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Nasce il Comitato Ferraresi Uniti per liberare il Centro Storico da Auto e Furgoni

Da: Organizzatori

A fine agosto scorso un piccolo gruppo di cittadini decide di creare un gruppo Facebook dedicato all’incredibile e inaccettabile aumento degli attraversamenti e delle soste ‘sregolate’ all’interno della ZTL del centro storico di Ferrara e, in particolare, di Corso Martiri della Libertà, Piazza Trento e Trieste, Piazza Castello e le vie adiacenti al cuore della città.

Il gruppo Facebook Ferraresi Uniti per liberare il Centro Storico da Auto e Furgoni in nemmeno due mesi raggiunge il sorprendete risultato d= oltre 1.700 adesioni da parte di cittadini, residenti nel centro storico, ma anche nei quartieri esterni, nelle frazioni, da Boara a Quartesana, fino a residenti nel Comune di Santa Maria Maddalena.

Cosa è successo? Da anni i cittadini assistono ad un aumento degli attraversamenti delle strade centrali della Zona a Traffico Limitato e, soprattutto, a causa dell’aumento esponenziale del commercio online, ad un aumento della presenza di furgoni e camion per le consegne espresso. Ma dalle elezioni amministrative del giugno scorso e dall’insediamento della nuova Giunta del Sindaco Alan Fabbri si è cominciato a vedere, giorno dopo giorno, un aumento di comportamenti inaccettabili da parte di cittadini muniti di permessi vari che, con dispregio delle più elementari norme di comportamento civile, parcheggiano in ogni punto del cuore cittadino, sagrato del Duomo e listone compresi. Di colpo Ferrara sembra tornare agli anni ’70, quando si poteva parcheggiare ovunque. La nuova amministrazione, già dai primi di luglio, fra le prime decisioni assunte sospende l’entrata in vigore del nuovo regolamento degli accessi e delle soste nella ZTL prevista proprio per il luglio 2019, anche se approvato dal Consiglio Comunale nell’estate del 2018, con Tiziano Tagliani sindaco. Da quel momento un numero sempre crescente di ferraresi inizia a considerare di libero accesso il centro della città, parcheggiando ad ogni ora e in ogni spazio disponibile fra il Teatro Comunale e la Loggia di San Crispino, compreso lo spazio davanti al Mausoleo dei Caduti, sul fronte di piazza Trento e Trieste.

Mentre in tutto il mondo le città più avanzate investono in piani, in programmi e in progetti per liberare la città dalle auto, ivi comprese le auto meno inquinanti, a favore di una mobilità sempre più dolce ed ecologica, basata su pedonalità, ciclabilità e mezzi pubblici, a Ferrara si sta rapidamente tornando a situazioni che solo i più anziani ricordano, con un peggioramento della qualità della vita, un aumento del rumore e del congestionamento del centro storico e un abbassamento della già bassa qualità dell’aria, con rischi crescenti di incidenti e rischi per la salute di tutti noi.
Il comitato Ferraresi Uniti per liberare il Centro Storico da Auto e Furgoni, presieduto da Silvana Trabanelli, che con Maurizio Bruni aveva dato vita all’omonimo gruppo Facebook si è riunito due volte. Una prima, a fine settembre, presso il Centro Sociale Acquedotto e ieri sera presso la Factory Grisù, per decidere le azioni da mettere in campo così da sensibilizzare la cittadinanza e le forze politiche, sia di maggioranza che di opposizione.

Fra le prime iniziative che si è deciso di prendere vi sarà una lettera appello da indirizzare al Sindaco e agli amministratori, al Prefetto, al nuovo comandante dei vigili urbani, ma soprattutto da indirizzare al Ministro dei Beni Culturali, alla Commissione Nazionale UNESCO, a Italia Nostra e alle associazioni che da sempre si mobilitano per l’ambiente, la sostenibilità, la mobilità e la ciclabilità. Nelle prossime settimane altre iniziative saranno prese ed attuate, compresa la partecipazione ad eventi promossi da altri soggetti sullo stesso tema.

Cinque premi internazionali per la casa editrice ferrarese “Faust Edizioni” di Fausto Bassini

Da: Organizzatori

472 gli autori in lizza, anche da Germania, Francia, Inghilterra, Spagna e Arabia Saudita.

Domenica 27 ottobre alle ore 10, nella suggestiva cornice del Teatro Ballarin di Lendinara (Rovigo), davanti a un folto e interessato pubblico, si è svolta la cerimonia di premiazione del Concorso Letterario Internazionale “Locanda del Doge” 2019, mirabilmente condotta dalla sua ideatrice e organizzatrice, la giornalista Angioletta Masiero, presidente di giuria. Il prestigioso evento è stato patrocinato, tra gli altri, dalla Regione Veneto.
Su 472 autori in gara (di cui 12 della Germania, 5 della Francia, 8 dell’Inghilterra, 4 della Spagna, 2 dell’Arabia Saudita), con i loro volumi divisi nelle quattro sezioni previste dal bando (narrativa edita, saggistica edita, poesia edita, poesia inedita), la casa editrice ferrarese “Faust Edizioni” di Fausto Bassini ha fatto incetta di riconoscimenti: ben cinque.
Il Premio ‘Poesia Giovani’ è andato alla quattordicenne bondenese Sofia Ilacqua, studentessa del liceo Ariosto di Ferrara, per la sua opera d’esordio “Universo di noi” (pubblicata nella collana di poesia ‘Arbolé’, si fregia della prefazione del conterraneo Roberto Casini, storico autore musicale di Vasco Rossi e di altri grandi artisti).
Il Premio ‘Narrativa Giovani’ è stato sollevato da un’altra esordiente di 14 anni, Valentina Lucchiari Paglierini, originaria di Trecenta (Rovigo) e studentessa dell’istituto Primo Levi di Badia Polesine, per il libro ‘Pensieri sospesi’ uscito nella collana di narrativa ‘I nidi’.
Il Premio ‘Jessie White Mario’, dedicato alla memoria di un’importante reporter anglo-italiana (sepolta a Lendinara), cui a metà Ottocento venne rifiutata l’iscrizione alla Facoltà di Medicina in quanto donna, è finito proprio nelle mani di una donna medico: la versatile studiosa ferrarese Daniela Fratti, autrice di “Per le vie di Ferrara. Edicole devozionali mariane e simboli religiosi” che ha visto la luce nella collana di arte ‘Centomeraviglie’, con la prefazione della professoressa Diane Yvonne Ghirardo della University of Southern California.
Il Premio ‘Nuova Tribuna Letteraria’ è stato assegnato dall’omonima rivista, in collaborazione con il Concorso stesso, all’intramontabile “La Ferrara segreta. Storie che non sai” del documentarista e saggista ferrarese Paolo Sturla Avogadri (prefazione del professor Alessandro Roveri), inserito nella collana di storia ‘Historiando’ e giunto ormai alla sesta edizione.
Infine Riccardo Modestino, medico-scrittore ferrarese, nella veste di Presidente della stimata Associazione De Humanitate Sanctae Annae, ha ritirato il terzo premio nella sezione Saggistica (su 200 opere presentate) per il volume “Lo Sport e la Storia. Educazione motoria e medicina sportiva in Italia” (pubblicato nella collana ‘Historiando’), al quale hanno collaborato, oltre allo stesso, una cinquantina di autori di valore sia nazionale che internazionale.

PER CERTI VERSI
Uno squarcio nel cielo

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

UNO SQUARCIO NEL CIELO

Una striscia
Una bava di lumaca furente
Il cielo è inscritto
Da pancia di balena azzurra
Uno sgorbio di Fontana
Un taglio cesareo per la notte infanta
Del suo regno agli albori
Ma resta della bava il tossico scarico in preda al vento siderale
Dentro ai nostri luoghi persi e così segnati
Senza un segno
Visibile
Che non la certezza nuda di una guerra

Disinnescare le clausole Iva o dar da mangiare ai minori in difficoltà

Save the Children è tornata a denunciare l’aumento della precarietà nelle condizioni di vita dei bambini italiani. Lo ha fatto in occasione del lancio della campagna per il contrasto alla povertà educativa “Illuminiamo il futuro”.
Sebbene la fase più critica sia stata tra il 2011 e il 2014, quindi in piena crisi economica, quando il tasso di povertà assoluta tra i bambini passa dal 5% al 10% nonostante il decreto “salva Italia” di Mario Monti, il trend si è prolungato fino ai giorni nostri. Si è passati dal 3,7% del 2008 al 12,5% del 2018, ovvero da 375 mila a un milione e 260 mila. In termini di “povertà relativa”, invece, si passa dal milione e 268 mila del 2008 ai due milioni e 192 mila del 2018.
Quello che si evince dunque è che la situazione non sta affatto migliorando, sia nei dati che nella capacità di reazione dello Stato, dei politici e dei cittadini.
E lo spread sociale di cui stiamo parlando, e che vede i ricchi sempre più ricchi in concomitanza all’aumento dei poveri, viene misurato anche in termini di disuguaglianza regionale.
Si passa dall’Emilia Romagna e dalla Liguria, dove mediamente ‘solo’ un bambino su 11 si trova in condizioni di povertà relativa, alla Calabria, che detiene il primato negativo. In questa Regione infatti, addirittura un minore su 2 è in povertà relativa (47,1%). Poi ci sono la Campania, la Sicilia e la Sardegna che si mantengono sopra la media nazionale, con un minore su tre in difficoltà economiche e sociali.
Nelle Marche un bambino su cinque è in situazione di povertà relativa, in Friuli invece più di un minore su 6 (17,4%) vive in questa condizione proprio mentre il governatore Fedriga è costretto a “difendere i confini orientali dell’Italia” dai migranti, come ha avuto modo di dire dal palco di San Giovanni durante il raduno del centrodestra a Roma.
Save the Children, Istat, e associazioni a vario titolo coinvolte, ci mostrano dati che fotografano lo stato dell’arte di questo Paese ma che ottengono raramente la nostra attenzione.
Poca attenzione anche nei discorsi dei politici di opposizione impegnati a contrastare l’inesistente tassa sulle merendine o nelle pagine del documento programmatico di bilancio (Dpb) redatto dai politici di governo, impegnati a disinnescare le clausole Iva.
Mentre i dati sulla povertà peggiorano e il Paese inevitabilmente si ritrova più disuguale e in difficoltà, tutti gioiamo del fatto di aver messo da parte 23 miliardi per scongiurare l’aumento dell’Iva. Da qualche parte però che non vedremo mai, se non nelle parole dei ministri dell’Economia. 23 miliardi con cui si poteva invece alleviare la sofferenza di quei minori.
Disinnescare le clausole Iva è diventato parte del nostro patrimonio genetico e risale ai tempi del governo Berlusconi, quando l’esecutivo, alle prese con una vera e propria crisi dei conti pubblici e al fine di poter approvare le misure previste dalla manovra, strinse un patto con l’Unione Europea pressoché impossibile da rispettare. Cioè si impegnò a reperire entro il 30 settembre 2012 ben 20 miliardi di euro, pena l’obbligo di tagli alla spesa pubblica, aumento delle aliquote Iva e delle accise e un taglio lineare alle agevolazioni fiscali.
In altre parole ogni anno dal 2012 si sottraggono al benessere collettivo 20 miliardi di euro, che moltiplicati per 8 anni fanno 160 miliardi, in ossequio ad un autoimposto vincolo di bilancio. Tutto in nome del debito pubblico, anche se non esiste al mondo una ragione perché uno stato non debba averlo. Anche se il debito pubblico è solo la spesa dello stato, cioè la spesa per dare pensioni, ospedali, istruzione, ricerca, ponti e strade ai cittadini. Anche se senza debito pubblico non ci sarebbero nemmeno i soldi per pagare le tasse.
Certo, fatti i calcoli ad economia ferma come sanno fare bene a Bruxelles, si dirà che il debito pubblico sarebbe aumentato di 160 miliardi. Ma se anche la Bce continua a chiedere che gli stati incomincino a spendere visto che la politica monetaria da sola non è sufficiente per rimettere correttamente in piedi il ciclo economico, allora sarebbe il caso di chiedersi di quanto sarebbe aumentato il Pil in caso si fossero utilizzati tutti questi soldi in investimenti e in supporto dell’economia reale, piuttosto che a tutela dell’economia dei ragionieri.
In Europa si comincia a parlare di spesa, di politica fiscale espansiva, ma noi sappiamo di non poterlo fare perché abbiamo il debito pubblico troppo alto ma il debito pubblico cresce anche quando non cresce il Pil, e il Pil non cresce se si lascia scorrere indisturbata la recessione e se lo Stato non interviene con politiche anticicliche, cioè spende. Ma se lo fa, nell’immediato si fa deficit e il debito aumenta.
Destra, sinistra, centro e opinione pubblica concordi nell’accettazione del dogma dell’equilibrio di bilancio e nella riduzione dello Stato ad azienda privata, il che, inesorabilmente, toglie qualsiasi difesa a chi nella società non è abbastanza forte da potersi difendere da sé, come i minori descritti da Save the Children.

