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Negli occhi dei bambini

Negli occhi dei bambini

Ultimora, domenica 3 dicembre 2023 ore 04, 30: Interrotta stanotte la tregua: Israele accusa Hamas di non aver rispettato il patto di liberare tutte le donne e i bambini israeliani tenuti in ostaggio. Ripresa l’offensiva dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Si calcola che in poche ore siano già stati uccisi 400 civili palestinesi, molti di loro sono bambini.
(Redazione di Periscopio)

Ho un’amica pittrice, si chiama Miriam Cariani. È molto brava. Le piace dipingere volti di bambini. Mi ha prestato alcuni dei suoi lavori. Questi che aprono l’articolo, ad esempio, sono bimbi palestinesi, negli orrori della guerra che si è scatenata dopo il 7 ottobre. Vivono tra violenze terribili e terribili privazioni, senza acqua, corrente elettrica, cibo, medicine, possibilità di studiare e di giocare serenamente. In tanti senza più il papà o la mamma, i nonni o i fratelli e sorelle. Senza più gli amici. Senza più la vita.

Si calcola che ogni giorno nella striscia di Gaza vengano feriti o uccisi 420 bambini [Redattore Sociale, 31.10.23]. Come se una scuola di 20 classi venisse bombardata quotidianamente. Questi piccoli che vediamo sono sopravvissuti, o almeno fino a pochi giorni fa lo erano se sono stati fotografati e poi ritratti, ma oggi chissà. Che cosa proviamo guardando i loro occhi smarriti?

È impensabile vivere così. Anche per un adulto, tanto più per un bambino o una bambina. Chi di noi vorrebbe vedere i propri figli o nipoti coinvolti in un massacro del genere?
Anche se, ora che ci penso, questi sono bimbi israeliani. Che cosa proviamo adesso? Sono bimbi in ostaggio, vittime del lutto, testimoni di violenze indicibili.

Sì, mi sono sbagliata, sono israeliani. Si sentono feriti, si sentono traditi. Il papà, la mamma, erano impegnati per la pace, sostenevano i diritti della Palestina, avevano sempre detto che i due popoli sarebbero riusciti a vivere insieme, doveva essere così, e invece il papà non c’è più, invece la mamma è stata portata via e da tanti giorni non si sa più niente di lei.

Ma no, che stupida. Sono ucraini. Quando Miriam mi ha dato i loro ritratti, li ha presi da una cartellina a parte. E comunque è chiara la differenza no? Basta guardarli con attenzione.

Non se ne parla quasi più, della guerra in Ucraina, ma non è mica finita la guerra.

Sul sito del Centro Regionale di Informazioni delle Nazioni Unite (5 ottobre 2023): “I civili continuano a pagare un prezzo altissimo nella guerra in Ucraina, con quasi 10.000 morti e decine di migliaia di feriti dall’inizio del conflitto… Nel frattempo, i civili nelle aree occupate dalla Russia subiscono torture, maltrattamenti, violenze sessuali e detenzioni arbitrarie. C’è preoccupazione per la sorte dei bambini ucraini, compresi alcuni affidati a istituti, che sono stati trasferiti in altre località all’interno delle aree occupate o deportati in Russia… Bambini che sono stati mandati in campi estivi in Russia, presumibilmente con il consenso dei genitori, ma che poi non sono stati riportati a casa”.

Si vorrebbe abbracciarli, accoglierli, condurli al sicuro insieme ai genitori (magari evitando i portare gli adulti in Albania, detto per inciso). Anche perché avere salva la vita è il primo obiettivo ma non l’unico.

Leo Venturelli della SIPPS (Società Italiana di Pediatria preventiva e sociale e Garante dell’Infanzia a Bergamo): “In tutti i quadri di guerra, i bambini soffrono come o peggio degli adulti. Infanzia negata significa generazione disturbata… (Vivono) traumi rappresentati sia dallo scoppio delle bombe sia, e mi riferisco ai bimbi israeliani nei kibbutz, dall’essere testimoni dell’uccisione e di torture dei propri cari, parenti, dei propri genitori. Il discorso, però, vale per tutti i bambini coinvolti nelle guerre… Indubbiamente in questo momento quello che fa più scalpore e che viene riportato dai media sono soprattutto i continui attacchi israeliani sulla striscia di Gaza…” [Redattore Sociale, 7.11.23].

Al trauma piscologico, alla paura, ai lutti si aggiungono ferite, malattie, infezioni, denutrizione, precarietà abitativa, interruzione della scuola, perdita di una dimensione di futuro possibile. A Gaza, in Ucraina, e in tanti altri paesi del mondo.

Save the Children riporta che oltre 449 milioni di bambini vivono in zona di guerra. Secondo una recentissima denuncia di Save the Children e Unicef, in Sudan quasi tre milioni di bambini sono in fuga dalla guerra e 6,5 milioni non possono più andare a scuola.
E poi ci sono i bambini coinvolti nelle guerre in Siria, in Yemen, in Repubblica Democratica del Congo… Se questo qui ritratto ci guarda con un occhio nero e uno blu, è perché è un bimbo palestinese, israeliano, ucraino, sudanese, yemenita, siriano, congolese. È un bimbo in guerra.

N.B. Questo articolo è uscito precedentemente su Azione Nonviolenta online

Le immagini che corredano il testo e quella di copertina sono di Miriam Cariani.

Per leggere tutti gli articoli di Elena Buccoliero su Periscopio clicca sul nome dell’autrice. 

Per certi versi /
Panchine

Panchine
(A Ferrara e non solo)

Ma se stasera
Dormi
Passeggero
Del vento
La panchina
È vuota
Non le coperte
Non il cane
Non le bottiglie
Se stasera
Dormi
Passeggero
Del mare
La panchina
È sbarrata
Dove sei andato
A portare
Le tue ossa
Le coperte
Ammucchiate
Lo strano
Disordine
Non scuote
Il silenzio
Eloquente

Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
Per leggere tutte le altre poesie dell’autore, clicca [Qui]

Il Calendario 2024 dei Bambini del Cocomero

Il calendario 2024 dei Bambini del Cocomero 

È disponibile, da pochi giorni, il dodicesimo calendario dei “Bambini del Cocomero”, illustrato liberamente dalle alunne e dagli alunni della scuola primaria Bruno Ciari di Cocomaro di Cona.

È uno dei prodotti previsti dal progetto “IMPRONTE che è dedicato alla scoperta del nostro territorio con particolare riguardo agli aspetti geografici, storici, culturali, narrativi, culinari e ricreativi.
Ogni mese ha un tema specifico: l’incendio del castello estense, la nostra campagna, San Giorgio, il palio, i cappellacci con la zucca, il salto del fosso, il parco del cocomero, i peschi fioriti, la salamina col purè, la scuola, Pirinpinpin, il pampepato e alcune filastrocche ferraresi.

Il calendario ha il triplice scopo di festeggiare i 31 anni del giornale dei bambini La Gazzetta del Cocomero [1], di raccogliere fondi per l’associazione di promozione sociale “I Bambini del Cocomero” e di rallegrare le pareti di casa con disegni originali.

Quando ho chiesto ai bambini e alle bambine della mia classe perché gli adulti dovrebbero comprare il calendario dei “Bambini del Cocomero” mi hanno risposto così:

      • ci sono i disegni che in altri calendari non ci sono;
      • sono disegni fatti dai bambini che hanno colori vivaci e mettono allegria;
      • ti fa ricordare quando eri bambino; i disegni sono grandi e si vedono bene;
      • è un calendario creativo;
      • i disegni rendono felici perché sono belli, colorati e divertenti;
      • è facile segnare gli impegni perché c’è posto;
      • può aiutare a ricordare i momenti belli;
      • i bambini nei disegni ci mettono tutto il loro impegno;
      • è sempre diverso;
      • porta allegria e felicità;
      • ognuno ci ha messo tanto impegno;
      • si può mettere dappertutto;

 

  • può essere un bel regalo di Natale.

 

Le persone interessate possono trovare il calendario alla scuola “Bruno Ciari” in via Comacchio, 378 a Cocomaro di Cona oppure possono riceverlo a casa.
Il costo di un calendario, per chi lo ritirerà a scuola, è di 7 euro.

Chi lo vorrà ricevere direttamente a casa per posta, potrà prenotarlo versando la cifra di 8 euro (comprensiva delle spese di spedizione) tramite PayPal oppure tramite bonifico bancario (IBAN IT80G0538713000000002518276) indicando nella causale “Calendario 2024” e riportando il proprio indirizzo.

Ci aiuterebbe molto se chi lo comprerà online poi accompagnerà il versamento con una mail da inviare a: lagazzettadelcocomero@gmail.com
Grazie in anticipo a tutti coloro che sosterranno questa iniziativa e che collaboreranno alla sua diffusione.

[1] La “Gazzetta del Cocomero” è un giornale scritto e disegnato dai bambini e dalle bambine della scuola elementare “Bruno Ciari” di Cocomaro di Cona (FE).  È autoprodotto cioè esce regolarmente per il trentunesimo anno grazie al contributo di chi si abbona. L’idea di fare un giornalino si è sviluppata poco a poco ma si è concretizzata nel 1992, nella classe del maestro Mauro Presini, grazie alla creatività e all’impegno di Andrea Ghetti, Caterina Rossi, Elisa Frignani, Francesco Casini, Lorenzo Dalla Muta, Luca Rubbi e Nicola Forlani.

Il calendario 2024 dei Bambini del Cocomero

Per leggere gli articoli di Mauro Presini su Periscopio clicca sul nome dell’autore.

Diario in pubblico /
La puzza che sale. Interpretazione olfattiva dello schifo sociale

Diario in pubblico. La puzza che sale. Interpretazione olfattiva dello schifo sociale

L’irrespirabilità dell’aria odorata come segnale della condizione etica, sociale e quindi politica della “nostra” Italia raggiunge un tasso talmente alto che rimane a chi la annusa la necessità di combattere o chiudersi nel proprio odore/puzza.

Di fronte alle catastrofi che scuotono il mondo o agli scandaletti che scuotono la nostra curiosità indotta da patte toccate ad arresti di treni, dall’uso di cognomi un tempo famosi alle idiozie televisive di un’attrice un tempo da me ammirata Virginia Raffaele.

Qui, purtroppo, la violenza, la puzza, l’imbecillità si esercita su un bambino che ha un’unica colpa, quella di essere intellettualmente più dotato dei suoi compagnucci di scuola, mentre genitori e insegnanti mostri gli fanno il vuoto attorno.

La vicenda si svolge a Rende ed è narrata dalla madre, avvocata cosentina del bambino intellettualmente bullizzato in una scuola dalla connivenza puzzolente tra genitori e insegnanti.

Il bambino di otto anni doveva essere spostato in un altro istituto da quello che frequentava a causa di incomprensioni tra la madre e alcune maestre che richiedevano l’inserimento nel “percorzo” del minore di un insegnante di sostegno, a causa della diagnosi di iperattività con funzionamento intellettivo superiore alla media.

Cioè sei più intelligente dei compagni? Bene! Allora sei un invalido che ha bisogno di un sostegno. Il ragazzino parla due lingue correntemente e perciò viene considerato un malato, più che un super/ritardato.  Viene deciso il cambio istituto e il ragazzino, felice, al primo incontro in aula con i compagni trova cosa? Il vuoto.

Alla delusione che ne segue il bambino reagisce, pensando che i compagnucci avessero tutti la febbre e perciò fa un disegno da regalare al suo compagno di banco assente. Tutto nel complotto ordito da insegnanti e parenti scoperto il pomeriggio prima dalla madre, la quale si era imbattuta in un’insegnante che definiva suo figlio “disabile e fastidioso”, istigando i parenti dei ragazzini ad eseguire il piano dell’assenza di tutti.

Ma che mostri siamo? Ma come puzziamo?

Al silenzio generale anche dagli uffici preposti risponde il ministro Valditara, che chiede un’ispezione per ristabilire responsabilità e connivenze.

Certo. Ben altre tragedie scuotono il mondo e la puzza che sovrasta è ancora più soffocante. Ma cosa va detto per questa immane idiozia e ignoranza?

Non pensiamo, al solito, che la parte della Nazione più sensibile a tali vicende debba essere il Sud Italia. La ‘bullimizzazione’ è ben prospera nelle ricche province e regioni e città del Nord. Mi astengo dal riferire quelle che accadono a “Ferara”

Nella mia città ferve, s’infiamma, lascia fumi, la necessità/volontà di esprimere il candidato di sinistra, dove curiosamente il candidato maschile viene sempre citato non con il suo nome di battesimo ma come “l’avvocato Anselmo”. Il mestiere meglio del nome. Andrò a votare scetticamente radical chic, ma mi meraviglio che la candidata a mio parere più preparata e allenata, cioè Ilaria Baraldi, accuratamente non venga mai nominata dai capoccioni di sinistra. Ach’ puzza……

Non so se prenderò il ‘trenolollo’, o se mi lascerò infiammare dalla polemica sul mancato contributo ministeriale al film di Paola Cortellesi. O di approvare o meno la brutta mostra di Tolkien (autore a me profondamente “ghignoso”), o di schierarmi con Dario Franceschini, amico di una vita, del quale mai ho rilevato atteggiamenti scorretti.

Vale allora un avvertimento. Alle puzze incombenti reagire con una bella doccia culturalmente servita, poi ritirarsi in casa a leggere, scrivere, ascoltare dischi e vedere film, senza però tapparsi, come gli ignavi, il naso.

Per leggere gli altri articoli di Diario in pubblico la rubrica di Gianni Venturi clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

“Antonio Gramsci. Le sue idee nel nostro tempo”:
martedì 5 dicembre alle ore 16,30 presso la CGIL di Ferrara

Antonio Gramsci. Le sue idee nel nostro tempo.
Martedì 5 dicembre, ore 16,30
Sala Verde  CGIL

Ferrara, Piazza Verdi 5

introduce Fiorenzo Baratelli

 

Presto di mattina /
Voci d’avvento

Presto di mattina. Voci d’avvento

«Sì, voci non più udite si risvegliano, squittii, versi d’uccelli a stormi, strida … alterni dentro il bosco che si cela».

Sì questo è l’Avvento: «Voci rare feriscono il silenzio/ eterno, ancora accese/ qui dove indugio, anima sulla riva del fiume inquieto ferma ad ascoltare… Il passante ravviva/ le croci di papaveri votivi/ alle svolte della strada» (M. Luzi, Tutte le poesie, 196; 127).

Ravvivare le croci dei papaveri votivi significa ridestare la memoria della promessa di una singolare natività, risvegliare il sogno dal suo sonno notturno, cercando nella realtà l’apparire di una cosa nuova: «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa» (Is 43 19); una strada per coloro che abitano nelle tenebre e nell’ombra della luce, attendendo il suo venire, il sole di giustizia, la voce del Dio vivente.

Segui il fiume, la sua voce:

Il fiume sceso giù dal giogo
non ha tutte le voci
che oggi mi feriscono festose
e cupe in vetta a questo ponte aguzzo.
Il fiume allora ha una voce sola
o vitale o mortale. Chi l’ascolta
ha un cuore solo o greve o tempestoso.

«Tu che tieni stretto il filo
di refe nel labirinto
dove sei che si scinde in tante voci
la voce che mi guida» esclamo io
non si sa bene a chi,
compagno fedele o ombra
(ivi, 359).

Sì questo è l’Avvento, la voce che mi guida verso l’ignoto, ma sarà amico od ombra, mortale o vitale? È come voce di fiume, filo di labirinto tra tante dispersive e divisive voci: «è una voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”» (Mc 1,3). Avvento, voce anche di quelle salutari acque, in cui Giovanni battezzò l’Unigenito e uscendo dalle acque una voce dall’alto lo attestò come il Figlio amato (Mc 1, 11).

Sì, così ancora è l’Avvento,

una voce come l’inconfondibile “trepestio di piedi” dopo i piovaschi, eco della voce del diletto che viene, dice la Sulamita, l’Amata nel Cantico dei cantici. Sì, una voce come un trepestio traduce poeticamente Agostino Venanzio Reali; un rumore di passi può risuonare così come una voce cara, sospirata che emoziona. Dice infatti il Manzoni nei Promessi sposi che Lucia «imparò a distinguere dal rumore dei passi comuni il rumore di un passo aspettato con un misterioso timore».

Amata – Un trepestio: ritorna
l’innamorato mio, per balze
capriolando e clivi, trafelato
antilope o cerbiatto.

Amato – levati,
mia Bella amata e vieni
(Ct 2, 8)

Qôl è il termine ebraico per dire voce, suono, rumore, tuono. Il salmo 29 (28), probabilmente il più antico dell’intero salterio, canta la voce del Signore sulle acque tempestose, ma nonostante la tempesta la sua voce rimbomba al di sopra di essa e resta così un punto fermo di sicurezza e stabilità per il suo popolo. Per sette volte ricorre questa parola nel salmo, un numero che esprime totalità e pienezza: “la voce del Signore tuona sulle acque”, Egli sovrasta l’uragano e in lui c’è solo la pace. Per questo il salmista dice alla fine: «Il Signore benedica il suo popolo nella pace».

È voce che risveglia l’attenzione d’amore di chi pur dormendo vigila con il cuore: «io dormivo, e il mio cuore vegliava. La voce del mio amato, che bussa, voce che brama anche solo sentire l’eco dolce di quella dell’amata:

Levati
dunque, o graziosa, e vientene,
amor mio, colomba,
dalle crepe di roccia,
dalle forre dei gioghi il tuo viso
controluce risfolgori e dentro
mi si rifranga dolce
l’eco della tua voce.
(Ct 2,14)

Sì, così ancora e sempre è l’Avvento

la voce amica del Pastore grande delle pecore che il Dio della pace ha ricondotto dai morti (Eb 13,29), e Giovanni riporta nel suo vangelo le parole stesse di Gesù: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10, 27); e Luca menziona il grido del suo ultimo avvento, quello del passaggio da questa vita al Padre: «Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, donò lo Spirito» (Lc 23, 46).

Le voci dell’Avvento sono nascoste tutte nell’inno liturgico del salmo 95 (94), l’invitatorio che la tradizione ha posto in apertura alla preghiera cristiana del salterio: “Venite ed ascoltate”. Non c’è avvento senza ascolto della parola, senza un andargli incontro, come ricorda il salmo 95 (94). È “un andare cantando con suoni e danze insieme andiamo”. Anche in questo salmo l’invito è ripetuto per sette volte, per tutti: “Venite”, così che “possiate oggi ascoltar la sua voce. I vostri cuori non siano di pietra”.

Frère Charles (1858-1916): fratello universale

L’Hoggar o Ahaggar è un massiccio montuoso in Nord Africa, svetta con i suoi 2800 metri nel cuore del deserto del Sahara, nel sud dell’Algeria. Il nome deriva dalla popolazione tuareg Kel Ahaggar che vi abita, e Tamanrasset, situata a 1400 metri ai piedi dell’Hoggar, è il centro più importante della società dei Tuareg algerini.

