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I fiumi di parole e di immagini che scorrono sui quotidiani, su media  e social, in questa sorta  di ‘cattività sociale‘ in cui ci ha confinato il Coronavirus, portano qualcuno di noi a preoccuparsi, non tanto per le conseguenze anche letali a cui questa pandemia ci può portare, quanto a pensare alla condizione di isolamento in cui siamo, dichiarandoci addirittura in regime di ‘libertà violata’. In  questa  condizione di isolamento ‘carcerario’ così come molti lo dipingono, forse qualcuno comincia ad accorgersi quanto manchino i rapporti interpersonali, pur riconoscendo al digitale un ruolo nuovo e alla comunicazione quello di essere veicolo importante per allentare quel senso di paura che ci ha costretto a fermarci. Una condizione mai provata e tanto meno mai pensata prima.

E’ altrettanto evidente che la paura porta costantemente alla ricerca di informazioni e di comunicazioni, le più disparate, sulla condizione attuale e qui non abbiamo che da aprire social, media e news, che ci sbattono in ogni istante della giornata quantità iperboliche di informazioni, spesso anche senza alcun filtro critico. Ma la razionalità imporrebbe che, anche in queste condizioni, non dovremmo farci prendere da questa insofferenza e paura. Come? Certo le ricette non sono facili, soprattutto quando dietro la paura c’è davvero un’emergenza economica. Stiamo assistendo a cosa produce la privazione dei beni di prima necessità, cioè i beni che ci consentono di sfamarci. Si tratta di elementi concreti, che consentono a molte persone di vivere, o quantomeno di sopravvivere, perché chi vive in condizioni indigenti per aver perso il lavoro, o chi si trova su una strada, davvero non fa elucubrazioni sulla tristezza della solitudine che tanti  ‘costretti a restare in casa’ oggi lamentano, ma è piuttosto alla disperata ricerca di continuare ad esistere. Abbiamo, infatti, una miriade di situazioni concrete che mettono soprattutto le classi più deboli e emarginate di fronte ad un ulteriore e più complesso problema di sopravvivenza.

La sensazione tuttavia è quella che qualcosa di inspiegabile abbia trasformato il mondo anche a nostra insaputa e che l’invasione della informazione, a prescindere dalla qualità dei messaggi, ci lasci comunque in condizioni di minor capacità di reagire rispetto al passato. Cercando di razionalizzare, credo che l’uso o abuso distrattivo della rete non sia poi tanto di aiuto alla complessità del momento.

Proprio in questi giorni mi è capitato di leggere  un articolo  comparso sulla rivista MicroMega del 29 marzo scorso e mi parso molto interessante quello che i due autori (Nicola Grandi e Alex Piovan) hanno scritto rispetto a ciò che sta accadendo alle persone con la diffusione del Coronavirus:
“[…] Nelle ultime settimane, il COVID-19 ha stravolto le nostre abitudini, ha drasticamente modificato le nostre priorità e anche la nostra percezione della realtà. Il mondo, visto dalla finestra di casa e dal monitor del PC, ha un aspetto diverso. Questa vicenda, si dice, segnerà una generazione in modo irreversibile, come è accaduto per i nostri nonni con la guerra (o le guerre, in qualche caso). C’è però un aspetto che distingue la situazione che viviamo attualmente dalle poche situazioni paragonabili verificatesi negli scorsi decenni: alla pandemia, oggi, si associa quella che viene definita un’infodemia, cioè la diffusione di una quantità di informazioni enorme, provenienti da fonti diverse e dal fondamento spesso non verificabile Esattamente come i virus, oggi le notizie si diffondono in modo rapidissimo e attraverso canali molteplici. Il ‘contagio informativo’ ha l’effetto di rendere assai più complessa la gestione dell’emergenza, in quanto pregiudica la possibilità di trasmettere istruzioni chiare e univoche e di ottenere, quindi, comportamenti omogenei da parte della popolazione […]”

