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Cronaca di una visita alla Biblioteca Popolare Giardino

Classe Seconda della scuola Doro di Ferrara

Nel profilo Facebook della biblioteca [qui la pagina fb con gli orari di apertura e l’aggiormento di tutte le iniziative].si legge: “ La Biblioteca Popolare è nata per volontà di un gruppo di cittadini che hanno deciso di impegnarsi per portare nel quartiere Giardino di Ferrara un servizio che contribuisca a migliorare la qualità dei rapporti tra i cittadini residenti in questa zona della città. Il multilinguismo, tipico della composizione di questo quartiere, viene praticato attraverso la lettura come valore da coltivare e arricchimento per tutta la città.”

I bambini e le bambine di classe seconda della scuola primaria Doro sono andati alla scoperta di questo nuovo spazio cittadino. Incontrando Arianna Chendi, una delle promotrici del progetto, hanno compreso cosa significa essere volontari e cittadini attivi, ma soprattutto hanno ascoltato la storia di  Babayaga e preso in prestito bellissimi libri a loro dedicati.

   

     

 

E le nutrie stanno a guardare

Sulla Provinciale che costeggia il canale rallento la corsa del mio diesel che inquina la pianura, una famiglia di nutrie attraversa lentamente la carreggiata, una di loro mi osserva e a me sembra di intuire il suo pensiero: ” Ah! Ecco uno di quei bipedi stupidi che vanno in giro con la mascherina”. Poi ripenso che la nutria non può avere dei pensieri così articolati, che la nutria non capisce una mazza di virus e mascherine, anzi non distingue le parole virus e mascherine, di più, non distingue nessuna parola, al massimo decifra dei suoni emessi dai componenti della famiglia.

E mentre continuo a dissertare da idiota su esseri umani e nutrie, con le mie poche nozioni di etologia, comincio a pensare che i suoni emessi dalle nutrie servono nel caso di pericolo e sono molto funzionali. Le nutrie con i loro squittii proteggono la loro specie e fondamentalmente, a mio avviso, non scazzano mai; al pericolo rispondono con un comportamento che sicuramente le mette in guardia…tranne i casi in cui si fanno maciullare e investire da bolidi condotti da idioti con mascherine…ma questa è un’altra storia… non divagare con i pensieri… stai scrivendo!!!

Tornando a noi e alle nutrie; trovo così allarmante che le nutrie sfuggano dai pericoli con dei segnali prestabiliti. mentre noi, umani intelligenti, rischiamo di farci ulteriormente male quando un altro individuo ci allarma. Stamane, chiacchierando, mi è sopraggiunto il pensiero atroce che in fondo le nutrie siano più intelligenti degli umani, ovvero, credo che in caso di allarme qualsiasi specie animale tranne l’uomo potrebbe cavarsela. Questo perché gli umani, a differenza delle altre specie, hanno inventato (oltre al mio diesel inquinante) una cosa che ci accompagna dalla notte dei tempi, cioè il MALE. Il male che è in ognuno di noi amplifica le paura e viceversa, anzi (ma il mio pensiero non vale nulla).paura e male vanno di pari passo. In questi giorni ognuno di noi potrà valutare attorno a sé il male che lo circonda: fermatevi e osservate attentamente il vostro prossimo, i discorsi, le smanie, le parole, le frasi. Vi accorgerete della vera natura di chi vi circonda. Il Coronavirus è un dilettante messo a nostro confronto. Carissimi umani, temete il vostro prossimo che fa incetta di mascherine ed evitate d’investire le nutrie.

RETE METALLICA? NO GRAZIE!
A bilancio 400mila euro per ingabbiare Ferrara

Si può scherzare con una bruttissima notizia? Ma sì, a volte è terapeutico, almeno riesci a evitare l’incazzatura. Ecco allora un gioco per i fedeli lettori di Ferraraitalia. Non proprio un gioco, un problemino da risolvere, come nella scuola di una volta.
Niente vasca da bagno senza tappo e col rubinetto aperto che butta acqua. E’ un problema differente. Fate conto di essere il Sindaco di Ferrara (o il Vicesindaco, che a Ferrara conta di più). State facendo il bilancio di previsione. E… miracolo!, vi avanzano in cassa la bellezza di 400mila euro. Vi affacciate sullo Scalone e constatate con soddisfazione i brillanti risultati del vostro primo semestre di governo: ‘la situazione è eccellente’, i cittadini son felici, se la passano e se la spassano. E allora, come impiegare quel tesoretto? A quale tema o necessità potete destinare quella somma?

Mentre ci pensate, vi informo (ma l’avrete letto anche voi) che la settimana scorsa il Sindaco di Ferrara, quello vero, ha anticipato al Carlino  la decisione di mettere a bilancio 400.000 euro per reti metalliche. Per acquistarle e metterle in opera. Il Carlino non è solo un giornale tremendo (o è quello che noi ferraresi ci meritiamo?), ma è colpevolmente superficiale. Riportava la notizia in un trafiletto, senza commento, limitandosi a suggerire che un bel po’ di quella rete metallica verrà probabilmente destinata alla grande area verde attorno al Grattacielo. Beh, non ci voleva un genio per avanzare questa ipotesi, Naomo lo va promettendo da mesi.

Infatti ieri – sempre sul Carlino ma questa volta in un articolo a tutta pagina e titolo su 5 colonne – Il Vicesindaco Nicola Naomo Lodi rilancia il suo progetto e promette: “Chiuderemo i parchi entro la fine dell’anno”. Ok, abbiamo capito, il concetto è chiarissimo. Ma i contorni della faccenda rimangono un po’ vaghi. Ad esempio: quanti metri di verde pubblico verranno chiusi a chiave, quali e quante piazze verranno ingabbiate? Per capirlo occorre rispondere alla domanda delle domande. E cioè: quanta rete metallica si può comprare con 400mila euro?

Qui non siamo al Carlino, qui a Ferraraitalia (poveri ma belli) ci piace far le cose sul serio. Così, ho preso foglio, penna e calcolatrice e mi son messo a far dei conti..
Prima però serviva una ricerca in rete: quanto costa al metro la rete metallica?  Mi si è aperto un mondo! Io, bel ignorante, credevo che di reti metalliche ne esistessero di due o tre tipi. Nossignore, le ditte specializzate forniscono ai clienti un catalogo sterminato. Così, trovo le reti zincate, le reti a maglia sciolta, le reti plastificate, le reti su misura, le reti ‘vivagnate sotto e sopra? (cioè?), le reti elettrosaldate. Perfino le ‘reti pastorali’. Queste mi verrebbe subito da scartarle, poi ripenso al nostro Sottomura invaso dalle greggi. Tutto sommato, possono tornare utili.

La faccio breve, Dopo aver confrontato varie ditte e varie offerte, ho concluso che una rete metallica di buona qualità (propenderei per la rete elettrosaldata), altezza 180 centimetri da terra e completa di paletti metallici, viene a costare dai 10 ai 20 euro al metro lineare. Faccio una media: diciamo 15 euro al metro.
La ‘risoluzione’ del problema è ormai a portata di mano. Basta una semplice divisione: 400.000 (la cifra messa a bilancio) fratto 15 (il costo unitario al metro lineare). Il risultato fa 26.666,66. Cioè a dire che, con quella cifra, Alan e Naomo possono recintare (chiudere dentro e/o chiudere fuori) più di 26.000 metri di parchi, giardini pubblici, piazze e aree verdi.
Siamo al cospetto di un’opera ciclopica, un progetto colossale, un’impresa napoleonica. Pensate che le nostre Mura misurano in tutto sei chilometri (6.000 metri) e che con quel popò di rete metallica si può fare il giro delle Mura quattro volte e passa.

Si può fare di più? Si può pretendere di più da questa volonterosa amministrazione a guida leghista?
Forse sì. Si può andare oltre. Spingersi più avanti. Uscire dalla storia ed entrare nella leggenda. Da esperto, quale ormai mi fregio di essere, mi permetto di dare un consiglio, a titolo gratuito, ai nostri amministratori. Sul mercato (www.trovaprezzi.it) c’è un articolo molto più economico. Più pratico. Più adatto allo scopo. Un rotolo di 100 metri di Filo Spinato Zincato (ottimo prodotto) costa meno di 18 euro. Insomma, con la stessa somma (sempre quei 400mila euro) Naomo Lodi potrebbe sbizzarrirsi, recintare Ferrara per più di 2 milioni di metri. Allora sì che potremo aspirare al titolo di città più sicura d’Europa, una città blindata, il più grande campo di concentramento del terzo millennio..

 

Comunicato del Collettivo LAPS

Da: Collettivo LAPS.

Condividendo in toto il comunicato della Curva Ovest, il Collettivo LAPS si schiera ancora una volta contro la indisturbata, ingiustificata e reiterata repressione che da alcuni anni si sta abbattendo sul Movimento Ultras, e nella fattispecie, sulla Curva Ovest, ancora una volta colpita da 11 ulteriori provvedimenti DASPO, per i NON-fatti antecedenti la partita S.P.A.L.-Parma lo scorso 5 ottobre 2019.

Sappiamo già da tempo che il Movimento Ultras è una sorta di laboratorio di repressione a cielo aperto, dove vengono sperimentate tutte le potenziali “tecniche” di limitazione della libertà personale.

La situazione è chiaramente sfuggita di mano.

E la cosa più preoccupante è che nessuno, NESSUNO, tra i media generalisti o “istituzionali”, o le variegate realtà non-ultras in giro per la penisola, si fa carico di comunicare o anche solo di educatamente e civilmente contestare la incostituzionalità di questo tipo di provvedimenti, basati sulla PRESUNTA INTENZIONE, senza nessun tipo di possibilità di difesa o di contraddittorio, solo e semplicemente in mano a una sola figura, che a sua totale e personale discrezione, emette provvedimenti talmente soggettivi da fare sembrare Re Luigi XIV un libertino abituato a delegare.

In un contesto dove il Potere Esecutivo sovrasta e annichilisce il Potere Giudiziario, vi è storicamente il rischio di una deriva discriminatoria e autoritaria, che mette seriamente a rischio la basilare libertà personale del cittadino, che sia Ultras o no, è ininfluente.

E questo è ciò che sta accadendo.

Ancora una volta ci ritroviamo a domandarci cosa succederà quando le maglie della repressione si stringeranno ulteriormente attorno ad altre realtà sociali.

Sta già succedendo, e non solo al Movimento Ultras. Il cosiddetto DASPO di piazza è lì, ed incombe.

E’ nostro dovere civile e morale non tacere, non abbassare la testa e non accettare in silenzio questa totale e reiterata ingiustizia fondata sul pregiudizio e sulla incostituzionalità.

Collettivo LAPS

Paolo Buttini

Enrico Testa

Silvia Pozzati

Filippo Landini

Daniele Vecchi

Federico Pazzi

Maria Lodi

Lorenzo Mazzoni

Michele Frabetti

Luigi Telloli

Cristiano Mazzoni

Enrico Astolfi

Marco Belli

Nicola Bini

Sergio Fortini

I DIALOGHI DELLA VAGINA
A DUE PIAZZE – Finire una storia

I dialoghi della vagina, nella versione A due piazze, riprendono con un confronto fra Riccarda e Nickname: come riuscire a gestire la fine di una storia? Con l’eutanasia o come un freddo sicario che agisce senza il morso del senso di colpa?

N: Vi siete mai trovati nella veste di un killer? Si, uno che deve ammazzare qualcun altro, con il metodo e la freddezza che gli viene richiesta per non lasciare il lavoro a metà.
E al posto di una persona dovete ammazzare una storia. Una storia piena di radici, di legami intricati, che deperisce piano, un lungo malinconico addio, un’agonia lenta ma ondivaga, con questi fugaci lampi di vita passata a pugnalare le vostre euforie. Con quel groviglio nero di nuvole gonfie che vi occupa la bocca dello stomaco e vi taglia il fiato. E vorreste, con una specie di disperazione, trasformarvi in un infermiere della dolce morte, per regalare alla storia la sua eutanasia, con amorevole determinazione. Con un particolare: non avete avuto il consenso di procedere.

R: Caro Nick, il killer ammazzastorie che vorresti essere e l’angelo della buona morte che non riesci a diventare, sono entrambi nelle mani di un tiranno più forte di loro: il senso di colpa che li disarma ancora prima che agiscano. Ecco perchè la storia, già finita ma ancora in vita, va avanti: i sicari diventano loro stessi vittime impotenti e inermi.
Far finire una storia, poi, è anche rivolgere l’arma verso se stessi: si è stati in due a costruirla e a crederci, almeno per un po’. Cercare il consenso a procedere verso l’eutanasia di un rapporto, non credi sia scivolare in un’altra più greve tirannia?

N: Mi aggrappo all’idea che una storia può finire, non fallire. Il fallimento è un concetto totale, retroattivo. Travolge tutto. Mentre invece tutto finisce, anche quello che ha un senso, o almeno lo ha avuto. Passare dal senso di colpa al senso di responsabilità verso le proprie emozioni vuol dire essere presi per pazzi, per irresponsabili. Vuol dire anche essere messi su un piedistallo o tirati giù, e in entrambi i casi essere soli.

R: Accettazione, Nick, accettazione: che falliamo, finiamo, cambiamo. La responsabilità credo sia questa, vedere il limite, il finis terrae dove il cammino di quella storia deve terminare perché oltre non c’è niente e non si può andare. Ma da un’altra parte, sì.

Come vi siete posti nel chiudere una relazione? Avete agito come un killer su commissione o avete protratto un’agonia fino a subirla?

Potete scrivere a parliamone.rddv@gmail.com

La gloriosa eco di una vittoria… giunta da mezzo millennio fa

E’ la notte tra il 21 e il 22 dicembre del 1509. Le continue scaramucce tra il Ducato di Ferrara e la Repubblica di Venezia si trovano finalmente di fronte a un culmine decisivo. Da un lato, una prestigiosa potenza culturale; dall’altro, una superpotenza marittima, che parte in vantaggio: gioca quasi in casa, nel proprio ambiente naturale. Chi avrà la meglio in questa battaglia sull’acqua?