Proprio a Tamanrasset visse e compì felicemente la sua avventura spirituale e umana padre Charles de Foucauld. Con il martirio egli sigillò la sua vocazione sacerdotale di “fratello universale”. Dopo una vita in cerca di Dio e tre anni vissuti in Palestina a Nazaret, egli si sentì chiamato a vivere come un eremita tra le tribù nomadi dell’Africa occidentale, imitando la vita nascosta di Gesù che per trent’anni abitò tra la sua gente a Nazaret.

Così Charles de Jesus, povero tra i poveri, si era fatto piccolo fratello tra i piccoli di quella terra per rivelare il volto di un Dio che è amicizia e presenza di amore, nascosto nel pane eucaristico, sacramento di una ospitalità e fraternità universali.

Fu, infatti, prima in Palestina e poi nel deserto del Nord Africa, sia presso gli ebrei che presso i mussulmani, che egli scoprì, cosa per lui veramente nuova, il comandamento nascosto dell’accoglienza, il vangelo dell’ospitalità. Charles era un ufficiale inviato in Algeria, ma lasciò dopo tre anni l’esercito per intraprendere un rischioso viaggio di esplorazione scientifica in un territorio interdetto agli europei. Così se fino a quel momento il musulmano era “il nemico”, da allora cominciò a sentirlo come un “amico”.

Diventare del paese

Abitare, adorare, fraternizzare sono i tre verbi che hanno caratterizzato il suo carisma profetico, perfettamente attuale anche nella chiesa di oggi. Tanto che queste stesse parole che continuano a caratterizzare la vita delle comunità dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle di Charles de Foucauld sorte dopo la sua morte.

Charles de Jesus, un uomo che non ha mai smesso di nascere: al vangelo, ai poveri e all’eucaristia. E proprio quest’ultima teneva presso di sé come l’amico e confidente intimo, Gesù presente nascosto nel pane, lui l’ospite segreto per i suoi ospiti inattesi e nomadi di passaggio.

Egli non ha mai smesso di irradiare fraternità eucaristica attorno a sé e nel cuore del deserto, ed è apparso così ai miei occhi come icona, guida e voce dell’Avvento, di quel permanente avvento che è la fraternità universale. Accanto al suo corpo, ritrovato alcuni giorni dopo nel fosso in cui giaceva, c’era ancora il piccolo ostensorio con l’eucaristia rovesciati entrambi su quell’altare fatto di sabbia e di deserto: il sacramento del Cristo immolato faceva così una cosa sola con il piccolo fratello dei suoi fratelli più piccoli.

Nell’Algeria occidentale, a Béni Abbès, fondò un romitorio dove accolse i poveri e studiò la lingua Tuareg. Successivamente, nel 1911, costruì un eremo a 2.180 metri sull’altopiano dell’Assekrem (in lingua tamasheq “fine del mondo”) sito a 80 km da Tamanrasset. Proprio il primo dicembre è stato l’anniversario del suo martirio; canonizzato da papa Francesco, egli è ricordato nel martirologio della chiesa cattolica proprio all’inizio dell’Avvento.

«Voglio abituare tutti gli abitanti cristiani, musulmani, giudei ed idolatri a considerarmi come loro fratello, il fratello universale. (Essi) cominciano a chiamare la casa “la Fraternità” (khaua) e questo mi colma di dolcezza».

Dalle sue lettere del 1904-1905 si possono notare espressioni ricorrenti di come egli abbia intrapreso quest’opera di fraternizzazione in uno stile di vita gesuano: “fare conoscenza”, “creare legami”, “farsi vicino”, “farsi conoscere”. Egli scrive: «il mio tempo, che non è preso dal camminare o dal riposo, è occupato a preparare le vie cercando di stringere amicizia con i Tuareg e facendo i dizionari, le traduzioni indispensabili».

Egli ha desiderato entrare fino in fondo nella vita di questo popolo: «Abitare solo in questo paese è una cosa buona: posso vivere senza grandi cose e a poco a poco diventare del paese». Così, alla fine, imparerà a ricambiare anche il male ricevuto con il bene: «Sono in mezzo a queste genti che hanno ucciso il mio amico Morès, lo vendicherò rendendo bene per male». Troveranno scritto nel suo diario: «Vivi come se tu dovessi morire martire oggi». Molti custodiscono ancora e dicono la sua preghiera dell’abbandono: “Padre mi abbandono a Te”.

Voci dall’Hoggar

Il padre de Foucauld dedicò gli ultimi dodici anni della sua vita (1904-1916) allo studio della lingua e della cultura Tuareg. Suoi sono i quattro volumi del Dictionnaire Tuareg-François, una raccolta della loro letteratura poetica e la traduzione in Tuareg del vangelo: «È per me una grande consolazione che il loro primo libro siano i Vangeli».

Voci dall'HoggarCosì, con sorpresa, ho trovato nella biblioteca del Cedoc SFR un libro del 1963 appartenente alla biblioteca di Luciano Chiappini, fondatore, negli anni del concilio, del Centro studi Charles de Foucauld il cui archivio e parte dei libri sono confluiti poi presso il Cedoc SFR. Il testo a cura di Angèle Maraval-Berthoin, Voci dall’Hoggar, ed. Nigrizia, Bologna ha avuto nuova edizione nel 2012.

Vi sono riportate sentenze e detti, le voci appunto, di Charles de Foucauld, di Musa Ag Amastàn, il grande capo di una confederazione di tribù Tuareg, e della poetessa e musicista Dassine Oult Yemma, detta la sultana d’Ahal, un luogo di riunioni diurne o notturne in cui gli uomini declamavano o cantavano versi e le donne suonavano un rudimentale violino monocorde detto “imzad”.

Dassine fu detta anche regina del deserto, perché messaggera e mediatrice di pace tra i diversi gruppi di Tuareg in lotta tra loro, e fu in uno di questi scontri che perse la vita Charles de Foucauld, che Dassine chiamava “il pensiero bianco dell’Hoggar”.

Imzàd: la voce stessa della luce per amare ogni cosa

Dal libro: E io. Dassine, dico:
Preferisci a tutte le voci, preferisci con me la
voce dell’imzàd, il violino che sa cantare tutto.
E non meravigliarti che abbia una corda sola.
Hai forse più di un cuore, tu,
per amare ogni cosa?

Ammiro mia madre che – prima fra tutte le
madri – dopo aver generato dei figli dalla sua carne,
volle generare anche un figlio del suo pensiero,
e fu l’imzàd.
L’imzàd, che resta ad un tempo la voce
Del suo Cuore e la voce della sua mente, per ammaliare
tutti quelli che l’ascoltano.

Mussa-ag-Amastàn diceva:
L’inganno finisce sempre per essere conosciuto;
perché se può accadere che gli uomini tacciano,
il cielo, l’acqua, il fuoco, la sabbia stessa
sanno assumere una voce per dire la verità.

Bisogna saper tacere come tace il silenzio,
per ascoltare la voce dello spazio.

Frère Charles diceva:
Sulla terra, è il silenzio che ha la voce
più bella per parlarci

Non ascoltare l’amico che ti viene a dir male
di un altro amico.
Resta sordo: eviterai così che la confidenza,
passando da un orecchio all’altro, prenda la voce
turbinosa del torrente

L’imzàd di Tin-Hinane, suonato ora da Dassine oult Yemma, è per l’Hoggàr quello che era per il popolo ebreo l’arpa di Davide: la voce stessa della luce.

Nel leggere un testo della Sultana dell’Hoggar mi sembra di comprendere che la voce diventa scrittura quando viene ospitata nel cuore e nella mano, sia quella che parte mano destra dell’onore e va verso il cuore, sia quella che, come nomade del deserto con gambe di armenti o croci segnavia o punti, – come stelle o come il sole che guidano nelle notti e durante il giorno – va dal cuore verso altri cuori, come nel cerchio della vita, verso un orizzonte di confini che creano sconfinatezza.

Nell’introduzione a Voci dall’Hoggar, (22-23) Angèle Maraval-Berthoin (1875-1961) ricorda che «il Padre Charles de Foucauld aveva saputo comprendere la nobiltà di carattere dei Tuareg. Egli apprezzava la forza e la poesia delle loro brevi sentenze e si sforzava di tradurre nella forma immaginifica del loro linguaggio la sapienza del Vangelo, per farsi capire meglio da loro. Ne conserviamo la testimonianza nelle sue trascrizioni su tre righe, una in caratteri tifinar (scrittura Tuareg, discendente dalle più antiche forme di alfabeto libico-berbero), l’altra in annotazioni fonetiche, la terza in traduzione francese».

E circa queste differenti forme di scrittura la Maraval-Berthoin riporta le parole stesse di Dassine, incontrata diverse volte nei suoi viaggi: «Tu scrivi ciò che vedi e che senti con piccole lettere fitte, fitte come formiche, che vanno dal tuo cuore alla tua destra d’onore».

Gli arabi, invece, hanno lettere che si sdraiano, si mettono in ginocchio e stanno dritte, simili a lance: è una scrittura che si arrotola e si dipana come il miraggio, sapiente come il tempo e fiera come la lotta.

E la loro scrittura parte dalla destra d’onore e va verso sinistra, perché tutto finisce lì, nel cuore.

La nostra scrittura, nell’Ahaggar, è scrittura di nomadi poiché tutta di aste, che sono le gambe dei nostri armenti. Gambe di uomini, gambe di mehari, di zebù, di gazzelle, di tutto ciò che percorre il deserto.

E poi le croci dicono se vai a destra o a sinistra, e i punti – vedi, ce ne sono tanti: sono le stelle per accompagnarci di notte, perché noi sahariani conosciamo solo la strada, quella che ha per guida, di volta in volta, il sole e poi le stelle.

E partiamo dal cuore e gli giriamo intorno in cerchi sempre più ampi, per chiudere gli altri cuori in un cerchio di vita come l’orizzonte intorno al tuo gregge e a te stesso» (ivi, 22-23).

Fino a quando Signore?

Sì, voci non più udite si risveglino, anche in questo lungo durare d’Avvento, anche un’eco solo di voce: “una voce che segni una sosta a queste divoranti attese” in cui opera disumanità, che inizi almeno un poco quel “dolce colloquio” che ha il nome della pace.

Anch’io, anch’io
che oda, o Amato, la voce!
Una voce …
a dirmi è finito
il tempo della potatura!
Mio crudele Amore, io so
quale vignaiolo severo tu sei
e con quale cura tu poti
le tue piccole viti…
Una voce
che dica: O colomba!
Sì, una colomba
che si annida
in anfratti e dirupi…
Una voce che segni
una sosta a queste
divoranti attese,
e fine ponga
alle aspre
incertezze:
e abbia inizio
almeno il dolce
colloquio.
(David Maria Turoldo, O sensi miei. Poesie 1948-1988, Rizzoli, Milano 19976).

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica quindicinale di Andrea Zerbini, clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

Storie in pellicola /
Al via il “XV International Fest Roma Film Corto”, dal 4 al 9 dicembre

Appuntamento con il nuovo cinema italiano e internazionale di qualità, nel formato cortometraggio, documentario e docu-film durante la XV edizione del “Roma Film Corto”, dal 4 al 9 dicembre. Ingresso gratuito

Nato con l’obiettivo di scoprire talenti cinematografici, tramite una “ricognizione sul campo” rivolta alla sperimentazione e alla contaminazione linguistica, il “Roma Film Corto” è sempre stato ed è un’occasione d’incontro-confronto tra registi, attori-attrici, autori e scrittori, e pubblico cinefilo, giovani e studenti. Un importante palcoscenico.

La rassegna si svolgerà quest’anno dal 4 al 9 dicembre presso le Biblioteca Flaminia (per la prima volta) che vedrà l’apertura del Festival, la Biblioteca Europea e il cinema Caravaggio e si chiuderà presso la Casa del Cinema / Sala Cinecittà, il 9 dicembre dalle ore 16,00 alle 20,00, con l’assegnazione del Colosseo d’Oro al Miglior Cortometraggio, quelli d’Argento per la Migliore Interpretazione e Migliore Sceneggiatura a cui vanno aggiunti il Premio Ettore Scola – Sezione Award Winning – destinato alla Migliore Opera tra quella già pluripremiate, il Premio Cinema Solidale, riservato al Miglior Film incentrato su tematiche sociali e solidali e, infine, il Premio del Pubblico.

Novità, in occasione del quindicennale del Festival, la votazione e proclamazione dei vincitori da parte, esclusivamente, di una Giuria popolare, composta in prevalenza da studenti di scuole di cinema, accademie, istituti scolastici di ogni ordine e grado, università. Ricca la proposta con la selezione di 47 opere filmiche provenienti dall’intero territorio nazionale, ma anche da paesi europei ed extraeuropei, quali: Paesi Bassi, Portogallo, Spagna Svizzera; Stati Uniti, Brasile, Iran, Hong Kong.

Da segnalare, la sezione “Incontro con l’autore”, che vedrà, tra l’altro, la presentazione di novità editoriali, nella direzione di quella contaminazione artistico-culturale, centrale nel Progetto culturale del Festival. Previsto presso la Biblioteca Europea (6 dicembre dalle 16,00 alle 19,00) l’omaggio ad Anna Magnani a cento anni dalla nascita, sulla cui figura di donna ed attrice, si soffermerà il critico e storica del cinema, Chiara Ricci, autrice del libro “Anna Magnani – Ritratto d’attrice”.

Il programma completo e consultabile e scaricabile su www.romafilmcorto.it

L’ingresso alla manifestazione è gratuito fino ad esaurimento posti.

Info 06 35348882 – romafilmcorto.fest@libero.it

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Immagini dell’edizione dello scorso anno, per cortesia del Roma Film Corto

Israele-Palestina: un altro modo, la scelta della nonviolenza.
Intervista esclusiva a Sulaiman Khatib e Chen Alon, combattenti per la pace

Israele-Palestina: un altro modo, la scelta della nonviolenza

Intervista online a Sulaiman Khatib e Chen Alon, co-fondatori di “Combatants For Peace”, nominati per il Premio Nobel per la Pace nel 2017 e nel 2018. Entrambe le volte la candidatura era a nome di “Combattenti per la pace”.

di Ilaria Olimpico, Imaginaction
articolo originale pubblicato su pressenza il 30.11.2023

Questo articolo vuole riportare in italiano le parti salienti dell’intervista (in inglese)  visibile qui sul canale Youtube di Pressenza IPA  https://www.youtube.com/watch?v=Aq13zCoRqU4  e ascoltabile come podcast qui https://podcasters.spotify.com/pod/show/imaginaction

Grazie a Daniela Bezzi per l’aiuto nella trascrizione e traduzione e a Fulvio Faro per il montaggio del video.

Di seguito riporto gli elementi che hanno attirato maggiormente la mia attenzione e che evidentemente si sono ancorati al mio vissuto, alle mie premesse, alla mia professione, e non da meno alle mie speranze.

Il cammino doppio e intrecciato di Combatants for Peace. Chen Alon più di una volta, nell’intervista, ha sottolineato come accanto al processo di riumanizzazione, training all’empatia e promozione del dialogo, ci sia la lotta congiunta, nonviolenta e creativa contro l’occupazione militare israeliana e il sistema oppressivo di apartheid. Ho trovato significativo che questo aspetto fosse sottolineato da Chen, israeliano, che dice: “Non ignoriamo la realtà dell’occupazione”. Senza questa affermazione così forte, la promozione del dialogo tra i due popoli potrebbe essere inficiata e accusata di “normalizzazione” (tatbya in arabo), ossia di normalizzare i rapporti come se non esistesse un sistema oppressivo e ingiusto. In questo caso, direi che le relazioni tra “nemici” più che “normalizzare” lo status quo, lo sfidano facendosi portatori di una realtà altra, per molt3 quasi inimmaginabile, e lo fanno insieme.

Aprire la mente. La pluralità di narrazioni. Sulaiman Khatib spesso fa riferimento alle narrazioni diverse e al ruolo che giocano nel mantenere il ciclo di violenza e nel rimanere bloccati nella storia dei propri traumi, così come all’opportunità che si apre quando si fa spazio alla narrazione dell’altro. Sulaiman racconta come la curiosità verso la storia degli israeliani abbia fatto parte della sua storia di trasformazione personale; accenna al fatto che la guerra di queste settimane è raccontata in due modi completamente diversi dai media israeliani e palestinesi (“siamo soliti dire qui che viviamo in film diversi”).Aprire il cuore. Avere spazio per il dolore dell’altro, del “nemico”. Sulaiman racconta di quando ha fatto spazio alla sofferenza per l’olocausto, Chen racconta che ora, dopo 18 anni di allenamento del muscolo dell’empatia, il suo cuore si spezza allo stesso modo per i bambin3 isrealian3 e palestines3 quando sono uccis3, rapit3, torturat3. In effetti, siamo addestrat3 a provare empatia solo per i nostri cari, i nostri vicini, i nostri “più simili a noi”. “(voglio invitarvi a) dare una possibilità all’empatia e all’umanità…” (Sulaiman).

Aprire la volontà. L’immaginazione come capacità fondamentale nella trasformazione del conflitto. Dice Chen: “una delle prime manifestazioni dell’oppressione è che la gente non riesce a immaginare un’altra realtà”. Sulaiman dice che la The Joint Memorial Ceremony, in cui israeliani e palestinesi sono in lutto insieme, chiedendo la fine della violenza, è in qualche modo qualcosa di inimmaginabile. Avere la capacità di immaginare l’inimmaginabile apre le porte davvero alla risoluzione creativa dei conflitti.

Il ruolo della comunità internazionale. Andare oltre le polarizzazioni e l’odio.  In questo momento di forte polarizzazione, che alimenta da un lato l’islamofobia e dall’altro l’antisemitismo, Chen invita a essere spett-attori, ma non per tifare una o l’altra parte, ma chiedendosi “dov’è il palcoscenico in cui le persone stanno co-resistendo, co-esistendo, lottando insieme, riumanizzandosi a vicenda”. Sulaiman apprezza il risveglio della comunità internazionale, ma sente di distanziarsi dagli slogan che portano odio, invita a sintonizzarsi sulla vibrazione della vita.

E ora lascio la parola a Chen e Sulaiman, riportando stralci di gran parte dell’intervista.

La mia prima domanda è stata proprio su Combatants for Peace (Combattenti per la Pace), cos’e’ e cosa rappresenta nella loro vita oggi, in questa situazione così drammatica.

Sulaiman: 

Combatants for Peace è nato durante la Seconda Intifada, da una conversazione che si teneva segretamente a Betlemme, tra alcuni palestinesi che stavano combattendo o erano in prigione, come me, e israeliani che erano stati nell’esercito. E dunque in breve, entrambi i gruppi sono giunti alla conclusione che non esiste una soluzione militare per la nostra causa, e che per alcuni di noi non esiste più un “noi” o un “loro”. 

Come ho detto io stesso, sono stato in carcere per più di dieci anni dall’età di 14 anni, come tutti i miei amici adolescenti, mi sono trovato in varie situazioni per esplorare ciò che può funzionare. Ed è successo che alcuni di noi, se così posso dire, si sono avvicinati ai valori della nonviolenza e dell’umanizzazione dell’altra parte e abbiamo lavorato insieme per un futuro migliore, per i nostri popoli, sia palestinesi che israeliani.

