzare sotto l’incendio. Tanto cosa vuoi che produca? Qualche lesioncella, qualche caduta di merli (già avvenuta), qualche problema con i quadri in mostra frettolosamente emigrati in luoghi non incendiati. Sono proprio – mi sputano addosso con rancore ( e questo è il meno) – un radical chic! Mi portano l’esempio della Tour Eiffel. Mannaggia che paragone.

Perciò, sempre meno mi sento appartenente ai de/De. La misteriosa scomparsa su Fb del programma del popolo delle sardine ci dice, ma lo sapevamo, in che modo si può manipolare il social quando la decisione è presa. Ma scusate, popolo sardinesco, se rivolgo una obiezione al bel racconto di Francesco Monini su questo giornale (vai all’articolo). Giusto e saggio protestare, ma non avete pensato che tra tutti i colori del Castello forse il meno adatto è quel bel verde con cui è illuminato?

Così la particella d’appartenenza prende vigore e rilievo sul ruolo culturale che Ferara/Ferrara sta assumendo in questo momento. Ferrarese il ministro della cultura, ferraresi nomi importantissimi a capo delle istituzioni culturali, in un embrassons- nous di rara visibilità entro le mura della città pentastellata.

Modestamente esprimerò ancora una volta le mie preferenze. Ottima la mostra di imminente apertura su De Nittis anche se il mio cuore ( organo assai delicato) batte per altri pittori. E mentre il tempo scorre e non s’arresta un’ora, mi ficco a corpo morto nelle mostre guercinesche e sto pensando che il lavoro canoviano che stiamo portando avanti con fatica ma con soddisfazione a Bassano del Grappa è valso sacrifici e ‘magoni’, ma l’edizione delle lettere canoviane, la cui stampa sarà prodotta dal prossimo volume a Ferrara, continua a ritmo trionfale. E ancora una volta Canova vuol dire Leopoldo Cicognara, quel ferrarese Cicognara che riporta nella città estense i problemi e le sfide del centenario della morte- veneziana e non romana- dello scultore.

Così il d/De assume il suo vero senso. E’ l’appartenenza al lavoro umile e sublime di proseguimento e riconferma dell’unica eredità che ci è stata lasciata. Quella della difesa dei luoghi e delle istituzioni dove la Bellezza deve essere protetta e diffusa.

I DIALOGHI DELLA VAGINA
Sulle note del violoncellista…

La storia del violoncellista, pubblicata la settimana scorsa, ha mosso i nostri lettori: il violoncellista dà, non chiede più di quanto lui stesso potrebbe dare e si accorda con chi, dall’altra parte, suona la stessa sinfonia.

Equilibrio armonico e violoncello usa e getta

Cara Riccarda,
io ce l’ho, in questo momento, quel violoncellista ed esattamente come la tua amica, mi basta e non vorrei averlo in nessun altro modo, non mi manca quando non c’è ma assaporo ogni momento quando c’è. Il mio violoncellista mi basta perché so che non c’è niente da mettere in piedi e nemmeno lui si aspetta altro da me, è un equilibrio che si mantiene così: nel momento in cui qualcuno dei due aspetta l’altro, l’altro sparirebbe.
S.

Cara S.,
non aspettare e non aspettarsi, sta tutto lì. Di solito, è chi aspetta a portare un senso di incompiuto che non sempre manifesta per paura. Ho conosciuto donne che hanno custodito e consumato il peso di un amore a metà, come fosse un problema solo loro, fino a non poterne più e, dopo molto tempo, sparire. Mi fai riflettere che, però, anche l’altro può abbandonare quando sente che non ce la fa e non potrà mai: quando, cioè, essere l’oggetto di questa attesa è troppo.
Ricordo che, una decina d’anni fa, un’amica venne lasciata da un uomo che le disse ‘sto diventando troppo importante per te ed è meglio finirla qui’, all’epoca trovai questa frase prepotente. Oggi penso che quando uno dei due non si sente adeguato alle aspettative dell’altro, bene farebbe a lasciare andare.
Riccarda

L’importante? Esser d’accordo

Cara Riccarda,
hai descritto il violoncellista, un’esperienza che ogni donna, che sa stare sola ed è libera di testa, dovrebbe fare.
A.

