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1 ottobre 1940, Valle Isola, Ferrara. La località Casone Gaiano, protagonista di un eccezionale rinvenimento durante lavori agricoli, viene segnalata dalla Soprintendenza Archeologica dell’Emilia e Romagna al commissario prefettizio di Comacchio, per assicurare ai preziosi reperti la migliore sorveglianza. Gli antichi testimoni di un tempo lontano non possono correre il rischio di sparire per sempre.

E’ così che le due imbarcazioni monossili, di età tardoromana, vengono lasciate nel luogo del ritrovamento e ricoperte con il circostante terreno argilloso. La cattiva stagione è infatti impellente e sarebbe più saggio procedere con i lavori in primavera. La località è già stata bonificata da oltre dieci anni, e al momento appare come una campagna coltivata a cereali. Non entrambe le piroghe, tuttavia, sono state scavate interamente: una quasi del tutto, l’altra invece, posta accanto, è visibile soltanto per un fianco, poiché coricata su un lato. Nonostante qualche inevitabile danno causato dagli operai che le hanno scoperte e scavate con i mezzi di cui dispongono, in occasione dei lavori per un canale artificiale, queste mostrano di trovarsi in buono stato, e si riesce perfino ad apprezzare l’accuratezza della lavorazione interna. Giunto il mese di maggio, dunque, ma del 1942, il pericolo che le imbarcazioni stanno correndo, ancora sepolte, risulta sempre maggiore. Un anno è già passato a vuoto, e se la notizia dovesse diffondersi, o se qualcuno inavvertitamente le ritrovasse a sua volta, rischierebbero di divenire legna per camino. Bisogna intervenire. La Soprintendenza divulga al Ministero dell’Educazione Nazionale le proprie preoccupazioni, chiedendo esplicitamente fondi per un tempestivo recupero, ma sarà il Museo Nazionale delle Origini di Taranto, nell’estate seguente, a rendersi disponibile per le spese di scavo e recupero, a una condizione: le due imbarcazioni devono risalire all’età preistorica. Non solo, perché dopo i lavori una di queste dovrebbe andare proprio nel museo pugliese. Vengono così condotti, in men che non si dica, dei saggi in loco, ma il fiato rimane sospeso per poco. Nello strato sottostante le monossili, sono presenti delle conchiglie dell’antico fondo vallivo che circondano un frammento di anfora tardoromana. Ciò vuol dire che le imbarcazioni devono per forza essere di quel periodo. L’autunno incombe, e le barche sono tuttora lì. Le sollecitazioni continuano a essere inviate, ma ancora nessun fondo per l’estrazione, il recupero, il trasporto a Ferrara e il necessario restauro. Arriva dicembre, stessa situazione, ma almeno la sorveglianza sul luogo incriminato è garantita dalle forze dell’ordine. Il nuovo anno giunge, siamo nel 1943. Si scopre che l’imbarcazione più grande ha subito dei danni: qualcuno ne ha asportato una parte. Tempestivamente vengono intraprese ulteriori iniziative di protezione – più sabbia sui reperti – ma è troppo tardi per organizzare un intervento completo adesso. L’Italia è in guerra e fino al 1945 la situazione non può essere smossa. Bisognerà attendere gli anni immediatamente successivi per sopralluoghi atti a verificare che nessuno abbia più toccato i preziosi manufatti, e finalmente nell’aprile del 1948 si programmano il loro scavo e trasporto verso il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, già ospitato nel Palazzo Costabili. Il tutto avverrà il mese dopo, ma una sorpresa non gradita attende gli scavatori. Soprattutto la piroga più grande si rivela in uno stato peggiore del previsto, poiché altri scoprimenti e reinterri si sono succeduti. Senza contare l’allagamento che la zona ha subito negli ultimi due anni di guerra. Ma ora non c’è più da aspettare. Le monossili vengono imbracate e dopo anni di stazionamento in ciò che rimaneva di una antica officina navale, giungono infine a destinazione, per raggiungere ad agosto la collocazione attuale nella sala al pianterreno.

Come traccia del ruolo di punta esercitato dalla nostra terra nel campo della navigazione, le piroghe ci ricordano anche la perduta talassocrazia – dominio sul mare – che l’antica Spina, la città antenata di Ferrara, esercitava incontrastata sull’Adriatico, tra commerci e protezione dai pirati.

 

Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
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Ivan Fiorillo

“Lo Scettico”: un divulgatore non convenzionale alla ricerca della verità.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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