(…) Credo che “Combatants For Peace” abbia contribuito molto ai movimenti di base a livello locale e globale che dimostrano che la trasformazione e il cambiamento sono possibili, e che trasformare quello che chiamiamo “l’altro” in un fratello è possibile e questo cambiamento non è eccezionale, solo per poche persone. Credo che ogni essere umano sia in grado di cambiare. Come dice Nelson Mandela, “le persone non odiano per natura, quando nascono, devono imparare a farlo…”. E quindi possono anche imparare l’amore e persino il perdono.

“Combatants For Peace” esiste da 18 anni. E l’identità principale, come ho detto dai fondatori, è quella di ex combattenti di entrambe le parti che lavorano insieme. E questo, per quanto ne so, è uno dei pochi modelli storicamente riconosciuti e che continuano a lavorare sul conflitto, con l’obiettivo di unire le forze per lavorare insieme a questa possibilità di riconciliazione storica, per la liberazione e la libertà dei nostri popoli da entrambe le parti.

Chen:
(…)
Io sono stato per più di 10 anni nell’esercito, sono diventato maggiore nell’esercito israeliano e ho avuto la stessa urgenza di Suli di proteggere il suo popolo. Anch’io ritenevo di proteggere il mio popolo. Credevo che la violenza, la resistenza, la lotta armata, la difesa, comunque la vogliamo chiamare, fosse la soluzione e poi ho capito che la violenza è sempre il problema e non la soluzione e ho deciso di rifiutarmi di svolgere il servizio militare per l’occupazione e per questo sono stato condannato e andato in prigione.
(…)
Anch’io, come ex combattente, come ex ufficiale, ho trovato i partner in un gruppo di persone, persone coraggiose nel fronte palestinese, che hanno abbandonato la violenza come mezzo di liberazione o mezzo di resistenza, di lotta.

Abbiamo quindi unito le forze per porre fine all’occupazione e all’apartheid insieme, e per sviluppare una comunità nonviolenta bi-nazionale. Dopo 18 anni stiamo definendo una cultura nonviolenta bi-nazionale. Stiamo sviluppando un’alternativa alla realtà come comunità, in modo che le persone possano unirsi a noi e far parte di questo giusto e paritario sistema di governo, anche utopico, nella nostra comunità che non ignora il contesto dell’occupazione e dell’apartheid, ma fornisce una realtà alternativa per le persone che resistono alla violenza, al ciclo di violenza e alla struttura di potere oppressiva.

E vorrei aggiungere, per rispondere alla seconda parte della tua domanda, che cos’è “Combatants For Peace” oggi? Per me, e so che è lo stesso per Sulai, perché ho imparato questo termine da Sulai, noi siamo risoluti, fermi. Siamo una roccia ferma (…) nell’occhio di una tempesta di folle, orribile violenza, brutalità, barbarici attacchi che vanno da entrambe le parti, uccidendo persone innocenti e bambini. E noi stiamo incarnando la visione di stare insieme nella realtà, all’interno dell’occhio del ciclone. Per segnalare alla gente che saremo presenti anche dopo la fine della guerra e che saremo il seme attorno al quale si costruirà la prossima realtà, come comunità bi-nazionale, nonviolenta, pacifica, sensibile alla giustizia e ai diritti umani.

Invito Chen e Sulaiman, che hanno già un po’ anticipato le loro storie personali, a raccontare episodi della loro vita che hanno portato a un cambiamento di prospettiva e alla scelta della nonviolenza.

Chen:
(…) Intuitivamente, abbiamo iniziato il viaggio dei “Combattenti per la pace” sulla base dei principi dei Comitati per la Verità e la Riconciliazione in Sudafrica. Ciò significa che quando si racconta la propria storia personale attraverso la violenza, ci si assume la responsabilità della verità e della riconciliazione. Non significa che qualcuno deve perdonarti (…). Si tratta di un’azione di racconto della propria storia personale, di condivisione della propria verità e del proprio ruolo. A volte di testimone, a volte ruolo attivo nella realtà come persona violenta, come essere umano violento che ha disumanizzato l’altro fino al punto di essere disposto a uccidere, e in alcuni casi a uccidere davvero, altri esseri umani. Quindi, per essere onesti, non c’è un momento del genere, un unico momento di rivelazione o epifania che posso descrivere come IL momento della mia trasformazione.

Io sono un regista teatrale. Un creatore di teatro nel teatro. Un attivista e un artista. Quindi leggo la mia storia e leggo questi episodi che ho vissuto, attraverso un punto di vista teatrale, e cercherò di spiegare questo punto con alcuni esempi, uno dei quali è che ero già un attore di teatro e stavo interpretando un ruolo in uno spettacolo teatrale chiamato “Awake and sing” di Clifford Odets. È una commedia americana sulla Depressione del 1929 e io interpretavo il tipico giovanotto di famiglia. E tutta la famiglia è devastata dalla depressione economica. E come in una catarsi io alla fine dell’opera dico loro: “Non dipende da noi affrontare il nostro singolo problema, dobbiamo cambiare il sistema, il sistema di capitale dell’economia statunitense è il problema e dobbiamo cambiarlo, e questo creerà il cambiamento.” E a quel punto il pubblico applaudiva e beh, io indossavo un abito a tre pezzi con la cravatta nel Bronx degli anni ’30 o alla fine degli anni ’20 negli Stati Uniti a New York. E il pubblico era fuori di testa dinnanzi a questo giovane uomo rivoluzionario che indica una soluzione al problema sociale, economico e politico.

Mi sono tolto il costume di scena, sono salito in macchina e ho guidato per 45 minuti fino alla Striscia di Gaza. Era credo l’anno 1997, o 1996. Ho indossato la mia uniforme con il grado di maggiore ed eccomi comandante di un posto di blocco. Fermavo e bloccavo le famiglie palestinesi che volevano attraversare questo posto di blocco e dicevo: “Avete bisogno di un permesso per andare all’ospedale, avete bisogno di un permesso per questo e quello…”. E ricordo in particolare una giovane coppia con un bambino che cercava di attraversare questo checkpoint e così, eccomi lì la sera stessa, sul palco come giovane rivoluzionario che crede nel cambiamento sistematico del sistema e invoca una rivoluzione del sistema per portare giustizia e uguaglianza. E un’ora dopo sto recitando un altro ruolo, con la mia uniforme di oppressore, come comandante di un posto di blocco che non permette alle persone di passare. E dunque questo scontro tra questi due personaggi dentro di me, il modo in cui non riuscivo a integrare questi due ruoli, questi due personaggi (…) Mi sono detto: devi scegliere uno dei due. O sei un cittadino, un artista che invoca il cambiamento, ed è disposto a pagarne il prezzo. Oppure sei un ufficiale di una dittatura militare che controlla e domina milioni di persone. Non puoi essere entrambe le cose. E il prezzo da pagare è quello di essere un traditore del tuo popolo, essere considerato un traditore, sbattuto in prigione, ed essere boicottato e bandito dalla tua stessa gente. 

E avrei altri esempi, se vuoi più avanti, mi limiterò solo a un altro, quello di aver impedito ai bambini di andare in ospedale, cinque anni più tardi, nella vicina Betlemme, mentre avevo cura di mia figlia, della mia bambina che andava all’asilo, nello stesso momento. Da una parte eccomi a dire: “Non potete andare all’ospedale, voi bambini in macchina (…); e allo stesso tempo chiamare mia madre per chiederle di andare a prendere mia figlia all’asilo perché la mia compagna quel giorno non poteva.

Quindi, di nuovo, questo concetto teatrale, di un personaggio, di ruoli nella vita, nella vita reale, e non essere in grado di integrare l’essere umano che sei, con altri ruoli sociali che ti trovi ad avere, stava arrivando a un punto tale che era troppo per me e mi sono rifiutato. Ero disposto a pagare qualsiasi prezzo pur di impegnarmi nel ruolo di essere umano che non opprime altri esseri umani.

Sulaiman:

(…) come ho detto prima, sono stato in prigione quando avevo 14 anni. In realtà sono stato attratto dall’idea della rivoluzione, l’intreccio di Che Guevara, la kefia… e poi, durante il periodo di detenzione, quando ero in carcere, a 15 anni, mi sono unito in alcune occasioni ad altri prigionieri per uno sciopero della fame. E con questi due scioperi della fame, che sono durati circa 17 giorni, a volte 10 giorni, al fine di migliorare la vita quotidiana del carcere, abbiamo sempre avuto successo, in effetti. Questa è stata la mia esperienza pratica.
(…)
Sapete tutti che Mandela quando era in prigione ha letto della lotta nonviolenta e di altre parti del mondo, per esempio in India, e la storia di Martin Luther King e altri. Ma anche nella nostra cultura, direi anche nel contesto religioso spirituale, dalle nostre parti, c’è parecchio sul principio della nonviolenza, sulla cultura della tolleranza, “tasamuh”. (…)

Per me, quindi, quando parliamo di cambiamento verso la nonviolenza, non si tratta solo di una teoria del cambiamento o di un’ideologia o di una conversazione intellettuale, ma di andare molto più in profondità al cuore, all’anima e credo che sia importante, ed è così che io sono, essere veramente e pienamente in verità con noi stessi, non solo come intellettuale.

(…) io vengo da una famiglia che pratica la “riconciliazione” e questo si collega a tutta la cultura mediterranea del Medio Oriente con il processo di riconciliazione tribale, in cui ci sono sempre due lati della storia, o più di due lati (…). Ed è importante, io provengo dalla tipica famiglia palestinese, molto legata alla narrazione della causa palestinese, alla sofferenza palestinese, alla lotta palestinese, al desiderio di libertà. (…) Quando mi guardo indietro, penso che in parte, come ho detto, questo proviene anche dall’appartenere a una famiglia che riunisce insieme parti (gruppi) differenti nel sistema tribale e penso che una parte importante della mia missione di vita sia superare le differenze.

E dunque ero molto curioso e anche aperto a leggere anche la narrazione degli israeliani, se non altro per saperne di più, perché se mi predispongo ad aprirmi un po’ di più, significa che posso rinunciare un po’ alla mia (narrazione). Per esempio se provo empatia per la sofferenza del popolo ebraico, rispetto all’Olocausto, o prima, o dopo, si modifica anche il mio punto di vista di giustizia, o circa la mia causa come palestinese, e nel corso del tempo arrivo a un luogo in cui sento che questi termini o sentimenti non sono in conflitto, in cui possa permettere al mio cuore di percepire la legittimità di entrambe i popoli, di essere qui con tutto il dolore e il trauma… E capire che sono in grado, che noi siamo in grado… (…) di avere un cuore bi-nazionale e credo che questa sia la strada, con le nostre relazioni personali, con la nostra apertura.

Non perché siamo ingenui e non stiamo facendo nulla, ma perché è proprio così. (…) Ovunque, non riguarda solo la nostra causa. Credo purtroppo che la voce della violenza sia molto più forte, ma credo davvero che la maggioranza delle persone vorrebbe abbandonare questa cosa, per il loro bisogno di sopravvivenza e per le loro anime, smetterla di odiarsi e uccidersi a vicenda.

Chiedo a Chen e Sulaiman in che modo Combatants for Peace costruisce la fiducia e coltiva la riconciliazione, quali sono gli strumenti e le metodologie. 

Chen:

Mi stavo unendo a “Combatants For Peace”, stavo co-fondando “Combatants For Peace” come un ebreo israeliano molto protettivo, nel senso che stavo proteggendo la mia identità(…). Stavo mettendo a fuoco, ed ero molto possessivo, riguardo la mia storia, il mio dolore, all’Olocausto, alla sofferenza, l’esilio, il bisogno di rifugio da parte della gente. E non so se si tratta di un training  emotivo, empatico o spirituale che stiamo facendo in “Combatants for Peace”. Ma dopo 18 anni, posso dire che i bambini del Sud (Israele) e i bambini di Gaza mi spezzano il cuore allo stesso modo, quando vengono uccisi o rapiti o torturati. Quindi ora ho lo stesso posto nel mio cuore per i bambini quando sono uccisi, rapiti o torturati. Ho lo stesso posto nel mio cuore ed è facile perché ho dei figli, quindi è facile per me. Sento che è facile ora, ma non era così anni fa. E penso che quando parlo di training, non si tratta solo di esercitarsi all’empatia (…) Penso che sia il modo in cui ci stiamo allenando all’azione, che siamo impegnati in entrambe le pratiche e in entrambe le strade, entrambi i percorsi di “Combattenti per la Pace”.

Uno è il dialogo costante per la riconciliazione e la riumanizzazione. (…) per esempio, una delle pratiche è The Joint Memorial Ceremony, che abbiamo iniziato 18 anni fa con decine di persone in un teatro francese a Tel Aviv. Alle ultime quattro o cinque cerimonie che abbiamo fatto, la cerimonia annuale israelo-palestinese, hanno partecipato 15.000 persone in un parco a Tel Aviv con altre 200.000 persone online, che sentono l’esigenza di questo dolore comune, di questa agonia, di questo dolore da sentire insieme. E non è solo, come hai detto, un’esigenza israelo-palestinese, è un’esigenza internazionale. È un’esigenza umana di cui siamo testimoni in tutto il mondo. Questo è uno degli impegni che ci permette di sviluppare questi muscoli dell’empatia che stiamo allenando.

Ma ce n’è un altro (perché) il dialogo, la riconciliazione, la coesistenza e così via non sono sufficienti quando c’è un sistema sistematico così brutale e dominante di relazioni di potere che è oppressivo, cioè l’occupazione e l’apartheid. Quindi l’altro impegno, l’altro viaggio, l’altro percorso, l’altra strada che stiamo sviluppando oltre alla riconciliazione e alla riumanizzazione, è la lotta nonviolenta, la resistenza, il confronto concreto con il sistema oppressivo.

In questo modo, in vari modi, come azioni dirette, dimostrazioni, teatro d’immagine, teatro forum, manifestazioni, marce e vari modi di essere fermi di fronte all’oppressione insieme, israeliani e palestinesi sono schierati nello stesso movimento, la stessa azione, la stessa attività di fronte all’occupazione.

E penso che l’intreccio di questi due percorsi sia qualcosa di straordinario e unico per questo movimento bi-nazionale, che permette agli esseri umani impegnati nel movimento di avere, dopo anni e anni, un cuore bi-nazionale, e persino una mente bi-nazionale. 

Sulaiman:

In “Combattenti per la Pace” e nella cerchia più ampia dei gruppi di attivisti ci sono molti strumenti. Hai menzionato lo strumento del storytelling; noi usiamo molte altre strategie e strumenti per aprirci a (..) una nuova narrazione che emerga, che nasca e non rimanga bloccata nella vecchia storia. E questo non è facile perché la gente è traumatizzata e più facilmente bloccata nella narrazione del vittimismo, perché c’è molto dolore e sofferenza in questo momento e in generale.

The Joint Memorial Ceremony (…) per umanizzare l’altra parte, è davvero al di là di ogni immaginazione. Il fatto di essere  insieme nel dolore e nella solidarietà. Anche la cerimonia della Nakba è iniziata da quasi cinque anni. Camminare in collaborazione tra i nostri partner palestinesi e israeliani, per toccare un evento traumatico per i palestinesi e riconoscere quegli eventi che sono stati catastrofici nel ’48 per i palestinesi, è molto educativo, crea delle aperture e permette di non sottrarci di fronte agli argomenti più scabrosi, per entrare davvero in una conversazione difficile. E anche per costruire la fiducia e tutti i tipi di azioni nonviolente sul terreno. (…)

Per permettere alla gente di immaginare che questo posto può essere diverso, che non dobbiamo essere nemici per sempre, né combattere per sempre. (…)

Ho proposto a Chen e Sulaiman di immaginare, per Chen, di parlare con un bambino palestinese a Gaza, e per Sulaiman, di parlare con un bambino israeliano proveniente da uno dei kibbutz attaccati il 7 ottobre. Abbiamo fatto un momento di silenzio, per immaginare che, in qualche modo, ci siano le premesse che permettano a questi bambini di ascoltare con cuore e mente aperti. Hanno risposto con autenticità e delicatezza.

Chen

Devo dire, prima di iniziare, ho bisogno di un disclaimer e so che è una manifestazione dell’oppressione di cui sto soffrendo, perché questo è davvero impegnativo. (…) Una delle prime manifestazioni dell’oppressione è che la gente non riesce a immaginare un’altra realtà. La gente non riesce a immaginare un incontro utopico come quello che ci stai offrendo, e mi rendo conto che fa parte dell’oppressione il fatto che io non posso immaginare. È difficile per me. Perché non riesco a immaginare me stesso di fronte a un bambino palestinese a Gaza, mentre ascolta un uomo adulto ex soldato, ex ufficiale dell’esercito israeliano.

Quindi la mia prima immaginazione è andata in due direzioni ed è interessante perché prima di tutto vorrei chiederti di permettermi di portare Sulai, con me, per incontrare questo bambino palestinese… ho bisogno di Sulai per quell’incontro.

E l’altro pensiero che ho avuto è che non dirò nulla a questo bambino. Gli dirò che la mia prima responsabilità e obbligo è ascoltarlo. Per chiedergli cosa ha lui da dirmi.

(…)

Sulaiman

(…) Quando hai fatto la domanda, sono andato dentro il mio cuore per poter vedere (…) dei bambini israeliani. (…) Sì, sento che il mio cuore è molto pesante e anche in colpa perché una parte del nostro popolo ha rapito… Moralmente mi sento “triggerato”.(…) e provo anche una profonda e calda empatia per questi bambini che sono appena nati lì, che non hanno alcuna responsabilità indipendentemente da quale famiglia o in quale parte del mondo sono nati. E sono consapevole che questi bambini portano con sé anche i traumi delle loro famiglie. E quando sento questo, sento la mia parte di cuore salvatrice. Una parte di me si muove, vorrebbe salvare, vorrebbe proteggere. Vorrei dire a tutti questi bambini che sono protetti, che sono al sicuro e che sono amati. E mi dispiace anche per loro, perché noi adulti non siamo riusciti a impedire ciò che è successo il 7 ottobre, dopo il 7 ottobre, prima del 7 ottobre. Per tutti i bambini. Israeliani e palestinesi.

(…) E sento anche una grande responsabilità di continuare a fare quello che facciamo e anche di più per cambiare il corso di questa storia. E in questa missione, ci credo in pieno (…)

E sento che questi bambini sono stati usati per qualcosa che non hanno creato loro. E questo mi porta a (…) condannare, davvero, l’azione di rapire dei bambini, arrestare dei bambini, attaccare dei bambini, uccidere dei bambini.