Cara A.,
facciamo che l’esperienza del violoncellista capiti a quelle donne che sono attrezzate per sapere stare da sole, sono davvero libere di testa e mai riflesse nell’uomo che hanno davanti?
La storia del violoncellista sta capitando a una donna che non conosce la dipendenza e credo sia per questo che riesce a sostenere quel tipo di rapporto, così speculare a lei: ha scelto un uomo e una frequentazione in cui entrambi sono dotati degli stessi strumenti. Se solo uno dei due perdesse qualche accordo, non credo funzionerebbe.
Riccarda

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

Sardine: la fantasia e l’ironia contro l’oscuramento
Confermata la manifestazione di sabato sera in piazza Castello

Ieri sera era domenica sera. Non succede quasi nulla alla domenica sera (a parte qualche normale viadotto crollato). La sera del dì di festa si guardano i risultati delle partite o si apre un libro rimasto a dormire sul comodino: ci si prepara mentalmente alla ripresa della settimana. Che altro? Beh, naturalmente, si butta un occhio ai messaggi sullo smartphone. Arriva così la notizia dell’ oscuramento della pagina Facebook delle sardine. E all’inizio non riesci proprio a crederci. Non siamo a Hong Kong, in Iran o in Turchia. Poi leggi il comunicato ufficiale: la pagina (più di 150.000 followers) sarebbe stata temporaneamente rimossa a seguito di segnalazioni di post offensivi e violenti.

Seguo dalla data della sua creazione, dalla primo raduno ittico a Bologna in piazza Maggiore, la pagina incriminata e non mi è mai capitato di leggere post e commenti di insulti. Mi saranno sfuggiti? Eppure quello che colpisce nel popolo delle sardine è fantasia, la capacità di invenzione linguistica, la scelta di comunicare attraverso l’ironia e la satira. Scorrere la pagina è come entrare in un caleidoscopio, un’opera grafica collettiva. Guardare come questo piccolo pesce azzurro è stato rappresentato, moltiplicato, reinventato, sovraimpresso sull’immagine di questa o quella piazza d’Italia.

     

‘A pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina’, la celebre frase del Divo Giulio ha scalato con merito la classifica dei proverbi. Anche nel caso dell’oscuramento delle sardine viene da pensar male. Come è potuto succedere che una pagina tanto scomoda quanto ironica e pacifista possa essere incappata nella censura automatica di Facebook? E’ noto che Matteo Salvini ha a disposizione una potente macchina social (‘La Bestia’) dove il suo consulente d’immagine, lo spin doctor Luca Morisi  coordina 35 collaboratori lavorano sulla rete H24 per rafforzare l’immagine del leader leghista e affossare quella degli oppositori.

Il dubbio – è solo un’ipotesi ma per nulla strampalata – è che l’oscuramento delle sardine sia stato pianificato nel bunker mediatico leghista. L’impresa è un gioco da ragazzi, non abbisogna di un guru della comunicazione. Fase uno, si mandano alla pagina delle sardine commenti violenti e minacce assortite a Salvini. Fase due, (le stesse persone) segnalano alla equipe di Facebook tali commenti. Fase tre (in automatico), la pagina Facebook viene oscurata.

Tuttavia Il branco delle sardine si ingrossa ogni giorno di più. Riempie il mare e le piazze di tutta la penisola. Mette in scena una nuova opposizione al populismo, l’unica che c’è. O almeno, l’unica che fa paura a Salvini: Allora, non è troppo fantasioso pensare che tra le centinaia di migliaia di sardine cerchi di infiltrarsi qualche squalo. Opportunamente mascherato.

Sia come sia, la marcia sott’acqua prosegue, il popolo delle sardine sembra aver reagito al temporaneo oscuramento raddoppiando ironia e fantasia: combatterle è maledettamente difficile. Il calendario dei prossimi appuntamenti continua a ingrossarsi. A Ferrara, la roccaforte espugnata dalla Lega alle ultime elezioni, gli iscritti al gruppo Fb dedicato (e potenziali partecipanti alla manifestazione del 20 novembre in piazza Castello) sono già più di 9500.[vai al gruppo Fb Sardine Ferrara]

LA PIUMA
Una poesia di Carla Sautto Malfatto dedicata alla Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne

di Carla Sautto Malfatto

LA PIUMA

È una questione di equilibri.
Con una piuma per contrappeso
sostenere un intreccio di bambù spogli
le estremità taglienti
rigidi alle giunture, infidi.
Trovarvi il baricentro per ogni legno,
su questo posarvi altri,
reggerli, mentre si danza la vita
a piedi nudi e concentrata
a non perdere l’attenzione sui prolungamenti
farli girare, a perno, su di me
(e la piuma, sempre più lontana
ma ineludibile compensazione
di miserrimo peso, nemmeno un grammo).
Così, avanzare nel rischio continuo
elegante giocoliere con i calli alle mani,
domani, un’altra gravità, un nuovo legno
da aggiungere all’ultimo punto di forza,
continuare, gravida, del peso degli altri,
mai abbastanza, mai sazi.
Poi giungere al termine, per sottostimata soma,
appoggiarsi a valutare il tenue costrutto,
impalcatura sopraffina
di indicibile strazio e meravigliosa trama.
Se tolgo la piuma, tutto si schianta, fracassa
in un urlo solo e disumano,
se tolgo la piuma, tutta l’esistenza disgrega
nel mirabile intarsio di un’eternità,
tutto di me si seziona in verticale,
se tolgo la piuma – l’amore –
non c’è più una regina
non ci fu mai un re.