Condivido appieno che l’aspetto invasivo della comunicazione via web di un fenomeno come la diffusione del Covid 19 possa anche essere pericoloso, soprattutto perché si diffonde in modo rapidissimo (forse ancor più del virus) e non concede tempo e modalità di verifica della veridicità dell’informazione di qualsiasi tipo. Questo virus ci ha posto dinnanzi a difficoltà mai prima incontrate e il bombardamento di notizie che non riusciamo quasi mai a controllare, rischiano talora  di deformare la realtà dei fatti provocando paure, sottovalutazioni e comportamenti contraddittori, anche sul piano della difesa della salute. In pratica, per la stragrande maggioranza di noi, subire la sudditanza di un isolamento forzato e di una non precisa informazione su ciò che ci capiterà durante e dopo questa condizione, è senza dubbio preoccupante.

Insomma stiamo forse cominciando a capire che il nostro futuro non lo possiamo dare per scontato, abituati come eravamo a fare, continuando a vivere in un unico tempo, quasi ormai senza storia né passata, né da costruire. Paradossalmente, in modo inaspettato e violento, ci stiamo accorgendo che un meccanismo del nostro modo di vivere si è inceppato. La realtà vicina è sempre più lontana e, di fatto, molti sentono una solitudine e un isolamento mai prima conosciuto, nonostante la ‘infodemia‘ stia invadendo l’etere e renda ancor più ansiogena la condizione di attesa di una fine di questo nuovo virulento fenomeno,come se proprio a noi non avesse mai potuto capitare un problema del genere!

Mi interesserebbe  più di ogni altra cosa, abituata come sono a pensare al valore della educazione permanente  e dell’apprendimento in qualsiasi momento della vita, basato anche e soprattutto sulla qualità delle relazioni fin dai primi anni di vita, cosa ne pensano di questa nuova condizione i nostri bambini, i nostri giovani, costretti loro malgrado a starsene in casa, agganciati perennemente alla comunicazione in rete. Credo che  sarebbe interessante avviare un colloquio, con chi lo volesse fare, per sentire quali pensieri, quale idea si sono fatti di questa inaspettata condizione di forzata reclusione in casa, quali sentimenti e riflessioni suscitano loro l’essere effettivamente distanti dagli amici, dallo sport, dai loro interessi quotidiani.

Soprattutto mi piacerebbe sentire le loro voci rispetto a come giudicano questo mondo di adulti, come e cosa si aspettano dal mondo che sarà per loro. C’è qualcuno che pensa al perché questo mondo che si sono ritrovati, si ferma per una ‘semplice’ diffusione di un virus? A chi e a cosa danno la colpa (se di colpa vogliamo parlare)  di tutto questo disastro che sta capitando? Pensano che la loro vita di relazione si sia improvvisamente fermata o ritengono che il web ne sia il degno sostituto? Come convivono in famiglia questo tipo di condizione, ne parlano direttamente con i genitori o familiari? Com’è il rapporto con gli insegnanti? Sentono la mancanza delle relazioni dirette, di guardarsi negli occhi, di parlare? Come se lo immaginano un loro futuro dopo questa ‘nuova  pestilenza’? Tutto tornerà come prima o sono portati a ragionare sul fatto che il comportamento umano potrebbe o dovrebbe anche cambiare? E come? Cosa sarebbe per loro importante fare? Utilizzano solo la comunicazione virtuale o la lettura li ha aiutati a capire e supportare l’isolamento?

Insomma mi piacerebbe  e credo che sarebbe importante per molti, sentire la voce dei giovani, dei ragazzi e delle ragazze, dei bambini e delle bambine. Sono convinta che le loro riflessioni potrebbero aiutarci ad uscire da questa situazione davvero strana e pericolosa. Perché non lanciare l’idea di ricevere le loro riflessioni su questo network per poi farne oggetto di vero e approfondito confronto? Chi ha figli, nipoti, amici, potrebbe veicolare quest’idea e ritengo che potrebbe essere un modo per rimettere in moto un pensiero critico, utile a riflettere su come stiamo vivendo, anche e soprattutto, per noi adulti.

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Loredana Bondi


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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