IL CASO – ORA GLI ULTRA’ DOMANI CHISSA’
Tifosi contro: “Niente sconti ma neppure processi alle intenzioni”

In merito alle indagini avviate dalle forze dell’ordine relative alla gara Spal-Parma, ospitiamo il parere del ‘collettivo Laps’

Quattro parole, un modesto parere su un argomento spinoso ed altamente complicato, perché si basa sulla vita delle persone, il comunicato della Curva Ovest sul NO alle diffide basate sulle intenzioni.
Un controsenso giuridico.
Non vorremmo che chi legge, pensi che queste nostre opinioni, siano le solite assoluzioni, connivenze o difese di ufficio, nulla di tutto questo. Noi siamo contro i pregiudizi, da qualunque parte essi si guardino. La Curva di uno stadio non è un porto franco, anzi, ma neppure deve essere un capro espiatorio per punire indiscriminatamente un gruppo di persone, colpevoli unicamente di vivere la partita in maniera differente.
Il calcio in questo caso non c’entra, siamo molto più vicini al concetto di solidarismo, appartenenza, aggregazione e voglia di stare insieme.
Il settore popolare di uno stadio non è composto solo e unicamente dai “terribili” Ultras, ma anche da “curvaioli”, famiglie con bambini, anziani, che voglio vedere una partita per lo più partecipando.
Ma poi chi sono gli Ultras, i facinorosi?
Sono un gruppo di persone che vivono la squadra di calcio tutta la settimana, organizzano e partecipano a riunioni, eventi extra-sportivi, incontri culturali (si, avete letto bene), si impegnano in attività di volontariato, conoscono e diffondono la solidarietà; sia chiaro, nessuna pretesa di santità, ci mancherebbe.
La violenza esiste in una curva, esiste nella società, esiste nei dibattiti televisivi, ed è una piaga forse non debellabile che appartiene alla parte peggiore dell’animo umano, che va punita anche severamente a livello personale, dopo gli accertamenti di colpevolezza ed un giusto ed equo processo.
O no?
Non crediamo ci possa essere qualcuno che non è d’accordo.
Il comunicato della Curva Ovest fa riferimento non a caso alla Dichiarazione dei Diritti umani del 10 dicembre 1948.
La maggior parte dei frequentatori di una Curva pensano che la partita non sia uno spettacolo, per quelli esistono i cinema ed i teatri, oppure altri settori dello stadio più comodi e consoni, ma sia partecipazione e condivisione.
Si, un po’ come la libertà di Giorgio Gaber.
Il DASPO è un provvedimento amministrativo che percorre una strada indipendente rispetto al
provvedimento penale.
Senza nessun contraddittorio.
SENZA NESSUN ACCERTAMENTO DELLA RESPONSABILITA’
Abbastanza chiaro, ci sembra.
La sostanza è che prima che si sia certi che una persona abbia commesso un reato, quella persona può essere oggetto di un provvedimento che ne limita la libertà personale.
A priori.
Dice, ma cosa vuoi che sia, al massimo non vai allo stadio
E vi sembra poco?
Certa gente, noi ad esempio, allo stadio incontriamo amici, in curva passiamo alcune ore spensierate, ci si dimentica del “logorio della vita moderna”, si canta, si sbraita, ci si abbraccia, si ride e si piange, si stacca la spina.
E’ poco per voi avere una iniezione di endorfine positive, socializzare, scaricare le tensioni del vivere?
A nostro parere no, significa vivere.
Quindi ritornando al nostro inciso, come può esserci una restrizione delle libertà, senza che siano state accertate le colpe, ripeto, personali?
I fatti oggetto delle indagini risalgono alla partita casalinga col Parma, un gruppo di tifosi della Spal era presente all’incrocio di via IV Novembre con viale Cavour, mentre un gruppo di una trentina di tifosi del Parma stava recandosi verso lo stadio dal lato normalmente utilizzato per l’accesso all’impianto utilizzato dai tifosi di casa.
Nessun contatto, qualche parola, diversi vaffa, scambio di cortesie verbali.
Dice, ma poteva esserci uno scontro.
Si, ma anche no.
Come è possibile leggere e predire il futuro?
Ma dai, lo sappiamo tutti, com’è quella gente là, si volevano picchiare, ci sarebbe stata violenza, era scontato che ci fosse.
Ma a voi, pare possibile?
Vi è mai capitato di insultare un altro automobilista ad un semaforo?
Bene, se si utilizzasse lo stesso metro di misura, in quel momento, mentre avete le vene del collo che vi esplodono, un rappresentante delle forze dell’ordine vi fotografa e nel giro di due settimane vi toglie la patente per due anni.
Giusto?
A noi non sembra.
Lo dicevamo in premessa, nessuno sconto, nessun occhio particolare, nessuna zona franca in cui frange opposte possono pestarsi come in un moderno anfiteatro. La legge deve essere uguale per tutti, abbiamo tutti memoria di incitamenti alla violenza, all’odio razziale, al farsi giustizia da soli da parte di politici in tv, in maniera molto più chiara ed evidente dei fatti oggetto delle indagini di cui sopra.
La restrizione dei diritti delle persone applicate in ambito sportivo, noi pensiamo che possano interessare tutti noi, non esistono categorie immuni a provvedimenti iniqui.
Non ce la siamo andata a cercare, può capitare, e la punizione deve essere collegata ad un reato o ad un delitto, la tanto decantata presunzione di innocenza, messa così vale solo per qualcuno e per altri no.
Nessuna assoluzione a priori, ma allo stesso tempo nessun processo alle intenzioni.
La repressione è l’aspetto più veloce e becero che una società utilizza come pretesto per negare diritti in cambio di sicurezza (effimera?), ottenendo come unico risultato una diminuzione delle libertà individuali. E questo è il vero pericolo. Ora gli Ultrà, domani chissà.

Collettivo LAPS

Cristiano Mazzoni
Enrico Testa
Enrico Astolfi
Filippo Landini
Federico Pazzi
Daniele Vecchi
Gigi Telloli
Lorenzo Mazzoni
Marco Belli
Michele Frabetti
Paolo Buttini
Nicola Bini
Sergio Fortini

I DIALOGHI DELLA VAGINA
Inodore e insapore come lui

“Fate attenzione agli evitanti”, sale in macchina e se ne va. In riva al fiume in un tardo pomeriggio di settembre, la nostra amica ci saluta lanciando quella provocazione che, per noi quattro, suona come una parola di un’altra lingua o un neologismo che non sappiamo dove andare a pescare.
È la chiosa di alcune ore tra libri, storie inventate e storie vere che sono poi le più incredibili. Quando la nostra amica ci lascia lì, tra l’odore dell’acqua del fiume e la luce gialla del sole ancora caldo, noi quattro ci guardiamo perplessi e ripetiamo la parola evitanti, come a cercare una sagoma per definirla, un volto a cui associarla, un ex per il quale dire sì, era così.
In realtà, credo semplicemente non avessimo mai pensato di chiamare evitanti certe persone che abbiamo incontrato.
Gli evitanti sono quelli che ti accolgono, ma solo a metà o anche meno. Gli evitanti non evitano te, ma loro stessi e i conti che devono fare. L’evitante si muove nel contorno del sembrare, potrebbe essere una cosa ma anche l’altra, i suoi discorsi sono spesso indefiniti, le posizioni mai nette, i luoghi dove si trova difficili da geolocalizzare.
L’evitante fa discorsi generici e non pone domande dirette che potrebbero tornargli indietro, sta nel suo mondo da cui non si capisce dove entri e se mai uscirà. L’evitante sembra riservato e discreto, invece gli importa poco di te: evita, appunto, di farsi troppo vicino, di intersecare la sua vita con la tua, al massimo le vite possono sfiorarsi per brevi e leggere parentesi. L’evitante non rischia mai di impastarsi pericolosamente con te, non scambia nulla di sé e non ha odore. Vi è mai capitato di stupirvi per la mancanza di odore di una persona?
L’evitante ti sfianca perché tu non riesci a scontrarti, non hai da rimproverargli nulla di evidente, ma solo tue libere interpretazioni di cose mai avvenute perché, appunto, l’evitante non fa, non dice. L’evitante si sottrae alla discussione e se proprio si trova con le spalle al muro, ha già pronta la sua storia: un copione ripetuto e ormai loffio che si riduce a un “ma io sono fatto così”.
C’è poi l’evitante raffinato che prova a darti ragione perché è l’unico modo per bloccare la dialettica di una discussione, e con leggerezza si dà delle definizioni a suo parere simpatiche, anche queste automatiche, già sfoderate e ormai slabbrate. Tra le più fantasiose, mitologiche e irritanti c’è il “ma io sono un eterno Peter Pan”, detto anche con un certo tono canzonatorio che chiede di passarci sopra e buttarla in ridere.
Questi evitanti, in genere affascinanti ma sopravvalutati, dovrebbero rendersi conto di essere solo un’infantile isola che non c’è.

Quanti evitanti avete incontrato nella vostra vita? Quando vi siete accorti che non avreste mai scambiato nulla con chi si scansa da tutto?

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

Don Minzoni, il coraggio di dire “no”. Il film del ferrarese Muroni al Maxxi di Roma

Dopo il sold out a Ferrara all’anteprima nazionale di ‘Oltre la bufera’, il film ideato da Stefano Muroni sarà presentato domani (23 ottobre) come evento speciale alla festa del Cinema di Roma

Il duello degli sguardi. Le parole sussurrate, i volti ravvicinati, viso a viso, fino a ‘fiutarsi’, a sentire l’altrui respiro nei primissimi piani. La citazione ripetuta de ‘La tempesta’ di William Shakespeare («Siamo fatti della stessa materia dei sogni»); le riprese inconsuete, le scene teatrali, avvolte o tagliate da una luce straordinaria; le istantanee in bianco e nero, come sussulti di un discorso franto, sincopato, quasi fosse un singhiozzo.
Così il film ‘Oltre la bufera’ sa raccontare don Giovanni Minzoni, parroco di Argenta, «uomo giusto», vittima di un agguato fascista il 23 agosto 1923.
All’anteprima nazionale della proiezione la sala dell’Apollo di Ferrara era gremita all’inverosimile e ci si domanda come la figura di un sacerdote possa attirare ancora oggi tanto pubblico.
La risposta è lì, nello sguardo fiero del prete-soldato, un don Minzoni integro, irreprensibile, nell’interpretazione potente di chi per primo ha riscoperto la forza autentica di una personalità guerriera, controcorrente: da un’idea del ferrarese Stefano Muroni, attore protagonista, ha preso forma e si è materializzato il progetto di ‘Oltre la bufera’, diretto da Marco Cassini e prodotto da Controluce.
Un soggetto composto a più mani da Marco Cassini, Valeria Luzi e Stefano Muroni, che insieme sono riusciti a riaffermare l’attualità della figura di don Minzoni con una sceneggiatura avvincente, avvalorata da una prova attoriale di forte intensità.
Il film sarà presentato domani (23 ottobre) come evento speciale al Maxxi alla Festa del Cinema di Roma, alla presenza del ministro Dario Franceschini.