(Carla Sautto Malfatto – tutti i diritti riservati)

PER CERTI VERSI
Il calco leggero

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

IL CALCO LEGGERO

L’uomo è andato sulla luna
Ma la luna non è mai andata dentro l’uomo
Nella sua mente
È rimasta là
A impollinare gli occhi di meraviglia
A incrociare i desideri dei mortali
Ad affascinare i poeti
Gli innamorati
E quelli come noi
Annuvolati

Contro l’inverno delle biblioteche
Ferrara: si raccolgono le firme su una petizione popolare

Cambiano le stagioni – e cambia la Giunta – e oggi le biblioteche ferraresi rischiano grosso. Si può parlare, infatti, di una vera e propria emergenza, tanto che lo stesso sindacato si è fatto promotore di una petizione popolare ‘Per il rilancio delle biblioteche di Ferrara’.[vedi volantino in calce a questo articolo].Le firme si raccolgono:sabato 23 novembre, piazza Trento Trieste dalle 16,00 alle 19,00 e sabato 30 novembre dalle 16,00 alle 19,00 in via Garibaldi (vicino alla Feltrinelli).

Ma. per capire meglio i termini del problema, facciamo un passo indietro nella storia recente. Dopo una decina di anni piuttosto grigi, c’era stato ultimamente un risveglio di interesse. Due anni fa, proprio su questo giornale, peroravo la causa di ‘una nuova primavera delle biblioteche’ [vai all’articolo] mentre l’anno scorso registravo con favore la ‘riscossa’ delle biblioteche cittadine [vai all’articolo].

Sembrava insomma che, sul finire del mandato, l’’Amministrazione Comunale di Centrosinistra si fosse finalmente convinta che il sistema bibliotecario diffuso non era solo un tesoro prezioso da non disperdere, ma un campo da seminare a nuovo, un settore cruciale su cui riprendere a investire, un modo concreto per promuovere conoscenza e cultura e allargare gli spazi della democrazia e della partecipazione. C’era e c’è ancora molto da lavorare – e anche allora non risparmiavo critiche ai vecchi governi di Ferrara per aver a lungo tralasciato l’impegno per lo sviluppo del sistema bibliotecario – ma nell’ultimo scorcio del mandato di Tiziano Tagliani si vedevano  con chiarezza i segni di un risveglio. La fine dei lavori e l’inaugurazione della Niccolini, la bellissima nuova biblioteca per ragazzi, l’ambizioso progetto di una ‘Grande Biblioteca Rodari’ alle Corti di Medoro, l’impegno più o meno solenne a non diminuire, anzi ad aumentare il numero dei bibliotecari e operatori comunali, più soldi per l’acquisto del materiale documentario.

Avevo anche proposto, insieme a un folto gruppo di amici appassionati, la creazione di una biblioteca multietnica dalle parti del Grattacielo: per affrontare i problemi di quella zona aprendo uno spazio per il dialogo e l’incontro, invece di affidarsi ad una ‘soluzione militare’ [vai all’articolo]. Anche questo sogno si è recentamente avverato. Si è costituita l’associazione culturale ‘Biblioteca Popolare Giardino’ con più di 100 iscritti e la vecchia Giunta ha concesso in uso gratuito un negozio proprio ai piedi del Grattacielo. Così lo scorso maggio la biblioteca è diventata realtà. Una cinquantina di volonterosi volontari la tengono aperta al pubblico e organizzano decine di iniziative culturali e ricreative per adulti e bambini. Proprio qualche giorno fa la BiblioPopGiardino ha festeggiato i primi sei mesi di vita con una affollata castagnata.

Pareva quindi profilarsi un roseo orizzonte per le biblioteche di Ferrara. Purtroppo il clima è cambiato bruscamente: sta arrivando un inverno pieno di nuvoloni neri, tanto che Il nostro sistema sistema bibliotecario rischia nei prossimi mesi il collasso.  La petizione popolare (ad oggi sono state già raccolte oltre 500 firme) indica tre criticità e, insieme tre obbiettivi.

