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di Francesco Reyes

Si è innescato un discreto dibattito sulla nuova App proposta dal governo per monitorare i contagi da coronavirus.
Finalmente, anche in Italia, la questione della raccolta dei dati personali dei cittadini viene a galla, con domande lecite del tipo: “Come funzionerà, cosa produrrà davvero questa app”, “Può essere verificato grazie a un codice open source”, “Quali dati verranno raccolti”, “Dove e da chi verranno immagazzinati”, “Chi e per quanto tempo potrà avervi accesso”?

Sorprendentemente, da ciò che leggo sui giornali, il governo italiano sembra che stia considerando con attenzione queste criticità. Ciò che sembra invece fuori dal tempo è la reazione scandalizzata di molte persone di fronte a questa ipotesi di raccolta di dati personali.

Nell’Italia che sentiamo alla radio, in Tivù e sui social, si dà per scontato che non solo si possa, ma si debba avere uno smartphone Google-Android o Apple o un computer rigorosamente Windows. E su questo hardware, tutti abbiano installate una serie di applicazioni proprietarie (con il codice che le anima non verificabile da altri informatici). Queste applicazioni le conosciamo bene, si chiamano Google, WhatsApp, Instagram, Snapchat, Facebook, eccetera. Queste, sono tutte App voraci di informazioni personali, di ogni tipo: dal luogo in cui ci troviamo, alla lista dei nostri contatti, fino al movimento del nostro dito sullo schermo. Tutte queste informazioni sono raccolte allo scopo di predire e anticipare i nostri comportamenti.

Inoltre, è pluri-documentata la vendita dei dati raccolti, sia legale che illegale, così come la cessione ad aziende private e ad altri governi (anche quelli abituati a sostenere colpi di stato, come gli USA) con finalità tutt’altro che democratiche: manipolazione economica e politica delle masse, controllo e repressione degli individui più intraprendenti/pericolosi.

Adesso, facciamoci un esame di coscienza: abbiamo davvero a cuore le libertà guadagnate dai partigiani, dai nostri, padri, nonni e bisnonni? Tra queste libertà c’è il diritto inalienabile a una vita privata (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Articolo 12) e il diritto alla autodeterminazione. Questi diritti ci vengono silenziosamente sottratti ogni giorno. Davvero non ci sono alternative?

Su internet, in realtà, si trovano molte guide utili alla protezione dei dati personali: per fare un solo esempio miniguide.minifox.fr  [qui puoi consultarla]  Allora agiamo di conseguenza. Possiamo scegliere, possiamo sostituire WhatsApp, Google, Facebook con alternative free/open source, rispettose della privacy.

Forse è venuto il momento di metterci in testa che la tecnologia non è solo un bene, è anche una responsabilità. Oppure continuiamo pure a fare orecchie da mercante. Raccontiamoci pure che si tratta di semplici scambi commerciali, senza rischi sociopolitici e conseguenze macroeconomiche, senza un impatto grave e di lungo sulla vita quotidiana di ognuno di noi.

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Francesco Reyes


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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