La narrazione è costruita con cura artigianale: in una vicenda della quale si conosce il finale, il ‘come’ è imprescindibile, conta molto più del ‘che cosa’ si vuole raccontare. L’intero film è un discorso narrativo che trae la sua forza dall’alludere, dallo sfiorare, dall’evocare. La scelta stilistica del regista è una poetica di dettagli artistici disseminati nella pellicola, punti di luce per tracciare una costellazione: le inquadrature, i costumi, il montaggio. La musica, che fa vibrare ogni fotogramma, che dà voce al grido muto di chi vede cadere don Minzoni sotto i colpi di un potere a cui resta solo la brutalità per affermarsi. E il sopruso soccombe nel palpitare delle braccia che sorreggono don Giovanni.
«Prima di essere un prete don Minzoni è un uomo», che dà tutto e non si piega al compromesso, che risponde al sopruso con una sola arma: la sua umanità.
Così Oltre la bufera arriva al cuore e alla pelle del pubblico, tassello di un progetto che riporta sotto i riflettori una storia da molti dimenticata. Un progetto che si inscrive in una visione d’insieme, nella possibilità di disegnare un paesaggio di bellezza nell’orizzonte della terra ferrarese: a partire da Argenta e dalle scelte eroiche del suo parroco.
«Mi stanno lasciando solo», riconosce don Minzoni quando comprende che la ‘bufera’ sta per abbattersi su di lui: ma coraggiosamente resiste. E l’ombra di quel ‘piccolo prete’ di campagna s’innalza sopra ogni meschinità, assurge a quella di un gigante, che continuerà a vivere oltre la sua esistenza terrena e ad aggirarsi tra le coscienze.
Mentre il suo «no» rimbomba risoluto nel silenzio.

«Lunga è la notte», ripete ossessivamente, minacciosa, la voce di Augusto Maran.
Ma gli occhi fieri di don Minzoni, luci incorruttibili, continuano a scintillare. Sul filo della notte. Oltre la bufera.

Genere: drammatico, biografico
Regia: Marco Cassini
Attori: Stefano Muroni, Piero Cardano, Enrica Pintore, Michela Ronci, Pio Stellaccio, Jordi Montenegro, Davide Paganini
Produzione: Controluce Produzione srl, con il sostegno della Regione Emilia-Romagna
Soggetto: Marco Cassini, Valeria Luzi e Stefano Muroni
Fotografia: Mattia Tedeschi
Montaggio: Cristian Gazzanni
Costumi: Luigi Bonanno
Musica: Martina Colli
Produttore: Valeria Luzi

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Il tempo dello sfinimento

Il pianeta è sfinito, in crisi di sopravvivenza. I primi ad accorgersene sono stati i più giovani, impossibilitati a coniugare il loro tempo al futuro. Anche noi siamo giunti allo sfinimento. Dobbiamo attenderci una mutazione antropica di cui già si vedono le prime avvisaglie: la crescente disumanizzazione. Pare che tutto tuoni, gli spazi politici, geografici, i territori da abitare minacciati ai confini dei nostri sistemi.
Così abbiamo smarrito la sintassi della narrazione. Perduto i significati, tanto che più nulla ci è intelligibile.
Ci eravamo raccontati che la modernità fosse cultura e civiltà. Ora la modernità è stata inghiottita dai morti in mare antichi quanto la nostra storia. In mano non ci resta che una appiccicosa melma di paure e di tecnologie.
È davvero brutto vivere così, con questa sensazione. L’incerto sempre presente, non sapere che direzione prendere, perché di direzioni da prendere non ce ne sono più.
Questa è la nostra solitudine, più dentro che fuori. Ci dovremmo aiutare e invece ci urtiamo, la convivenza è divenuta inconvenienza, l’altro che viene non lo si accoglie e lo si respinge.
Sulla scena si muovono solo i burattini ai quali abbiamo ceduto lo spettacolo, incapaci di recitare la nostra parte, perché non sappiamo più che parte prendere. Non riusciamo a voltare le pagine del libro, a vergarne di nuove. Ci sembrava di aver compitato cose buone e ora non ci viene più nulla.
Pare che tutto il nostro sistema sociale e politico sia uscito d’orbita.
Qualcuno ha scritto che il vuoto è il grande protagonista del nostro tempo. Il vuoto per abbandono, il vuoto per esaurimento, il vuoto per sfinimento. Non si accendono più le idee e neppure i sogni, gli orizzonti tuonano con i lampi e ognuno si serra dietro le imposte dei propri egoismi.
Opachi sono i candidati che sul vuoto si arrampicano promettendo di diradarlo, succedanei del nulla.
Tutto accade per sfinimento, al confine del limite, sulla dead line dei morti in mare, del loro ridondare nelle macchine dell’informazione.
Non dovremmo neppure osare di assolverci di fronte alla morte di uno solo di noi, invece tutto appare nell’ordine delle cose, le morti si moltiplicano a migliaia e sui loro cadaveri si disputa la politica di casa come quella mondiale.
Nemmeno ci passa un’ombra di vergogna perché tutto è dato in questo sfinimento globale. Gli orrori del secolo breve ancora disseminano le loro tossine e noi a respirare a pieni polmoni ormai intossicati.
Dovremmo avere il coraggio di rimettere sul tavolo le nostre convivenze e di guardarci dentro. Quello che stiamo facendo è un buffo rifacimento di cose rifatte, sempre quelle, ci puoi anche cambiare il nome, ma sono sempre inutilmente quelle con le loro prediche di salvifiche presunzioni, con i corifei all’altare delle nuove liturgie ad agitare i loro turiboli di incenso.
Lo sfinimento naviga in un mare di mediocrità e la mediocrazia di questo sfinimento si nutre, narra la sua sintassi del vuoto, il suo intelligibile nulla.
Dovremmo osare, osare l’intelligenza, osare il sapere.
Lo sfinimento è una brutta malattia, la cui sindrome è estremamente perniciosa, il rischio è quello di non risollevarsi più.
Sfinimento significa che non si riparte, perché vengono meno le forze, manca la tensione dei nervi e dei muscoli, il corpo non risponde più perché incapace di tendere a uno scopo, verso un senso da dare alla nostra narrazione, manca la tensione della mente.
Ecco, “la tensione della mente”, “le intelligenze tese”, questa perdita sembra essere la malattia del nostro tempo. Le prediche di paura danneggiano le intelligenze, impediscono di pensare, inibiscono le sinapsi, arenano le intelligenze sulle spiagge degli affanni, dei futuri bui.
Avremmo bisogno di scuoterci, sequestrando le parole che inibiscono ogni spinta verso il futuro, che impediscono alle menti di aprirsi. Le parole nemiche della crescita, ostili a divenire grandi, le parole che abortiscono i pensieri lunghi. Le parole avversarie delle azioni che si aprono all’uomo, al suo destino, ai suoi saperi, alla sua umanità. All’uomo capace di sfidare la storia scrivendo pagine nuove di conoscenza, di convivenza, di cultura aperta al mondo e sul mondo.
C’eravamo già raccontati che ci avrebbe atteso un tortuoso cammino verso una umanità condivisa. Ora, su quel cammino il rischio è di non incontrarsi mai, perché presi dallo sfinimento.

PER CERTI VERSI
Il barbagianni

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

IL BARBAGIANNI

Il puffo di neve
Entra nella notte
Come un guanto
Di sfida
Il barbagianni a caccia di piccioni rotea minaccioso nel silenzio rotto dall’allarme delle prede
Guardo nascosto e penso ai pregiudizi di noi umani
Il barbagianni perfetto simbolo
Della coglioneria
Come perfetto rapace nella rapina buia
Così come è la natura
Che ogni giorno violentiamo e rinneghiamo da feroci nemici
Pedine dementi
Solo l’amore nostro ci rende innocenti

Casa Circondariale di Ferrara: nuova aggressione personale di Polizia Penitenziaria

Da: Ufficio Stampa SINAPPE Emilia-Romagna

Non abbiamo fatto in tempo, questa mattina, a raccontare le drammatiche condizioni lavorative della Polizia Penitenziaria che, solo grazie ad una sovrannaturale dose di “cazzimma”, nonché infinità umanità e pazienza è riuscita, nella serata di ieri, ad arginare la follia animalesca di un detenuto, ricoverato presso l’Ospedale Civile di Bologna, dopo che costui aveva distrutto la stanza di sicurezza in cui si trovava, che ci è stato riferito di un altro evento critico, verificatosi stavolta presso la Casa Circondariale di Ferrara.
Siamo stufi di raccontare le tantissime sfuriate dei reclusi che, ormai, spadroneggiano nelle carceri italiane, grazie a scelte politiche che hanno reso inermi le Forze di Polizia che, piuttosto di correre il rischio di essere accusate di ogni amenità possibile, spesso per il solo motivo di aver risposto ed arginato un’aggressione fisica, finiscono la giornata lavorativa presso il pronto soccorso delle strutture ospedaliere cittadine.
E’ ora di dire basta!!!! Non è possibile recarsi a lavoro con la certezza che, prima o poi, ognuno di noi si troverà in una situazione di servizio potenzialmente pregiudizievole per la propria integrità fisica!!!!
Tornando a quanto accaduto presso la CC di Ferrara, alle ore 17:00 circa di oggi, sembrerebbe che lo stesso carcerato responsabile dell’aggressione del giorno 14 u.s., di rientro dal locale docce, abbia preso ad inveire contro l’istituzione carcere ed il personale della Polizia Penitenziaria, con offese impronunciabili, per poi distruggere un tavolino in legno, con uno dei piedi del quale ed un pezzo di ceramica appuntito, si rivolgeva, minaccioso, al personale nel frattempo accorso dai posti di servizio limitrofi. Due poliziotti, nel tentativo di bloccare il carcerato di cui sopra, sarebbero stati colpiti al volto dallo stesso, finendo in ospedale per le cure necessarie a suturare le ferite.
Al momento non si hanno ancora notizie delle condizioni di salute dei due colleghi né dell’entità della prognosi loro riconosciuta.
Oltre alla sensazione di impotenza e rabbia infinita, questo Segretario Regionale non riesce a comprendere il motivo per cui l’indemoniato detenuto continui a permanere nel carcere di Ferrara, in deroga a quanto previsto dalla circolare GDAP 10/10/2018.0316870.U del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

Nuovi modelli per affrontare il presente

Essere per la prima volta dopo le elezioni comunali a Ferrara evoca uno strano sentimento. A prima vista non è cambiato niente. Dopo la vittoria della ‘Lega’ pensavo di vedere in ogni vicolo della città un poliziotto rabbioso. Temevo di vedere dappertutto la bandiera del partito vincente e di un poster del nuovo sindaco, fisiognomicamente un mini ‘Che’ di provincia.
Nonostante la campagna elettorale della ‘Lega’ contro gli extra comunitari, i mussulmani e i cristiani della ‘Chiesa di Papa Bergoglio’, negli aspetti pubblici evidenti la città non è cambiato molto. Insomma, la Ferrara in questi giorni sembra, come sempre, una città civile, calma, bella, talvolta anche un po’ noiosa e lontana dai grandi cambiamenti del mondo che palpita oltre le mura cittadine.
Ma sotto la superficie tranquilla si può registrare un forte e crescente cambiamento della società ferrarese. Per l’attuale governo comunale di Destra esiste ovviamente solo una parola d’ordine: “Sicurezza, Sicurezza, Sicurezza” un mantra ripetuto con insistenza, ventiquattro ore al giorno, tutti i giorni in tutta la città. Certo, proteggere la sicurezza dei cittadini deve essere un obbligo di ogni comune sia esso di Destra che di Sinistra. Ma siamo seri, Ferrara non è stato durante gli ultimi ‘decenni rossi’ una Chicago degli anni di Al Capone o il Guatemala-City d’oggi. Non è certo da negare l’esistenza dei tanti malviventi in città, inclusi clan di narcotrafficanti di varia provenienza. Ma senza una clientela composta in parte anche da consumatori d’origine italiana ‘doc’ anche il mercato della droga non potrebbe esistere.
Chi crede davvero che si possano combattere questi fenomeni incivili e criminali con la rimozione delle panchine?