Pima di tutto, l’emergenza personale.  Anche per effetto di Quota Cento, a partire di quest’anno e nel corso del 2020 sonio previsti 10 pensionamenti, un quinto dell’intero personale addetto a biblioteche e archivi. Se non fosse garantito il turn-over integrale, l’assunzione di nuovi addetti al posto di tutti i pensionandi – e la Giunta di Alan Fabbri non ha ancora preso nessun impegno in tal senso – tutto il sistema andrebbe in tilt. Le biblioteche pubbliche rischiano la chiusura, o dovrebbero ridurre drasticamente  le ore giornaliere di apertura (e basta girare per l’Italia per vedere che già ora Ferrara non è certamente in cima alla classifica per ampiezza di orario).

In secondo luogo, la petizione denuncia il dietrofront del governo leghista sulla creazione della “Grande Rodari” e ne chiede con forza la realizzazione. La vecchia Giunta aveva stabilito che al piano terra delle Corti di Medoro (l’ex Palazzo degli specchi) sarebbe sorta una grande e moderna biblioteca per servire la zoa Sud di Ferrara dove risiedono 40.000 abitanti. Al posto della biblioteca e dell’auditorium, il sindaco Alan Fabbri ha deciso di ospitare il nuovo comando dei vigili urbani. Il progetto della grande biblioteca sembra accantonato: nessuna altra localizzazione è stata avanzata dal Comune. Allora “dove leggo?”, scrive il volantino dando voce agli abitanti di via Bologna.

Ma non basta assicurare il mantenimento della pianta organica e riprendere il progetto di una grande biblioteca nella zona Sud, la mozione chiede (prima di tutto al Consiglio Comunale e alla Giunta che secondo regolamento dovrà rispondere alle questioni sollevate dai firmatari) un vero rilancio del sistema bibloteche a Ferrara. Invece di chiudere una porta, occorre aprirne tante altre. Pensare alle biblioteche pubbliche come a un motore della democrazia informativa, come dei centri – disseminati in tutti i quartieri – dove offrire servizi e favorire l’incontro, il dialogo, la cittadinanza attiva.

Mentre scrivo questo articolo, un amico bibliotecario della Bassani di Barco telefona per dirmi che l’auditorium annesso alla biblioteca è stato chiuso sine die per inagibilità. Sul Carlino leggo che sindaco e vicesindaco insistono per chiudere piazza Verdi con un cancello anti-movida. Non tira una bella aria in città: le chiusure prevalgono sulle aperture. E le biblioteche? la petizione popolare chiede ai ferraresi di fare un passo avanti e alzare una mano.

Un castello stile luna park

Gentile Presidente Paron,

accolgo il suo invito, lanciato dalle pagine della cronaca cittadina, a pronunciarsi sulla scritta pubblicitaria apparsa sulle torri del Castello tinto a festa per le sagre natalizie. Dal fondo della memoria risale una filastrocca che noi bambini eravamo usi cantare nelle immancabili visite al monumento più famoso (ma sicuramente non il più bello) della nostra città: “Ma che bel castello marcondirondirondello / Ma che bel castè marcondirondirondà”…
Dove, misteri del caso, il refrain della filastrocca porta il nome dell’assessore alla cultura.
Rispetto all’attenzione a cui sono stati e forse saranno gli edifici più importanti della città estense, il Castello da secoli è sottoposto ad infiniti rimaneggiamenti e ‘stupri’ che lo hanno reso architettonicamente e artisticamente illeggibile. Un luogo da parata, direi, usato per tremende manifestazioni: dall’improvvido incendio, mai abbastanza deprecato, ai manti – più o meno – regali che indossa per ospitare mostre e rassegne, ben più attendibili in altri luoghi. Resta il segno/sogno del popolo ferrarese sempre affascinato dall’idea di entrare nel Castello.
Ma anche al cattivo gusto c’è un limite. E i lividi coloracci con cui lo si fascia conciandolo così per le feste superano ogni pretesa o lontano sospetto di buon gusto. Ricordo ancora l’entusiasmo che noi dell’équipe convocata da Gae Aulenti spendemmo per quella che mio avviso rimane il più importante tentativo di ‘rinnovare’ l’immagine del Castello (le vituperate piramidi di specchi per vedere i soffitti, paragonate da illustri critici d’arte a qualche escamotage degno di pensioni di terz’ordine della costa romagnola); poi s’arrivò a spostare a braccia i quadri per permettere la buffonata dell’incendio.
Che dire dunque della scritta e dei colori con cui s’ammanta il monumento? Boh! Niente di più tremendo di ciò che si fa e si farà del bel Castello dirondello.
Quindi esprimo tutta la mia – peraltro condivisa – preoccupazione riguardo all’intenzione della dottoressa Paron di trasformare il simbolo della città in un giochino buffo e colorato per soddisfare i bambini-spettatori che vogliono entrare nel ‘bel’ Castello.
Come mi disse un tempo un caro amico e illustre studioso ciò che manca a Ferrara è la competenza. La competenza di gestire i tesori che nonostante tutto abbiamo.