(…) a quale livello di disumanizzazione siamo per arrivare a questo…

(…) Quando ho sentito il telegiornale e quando hanno parlato di bambini che sono stati rapiti tutti insieme, non sono riuscito ad avere alcuna immaginazione. Onestamente non riesco a immaginare perché non sono in grado di dare una spiegazione a me stesso, alla mia coscienza. Perciò chiamo davvero le nostre madri e le loro preghiere e (…) tutte le persone che hanno gli strumenti culturali per connettersi con la loro coscienza superiore e costruire questa nuova consapevolezza che possano davvero vedere e sentire di dare protezione a tutti questi bambini (…)

E ancor più sento che voglio lavorare, perché questo non accada mai più, si spera. (…)

(Voglio) mantenere il mio cuore aperto alla realtà collettiva, a tutta la realtà e cerco di mantenere un equilibrio con il sogno che questo posto possa diventare… (…) questo luogo possa diventare un modello di libertà globale. (…)

Chen

E dunque ora puoi capire, Ilaria, perché ho detto che porterò Sulai con me… (…) direi che io ho fallito, voglio dire, riconoscerò che abbiamo fallito nella nostra responsabilità, nella mia. Ho fallito nella responsabilità per questi bambini di Gaza, per te, bambino di Gaza, per quello che hai dovuto affrontare. L’unica cosa che gli chiederei, a questo bambino, è di non rinunciare alla speranza. (…) Ma l’unica cosa che gli chiederei, che gli offrirei, sarà invitarlo ad assumersi la sua responsabilità nel non perdere la speranza. E che un giorno potrà unirsi a Sulai e a me in questo viaggio della speranza. E gli consiglierò che questo viaggio, questa strada, questo percorso non sia con l’M16, non con le armi. Non puoi fare questo viaggio di speranza con le armi. E gli chiederò di perdonarmi.

Sulaiman

(…) Voglio invitare tutti coloro che ci hanno ascoltato fino ad ora, a osservare un momento di silenzio e respirare con il cuore aperto e per esprimere empatia. Ogni persona nel mondo ha empatia, ma a volte abbiamo limitato questa empatia ai nostri cari. Per non sfidare le nostre narrazioni e la nostra mente (…).

Voglio davvero sfruttare questa opportunità per (…) invitare tutti, indipendentemente dalla parte politica di appartenenza, comprese le persone che ora sostengono la guerra e sostengono la violenza, a dare qualche secondo al loro cuore, alla loro anima, (…) dare una possibilità all’empatia e all’umanità, anche in tempo di guerra. Questa è la generosità della moralità che sono certo, esiste davvero in tutte le nostre culture. E questo può davvero essere un punto di svolta per una trasformazione personale e collettiva (…)

(…) C’è davvero abbondanza, di risorse, d’amore, e di risorse materiali. E tutto ciò che ci permette di avere una vita diversa e un mondo diverso è pienamente visibile. Lo sto vedendo. Lo vedo nel mezzo delle tragedie che stanno accadendo in questo momento a Gaza e nel sud di Israele e in molti luoghi, anche in Cisgiordania. In Israele nessuno si sente al sicuro ed è un momento molto pesante, ma posso sentire e vedere in questo l’opportunità di trasformare davvero il palcoscenico per un momento storico, di lasciar perdere un po’ la vecchia storia per consentire l’esistenza di una nuova storia in cui i nostri popoli possano davvero essere pienamente se stessi, e autentici, e sentendosi in pace e al sicuro. Grazie.

Le parole di Chen e Sulaiman mi hanno riportato alla citazione di Joanna Macy: “Camminate coraggiosamente nella vita, con cuore spezzato, aperto”. Ho chiesto di condividere qualsiasi cosa sentissero come importante in questo momento.

Chen 

(…) Credo che voi e la maggior parte (…) delle persone che ci stanno seguendo, la cosiddetta comunità internazionale, insomma le persone che stanno ascoltando me e Sulai, dentro di loro stanno pensando a queste barbarie in Medio Oriente, o al conflitto israelo-palestinese o a qualsiasi altra cosa, e si sentono distaccate o lontane, o qualcosa del genere; oppure (…) pensano: cosa posso fare? Qual è il mio ruolo? e così via.

E voglio ancora una volta tornare al medium teatrale (…) che mi sta insegnando molto sul mio ruolo, rispetto al palcoscenico del conflitto, e sul ruolo di Sulai, come protagonista o antagonista in questo conflitto. E quanto a voi, la gente che ci sta guardando e ascoltando e pensa che il ruolo dello spettatore sia solo quello di osservare e di rimanere passivi. Credo che il teatro (…) ci stia insegnando che non c’è ruolo senza responsabilità, che tutti noi dovremmo trasformarci nel mondo, (dal ruolo di) spettatori, osservatori, nel ruolo di spett-attori, che tutti noi abbiamo il compito di adempiere alla nostra responsabilità e di diventare attori, nel drammatico momento che ci suggerisce, o che esige anzi e di diventare attivi. E l’unica cosa che voglio dirvi è: sì, attivatevi, unitevi a noi, diventate attori sul palcoscenico del conflitto israelo-palestinese, ma non pensate che il vostro ruolo sia quello di essere pro-Israele o pro-Palestina; non è questa la storia, il copione. Il copione è che dovete essere a favore della giustizia, per l’uguaglianza, per la solidarietà. E se volete correre gli stessi rischi come Che Guevara diceva per la solidarietà, significa che devi chiederti dov’è l’arena, dov’è il palcoscenico in cui le persone stanno co-resistendo, co-esistendo, lottando insieme, ri-umanizzandosi a vicenda, e così via. (…)

Sulaiman 

Aggiungo la mia voce a quella del mio fratello e amico Chen. E voglio dire un’altra cosa che riguarda la nostra gente di qui, in questa terra sacra. Mi sento pienamente, davvero nel mio cuore e non vivo in La La Land (ndt “nella fantasia”), sento che vivo pienamente nella terra di qui, dove sentiamo e vediamo e siamo testimoni, sperimentiamo in prima persona la fame, la violenza, l’occupazione. Se vengo qui a Betlemme per stare con un mio amico, devo passare un check point, non so se ci arriverò, se potrò tornare indietro (…). Anche sulla polarizzazione (…) Siamo soliti dire qui, divisi fra palestinesi e israeliani, che viviamo in film diversi. (…) Poiché ho imparato la lingua ebraica, posso ascoltare le notizie da entrambe le parti ed è una storia completamente diversa! (…) C’è davvero la battaglia è in termini di superiorità della morale. Nessuno vuole sentirsi dire o ammettere che la propria moralità è inferiore a quella degli altri, e così si perpetua la disumanizzazione.(…)

E sono felice per il movimento di risveglio che mi sembra di vedere a livello globale. È bellissimo. Davvero. Non sono d’accordo con tutti gli slogan, (…) specialmente quello che porta molto odio nel mio nome, e non voglio che questo sia nel mio nome. La mia vibrazione e quella del nostro popolo (…) non include danneggiare altre persone, soprattutto civili e bambini, (…) non include l’odio per nessun gruppo di persone. Vediamo che alcune persone in tutto il mondo, soprattutto i politici, industrie, industrie della guerra e così via, vogliono che continuiamo a combattiamo per sempre, fino all’ultimo bambino, (…) palestinese e israeliano.

E io mi auguro che venga un momento di risveglio per i nostri popoli per essere consapevoli che come vicini dobbiamo vivere l’uno accanto all’altro, qualunque sarà l’accordo.

Quindi, in questo senso, (…) direi che personalmente sono, siamo favorevoli a qualsiasi accordo, compreso quello attuale, per lo scambio degli ostaggi, per il cessate il fuoco, ma so che questo non è sufficiente. (…) Invitiamo queste persone a sentire la vita, dove è la vita (…). Vogliamo lottare per la vita e la giustizia. Sappiamo che abbiamo bisogno di una soluzione politica e storica, più che degli accordi di cessate il fuoco, ma anche questo potrebbe essere un buon inizio (…) per (le parti) per cominciare ad aprirsi, per altre opzioni diverse da quella delle armi.

Quindi, sì, personalmente continuo a rimanere in contatto con la realtà e sono anche ottimista su una realtà diversa (…)

Siti dei Combatants for Peace:
https://cfpeace.org/
https://afcfp.org/
https://www.disturbingthepeacefilm.com/

In copertina: un momento dell’intervista di Ilaria Olimpico a Sulaiman Khatib e Chen Alon< (Foto di elaborazione Pressenza)

Elogio dell’edicola

Elogio dell’edicola

Certamente
si può vivere
senza una edicola in città
Più necessario per la pancia
sono pane, vino, verdure
ogni tanto un bel filetto
sulla tavola
mentre per i vegetariani un insalata mista
e chi vuole una Festa d’Ottobre.
Evviva la pancia,
chi se ne frega la testa!

Ma
andare al mattino presto
ad una edicola vicino
scambiare le prime parole del giorno
con il giornalaio
lui o lei non importa
qualche battuta spiritosa
con un altro cliente
chi compra un giornale
che non mi piace
Evviva la libertà di stampa!
Il primo sfogo sul governo a Roma
e sul sindaco a Ferrara.
Pagare e poi andare sereno
verso il mondo sempre più grigio.

Difendiamo le edicole
finché esistono
temo non a lungo.
Sono farmacie
contro la stupidità della routine quotidiana
e contro la depressione continua sul mondo in degrado.

Certamente si può sopravvivere senza le edicole
Ma l’uomo non vive di solo pane.

In copertina: Edicola di via Maragno, a Ferrara gestita dalla coop. sociale Il Germoglio

Per leggere gli articoli di Carl Wilhelm Macke su Periscopio clicca sul nome dell’autore

ROMA, L’EXPO MANCATO E I MILIONI DI RYADH SEASON

ROMA, L’EXPO MANCATO E I MILIONI DI RYADH SEASON.

Sulle pagine del quotidiano La Repubblica Massimiliano Fuksas, controversa archistar romana, commenta la sconfitta di Roma nella vicenda dell’attribuzione dell’Expo affermando una cosa sacrosanta: Roma non può far pagare il suo cronico ritardo infrastrutturale ad altri.
La grande differenza tra le candidature italiane e quelle di altri paesi, anche europei, in queste “competizioni” è che questi ultimi nei loro dossier indicano anche le opere pubbliche o di uso pubblico realizzate o in corso di realizzazione, che supporteranno quindi l’arrivo di tanti visitatori mentre le città italiane aspettano l’evento, se arriva, per farle perché sono state incapaci di realizzare prima con i canali di finanziamento ordinari.

Parigi, quando perse la competizione con Londra per le olimpiadi, il giorno dopo avviò la rigenerazione urbana del quartiere di Batignolles che doveva ospitare il villaggio olimpico e che oggi è vivo e ben funzionante, con un bellissimo parco usatissimo dai parigini.
A Roma con l’Expo si volevano sanare delle ferite come le vele incompiute di Calatrava, un progetto già nato vecchio, il cui cantiere è fermo dal 2009.

Riad si è dunque aggiudicata l’Expo e Fuksas è tra i progettisti di Neom Line, simbolo del rinascimento saudita (di renziana memoria). Infatti l’architetto in questa intervista cita la città lineare come esempio di visione di futuro.

Probabilmente la ricca parcella pagata dalle società controllate dallo Sceicco Mohammad bin Salman fa dimenticare all’architetto romano che Neom è una città sanguinaria, perché diversi membri delle comunità locali che si erano opposte al progetto che li espropriava delle proprie terre, sono stati condannati a morte per terrorismo ed quindi uccisi.

Fuksas dimentica anche che il sogno green di una città di acqua, vegetazione e piste da sci (dove forse un giorno, chissà, si faranno le olimpiadi invernali) costruita nel deserto saudita. dentro due edifici paralleli lunghi 170 km, è un sogno per ricchi costruito da poveri migranti (come è successo a Dubai o nel Qatar) che arricchirà molte società e professionisti occidentali, come Webuild, e che ponendosi come enclave ecosostenibile diventerà una città abitata da ricchi, accentuando quindi le disuguaglianze con chi non lo è.

NEOM LINE – The Line, la città utopica verticale nel golfo di Aquaba, lunga 170 chilometri, larga 200 metri e alta 500.

Le diseguaglianze. Sappiamo (anche se molti il problema non se lo pongono) che queste costituiscono la faccia sociale della crisi climatica ambientale e che se questa crisi non l’affrontiamo associando questi due aspetti – diseguaglianze e crisi climatica –  il futuro potrebbe diventare ancora più distopico di quello che già.
Associando tale riflessione alle vicende dell’Expo, una riflessione che in prima battuta irrita e subito dopo induce alcune riflessioni è quella del presidente del presidente del comitato promotore Roma Expo 2030 l’ambasciatore Giampiero Massolo: “Si è votato per il mercantilismo, la diplomazia transazionale anziche’ transnazionale”, mentre l’ex Sindaco Virginia Raggi, presidente della commissione per l’Expo del Campidoglio, aveva parlato dell’Arabia Saudita come un regime che calpesta i diritti umani.

Queste affermazioni sono indicative dell’ipocrisia dei nostri apparati di governo locali e globali.

Che i Paesi del Golfo siano delle dittature sanguinarie lo sappiano da sempre, quotidiani seri come The Guardian o Le Monde gli hanno dedicato dossier molto approfonditi, così come numerosi ricercatori ne hanno studiato le politiche e gli apparati repressivi.

Il problema è più drammatico ed è nostro. Le nostre democrazie occidentali hanno delegato il futuro del mondo a questi paesi autocratici e sanguinari che controllano il mercato dell’energia fossile, dell’innovazione tecnologica e smart e ci propongono sogni green, certamente non per tutti, attraverso le immagini di un futuro tecno-ecologico che nasconde o elimina i conflitti e le disuguaglianze, alimentando con la nostra complicità delle gigantesche operazioni di greenwashing urbanistico.

Questi paesi dittatoriali stanno modificando gli equilibri e i baricentri del potere mondiale, politico e finanziario, è il loro approccio è certamente “mercantile”, come afferma Giampiero Massolo, ma forse doveva accorgersene e dichiararlo prima, visto che la squadra di calcio della Roma, di proprietà americana, che indentifica nel mondo del calcio la nostra capitale, concorrente di Riad nella gara dell’Expo, ha scelto come sponsor Ryadh Season per un valore di 8 milioni di euro a stagione.

Per leggere tutti gli articoli e gli interventi di Romeo Farinella, clicca sul nome dell’autore.

LORO CONTINUERANNO A ODIARE, NOI AD AMARE:
la risposta di Mediterranea al fango di Panorama e La Verità

Loro continueranno a odiare, noi ad amare
Mediterranea Saving Humans risponde alle illazioni di “Panorama” e “La Verità”

Un’operazione volgare e vergognosa, con uso diffamatorio e offensivo di menzogne, viene messa in atto oggi contro Mediterranea e alcuni nostri compagni, da Panorama“, da La Verità e dal loro direttore Maurizio Belpietro. Abbiamo già dato mandato allə nostrə legali di procedere legalmente per denunciare i responsabili innanzi alle competenti autorità giudiziarie.

Ma è importante capire come funziona questo dispositivo, ben oliato, di attacco a chi sostiene il soccorso civile, in questo caso alla Chiesa di Papa Francesco. Vi sono apparati nel nostro paese che hanno accesso a intercettazioni di conversazioni e mail personali i cui contenuti sono tutelati dal segreto d’indagine, se parte di inchieste della magistratura. Quante volte abbiamo sentito strillare, dalle stesse pagine da cui oggi parte l’operazione di menzogna mediatica contro di noi, allo “scandalo dei processi a mezzo stampa”?

Oggi quello che vedete su “Panorama” e “La Verità” è un processo a mezzo stampa. Senza giudicə, senza tribunali, senza avvocatə, senza contraddittorio, in pieno modello inquisizione: i signori che firmano questa porcheria, si ergono al di sopra di ogni legge e strisciano molto al di sotto di ogni decenza. L’articolo, la copertina, ogni parola scritta, ha un unico obiettivo: screditare le persone e i movimenti che sostengono le loro lotte, intimidire, lanciare un messaggio in stile mafioso: vi colpiremo, voi e tutti coloro che osano sostenervi.

La tecnica è sempre la stessa: sono state prese frasi estrapolate da intercettazioni e sono state rimontate ad arte, in modo da costruire il “mostro” e poterlo sbattere in prima pagina. Sono state scritte menzogne e falsità, come ovviamente dimostreremo davanti a unə giudice. Sono state tirate in ballo persone a noi molto care, come Papa Francesco, che non ci ha mai abbandonato in questi anni in cui abbiamo osato disobbedire all’odio e all’indifferenza verso i nostri fratelli e sorelle che muoiono a migliaia nei lager libici finanziati dall’Italia, o in mare a causa della voluta omissione di soccorso, in questa nuova e atroce guerra contro l’umanità.

Nessunə di noi si è mai arricchito, anzi, ma questo è facile da riscontrare. Come è facilmente dimostrabile, – i bilanci della nostra associazione sono pubblici e consultabili il 90 per cento di ogni singolo centesimo raccolto va alle missioni e non a persone. Il rimanente dieci per cento serve a fare funzionare un’associazione che ha migliaia di sociə, oltre 40 gruppi locali, che si sta espandendo in Europa. Questo dà estremo fastidio a chi ha costruito la sua fortuna spargendo veleni e istigando da sempre all’odio razziale.

Soccorrere l’altro, praticare la solidarietà verso chi è respintə, violentatə, discriminatə, annientatə e distruttə nell’umanità con le violenze, le sevizie e le torture è diventato pericoloso. Non abbiamo mai avuto paura dei tribunali, dei processi, delle inchieste, alle quali noi non ci sottraiamo usando una immunità parlamentare che non abbiamo e non vogliamo. La lunga sequenza di assoluzioni che abbiamo collezionato, in merito ad accuse che ci sono sempre state rivolte con l’intento di fermarci, parla da sola. Ma non è questo il problema.

Un apparato del genere, formato da funzionariə pubblicə che utilizzano soldi pubblici per intercettare e pedinare per anni, per poi fornire a pennivendoli compiaciuti materia per organizzare un processo a mezzo stampa, è un problema serio, che mina le basi della democrazia e delle nostre libertà costituzionali.

Quando il lavoro di funzionariə di Polizia, servizi e Guardia di Finanza viene messo al servizio non della Costituzione, ma degli interessi dei Governi, è un problema per la democrazia. Quando si usano i contributi pubblici per l’editoria, pagati con le tasse dellə cittadinə, per scrivere falsità e colpire la dignità delle persone, è un problema. Per la democrazia. Le menzogne verranno certamente monetizzate, la diffamazione anche.

Chi è attaccato da quanto scritto, come Papa Francesco, ha la solidarietà e la fraternità nostra e di moltitudini di persone in ogni parte del pianeta, e di certo non ha paura.

Noi persevereremo, continueremo a fare quello che non vogliono che facciamo, soccorrere ed essere salvatə dall’orrore che ci circonda.

Loro continueranno ad odiare, noi ad amare.

Bologna, 29 novembre

CONSIGLIO DIRETTIVO DI MEDITERRANEA

INCONTRO PUBBLICO SUGLI IMPIANTI BIOGAS-BIOMETANO
Sabato 2 dicembre, 9,30 -13.00, nella Saletta del Campo Sportivo di Villanova (FE)

INCONTRO PUBBLICO SUGLI IMPIANTI BIOGAS-BIOMETANO NEL NOSTRO TERRITORIO
Sabato 2 dicembre, dalle 9,30 alle 13.00 nella Saletta del Campo Sportivo di Villanova (FE)

Il prossimo 2 dicembre i Gruppi di cittadini NobiometaNo di Villanova, i Comitati di Tresignana, Bondeno e Masi Torello, assieme alla Rete Giustizia Climatica di Ferrara, organizzano un incontro pubblico sul tema degli impianti di biogas e biometano, presenti in maniera massiccia nella nostra provincia e soggetti a possibili modificazioni produttive conseguenti a cambiamenti normativi.