Crediamo davvero che si possa salvare l’“identità cristiana” di Ferrara, d’Italia o d’Europa attraverso l’affissione di tanti nuovi crocifissi negli spazi pubblici e soprattutto nelle scuole? Anche per me, come cattolico, il crocifisso ha non poca rilevanza ma, come cittadino (di Monaco e per un senso di intima appartenenza anche di Ferrara), difendo prima di tutto la laicità dei paesi europei. Sono, come ha detto una volta lo storico antifascista Arturo Carl Jemolo, “cattolico di fede, ma soprattutto laico di stato”. Anche perché so benissimo come soffrono (talvolta anche con torture) donne ed uomini in Paesi governati o oppressi da politici o predicatori islamici (senza per altro dimenticare, i fondamentalisti cristiani).
Noi tutti, sia i residenti di Ferrara, sia i turisti della città, sia i migranti e i profughi viviamo oggi in un epoca di grande cambiamento globale. Sono tempi, come ha scritto una volta lo scrittore argentino Ernest Sabatò, “nei quali la nostra immagine del mondo vacilla ed anche il sentimento di essere protetti dalla tradizione e dalla fiducia che ne deriva, viene meno“. Non è davvero una annotazione rassicurante, ma certo è realistica. Trovare terreni per un confronto civile e democratico sarà arduo, data la distanza di posizioni. Ma sicuramente non si può migliorare la situazione alimentando l’odio con la propaganda, con atti simbolici (e talora non solo), come ora anche il Comune – di Destra – tende a fare; ma non si può neppure (come si fa nel mondo della Sinistra) negare la sensazione diffusa di insicurezza di gran parte della gente di fronte ai disallineamenti culturali in corso.
Viviamo attualmente – come scrive l’intellettuale tedesca Cornelia Koppetsch in un libro di grande successo in Germania (“La società dell’ira”) – in tutto il mondo un processo di cambiamento epocale e profondo, per il quale non abbiamo né nomi per descriverlo né strategia adatte per affrontarlo“. Una riflessione che può portare alla rassegnazione oppure spingere a riflettere e coerentemente agire: io, personalmente preferisco la seconda opzione.

LE NOSTRE RADICI Spina, la sfinge dell’Adriatico

Tre secoli di storia, prima dell’era cristiana, hanno visto fiorire nella nostra Italia un ricco emporio commerciale in grado di connettere sistematicamente i vicini Etruschi e i famosi Greci, senza soluzione di continuità. Una storia talmente importante da relegarne le origini alla mitologia.

Potrebbero essere stati i Pelasgi, i fantastici popoli preellenici e antenati degli Etruschi, a colonizzare la Pianura Padana e dare le fondamenta alla città di Spina. Sarebbero venuti in Italia dalla Tessaglia sotto il re Nanas e, giunti presso la bocca del Po chiamata Spinete, alcuni avrebbero continuato il viaggio verso il centro della penisola per fondare le prime città etrusche, gli altri li avrebbero invece attesi rimanendo a guardia delle navi, dando vita a un nucleo abitativo denominato Spina. Ma secondo altri scrittori, l’onore sarebbe toccato all’eroe Diomede, combattente di Argo, che avrebbe diffuso la civiltà greca nel mare Adriatico dopo la guerra di Troia, sostando di porto in porto e fornendo insegnamenti agli abitanti locali, senza disdegnare la fondazione di città ex novo. E anche se i miti legati a Spina non si fermano qua, le vicende storiche ricostruite con la certezza dei fatti non sono certo meno affascinanti. Grazie all’archeologia, riusciamo a collocare la sua data di nascita nel VI secolo a. C., proprio mentre gli Etruschi stavano colonizzando la pianura per il controllo dei commerci via mare. Una città etrusca, dunque, ma che nel corso della sua esistenza avrebbe visto la compresenza anche di altre popolazioni. L’Etruria si era così ingrandita, fino a congiungere i due mari più vasti d’Italia, il Tirreno e l’Adriatico. E nel secolo successivo, il grande boom: fu questo il momento di maggior sviluppo soprattutto economico e commerciale. Oggi si ritiene che il tutto si basasse sul baratto, poiché mai sono emerse tracce di coniazione monetale. Dalle pregiate ceramiche figurate provenienti dall’Attica – una raccolta, quella del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, che tutto il mondo ci invidia – all’olio e al vino, dagli unguenti e profumi al marmo, fino ai tessuti, cibi e oggetti lussuosi; ogni tipo di prodotti passava da qui, in cambio di quanto più prezioso la nostra terra aveva da offrire: i suoi frutti. Proprio Atene, la città greca di cui abbiamo più notizie in assoluto, era molto legata a Spina, alla ricerca di tutti quei beni la cui mancanza le impediva di essere autosufficiente. Nel mondo ellenico giungevano carni salate – il sale era l’oro bianco dell’antichità – , legname, ambra, materiali, animali ed esseri umani. O quasi, perché gli schiavi non godevano ancora di tale considerazione. E a dimostrare l’estrema centralità del ruolo dell’antica città etrusca, una testimonianza a Delfi, nel santuario panellenico di Apollo, dove soltanto alle realtà più illustri, quasi sempre greche, era concessa la dedica di un Tesoro, ovvero un tempietto votivo che contribuiva alla magnificenza del culto apollineo. Spina era sorprendentemente tra queste, anche se ancora l’identificazione con i resti attuali non è sicura. Un rischio comune, tuttavia, è quello di bloccarsi all’apparenza di resti archeologici immobili e non riuscire a immaginare come vive le culture che li hanno prodotti. Ma la vivacità di Spina è evidente anche oggi: una città multietnica e un centro commerciale che torna a vivere nei vari manufatti di diversa provenienza e con differente destinazione. Una caratteristica, questa, ben visibile pure nel senso del sacro che le donne e gli uomini del luogo mostravano di avere, giunto sino a noi insieme ai corpi incinerati o inumati. Emblematica la pratica dell’obolo per Caronte, frammento di bronzo fuso posto nella mano destra, destinato al mitico traghettatore dei defunti verso il mondo dell’oltretomba.

Il IV secolo fu un periodo difficile per la Grecia e l’Italia, ma Spina resistette con forza e determinazione qualche decennio, dopodiché alla sua esistenza pose fine lo spostamento dei traffici commerciali, dovuto anche allo slittamento della linea di costa, in un momento di convivenza con un’altra popolazione, i Celti. Si chiuse in tal modo un capitolo enigmatico della Storia, che stiamo solo ora riaprendo. Ma la Sfinge, si sa, è custode gelosa.

 

Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
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Mafie al Nord: un convegno per conoscerle e contrastarle

Da: Organizzatori

“Mafie al Nord: conoscere per prevenire”. Convegno giovedì 24 ottobre a Ferrara promosso da Spi-Cgil e Libera

Il Coordinamento di Ferrara di Libera Associazioni, nomi e numeri contro le mafie e il sindacato SPI-CGIL di Ferrara organizzano il convegno “Mafie al Nord: conoscere per prevenire” per trattare il tema dell’infiltrazione e del radicamento della criminalità organizzata di stampo mafioso nel Nord Italia, approfondendone le dinamiche di azione e cercando di raccontarle al pubblico in un’occasione di riflessione qualificata.
I lavori si svolgeranno nella mattinata di giovedì 24 ottobre, con inizio alle 9.00, nella Sala Conferenze della Camera di Commercio (Largo Castello, 10). Relatori il professor Federico Varese (docente di Criminologia presso l’Università di Oxford); il colonnello della Guardia di Finanza Fulvio Bernabei (Comando Reparti Speciali della GdF); l’avvocato Donato La Muscatella, referente del Coordinamento di Ferrara di Libera; Luigi Giove, segretario generale CGIL dell’ Emilia – Romagna.

Brescello, in provincia di Reggio Emilia, è stato il primo comune della nostra regione commissariato per mafia. Per il processo“Aemilia”, che ha avuto come protagonista principale in giudizio la famiglia Grande Aracri di Cutro (Crotone) Il 24 ottobre 2018 la Corte di Cassazione ha confermato, per gli imputati che avevano richiesto il rito abbreviato, l’impianto accusatorio emerso nel corso del procedimento, emettendo 40 condanne definitive e comminando un totale di oltre 230 anni di reclusione. Inoltre, il 31 ottobre 2018, il Tribunale di Reggio Emilia ha condannato, in primo grado, 125 dei 148 imputati all’esito del rito ordinario.
Più recentemente, il processo “Stige”, contro la holding criminale facente capo alla famiglia Farao-Marincola di Cirò Marina, che si è concluso in primo grado a Catanzaro il 25 settembre scorso con condanne in abbreviato per oltre 600 anni, ha confermato il notevole grado di penetrazione della ‘ndrangheta in Emilia-Romagna, in questo caso nella provincia di Parma.
Nella relazione semestrale della Dia (Relazione del ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, 2° semestre, luglio-dicembre 2018) si legge che “l’elevata vocazione imprenditoriale del tessuto economico regionale è uno dei fattori che attrae gli interessi della criminalità organizzata, sia autoctona che straniera, anche ai fini del riciclaggio e del reinvestimento in attività economiche dei profitti illeciti realizzati. Le famiglie criminali non mirano al controllo militare del territorio, con azioni violente, preferendo invece ricercare connivenze con esponenti delle amministrazioni locali, finalizzate ad ottenere agevolazioni nell’assegnazione degli appalti pubblici”.
Dal rapporto LiberaIdee, ricerca sociale svolta nel vicino Veneto su un campione nazionale scelto da Libera, risulta che per quasi la metà dei rispondenti (45,3%) la presenza della mafia nella propria zona è marginale, mentre in meno di un caso su cinque è ritenuta preoccupante e socialmente pericolosa.
Il 44% ritiene che la corruzione sia “abbastanza” presente nel territorio veneto, mentre soltanto uno su dieci la ritiene molto diffusa. “Per i cittadini che hanno risposto alla ricerca – ha commentato Roberto Tommasi, referente di Libera Veneto – la mafia è percepita come fenomeno globale ma sotto casa nessuno la vede”. “E’ fondamentale – secondo Tommasi – prendere coscienza del contesto criminale, premessa indispensabile per il contrasto alle mafie e alla corruzione. Per quanto efficaci, le sole misure repressive non basteranno infatti mai a eliminare il crimine organizzato nelle sue molteplici forme. Mafie e corruzione, prese insieme e alleate, sono un male non eminentemente criminale ma culturale, sociale, economico, politico. Occorre allora una grande opera educativa e culturale perché è la cultura che sveglia le coscienze”.