Stop all’odio: ricostruiamo un fronte di civiltà

da: Alessandra Tuffanelli

Non posso che condividere il contributo di Sergio Gessi. Nei contenuti e nei toni. Durissimi, quanto necessari. Da tempo sono sempre più disgustata dal livelli infimi raggiunti dal dibattito politico nel nostro paese e nella nostra città. E questo recente episodio è solo l’ultimo, orribile, raccapricciante, intollerabile atto di una commedia dell’assurdo che mai mi sarei aspettata di vivere fino ad una manciata di anni fa.

“Più giù di così / Non si poteva andare / Più in basso di così / C’è solo da scavare / Per riprendermi / Per riprenderti / Ci vuole un argano a motore” (Daniele Silvestri, Salirò)

Parole, quelle scritte da Giangi Franz, inaccettabili, intollerabili. Che mi fanno domandare da chissà quale remoto anfratto della mente umana può scaturire un così profondo e ingiustificato livore nei confronti di perfetti sconosciuti, colpevoli solamente di essere state vittime di una tragedia. “Nessuna compassione per Venezia o per i veneti. Il Veneto è la regione con la più alta evasione fiscale” ha affermato, scrivendolo sul suo profilo Facebook. Ma siamo proprio sicuri che le persone decedute per il maltempo in Veneto, così come i loro familiari che ora li stanno piangendo, fossero degli evasori? Dei delinquenti? E anche lo fossero state, quale enorme somma dovrebbero aver occultato per meritarsi di pagare con la vita? Che responsabilità hanno avuto nel processo di cambiamento climatico imputabile del fortunale scatenatosi contro migliaia di persone che, in una manciata di minuti, han visto spazzare via tutto quanto avevano realizzato in una vita di sacrifici e di lavoro. Case, attività. I ricordi più cari. Io che mi ritengo una persona assolutamente normale, non particolarmente nota come campionessa di bontà, non posso che provare tanta tristezza ed empatia per i fratelli veneti, così per tutti gli altri italiani colpiti, da nord a sud, da questi eventi disgraziati. Le responsabilità? Certo che esistono. Andranno individuate e i responsabili, in caso di colpe accertate, duramente perseguiti e condannati. Ma non ora. Ci sarà un tempo e un modo anche per questo. Ora è il momento della solidarietà, di un unico forte abbraccio che ci unisca tutti. Dell’aiuto disinteressato e delle manifestazioni di affetto sincero.

Se c’è un aspetto positivo in tutta questa triste vicenda, se ci sono degli eroi veri e vincenti, questi sono gli studenti che da tutta Italia si sono mobilitati per portare aiuto alle persone in difficoltà, donando tutto ciò che hanno a disposizione: la loro presenza materiale, la forza delle loro braccia, la loro volontà e instancabile determinazione. Una meravigliosa catena umana che si è costituita spontaneamente e che mostra quanta bellezza ci sia nei nostri giovani: sarà solo grazie a loro se ci sarà un futuro e che loro potranno fare bene laddove noi abbiamo fallito. Davanti a questo esempio di generosa umanità noi abbiamo solo da tacere rispettosamente, guardare e imparare la lezione.