Vogliamo discutere delle scelte che vengono presentate come positive per la transizione ecologica, ma che, in realtà, vengono fatte solo grazie ai forti incentivi pubblici e unicamente per produrre profitti, mettendo da parte i gravi problemi di impatto ambientale e sanitario che gli impianti di biogas e biometano comportano.

 

La Funzione Pubblica? Non c’è più.

La Funzione Pubblica? Non c’è più

 In un recente documento la campagna Ero Straniero ha denunciato che al 21 settembre scorso dalla prefettura di Roma erano state esaminate solo la metà del totale (il 54,97%) delle 17.371 domande presentate con la sanatoria 2020 e che le pratiche definite da gennaio ad aprile 2023 sono state solo 88, sottolineando che nel 2023 la prefettura ha perso 14 unità di personale, pari al 44% della forza lavoro che nel 2022 si occupava delle pratiche.

Stessa situazione a  Milano dove delle 26.225 domande di emersione ricevute dalla prefettura, al 21 luglio 2023 erano definite solo il 59,21% del totale. E anche per la prefettura di Milano, la causa principale dei tempi lunghissimi e dei ritardi nella definizione della procedura è la carenza di personale.

Sono i servizi per l’immigrazione in generale, e quindi questure, prefetture, ma anche commissioni territoriali per l’asilo e ispettorati territoriali per il lavoro, che fanno capo al Ministero per il lavoro e le politiche sociali, ad essere fortemente in affanno, con gravi ripercussioni sulla vite delle persone: basti pensare alla difficoltà di affittare un’abitazione avendo in mano, non il permesso di soggiorno, ma un semplice ricevuta che attesta di averlo richiesto.

Anche le procedure di ricongiungimento familiare scontano questa esasperante lentezza, per non parlare delle richieste di asilo e delle file interminabili dalle prime luci dell’alba agli sportelli delle questure di tutt’Italia.

Ma la fine della “Funzione Pubblica” investe ormai ogni settore della Pubblica Amministrazione. I cittadini che hanno la necessità di rinnovare il passaporto da tempo stanno sperimentando interminabili attese, fino a otto nei casi più critici.

Per non parlare di ciò che accade in sanità con le liste d’attesa o con i servizi del  pronto soccorso. E ovviamente ad una “Funzione Pubblica”, che va scomparendo, corrisponde un massiccio rafforzamento del privato.

La Fondazione GIMBE ha sottolineato che il testo della Manovra Meloni indica un incremento rispetto alla spesa consuntivata nel 2011 dell’1% per il 2024, del 3% per il 2025 e del 4% a decorrere dal 2026 per l’acquisto dal privato di prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e di assistenza ospedaliera dal privato accreditato.

La Relazione Tecnica riporta che, sulla base dei dati di Conto Economico delle Regioni, l’onere per il 2024 è pari a circa € 123 milioni di euro, per il 2025 è pari a € 368 milioni e quello a regime a partire dal 2026 è pari a € 490 milioni.

“Se formalmente inserita tra le misure per l’abbattimento delle liste di attesa – precisa Cartabellotta – questa disposizione appare finalizzata a sostenere le strutture private accreditate già esistenti per due ragioni. Innanzitutto, perché a differenza dell’incremento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive (art. 42) che cessano nel 2026, rimane in vigore anche per gli anni successivi, ovvero diventa strutturale. In secondo luogo, perché avendo come riferimento il consuntivo 2011 delle Regioni, gli incrementi del tetto di spesa sono proporzionali a quanto ciascuna Regione ha speso 12 anni fa».

A partire dal 2026, la Lombardia potrà spendere per il privato accreditato oltre € 3,3 miliardi; a seguire Lazio (€ 1,7 miliardi), Campania (€ 1,4 miliardi) e Sicilia (€ 1,2 miliardi).  [vedi qui]

Per non parlare degli affanni dei nostro Comuni, spesso costretti ad esternalizzare addirittura i servizi anagrafici, dopo aver dato nelle mani dei privati rifiuti, acqua, servizi sociali, manutenzione del verde, tributi e quant’altro. Comuni penalizzati anche dall’attuale manovra delle destre.

Scrive la campagna Ero Straniero: “La pubblica amministrazione, in ogni suo comparto, versa da anni in una situazione allarmante: la maggior parte dei servizi pubblici soffre di una cronica e crescente carenza di personale. Che si tratti di medici o infermieri, di personale scolastico, di agenti di pubblica sicurezza o funzionari delle prefetture e degli uffici comunali, il concetto di fondo non cambia: semplicemente non ci sono abbastanza persone addette allo svolgimento dei compiti connessi con l’esercizio del potere statale.

Questo non determina solo inaccettabili disservizi a spese di tutta la cittadinanza, persone italiane e straniere insieme. La questione si fa più profonda nella misura in cui tali disservizi si tramutano in un’erosione costante dei diritti dei cittadini e delle cittadine, e arrivano a mettere in discussione lo stesso contratto sociale su cui si fonda lo stato moderno: come giustificare il pagamento delle imposte, se i servizi in teoria sostenuti dal gettito fiscale – pubblici, appunto – non sono più in grado di rispondere ai bisogni della collettività?

D’altronde, il “buon andamento” dell’amministrazione, così come la sua imparzialità, sono obiettivi sanciti dall’art. 97 della nostra Costituzione, e ripresi da numerose leggi dello stato, tra cui la legge 241/90 14 e il decreto legislativo 150/2009”:

E la situazione è destinata a peggiorare: secondo l’Osservatorio sul pubblico impiego di INPS nella PA da qui al 2030 oltre 700.000 persone andranno in pensione nelle amministrazioni pubbliche (esclusa istruzione e ricerca), 120.000 nelle funzioni centrali, 220.000 negli enti locali, 240.000 nella sanità, 140.000 tra il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso e nel comparto autonomo. Per mettere in sicurezza la Funzione Pubblica occorre un piano straordinario pluriennale di assunzioni per 1.200.000.

Ma per le destre a guida Meloni la priorità, o meglio la madre di tutte le riforme, non è intervenire per evitare il collasso definitivo della nostra Pubblica Amministrazione, ma la verticalizzazione del processo decisionale e il premierato. Anche se poi la “Capa” o “il “Capo” non avrà più nessuno per dare attuazione ai suoi comandi.

Per leggere gli altri articoli di Giovanni Caprio su Periscopio clicca sul nome dell’autore

Parole a capo
“Il cammino delle donne”: poesie dell’Associazione Ultimo Rosso

Sabato 25 novembre, al Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, in occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, il coro SonArte e l’Associazione Culturale Ultimo Rosso hanno presentato “Il Cammino delle Donne – Canto e Poesia”. Pubblichiamo di seguito le poesie lette all’evento da un gruppo di poetesse di Ultimo Rosso.

L’amore vero non umilia, non delude, non calpesta, non tradisce e non ferisce il cuore. L’amore vero non urla, non picchia, non uccide.
(Gino Cecchettin)

Continuo a morire (di Rita Bonetti)

Mi ritrovo a gridare sotto il cielo
nell’ombra che mortifica ogni cosa
non sono abbracci
le raffiche che mi sferzano la schiena

un grido nel grembo
in bocca
l’amaro di astio e sconfitte

non so quando
se ieri o più di un anno fa
ho schiacciato i ricordi
sotto le costole

e senza aspettare risposta
continuo a morire.

 

Eppure c’è (di Anna Rita Boccafogli)

una forza irriducibile
che si vuole soffocare
dove la paura rende
la libertà
privilegio di pochi
esercizio di potere

nutrito di sopraffazione
controllo sulla vita
sulla gioia e sull’essere
sulla dignità e l’autodeterminazione.

Eppure esiste
una forza irriducibile
pur strozzata
da argini e dighe
costretta in flussi carsici
disconosciuta o negata
nella rassegnazione o nel cinismo
nell’abdicazione nichilista
della rinuncia e della resa.

Ma pulsa
questa forza irriducibile
sussurra nel silenzio
incrina certezze
pone domande scomode
raggiunge punti di non ritorno
prorompe come onde
impetuose
grida il diritto alla vita
ai colori, alla musica, ai capelli al vento.
Se tutto è collegato nella rete della vita,
non esiste libertà se non è per tutti.

 

Una vita (di Chiara Scaglianti)

Disegnare sull’asfalto
una vita che ha perso quota cadendo dall’alto
su un prato disseminato di ordigni
celati da fiori di lacrime pregni.
Blocchi di marmo tra i pensieri
le paure di oggi sono i ricordi di ieri
di un silenzio isolato
tra bisogni ignari in un corpo celato.

A piedi nudi nel selciato
l’ignara sapienza travestita da opulenza
si dilegua senza sosta
dove i sogni sono fuori rotta.

E’ salvezza senza lutto
è ebbrezza senza ardore
è una luce senza timore
che nell’aria muove al sole.
E’ avorio senza valore
ma che vale più dell’immenso amore
di una madre che culla un figlio
e muove i passi nel suo regno.

Libera è questa voce che ha trovato le parole
rompendo gli argini di storie morte
ha raccolto le gioie
di un tempo nuovo che è il perdono.

Brilla, brilla
l’atteso ritorno di una vita che sembrava vuota
si muove veloce come ruota
di un carro che trasporta la speranza.
E avanza
coltivando le sue radici
fiore all’occhiello di un giardino
che ha accolto il sorriso di un bambino.

 

Le madri benedicono (di Cecilia Bolzani)

Questi volti seri
avvolti da teli termici
sono figli e figlie

Le loro madri
li hanno visti partire
soffrendo e sperando

col cuore spezzato
con una preghiera
con un talismano

una lunga via verso nord
poi il deserto
poi il mare

poi… le onde
alte, su questo guscio
aiuto, madre aiuto

giovani vecchie donne
a lavorare
a cucinare
con la mente a nord

il cuore lo dice
il cuore lo sa
se il pericolo è superato

aspettando
una chiamata
mamma sono a nord

figlia hai mangiato
dove dormi
ti rispettano
figlia….

Ringrazia chi ti accoglie
pregherò per loro
ringrazia per me
tua madre li benedice.

 

Un passo alla volta (di Maria Mancino “Maggie”)

Ho un profumo di infanzia sulla pelle
e gocce di ricordi dentro occhi
ho terra tra le mani
e margherite tra i capelli
ho un vestito sul fondo rammendato
e scarpe di tela consumate
ma i miei piedi sono scalzi
e sui sassi san ballare
i miei piedi fanno passi uno alla volta
nell’incerto mio cammino
sulle spine e in mezzo ai rovi
tra le primule e le viole
Principessa senza anni senza anni
dalla sua fragilità nasce la donna
come il grano tra le zolle
come un fiore tra la crepa
come il sole quando è giorno
Ho un profumo di donna sulla pelle
e coraggio conquistato non so quando
ho storie scritte con il sangue
e ricordi conservati dentro al petto
Ho strade attraversate nella notte
e sentieri percorsi ad occhi aperti
ho un mazzo di rose di rimpetto
e spine senza punta tra le mani
Ho un abito di seta nell’armadio
e scarpe nuove da indossare
ma i miei piedi sono scalzi
i miei piedi come suole
fanno passi uno alla volta

 

Donne della mia storia (di Marta Casadei)

Mi domando
se ho fatto la mia parte
se la mia anima un poco vi somiglia
adesso che mi guardo nello specchio
e mi vedo una di voi
donne della mia storia antiche rocce
brunite
come la terra
madre
che avete custodito
con lavoro paziente
e a voi ha affidato
i segreti della vita.
Donne
dalla dura pelle
solcata dagli anni
dai sorrisi rari
preziosi come perle
voi che siete passate
silenziose
come le vostre madri
e le loro madri
e tutte le generazioni
di donne
che hanno salvato il mondo.

Cover: ROBERTA BARBIERI, CECILIA BOLZANI, CHIARA SCAGLIANTI, tre poetesse di Ultimo Rosso tra le protagoniste dell’ evento del 25 novembre.

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Periscopio. Per leggere i numeri precedenti clicca sul nome della rubrica.

“GUIDO HARARI, SGUARDI RANDAGI”, il nuovo documentario di Daniele Cini.
Domani alla Fabbrica del Vapore di Milano e Venerdì 1 dicembre alla 16,20 in onda su RAI 3

“GUIDO HARARI, SGUARDI RANDAGI”, il nuovo documentario di Daniele Cini, viene proiettato domani, 30 novembre alle ore 19,00, alla Fabbrica del Vapore di Milano. Venerdì 1 dicembre alle 16,20 in onda su RAI 3.

GIOVEDI’ 30 NOVEMBRE  alle 19,00 alla Fabbrica del Vapore di Milano
VENERDI 1 DICEMBRE alle 16.20 in onda su RAI TRE
PROIEZIONE DEL DOCUMENTARIO “GUIDO HARARI, SGUARDI RANDAGI”
da un’idea di Claudia Pampinella e Daniele Cini

Regia Daniele Cini
Fotografia Fabio Catalano
Montaggio Domenico De Orsi
Musiche Rocco De Rosa
Produzione Gianluca De AngelisTEKLA film per RAI DOCUMENTARI

A chiunque venga in mente un’immagine iconica di Lou Reed o David Bowie, di Frank Zappa o Kate Bush, o degli italiani Giorgio Gaber, Fabrizio de André, Vasco Rossi e Gianna Nannini, con ogni probabilità sta pensando a una fotografia di Guido Harari.

Raccontare attraverso i suoi ritratti, la straordinaria rivoluzione musicale di fine novecento, dalla musica leggera degli anni ’60 alla beat generation, dalla stagione dei cantautori al rock internazionale, dal punk al pop degli anni ’80, passando per le varie esperienze di avanguardia, espandendosi in tutte le espressioni della cultura anche oltre la musica, è la materia viva del nostro documentario.

E il percorso che intreccia la sua vita in un rapporto intimo con i personaggi che ha fotografato, è la traccia intorno a cui si sviluppano aneddoti, immagini inedite, spunti drammaturgici inattesi, legati dall’appassionante avventura umana di un ragazzo che, cominciando a inseguire da semplice fan le tournée dei suoi miti musicali, è diventato poi l’interprete, come ha detto l’amico Lou Reed, del “suono dell’anima di chi viene ritratto”

Tutte i ritrattiche illustrano il testo sono del grande fotografo Guido Harari a cui va il nostro grazie. In copertina Guido Harari con il suo amico Lou Reed.

Sotto il segno del Sogno:
parte la VII edizione del Ferrara Music Film Festival

Fra scuole, Sala Estense e Teatro Nuovo inizia oggi la VII edizione del Ferrara Music Film Festival, il festival delle colonne sonore. Tema: il sogno.

“Se puoi sognarlo, puoi farlo”, diceva il grande Walt Disney. Ed è proprio il #sogno il tema della VII edizione del Festival delle colonne sonore in programma a Ferrara dal 29 novembre al 2 dicembre. La relazione tra “sogno” e “Cinema” esiste da quando gli uomini sognano, assistendo quasi sempre inconsapevoli alle immagini che la notte crea per loro. Una chiave di lettura di desideri, rivalse, opportunità, che valorizzino creatività giovanile e nuovi talenti che si mettono in gioco in prima persona.

Il programma dell’evento, supervisionato dal direttore artistico Edoardo Boselli, è molto ricco, in un’edizione che migliora ogni anno. I giovani, le scuole e la formazione sono le parole d’ordine. La base di una società sana. Le scuole ferraresi coinvolte sono il Liceo Ariosto, la scuola Einaudi, il Liceo Carducci, il progetto è il “Musicfilm@School”.

Si inizia oggi, 29 novembre, con un incontro riservato alle scuole animato da Marco Leonetti, Responsabile Cineteca di Rimini e Museo Fellini, dal titolo “Fellini Museum, I sogni che prendono forma”. Sogni e ricordi sono la fonte primaria dell’ispirazione e anche la materia stessa del cinema di Federico Fellini. Tra le tante riflessioni raccolte da Fellini nel suo libro “Sul cinema”, una riguarda il valore che hanno per lui i sogni e i ricordi, una presenza costante nel suo cinema che risente dell’influenza avuta sul regista.

Fellini Museum

Per Fellini il cinema non deve registrare una realtà preesistente ma deve crearne una nuova in modo da far concorrenza al padreterno e questo è possibile soltanto con la fantasia e l’immaginazione da lui considerate il più alto livello di intelligenza. Così nasce, nel 2020, il Fellini Museum a Rimini, uno spazio di creatività nel segno della visionarietà felliniana nel cinema. Perché quella tra Fellini e Rimini è una storia d’amore bellissima ed eterna, e merita di essere celebrata.

Leonetti farà conoscere agli studenti del territorio, attraverso immagini, video e racconti, un’esperienza che si snoda nei luoghi del cuore cittadino attraverso un dialogo continuo tra spazi interni ed esterni ed esperienze immersive nelle quali le persone sono invitate a catapultarsi per accedere al mondo magico e visionario del regista.

Seguirà poi  la masterclass di regia e musica, con il regista Massimiliano Bruno, volta ad approfondire il rapporto “emozionale” tra musica e immagini che verrà svelato, raccontato, approfondito attraverso gli occhi del regista. Verranno presentati i possibili intrecci che legano narrazione filmica e narrazione sonora senza lasciar fuori strumenti e temi che appartengono potentemente al mondo della musica e della traccia sonora. Un’occasione speciale anche per parlare di regia con uno dei registi italiani contemporanei della commedia.

Massimiliano Bruno, foto Ansa

Altro appuntamento interessante, sempre dedicato alle scuole, quello di giovedì 30 novembre, con Stefano Muroni: “Il sogno di Ferrara la città del cinema”.

Stefano Muroni, foto Scuola Vancini

Immaginare una città del cinema e della bellezza, dove i sogni prendono forma, nella terra che ha visto il talento di Michelangelo Antonioni, Florestano Vancini, Folco Quilici, Carlo Rambaldi e tanti altri protagonisti del grande schermo è la ‘visione’ di Muroni, attore, produttore, scrittore e soprattutto giovane imprenditore della creatività che negli ultimi anni si è fatto conoscere e apprezzare per i suoi progetti luminosi e la capacità di ‘costruire le fondamenta’ ai suoi sogni.

Questo incontro vuole prendere per mano le nuove generazioni, informarle e formarle verso il mondo di un lavoro fantastico, di una crescita di un’impresa creativa, com’è il mondo dell’arte del cinema, con rinnovati stimoli di curiosità, entusiasmo e opportunità valorizzando la cultura ferrarese fortemente presente nella nostra regione. Dalla Scuola d’Arte Cinematografica Florestano Vancini alla Fondazione Carlo Rambaldi, dalla Tenda Summer School fino al Ferrara Film Corto Festival.

Altra masterclass sarà tenuta il 2 dicembre, da Roberto Giacomo Pischiutta, in arte Pivio, che ha composto oltre 200 colonne sonore per il mondo cinematografico e televisivo. Durante l’appuntamento gli studenti approfondiranno il rapporto fra musica e immagine, oltre alle figure di compositore e regista.