L’incontro di Ferrara nasce dunque dalla volontà di studiare e capire il più possibile il fenomeno della criminalità organizzata nel Nord Italia nelle sue specificità e sfaccettature; di volgere lo sguardo in quei territori dove la strutturazione locale dell’ impresa, degli scambi commerciali, culturali e sociali ha prodotto ricchezza e prospettive possibili e, nel medesimo tempo, si è trasformata in una calamita per gli interessi e le strategie espansive delle organizzazioni mafiose, oltre a dimostrarsi vulnerabile agli illeciti impuniti di alcuni cittadini e operatori economici. Soprattutto è necessario diffondere la consapevolezza che proviene dagli ambienti accademici, investigativi, giudiziari, alla cittadinanza di oggi e di domani.

Vanno a ruba i Btp in dollari. Ecco a chi conviene…

L’Italia ha appena emesso Bond in dollari americani, con scadenze varie e interessi allettanti, per un totale di 7 miliardi di euro. Le tre tipologie di Btp sono state collocate al 2,4% per i titoli a 5 anni, 2,9% per il quelli di durata di 10 anni, fino al 4,02% per il Btp trentennale. Interessi che hanno stimolato … l’interesse degli investitori, abituati a ricevere molto di meno sui bond europei emessi oramai, per la maggior parte, a tassi negativi.

I comunicati del Ministero dell’Economia e Finanza specificano che “I proventi derivanti dall’emissione potranno essere impiegati dall’emittente per necessità generali dell’emittente, ivi incluse finalità di gestione del debito”. In altre parole i soldi raccolti, che sono ovviamente nuovo debito, potranno essere utilizzati per saldare vecchi debiti, a dimostrazione del fatto che la più improduttiva delle spese dello Stato è proprio il pagamento degli interessi sul debito. Si fa debito per pagare altro debito.

Gli interessi sul debito pubblico che la comunità si è dovuta accollare negli ultimi due anni sono stati all’incirca 130 miliardi (dati Def e Nadef) che mentre da una parte rappresentano un’esigenza per la moderna economia, dall’altra dimostrano una specifica volontà politica di finanziarsi nel modo peggiore, ovvero vendendo Btp alle condizioni più favorevoli al mercato e meno vantaggiosi per chi li emette (aste marginali invece che aste competitive, conteggio nel debito dei Btp già ricomprati dalla Banca d’Italia, necessità di vendere tutto nella medesima asta a tutti i costi, nessun supporto di una banca pubblica ed ora Btp in valuta diversa dall’euro).

In tale quadro, ovviamente e chiaramente politico prima che economico, il debito pubblico italiano è un enorme contenitore che è arrivato alla astronomica cifra di 2.410 miliardi di euro al 31 luglio 2019. L’ultimo bollettino del Mef sulla composizione dei titoli di stato in circolazione al 30 settembre 2019, rende noto che del totale del debito pubblico 2.015 miliardi e 558,09 milioni sono titoli di stato. Di questi il 71,43% sono Btp, ovvero titoli a più lunga scadenza e sui quali si concentra la speculazione.

E’ ovvio che in un contesto di numeri di questo genere anche il senatore Bagnai, a capo della Commissione Finanze del Senato, abbia ridimensionato la portata degli spiccioli emessi in dollari. Quale danno potrebbero fare 7 miliardi di euro di bond emessi in valuta straniera rispetto ai già oltre 2.000 miliardi emessi in euro?

In realtà non è così semplice, soprattutto quando ci viene detto continuamente che il debito oggi accumulato graverà sulle future generazioni, affermazione che ovviamente non solo contesto io (poca cosa) ma che ha contestato persino Milton Friedmann, padre dell’attuale politica economica neoliberista.

E se dunque la spesa pubblica è a carico nostro, allora mi sembra giusto pretendere la miglior gestione possibile. Se persino i posti letto negli ospedali ed i tetti che coprono le scuole dei nostri figli sono soggette al buon risultato del bilancio statale, allora anche l’emissione di pochi “spiccioli” dovrebbe seguire la logica della buona amministrazione e della lungimiranza politica.

Gli esempi di default che vanno per la maggiore in tv fanno sempre riferimento sempre a stati che hanno emesso debito in valuta straniera, ovvero valuta che gli emittenti non potevano poi controllare. L’Argentina rappresenta l’esempio classico ma anche la Russia della fine dell’ultimo secolo si era indebitata in dollari prima del default.

Certo, se si parte dal presupposto che in ultima analisi non possiamo controllare nemmeno l’euro in quanto abbiamo demandato alla Bce la politica monetaria staccandola dalla politica fiscale e dai vari ministeri del Tesoro, allora cambia poco, siamo d’accordo. Anche l’euro è sostanzialmente una moneta straniera, presa a prestito. Ed a riprova di questo, e se si spulciano le voci del debito pubblico, si scopre che vi sono conteggiati anche i 179 miliardi di debito corrispondenti alla liquidità del Paese. Cioè alla moneta cartacea che utilizziamo, che appartiene alla Banca Centrale Europea e che ad essa devono essere restituiti.

Tornando al punto, le ultime emissioni di Btp in euro non hanno mai raggiunto il livello di interesse che invece dovremmo pagare per quest’ultima emissione. Anzi, nel comunicato stampa n° 173 del 03/10/2019 si legge che “Il Ministero dell’Economia e delle Finanze comunica i dettagli dell’emissione del nuovo Btp€i a 10 anni, con scadenza 15 maggio 2030 e cedola reale dello 0,40%”. Cioè emettere Btp in euro ci costa infinitamente di meno rispetto all’emissione in dollari che oltretutto è anche più rischiosa.

Ovviamente il Sole 24 ore ha spiegato che è solo “un effetto ottico” perché grazie alla stipula di derivati, ovvero di assicurazioni sul debito emesso, alla fine andremo a spendere la stessa cifra in interessi rispetto ad un indebitamento in euro. Una spiegazione con un po’ di buchi intorno e che non dice, ad esempio, che le assicurazioni vanno pagate, quindi ulteriori costi a nostro carico.

E nemmeno abbiamo voglia di andare a leggere le clausole, visto che di derivati qui a Ferrara abbiamo esperienza e che è storia il fatto che i contratti per derivati siano talmente complicati da essere ostici persino a chi li predispone.

La realtà è che vendere titoli in Btp conviene agli investitori e a noi, in fondo, piace far felici gli investitori tanto che dagli anni ’80 gli abbiamo già versato in interessi più di 3.000 miliardi di euro. Perché smettere?

L’impronta patriarcale nella condanna ai leader del governo catalano

Tutti ricordiamo le lunghe fila ordinate di catalani, intere famiglie, più di 2 milioni di cittadine e cittadini che si sono presentati per il voto del referendum indipendentista nell’ottobre 2017. Un referendum voluto con tanta determinazione dal governo catalano di allora e direi dalla popolazione catalana, considerando la imponente partecipazione sia al voto che nel mettersi al servizio della comunità per renderlo possibile. Un referendum osteggiato dal governo di Madrid e dichiarato illegale dalla corte suprema spagnola. Ricordiamo anche l’imponente schieramento di forze di polizia che hanno tentato di impedire il voto anche ricorrendo all’uso della forza e della violenza, violenza alla quale i catalani non hanno pur restando in file ordinate. Insomma un esempio di disobbedienza civile straordinario [leggi].

La severissima condanna dei 12 rappresentanti del governo di allora, dopo due lunghi anni di reclusione preventiva per nove di loro (un accanimento giudiziario davvero inspiegabile), obbliga tutti noi che viviamo in paesi democratici a porci delle domande. Davvero non si spiega tale durezza da parte della giustizia! Ai giovani maschi di Pamplona che stuprarono ripetutamente in gruppo una giovane ragazza è stato riservato un trattamento molto meno severo, almeno nella prima condanna!
Per me è evidente la radice patriarcale di questa condanna. Sanchez dichiara che lo Stato di diritto ha vinto. Io credo invece che sia la volontà di pochi, una manciata di uomini, a a voler reprimere qualsiasi aspirazione all’autodeterminazione. Chiamare in causa lo Stato di Diritto, quando lo Stato siamo noi, significa avere in mente solo uno Stato metaforicamente assimilabile alla figura del Padre e non certo rappresentativo della comunità. Appare lampante l’associazione: un padre di famiglia che non riesce più a farsi ascoltare e invece di interrogarsi sui perché della perdita di tale autorità diventa dispotico e violento. La scusa della legge che regna sovrana sopra la testa dei cittadini e che impone a tutti una obbedienza remissiva non è più accettabile. La distanza tra questa decisione giudiziaria, l’arresto di Jane Fonda perché manifestava sulle scale del Campidoglio di Washingthon, l’accanimento mediatico contro Greta, e l’orribile assassinio di Hevrin Khalaf in Siria si assottiglia sempre di più.
Il reato per il quale sono stati condannati è sedizione. La definizione di sedizione è “sommossa violenta contro il potere costituito”. Ma questo è agli occhi di tutti falso… Abbiamo seguito le riprese trasmesse via facebook in diretta di quel giorno, riprese che arrivavano da diverse fonti e dagli stessi cittadini. La ordinata disobbedienza civile dei catalani di allora e del periodo di persecuzione politica che ne è seguito, ci ha tutti impressionati. Sembra che la condanna serva da monito a tutti i cittadini democratici. Il diritto all’autodeterminazione di un popolo viene cancellato, in Spagna, con una condanna che sa più di vendetta che di giustizia.
Oggi il sistema democratico mostra le sue grandi falle! Io sto con i catalani e il loro desiderio di poter essere padroni delle proprie scelte.

INTERNAZIONALE A FERRARA 2019
‘Economia, informazione e cittadini’, ruolo e responsabilità di media e istituzioni

Che ruolo svolge l’informazione nella diffusione delle informazioni economiche, questo il tema del seminario promosso dall’Ordine dei giornalisti che si è svolto sabato 5 ottobre nella sala del consiglio comunale di Ferrara. Un incontro rivolto principalmente ai giornalisti ma che ha visto una grande partecipazione di cittadini interessati al tema.

I relatori della giornata, introdotti da Alessandro Zangara responsabile dell’Ufficio Stampa del Comune di Ferrara, sono stati il professore e senatore Alberto Bagnai, Capo della Commissione Finanze, Sabrina Bonomi, docente di economia, Roberto Sommella (in diretta streaming) condirettore di Milano Finanza, Alessandro Somma, giornalista, docente di diritto della università di Ferrara e Claudio Bertoni del Gruppo Cittadini Economia di Ferrara che ha avuto il compito di raccontare l’esperienza di un gruppo di cittadini ferraresi impegnati a diffondere conoscenza sulle tematiche macroeconomiche.

Il primo ad iniziare è stato il prof. Bagnai che ha sottolineato quanto politica e giornalismo non stiano realizzando il loro compito sociale, ed è stato proprio questo che nel 2011 lo convinse ad aprire il suo blog http://goofynomics.blogspot.com diventato poi un punto di riferimento dell’informazione economica con milioni di visualizzazioni “se l’informazione economica fosse stata corretta non avrei avuto motivo di farlo”.