Quattro lunghe giornate, da giovedì 20 a domenica 23 febbraio, hanno visto protagonista il Palio di Ferrara con il tradizionale Carnevale degli Este, rievocazione storica del carnevale rinascimentale che prendeva vita in una delle più importanti capitali culturali dell’epoca. La Corte di Ferrara, al tempo degli Estensi, era infatti conosciuta nel mondo come l’espressione di bellezza più alta nel campo delle arti figurative, architettoniche e letterarie. Le amate Contrade della città si sono fatte teatro di gioiosi momenti per gente di tutte le età, persone accomunate dal desiderio di rivivere le feste conviviali che avevano luogo a Ferrara nel Quattrocento e Cinquecento. Ma ogni luogo ferrarese, al chiuso e all’aperto, ha avuto modo di respirare, grazie a mille occasioni diverse, il particolare carnevale che la città da secoli propone, con la partecipazione anche di compagnie teatrali provenienti da fuori provincia e fuori regione, nonché di studiose e studiosi locali e nazionali e del Conservatorio Statale di Musica ‘G. Frescobaldi’. Il tema dell’anno è dedicato ai “fratelli trionfanti” Alfonso e Ippolito d’Este, eroi e artefici della battaglia della Polesella, celebrati in due giorni di eventi pure al Museo Archeologico Nazionale. La storica e inaspettata vittoria, raccontata dalle fonti come un’impresa portata a termine da semplici fanti e di cui nemmeno gli Ottomani erano capaci, è stata festeggiata sabato mattina con visite guidate ai soffitti affrescati di Palazzo Costabili, con l’accompagnamento del Gruppo Archeologico Ferrarese in abiti storici: proprio Antonio Costabili fu infatti protagonista del fortunato evento. La mattina successiva, invece, spazio alla poesia: sì, perché se le autorità veneziane optarono inizialmente per una poco efficace strategia del silenzio, la casata estense diede piuttosto il massimo risalto a quella che venne definita la vittoria “più memorabile di tutti i secoli”, non a caso più volte ricordata nel poema ferrarese per eccellenza, ‘L’Orlando furioso’ di Ludovico Ariosto. Largo ai più piccoli, poi, nel pomeriggio della domenica, chiamati a recarsi al palazzo dell’ambasciatore Costabili per fare festa e divertirsi costruendo una maschera rinascimentale, con l’aiuto delle volontarie e volontari del Gruppo Archeologico.

Il Carnevale è una delle feste tipiche italiane tra le più apprezzate nel mondo. In ogni territorio ci si traveste dai personaggi caratteristici della tradizione, intrinsecamente legati alle geniali innovazioni italiane della Commedia dell’arte e del teatro di figura, dando vita a un mondo alla rovescia dove tutto è permesso e nulla è impossibile. Come fermare il tempo al Rinascimento: a Ferrara, tutti gli anni, accade anche questo.

 

Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
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Perché Ferraraitalia non parla del Coronavirus

 “E’ il capitalismo ragazzo”, la bomba Coronavirus sembra il frutto avvelenato – l’ultimo, il più brutto – di un Sistema Economico Unico, ubiquo, che comanda il mondo e ci comanda. Nato in Cina, il virus ha viaggiato velocissimo: Corea, Giappone, Iran…  Subito dopo è sbarcato (ma i barconi non c’entrano) in Europa. In Italia, il paese europeo con più scambi con la ‘Terra di Mezzo’, siamo quasi al bollettino di guerra: aumentano i contagi, si contano i primi morti, si moltiplicano gli allarmi e i divieti. La paura rischia di mutarsi in panico.

Che dovrebbe fare un giornale, anche un piccolo giornale come il nostro? La risposta sembrerebbe elementare: dovrebbe ‘fare il suo mestiere’: informare. raccontare, intervistare, commentare… Del resto, ‘l’argomento Coronavirus’ si presta a tutti gli approcci, a tutti i generi giornalistici: dal titolo a caratteri cubitali alla cronaca e alla polemica di piccolo taglio, dal commento paludato all’immagine toccante, dal corsivo pungente alla vignetta dissacrante.  Ce n’è (ce ne sarebbe) per tutti i gusti. Perché, da sempre, le disgrazie sono una vera manna per i media. Più grande è la disgrazia, più aumentano le vendite, più l’audience si impenna.

Ferraraitalia non parteciperà al banchetto mediatico. Non parleremo di Coronavirus. Per due ragioni.

La prima. Perché in Italia i media, tutti i media – dalla televisione, alle radio, ai quotidiani di ogni ordine e grado, ai social media, fino ai più sperduti siti e blog della Rete – stanno dando oggi uno spettacolo indecoroso. Non è vero che informano, non è vero che fanno servizio ai cittadini. Fanno il contrario, come si dice, ‘ci inzuppano il biscotto’.  Forse molti bravi colleghi, molte testate di grande tradizione, non se ne rendono nemmeno conto, ma la realtà è questa. Guardate un telegiornale qualsiasi: dopo qualche parola di un ministro o di un politico a caso (“E’ tutto sotto controllo”) e due battute di un esimio virologo (“Non bisogna cedere al panico”), comincia una lunga serie di ‘servizi sul campo’, di immagini shock, di facce impaurite, di piazze deserte, di supermercati presi d’assalto.

Oggi il nostro sistema mediatico produce confusione, non informazione. Non offre notizie ma semina, coltiva e amplifica il panico. E’ lui il primo, inconsapevole e potentissimo veicolo di contagio.

La seconda ragione per scegliere il silenzio. Perché la situazione è davvero grave. Perché siamo entrati in un tunnel (chiudono fabbriche, mercati, scuole, università) e non sappiamo quando potremo uscirne. Non ce la caveremo in qualche settimana, forse neppure in qualche mese. E gli unici che possono e devono parlare, che devono dirci cosa fare e non fare, sono gli enti preposti a farlo. Il Ministro della Salute, il Presidente della Regione, il Sindaco della nostra città. E le autorità sanitarie, il Servizio di Igiene e di Medicina preventiva della Unità Unità Sanitaria Locale. Per fortuna il nostro sistema sanitario è il più avanzato, competente e democratico del mondo.

Non ha senso, anzi, è sbagliato, confusivo, pericoloso, aggiungere mille voci, mille Grida, mille notizie (vere e false), mille suggerimenti (spesso incompetenti) alle linee guida e alle disposizioni delle autorità preposte.

Amiamo esercitare il dubbio (è uno dei compiti di qualsiasi organo di informazione), quindi le Autorità Competenti non ci hanno mai appassionato. Ma su questo quotidiano troveranno spazio ed evidenza solo i loro comunicati. In questo momento, il momento in cui dobbiamo far funzionare il cervello e  non riempirci la pancia con un polverone mediatico, sul Coronavirus solo loro hanno diritto di parola. Almeno su Ferraraitalia. Ci sarà tempo, dopo, finita l’emergenza, per tutti i racconti, tutte le obiezioni, tutti i commenti.

Con un’ultima raccomandazione, la stessa che mi ripeteva una nonna che tanto amava le sentenze: “Non val l’insegnamento se non c’è il discernimento”. E cioè, le linee guida, le disposizioni provvisorie, le istruzioni per l’uso che ci vengono impartite dalle autorità di cui sopra, non sono ordini da eseguire come automi. Ognuno di noi deve leggerle e interpretarle secondo scienza e coscienza. Perché la responsabilità individuale non ce la toglie nessuno, e anche dal Coronavirus, come da qualunque guerra, ne verremo fuori tutti insieme. O non ne verremmo fuori per niente.

 

 

QUERIDA AMAZONIA

Querida Amazonia (Cara Amazzonia, QA) è il titolo dell’Esortazione Apostolica firmata da papa Francesco e datata 2 febbraio.È il documento pontificio attesissimo, dopo il Sinodo dei vescovi svoltosi a Roma fra il 6 e il 27 ottobre 2019. Attesissimo perché il Documento Finale dell’Assemblea Sinodale (DFAS), intitolato “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale”, ha attirato una forte attenzione mediatica, e non solo.
In particolare, il dito è stato puntato da molti sul punto n.111 del documento, dove viene messa nero su bianco la possibilità di ammettere al sacerdozio i diaconi sposati (viri probati) e le donne al diaconato.
Un’istanza motivata dalle specifiche esigenze pastorali del vasto contesto amazzonico in relazione alla celebrazione dei sacramenti (e segnatamente l’eucaristia), a causa della scarsità di preti.
Però, se si legge per intero l’Esortazione pontificia, non si trova alcun accenno alla questione sollevata.
A caldo, si è detto e scritto di una brusca e, per certi versi, inattesa frenata di papa Bergoglio.
È principalmente dagli ambienti progressisti che si fatica a nascondere una certa delusione per un passo in avanti che, questa la lettura, il papa non si sarebbe sentito di fare.
Lo storico Daniele Menozzi, per esempio, in un’intervista a Il manifesto (13 febbraio) ha dichiarato: “Il papa prende atto che in questo momento gli equilibri ecclesiali non consentono di realizzare i mutamenti che gli hanno chiesto i settori ecclesiali cui pure si mostra simpatetico”. “Probabilmente – continua – è la costatazione del limite invalicabile cui è giunto il suo governo e un passaggio di consegne al successore”.
Dunque, i motivi di questo stop parrebbero due.
Da una parte, disinnescare il pericolo scisma, parola che durante l’attuale pontificato sta serpeggiando insistentemente, alla luce della distanza crescente fra l’esigenza di riforme impressa dal papa venuto dalla fine del mondo e il fronte tradizionalista, irrigidito sul pericolo di indebolire i punti fermi di una tradizione secolare che ha sorretto l’unità della Chiesa di Roma.
Dall’altra, la consapevolezza del pontefice che realizzerebbe di avere di fronte a sé un orizzonte temporale non sufficientemente lungo, per continuare il proprio cammino riformatore.
Eppure le reazioni a caldo non sembrerebbero esaurire le possibili letture di Querida Amazonia.
Non sono in pochi a valutare il peso tutt’altro che trascurabile dei primi paragrafi dell’Esortazione. Vale la pena ripercorrerli.
Al n. 2, con riferimento al Documento Finale dell’Assemblea Sinodale (di seguito DFAS), si legge testualmente: “Non intendo né sostituirlo né ripeterlo”.
Al n. 3 Bergoglio aggiunge: “Nello stesso tempo voglio presentare ufficialmente quel documento”.
Infine, al n. 4: “[…] che tutta la Chiesa si lasci arricchire e interpellare da questo lavoro, che i pastori, i consacrati, le consacrate e i fedeli si impegnino nella sua applicazione”.
Finora è successo che i documenti finali dei Sinodi lasciassero il posto ai pronunciamenti definitivi del papa sulle questioni sollevate. Tanto è vero che, in gergo ecclesiastico, sono stati chiamati “documenti sacrificali”.
Così non è successo con Querida Amazonia, che fin dal suo esordio, apre una strada ecclesiale del tutto inedita e per certi versi spiazzante.
Per questo, forse, se i progressisti non festeggiano, nemmeno tradizionalisti e ultraconservatori stanno stappando bottiglie di spumante.
Per prima cosa il DFAS rimane vivo anche dopo la parola del papa.
Novità assoluta, a quanto pare, che durante la conferenza stampa di presentazione di QA, ha fatto dire al segretario speciale del Sinodo, il cardinale gesuita Michael Czesny, che in questo modo ci sono due documenti e quello sinodale mantiene “una certa autorità morale”.
Compreso, dunque, il n. 111, verrebbe da dire.
Stessa cosa dice Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica: “L’Esortazione non supera il Documento finale”.
Si potrebbe aprire una parentesi commentando che solo i gesuiti, per formazione e prassi secolare, riescono a trasformare un pertugio in un’autostrada a otto corsie.
In secondo luogo, è rimasto deluso anche chi si aspettava definizioni, dottrina e soluzioni, nella più ortodossa tradizione ex cathedra, da un papa che fin dalla sua prima Esortazione (Evangelii Gaudium, 2013) ha detto, invece, di voler innescare processi, più che dare risposte e che il tempo è superiore allo spazio.
Un incedere che, coerentemente declinato alla circostanza, sembra voler dire che se la Chiesa deve essere sinodale, allora lo sia fino in fondo, senza più definizioni e formule calate gerarchicamente dall’alto, perché vanno cercate e trovate insieme.
Anche il fatto che Querida Amazonia sia stata presentata dalla basilica di San Giovanni in Laterano, sede episcopale del papa, anziché da San Pietro, non sarebbe un caso.
Pare anche smentita la tesi secondo la quale è andato a bersaglio il libro del cardinale Sarah Dal profondo dei nostri cuori, con un contributo di Joseph Ratzinger (papa emerito), pubblicato con tempistica sospetta per blindare il sacerdozio celibatario e prevenire eventuali fughe in avanti. [sulla vicenda vedi qui mio articolo precedente] Iniziativa editoriale che in realtà, così trapela dalla Santa Sede, non avrebbe influito sulla ‘frenata’ di Bergoglio, perché QA sarebbe stata pronta già a dicembre.
Stando così le cose, restano comunque in sospeso diverse questioni: dalla (possibile?) inaugurazione di una vera e propria svolta nella gerarchia delle fonti ecclesiali, fino al fatto che, com’è stato detto, “Roma non locuta, causa non finita”, con tutte le conseguenze del caso.
Se, da un lato, la strada aperta da Bergoglio prefigura uno stile sinodale da percorrere fino in fondo in modo non più gerarchico ma comunitario, dall’altro c’è chi fa presente il rischio che manchi una direzione di marcia.
A luci, ombre, punti interrogativi e letture diverse, rispetto a un documento che si presenta come una lettera affettuosa (Cara Amazzonia) piuttosto che un insegnamento calato dalla cattedra, si aggiungono poi le perplessità di esperti che rilevano la debolezza teologica di alcuni passaggi: dalle porte chiuse al sacerdozio femminile, per non ‘clericalizzare’ le donne, fino alla correlazione degli uomini a Cristo e delle donne a Maria (100-103).
Una cosa è certa: papa Bergoglio sembra proprio destinato a tenersi alla larga dalle secche dell’indifferenza.