Roberto Giacomo Pischiutta, foto Corriere Roma

Il 1° dicembre alle 21, al teatro Sala Estense, 20 semifinalisti si contenderanno, con le loro esibizioni di canto e doppiaggio, il posto nella finalissima del 2 dicembre al Teatro Nuovo di Ferrara.

All’interno della manifestazione è presente, infatti, il MusicFilm Awards, un premio curato dall’Associazione Musicfilm in collaborazione con il Teatro Nuovo di Ferrara, l’Accademia Nazionale del Cinema, e sotto il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Ferrara e del Giffoni Film Festival.

Partecipanti al Music Festival

La nascita di questo concorso intende premiare i giovani aspiranti attori, cantanti o doppiatori, talenti emergenti, e avvicinare il pubblico al mondo delle voci oltre il buio, ponendo l’attenzione sulla complessità e il fascino del mestiere del doppiaggio e del canto. Due sono quindi le categorie, quelle del doppiaggio e del canto.

La categoria “doppiaggio” è aperta ad attori/attrici solisti maggiorenni, che dovranno esibirsi in performance esclusivamente doppiate, attingendo dal repertorio cinematografico. Gli artisti di questa categoria dovranno dare importanza alla voce, all’interpretazione e alla capacità di avvicinarsi quanto più possibile al personaggio.

La categoria “canto” è, invece, aperta a cantanti solisti maggiorenni che dovranno esibirsi in performance esclusivamente cantate. I cantanti dovranno attingere dal repertorio delle colonne sonore del cinema. Gli artisti di questa categoria dovranno dare molta importanza alla voce e all’interpretazione.

In ogni categoria sarà premiato il primo classificato con i premi dell’evento, rappresentanti da borse di studio e da formazione di alto livello, come lezioni di doppiaggio e canto, oltre che l’accesso nella giuria +18 del Giffoni Film Festival 2024 che comprende la partecipazione alle masterclass e incontri cinematografici.

Appuntamento, infine, a sabato 2 dicembre alle ore 21 presso il Teatro Nuovo di Ferrara, per lo spettacolo di chiusura della VII edizione del Festival, con La La Land, La Febbre del sabato sera, Moulin Rouge e Pretty Woman, insomma con le più belle colonne sonore dei musical capaci di portare il sogno del grande schermo sul palco del Teatro Nuovo. La Ferrara Film Orchestra e un grande corpo di ballo celebreranno le più belle musiche da film. Lo spettacolo non sarò solo un concerto, ma uno show a 360° dove anche i finalisti del Musicfilm Awards si esibiranno per ricevere l’ambito premio. Ospiti d’onore Giò Di Tonno e Caterina Guzzanti, per la regia di Roberta Pazi. Parte del ricavato sarà devoluto in beneficenza alla Fondazione Telethon per sostenere la ricerca contro le malattie genetiche. Ci saremo.

Per un’intervista su Radio Sound al direttore artistico del Festival Edoardo Boselli e alla regista Roberta Pazi

Immaginario / Deregulation

Deregulation

L’immagine merita di essere vista tutta intera. E meditata.

Nelle chat ferraresi sta girando uno splendida foto realizzata domenica scorsa davanti alla Cattedrale di Ferrara. Per chi ha la fortuna di non abitare nella città emiliana caduta 4 anni fa sotto il governo cialtrone della destra leghista, occorre specificare che quel luogo è  “il centro del centro storico” di Ferrara, l’ombelico simbolico, sociale e politico dell’urbe.

Insomma, non stiamo parlando di una location qualsiasi, ” un buco” dove parcheggiare l’auto per andare a prendersi un caffè. E infatti, in quasi tutte le 100 città d’Italia, il centro storico è stato pedonalizzato, severamente vietato ai motori e ai tubi di scappamento: Ferrara è stata tra le prime a istituire l’area pedonale, alcuni decenni fa.

Bisognerebbe, sarebbe bello … si dice da anni, ma nessun governo cittadino si è mai impegnato seriamente a realizzarlo: estendere l’area pedonale a tutta la Ferrara dentro le Mura. Cavolo, sarebbe un sogno! (Una figata, direbbe mia figlia)
Purtroppo, grazie all’attuale governo cialtrone di cui sopra, è successo il contrario. Ormai l’area pedonale esiste solo sulla carta. Per le vie e le piazze del centro, a tutte le ore, è un continuo passaggio di auto, furgoni e camioncini. Ovunque macchine parcheggiate per ore e ore.

Si è formato da tempo un sacrosanto Comitato per liberare il Centro Storico dalle auto. I bravi cittadini cercano di farsi sentire. Nessuno li ascolta.

Il Sindaco Fabbri ha visto certamente quell’enorme mastodonte parcheggiato – il Municipio sta proprio di fronte alla Cattedrale – ma l’area pedonale, l’inquinamento, i pedoni e le biciclette non sono un suo problema. Deve autorizzare in deroga la costruzione di un ennesimo supermercato. O, ci scommetto, sta pensando di regalare al volgo un altro concerto devastante come quello di Bruce Springsteen.

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CHI E’ PIU’ FORTE DE LOLLO ER ROMANO?

CHI E’ PIU’ FORTE DE LOLLO ER ROMANO?
(Con il tacito assenso di Gianni Rodari)

Chi è più forte de Lollo er romano?
Ferma er treno con una mano.
Con un dito, calmo e sereno,
tiene indietro un autotreno:
cento motori scalpitanti
li mette a cuccia alzando i guanti.
Sempre in tv in mezzo ai cronisti
le spara peggio de tronisti.
Fa magnà er povero
pe’ davero
come ‘n sultano,
‘sto Lollo romano.
Chi è più fortunato
de Lollo er cognato?
“A morè, nun scherzà che me pijano i brividi
e poi nun so romano, ma de Tivoli…”

Se i ricchi inquinano, non pagano le tasse e non contribuiscono alla comunità

Uno dei tratti della nostra epoca è che ricchi e super ricchi non pagano più (o pagano pochissimo) le imposte e se ne fregano delle comunità dove vivono (grazie alla globalizzazione e alle comunità nomadi a cui appartengono). Anche i top tennisti (come Sinner) prendono tutti residenza a Montecarlo per non pagare le tasse. Oxfam ha presentato uno studio in cui calcola che l’1% dei più ricchi (80mila persone) inquina (CO2) come 5 miliardi di abitanti.

Lo stesso 1% dei più ricchi è passato in quasi tutti i paesi occidentali a possedere dal 10% al 20% della ricchezza negli ultimi 30 anni.
Lo scrive anche il professor Guido Alfani (Bocconi, As Gods Among Men: A History of the Rich in the West, il suo prossimo libro) sul New York Times, mostrando come in passato invece i ricchi avevano sempre contribuito alle loro comunità. Venezia dopo la peste del 1630 impose un prestito forzoso ai più ricchi, gli Stati Uniti imposero i “liberty bond” nel 1917-18 per finanziare la guerra e ancora negli anni ’50 le aliquote marginali della tassazione progressiva erano al 90%, secondo il principio che chi guadagna di più deve aiutare la comunità. Un principio che sta scomparendo e ciò porta (dice Alfani) ad una crescente instabilità, alla crisi della democrazia le cui conseguenze sono ignote e pericolose.

Anche i salari dei lavoratori hanno cominciato dagli anni ’80 a divergere. Se infatti nei primi 30 anni del dopoguerra crescevano in modo simile per tutti (dai laureati ai non qualificati) ad un tasso medio del 2/2,5% reale annuo nella più potente economia mondiale (Usa, ma anche in Italia), a partire dagli anni ’80 è iniziata la divergenza. I salari più alti (laureati) hanno continuato a crescere, mente tutti gli altri a calare.

L’aumento salariale (che riguardava tutti) aveva creato il sogno americano che richiamava ogni anno anche 400mila messicani immigrati. Questa enorme crescita salariale per tutti fu dovuta a 3 fattori:

a) la distribuzione dei profitti anche ai lavoratori;

b) una forte tassazione sui ricchi e progressività delle imposte (chi guadagnava più di 400mila dollari all’anno pagava il 90% sui redditi maggiori);

c) un uso delle innovazioni tecnologiche a vantaggio di tutti.

Questo periodo di boom economico fu contrassegnato da una forte diffusione del benessere a tutti, di crescente uguaglianza (forse l’unico periodo della storia) e di nuovi servizi come istruzione di massa, pensioni e sussidi di disoccupazione e, in Europa, salute pubblica. Sono anche gli anni in cui un gruppo di geniali giovani californiani inventa nuovi software, con l’idea che lo sviluppo digitale avrebbe prodotto il “potere al popolo”, come sognava il sociologo Ted Nelson. Un periodo in cui le innovazioni tecnologiche miglioravano effettivamente la condizione umana dei lavoratori con nuove automazioni (sostituendo le fasi di lavoro più faticose), ma che assegnavano anche nuove mansioni e quindi una formazione professionale e più alti salari (l’esatto contrario di quello che avviene oggi).

Questo “sogno” comincia a sgretolarsi a partire dagli anni ’70 e ‘80 a causa dell’affermarsi dell’idea neo-liberista di Milton Friedman (che sarà assunta da Pinochet, Thatcher, Reagan) di massimizzare i profitti, che distribuirli anche ai lavoratori è un errore e che semmai vanno dati agli azionisti che prestano il capitale. La priorità diventa automatizzare per tagliare i costi (e il personale), spostare le produzioni in Stati non sindacalizzati o all’estero e introdurre retribuzioni a incentivo per i manager e i quadri alti, a spese di chi lavora in “basso”, anche perché molti di questi lavori (pulizie, manutenzione,…) vengono esternalizzati a lavoratori che prendono ancora meno. Crescono poi part-time e contratti a termine che riducono il salario annuo.

La nuova tecnologia che viene introdotta non opera più per creare nuove mansioni e rendere più umano e qualificato il lavoro, ma per automatizzare, controllare e tagliare i costi. Ciò determina un forte aumento delle disuguaglianze salariali tra chi dirige, i quadri alti (laureati e manager) e il resto della “truppa” che comincia a vedersi ridotto il salario reale (post inflazione negli ultimi decenni).

La globalizzazione e la finanziarizzazione daranno una spinta enorme a questo fenomeno a partire dal 2000, per cui la quota nazionale di valore aggiunto che va ai lavoratori/salari scende dal 67-70% degli anni ’70 al 60%, mentre l’1% più ricco passa dal 10% della ricchezza nazionale al 20% di oggi.

La situazione è simile anche in Italia ed è mostrata da questa figura tratta da dati di Banca d’Italia (indagine 2020 sui redditi delle famiglie, vedi Daniele Checchi e Tullio Jappelli su lavoce.info) su come è variato il reddito in Italia per percentili dal 1989 al 2020. Come si vede il 40% di chi guadagna meno ha visto ridursi il suo reddito. Chi sta tra il 40% e l’80% ha visto un lievissimo incremento che diventa significativo solo oltre l’80% (il 20% dei più abbienti). Ciò spiega perché l’indice di Gini sia passato in Italia dal 25% del 1989 al 33,6% nel 2020.

Questi numeri spiegano il successo degli scioperi degli ultimi mesi in Usa, il malessere sociale profondo dagli Stati Uniti all’Argentina (che ha una inflazione del 140%), ma anche perché Trump o Milei (nuovo presidente anarco-liberista in Argentina) abbiano un seguito enorme. La gente non sa più “a che santo votarsi” e vota chi è più – all’apparenza – contro il sistema.

Gran parte dei bianchi americani, specie quelli colpiti dalle ristrutturazioni nelle periferie industriali, non ne vuole più sapere di una economia che governa il mondo ma non distribuisce la ricchezza che produce ai suoi lavoratori, come pure fece nei primi 30 anni del dopoguerra. E la gente sa che è possibile e spera di ritornare a quei tempi. Nei paesi del sud Europa le cose sono simili, anche se i paesi col salario minimo (come Francia, Spagna e Portogallo) hanno ammortizzato i colpi, ma, ovunque, chi prende meno perde salario reale (post inflazione) anno dopo anno. Ciò spiega il diffuso malessere, l’astensionismo elettorale (ormai di massa) e perché i cittadini cerchino svolte radicali (M5S, Renzi, oggi Meloni), destinate a rimanere però pie illusioni se non si ritorna, come nei primi 30 anni, a redistribuire l’enorme ricchezza che viene prodotta e ad usare la tecnologia (domani l’Intelligenza Artificiale) a vantaggio di tutti e non di una élite. Senza contropoteri (sindacati, associazioni,…) non ci sarà mai un cambiamento a favore di tutti e della parte più povera.

I nostri più autorevoli commentatori quando parlano degli Stati Uniti non parlano di questo gigantesco malessere sociale, che ha risvolti di alcolismo, droga, malattie mentali e ha portato ad una riduzione della stessa speranza di vita. E’ comprensibile: in tal modo dovrebbero parlare anche dei salari, ma forse pensando al loro ricco emolumento glissano.
Il compianto sindacalista Alberto Tridente quando fece il parlamentare decise di versare la quota eccedente il suo salario di operaio al partito, perché aveva notato che guadagnare molto gli faceva cambiare le idee.

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Parole e figure /
Impilare cose – Strenne Natalizie

Bas Rompa e Kaatje Vermeire ci portano nel mondo dell’accumulo delle cose, fatto spesso di molta solitudine. Con fantasia e anche un pizzico di ironia. “Cosa su cosa”, di Kite edizioni, è appena uscito in libreria

Un uomo solitario, Filippo l’impila-cose, passa il suo tempo accatastando oggetti in pile ordinate nel suo immenso giardino, all’estremo sud del paese. Chi vive nel villaggio gli lascia volentieri diverse vecchie cose ormai in disuso. Tegole, ceste, cassette e scatole, persino valigie. Tutto viene lasciato in un terribile disordine intorno alla sua casa. Il suo cane sempre accanto, mentre lui impila oggetti e impila ancora.

Ama soprattutto quando i vicini gli regalano vecchie casette per gli uccellini: che meraviglia metterle una sull’altra e costruire una sorta di condominio, così tutti quei preziosi e trillanti animaletti possono vivere, serenamente, lì con lui, graditi ospiti del suo giardino. Arrivano dai boschi, dai prati, dalle montagne e dal cielo. Oltre le nuvole non trova risposte.

Il malinconico Filippo non ha mai avuto la curiosità di viaggiare e vive tra le sue cose e la sua routine, fino al giorno in cui una fotografia di una bambina trovata in una consumata valigia lasciata lì, fra le cose accatastate, non gli dà un’ispirazione che decide di seguire.

Cadendo sull’erba, quella valigia si è aperta, ne escono mazzetti di foto, lettere, cartoline e francobolli. Ricordo quando camminavo lungo le rive della Senna, a Parigi, e dai bouquinistes trovavo fotografie, lettere e cartoline. La fantasia volava subito lontano, a immaginare storie e vite, avventure lontane e romantiche, il desiderio di scappare.

Così Filippo mi assomiglia nella ricerca di una storia fra quelle pile di libri e giornali, assomiglia a tutti quei sognatori che in una fotografia ritrovano la loro libertà.

Gli parevano immagini insignificanti, gente comune e sconosciuta, un poco di noia, ma, tra esse, una foto di una bambina seduta su un’amaca tesa tra due ulivi, che pare volare verso il cielo, libera, tra i rami. Dietro la foto una nota: un paese lontano, ma davvero meraviglioso! Qui sono al settimo cielo. Che sogno…

Al settimo cielo. Come si fa ad esserlo? Come si fa ad arrivare al cielo? Si domanda Filippo in pigiama, sotto le coperte. Da dove iniziare? Forse mettendo tutte le cose una sull’altra, sedie su sedie, tavoli su armadi, libri su libri, in giardino, una pila altissima, dove la solida base è la parte più importante. L’inizio è ciò che conta.

Ma serve poi davvero accumulare tutti quegli oggetti? Per cosa, per chi? Per chi fa tutto questo? Dove andare e quando? A sud? Se arriva l’ispirazione, però, questa va seguita…

Bas Rompa, Cosa su cosa, illustrato da Kaatje Vermeire, Kite edizioni, Padova, novembre 2023, 32 p.

Bas Rompa, classe 1957, è uno scrittore e poeta olandese. Ha pubblicato le prime poesie all’inizio degli anni ’80 e, poi, quasi 30 libri di poesie, racconti per bambini e libri illustrati.

Kaatje Vermeire nasce nel 1981 a Gand dove si laurea all’Accademia reale di belle arti. Nel 2008 esce il suo primo albo illustrato, “La signora e il bambino”, con cui vince il premio Boekenpluim. Il suo secondo albo, “Le cose della vita” fa parte dei 50 migliori libri illustrati del 2013. Coniuga collage, incisione, pittura, disegno e digitale. Sito web

Libri per bambini, per crescere e per restare bambini, anche da adulti.
Rubrica a cura di Simonetta Sandri in collaborazione con la libreria Testaperaria di Ferrara

La fine del patriarcato

La fine del patriarcato

In questi giorni il significato della parola “ patriarcato” è al centro del dibattito nei media, innescando risposte che vanno dallo slogan femminista “lo stupratore non è malato è un figlio sano del patriarcato”, alla foto della Meloni con famiglia al femminile sul Giornale con il titolo “Se è patriarcato questo!”.

Mi sento in dovere di fare alcune specificazioni che spero siano di chiarimento al dibattito “Italia paese patriarcale, si o no?” . Come ha notato Massimo Cacciari in un suo intervento. la famiglia patriarcale è un’istituzione storica che non esiste più.
Con l’accesso delle donne al mondo del lavoro, la rivoluzione contracettiva, l’istruzione femminile, il nuovo diritto di famiglia del 1975 (frutto delle battaglie femministe) si sancisce la fine della famiglia patriarcale con il maschio padre padrone proprietario di moglie e figli.

Purtroppo la fine del patriarcato non ha coinciso con la fine del maschilismo, che invece è atteggiamento in continuo aumento anche fra i giovani. Anzi, proprio la fine del patriarcato, rappresentando una perdita secca di privilegi storici per i maschi, ha messo in moto una risposta maschile violenta alla conquistata libertà femminile, continuando a perpetuare un ruolo di dominio ormai superato dalla storia.

È questo il motivo per cui i Paesi del Nord Europa, pur avendo strutture familiari e sociali non patriarcali, hanno un numero maggiore di femminicidi dei nostri.
La fine del patriarcato non ha coinciso cioè con un mutamento culturale e esistenziale degli uomini. La fine di una relazione per volontà’ della donna è percepita – qui come in Norvegia – come una ferita narcisistica, spesso intollerabile da parte maschile.
La donna libera, che lascia , che decide, che fa il suo percorso va in qualche modo punita. Nel migliore dei casi con la sanzione sociale, l’isolamento, nel peggiore con l’eliminazione fisica.

Le riposte politiche della destra al “ritardo mentale maschile” (lo psichiatra Crepet parla di “padri rincoglioniti” e come insegnante confermo) sono scandalose. Sfondare il tetto di cristallo alleandosi all’ideologia neoliberista maschile non è opzione condivisa del femminismo, che ha sempre combattuto il potere, personale e politico, e ha scelto la strada della liberazione, non dell’emancipazione.