La lamentela maggiore è in relazione alla manipolazione dei dati “se, ad esempio, l’inflazione negli anni ’90 era ad una cifra, non si può dire fosse a due cifre” ma questo avviene continuamente anche in quella che è considerata la stampa migliore “ciò che invece un giornalista dovrebbe fare è riferire correttamente senza alterare la realtà.” Bisognerebbe attenersi al codice etico, che esiste ed è chiaro.

Un esempio di come la realtà venga alterata sui temi macroeconomici, continua Bagnai, è sempre l’inflazione. Anche economisti, oltre che giornalisti, hanno insistito fin dal 2011 sulla relazione “stampare moneta uguale a inflazione” ma nessuno guarda che con il quantitative easing sono stati stampati oltre 3.000 miliardi di euro dalla Banca Centrale Europea senza che questo ci abbia dato la sicurezza di essere usciti dalla deflazione. Cosa dice l’informazione in merito? Nulla.

L’economia, continua Bagnai, è uno scambio tra due persone, concetto che porta anche alla comprensione degli scambi internazionali e dell’egoismo di alcune nazioni, come la Germania. Laddove c’è un venditore ci deve essere necessariamente un acquirente, quindi chi pretende solo di vendere per accumulare come fa la Germania crea tensioni internazionali. Chi ha grandi surplus deve aumentare la capacità di spesa interna in maniera da permettere ai suoi cittadini di comprare di più e in tal modo riequilibrare la domanda interna ed estera.

L’economia è poi “politica”, ovvero decide a chi distribuire la ricchezza a seconda dei rapporti di forza del momento.

E che l’economia sia e debba essere politica viene sottolineato dall’intervento del prof. Somma, giurista e autore di un bellissimo libro che abbiamo già recensito qui https://www.ferraraitalia.it/sovranismi-strumento-del-popolo-contro-i-trattati-europei-liberisti-170072.html . I mercati hanno bisogno di regole per funzionare e le regole ci sono. Ma sono un fatto politico e rispettano quei rapporti di forza di cui si diceva prima. Già ai tempi della nascita del pensiero economico, con Adam Smith, c’erano regole nei mercati anche se erano di tipo morale. Oggi le regole sono fatte dagli Stati nonostante si abbia l’impressione che i mercati siano onnipotenti e senza pilota. E le regole oggi dicono che la stabilità dei prezzi è più importante della piena occupazione.

Ciò che si dovrebbe fare, quindi, è recuperare la buona politica nei mercati ed in questo proprio i giuristi potrebbero dare il loro contributo.

Un bell’intervento anche da parte di Roberto Sommella, Milano Finanza, che ha sottolineato che nell’era di internet bisogna affrontare il problema dell’informazione improvvisata. Internet ha aperto tante possibilità ma crea anche molti problemi “oggi aver fatto un esame, aver studiato sembra non conti più … la dittatura della mediocrità, c’è una mancanza diffusa di competenza certificata, uno smantellamento dei ruoli”.

Ha parlato poi dei tassi zero e delle nuove sfide che dovremmo affrontare con le banche che saranno sempre meno importanti “Steve Jobs disse: il credito è necessario, le banche no, ed è stato profetico … stiamo andando verso banche digitali, nuove forme di pagamento, le grandi firme vogliono farsi la propria moneta, Amazon ha chiesto una licenza bancaria in Estonia”.

Insomma, secondo Sommella, oggi entrare in una banca o fermarsi a comprare un giornale sono atti rivoluzionari.

L’intervento della prof. Bonomi si è soffermato sulla necessità di dare il giusto posto all’economia. Una scienza sociale che ha quindi bisogno di rapportarsi meglio con le persone e i cittadini i quali possono ancora influenzare le grandi decisioni con le loro piccole scelte.

Ha chiuso la giornata Claudio Bertoni del Gruppo Economia (www.gecofe.it ) delineandone il percorso degli ultimi otto anni. Incontri, conferenze, spettacoli di teatro civile e l’esperimento di una moneta complementare come metodo di studio pratico per comprendere il funzionamento della moneta ma anche proposte di legge inviate in Parlamento.

In definitiva, si è compreso che qualcosa all’informazione economica manca. Tante voci e spesso poco competenti, dati interpretati con troppa leggerezza, analisi troppo politiche e quindi di parte fanno sì che la richiesta di maggiore indipendenza e più obiettività sia stata unanime.

Informazione, ambiente, politica ed economia al centro dei dialoghi dell’Etica in pratica di Unife

Da: Ufficio Stampa Università degli Studi di Ferrara

“Senza trucchi: istituzioni e imprese dinanzi ai cittadini” è il titolo del seminario che apre giovedì 17 ottobre, la quinta edizione del ciclo “Etica in pratica, incontri per conoscere, riflettere e agire responsabilmente”, organizzati a supporto del corso di Etica della comunicazione tenuto dal Prof. Sergio Gessi all’Università di Ferrara.

Conferenze e dibattiti sono in programma il mercoledì e il giovedì dalle ore 16.15 nell’aula A8 del Polo Didattico degli Adelardi (via degli Adelardi, 33) e sono aperti a tutti: studentesse, studenti e cittadine/i.

Il primo appuntamento metterà a confronto sui temi della comunicazione pubblica Camilla Ghedini (giornalista e scrittrice) e Alessandro Zangara (responsabile dell’ufficio stampa del Comune di Ferrara). A seguire, giovedì 24 ottobre, sulle problematiche etiche connesse all’informazione dialogheranno Dalia Bighinati (giornalista, direttrice di Telestense) e Furio Zara (giornalista, Rai e Sky). Titolo dell’incontro: “L’ha detto la televisione”.

Mercoledì 30 ottobre per affrontare le delicate questioni relative alla comunicazione che transita sul web ci sarà Giovanni Cocconi (giornalista, caporedattore di Parallelozero.com). “Navigazioni consapevoli: istruzioni per l’uso della rete” è la cornice entro la quale si dipanerà la riflessione.

Etica e ambiente è il contenitore del ragionamento affidato a Stefano Mazzotti (direttore del Museo civico di storia naturale di Ferrara), che giovedì 31 ottobre stimolerà la riflessione sull’ineludibile necessità di “Custodire la ‘casa comune’”.

Di etica e comunicazione interculturale, mercoledì 13 novembre, discuteranno Adam Atik (presidente dell’associazione Cittadini del mondo), don Domenico Bedin (dell’associazione Viale K) e Massimiliano Castellani, redattore del quotidiano Avvenire, che ha recentemente pubblicato il volume dal titolo “Un calcio al razzismo, 20 lezioni contro l’odio”.

Giovedì 14 novembre ci sarà un evento speciale: lo spettacolo teatrale “Doppio taglio, come i media interpretano la violenza sulle donne” – che ha aperto lo scorso anno il festival di filosofia di Modena – offrirà, infatti, emozioni e spunti di riflessione. Marina Senesi è regista e interprete di quest’opera scaturita da una ricerca accademica condotta da Cristina Gamberi. La realizzazione dell’evento è resa possibile dal contributo di Coind.

Mercoledì 20 novembre, a proposito di relazioni interpersonali, Loredana Bondi (insegnante e preside, ora a riposo) e Mauro Presini (maestro elementare) si confronteranno sui temi del linguaggio e delle appropriate forme di interlocuzione in un dibattito dal titolo “La cura della parola”.

“Tensione e distrazione, strategie per il controllo sociale” è invece il titolo del seminario di giovedì 28 novembre su Etica e politica. A condurlo sarà Paolo Morando (giornalista e scrittore) autore di tre significativi volumi che ricostruiscono la vicenda italiana post-sessantottesca: “Prima di piazza Fontana: la prova generale”, “Dancing days” e “’80. L’inizio della barbarie”. Sulla vicenda di piazza Fontana interverrà successivamente, giovedì 12 dicembre nella ricorrenza della strage, anche il giornalista ferrarese Gian Pietro Testa

Si passa poi a mercoledì 4 dicembre con la conferenza di Fiorenzo Baratelli (direttore dell’istituto Gramsci di Ferrara) su “La ‘democrazia di massa’ e la politica come professione”, cui farà seguito, giovedì 5, il confronto fra il Prof. Lucio Poma (docente di Unife, e responsabile dell’area studi di Nomisma) e Gianni Del Vecchio, giornalista di Huffington Post, sul nodo: “Etica, sviluppo, progresso: navigare nei mari incerti dell’economia”

Infine, mercoledì 11 dicembre, il tema ‘comunità e solidarietà’ sarà filo conduttore di una riflessione sulla condivisione ‘dell’esperienza del vivere’, dal titolo “Noi”, in un dialogo fra Loredana Bondi (insegnante), Daniele Lugli (Azione nonviolenta) e Bruno Turra (sociologo).

I DIALOGHI DELLA VAGINA
A DUE PIAZZE – Le domande del giorno dopo

Nella puntata precedente di ‘A due piazze’, Riccarda e Nickname si sono confrontati sulla “domanda” del mattino dopo: quell’approccio, a volte complice e a volte no, che vuole sapere come sia andata la sera prima. E se la risposta non arriva? Ecco cosa ne pensano i lettori.

Domande scomode… incomode…

Cara Riccarda, caro Nick,
sono una donna strana che chiede come è andata ieri sera perché voglio sapere e lo voglio sapere subito, ma non ho mai particolari risposte. Temo lui non capisca cosa io intenda veramente, cosa sto chiedendo. E arriva lo spiffero di silenzio.
M.

Cara M.,
più che uno spiffero, ti arriva una folata di silenzio. Allora non sarebbe meglio lasciare perdere ed evitare di fare quella domanda? Non tutti riescono (o vogliono) alfabetizzare cosa provano, ma tu che sei lì lo puoi cogliere anche senza parole.
Riccarda

Cara M.
esiste una regola non scritta, che adesso, in via eccezionale, scrivo: non fare domande delle quali non ti piace sapere le risposte.
Nick

Uomini da tabelline… e poi il bingo!

Cara Riccarda, caro Nick,
ho conosciuto uomini che volevano un voto alla prestazione, ma anche uomini talmente sicuri di sé da non chiedermi cosa ne pensassi. E poi ho conosciuto un uomo, che ora è mio marito, che mi racconta le sensazioni che prova e riesce a farlo meglio di me.
V.

Cara V.,
gli uomini talmente sicuri di sé da non chiedere nulla, aprono un silenzio egoista e strafottente che noi donne percepiamo perfettamente. Possiamo anche raccontarcela che va bene così, ma poi arrivano uomini come tuo marito che ti fanno capire quanto tirchie con noi stesse siamo state ad accettare certe cose.
Riccarda

Cara V.
tuo marito è un alieno. Quindi hai una inclinazione naturale per i rapporti e le mescolanze tra esseri di diverse specie viventi, e questo, in tempi di purezze e integralismi, è un gran dono.
Nick

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

LA SEGNALAZIONE
“Paesaggi d’acqua”: in mostra il Po e i suoi miti

Aggiornato al 18 ottobre (prima pubblicazione 26 settembre)

“Paesaggi d’acqua” è il titolo della mostra a cura di Lucio Scardino visitabile fino a sabato 26 ottobre 2019 alla galleria Fabula Fine art (via del Podestà 11, Ferrara). Alle pareti della galleria, nel cuore del centro storico di Ferrara, è esposta una carrellata di disegni e dipinti dedicati al fiume Po.