 

DOPOELEZIONI Appello da sinistra alla Sinistra:
“Non basta aggiornare i programmi, occorre una grande visione capace di interpretare il mondo nuovo in cui viviamo”

Testo integrale dell’appello

Siamo persone di sinistra che hanno contribuito alla vittoria di Stefano Bonaccini nelle elezioni del 26 gennaio in Emilia Romagna. La destra, egemonizzata dall’aggressività di Matteo Salvini, è stata sconfitta. E’ un risultato importante che va considerato non un punto di arrivo, ma di partenza per innovare contenuti e personale politico e amministrativo. Se non si procede con coerenza su questa strada, si sarà trattato solo di un rinvio di una sconfitta più generale ad opera di una destra che resta forte e pericolosa nella nostra regione e nel Paese.
1Non siamo iscritti a nessun partito, ma guardiamo con interesse al cambiamento annunciato dall’attuale segretario del Pd Nicola Zingaretti che ha vinto le primarie con la parola d’ordine: dobbiamo cambiare tutto! Martedì 11 febbraio, in una iniziativa pubblica molto partecipata e appassionata, Gianni Cuperlo, uno dei massimi sostenitori del nuovo corso, ha ribadito che il cambiamento ha senso solo se aperto a chi è fuori e da fuori attende segnali per allargare il campo del centro-sinistra. Di conseguenza, sono indispensabili una chiarificazione valoriale e un’innovazione radicale nei metodi dell’azione politica per riconquistare la fiducia degli elettori e battere la destra.
2 – Un grande dirigente storico della sinistra italiana, Vittorio Foa, in uno dei suoi ultimi interventi all’inizio della lunga stagione negativa della sinistra italiana ed europea disse: “Se vogliamo che le cose migliorino dobbiamo pensare che possono migliorare: la scelta è fra un mondo di possibilità e un mondo di fallimenti”. E’ in momenti cruciali come l’attuale, per il presente e il futuro della sinistra, che è richiesto ad ognuno di concorrere ad uno sforzo di analisi e di proposta per passare dalle parole ai fatti. Con questa intenzione ci proponiamo di fornire qualche spunto di riflessione. Nella costruzione di un nuovo campo largo e plurale non hanno diritto di parola solo i soggetti organizzati, ma anche singole persone che vivono da anni immerse nel travaglio di una sinistra culturalmente subalterna, politicamente in difficoltà, impaurita dai cambiamenti.
3 – Siamo disgustati dallo stucchevole teatrino della politica in cui si alternano politici capaci solo di inseguire visibilità e ambizioni personali. Siamo stanchi di una sinistra che, limitandosi a criticare il pericoloso populismo della destra, ha finito con il distaccarsi dalla società reale fatta di persone che soffrono per la mancata risposta ai bisogni materiali (al primo posto il lavoro) e alle domande di ideali e valori praticati. La cosa peggiore per la sinistra non è perdere le elezioni, ma perdersi. Il Pd annuncia un congresso nazionale di cambiamento radicale. Cosa vuol dire? C’è la consapevolezza che alle spalle di questo proposito ambizioso c’è una lunga sequenza di sconfitte, delusioni, occasioni mancate? C’è la consapevolezza che questa volta bisogna fare sul serio se non si vuole seppellire per molto tempo nelle menti e nei cuori una ragionevole speranza di nuova vita a sinistra? Siamo convinti che le sconfitte della sinistra e la sua incapacità di governare in modo alternativo alla destra siano derivate da un deficit di conoscenza e partecipazione nelle decisioni. Da troppo tempo la sinistra non è riuscita a leggere e interpretare il presente. Un presente che rappresenta una cesura storica rispetto al secolo precedente. Per questo essenziale motivo siamo convinti che non basta più aggiornare i programmi. Essi sono destinati a restare lettera morta, se non c’è qualcosa che viene prima dei programmi. Ci riferiamo alla necessità di una grande visione capace di interpretare il mondo nuovo in cui viviamo. Qualcosa, ovviamente, di molto diverso dal pensiero con il quale la vecchia sinistra interpretò il Novecento, ma con la stessa ambizione e vastità di orizzonte che permise, nei suoi momenti migliori, di costruire un ‘sentire comune’ e di tradursi in messaggi chiari suscitando convinzioni, lotte, speranze. Il risultato fu la creazione di una vasta comunità di persone che realizzò conquiste sociali e di civiltà ancora oggi importanti da difendere e allargare in un’ottica inclusiva. In questi decenni ha trionfato un ‘pensiero unico’ che ha fatto credere che non esistono alternative ad uno sviluppo che produce disuguaglianze sociali crescenti, conseguenze ambientali devastanti e quello che Giacomo Leopardi chiamava il ‘pestifero egoismo’. Radicale è la sostanza del compito che ci sta davanti in Italia ed in Europa. E’ indispensabile mettere il Paese in condizioni di completare la sua ‘europeizzazione’ ed è necessario rilanciare un’Europa in cui la coesione sociale si regga sul rispetto dell’eguaglianza dei diritti e dei doveri, della solidarietà sociale e delle libertà delle persone. E per fare questo è prioritario riscoprire la politica come un’impresa collettiva che metta fine alla frustrazione delle solitudini di massa.
4 – Sono stati compiuti errori gravi in questi anni a sinistra, ma capire gli errori compiuti non è sufficiente se questa comprensione resta passiva, ossia se non è accompagnata da una persuasione che si concretizzi in un rinnovato protagonismo creativo, fattivo, appassionato. In estrema sintesi la domanda che ci assilla è questa: come si rimotiva un impegno, una militanza politica e morale adeguata ai tempi nuovi in cui viviamo? Non certo ripetendo stancamente elenchi di obbiettivi e buone intenzioni. Una nuova politica della sinistra non si fa strada da sé, per pura autoevidenza. Ogni vera innovazione richiede la modificazione di tutti i termini e dei loro rapporti reciproci: progetto culturale e valoriale; programma politico e sociale; modello di organizzazione; formazione e selezione di un nuovo personale politico competente e credibile. Decisiva è la coscienza che tutto si tiene. Se l’intenzione manifestata dal Pd di aprirsi è sincera, bisogna sapere che non sarà un’operazione indolore per le nomenclature e gli apparati che nei territori sono stati responsabili in questi anni del distacco e della lontananza dalle questioni brucianti che hanno interessato larghi strati popolari e di ceto medio: il lavoro e i suoi diritti; la crescita e la sua sostenibilità; la sicurezza e la vivibilità delle città; l’inclusione e la giustizia sociale; il legame sociale e la solidarietà. In ultima analisi, bisogna costruire una comunità larga e plurale di persone dove la speranza vinca l’indifferenza, l’apatia e la sfiducia.
5 – A Ferrara il risultato delle regionali ha confermato una preoccupante supremazia della destra leghista. A fronte di un piccolo recupero in città, registriamo risultati catastrofici nella provincia. Per questo motivo, a Ferrara, è emergenza assoluta. Insieme alla elaborazione di un progetto politico e culturale alternativo alla destra è necessario preparare per tempo una nuova classe di dirigenti politici e di amministratori. Al confronto elettorale tra quattro anni bisogna presentarsi con volti nuovi e personalità capaci e autorevoli. A questo riguardo, dai risultati positivi delle elezioni del 26 gennaio nella nostra regione è scaturito un segnale di forte rilevanza politica e morale. Le oltre 22.000 preferenze raccolte da Elly Schlein sono la conferma di una domanda di cambiamento di idee e di persone. Teniamo presente questa lezione nella nostra città, per risalire dal baratro in cui è precipitata con la vittoria di una destra egemonizzata da figure arroganti e prepotenti. Bisogna assolutamente evitare di arrivare a ridosso della prossima scadenza elettorale senza aver preparato nuove soluzioni per poi sentirci dire che non si può fare altrimenti che accettare il meno peggio. Per una volta cerchiamo di prepararci al meglio e per il meglio.
Firme
1 – Alebbi Vanna
2 – Alessandrini Nicola
3 – Andreatti Giuliana
4 – Atik Adam
5 – Baratelli Fiorenzo
6 – Barbieri Roberta
7 – Bertone Annamaria
8 – Boari Francesca
9 – Bondi Loredana
10 – Bordini Maria
11 – Cappagli Daniela
12 – Carantoni Cinzia
13 – Carpeggiani Daniela
14 – Chiappini Alessandra
15 – Cuoghi Tito
16 – Dalloca Sergio
17 – Dall’Olio Roberto
18 – Faccini Giuseppe
19 – Faustini Corrado
20 – Fioravanti Giovanni
21 – Franchi Maura
22 – Gambi Silvano
23 – Grandi Enrico
24 – Grisanti Anna Maria
25 – Gessi Sergio
26 – Grossi Alessandro
27 – Guerrini Umberto
28 – Lupetti Sergio
29 – Magnani Gianpiero
30 – Mambriani Paola
31 – Mandini Stefania
32 – Marchetti Lucia
33 – Marzola Roberto
34 – Milani Mario
35 – Mori Antonella
36 – Orlandini Mauro
37 – Pancaldi Maurizio
38 – Passarotto Nicola
39 – Pedretti Daniele
40 – Piacentini Annalisa
41 – Piva Stefano
42 – Pusinanti Cinzia
43 – Seragnoli Daniele
44 – Soddu Sergio
45 – Stefani Piero
46 – Stefanini Milena
47 – Tassi Carlo
48 – Trondoli Adriana
49 – Turchi Marco
50 – Venturi Gianni
51 – Venturi Ivana
52 – Viel Clelia

Al grottesco non c’è limite

Da: Mario Zamorani.

Grotteschi Lupi Mannari si arrampicano sugli specchi con evidente effetto comico.
In data 18 febbraio è stato presentato un Question time da Benito Zocca, presidente del Gruppo consiliare Lega. Si dice che “in data 9 febbraio il Signor M.Z., noto esponente politico ferrarese, posizionava un banchetto per una raccolta firme ecc. …”, sostanzialmente, si dice, in posizione illegale. Poi si chiede “alla Giunta … quali provvedimenti intenda adottare nei confronti del signor M.Z.”.
Sulla stampa cittadina si scrive che avrei avuto la contestazione di una sanzione amministrativa di 170 euro per questo motivo. Allo stato non mi risulta. A questo proposito v edi oltre le parole del Direttore Generale.

Rispondo:

1. Mi chiamo Mario Zamorani e non ho mai nascosto la mia identità: perché mai definirmi M.Z. e per di più in un atto ufficiale? Quell’atto ha validità? Quanto meno induce al sorriso: sembra un atto da sprovveduti, da dilettanti allo sbaraglio.

2 . Il mio permesso, rilasciato a nome dell’associazione fe-nice, è stato concesso “sul marciapiede dell’ex palazzo della Ragione”. Noi eravamo davanti all’ex palazzo della Ragione ma lì erano posizionate 3 grandi automobili (come spesso avviene) e per questo motivo forse, ripeto forse (non dispongo di documentazione fotografica), il tavolo era giusto qualche centimetro fuori dal marciapiede. Faccio presente che in quel punto il confine fra marciapiede e carreggiata, che sono allo stesso livello, è quindi quasi indistinto.

3 . Il capogruppo Lega, signor Benito, davvero non ha di meglio da fare? Non è che esegue direttive?

4 . Quando il tavolo era allestito il signor Lodi, vicesindaco, passò a noi vicino e fedele alla sua nomea di sceriffo ci fotografò.

5 . Mentre eravamo in piazza nessuno ci contestò alcunché. Non un vigile urbano, non pubblico ufficiale e neppure un comune cittadino.

6 Dopo ripetute richieste tutte protocollate senza esiti, f eci una decina di sit-in per avere da Fabbri, il sindaco, una risposta alla mia contestazione di un tavolo illegale della Lega (con foto) sotto il Volto del Cavallo. A lungo non rispose, violando Stat ut o e apposito Regolamento comunale, poi a distanza di vari mesi mi arrivò una risposta firmata dal Direttore Generale Sandro Mazzatorta. Fra le altre cose diceva che il permesso della Lega era stato concesso “fra Corso Martiri della Libertà e Via Cairoli”, che “la presenza di un tavolo sotto il Volto del Cavallo rappresenterebbe una indubbia violazione della concessione amministrativa”, e “… Tuttavia non esiste un verbale di accertamento della presunta violazione a cui Lei fa riferimento e, dunque, manca il presupposto per attivare il procedimento s a nzionatorio. L’accertamento di una occupazione “abusiva” va effettuato con la constatazione da parte di un pubblico ufficiale.

7 . Faccio presente che il tavolo illegale della Lega da me denunciato era a d almeno cento metri di distanza dal luogo che era assegnato allo stesso. Per altro era sotto il Volto del Cavallo, luogo esplicitamente e rigorosamente interdetto ai tavoli dei partiti. E forse, ripeto forse, il mio (permesso per una associazione) era a pochi centimetri dal luogo assegnato (e con il marciapiede con 3 grossi autoveicoli che intralciavano non poco il passaggio). Il Question time di cui parlavo fa proprio riferimento alla mia precedente denuncia con il titolo “Q-T in merito all’incongruenza tra il dire e il fare”.

8. L’effetto complessivo è grottesco. E anche involontariamente comico. Pare sotto la regia del vicesindaco. Viene spesso da pensare che si sia toccato il fondo, ma non è mai così, almeno a Ferrara, in questi tempi .

Cordiali saluti.

Tre storici Assessori alla Cultura contro il monopolio Sgarbi:
non buttiamo via un grande patrimonio culturale, non roviniamo il nome di Ferrara.

di Alberto Ronchi, Francesco Ruvinetti, Massimo Maisto

Lettera Aperta al Sindaco di Ferrara

L’attività, riconosciuta a livello internazionale, delle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Ferrara e di Ferrara Arte, attività che, sia pur in tempi diversi, abbiamo conosciuto in modo approfondito nei ruolo di Assessori alle Politiche Culturali del Comune, è stata costruita, si è sviluppata e ha coinvolto almeno tre generazioni di cittadini.
Essa si è basata essenzialmente sulla produzione e organizzazione di mostre originali con collaborazioni e prestiti nazionali ed internazionali; la crescita di un personale specializzato in ogni settore, dallo studio e ideazione all’allestimento, dall’accoglienza del pubblico allo sviluppo della biglietteria e del bookshop, fino alla preziosa attenzione per le attività didattiche; la pubblicazione di cataloghi originali editi da una propria casa editrice con importanti interventi di esperti, ancora una volta, nazionali ed internazionali.
Le tre direzioni che si sono succedute dalla metà degli anni Sessanta del secolo scorso ai giorni nostri – Farina, Buzzoni, Pacelli – hanno certamente espresso modelli culturali e organizzativi diversi che, a volte, hanno suscitato vivaci dibattiti in città, ma sempre, in ogni caso, hanno garantito, ognuno a modo loro, la ricerca, la qualità e l’originalità delle mostre proposte.
Questo lungo lavoro ha portato Ferrara ad essere riconosciuta come una delle città più importanti nel panorama nazionale sul versante espositivo e, di conseguenza, ha fatto crescere in modo esponenziale il turismo con fondamentali ricadute economiche.

Proprio in queste settimane sono in corso due mostre che confermano e raccontano quanto stiamo descrivendo. De Nittis e la rivoluzione dello sguardo è una splendida esposizione che, collegando il lavoro del pittore di Barletta alla nascita della fotografia e del cinema, rivela aspetti inediti nell’opera dell’artista.
La collezione Franco Farina. Arte e Avanguardia a Ferrara 1963/1993 è incentrata sull’inizio di un percorso prestigioso che, con Man Ray, Andy Wharol, Robert Rauschenberg – solo per citare alcuni degli artisti presenti in città all’inaugurazione delle loro personali – ha imposto Palazzo dei Diamanti all’attenzione della critica e del pubblico. Presente e passato, certamente diversi, ma sempre caratterizzati dall’originalità e dalla qualità delle proposte.
La nuova Amministrazione e il nuovo Sindaco, dopo aver assicurato continuità a questa fondamentale esperienza, hanno, di fatto, completamente cambiato rotta. Dopo la nomina dell’On. Vittorio Sgarbi a Presidente di Ferrara Arte, hanno decapitato la struttura non confermando, come direttrice, Maria Luisa Pacelli, nonostante gli ottimi risultati ottenuti, e non prevedendo una nuova nomina in questo ruolo. Lo stesso debordante Presidente ha attaccato pubblicamente l’esposizione dedicata a De Nittis, lamentando “costi eccessivi” e inaugurando l’inedita formula di un Presidente che critica aspramente e ripetutamente il lavoro della Fondazione che presiede. Non solo, lo stesso Presidente ha ritenuto opportuno, fatto inedito, e dal nostro punto di vista molto grave, di utilizzare Palazzo dei Diamanti nella propria campagna elettorale per le recenti elezioni regionali.