Alla luce di queste riflessioni le parole del professor Franz appaiono ancora più fastidiose. Ingiustificatamente crudeli. Così come sarebbero fastidiosi quei due euro che ha promesso di donare utilizzando un tono talmente irriverente. Per cortesia, se li tenga. Chiunque li dovesse ricevere non potrebbe che sentirsi insultato ed umiliato e sono convinta che preferirebbe farne a meno. Ma, se mi han tanto deluso le sue esternazioni, ancora più doloroso è stato leggere le tante manifestazioni a difesa delle sue crudeli parole, provenienti da tanti amici e conoscenti, persone appartenenti a quella fetta di società che si definisce sinistra progressista e che ogni giorno si batte contro la presenza dei cosiddetti haters in rete. Signori, oggi che gli haters siete voi, in virtù di un odioso e ingiustificabile campanilismo senza senso, come la mettiamo? L’odio, gli insulti, le minacce, la mancanza di pietà e di empatia fanno schifo, vengano queste da sinistra come da destra, dal basso o dall’alto, da nord o da sud. Facciamo tutti un passo indietro per favore. Moderiamo i termini, abbassiamo i toni. Scusiamoci – sinceramente – laddove abbiamo consapevolmente ferito qualcuno. E contiamo fino a 10, 100, 1000 la prossima volta, prima di colpire. Impegniamoci tutti facendo un passo verso la direzione della civiltà. E firmando la petizione “Basta odio in Rete – #ODIARETICOSTA” (vai al link) che ha già raccolto quasi 50mila adesioni. Ma facciamola crescere ancora. È estremamente importante, perché più siamo, meglio è. Costruiamo insieme un enorme fronte enorme di civiltà e di umanità. In modo che possa essere abbattuto mai più.

E quindi ritorniamo da dove eravamo partiti, dal buon Daniele Silvestri: “E resto qui distrutto / Disperato ancora un po’ / Ma prima o poi ripartirò / E salirò …”

Sardine sì, ma anche delfini e salmoni

 

Sardine… E chi se lo sarebbe mai immaginato? L’irrompere sulla scena politica di questo originale, inatteso e ancora magmatico soggetto aggregativo, che raccoglie il sentimento di una sinistra diffusa ma dispersa e orfana di rappresentanza, potrebbe ricreare uno spazio di espressione plurale per chi, oggi, voce non ha (e, solitario, al vento sino a ieri ha affidato il proprio lamento).

La novità, come tale, genera speranze e grandi attese (proporzionali alle tante frustrazioni patite negli ultimi anni); e insieme pure dubbi e ragionevoli timori, in considerazione dei rischi e delle incognite di cui la sfera pubblica è zeppa, nonché dell’imbarbarimento e della degenerazione delle relazioni sociali.

Ecco, allora, alcuni basilari avvisi ai naviganti, utili forse per sventare qualche ostacolo e magari favorire un positivo approdo per le prossime imprese alle quali le sardine s’apprestano.

L’avvertenza preliminare e procedurale, ad uso di coloro che, idealmente, si porranno ‘in testa ai cortei’, quali registi delle mobilitazioni, riguarda i rischi del settarismo, malattia infantile della sinistra, mai debellata: le pratiche inclusive, che sempre e giustamente si invocano quando si tratta di condannare le discriminazioni sociali, andranno coerentemente praticate anche in casa propria. Sarà, quindi, indispensabile essere rispettosi e tolleranti pure con il compagno di lotta (la sardina dell’onda accanto), al quale invece – come la più ‘sinistra’ storia della sinistra tragicamente insegna – spesso non si perdona neppure una divergenza sulle virgole… Serve, dunque, una ragionevole flessibilità: se la direzione di marcia è condivisa, sulle variabili di percorso ci si deve rispettosamente saper confrontare, accettando anche il dissenso (sissignori: pure quello interno, così indigesto a taluni), purché non si perda di vista la meta. La prima condizione di successo di questa inedita sfida che le sardine intraprendono sta quindi nel forzare alcune paratie, proprie degli apparati, che hanno perniciosamente condizionato anche la forma mentis di molti militanti e conseguentemente le loro modalità di azione e di relazione.

Innovativo sarebbe il reale pieno riconoscimento della dignità di espressione a tutte le diverse anime che compongono il diffuso e variegato arcipelago della sinistra: egualitaria, libertaria, solidale, pacifista, nonviolenta, ambientalista, ecologista, animalista, antiproibizionista, inclusiva e non omofoba…
È, questa, una condizione imprescindibile, poiché troppo spesso il battito della sinistra è stato -paradossalmente – soffocato proprio dall’intolleranza e dal settarismo.

Per quanto specificamente attiene alla nuova impresa, le sardine che hanno cominciato a invadere le piazze sono imprescindibili: per istinto naturale garantiscono la compattezza. Ma – stando alla metafora ittica – la loro massa d’urto deve essere potenziata da ‘delfini sapiens’, capaci di navigare nei mari aperti e in acque agitate; e pure da salmoni caparbi, in grado anche di nuotar controcorrente – non per posa, ma quando è giusto e necessario – sfidando il pensiero dominante, i luoghi comuni e le facili illusioni. C’è dunque da augurarsi che fra le sardine via siano anche esemplari di queste differenti specie.