In altre parole, in una società capitalista basata sullo sfruttamento: non sono femminista perché raggiungo posizioni di potere al fianco degli sfruttatori, così come non sono femminista scimmiottando tutti gli stereotipi erotici sulla donna.

Il femminismo nasce come movimento politico a fianco di studenti e operai e non può ignorare la deriva sociale neoliberista che colpisce prima di tutto noi, espellendoci dal mondo del lavoro, sottopagandoci, e non dando alcun aiuto alle donne sole con figli, istigando al contrario alla coppia per affrontare il crescente costo della vita.

La Democrazia Partecipativa per costruire un nuovo futuro per Ferrara.
Il Forum chiama tutti al confronto: mercoledì 29 novembre, ore 17,30 al Grisù

Il Forum Ferrara Parecipata, Rete composta da numerose Associazioni e cittadini che, dopo l’impegno per contrastare il progetto Fe.ris., ha esteso la sua riflessione e iniziativa sui temi riguardanti la visione della città, organizza mercoledì 29 novembre alle ore 17,30 (presso la Sala Convitto della Factory Grisù di via Poledrelli)  un incontro pubblico sul tema :“ Tra un’elezione e l’altra: in che modo i cittadini possono partecipare davvero a costruire il futuro di Ferrara e delle sue frazioni”.

L’incontro, introdotto da Lucia Ghiglione, del Forum Ferrara Partecipata e che vedrà i contributi di Rodolfo Lewanski, professore Alma Mater, Scienze Politiche, già Autorità per la Partecipazione della Regione Toscana, Alessandra Marin, professoressa di urbanistica Università di Ferrara Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione e Massimo Rossi, ex Sindaco di Grottammare 0 Ascoli Piceno ), vuole essere un’occasione per approfondire i temi legati alla democrazia partecipativa, su come essa possa strutturarsi in un vero e proprio sistema che consenta ai cittadini di poter concorrere realmente alle decisioni che l’Amministrazione pubblica intende assumere.
L’incontro è rivolto a tutta la cittadinanza e anche alle forze politiche e sociali.
In particolare, chiediamo alle forze politiche, in un momento vicino alla prossima scadenza elettorale amministrativa, di partecipare ed intervenire a questa discussione, misurandosi con le proposte che in proposito Forum Ferrara Partecipata ha elaborato in questi ultimi mesi.
Alleghiamo pertanto la parte del documento prodotto dal Forum sul tema della democrazia partecipativa, preannunciandovi che nei prossimi mesi promuoveremo analoghi incontri sui temi della conversione ecologica e sui beni comuni, sui quali abbiamo costruito altrettante elaborazioni e proposte.
Coordinamento Forum Ferrara Partecipata
p. contatti Corrado Oddi   3429218650 – Francesca Cigala  3473118833

ALLEGATO

LA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA COME BASE PER COSTRUIRE LA CITTA’ DEL FUTURO

Partiamo da qui con le nostre riflessioni e proposte perché, da una parte, siamo convinti che i meccanismi classici della democrazia rappresntativa non riescono più a coinvolgere fette consistenti di cittadini e, dall’altra, abbiamo assistito con l’attuale Amministrazione – ma questo ha riguardato anche le precedenti Amministrazioni di centro-sinistra- al venir meno della volontà di coinvolgimento nelle scelte e nell’ascolto dei cittadini e anche ad una mancanza forte di trasparenza nelle politiche amministrative che venivano compiute. A noi sembra sia venuto il momento di produrre una svolta e che il dare voce e possibilità di influire nelle scelte ai cittadini può costituire il passaggio fondamentale per disegnare il futuro della città, la sua affermazione come luogo e spazio di una convivenza che sappia affermare i valori della libera espressione e realizzazione delle persone, della giustizia sociale, della sostenibilità ambientale, dell’inclusione e della solidarietà. In questo senso, parliamo del ruolo fondamentale della democrazia partecipativa anche per Ferrara.

E’ chiaro che parlare di democrazia partrecipativa non significa tanto parlare di come migliorare un sistema chiuso di gestione amministrativa, ma soprattutto di come dare impulso ad un processo aperto di sviluppo in cui le attività di tutti i soggetti coinvolti convergano al conseguimento di risultati concreti. Attività che possono avvalersi di diversi strumenti ed articolarsi in diverse azioni, mirate a rendere sempre più riconosciuti presenza e fabbisogni reali della cittadinanza nelle scelte e nelle decisioni amministrative ad integrazione e supporto del sistema di rappresentanza politica istituzionalmente costituito.

E’ necessario, ovviamente, iniziare da una ricognizione sulle forme partecipative attualmente esistenti nel Comune di Ferrara (Scheda 1.1 LE FORME PARTECIPATIVE ATTUALMENTE ESISTENTI NEL COMUNE DI FERRARA), per poi passare a come esse vadano modificate, rendendo più forte il ruolo dei promotori degli strumenti partecipativi e più fruibili gli stessi, a partire dal referendum (Scheda 1.2 LE POSSIBILI MODIFICHE RISPETTO AGLI ATTUALI STRUMENTI  DI PARTECIPAZIONE).
Si tratta, soprattutto, di individuare un sistema sufficientemente strutturato per dar vita ad una reale partecipazione della cittadinanza, prevedendo forme di discussione, diritto di proposta e possibilità di decisione da parte dei cittadini abitanti delle varie articolazioni territoriali (democrazia partecipativa “orizzontale”), ponendo al centro il ruolo delle Assemblee dei delegati territoriali e l’inizio di un percorso che guarda al Bilancio Partecipativo (Scheda 1.3 SULLA DEMOCRAZIA
PARTECIPATIVA ORIZZONTALE).
Allo stesso modo, occorre valorizzare la partecipazione da parte di tutti gli abitanti su temi considerati fondamentali nel disegnare le scelte di fondo che riguardano la città ( democrazia partecipativa “verticale”), partendo dall’esperienza delle Assemblee tematiche dei cittadini (Scheda 1.4 SULLA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVAVERTICALE). Infine, è importante anche utilizzare le potenzialità offerte dalle strumentazioni informatiche, costruendo una vera e peopria piattaforma digitale pubblica di reale partecipazione dal basso dei cittadini (Scheda 1.5 SULLA WEB-DEMOCRACY).

SCHEDA 1.1 : LE FORME PARTECIPATIVE ATTUALMENTE ESISTENTI NEL COMUNE DI FERRARA

Il regolamento e lo Statuto comunale prevedono come istituti di partecipazione popolare: istanze, petizioni, proposte di deliberazione consiliare, consultazioni popolari e referendum popolari. Le istanze, sottoscritte senza obbligo di autenticazione anche dal singolo cittadino, sono richieste che i cittadini possono rivolgere agli organi decisionali dell’Amministrazione comunale, per sollecitare l’intervento in una situazione concreta, specifica e particolare, di pubblico interesse, devono essere indirizzate al Sindaco. Le petizioni sono intese a sollecitare l’intervento dell’Amministrazione comunale per la migliore tutela di interessi collettivi o diffusi in materie determinate o per questioni specifiche e particolari . Devono essere sottoscritte da almeno 100 cittadini, indirizzate al Sindaco e depositate a cura dei promotori, e sono trattate dalla Giunta o dal Consiglio Comunale. Le proposte di deliberazione consiliare sono dirette a promuovere interventi dell’Amministrazione comunale in materia di interessi diffusi o collettivi di competenza comunale. Non sono ammesse proposte che che hanno per oggetto gli stessi oggetti esclusi dalla possibile richiesta di referendum, ed in particolare quelle incidano sugli strumenti urbanistici, sui relativi piani di attuazione e loro variazioni. Richiedono la raccolta di minimo 500 firme e devono essere formalizzate (in forma di proposta deliberativa) e depositate a cura dei promotori. Se la proposta ha per oggetto l’adozione di un provvedimento di natura regolamentare, deve essere redatta in articoli; se comporta nuove o maggiori spese a carico del bilancio comunale, devono essere indicati l’importo e i mezzi per farvi fronte. I referendum popolari possono essere richiesti da almeno il 3% degli iscritti nelle liste elettorali del Comune (108.509 nel 2019). Con il referendum consultivo tutti gli elettori del Comune sono chiamati a pronunciarsi in merito a piani, programmi, interventi, progetti ed ogni altra iniziativa riguardante materie di esclusiva competenza dell’ente locale, per consentire agli organi comunali di assumere le determinazioni di competenza dopo aver verificato gli orientamenti della comunità. Per il referendum consultivo non è previsto alcun quorum di partecipazione. Il referendum abrogativo è ammesso per l’abrogazione totale o parziale di delibere di Consiglio e di Giunta del Comune di interesse generale della popolazione. Non possono formare oggetto di referendum: a) la revisione dello Statuto comunale e degli statuti delle Aziende Speciali; b) il regolamento del Consiglio comunale e del decentramento; c) gli atti di mero adempimento di leggi e regolamenti nazionali e regionali e di norme statutarie; d) l’ordinamento del personale del Comune, delle istituzioni e delle aziende speciali; e) il bilancio preventivo ed il conto consuntivo; f) i tributi locali e le tariffe dei servizi comunali; g) i provvedimenti relativi alla tutela e salvaguardia di minoranze etniche, religiose e di soggetti socialmente deboli; h) le materie già sottoposte a referendum, prima che siano trascorsi quattro anni. Il referendum abrogativo è escluso, oltre che nei casi indicati precedentemente, anche qualora gli atti sottoposti a detto referendum: a) incidano su situazioni concrete, relative a soggetti determinati, aventi natura patrimoniale o che riguardino servizi alla persona; b) non siano di esclusiva competenza comunale e per la loro formazione sia prevista o sia intervenuta la convergente volontà di altri enti locali, della Regione e dello Stato; c) incidano sugli strumenti urbanistici, sui relativi piani di attuazione e loro variazioni: d) riguardino gli atti di costituzione di società per azioni e società a responsabilità limitata. L’esame ed il giudizio sulla legittimità ed ammissibilità dei quesiti referendari sono affidati al Segretario Generale, che decide entro 30 giorni dalla presentazione della relativa istanza, sentito il Collegio dei Garanti formato in conformità a quanto previsto dallo dello Statuto comunale. Il parere di ammissibilità da parte del Collegio dei Garanti verte in particolare: a) sull’esclusiva competenza locale; b) sull’interesse generale della popolazione; c) sull’univocità del quesito; d) sulle condizioni di ammissibilità delle materie sottoposte a referendum, avuto riguardo alle esclusioni previste dello Statuto comunale sopra richiamate. La proposta sottoposta a referendum abrogativo è approvata se ha partecipato alla votazione il 40% degli aventi diritto e se ha ottenuto la maggioranza dei voti validamente espressi.

SCHEDA 1.2 : LE POSSIBILI MODIFICHE RISPETTO AGLI ATTUALI STRUMENTI DI PARTECIPAZIONE

Assieme alla necessità di modificare la legge regionale, da cui discendono anche gli strumenti di partecipazione del Comune di Ferrara, diventa importante pensare ad interventi sullo Statuto comunale e sul Regolamento delle forme di partecipazione in direzione del rafforzamento della possibilità per i cittadini di influire sulle scelte dell’Amministrazione. Si possono prevedere in modo preciso sui singoli articoli degli atti suddetti, ispirandosi in particolare alle seguenti linee di indirizzo:

  • validità delle firme raccolte online tramite un’apposita piattaforma messa a disposizione dall’Amministrazione comunale;
  • maggiore coinvolgimento dei promotori delle petizioni, proposte di deliberazione e referendum, prevedendo che essi siano sentiti preventivamente rispetto all’ipotesi di non ammissibilità degli stessi e sulla base di osservazioni formulate per iscritto da parte degli organi preposti;
  • previsione che le petizioni e le proposte di deliberazione siano sempre trattate dal ConsiglioComunale e che la loro illustrazione in quella sede venga svolta dai soggetti promotori; – previsione che le commissioni consiliari possano essere convocate su richiesta di gruppi di cittadini/associazioni ecc. per la trattazione di specifiche petizioni/proposte ove ora essi possono partecipare solo se invitati o come pubblico silente
  • per quanto riguarda il referendum abrogativo, vanno rivisitati e limitati gli oggetti su cui esso non si può svolgere. Inoltre va eliminata la norma che rende inammissibile il referendum sulla base di un presunto “ interesse generale della popolazione”; occorre disporre che il deposito delle firme avvenga entro 180 giorni ( e non 120 giorni) dall’annuncio mediante avviso all’albo pretorio e approfondita la questione relaritiva al numero di tornate referendarie che si possono svolgere nel corso dell’anno; va modificata la disposizione in base alla quale il referendum abrogativo è valido se alla votazione ha partecipato almeno il 40% degli aventi diritto al voto, sostituendola con il meccanismo del cosiddetto “ quorum mobile” ( 50% degli aventi diritto al voto calcolato sulla media dell’effettiva partecipazione al voto nelle ultime tre tornate elettorali amministrative del Comune); va previsto che il referendum sia possibile se riguarda materia urbanistica e sia obbligatorio nel caso in cui si preveda la modifica delle forme di gestione dei servizi pubblici locali di interesse generale e di interesse economico generale.

Inoltre, ad integrazione delle modifiche regolamentari su esposte, al fine di avviare un reale processo di partecipazione, è necessario, oltre alla preservazione degli spazi sociali esistenti, poter avere la disponibilità di luoghi diffusi sul territorio,  adatti ad ospitare momenti di socialità, di condivisione di eventi e di reale partecipazione dei cittadini, quali lo stesso Municipio, sale a disposizione del Comune e spesso inutilizzate, vecchie sedi di delegazioni comunali,centri sociali, scuole attiv e e/o dismesse, Locali pubblici gestiti da privati che siano disponibili ad inserirsi in questa rete e altro ancora.

SCHEDA 1.3: SULLA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA ORIZZONTALE

Punto di partenza per la costruzione della democrazia partecipativa orizzontale è l’esperienza del Bilancio partecipativo, ovvero quella che chiama gli abitanti suddivisi su base territoriale, e quindi portatori di un punto di vista specifico, a intervenire sulle scelte e sulla destinazione delle risorse, in particolare quelle di investimento, che l’Amministrazione Comunale è tenuta a compiere (ma uno schema analogo si potrebbe attuare anche per la costruzione del Piano Urbanistico Generale). I tratti salienti e costitutivi del Bilancio Partecipativo possono essere riassunti così: – diritto di proposta su una quota significativa degli investimenti comunali da parte delle Assemblee costruite nei territori in cui viene suddiviso il Comune;

  • messa a disposizione di risorse significative del bilancio comunale su cui le Assemblee possono intervenire;
  • suddivisione del Comune in aree territoriali diffuse, in modo tale da dar voce a bisogni specifici e differenziati;
  • costruzione di un meccanismo decisionale in cui, fermo restando al Consiglio comunale la decisione definitiva, si avvale di una rete importante di delegati scelti nelle Assemblee territoriali. Un’ipotesi di lavoro per il Comune di Ferrara potrebbe essere quella di incardinarsi sui seguenti punti di riferimento:
  • dare le possibilità di esprimersi agli abitanti in una fase iniziale almeno sul 10% delle risorse relative alle spese in conto capitale, per poi arrivare nel medio periodo almeno al 25%;
  • costruzione di Assemblee territoriali diffuse. In proposito ricordiamo che il Comune nel 1971, anche se da allora è cambiata in modo significativo la situazione demografica, era suddiviso in 14 delegazioni e in 9 Quartieri. L’ipotesi di minima potrebbe prendere come riferimento la suddivisione in Circoscrizioni realizzata successivamente e fino al 2008 ( Circoscrizione Centro

Cittadino; Circoscrizione Giardino Arianuova Doro (GAD); Circoscrizione via Bologna;

Circoscrizione Zona Nord; Circoscrizione Zona Nord Ovest; Circoscrizione Zona Sud;

Circoscrizione Zona Nord Est; Circoscrizione Zona Est);

  • costituzione di un’Assemblea territoriale dei delegati nei territori, la cui composizione dovrà essere ulteriormente approfondita, affiancata da una rappresentanza dei consiglieri comunali per l’esame e il pronunciamento sui progetti avanzati, prima del passaggio definitivo in Consiglio Comunale.

SCHEDA 1.4 : SULLA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA VERTICALE

Essa ha lo scopo di far intervenire i cittadini su temi strategici che riguardano la fisionomia della città. In questo senso, uno strumento importante è rappresentato dall’esperienza dell’Assemblea cittadina su un tema specifico rilevante, composta da un determinato numero di residenti, selezionati per estrazione a sorte mediante campionamento casuale stratificato, cioè assicurando che il campione rappresenti le caratteristiche socio-demografiche della città (il campionamento si svolge proporzionalmente ai gruppi di età, ai quartieri e al genere). Un esempio di questo genere è la recente costituzione dell’Assemblea cittadina per il clima di Bologna, sta facendo discutere la cittadinanza, su base campionaria, sull’obiettivo di costruire una città solare, rinnovabile e sostenibile, accelerando la transizione energetica giusta, verso un modello basato sulla riduzione dei consumi energetici, l’efficientamento energetico, la produzione e l’utilizzo di energia rinnovabile, l’autoconsumo individuale, collettivo, le comunità energetiche. Ovviamente, le Assemblee dei cittadini possono svilupparsi su altri temi considerati rilevanti in relazione alle scelte di fondo da compiere ( per esempio, sui servi pubblici, sul lavoro, sul Piano Urbanistico generale e altro ancora). Sempre lungo questa direzione, è possibile anche ipotizzare la costituzione di un Osservatorio cittadino sui beni comuni, con il compito di studiare la situazione esistente e proporre soluzione di gestione partecipativa dei principali beni comuni e dei servizi che li erogano. Tale organismo potrebbe essere promosso da associazioni, comitati, comunità di cittadini e componenti dell’Amministrazione locale in grado di svolgere attività di osservazione, acquisizione di dati ed informazioni, consultazioni ed individuazione di azioni concrete di gestione oltre che di monitoraggio dei Beni Comuni.

SCHEDA 1.5 :  SULLA WEB-DEMOCRACY

Va sviluppata, anche in termini di supporto alla partecipazione attiva,  un’iniziativa relativa alla web-democracy e alla e-participation, cioè l’utilizzo degli strumenti informatici e digitali per rendere effettiva e diffusa la partecipazione dei cittadini. Oltre all’idea di poter ricorrere alle firme online nell’attivazione degli strumenti di partecipazione ( petizioni, proposte di deliberazione, referendum), si può pensare di dar vita ad una vera e propria piattaforma digitale pubblica di reale partecipazione dal basso dei cittadini, attivi e non attivi, tenendo presente esperienze analoghe già in vigore in diverse città europee, a partire da quella di Barcellona.

PRIORITA’ E SCELTE OPERATIVE PER LA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA

  • DefinFerraraire strumenti e regole che rendano obbligatoria e cogente la partecipazione dei cittadini. Modificare Statuto comunale e Regolamento sulle forme della partecipazione in questa direzione
  • Isituzione e riconoscimento Assemblee/Comitati di Quartiere
  • Istituzione e riconoscimento Assemblee dei cittadini su singole tematiche
  • Messa a dispposizione spazi e sale pubbliche gratuite per aggregazioni sociali

LE RAGAZZE DI ROMA.
La rabbia, la sorpresa, il magico raduno degli storni.