Attualmente non risulta vi sia alcuna programmazione delle prossime attività, con un conseguente, possibile, grave danno per l’organizzazione del turismo in città. L’unica mostra annunciata è dedicata allo street artist Banksy che, per le sue caratteristiche, sconvolge completamente e rischia di danneggiare l’immagine, faticosamente costruita, di Palazzo dei Diamanti. Dal 2016, solo in Italia, sono state organizzate ben sette mostre dedicate all’artista inglese, e Metamorfosi, che produce l’esposizione ferrarese, ne ha programmate e/o ne ha in programma altre tre, oltre la nostra, in diverse città italiane. Quel che è peggio è che lo stesso Banksy, sul proprio sito, definisce tutte le ‘personali’ a lui dedicate, compresa quella di Ferrara, con l’aggettivo “fake” che si traduce con “falso”.

Tutto questo ci trasforma, da produttori, e spesso esportatori, in semplici contenitori promiscui di esposizioni realizzate fuori Ferrara, ci toglie il prezioso marchio dell’originalità, rischia di pregiudicare i rapporti con i musei internazionali.
Non possiamo poi non sottolineare come recentemente la Giunta abbia approvato una convenzione con la Fondazione Cavallini Sgarbi per l’utilizzo del Castello. Altri hanno evidenziato le contraddizioni e i punti deboli di questa delibera. Noi ci limitiamo a notare come, anche nel caso di questa Fondazione, la presidenza sia assunta dall’On. Vittorio Sgarbi. Ci pare evidente il rischio di un conflitto di interessi, soprattutto nel caso in cui Ferrara Arte venga chiamata a collaborare, per qualsiasi funzione, con le diverse esposizioni previste in Castello e realizzate con le opere d’arte possedute dalla Fondazione Cavallini Sgarbi.

In conclusione, riteniamo legittimo che una nuova amministrazione proponga alla città una diversa politica culturale, ma questo non può significare lo smantellamento di una eccellenza come Palazzo dei Diamanti, né la consegna monopolistica ad un unico soggetto dell’intera attività espositiva della città.
Per tutte queste ragioni chiediamo al Sindaco di intervenire, riassumendo, in questa delicata fase, la carica di Presidente di Ferrara Arte e individuando, nei modi che ritiene più opportuni, nel rispetto della legge e degli statuti vigenti, un direttore che sia garante della qualità e dell’originalità delle mostre allestite a Palazzo dei Diamanti, permettendo di proseguire un percorso virtuoso che da più di cinquant’anni caratterizza positivamente la nostra città.

Alberto Ronchi è stato Assessore alle Politiche Culturali del Comune di Ferrara dal 1999 al 2005. Ha inoltre ricoperto gli incarichi di Ass.re alla Cultura della Regione Emilia Romagna e del Comune di Bologna.

Francesco Ruvinetti è stato Assessore alle Politiche Culturali del Comune di Ferrara dal 1995 al 1999. Ha inoltre ricoperto gli incarichi di Presidente della Provincia di Ferrara e di Amministratore Unico di Ferrara Arte.

Massimo Maisto è stato Assessore alle Politiche Culturali del Comune di Ferrara dal 2007 al 2019. Ha inoltre ricoperto l’incarico di Vice Sindaco del Comune di Ferrara.

FOTO DI COPERTINA:  Beniamino Marino per Ferraraitalia

Influencer siamo tutti

Esiste una responsabilità precisa e inequivocabile che inchioda il ‘personaggio pubblico’ nelle sue funzioni, ruolo e mandato che gli vengono attribuiti. Non è una questione arbitraria, barattabile e mutevole a seconda delle situazioni, dei casi e delle circostanze: chi rappresenta pubblicamente un modello, un’immagine, una proiezione, incarnando aspettative, speranze, aspirazioni, deve assumersi tutto questo consapevolmente, farsene carico, restituire un feedback onesto.
Il personaggio pubblico deve essere conscio della grande riconoscibilità sociale delle sue parole e dei suoi comportamenti, sottoposta ormai quasi sempre all’amplificazione dei media. Vale per gli esponenti politici e istituzionali, per le rappresentanze religiose, per i personaggi dello spettacolo e dello sport. E in un’epoca, la nostra, in cui gli ‘influencer’ nascono come funghi dalla sera alla mattina, prosperando e battendo record di followers e lauti benefici economici, la responsabilità diventa ancora più necessaria dal punto di vista etico e sociale.
In fondo, a ben vedere, siamo tutti influencer – almeno digitali – di un piccolo pubblico, gruppo di contatti o altro, perché ogni pubblicazione online, commento, articolo, apprezzamento, like o smile ha un impatto su chi legge, con valore che si protrae nel tempo e spesso senza feedback visibile e misurabile nell’immediato.
L’emulazione degli atteggiamenti più negativi è il rischio più diffuso e riscontrabile: si assiste agli eccessi di chi vomita insulti, disprezzo marcato, rabbia, frustrazione esasperata, epiteti, odio, sull’onda di sentori, pregiudizi, convinzioni fuorvianti manovrate e pilotate da linee di pensiero che demoliscono il buonsenso e la costruttività.
Viviamo nell’epoca della deresponsabilizzazione che ha il sopravvento sull’assunzione di responsabilità individuale, perché prevale il dissociarsi dal proprio carico di consapevolezza e impegno, scaricando sugli altri ogni forma di coinvolgimento personale, confondendosi nella mischia.
E’ sufficiente accedere a qualsiasi social network per evidenziare immediatamente questo riscontrare indiscriminato di ogni tipologia di sfogo senza limiti e coscienza che, aldilà dell’oscuramento e censura previsti nei casi più eclatanti, ricade a pioggia su tutti, imbrattando e compromettendo quella che potrebbe essere una fantastica possibilità di scambio, arricchimento, sana crescita collettiva e globale.
La responsabilità è un modo di essere, una filosofia di vita che parte dalla riflessione e dall’onestà intellettuale. Parte soprattutto da se stessi, con la consapevolezza delle conseguenze delle proprie
azioni, per manifestarsi con e in mezzo agli altri, con la comprensione dei sentimenti, delle ragioni e dei risultati che vengono generati. Responsabilità sottende libertà: “la libertà è la volontà di essere responsabili di noi stessi”, affermava Nietzsche.
Margherita Hack scriveva: “Ero vegetariana, ero molto più libera di tutti i miei coetanei, perché avevo dei genitori liberali il cui stile educativo faceva leva sulla mia responsabilità e non sull’imposizione di regole. Anche se avrei preferito molto restarmene in casa a leggere, la sera mi imponevo di uscire per andare a vedere i varietà. Solo per ribadire la mia libertà e la mia indipendenza come individuo e come ragazza”.

Sedici febbraio

di Carla Sautto Malfatto

SEDICI FEBBRAIO

Io lascio una traccia,
si somma a quella degli altri
si sovrappone
si interseca.
“Gli avi”, dicevano una volta…
La trama è fitta,
un telo, una coperta
per proteggere chi amo,
chi ancora non conosco.
Qualcuno, ne dovrà tenere conto.

Non sono ancora pronta
ad annullarmi nell’insieme
ma vi sto lavorando
con un filato che non producono più
che è solo mio.
Nulla andrà perduto
è un miracolo, e un peccato.
Sempre più lo comprendo
all’imbrunire.
come altri prima di me,
in quegli occhi
spaventati e grati.

Oggi, il mio compleanno,
è un ricamo di fino
per esperti e clementi.

Con visetto fresco
mi hai regalato il disegno
di un cielo arcobaleno,
con pianeti e astri sfolgoranti.
Hai dimenticato di colorare
solo una stella.

Non avere fretta…

(Carla Sautto Malfatto – tutti i diritti riservati)

Invalsi abbandonati: una scuola in fuga da se stessa

L’Invalsi, ma i comuni mortali non credo sappiano cosa si cela dietro il fatidico acronimo, sta per Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema. Nel caso specifico il sistema è quello scolastico del nostro Paese.

A leggere che nel decreto Mille proroghe è previsto che l’esito dei test Invalsi, che dovranno affrontare gli studenti dell’ultimo anno delle superiori per essere ammessi all’esame di stato, non fa curricolo, vale a dire sarà ininfluente per la valutazione finale e per il profilo delle competenze in uscita, dà l’impressione  che a cadere a pezzi oltre agli edifici scolastici sia anche il sistema formativo. Non è che la cosa sia nuova, già l’ex Ministro dell’istruzione in quota Lega aveva provveduto a togliere le prove Invalsi dal curricolo degli studenti di terza media. Ora anche la Ministra grillina si accoda, per dire quale lungimiranza guidi chi siede al governo delle nostre scuole.

Evidentemente, su ogni altra riflessione, fa buon gioco un facile populismo che porta ad assecondare quella parte del mondo scolastico da sempre ostile nei confronti delle prove Invalsi, con l’intento di accattivarsene le simpatie. Ora, l’idea che ha ispirato il provvedimento è che a contare sono i voti dei docenti e non l’esito ottenuto ai test dell’Invalsi in italiano, matematica e lingua inglese.

Qualunque persona dotata di buon senso è, a questo punto, tentata di chiedersi: a che fare ci teniamo un istituto di valutazione se su di esso prevale il giudizio degli insegnanti? È come se il medico ci diagnosticasse una malattia che però, a seguito delle analisi, risultasse essere tutt’altra cosa da quanto ipotizzato dal nostro dottore. Ma siccome sul responso delle analisi prevale la diagnosi del medico, degli esiti degli esami non si tiene conto. Sarebbe un modo veloce per far fuori buona parte della popolazione. Infatti, con questo metodo, il nostro sistema scuola si colloca nelle ultime posizioni delle classifiche Ocse, con preoccupanti divari tra nord e sud del Paese.

Il compito dell’Invalsi non è quello di dare voti, ma di fornire alle scuole e agli studenti indicazioni per individuare i punti di forza e i punti deboli. Funziona come le analisi cliniche che ci dicono cosa va e cosa non va nel nostro corpo. Ma senza queste analisi, nessun medico potrebbe intervenire a somministrare il farmaco e la cura corretti. Altrettanto vale per il sistema scolastico, sta poi alla competenza professionale degli insegnanti intervenire per migliorare la didattica e favorire la riuscita di ogni studente.

Il compito dei docenti non consiste nel distribuire voti, ma nell’innalzare i livelli di istruzione e di competenza degli studenti. E’ questo il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza. E non è possibile farlo senza l’opera preziosa di uno strumento fondamentale come un istituto nazionale di valutazione. Non è mica un delitto se qualcuno ci indica che possiamo fare meglio, sia professionalmente che come sistema; è invece una fonte preziosa di arricchimento individuale e collettivo.

Assistiamo invece a una scuola in fuga da se stessa, che teme ogni verifica, ogni valutazione, ogni esito di prove oggettive, denunciando così un profondo senso di insicurezza. L’ostilità alle prove Invalsi è segno di una professionalità debole, di una sfiducia nei confronti delle proprie competenze da parte della classe insegnante. Grave, perché se un docente non è fornito di autostima, come possono avere fiducia in lui gli studenti, le famiglie, la società. E forse anche con questo si spiega come siano andati deteriorandosi in alcuni casi i rapporti tra genitori e scuola.

Non è fuggendo da sé e dalle proprie responsabilità che si affrontano i tanti problemi del nostro sistema scolastico. La nostra scuola ha necessità di incontrare l’Invalsi e non di fuggire da esso. I nostri studenti devono essere garantiti, devono sapere cioè che il loro tempo e i loro sforzi compiuti negli studi sono serviti a qualcosa, che fanno curricolo e certificano le loro competenze. E’ quello che da anni ci chiede l’Europa.

La scuola ha bisogno di un giudice terzo che l’aiuti a migliorarsi, che consenta agli studenti di giungere al termine degli studi sicuri che le loro competenze valgono, che saranno riconosciute nella società e sul mercato del lavoro. E questo non lo può fare il voto di uno o di dieci insegnanti, ma solo un sistema di valutazione nazionale riconosciuto a livello europeo e mondiale.

Quello che noi abbiamo è l’Invalsi, che ha dimostrato di funzionare bene. Non è necessario copiare gli americani che affidano agli esiti dei test nazionali la sorte delle scuole e dei docenti. La nostra storia e la nostra cultura non sono queste. Dovremmo smetterla di continuare a nasconderci dietro i voti, dovremmo lasciare la valutazione, che è questione difficile e complessa, a chi la sa fare e la sa gestire, non per giudicare ma per aiutarci ad essere sempre migliori.

Curiosi e sorprendenti.
Quando a stimolare la ricerca sono i più piccoli

C’era un tempo in cui le cattedre sovrastavano imponenti e imperiose la timida ignoranza di gente comune. Chi non aveva avuto la fortuna di studiare, o era conoscitore di altri saperi, o semplicemente era ancora in fase di scolarizzazione, ben poco avrebbe potuto comprendere entrando in un museo. Finché qualcosa cambiò.

L’attenzione odierna ai pubblici che in un modo o nell’altro incrociano la propria vicenda con quella di un museo, è cosa recente. Fino alla prima metà del secolo scorso, non esporre l’intera collezione in possesso sarebbe stato impensabile. Senza alcunché di esplicativo, oltretutto, poiché risultava scontato che la persona interessata fosse già in grado di ricostruire le situazioni esposte, basandosi sul proprio background. Pareti tappezzate di opere d’arte e vetrine stracolme di oggetti antichi hanno in seguito lasciato spazio a una nuova concezione di museo come servizio pubblico. Se è la cittadinanza tutta a contribuire alla sua stessa esistenza, è giusto che possa essere vissuto dall’intero corpo civico come luogo sociale, senza distinzioni professionali o anagrafiche. Il museo si configura così non solo come spazio deputato alla ricerca e alla conservazione, ma imprescindibilmente anche alla comunicazione. Non è la pochezza di chi vuole piegarsi al “marketing a tutti i costi”, bensì la consegna di informazioni sull’allestimento proposto e sul significato del museo. Il solo modo, questo, per permettere il raggiungimento di una reale messa in comune – comunicazione, ça va sans dire – delle conoscenze attuali in qualsiasi campo. Non rivolgersi alle scuole, momento principe dell’educazione, con una didattica mirata risulterebbe pertanto incomprensibile, certo, ma ciò non toglie che non sia una sfida ancora non del tutto tratteggiata. Senza una sistematica didattica è stato, finora, il nostro Museo Archeologico Nazionale, conosciuto e amato come Museo di Spina, che a ciò ha cercato di sopperire con l’aiuto saltuario del volontariato e di progetti di alternanza scuola-lavoro. E’ grazie a due realtà locali, però, che la mancanza sofferta inizia a trasformarsi in realtà. ‘Al Museo con l’Archeologo, gli Amici dei Musei per Spina’ è l’incontro che sabato 15 febbraio ha visto la presenza dell’associazione Amici dei Musei e Monumenti Ferraresi, la cui attività è diretta alla conoscenza e promozione del patrimonio artistico ferrarese e nazionale, e della cooperativa Le Macchine Celibi, funzionale alla gestione di servizi per gli enti pubblici e di eventi culturali, entrambe protagoniste di un cambiamento in atto. Il progetto consiste nell’offerta, da parte dell’associazione, di visite guidate a dieci classi di dieci istituti superiori ferraresi – almeno per il momento – , gestite dalla cooperativa. Un bell’esempio di interazione tra mondi vicini, che faranno apprezzare alle nuove generazioni la vita quotidiana degli oggetti nel loro contesto e le antiche storie che quei reperti possono raccontare con la loro iconografia.