Sardine sì, dunque: per il loro entusiasmo, lo slancio gioioso e giocoso, la capacità di trascinamento e di fare compattamente squadra. Consapevoli però – va ribadito – che la vivace forza del branco va sostenuta dall’intelligenza dinamica e dalla sagacia tattica che si attribuisce al delfino; nonché dall’attitudine a sfuggire i luoghi comuni e le soluzioni scontate, propria del salmone di razza (diffidando dalle tristi e perniciose imitazioni che sovente si infiltrano).

Infine – ma non per ultimo – programmaticamente sarà onesto, doveroso e aggregante dichiarare, oltre a “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo”, anche quale idea di convivenza sta a fondamento dell’impresa. E’ necessario, quindi, al più presto, quantomeno tratteggiare pure la ‘pars costruens’, per delineare i tratti del mondo nuovo: i valori che lo sorreggono e il modello di sviluppo auspicato. Schierarsi ‘contro’ è utile ma non basta. È indispensabile chiarire anche ‘per’ cosa ci impegniamo.

E intanto vediamo se, anche a Ferrara, arriva l’onda…

INTERVENTI
Il rispetto delle Istituzioni

da: Francesco Rossi

Gentile Direttore,
recentemente il Presidente della Provincia, la dottoressa Barbare Paron, è stata fortemente criticata per aver abbandonato la cerimonia celebrativa del 4 novembre al momento in cui il rappresentante del Comune, l’Assessore Naomo Lodi, si accingeva a pronunciare il proprio discorso.
In particolare è stato da più parti rimproverato alla Paron il fatto che essa abbia mancato di rispetto alle Istituzioni (Stato, Forze Armate,Bandiera Italiana, Comune di Ferrara, Associazioni Combattentistiche) avendo essa voltato le spalle al Comune in concomitanza dell’intervento del suo Assessore.
Sembrerebbe, quello della Paron, un comportamento del tutto censurabile se non tenessimo distinte le Istituzioni dalle persone fisiche che, nell’occasione, le rappresentavano.
Da come è stato riportato nelle cronache, il Presidente Provinciale, ben lungi dal voler mancare di rispetto alle Istituzioni, è correttamente intervenuta alle celebrazioni per poi allontanarsi, scusandosi preventivamente con il Signor Prefetto, non perché avesse qualche linea di febbre, ma perché la persona che prendeva la parola in quel momento non era meritevole.
Ed allora io mi chiedo chi abbia mancato di rispetto alle Istituzioni: il Presidente della Provincia oppure il Sindaco di Ferrara che, negandosi alla cerimonia, si è fatto sostituire -tra i tanti assessori disponibili- proprio da quello che non più tardi di un anno prima con la nostra bandiera ci si è pulito i fondelli (metaforicamente parlando).
Tant’è vero che alle celebrazioni dell’eccidio del 15 novembre 1943, lo stesso Sindaco è intervenuto di persona accompagnato da altro assessore.
Lascio la risposta all’intelligenza di ciascuno di noi: personalmente penso che la Paron abbia dato concreta sostanza alla forma con un coraggio che, mi dispiace dirlo, non ho visto nella sua stessa area politica di riferimento (che poi è anche la mia).

Il boom degli indici di borsa e la distanza tra finanza e vita reale

La Borsa di Milano ha toccato nell’ultima settimana il massimo dell’anno a 23.829 punti che, sebbene sia meno della metà dei 50.109 punti toccati a marzo del 2000, delinea una corsa che vede un aumento percentuale dell’indice di circa il 28%. Meglio del 24% annuo di Wall Street e dell’ottimo 25% annuo raggiunto dalla Borsa di Francoforte.

Listini borsistici in aumento mentre però cala tutto il resto. Il Pil europeo, per esempio, ha visto un ridimensionamento notevole nelle previsioni di crescita per il 2020, passando dall’1,7% ad un più modesto 1%. Gli Usa caleranno invece, per lo stesso anno, dal 2% al 1,8%.
Il Fondo Monetario Internazionale stima una crescita del Pil italiano nel 2020 dello 0,5% nonché un rallentamento generalizzato del Pil mondiale, soprattutto per quanto riguardo il “gruppo dei 4” (Usa, Zona Euro, Cina e Giappone) e almeno fino al 2024.