Mostra “Paesaggi d’acqua” a cura di Lucio Scardino – visita con Vieri e Simone Quilici ( foto GioM)

Una sequenza di opere e di autori che ha anche il sapore di un lascito, una sorta di sintesi per immagini, nomi e cognomi dell’universo culturale e artistico che circonda il curatore di questa mostra. Perché Lucio Scardino, critico d’arte, editore, appassionato studioso e collezionista di opere legate in particolare al territorio emiliano e a tematiche specifiche di mitologie a lui care, mette qui in fila una serie di lavori della sua collezione, tutti legati al fiume Po, interpretato da artisti a lui vicini attraverso tre diversi filoni.

Lucio Scardino ritratto nella casa a Lido di Classe, in Romagna (foto GioM)

Alle pareti, dunque, quadri, sculture e bozzetti che mostrano il fiume Po nella sua versione paesaggistica più classica, fatta di argini, chiatte e golene; poi c’è la serie di opere dove la narrazione palustre acquisisce un sapore fantastico e immaginario, legato a figure che popolano leggende e tradizioni locali; infine, la ricostruzione fatta da artisti che rileggono in maniera tutta personale il mito classico, quello che identifica il Po con l’antico Eridano raccontato dalla mitologia greca e all’interno delle cui acque precipita il più giovane dei figli del dio Elio, Fetonte, che – giovane e avventato – perde il controllo del carro del Sole avvicinandosi troppo alla Terra fino a perdersi in uno schianto mortale.

Simone e Vieri Quilici vicino alla xilografia di Mimì Quilici Buzzacchi intitolata “Al canale Boicelli (foto GioM)

Fuori catalogo, rispetto a questa sequenza di opere messa a punto da tempo [clicca sul link per leggere l’anticipazione], si è aggiunto un quadro che è un omaggio alla memoria di Gabriele Turola [clicca sul nome per leggere l’articolo a lui dedicato], artista ferrarese recentemente scomparso. È a lui che Lucio Scardino dedica l’esposizione. Un omaggio e un ricordo che si concretizzano in una tempera su tela, dove Turola ritrae Scardino stesso con le modalità giocose e fantasiose tipiche della sua opera.  Ecco allora il “Luccio Scardino”, la tela che vede il critico d’arte rappresentato con pinne e squame, che lo rendono protagonista di questo universo di acqua dolce nello stile surreale e colorato che contraddistingue il pittore, nato a Ferrara il 13 agosto 1945 e morto negli ultimi giorni di questo agosto 2019.

“Ritratto di Lucio Scardino” di Gabriele Turola

La mostra – spiega il critico – è articolata in “una quindicina di opere sul Po che vanno dall’inizio del ’900 ai giorni nostri”. Neanche a dirlo “non si tratta di una mostra di cartoline illustrate, ma di un insieme che alterna opere d’arte moderna, come l’interpretazione concettuale rievocativa del mito di Fetonte (autrice Rita Da Re); poi si possono ammirare acquerelli degli argini o rappresentazioni di opere idrauliche come la xilografia “Al canale Boicelli” di Mimì Quilici Buzzacchi (1927); il disegno rievocativo del mito delle ‘anguane’, con una di quelle sirene che la leggenda vuole che popolino le acque dolci e le rive fluviali tratteggiata nel ‘Notturno sul Po’ realizzato da Oreste Forlani attorno al 1905″.

Opera in rame di Nicola Zamboni dedicata alla laguna di Comacchio in mostra

Sintetica eppure naturalistica in maniera immediatamente riconoscibile la versione palustre realizzata dal maestro scultore Nicola Zamboni, autore in collaborazione con Sara Bolzani anche del monumento a Garibaldi e Anita [clicca sul titolo per vederlo] che si trova a Porto Garibaldi (Comacchio) e a quello composto da decine di donne in bicicletta come omaggio alle “Mondine” [clicca sul titolo per vederlo] allestito davanti all’ingresso dell’ospedale di Bentivoglio (Bologna). In rame anche la versione lagunare in esposizione ora a Ferrara, dove l’ossido naturale del metallo rievoca le tinte verdi-azzurre delle acque. Una lettura concettuale del Po è, infine, quella contenuta nell’opera di Daniele Cestari: “Qui – fa notare il curatore della mostra – il fiume è condensato in una striscia color smeraldo, unica traccia di colore sulla carta che riproduce la facciata di Porta Paula. In questo punto di ingresso a Ferrara, infatti, è stata rinvenuta un’antica barca che testimonia la presenza del corso d’acqua nei secoli passati, anche se ormai si trova all’asciutto da tempo”.

“Da Porta Paola una volta scorreva il fiume”: opera di Daniele Cestari per mostra di Lucio Scardino

La rassegna pittorica di interpretazioni e letture di questi luoghi di terra e di acqua ha il patrocinio del Garden Club di Ferrara, con il quale Scardino ha già collaborato con una conferenza dedicata proprio al paesaggio padano.

“Paesaggi d’acqua” a cura di Lucio Scardino 27 settembre-26 ottobre 2019, galleria Fabula Fine Artvia del Podestà 11, Ferrara. Ingresso libero.

[articolo aggiornato il 14 ottobre 2019 in seguito alla visita di Simone e Vieri Quilici, rispettivamente nipote e figlio dell’artista Mimì Quilici Buzzacchi di cui è in mostra un’opera e il 18 ottobre 2019 in seguito alla proroga dell’apertura della mostra fino al 26 ottobre (anziché al 15 ottobre)]

PER CERTI VERSI
Dalla finestra

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

DALLA FINESTRA

Entra un lieve odore di legna che arde
Chissà da dove giunge
In questa mattina
in vestaglia
Che poco si vede lontano
Vorrei la maglia
Del tuo abbraccio per coprirmi
Dalle derapate
della vita
E custodire i ricordi
Con il suono vivo
dei tuoi passi

DIARIO IN PUBBLICO
Treni, cultura e vecchi merletti

Nella mia lontanissima infanzia il treno nell’Italia che usciva dalla catastrofe della guerra e si avviava alla ricostruzione degli anni Sessanta del secolo scorso rappresentava il mezzo più usato e ambito. Per anni il nonno portava me e mio fratello alla stazione ad ammirare quelli che mi apparivano mostri d’acciaio avvolti in nuvole terrificanti di fumo mentre ruggiti e brontolii uscivano dalle loro pance di ferro. Poi nei beati anni dell’infanzia la zia Lea (da noi chiamata ‘Eia’ con rapido movimento della lingua) ci portava al mare a ‘Riczone’ come veniva chiamata la favolosa spiaggia frequentata dal duce che aveva tra le altre qualità quella di possedere alcune terme. Per me luogo terrorizzante in quanto a causa di un ascesso alla gola (o qualcosa di simile) venni fatto rioperare proprio in quel luogo da un equipe di medici militari. Andavamo alla pensione Borghesi ora un ottimo tre stelle dove, per risparmiare, noi bambini venivamo fatti dormire in camera da pranzo su delle brandine tolte frettolosamente alle 7 di mattina per permettere di servire la prima colazione. Erano i nostri alberghi di lusso. Ma il viaggio! Quello era il vero godimento. Prestissimo si partiva in tramway che ci portava alla stazione dove ci attendeva un accelerato che faceva la costa fino a Cattolica, d’estate. Sempre in seconda classe come era d’uopo per la media borghesia mentre noi bambini bramosi osservavamo il caos della terza classe spesso rallegrata oltre dalle grida dei piccoli o dai versi di qualche gallinaceo o a volte dai belati timidi di agnellini battufolosi.

I nomi dei treni, scoprii più tardi quando il treno divenne la mia stanza – quella che mi portava da Firenze a Ferrara e viceversa tutte le settimane – erano affascinanti: Rapido, Direttissimo, Diretto, Accelerato, Littorina. Talvolta ‘treno locale’ o al limite ‘regionale’. E la scansione strascicata dell’annuncio che poi divenne un mito con cui si avvertiva dell’arrivo dei treni e che cominciava con una voce stanca ‘Ferara’, stazione di ‘Ferara’. Di treni e sui treni esiste una letteratura che io stesso cerco di alimentare con un futuro romanzo che dovrebbe appunto chiamarsi “Il romanzo del treno”, ovviamente mutuando il titolo dal bassaniano “Il romanzo di Ferrara”. Giorgio Bassani molto s’intendeva di treni e basta percorrere le sue prime prove per scoprirne non solo l’attrazione come soggetto letterario ma la necessità. Nella sua giovinezza sul treno che lo portava da Ferrara a Bologna e viceversa incontrava gli amici del cuore che attorno a Roberto Longhi avrebbero creato quella consapevolezza di una Italia che esulava dai prodromi fascisti o anche attraverso quelli costruiva una nuova idea di letteratura, poesia e arte. Così in treno Micòl nel Giardino dei Finzi-Contini si reca a Venezia dai nonni e a seguire le lezioni all’Università. In treno si compie il destino di Athos Fadigati nel primo romanzo, Gli occhiali d’oro (G. Bassani, Opere, Mondadori, pp.232-33).

Ormai il rapporto treno-letteratura è uno dei filoni più frequentati nella letteratura mondiale. Basti pensare al libro di Christian Wolmar, o da noi quello di Gabriele Crepaldi, ma il fascino esercitato da un possibile romanzo del treno e in treno è insuperabile. In altre occasioni ho parlato e scritto delle ‘novità’ che venivano ad interrompere la monotonia del viaggio risaputo, con le sue tragedie come lo scoppio del treno sotto la galleria Bologna -Firenze negli anni di piombo oppure regolamenti e regole che dovevano giustificare i ritardi giornalieri che avvenivano sulle linee importanti come la direttissima Milano-Roma. In quel tempo si accusavano i viaggiatori di non essere abbastanza solleciti nel chiudere le porte, un compito affidato a loro con risultati deludentissimi. Oppure i venditori di cibo abusivi che intasavano i marciapiedi delle stazioni regolarmente dispersi dagli addetti. Si formò in quegli anni la fama di alcuni ristoranti che avevano cominciato con il pranzo al sacco venduto in stazione come a Cesena.

Oggi i treni non più mostri ma idee portano nomi affascinanti come le mète che debbono raggiungere: Freccia rossa, argento, bianca; intercity, interregionale. Non si nomina più l’accelerato che era il treno dei lavoratori. Su quei carissimi e lussuosi oggetti spaziali – e si pensi alle ferrovie monorotaia del Giappone – stretti in uno spazio minuscolo specie nelle carrozze Smart non si odono che sussurri e non più grida, tutti intenti come siamo a cercare affannosamente l’alimentatore di pc e di telefonini. Altere signorine dal foulard svolazzante ti chiedono freddamente copia del biglietto che tu esibisci dal telefonino ma anche nel regno della tecnologia, nell’Eden del viaggio si è inserito un serpente traditore dal nome prettamente italiano. E’ malamente ospitato dalle ferrovie italiane, i suoi stand non sono quelli del legittimo possessore della rete ferroviaria. Deve drighignare i denti e come il serpente tende trappole. In quattro giorni di viaggio ho avuto un ritardo di 55 minuti (attenzione al sessantesimo scattava la penale per loro), sono stato incomprensibilmente trasferito da una carrozza all’altra senza alcuna spiegazione (colpa del ‘materiale’ mormorava la bella mora dallo sguardo imbarazzato); ho dovuto aspettare 15 minuti a Roma fuori dalla porta sbarrata perché erano in corso le pulizie dei vagoni che nascevano nella stessa città. E ancor più ingenuamente avevo fatto il biglietto pieno per la tipologia Smart che portava lo stesso costo della prima scontata perché non essendo sicuro di partire non volevo perdere tutto il costo del biglietto, cosa che sarebbe accaduta se avessi dovuto rinunciare al viaggio.

Insomma l’alta velocità specchio a misura della nostra politica.