E poi capita che durante un’attività laboratoriale al museo, quella intelligente bambina dagli occhi vispi e incontenibili prenda la parola e ponga la domanda che da qualche minuto le assilla la mente. Una domanda che spiazza, così innovativa da stimolare un nuovo dubbio, un nuovo percorso di ricerca. E’ il bello della comunicazione: si mette in comune per arricchirsi vicendevolmente.

 

Museo Archeologico Nazionale di Ferrara
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L’inverno del nostro scontento

L’inverno del nostro scontento è un romanzo del 1961 di John Steinbeck. Il titolo del romanzo, tradotto in italiano da Luciano Bianciardi, fa riferimento al celebre primo verso del dramma shakespeariano Riccardo III: “Ormai l’inverno del nostro scontento / s’è fatto estate sfolgorante ai raggi di questo sole di York”.  Ma se in Shakespeare è il passaggio dalla triste stagione ad una solare ottimistica e trionfante che tuttavia diverrà drammaticamente tragica coinvolgendo un’intera nazione, nell’opera di Steinbeck il fallimento delle ambizioni del protagonista Ethan, che tenta di ridare una dignità economica alla propria famiglia, produce una catastrofe morale di cui il personaggio è il simbolo più evidente.
Nell’inverno 2020 in questa città, in questa nazione, l’inverno del nostro scontento ha per protagonisti i politici che cercano il sole e ci ricacciano invece in un inverno senza fine. Due intellettuali (una qualifica che nonostante tutto non è stata del tutto consumata) affrontano da due diversi punti di vista lo scontento che lucidamente o confusamente si respira: Roberto Pazzi, il bravo scrittore e poeta, in una intervista al direttore del Carlino Ferrara Cristiano Bendin (13 febbraio), e nella stessa data Francesco Merlo su la Repubblica.

Roberto Pazzi è una voce assai autorevole della cultura ferrarese. Non si dimentichi che qui abita e che qui ha il suo osservatorio privilegiato. Lo conosco da quando eravamo ragazzi, abbiamo insegnato nella stessa scuola, abbiamo avuto gli stessi amici e molto spesso, come accade tra persone che condividono gli stessi propositi – in questo caso il senso dello scrivere nella vita e nella conoscenza del mondo- abbiamo avuto parecchie discussioni anche animate e spesso sull’orlo della rottura; poi invece si è ripreso e ricominciato a discutere. So che Pazzi non ha mai dimostrato una propensione a giustificare il proprio lavoro appoggiandosi a un’evidente parte politica. Sicuramente un democratico, un precursore dei tempi, ma non certo impegnato – come si diceva una volta – nella politica. E proprio da questa sua lunga fedeltà al principio della scrittura che lo fa insorgere e rendere giustamente ‘politico’ procede il suo discorso. Così scrive: “Non usare la scrittura per diffondere cattiveria e odio, divisione e razzismo. C’è già tanto male nel mondo, non ci si deve mettere anche la penna a seminare il male.”.  Poi la durissima presa di posizione per gli exploits a cui si lasciano andare certi politici ferraresi e qui la sua limpida condanna appare degna di un ‘vero’ uomo di cultura: “la democrazia anche durante le elezioni amministrative è sacra, fragile come cristallo, in politica non esistono nemici ma solo avversari. Certo la precedente amministrazione aveva creato sistema, un ricambio non faceva male…Ma il rimedio è peggiore assai del male. Ignoranza, incompetenza, volgarità, arroganza sono il cocktail sinistro di questi che oggi governano. Una vergogna.”.

L’articolo di Francesco Merlo, che puntualizza l’aspetto più sconcertante dell’attività politica di Salvini, mi ricorda un aspetto del film vincitore di 4 Oscar Parasyte, che ho trovato abbastanza sconcertante e non certo degno di tanti premi. Quel film però riesce a trasmettere l’aspetto più difficile dell’arte visiva: quella di restituire gli odori e le puzze. Così l’articolo di Merlo restituisce non gli odori, ma la brutta volontà di servirsi di un privatissimo sentimento, qual è l’amore dei figli, per farne strategia politica. Come si vede in tantissimi servizi dei telegiornali o nei talk show, il politico, dopo aver salutato il suo pubblico con quelle mani giunte che ormai insopportabilmente rimandano al saluto preferito dai cantantucoli e dagli eroi del calcio, cioè alla sua platea preferita, avrebbe raccontato come sua figlia Mirta – riferisce Merlo – si sarebbe spaventata per il titolo apparso su La Repubblica Cancellare Salvini: “Ma papà, perché ti vogliono cancellare?”. E il vittimismo, commenta il giornalista, è diventato qui “barocco e minaccioso come vuole la nuova sottocultura della destra , da Trump a Orbán”. Poi si scopre che questi ragionamenti sono fatti da una bimba di 7 anni!

Non siamo immuni, tutti noi, da una foga di parte che determina, soprattutto in politica, atteggiamenti leggermente schizofrenici di cui l’altro Matteo, il Renzi, sta ora dando illuminanti esempi. Cerchiamo nella vita di ricostruire un impegno che sembra essersi totalmente esaurito negli ultimi anni. Nella nostra ‘singolare’ città, ormai lo posso dire con cognizione di causa, accadono strani avvenimenti difficilmente spiegabili se non alla luce di una continua campagna elettorale che ci oppone come nemici che come avversari politici.
Mi si potrebbe chiedere. Ma perché continui a tormentarti e a tormentare? A testa bassa rispondo: per l’alta e imprescindibile passione della verità della parola e degli atteggiamenti che ancora , direbbe Lui, Dante, nel lago del cor m’era durata e mi dura tuttora.

“Dunìn l’è mort”.
Come e perchè la ditta F.lli Sgarbi sta conquistando Ferrara

Chi frequenta, almeno un po’, il vizio della scrittura, conosce bene il ‘tormento del titolo’. Ti lambicchi il cervello ma il titolo, il titolo giusto, non arriva. Alla fine lo trovi, ma non ti convince, e lo cambi e lo ricambi. Fermo e Lucia? Gli Sposi Promessi? I Promessi Sposi? Ma succede anche il contrario. A volte, invece di uno, ne trovi dieci di titoli. E vanno tutti bene, ti piacciono tutti, non vorresti scartarne nessuno.
Su Vittorio Sgarbi, su sua sorella Elisabetta, sulla nota vicenda della Collezione Cavallini Sgarbi, di cose da dire ce ne sono davvero tante. E ognuna di queste merita il suo titolo proprio. Così, abusando della pazienza dei miei venticinque lettori (una stima molto più vicina al reale di quella fatta un po’ per piaggeria dal sommo Manzoni), nel seguito troverete diversi titoli paralleli. Parafrasando il famoso detto: “A ogni titolo il suo lettore. A ogni lettore il suo titolo”.

Dunìn l’è mort

Dunìn – così si chiama a Ferrara, ma vive in qualsiasi altrove con altro nome –  era un tale che donava senza pretendere nulla in cambio. Nel detto popolare Dunìn è morto, se n’è spenta la genia, perché nella dura realtà della vita, chi dona, chi ama presentarsi come benefattore disinteressato, spesso nasconde un suo personale tornaconto. Insomma, quel che sembra un dono è spessissimo uno scambio commerciale ben camuffato.
La Collezione Cavallini Sgarbi ‘donata’ alla città in cambio del 20 per cento degli incassi, ha suscitato un gran polverone. E’ un fatto piuttosto vergognoso, e bene ha fatto la neonata Associazione Piazza Verdi a denunciarlo, rivelando tutti i dettagli della vicenda.  E inaugura anche una prassi inedita – scambiare in vita l’affidamento al Pubblico di un bene privato in cambio di un congruo affitto – che è sperabile non faccia scuola.
D’ora in poi, mi viene da dire, dovrebbero essere severamente vietate le donazioni, o presunte tali, che non siano post mortem. Vuoi donare un bel quadro alla Collettività? Grazie tante, è un gesto nobilissimo. Ma aspetta di morire.
Insomma, anche a me tutta la storia non piace per nulla. Sono disposto anche a scandalizzarmi, ma non riesco a fingermi sorpreso. Dunìn l’è mort da molto prima che Vittorio Sgarbi venisse al mondo. Anzi, che io sappia, il proverbiale signor Dunin non è mai esistito.
C’è però qualcosa che mi è sembrato davvero insopportabile: le parole di Vittorio Sgarbi appena dopo la vittoria del Centrodestra e l’elezione di Alan Fabbri a Primo Cittadino di Ferrara. Siccome Sgarbi possiede un formidabile megafono, e siccome Sgarbi ama le ripetizioni (vedi il fatidico “capra, capra capra”) è difficile dimenticare la sua dichiarazione di intenti, la sua solenne promessa: per Ferrara lavorerò gratis, dalla mia città non voglio neppure un soldo, farò il presidente di Ferrara Arte senza stipendio.
Ecco, almeno questo Vittorio Sgarbi poteva risparmiarcelo.

Le urne dei Forti

Vittorio Emiliani ha scritto aI Fatto Quotidiano (12 febbraio) una appassionata e dolente lettera sulla decadenza di Ferrara. L’occasione per il suo intervento, quasi un de profundis, è ancora una volta la vicenda di cui sopra e, insieme, le ultime sparate pubbliche del Vicesindaco Naomo Lodi. Emiliani, che a Ferrara aveva frequentato il Liceo Ariosto e che per la nostra città conserva un amore profondo, ispirato dalle ‘urne dei Forti’, pensando cioè ai tanti e trapassati ferraresi illustri, lamenta l’abisso di volgarità in cui è caduta la città degli Estensi. Volgarità che, sia detto per inciso, noi indigeni dobbiamo sorbirci quotidianamente.
Ferrara è da tempo e stabilmente alla ribalta delle cronache nazionali. Per la clamorosa sconfitta del Centrosinistra e l’avvento del primo Governo Leghista, per il falso e sciagurato storytelling su un quartiere Gad in mano alla malavita, per la rimozione dello striscione di Giulio Regeni dallo Scalone del Comune, per la ‘proposta indecente’ di assunzione fatta dal Consigliere Comunale Armato Stefano Solaroli, per la ruspa sgombra-rom e le minacce sui social del capopopolo Naomo… L’ultimo capitolo della nuova ‘fortuna mediatica’ di Ferrara è, per l’appunto, l’accordo artistico-commerciale tra i fratelli Sgarbi e la nuova Giunta leghista. Altri seguiranno.
La “triste Ferrara” di cui scrive Emiliani, è tanto più triste per noi ferraresi. Che, quando incontri un amico foresto, questi non ti chiede più del Meis o della mostra di De Nittis e di Previati, ma sfodera ironie o ti sussurra all’orecchio le sue condoglianze per la discesa agli Inferi di Ferrara.
I Forti, gli Uomini illustri di Ferrara – nella sua lettera Vittorio Emiliani ne nomina tanti – probabilmente in questo momento si rivoltano nella tomba. Aggiungo altri nomi all’elenco di Emiliani: che cosa penserebbero della Ferrara di oggi, cosa direbbero, che proposte farebbero persone del calibro di Silvano Balboni, Vittorio Passerini, Paolo Ravenna, Guido Fink, Adriano Franceschini, Luciano Chiappini, Carlo Bassi se fossero ancora tra noi?
Rimangono i vivi. Ma questi preferiscono strillare vanamente. O starsene in silenzio. Forse il nostro guaio non si chiama Naomo, non dipende dalle vere o presunte malefatte della premiata ditta F.lli Sgarbi. Forse il guaio (la nostra colpa) è non svegliarci da un profondo sonno civile, prima ancora che culturale e politico.

Peccato Vittorio!

Attenzione, quel che dirò di seguito, mi guadagnerà dei nemici.
Non conosco di persona Vittorio Sgarbi. Culturalmente e politicamente sono ai suoi antipodi: non c’è bisogno di aggiungere altro. Ma non capisco, e non approvo, quel livore che tante e tanti amici di sinistra nutrono verso di lui. Sembra quasi obbligatorio esternare verso Sgarbi un sovrano disprezzo, dargli dell’incompetente, del farabutto, del fascista e consimili. A me pare una solenne cretinata.
Non conosco Vittorio Sgarbi, non ho il numero di uno dei suoi numerosi cellulari. Se lo avessi, se una sera mi venisse voglia di fare quel numero e lui, per qualche caso, rispondesse al telefono, gli direi che io non la penso cosi. Che, anzi, lo ritengo persona di profonda conoscenza della storia dell’arte e di grande curiosità intellettuale, con una rara sensibilità e intuito nello scoprire e valorizzare tanti nostri artisti ‘minori’ e ingiustamente dimenticati. Gli concederei volentieri talento nella scrittura, in particolare nella divulgazione. Confesserei che molti suoi libri, anche se non geniali, sono godibili e scritti in un buon italiano. Libri utili, in mezzo a un mare di libri inutili.
Certo, Sgarbi è anche affetto da un egotismo al quarto stadio; è un Grande Narciso, un polemista che ama trascendere nell’insulto. Ma quanti, tra politici ed intellettuali, e con meno talento di lui, coltivano i medesimi vizi?
Vittorio Sgarbi non mi piace. Eppure lo compiango. Mi spiace che nella sua vita, percorsa sempre a cento all’ora, abbia compiuto quell’errore fatale e irrimediabile. Ha voluto occuparsi e occupare la politica. Così è diventato un politico mediocre, un saltafossi, un arraffino: ‘uno come tanti’, proprio lui che per vizio e vocazione si è sempre pensato unico e inimitabile.
Si fosse limitato a fare bene il suo mestiere, avesse continuato ad arare il suo campo e coltivare le sue messi,   Vittorio Sgarbi sarebbe diventato un altro Federico Zeri (da Sgarbi tanto odiato, ma che tanto gli assomigliava, nel fiuto, nell’anticonformismo, come nelle inevitabili cantonate). Non esageriamo, Sgarbi non è e non sarebbe mai stato un Roberto Longhi, ma pian piano avrebbe potuto occupare un posto significativo nella storia della critica dell’arte figurativa. Si sarebbe preso le sue soddisfazioni. E avrebbe fatto i soldi ugualmente.
Senza la politica, con la passione e la strenua applicazione al lavoro che tutti gli riconoscono, poteva fare molta strada. E magari, con un po’ di fortuna, andare anche lontano, arrrivare a incontrare i suoi posteri, entrare addirittura nel novero dei ferraresi illustri. E invece niente. Capra, capra, capra… Che peccato Vittorio!