Anche l’Ocse fa la sua parte e calcola il Pil mondiale in discesa dal previsto 3,2% al 2,9% nel 2019 e dal 3,4% al 3% nel 2020. Quello della Germania viene dimezzato nel 2020 dall’1,2% allo 0,6%.
A causa poi delle tensioni commerciali il Wto (Organizzazione mondiale del Commercio) prevede volumi dell’interscambio mondiale di merci in calo rispetto alle attese. Per il 2020 un più 2,7% contro il precedente 3%. Ovviamente a meno che le relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina si normalizzino, il che è difficile ma non impossibile.
In Italia, a fronte del 28% di aumento della Borsa di Milano, calano le prospettive occupazionali a causa del sempre più possibile spegnimento degli altiforni dell’ex Ilva e delle centinaia di crisi aziendali ancora da risolvere e non aumentano gli stipendi, che nonostante le dichiarazioni degli esponenti dell’attuale Governo, sono ancora fermi agli anni ’90 del secolo passato, come ci dice l’Ocse

Certo, sono i salari medi e quindi non sarà per tutti così, come mostrano i dati sulla disuguaglianza sociale. Per fortuna però in Europa ancora resiste un modello economico basato sulle politiche di intervento pubblico che si oppone agli attacchi dell’austerità e ci permette di avere situazioni meno estreme di quelle che bisognerebbe affrontare negli Stati Uniti o nei Paesi dell’Est Europa.
Resistono, a fatica, la sanità pubblica, le pensioni e la scuole per tutti, come sottolinea uno studio sulle disuguaglianze del maggio scorso del World inequality database (Wid), un network di un centinaio di ricercatori che fa capo a Thomas Piketty, autore del bestseller “Il capitale nel XXI secolo”.
I successi delle borse indicano uno scollamento totale tra la vita reale e l’andamento finanziario. Uno scollamento dalle conseguenze inesplorate e ad oggi misteriose. Non possiamo far altro che evidenziarne il lato statistico e grafico essendo oramai totalmente incapaci di operare analisi che possano arrivare oltre il cuore e il sentimento momentaneo delle persone. Cosa potrà realmente e finalmente spingere l’essere umano verso la logica interpretazione degli eventi e riconnettere la dicotomia che si è creata tra il bisogno umano e quello che invece prospettavano i banchieri della Jp Morgan negli anni ’80, ovvero il passaggio dalla cultura del bisogno a quella del desiderio, rappresentato oggi dagli indici di borsa? Personalmente lo ignoro.
Possiamo guardare in televisione il sogno a portata di mano per tutti ed identificarci nella realizzazione del desiderio che ne rappresenta, la crescita del nostro portafoglio del 28% in un anno. Più denaro anche per noi per soddisfare il nostro sogno nel cassetto, peccato però che quel grafico non rappresenti la nostra realtà. Siamo sul canale sbagliato.

I DIALOGHI DELLA VAGINA
Il violoncellista, storia di una sinfonia

È un matematico ma lei lo vede come un artista, capace di accordarsi dentro di lei. Mi scrive un’amica, anticipandomi che mi deve parlare di un violoncellista, non le viene altro per citare quell’uomo che incontra di notte e che quando la chiama dopo un lungo viaggio, le chiede se si è scordata di lui. E scordare è un verbo che parla di cuore.
“Non è un amore a metà, mi sazia talmente che non oso chiedere di più, lui non sparisce mai, risponde sempre, il tempo lo trova, ma sa benissimo in che momento sono e non pretende ciò che non posso dare, che poi è quello che lui non può dare a me e che, per la verità, neanche voglio”.
Io le chiedo come sia possibile e come fa a non cadere nell’effetto opposto, nella bulimia di quando ci stai troppo bene con una persona e allora vorresti ancora, vorresti subito, vorresti oggi e domani insieme.
Mi viene in mente L’animale morente di Philip Roth quando lui, il professore, l’intellettuale famoso e non più giovane, vuole oltre ogni limite la giovane Consuela, che già frequenta con passione e attenta osservazione, e pensa “non riesci ad avere ciò che vuoi nemmeno quando riesci ad avere ciò che vuoi”.
Insisto nel volere capire come può bastarle questa tensione, come fa ad assaporare anche il contrario del loro stare insieme notturno e imprevisto, a cosa bisogna arrivare per starci dentro senza guardare fuori da un rapporto così.
Lei ride, ne ha sicuramente passate più di me: “Lui è quello che sa che uno strumento non si può battere troppo perché rovinerebbe la sinfonia, l’accordo con me”, spiega, “mi suona corpo e mente con sapienza, mi raggiunge ovunque sono per fare l’amore mettendo dedizione e generosità, ma la regola che ci governa è sceglierci liberamente”.
La mia amica sta partecipando a un banchetto e si sazia solo di ciò che la soddisfa, il resto via.

Vi è mai capitato un amore così? Un amore che basta a se stesso, non pretende e riempie lo stesso?

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com