INTERNAZIONALE A FERRARA 2019
World Press Photo al Pac di Ferrara: il giro del mondo in 140 foto

Il giro del mondo riassunto in 140 foto non è un giro spensierato. Ci sono dentro guerra, violenza, intrecci, malattia, pugni e rivalsa. Perché la mostra del premio ‘World Press Photo 2019’ racconta un anno di cronaca da ogni angolo del mondo. Immagini e contenuti sono vagliati, selezionati e verificati dalla fondazione nata proprio per premiare e valorizzare le foto scattate per darne notizia su giornali, riviste, mass media. L’esposizione per il terzo anno è approdata con il festival “Internazionale a Ferrara” sulle pareti del Padiglione d’arte contemporanea (corso Porta Mare 5, Ferrara), dove è visitabile fino a domenica 3 novembre.
In mostra gli scatti dei fotoreporter che con il loro lavoro riescono a far vedere quello che succede dietro i cancelli delle ambasciate, nelle case di persone che hanno subito catastrofi, nei saloni del potere e nelle trincee del lavoro. Il foto-servizio è stato fatto durante la visita guidata ed è firmato dal fotografo Luca Pasqualini. In apertura la sua foto con lo scatto del fotografo statunitense Brendan Smialowski che mostra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, mentre conduce per mano il presidente della Francia, Emmanuel Macron, verso l’ufficio ovale della Casa Bianca, a Washington DC, il 24 aprile 2018.

Gli effetti della povertà in una delle foto della mostra “World Press Photo 2019” a Ferrara (foto Luca Pasqualini)

A fare da guida in lingua italiana a una selezione di fotografie tra le più significative è stata, durante il festival, Margherita Ferro del centro 10B Photography che lavora con la fondazione World Press Photo di Amsterdam per organizzare l’esposizione delle foto di un premio arrivato alla 62.a edizione.

La guida Margherita Ferro davanti al fotoreportage sulle sfilate di moda a Dakar, in Senegal (foto Luca Pasqualini)

La bambina che piange sulla frontiera Messico-Usa. Premiata come Foto dell’anno, quella di John Moore (fotografo statunitense) intitolata “Crying Girl on the Border”. Al centro dell’immagine la piccola Yanela Sánchez, originaria dell’Honduras, che si dispera mentre, sopra alla sua testa, la madre Sandra Sánchez viene perquisita da un’agente della polizia di frontiera, in Texas. Era il 12 giugno 2018. “Questa foto – racconta la guida – ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma dei bambini che la politica di Trump aveva deciso di separare dai genitori per disincentivare l’immigrazione clandestina. In sei settimane sono stati separati 2mila minori. La foto è significativa, perché con semplicità mostra il pianto di una bambina e, con quelle scarpe già senza lacci di madre e figlia, rivela come venga applicata già la procedura prevista per chi sta per essere messo in carcere. Dopo la pubblicazione della foto, a fine giugno, è stata interrotta la politica di separazione di genitori e figli di immigrati clandestini. Per valutare la capacità di coinvolgimento, non è poi forse un caso che il fotografo abbia un figlio della stessa età di Yanela”.

John Moore_(Getty Images) alla mostra “World Press Photo 2019” per il festival Internazionale a Ferrara

La carovana dei migranti. Vincitore del World Press Photo of the Year il fotoreportage di Pieter Ten Hoopen (fotografo olandese) intitolato “Civilian Act”. Ha fatto il giro dei media lo scatto The Migrant Caravan”: un gruppo di persone che corre verso un camion, fermo a dare loro un passaggio vicino a Tapanatepec, in Messico, il 30 ottobre 2018. “L’idea dietro a questo progetto – dice la Ferro – è quella di raccontare il lungo viaggio e i momenti quotidiani di alcune tra le oltre 7mila persone che, tra ottobre e novembre 2018, dall’Honduras si sono messe in movimento per raggiungere gli Stati Uniti”.

Pieter Ten Hoopen con “Civilian Act (Agence Vu) per la mostra del premio World Press Photo 2019

La stampa fuori dai cancelli del potere. Uno dei cinque finalisti per il premio ‘World Press Photo of the Year’ è Chris McGrath (fotografo australiano) con uno degli scatti del suo lavoro di documentazione su “The Disappearance of Jamal Kashoggi”. “La foto – dice Margherita – mostra un uomo che cerca di trattenere giornalisti e fotografi il 15 ottobre 2018, mentre gli investigatori sauditi arrivano al consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul, in Turchia, dove il 2 ottobre il giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi è entrato e mai più uscito, ucciso probabilmente su ordine del regime dell’Arabia Saudita. Un’immagine che diventa anche simbolo della volontà di tenere l’informazione lontana dal cuore del potere”.

Chris McGrath (Getty Images) alla mostra “World Press Photo 2019” per il festival Internazionale a Ferrara

Il lago prosciugato. “Era  il quarto lago più grande dell’Africa, ma ora si è ridotto del 90 per cento”, racconta la guida davanti a una fotografia di Marco Gualazzini che fa parte del suo reportage intitolato “La crisi del lago Ciad”. Di acqua, qui, se ne vede poca. C’è invece un ragazzino che passa davanti a un muro segnato da graffiti che con tratti infantili disegnano tanti mitra. Gli scatti che hanno portato il fotografo italiano ad essere selezionato tra i tre finalisti del ‘World Press Photo of the Year’ sono dedicati – continua Margherita – “al lago che bagnava le terre di quattro stati diversi (Ciad, Camerun, Nigeria e Niger) e il cui prosciugamento ha gettato nella miseria più profonda le popolazioni che dalle sue acque traevano la sussistenza”. Ecco allora poca acqua fotografata e i tanti effetti della devastazione, “che creano le basi per l’avanzata delle idee estremiste degli jihadisti di Boko Haram che arruolano gli orfani anche più piccoli per farne dei combattenti”.

Una delle foto di Marco Gualazzini (Contrasto) in mostra a Ferrara sulla realtà intorno al lago Ciad

La Siria e la guerra invisibile. Mostrare le ferite che non si vedono e che uccidono da dentro: è questo il lavoro di Mohammed Badra, fotografo siriano che racconta gli attacchi di armi chimiche che continuano a devastare il suo Paese. “I due uomini che guardano lo spettatore – fa notare la guida – sembra che rivendichino la volontà di far guardare in faccia al mondo questa situazione terribile che va avanti, ma di cui ormai non si parla più”. L’immagine mostra “Un uomo e un bambino che ricevono cure dopo un gas-attack”.

Mohammed Badra (European Pressphoto Agency) alla mostra “World Press Photo 2019” per il festival Internazionale a Ferrara

Anche il mondo degli animali e quello della natura viene indagato nei suoi aspetti più materiali e crudi in questo viaggio nelle due sale della palazzina accanto a Palazzo Massari di Ferrara, come accade nel racconto per immagini della vita dei puma in Patagonia, Cile, documentata da Ingo Arndt, vincitore del terzo premio della categoria ‘Natura’.

Terzo premio della categoria Natura per Ingo Arndt e le sue foto sulla vita dei puma in Patagonia, Chile, al WPP2019 (foto Luca Pasqualini)

Quello che le cronache non dicono più è narrato da alcune immagini meno famose e che qui trovano una ribalta. Come la vita delle guerrigliere dopo che la guerriglia è finita, raccontata dagli scatti di Catalina Martin-Chico che ha vinto il secondo premio per le ‘Questioni contemporanee’.

Reportage di Catalina Martin-Chico tra le ex guerrigliere in Colombia (foto Luca Pasqualini)

“World Press Photo 2019″ in mostra al PAC-Padiglione d’arte contemporanea, giardino di Palazzo Massari, corso Porta Mare 5, Ferrara. Dal 4 ottobre al 3 novembre 2019, ore 10-13; 15-19 (ingresso consentito fino a un’ora prima della chiusura). Chiuso il lunedì. Biglietti: intero 6€, ridotto 4€.

I DIALOGHI DELLA VAGINA
A DUE PIAZZE – Spifferi di silenzio

Riprende la rubrica I dialoghi della vagina che una volta al mese diventa A due piazze, uno scambio fra Riccarda e l’amico Nickname.
Questa settimana, Nickname pensa di avere posto una domanda ‘femminile’: dopo una notte d’amore allude ammiccante a ciò che è successo. Ma siamo sicuri che sia una domanda in cerca di risposta?

N: Dopo una notte… intensa, mi capita, il mattino dopo, mentre andiamo verso la colazione, di dire a lei: “ma… ieri sera?” È una domanda dall’intonazione maliziosa ma un po’ stonata, come prima del caffè, una domanda che ancora sa del profumo pastoso della notte. “Eh… ieri sera” dice lei, a confermare che è stata una notte speciale. Per molti può essere la classica domanda maschile, che cerca una conferma della propria potenza. Nelle mie intenzioni è una domanda che vuole condividere il piccolo prodigio realizzato da due persone che diventano una. Un tentativo di fissare quel fugace momento di magia, come a voler farlo uscire dalla dimensione onirica per conferirgli una dimensione reale. Una domanda da femmina.

R: Caro Nick, il maschio non aspetta mica la mattina dopo per chiederlo. Parlo del maschio insicuro e un po’ tronfio che deve sapere subito da lei perché da solo non sa capire come sia andata. La domanda che tu poni dopo qualche ora, dopo il sonno e il ritorno alla realtà, è un omaggio al tempo che si è preso ciò che gli spetta: il silenzio. La risposta di lei non è altro che la tua stessa domanda divenuta affermazione, un po’ vagheggiata, un po’ sospesa perché nessuno dei due deve mettere un contenuto a parole. E’ la vostra intesa.
Ma dimmi, invece, quando il silenzio non è così complice ed esaustivo, che succede?

N: Ti confesso una cosa: “ma.. ieri sera?” mi viene solo quando so come è andata. È una finta domanda, perché so che è andata bene. Quando non è andata bene, sarebbe importante non fare entrare dalla porta quello spiffero di silenzio, quello che si fa pesante, che poi non riesci più a buttarlo fuori di casa. E invece.

R: E invece ci caschi. A te piace ascoltare gli altri, lo hai confessato tu una sera: ascolti in silenzio perché hai imparato a non confezionare risposte senza prima sentire l’altro. Ma quando si crea questo tipo di interazione e tu stai dall’altra parte, è perché in ballo c’è la necessità di parlarsi, subito, non aspettare una notte. Quella ti va sempre bene.

E voi? Come ve la cavate con gli spifferi di silenzio? Affrontate subito l’altro o preferite fare passare la notte?

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

INTERNAZIONALE A FERRARA 2019
Volti e incontri dal terzo giorno di Festival

Anche per il 2019 il Festival di Internazionale è giunto al termine.
Anche per questo terzo e ultimo giorno il nostro Valerio Pazzi si è aggirato nelle varie location e ha documentato volti e situazioni.
Ecco di seguito il suo reportage di questa domenica di giornalisti e non solo a Ferrara.
Clicca sulle immagini per ingrandirle.

Noi ci saremo
Saranno i giovani a vivere le conseguenze dell’emergenza climatica. Per questo hanno deciso di mobilitarsi
Daze Aghaji, Extinction rebellion; Alexander Fiorentini, Fridays for future; Maxime Lelong, giornalista francese; Jaap Tielbeke, De Groene Amsterdammer. Introduce e modera Marino Sinibaldi.

Vivere in armonia
Concerto della Human rights band
con
Gennarino Amato, clarinetto
Paolo Camerini, contrabbasso
Gianluca Casadei, fisarmonica
Sade Mangiaracina, pianoforte
Simone Pulvano, percussioni arabe
Yasemin Sannino, voce
Ziad Trabelsi, oud

E poi…