 

17 Febbraio: “I Vitelloni” di Federico Fellini, al Cinema Boldini.

Da: Arci Ferrara APS.

Continuano al Cinema Boldini le proiezioni che omaggiano il cinema di Federico Fellini in occasione del centenario della sua nascita (20 gennaio 1920).

Lunedì 17 febbraio l’appuntamento che chiude la rassegna FELLINI100 (sono cinque i capolavori felliniani che sono stati portati in sala tra gennaio e febbraio) è con I VITELLONI in versione restaurata.

“Vitelloni” vengono chiamati, nelle città di provincia, quei giovani di buona famiglia che passano la loro giornata nell’ozio, tra il caffé, il biliardo, la passeggiata, gli amori inutili, i progetti vani. Tali sono, nella loro piccola città, cinque amici: Fausto, Moraldo, Alberto, Leopoldo e Riccardo.

Fausto amoreggia con Sandra, la sorella di Moraldo e quando lei rimane incinta, per volere del padre deve sposarla. Ma né il matrimonio, né la paternità hanno la virtù di renderlo più serio perché Fausto è sempre lo stesso “vitellone”, amante dell’ozio, delle avventure, dei passatempi. Dopo avergli ripetutamente perdonato i suoi tradimenti, Sandra un bel giorno perde la pazienza e scappa di casa col bambino.

E’ un duro colpo per Fausto, che comprende finalmente tutto il male che ha fatto a sua moglie: la cerca disperatamente, la trova, si riconcilia con lei, mentre suo padre completa, a suon di bastonate, la lezione.

Gli altri vitelloni continuano a trascinare la loro inutile esistenza e tra loro campeggia il personaggio di Sordi (Alberto), punto di fusione di violenza satirica, grottesco e patetismo. Il film si chiude con la partenza all’alba di Moraldo, il meno intorpidito del gruppo, salutato alla stazione da Guido, il piccolo aiuto ferroviere, simbolo di un mondo dove la fatica quotidiana è la regola.

Uscito nelle sale nel 1953, I VITELLONI è il terzo film diretto da Fellini, dopo “Luci del varietà” e “Lo sceicco bianco”. Il primo a vincere un riconoscimento importante come il Leone d’Argento al Festival di Venezia, oltre che il Nastro d’Argento come miglior regia, miglior attore non protagonista per Alberto Sordi e miglior produttore.

Riflessioni post elezioni regionali in Emilia Romagna.

Da: Il Comitato Politico Federale di Rifondazione Comunista di Ferrara.

In queste ore si sta insediando il nuovo Consiglio regionale dell’Emilia Romagna e alla vicepresidenza avremo Elly Schlein con delega alle politiche sociali e al coordinamento di un Patto per il clima, sono d’obbligo gli auguri alla neo-eletta con la speranza di essere in grado d’incidere positivamente in regione, in merito alle politiche ambientali e infrastrutturali, e non solo. Sono passate ormai alcune settimane dagli esiti elettorali, e ancora scottante appare la sconfitta subita da L’Altra Emilia Romagna e dalle altre forze di Sinistra. Il “voto utile”, propagandato come l’unico capace di scongiurare l’inevitabile discesa barbarica, come se il male minore fosse contribuire al processo di cementificazione e legittimazione dello spostamento a destra; il bipolarismo dei candidati alla presidenza e infine il sistema elettorale maggioritario, hanno avuto come esito l’annientamento pressoché totale di una qualsivoglia altra voce critica, se pur rappresentata da contenuti e competenze qualitativamente alti. E’ stato un voto contro e non a favore di qualcosa, di una prospettiva di società ad esempio opposta alla scelta secessionista di originaria memoria leghista, a favore dei ricchi, peculiare nell’autonomia differenziata, subito confermata dal rieletto presidente. La vittoria se pur di scarsa misura di un candidato alla presidenza regionale come Stefano Bonaccini che ha prevalso sulla proposta della Lega Lucia Borgonzoni, è una cosa positiva, L’Altra Emilia Romagna così come Rifondazione Comunista sono stati da sempre, innanzitutto contro le destre in una posizione precipuamente antifascista, ma questa non si può definire una vittoria di Sinistra. A livello numerico la maggior parte dell’elettorato regionale ha votato Lega, come si conferma a Ferrara; da segnalare inoltre che un terzo degli aventi diritto non si è recato al seggio elettorale, infine non di poco peso è la sconfitta del Movimento 5 Stelle a favore di un voto disgiunto di centro-sinistra, finalizzato a non far cadere il governo attuale. Rifondazione Comunista dell’Emilia Romagna, sin dall’inizio ha reputato imprescindibile continuare il percorso intrapreso cinque anni fa di proposta alternativa ai poli politici esistenti. Si è cercato di unire tutte le forze politiche che si riconoscevano negli ideali dell’antiliberismo, dell’anticapitalismo e del comunismo, ma purtroppo solo una parte ha aderito a questa proposta, mentre gli altri hanno intrapreso strade solitarie di autoreferenzialità, come a confermare l’immagine della sinistra suicida ed incapace di far fronte comune in modo incisivo contro le destre. Non appare scevro da ogni responsabilità, il fronte di coloro che potendo costruire un consenso indipendente a Sinistra ha preferito fare da stampella ad un Pd legittimandolo a posizioni sempre più spostate a destra; ma nel gioco di potere si sa è necessario stare dalla parte di chi ti garantisce qualcosa di concreto. Lo stesso movimento, più o meno spontaneo, delle Sardine si è schierato acriticamente dalla parte del governo uscente. In un prospettiva ai limiti della psicanalisi si è preferito fermare “la lega in sé”, a favore di un consolidamento “dell’autonomia differenziata in me”.

In conclusione a seguito dell’innegabile risultato disastroso, non è semplice ricominciare, ma è assolutamente necessario risalire questo impervio percorso di ricostruzione della Sinistra d’alternativa che ascolti la voce di coloro, che con un voto di protesta manifestano sofferenza e disagio, spesso provenienti da territori isolati geograficamente, quasi lasciati soli dalla politica. La riflessione sta anche ripartendo dalle consultazioni dei diversi organismi provinciali per decidere come continuare il percorso, per questo motivo appare improcrastinabile una profonda riflessione sulle modalità, sui processi e sull’utilità di presentarsi alle prossime competizioni elettorali in questo periodo storico con l’esiguità di risorse umane ed economiche a disposizione. Più importanti degli schieramenti aprioristici elettorali, ci saranno le lotte politiche, espressione delle specificità territoriali.

“Eppure ci sono anch’io!”
Storia di un’infanzia con un fratello disabile

Mio fratello nacque nel 1944 in una cittadina del nord della Germania. Infuriava la guerra. I nazisti erano ancora al potere, specialmente nelle menti delle persone. Per i miei genitori deve essere stato scioccante apprendere che mio fratello era nato spastico.
Mia madre ammutoliva sempre quando noi, più tardi nella vita, parlavamo della disabilità di suo figlio, mio fratello. Mio padre, interrogato sui suoi ricordi, amava rifugiarsi impacciato nelle frasi fatte: “Sono stati tempi difficili”.
Ad un certo punto i miei genitori avevano anche sentito dell’Eutanasia, la ‘eliminazione delle ‘vite senza valore’, come si chiamava nel gergo dei Nazisti. Ma cosa importava a loro, fino a quando erano gli altri ad esserne colpiti? Certo, pochi mesi dopo la nascita di mio fratello, era finita la guerra e con essa il nazionalsocialismo, ma erano forse per questo diventate prive di fondamento le paure dei miei genitori? Dal momento della nascita di mio fratello, per quanto io potessi percepire, i miei genitori cominciarono a comportarsi diversamente. Ci si vergognava di uno della famiglia, i cui modi di muoversi e di parlare erano diversi da quelli degli altri ‘bambini normali’. Tra la famiglia e il mondo esterno vennero eretti alti muri di paura e di distanza. La vergogna determinava interamente i nostri rapporti con le altre persone. Ora I miei genitori evitavano l’ambiente circostante e si chiusero nel proprio mondo. Mio fratello venne iscritto nella scuola elementare di zona e non in una scuola differenziale. Una cosa positiva, si direbbe oggi, ma allora fu l’inizio di una via crucis. In quel periodo venni al mondo io. Solo anni, forse decenni dopo, cominceranno a crescere in me certi interrogativi.
Una rete emozionale intrecciata di affetto e repulsione, di ostentato amore e rabbia repressa, di sfida e disperazione, si posa sopra una famiglia con un bambino disabile. Perché proprio noi, perché proprio io?
Sebbene fossi un bambino sano, venni allevato in un modo fatto a misura di un bambino disabile. Non ho mai imparato ad essere indipendente. Mi si veniva incontro su tutto. Non dovevo dare nell’occhio, e dovevo ringraziare di non essere disabile. Il dover rinunciare al proprio tempo, per doversi orientare su quello quello altrui, lo ha ben espresso Carmelo Samonà nel suo racconto Fratelli. Riconoscente lo ero pure, ma avrei dovuto forse dire grazie di non essere preso in considerazione all’ombra di mio fratello?
Mia madre si impappinava con frequente evidenza quando chiamava i suoi figli. Diceva che le veniva sulle labbra innanzitutto la prima sillaba del nome di mio fratello. Si correggeva immediatamente e chiamava il mio di nome. “Di problemi ne abbiamo già abbastanza”, replicò, quella volta che esposi al pubblico il nome della nostra famiglia, per aver sottoscritto una lettera di plauso all’obiezione di coscienza, pubblicata da un giornale.
Oggi il mio riserbo verso gli sconosciuti non é venuto meno, più o meno come non si è placata la paura di far qualcosa di male e di dare nell’occhio. Continuo a sentirmi in molte cose inferiore. Ma perché, per quale ragione? I miei interessi li devo sempre porre in secondo piano. Avere riguardo per mio fratello era il mio primo dovere, che valeva sempre e dappertutto.
Oggi qualche volta penso che i miei genitori e io abbiamo patito della disabilità di uno della famiglia, più di quanto non sia successo al diretto interessato. Ma è consentito pensare una cosa del genere? È consentito anche pensare, magari addirittura dire, che nei confronti di un membro della famiglia disabile qualche volta si serbano anche sentimenti di livore, di rifiuto, persino di profonda rabbia?
Si può dire che una persona che vive con il permanente dovere di aver riguardo verso un prossimo più debole, venga anche privata di una parte della propria esistenza? “Eppure ci sono anch’io” – quante volte è echeggiato dentro di me, ciò che spesso non mi era permesso di dire. Le derisioni e le umiliazioni sbattute in faccia a mio fratello, a volte con cattiveria, a volta per divertimento, colpivano anche me. Per una formazione da Body Guard non c’è nulla di meglio che un’infanzia al fianco di un fratello disabile.
Quando camminavo con lui per strada, avvertivo la paura verso coloro che ci venivano incontro. Si sarebbero messi a ridere, avrebbero iniziato a barcollare anche loro, lo avrebbero fatto passare per un ubriaco? Ridevano di mio fratello e in quel modo ridevano anche di me, il ragazzino al suo fianco. Ancora oggi mi è rimasta l’abitudine di guardarmi intorno, per vedere se qualcuno mi viene incontro. Voglio vedere se si girano a guardarmi e magari se mi ridono dietro. Mio fratello non potè finire il ciclo scolastico nella scuola elementare di zona. Insufficiente sostegno, fu la spiegazione ufficiale. Rifiuto dei compagni e dei maestri è quella probabile. Mio fratello ebbe la fortuna di venire aiutato davvero in un istituto per l’istruzione di bambini disabili. Incontrò professori comprensivi e competenti, dai quali imparò ad avere un approccio consapevole alla propria disabilità e un’altra percezione della normalità.
Le necessità di una famiglia con un bambino disabile sono molto grandi e non bisognerebbe minimizzarle con patetici appelli, o sermoni moralistici e pietistici. E tanto più grave è la disabilità, tanto più grandi sono gli oneri per tutti. Ma si impara molto presto a riconoscere quali sono i valori realmente importanti nella vita: Solidarietà verso i più deboli, pazienza verso chi esula dalla norma e verso le minoranze; riguardo, rispetto e responsabilità anche verso coloro che vivono all’ombra dei disabili. Nonostante tutto, ci sono anche loro.

Sicurezza dei lavoratori e lavoro irregolare all’esame dell’Osservatorio provinciale sulla sicurezza e legalità, riunitosi oggi a Palazzo Giulio d’Este

Da: Prefettura di Ferrara.

La situazione sulle condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro e l’attività di prevenzione e contrasto al lavoro irregolare nella provincia di Ferrara, sono stati i temi di cui si è occupato stamane l’Osservatorio provinciale sulla sicurezza e legalità presieduto a Palazzo Giulio d’Este dal Prefetto Michele Campanaro.
All’incontro hanno partecipato i rappresentanti degli Enti previdenziali e di vigilanza, delle parti sindacali e datoriali di categoria e del Comando provinciale della Guardia di Finanza.
I dati introduttivamente illustrati dal direttore provinciale dell’INAIL Davide Lumia, sull’andamento del fenomeno infortunistico nell’anno 2019, hanno evidenziato un quadro di luci e ombre sulle diverse tipologie statistiche monitorate dall’Istituto, sollecitando importanti spunti di riflessione.
A fronte di un lieve aumento del numero di denunce di infortunio rispetto all’anno precedente (5.043 per il 2019 rispetto alle 4.942 del 2018, pari al +2%), si è registrata, d’altra parte, una diminuzione del numero degli incidenti con esito mortale, passati dai 13 nel 2018 ai 5 del 2019, tutti verificatosi non sul luogo di lavoro, ma “in itinere”. In decisa crescita, invece, il numero di denunce di malattie professionali che, nell’anno appena trascorso, ha subito un rialzo di +18,47% rispetto all’anno precedente (da 249 nel 2018 a 295 nel 2019), con un trend in crescita molto più accentuato rispetto alla situazione su scala nazionale (+2,89%) e regionale (+3%).
“Questi dati – ha rimarcato il Prefetto – ci spronano a profondere ogni sforzo utile per contribuire a rendere più trasparente il mercato del lavoro, in particolare nei settori più vulnerabili sotto questo profilo e, cioè, quelli degli appalti privati, della logistica e dell’agricoltura, per implementare misure condivise di prevenzione sui temi del lavoro nero o irregolare e della sicurezza sui luoghi di lavoro. Intendo, per questo, favorire una più stretta sinergia tra l’attività del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica e quella di questo Osservatorio, in modo da aggredire con maggiore efficacia, sia sotto il profilo della prevenzione sia sotto quello del contrasto, il preoccupante diffondersi di forme di lavoro irregolare, spesso di subdola e complessa individuazione”.
Il Prefetto ha, pertanto, chiesto al direttore provinciale dell’INAIL di estendere in seno all’Osservatorio, in un’ottica di messa a sistema delle migliori strategie adottate, alcune delle esperienze progettuali che lo stesso Istituto ha avviato nell’ambito del protocollo di intesa “Salute, comfort e sicurezza” in materia di sicurezza sul lavoro, prevenzione e protezione della salute dei lavoratori, coinvolgendo Provincia, Comune di Ferrara, Azienda Sanitaria Locale, Università degli Studi, oltre allo stesso INAIL ed all’Ispettorato Territoriale del lavoro.
In relazione ai casi registrati di frodi fiscali, unanime consenso ha, infine, trovato l’indicazione del Prefetto Campanaro di organizzare con il locale Comando provinciale della Guardia di Finanza, specifiche attività formative e informative, indirizzate agli operatori dei diversi settori economici e produttivi del ferrarese, sulle tematiche del rispetto degli obblighi fiscali e tributari.

Il treno di Margherita

Conoscete tutti il detto ‘Sbatti il mostro in prima pagina‘. Beh, è sempre successo, e succede ancora, anche nel tempo dei social del Terzo Millennio. Nel Mondo Lontano, che oggi è diventato prossimo, proprio come il bar sotto casa. E nel Mondo Vicino, che invece è diventato lontano, perché incollati allo schermo dello smartphone. non riconosciamo il nostro vicino. Succede dappertutto, anche nella periferia del mondo, Ferrara compresa. Il mostro in prima pagina, o l’ultima sparata di Renzi e di Salvini, o il contatore  dei morti del Coronavirus… Sembra che non se ne possa fare a meno. Funzionano. Mediaticamente parlando sono un must. Un appuntamento obbligato. Un necessario tributo che ogni giornale deve pagare. Per essere letto. Per avere successo. Per raccogliere più pubblicità.

Ma qual è il giornale, il quotidiano (sia fatto di carta e inchiostro o viaggi per l’etere) che si sognerebbe di ‘sbattere in prima pagina’ un racconto? Chi è quel pazzo che può fare informazione attraverso la letteratura? Una musica? Una canzone? Una foto, Una poesia? Se siete già lettori di Ferraraitalia, avrete capito che quei pazzi siamo noi. Leggete Il treno di Margherita di Carlo Tassi. Racconta solo una storia. Una di quelle brutte storie che continuano a succedere. Lontano, Vicino, anche Vicinissimo. Un fattaccio di cronaca che riempie la prima pagina per un giorno (ricordate una decina di giorni quel treno sulla Ferrara – Bologna fermo per intervenuto suicidio?), e subito dopo sparisce. E non ci si pensa più. Noi invece ci pensiamo ancora. Buona lettura.

Effe Emme

Who’s Gonna Find Me (The Coral, 2006)

Il sovrintendente passava sempre alla solita ora. Era un tipo preciso, pignolo, non ti guardava mai in faccia. Per lui eri merda, merda come tutti quelli che stavano sotto di lui.

Quel lunedì tre agosto gli uffici erano chiusi per ferie. Io ero stato chiamato all’ultimo momento per fare uno straordinario: mi dovevo occupare delle pratiche inevase di Margherita.
Margherita Cantelli aveva lavorato nell’ufficio a fianco al mio fino a tre giorni prima. Poi, venerdì mattina, aveva deciso di salutare tutti gettandosi sotto l’intercity per Bologna.

Margherita entra in stazione alle dieci e tre quarti circa. La stazione è affollata, molta gente è in viaggio per le vacanze. Margherita non ha bagagli, si ferma a dare un’occhiata al tabellone degli arrivi e delle partenze, sembra tranquilla, addirittura sorridente. Poi s’avvia spedita nel sottopasso. Sale la rampa, sbuca sulla banchina tra i binari quattro e cinque e resta in attesa. Ha pure il tempo di fumarsi un’intera sigaretta mentre aspetta sul bordo del quinto binario.
Una voce metallica gracchia dall’altoparlante: “Attenzione, allontanarsi dal binario cinque. L’intercity proveniente da Venezia e diretto a Firenze è in transito ad alta velocità!”
Un potente fischio in lontananza annuncia l’imminente arrivo del convoglio e in un attimo il treno sfreccia sul binario con un frastuono assordante. Tutta la stazione sembra tremare al suo passaggio mentre lo spostamento d’aria fa volare le cartacce lasciate per terra e le pagine d’un giornale dimenticato su una panchina. Il treno sembra non finire mai e la sua velocità è tale da non riuscire a distinguere le facce dietro i finestrini.
Poi, finalmente, l’enorme serpentone d’acciaio passa e s’allontana. La gente, all’apparenza indifferente, resta stordita per qualche secondo. Una bimba, in attesa di partire assieme a sua madre, guarda a terra e vede qualcosa d’insolito, sembra una biglia di vetro. La raccoglie. È morbida, calda, e le tinge la manina di rosso. La porge alla mamma. La donna riceve l’occhio azzurro rigato di sangue, lo fissa: un intero bulbo oculare, un macabro regalo dalle piccole mani innocenti della figlioletta. Grida inorridita.
Un secondo grido e un altro ancora. La gente si sporge dal bordo della banchina, guarda in basso, sulle rotaie del binario cinque. Un ragazzo di vent’anni si piega in avanti e vomita, un poliziotto sbuca dal sottopasso, accorre e chiama il collega sull’altra banchina, gli dice di far presto e di portare dei teli bianchi. Altri restano a guardare in silenzio, espressioni d’orrore e di disgusto nelle loro facce…

Music at Night (The Coral, 2007)

Margherita era bella, una mora con gli occhi d’uno splendido azzurro chiaro. Proprio bella!
Prima o poi le avrei chiesto d’uscire…
Il sovrintendente era brutto. Ma non solo brutto, era un fottutissimo stronzo. E per lui ogni occasione era buona per dimostrare a tutti quanto era fetente.
“Sortini, ha liberato la scrivania della Cantelli?” urlò alle mie spalle.
Ebbi un sussulto e mi girai. “Non ho ancora finito dottore…” risposi.
Il sovrintendente Soprani attraversò la porta dell’ufficio e mi si parò di fronte. “Si sbrighi! Non dorma come al solito!” sbraitò a due centimetri dal mio naso. “Tutta la roba della Cantelli dev’essere portata via e sistemata entro mezzogiorno! Sennò peggio per lei!”
Girò i tacchi e uscì, tronfio e impettito come al solito.
Io continuai il mio lavoro senza fiatare. Mi rimase appiccicata addosso quella sua alitosi fatta d’acetone, aglio marcio e fondi di caffè che mi rivoltava lo stomaco. Spalancai la finestra, tornai alla scrivania di Margherita, aprii i cassetti e tirai fuori tutto.
Elenchi, preventivi, contratti, schede di lavoro. Poi un sacchetto di caramelle, un gufetto di porcellana, due cornici con le foto di lei durante una vacanza di qualche anno prima. Guardai ancora una volta il suo sorriso incantevole e mi venne un groppo alla gola.
Mi chiedevo perché era successo. Se lo chiedevano tutti naturalmente.
In fondo all’ultimo cassetto trovai un libretto con la copertina celeste. Lo aprii, lo sfogliai: era un diario.
Non avrei dovuto ma iniziai a leggere. Magari c’era scritto qualcosa che potesse spiegare il suo gesto…
Magari…

Scorsi le pagine velocemente e mi soffermai sulle ultime.
Lessi: “Il maiale, m’ha toccata anche oggi. Ha avuto il coraggio di sorridermi e di dirmi di star tranquilla. Che tanto rimarrà un segreto tra di noi. Di non preoccuparmi, che, se faccio quello che mi chiede, poi l’assunzione me la rinnova anche stavolta… Mi faccio schifo… Vuole guardarmi mentre ingoio il suo sperma… Sto male, non riesco a togliermi quel sapore dalla bocca, quella puzza orrenda mi perseguita… Sono andata in bagno a vomitare per l’ennesima volta. Vorrei gridare a tutti che lo odio ma non posso, non adesso che son rimasta sola… Ieri gli ho detto che con lui avevo chiuso, che non venisse più a cercarmi, che avrei detto tutto all’ispettorato, che l’avrei denunciato, sputtanato. Ma lui è Soprani, l’onnipotente, e m’ha risposto che può mettermi a casa in qualunque momento e che nessuno mi crederebbe… Poi se l’è tirato fuori e m’ha riso in faccia… Forse me lo merito, forse sono marcia io, sennò non mi spiego perché a me e non ad un’altra… Oramai la soluzione è una sola, devo soltanto trovare il coraggio di farlo e buonanotte…”
“Sortini, ancora qui? Non ha ancora finito con la Cantelli?” risuonò la solita voce sgradevole, sempre alle mie spalle.
“No dottore… m’è capitato tra le mani il diario di Margherita e ho letto qualche riga…” dissi io fissandolo negli occhi.
Il sovrintendente impallidì e per la prima volta incrociò il mio sguardo. Sembrava sorpreso, disorientato. “E che c’è scritto?” balbettò.
“Delle cose assai interessanti. C’è anche il suo nome sa?” gli dissi, “Cose incredibili. Dovrò darlo alla polizia ferroviaria che sta indagando sulla disgrazia…”
“Sortini, lo consegni a me. Ci penso io a darlo a chi di dovere!” mi disse col sorriso più falso che abbia mai visto.
“Mi dispiace sovrintendente, qui Margherita parla di lei e dei vostri rapporti particolari… Dovrò consegnarlo io a chi di dovere!”
“Sortini, non sia stupido. La Cantelli soffriva di depressione, lo sanno tutti. Avrà scritto sicuramente delle cazzate senza senso… lo dia a me!”
“Era depressa, certo… e qui se ne capisce il motivo!”
“Ha cominciato a dare i numeri dopo la morte dei suoi. Ho pure cercato d’aiutarla, ma non è servito a nulla.” sospirò. Aveva la stessa faccia tosta d’un mafioso al funerale della sua vittima.
“Ma la pianti per piacere!” sbottai. Ormai la mia sopportazione era giunta al limite massimo.
“Su Sortini, mi dia quel diario se ci tiene a continuare a lavorare in questo posto!” m’intimò.
“Mi sta minacciando dottor Soprani? Lo sa cos’ho appena letto in questo diario? Lo sa che potrebbe essere denunciato per quello che c’è scritto qua dentro?”
“Denunciato per cosa? Per i vaneggiamenti di una troietta arrivista?” chiese con strafottenza. Quella sua maschera di superiorità e finta sicurezza si stava sfaldando davanti ai miei occhi. Era evidente la sua paura così come la meschinità di cui era impregnato. Vedevo un ometto piccolo piccolo sul punto di crollare.
Andai alla finestra per respirare. “Lei ha un problema di alitosi… gliel’ha mai detto nessuno?” dissi.
Improvvisamente Soprani s’avventò verso di me. “Dammi quel cazzo di diario!” gridò.
Lo scansai e gli afferrai un braccio spingendolo via. Tentò di colpirmi con un pugno ma era più bravo a comandare che a fare a botte. Lo afferrai e lo lanciai oltre la finestra.
Sentii un tonfo sordo, m’affacciai dal davanzale e lo vidi: giaceva immobile in una pozza di sangue, un fantoccio disarticolato sul marciapiede del cortile interno.
Dopo un volo di cinque piani l’impatto col cemento gli aveva fracassato il cranio, spezzato le ossa e spappolato gli organi interni. Era morto sul colpo.
Mi guardai attorno, non vidi nessuno. In quell’ala del palazzo tutti gli uffici erano chiusi da venerdì.
Me ne andai. Il giorno stesso portai il diario ai carabinieri, del volo dalla finestra del sovrintendente non dissi nulla. Lo trovarono due giorni dopo già gonfio e pieno di mosche.

Passarono altri tre giorni quando, sulla prima pagina della Nuova, lessi questo titolo: “Molestie sul lavoro, duplice suicidio di vittima e carnefice”. Così andai al cimitero a trovare Margherita, sulla tomba c’era ancora il manifesto funebre. Posai un mazzolino di fiori di campo in un vaso e le dissi: “Mi dispiace non averlo capito prima Margherita. Ti vedevo tutti i giorni e non immaginavo quanto soffrissi… Non è vero, quel treno non t’è passato sopra. Tu quella mattina sul treno ci sei salita e te ne sei andata per fare finalmente il viaggio che volevi. Ora sei lontana da tutta questa merda! Ciao Margherita, sii felice. Sappi che quello stronzo ha avuto ciò che si meritava, è in viaggio anche lui adesso… Ma stai tranquilla, non lo rincontrerai più, è andato nella direzione opposta!”

Tra simbolismo e futurismo. Gaetano Previati Castello Estense

Da: Fondazione Ferrara Arte.

Giovedì 13 febbraio, alle ore 17.00, presso la Sala Boldini (Via Previati, 18), la curatrice della mostra Tra simbolismo e futurismo. Gaetano Previati, Chiara Vorrasi, presenterà la rassegna ai Presidi, ai Dirigenti Scolastici e ai docenti di Ferrara e provincia. Sarà presente Marco Gulinelli, Assessore alla Cultura, Musei, Monumenti Storici e Civiltà Ferrarese, Unesco del Comune di Ferrara.

Gaetano Previati ha avuto un ruolo fondamentale nel rinnovamento dell’arte italiana alle soglie della modernità. Egli è considerato un erede della tradizione romantica, un interprete delle poetiche simboliste e, per la sensibilità visionaria e sperimentale della sua pittura divisionista, un anticipatore delle ricerche d’avanguardia futuriste. La mostra, frutto di una campagna di ricerca dedicata all’artista, rilegge gli aspetti più affascinanti e innovativi della sua opera. Un centinaio di dipinti, disegni, cimeli e documenti inediti ripercorrono l’appassionante avventura che ha condotto Previati dalle visionarie interpretazioni storiche e letterarie alla pittura degli stati d’animo, attraverso illustrazioni fantasmagoriche, radiosi paesaggi, toccanti icone e suggestioni musicali.

DOPOELEZIONI
Premio al buongoverno o apertura di credito?

di Davide Nani

Dopo aver trepidato e poi gioito per la fallita ‘liberazione al contrario’ della Emilia Romagna, ho letto i dati del nostro Comune e della nostra Provincia e un certo allarme mi è rimasto.

E non solo. Se guardiamo alle scorse elezioni regionali del 2014, Stefano Bonaccini superava il candidato della Lega di quasi 20 punti, in una magra di voti mai vista in regione (37,70%), e l’allora candidato della destra (mi perdoni l’attuale) Alan Fabbri era. a mio parere di gran lunga più credibile. Fatto dimostrato dalla sua storica vittoria alle elezioni comunali di Ferrara delle scorso anno. Un intero partito da percentuali attorno al 30% nel 2014 disertò le urne. Forse la grande astensione fu in parte provocata dalle dimissioni di Vasco Errani (ricordo a tutti che fu poi assolto con formula piena!), ma a mio parere la prima responsabile fu la politica del Pd di Renzi, con i suoi messaggi di liberismo e la sua personalissima definizione di ‘Sinistra’ che si sarebbe poi rivelata pian piano per quello che era, cioè tutt’altra cosa.

Che ne è stato di quel partito fantasma del 2014? Certo, è tornato a votare ma se i calcoli non mi ingannano, nel frattempo ha subito una metamorfosi che ha ridotto il vantaggio del Centrosinistra da 20 punti agli 8 di oggi. Non vi è il minimo dubbio che molti a sinistra (e col voto disgiunto, anche molti 5 Stelle) hanno messo la crocetta per un atto di resistenza.

A Ferrara non è comunque bastato. Non è stato sufficiente, nemmeno dopo il dimostrato inganno sul millantato pugno duro nei confronti degli stranieri: “Tutti voi sapete che non ho poteri sulle forze dell’ordine come carabinieri e polizia”, ha scritto Alan Fabbri. Strano che prima delle Comunali si imputasse a Tagliani la colpa di non fare abbastanza in GAD. E non è bastato, nemmeno dopo le gesta discutibili di qualche notabile della Lega cittadina.

Il messaggio di quei benedetti 8 punti in regione, a mio avviso, è più un’apertura di credito che un premio al buongoverno. Rappresenta un invito, forse l’ultimo, a un profondo rinnovamento di linea e di volti nel Pd. Il movimento delle Sardine ha dimostrato che la base del Centrosinistra su alcune priorità è più unita del vertice. Mi pare un paradosso, se non altro geometrico.

AVVISO AI LETTORI DI FERRARAITALIA

Care lettrici e cari lettori. Amici, collaboratori, sostenitori di questa piccola grande impresa.
Avrete visto che tutte le foto di copertina anteriori al 31 dicembre 2019 sono state rimosse e sostituite da un’immagine standard. L’abbiamo fatto in via precauzionale per non incorrere in problemi con il copyright. Siamo sempre stati molto attenti: cauti nell’utilizzo e rispettosi dei diritti di immagine laddove fossero con chiarezza evidenziati. Prova ne sia che, in oltre sei anni di pubblicazioni e con più di quarantamila illustrazioni utilizzate, abbiamo avuto solo tre contestazioni…  Ma nel frattempo la legislazione in materia è diventata più stringente, l’attribuzione della paternità della foto non è sempre chiara e Ferraraitalia non si può permettere né di pagare le foto, né tantomeno di pagare eventuali multe e spese processuali.
Le immagini non sono però state cancellate, ma solo oscurate. Nelle prossime settimane recupereremo (una per una…) tutte le foto e le illustrazioni di nostra proprietà, frutto del lavoro dei nostri fotografi o comunque dichiaratamente libere da diritti, e le renderemo nuovamente visibili sul giornale.
Continuate a seguirci con l’affetto di sempre.

La redazione

PER CERTI VERSI
Mare di plastica

Ogni domenica Ferraraitalia ospita ‘Per certi versi’, angolo di poesia che presenta le liriche del professor Roberto Dall’Olio, all’interno della sezione ‘Sestante: letture e narrazioni per orientarsi’

MARE DI PLASTICA

È morta
gonfia di plastica
Sulla costa
dei cosiddetti VIP
in Sardegna
Chili 22 di rifiuti
Ed era incinta
La giovane capodoglio
Soffocata dal nostro rusco
Un giorno
Quando ci sarà più plastica che pesce
Vorrei tornare bambino
E pregare lui
Di ripulire tutto
Sì proprio lui
Il mago Merlino

Signor Sindaco Risponda!
L’Assemblea del bibliotecari vuole chiarezza

Come direbbe il bracchetto Snoopy, “l’affare si infittisce”. Parliamo ancora – e non ci stancheremo di farlo – delle biblioteche ferraresi. Il sistema bibliotecario pubblico rimane in emergenza. Dal Sindaco e dalla Giunta sono arrivati messaggi contraddittori, belle promesse e repentine marce indietro. Tant’è, Il cielo rimane pieno di nuvole. Già da oggi il personale dipendente in forza alle biblioteche non può garantire la continuità del servizio; è sufficiente che qualche operatore si prenda un’influenza di stagione – mica il Coronavirus – e una biblioteca rischia di chiudere. E’ già successo, due settimane fa, i lettori di Ferraraitalia sono informati.
Non c’è da far tanti discorsi. Bisogna solo rispondere. L’Amministrazione Comunale ha o non ha intenzione di assumere dieci nuovi bibliotecari, perché tanti ne servono (non uno di meno) per rimpiazzare tutti coloro che stanno andando in pensione? Il Sindaco Fabbri si prende seriamente l’impegno, davanti a tutti i cittadini, di individuare entro questo 2020 la location dove far sorgere la nuova grande biblioteca della Zona Sud? E di metterla poi in funzione entro la fine del suo mandato? Glielo hanno chiesto 2.000 ferraresi firmando una petizione popolare. Ora, dopo risposte ondivaghe e insoddisfacenti, sindacati e lavoratori delle biblioteche gliene chiedono di nuovo conto (leggi di seguito il documento approvato all’unanimità). 
Sembrerebbe che la Nuova Giunta leghista sia bravissima a far promesse, proclami, campagne propagandistiche. Molto meno in tutto il resto. Ho il sospetto che i nostri nuovi amministratori non siano avezzi frequentare libri e biblioteche. Forse sono un pochino ignoranti sull’argomento. O si sono fatti l’idea che Biblioteche Pubbliche siano un ‘piccolo particolare senza importanza’. Soprattutto, non sembrano essersi resi conto che i ferraresi sono affezionati alle loro biblioteche. E le vogliono salvare. E non molleranno l’osso.
Effe Emme

L’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori del servizio Biblioteche e Archivi ha compiuto una valutazione dell’iniziativa sviluppata negli ultimi mesi per affrontare le problematiche presenti rispetto alle prospettive del servizio stesso e alla situazione occupazionale. Abbiamo espresso soddisfazione per la raccolta firme sul rilancio del sistema bibliotecario promossa dall’assemblea stessa, con il sostegno di CGIL-CISL-UIL di categoria e delle RSU, che ha visto la firma di ben 2065 cittadini nell’arco di neanche un mese. Così come abbiamo ritenuto andare nella giusta direzione le risposte, sia pure tardive, arrivate da parte dell’Amministrazione, per bocca del sindaco, nell’incontro che si è tenuto il 15 gennaio scorso, in particolare per quanto riguarda l’impegno a ricoprire tendenzialmente tutti i pensionamenti realizzati alla fine del 2019 e previsti nel corso del 2020 ( 9-10 unità) e la volontà di realizzare, nel triennio 2021-2024 e comunque entro la fine del mandato, una nuova importante biblioteca nell’area Sud della città, facendola precedere da un tavolo di studio e confronto, nel corso del 2020, prevedendo che lì siano presenti anche le rappresentanze sindacali e altri soggetti associativi.
Non altrettanto si può dire della risposta formale arrivata sulla petizione sempre da partedell’Amministrazione, in cui si ridimensionano gli impegni in materia di copertura tendenziale del turn-over (le nuove entrate di personale passano da 9-10 unità a 5 certe) e anche quelli relativi al percorso per la realizzazione della nuova struttura bibliotecaria ( non c’è più traccia del tavolo di progetto congiunto per il 2020, ma si parla semplicemente del fatto che quest’anno l’Amministrazione studierà la sua collocazione e la realizzazione viene spostata alla fine del mandato amministrativo).
A questo punto, l’assemblea ritiene fondamentale che si svolga un nuovo incontro con l’Amministrazione Comunale per arrivare alla firma di un vero e proprio accordo sindacale, che ristabilisca in modo preciso gli impegni assunti dalla nostra Amministrazione nell’incontro del 15 gennaio. Nello stesso tempo, valutiamo importante la mobilitazione che si è prodotta anche da parte dei cittadini, a sostegno del rilancio del sistema bibliotecario comunale: ovviamente, intendiamo relazionarci con tale mobilitazione, per produrre una convergenza tra le istanze da noi avanzate e quelle dei cittadini, a sostegno e difesa di un bene comune importante come sono le biblioteche comunali.
Infine, l’assemblea ribadisce che, se non si realizzasse un accordo sindacale in linea con le richieste avanzate e con quanto convenuto nell’incontro con l’Amministrazione del 15 gennaio, si darà continuità alla nostra iniziativa e mobilitazione, nelle forme che riterremo adeguate.

Assemblea dei Lavoratori del Settore Biblioteche e Archivi del Comune di Ferrara
Ordine del Giorno approvato all’Unanimità : Ferrara, 7 febbraio 2020

 

DOPOELEZIONI
Il voto dell’Emilia Romagna rilancia l’importanza delle coalizioni

Sono state già ampiamente indagate le ragioni della vittoria di Stefano Bonaccini e della coalizione di Centrosinistra nelle recenti elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna. Senza nulla togliere alle motivazioni da più parte addotte, a partire dalla rilevanza del ruolo esercitato dal movimento delle Sardine: vedi ad esempio, su queste pagine, le osservazioni per me in larga parte condivisibili formulate da Corrado Oddi [leggi qui], vorrei riportare l’attenzione su un aspetto che mi sembra sia passato troppo in secondo piano.

Una delle ragioni del successo di Bonaccini sta, inutile negarlo, nel sistema elettorale adottato in Emilia Romagna. Non solo per la possibilità, offerta all’elettore, di votare in modo disgiunto le liste e i candidati alla Presidenza, possibilità della quale hanno usufruito a conti fatti diverse decine di migliaia di elettori. Ma anche, e soprattutto, in virtù di un sistema elettorale che alimenta e premia la formazione di coalizioni a sostegno di un unico candidato Presidente. Il sistema elettorale adottato nella nostra regione, infatti, attribuisce in modo proporzionale, senza sbarramento alcuno, 40 dei 50 seggi complessivi sulla base dei voti riportati dalle singole liste; riserva comunque uno dei 10 seggi rimanenti al candidato Presidente arrivato secondo, e infine attribuisce alla coalizione vincente tutti i restanti 9 seggi se nel proporzionale ne aveva ottenuti meno di 25, oppure soltanto 4: in questo caso gli altri 5 vengono distribuiti proporzionalmente tra tutte le altre liste. In questo modo si ottengono contemporaneamente diversi risultati:

  1. Si rispetta un principio di rappresentanza, perché è relativamente facile anche per le forze minori ottenere un seggio, soprattutto se si partecipa ad una coalizione. Infatti la lista Europa Verde ottiene 1 seggio con meno del 2% dei voti e i Cinque Stelle, benché non fossero in coalizione, ne ottengono 2 con appena il 4,7%.
  2. Si favoriscono le coalizioni, il che significa dare piena espressione alle differenze legittimamente esistenti all’interno di ciascuno schieramento elettorale, ma al tempo stesso –  e senza necessità di ricorrere a precarie e improbabili aggregazioni – evitare una frammentazione eccessiva che renderebbe molto complessi, e a volte totalmente ingovernabili, gli esiti di moltissime delle consultazioni elettorali.
  3. Si garantisce sia alla coalizione di maggioranza la possibilità di governare, sia alle altre formazioni, singole o coalizzate, di avere i numeri per svolgere adeguatamente il proprio ruolo di minoranza.

Si tratta insomma di un sistema elettorale che tiene sufficientemente in equilibrio le due esigenze fondamentali di qualsiasi sistema democratico: rappresentatività e governabilità. Aggiungo che il termine governabilità può essere fuorviante, forse sarebbe più giusto parlare di responsabilità, perché chi vince ha prima di tutto il dovere di assumersi appunto la responsabilità di governare, senza doversi inventare soluzioni improbabili ma anche senza potersi nascondere dietro scelte di altre forze.

D’altronde basta fare qualche semplice calcolo ipotetico per rendersi conto di cosa significa. Con un sistema elettorale proporzionale con sbarramento al 5%, come quello nazionalmente concordato (almeno così sembra) dalle forze attualmente al governo, solo 4 liste avrebbero ottenuto seggi in Emilia-Romagna: PD, Lega, Fratelli d’Italia e Bonaccini Presidente. I voti riportati dalle due liste di Centrodestra sono praticamente pari (anzi un pizzico superiori) a quelli riportati dalle due liste di Centrosinistra. I seggi sarebbero equamente distribuiti: 25 al Centrosinistra e altrettanti al Centrodestra. Sarebbe quindi veramente complicato mettere in piedi un governo, a meno di mettere dentro tutti, oppure di contare su qualche defezione individuale.

Se invece si fosse optato per un sistema puramente proporzionale, senza sbarramenti, nessuno dei due schieramenti avrebbe verosimilmente avuto i seggi sufficienti a costruire un governo e quindi sarebbero diventati decisivi i seggi (probabilmente 2) conquistati dai 5 Stelle, mettendo questi ultimi in una posizione tale da poter dettare condizioni decisive ai possibili alleati, sfruttando un potere di condizionamento ben superiore al  4,7% ottenuto.

Si tratta, è chiaro, di un esercizio puramente teorico, visto che è facile obiettare che le scelte delle singole forze politiche o aggregazioni elettorali siano state influenzate dal sistema elettorale vigente e che in un altro quadro avrebbero probabilmente compiuto scelte almeno in parte diverse. Tuttavia credo che l’esercizio sia piuttosto esplicativo dell’efficacia o meno di un sistema elettorale.

Personalmente penso da molto tempo che il sistema elettorale preferibile, tanto più per un Paese come il nostro molto frantumato socialmente e politicamente, sia quello a doppio turno, sulla falsariga di quello adottato per l’elezione dei sindaci. Purtroppo, invece. in Italia si continua ad affrontare questo tema fondamentale in modo tatticistico e confusionario, essendo tutte le forze politiche impegnate ad inseguire opportunisticamente la soluzione che appare sul momento a loro più favorevole. Siamo così passati, in poco tempo e come se nulla fosse, da un estremo all’altro, da sistemi ultramaggioritari, che se ne infischiano di rappresentare adeguatamente le articolazioni di interessi e le diversità di pensiero esistenti nella società,  a sistemi ultraproporzionalistici, che obbligano poi a cercare di formare un governo attraverso complesse e spesso opache alchimie di palazzo. Fino a giungere al sistema elettorale attualmente vigente (il famigerato Rosatellum) che riesce mirabilmente a coniugare i difetti del proporzionale con quelli del maggioritario, garantendo al contempo scarsa rappresentatività e scarsa governabilità.

C’è un concetto che credo dovrebbe illuminare la Sinistra italiana, nella sua da tempo indispensabile opera di radicale rinnovamento, un concetto colpevolmente abbandonato 12 anni fa, dopo la caduta dell’ultimo governo Prodi: quello di coalizione. La Destra può pensare di tenere insieme le proprie differenze con un uomo forte, un leader. La Sinistra ha invece costituzionalmente bisogno di trovare un modo per tenere insieme le proprie differenze, le proprie articolazioni, senza negarle, ma mettendo in rete idee e conoscenze diffuse e costruendo un metodo di confronto permanente e – come ci hanno insegnato le Sardine – gentile e rispettoso, mai supponente.

Per questo credo che oggi sarebbe fondamentale promuovere sistemi elettorali che favoriscano e premino le coalizioni, come è appunto quello della regione Emilia Romagna. Anche grazie al quale – non a caso – le forze di Centrosinistra questa volta hanno vinto.