Le ragazze di Roma: la rabbia, la sorpresa, il magico raduno degli storni.

Non è. questo che leggete, un reportage o un bilancio politico sulla “grande marea fucsia”,  quella cosa enorme, inaspettata, straordinaria andata in scena sabato scorso a Roma. Tra l’altro, non è compito che mi spetterebbe.
Perché  io a Roma non c’ero.
Perché sono un giornalista. Un giornalista democratico? Bastasse questo a controbilanciare l’onda maschile di chiacchiere, sciocchezze, bugie che ha inondato i media e la politica nostrana dopo l’assassinio di Giulia.
Perché sono un uomo – e  farei meglio a starmene zitto, come dicono con molte ragioni le  ragazze di NUDM – perché anche io faccio parte – porto dentro di me -un pezzo piccolo o grande di Patriarcato.
Il quale Patriarcato non è una roba ottocentesca, un arcaico sistema di potere pre Sessantotto; il Patriarcato è qui e ora: nello Stato, nei partiti, nelle professioni, nelle famiglie: nei maschi (in tutti i maschi). Cantava Giorgio Gaber di un uomo così moderno, così evoluto, così democratico, così di sinistra … che però “quand’era nudo, era un uomo dell’Ottocento”. Cari maschi (maschi come me), “fate la prova costume” e vedrete che  le cose stanno esattamente così.

     

Proprio “Patriarcato”, quel termine così indigesto ai “benpensanti” (già, anche i benpensanti non sono affatto morti, godono invece di ottima salute) era al centro della manifestazione voluta da Non Una di Meno. Da qui la rabbia che ha percorso tutto intero l’enorme corteo delle ragazze di Roma.

Non c’era il tranquillo clima dei girotondi, le canzoni in coro, gli sfottò, i ritornelli, Non c’era il famoso “tremate le streghe son tornate”. Era proprio la rabbia. Il vaso che straripa. Il grido. E un ultimatum: allo Stato, alla politica, alla scuola, al lavoro, ai rapporti sociali come ai rapporti intimi e privati, a tutti gli ambiti, dal primo all’ultimo, contaminati dalla cultura e dall’ oppressione maschile.

   

A Roma, questo mi pare di aver capito, è successa una cosa mai vista. Non è stato uno di quegli  eventi decisi con mesi di anticipo e meticolosamente organizzati dai partiti o dalle grandi organizzazioni sindacali, ma una manifestazione spontanea, nata dal basso, trasmessa di bocca in bocca, messa in piedi in una sola settimana, e solo grazie alla rete informale dei gruppi locali di Non Una di Meno.

Dunque un corteo “a prevalenza giovanile e femminile”? Molto di più: è stato un movimento tellurico improvviso che ha scosso il sottosuolo di tutto il Paese.
Dal Circo Massimo al Colosseo (rubo l’aggettivo dal titolo de il manifesto di oggi) ha sfilato un “indomabile”  corteo femminista. Alla faccia del Pensiero Unico che giudica il femminismo come un fenomeno residuale, l’ultima ideologia del XX secolo. Invece eccole qui le ragazze d’Italia, quelle che sarebbero interessate solo all’imminente Black Friday. Eccolo qui il nuovo femminismo.

Potevo, forse dovevo tacere, far parlare solo loro, le ragazze fucsia del terzo millennio.  Ma ho un’ultima cosa da raccontare, un piccolo fatto privato che ha messo in moto i miei pensieri e le parole di oggi.

L’altra sera, venerdì, sento al telefono mia figlia Meri, 23 anni, studentessa in medicina a Modena.
Vieni a Ferrara nel weekend?
No papà, vado a Roma.
Casco dalle nuvole: A Roma?

50 Ragazze fucsia in viaggio da Modena a Roma.

Ieri mattina, le 7 e 20,  Meri mi invia la foto del suo pullman: 50 ragazze giovanissime, tutte truccate in fucsia.

Sempre sabato, ma nel pomeriggio, faccio un’altra scoperta: a Roma c’è anche mia figlia Amelia, 29 anni,  traduttrice interprete, E’ partita in treno da Milano per  raggiungere il corteo di Non Una Di Meno.

Per farla breve, il padre disattento, il giornalista di mezza tacca, non ne sapeva niente di niente.
Ma non è finita. Nemmeno loro, le due sorelle, sapevano l’una dell’altra. Sono già dentro il corteo, si messaggiano, provano a darsi un appuntamento. Alla fine desistono: impossibile beccarsi dentro quell’alta marea che monta attorno al  Colosseo.

Cerco tra i contatti, invio messaggi, faccio telefonate… e alla fine la trovo la pista giusta. La ragazza mi conosce, è la figlia di un’amica di un’amica, il nome non importa.  Mi risponde. Anche lei a Roma, e mentre cammina prende appunti in diretta sullo smartphone. Scrive cosa vede, cosa sente, fuori e dentro di sé.
Puoi inviarmi il tuo diario?
Posso pubblicarlo?
Tornata a casa, si è ricordata della promessa e due ore fa mi ha girato questa cosa.

CORO DI RABBIA

1. Cantamos sin miedo, pedimos justicia
Gritamos por cada desaparecida
Que resuene fuerte “¡nos queremos vivas!”
Que caiga con fuerza el feminicida

2. insieme siam partite, insieme torneremo, non una, non una, non una di meno

3. la nonna partigiana ce l’ha insegnato, il vero nemico è il patriarcato

4. no sentir rabia es privilegio

5. ma quale stato ma quale dio, sul mio corpo decido io

6. lo stupratore non è malato, è figlio sano del patriarcato

queste alcune delle note su cui avanza la marea raccolta al Circo Massimo il 25/11.
Da Modena si parte all’alba, avvolti da in aria gelida che sembra risuonare della nostra rabbia. Il viaggio è lungo ma appena approdati a Roma si coglie la grandezza di quello che sta per accadere.

Mamme, nonne, coppie, cani e bambini tutti uniti e colorati.

“Quanti saremo? 100.000? 200.000? Mai visto qualcosa del genere?”

Dentro la marea non importa, fai solo in tempo a muoverti al momento giusto per non perderti. È una marea maestosa, certo, ma anche spaventosa nel suo avanzare fagocitando strada dopo strada, piazza dopo piazza.

È solo quando volti l’angolo che, finalmente, lo vedi: migliaia di persone dietro, altrettante davanti, che cantano, urlano e si stringono come fossero una cosa sola. Sono tristezza e commozione a spingerli a scendere in piazza al gelo? Forse, ma è soprattutto la rabbia: rabbia per Giulia, ma anche per tutte quelle prima e (purtroppo) dopo di lei di cui pochi ricorderanno il nome, perché la loro storia non è stata altrettanto romanticizzata.

“la mia tristezza è sepolta insieme alle sorelle uccise. non mi resta che rabbia”

Rabbia che, anziché dividere, unisce cause in maniera intersezionale, su uno sfondo di cartelloni, bandiere arcobaleno e bandiere palestinesi che si stagliano contro il vento

Fin troppo presto arriva il momento di ripartire. “È davvero successo? Stiamo davvero tornando da Roma? Eravamo mezzo milione?”
Forse la stanchezza è troppo per realizzarlo, ma sicuramente abbiamo avuto la fortuna di vivere qualcosa di unico, qualcosa che – si spera – lascerà un segno in ben più di 500.000 cuori.

“Oggi è stato bellissimo. Indimenticabile”

Tutto questo per dire che, pur restandomene a Ferrara, le ragazze di Roma mi hanno insegnato qualche cosa. Il loro improvviso raduno dai quatto angoli d’Italia mi è parso una magia, come quando, proprio nel cielo della capitale, milioni di storni si danno un misterioso appuntamento, milioni di storni e tu rimani incantato col naso in su a vedere le loro evoluzioni. La Roma del corteo femminista, mi è sembrata finalmente libera, l’unica Seconda Repubblica desiderabile. E mio Dio, c’è dell’altro: non è vero che la nostra Italietta è solo e soltanto il deserto del disimpegno, del consumo, del dio-mercato-Amazon . I giovani, adolescenti, ragazzi e ragazze non corrispondono in nulla ai sermoni e alle indegne bugie di Paolo Crepet e compagnia.

Poi, ma questo lo penso tutti i giorni, mi sono detto (anche io con un po’ di rabbia) che non ci meritiamo in Italia questo governo. Come a Ferrara, non ci meritiamo una destra leghista e fascista. E neppure, a Roma e a Ferrara, al Nord come al Sud, ci meritiamo questi deprimenti partiti del Centrosinistra.
Il Nuovo potrà venire solo dal basso.  E senza preavviso, come la rivoluzione fucsia.

In copertina: Roma, 25 novembre 2023, il Corteo Fucsia. Punto di raduno al Circo Massimo.

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Per certi versi /
Mia mamma

Mia mamma

La mamma
È sola
In casa
Deve
Rifarsi una vita
Una agenda
Vedere persone
Amicizie
Vecchie e nuove
Lo sta facendo
La sua vita
La sua settimana
Piano piano
Si comincia
A riempire
Ne sono felice
Vado più
Disteso
A dormire
Ogni domenica Periscopio ospita Per certi versi, angolo di poesia che presenta le liriche di Roberto Dall’Olio.
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Negli Stati Uniti ritornano i sindacati
Quale futuro per il capitale?

Negli Stati Uniti ritornano i sindacati: quale futuro per il capitale?

Si è concluso con un buon accordo lo sciopero dei sindacati Usa contro le tre big dell’automobile. Le richieste erano di ridurre l’orario di lavoro da 40 a 32 ore e aumenti salariali del 40-46%. L’accordo prevede aumenti salariali del 25% con Ford e Stellantis, mentre per l’orario non ci sono riduzioni. Si prevede anche la difesa del lavoro locale (confermata per lo stabilimento di Trenton in Michigan ed altri siti e la produzione di nuove vetture in Illinois e altrove). Richieste pesanti che venivano dopo anni in cui a guadagnare erano state solo le aziende (250 miliardi di profitti negli ultimi 10 anni, +65%, stime del sindacato UAW) che hanno arricchito gli azionisti, i super dirigenti, manager e fasce alte dei lavoratori, mentre si riducevano le paghe orarie degli operai. Come ha detto il neo segretario eletto Shawn Fain è “una battaglia della classe operaia contro i ricchi” e la conferma che senza contro poteri il capitalismo diventa sempre più predatorio.

Oggi c’è una nuova generazione più determinata di sindacalisti, come Sean O’Brien della Brotherhood of Teamsters (che ha appena ottenuto un aumento del 20% dei salari dei dipendenti di Ups) o Lynne Fox, neopresidente della Workers United, che promette battaglie durissime. Anche i 60mila attori (e altri 2 milioni di lavoratori del settore) hanno fatto un accordo triennale con gli Studios dopo 4 mesi di scioperi che non avvenivano dal 1960. Oltre ad un aumento del 7% del minimo salariale ci sono benefici sulle pensioni, sull’assistenza sanitaria e pagamenti per le audizioni autoprodotte (spesso richieste dagli Studios). Il capitolo sull’Intelligenza Artificiale prevede che non si possa usare per repliche digitali o modifiche senza l’autorizzazione e il pagamento ai singoli attori. Non è invece passato l’aspetto più “rivoluzionario” che era quello del pagamento dell’1% o 2% degli abbonamenti o per gli ascolti in streaming, che prevede solo “bonus” in base al successo degli show. I costi di produzione aumentano così di circa il 10%.
Non passa purtroppo il principio delle “compartecipazioni” che, a mio avviso, è il futuro su cui dovrebbero lottare i lavoratori (di tutti i settori), affermando il principio che i profitti sono anche il prodotto di chi ci lavora e non solo del capitale.

L’accordo è anche la dimostrazione che si può negoziare sull’Intelligenza Artificiale e fare in modo che i vantaggi vadano a tutti e non solo ai pochi che la progettano.

Thomas Piketty ha riportato in “Il capitale del XXI secolo” le stime della Federal Reserve Usa (Banca centrale) che ha calcolato come al decile superiore (10% dei più pagati) andava (nel 2010) il 72% di tutto il “monte” salari, mentre al decile inferiore solo il 2%. Non c’è quindi solo un problema di iniqua distribuzione tra capitale e lavoro ma anche all’interno di chi lavora, con stipendi sempre più alti a manager e dirigenti e più bassi per chi fa lavori di routine.

La minore disuguaglianza si è avuta in Occidente negli ultimi 70 anni in Svezia (negli anni ’70-’80) quando il decile più ricco (10%) prendeva solo il 20% dell’intero monte salariale. In Francia il rapporto era invece (stime Piketty) di 62% per il decile superiore contro 4% di quello inferiore, che è più o meno quanto avviene oggi in Europa e anche in Italia. Le disuguaglianze salariali sono diminuite nei primi 30 anni del 2° dopoguerra, ma poi cresciute dagli anni ’90 ovunque, in particolare in Usa. Ma ciò che fa impressione non è la disuguaglianza dei redditi da lavoro, ma quella patrimoniale. Qui le differenze sono enormi in tutti i paesi occidentali. In Usa il decile superiore (10%) possiede oggi il 70% di tutta la ricchezza (60% in Europa, 50% nei paesi Scandinavi), mentre il 50% dei cittadini più poveri detengono in Usa ed Europa solo il 5% (10% in Scandinavia). Ciò significa non solo la progressiva sparizione della classe media, ma che il 20-30% più povero non possiede nulla. Anche in Italia (fonte Banca d’Italia) il 30% più povero ha solo 8-10mila euro di proprietà tra mobili, auto e qualche spicciolo sul conto corrente. Una catastrofe sociale che è alla base dell’astensionismo elettorale e pronta a sostenere qualsiasi “vandea” anti sistema.

I sindacati Usa hanno trovato l’appoggio sia del presidente Biden che di Trump e, per la prima volta, sia di Democratici che Repubblicani. Fain (58 anni), il nuovo leader del sindacato dell’auto, va ora alla conquista degli Stati del Sud (che non sono sindacalizzati) e si richiama più alla Bibbia che a Marx, sapendo quanto è forte la presenza evangelica e cristiana negli Stati del Sud. E’ stato eletto con nuove procedure direttamente dalla base degli iscritti, dopo una serie di scandali che hanno travolto la vecchia dirigenza corrotta che aveva sempre funzionato da cinghia di trasmissione del partito democratico ed era stata molto tenera con le 3 big company (Ford, General Motors e Stellantis/ex Chrysler). Fain ha imposto un negoziato durissimo con le industrie automobilistiche e ha avvertito Biden che avrà l’appoggio dell’UAW solo se dimostrerà che il suo piano di sviluppo dell’auto elettrica non avrà conseguenze negative per i lavoratori dell’auto (tutta batteria, quasi senza motore richiede meno manodopera) che erano reduci da anni di tagli drastici dei salari e delle pensioni e furiosi per le briciole che a loro arrivavano dei profitti miliardari e degli stipendi da star dei loro dirigenti.

Con questo accordo si rifanno vivi nella società USA i sindacati, quasi muti da 30 anni, un “contro potere” che alla democrazia fa solo bene, perché senza contropoteri la democrazia  – quella vera, fatta di eguaglianza e diritti e non solo di cabina elettorale – declina.

Il capitale in passato era quello commerciale dei mercanti che guadagnavano sulla differenza tra il prezzo di acquisto e di vendita. Capitale che si è evoluto in quello di prestito durante il medioevo, con gli ebrei e poi con le banche di Firenze, Genova e Venezia nel Rinascimento che hanno finanziato poi la globalizzazione con la scoperta di Cristoforo Colombo. Oggi abbiamo il capitale finanziario, che fa profitti solo usando il denaro, con una rendita media del 4% annuo.

Il futuro del Capitale quale potrebbe essere? Quello delle compartecipazioni, dove ai lavoratori vada una quota consistente (non 1-2%) dei profitti, chiudendo l’epoca iniqua in cui a guadagnare sono solo dirigenti e azionisti. Hanno fatto bene gli operai a far notare che è uno scandalo che il loro capo guadagni 30 milioni di dollari all’anno quando loro prendono 30 dollari all’ora.

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Accordi /
Bologna Jazz Festival: Ron Carter, maestro unico

Bologna Jazz Festival: Ron Carter, maestro unico.

Se esistesse lo strumento jazz per antonomasia io credo sarebbe il contrabbasso.
È uno strumento imponente, bello, caldo, armonioso.
Ricordo che, tempo fa, il bravo contrabbassista Adriano Brunelli mi raccontò che il contrabbasso, in dialetto ferrarese, si chiama “liron” (lirone) probabilmente a causa delle due “effe” di risonanza sulla cassa armonica, ai fianchi del ponticello, che assomigliano al simbolo delle lire.

Se esistesse un vocabolario visuale, alla voce “contrabbassista di jazz” sicuramente ci troveremmo la fotografia di Ron Carter.

Ron_Carter al Bologna Jazz Festival

Lui, che oggi ha 86 anni, è il più bravo ed apprezzato da ormai 60 anni per diversi motivi: possiede uno stile inconfondibile, ha una potenza ritmica unica, ha risorse tecniche inesauribili, esegue la cavata in modo perfetto ed elegante, riesce a coniugare delicatezza e forza in modo personale ed è un ricercatore musicale instancabile.

Ha suonato in migliaia di dischi con centinaia di musicisti ma il suo periodo più famoso rimane quello con Miles Davis negli anni 60 insieme a Herbie Hancock, Wayne Shorter e Tony Williams.

Se esistesse un quartetto jazz ideale, io credo che, fra i migliori degli ultimi anni, ci sarebbero i Foursight Quartet, il gruppo con Ron Carter al contrabbasso, Jimmy Green al sax tenore, Renee Rosnes al pianoforte e Payton Crossley Jr alla batteria.

Renee Rosnes
Jimmy Green
Payton Crossley Jr

Il Bologna Jazz Festival li ha ospitati quest’anno al Teatro Auditorium Manzoni il 12 novembre scorso dove hanno dato vita ad un concerto musicalmente perfetto ed emozionalmente potente.

L’esibizione di questo quartetto è stata meravigliosa; andrebbe riascoltata e riascoltata per apprezzare a pieno la ricchezza di spunti tematici, la precisione delle trame ritmiche, la varietà di citazioni musicali, la finezza esecutiva, la cura dei dettagli e la bellezza dell’armonia fra musicisti.
Il primo brano, della durata di 40 minuti circa, potrebbe essere usato come libro di testo nelle scuole per musicisti: una vera e propria antologia di cosa vuol dire suonare insieme.

Ron Carter & Foursight,

In un brano successivo, caratterizzato da un dialogo fra il piano e il contrabbasso, la delicatezza e la dolcezza sono state di una intensità unica.
Gli omaggi alle composizioni di Miles Davis sono stati chiari.

Il pezzo assolo di Carter ha impreziosito un concerto già stupendamente elegante.

Assolo di Ron Carter
Ron_Carter & Foursight saluta il pubblico al termine dell’esibizione.

Ascoltare quel concerto jazz ha fatto bene al mio io interiore perché lo ha fatto viaggiare alla scoperta di armonie inaspettate. Credo che, quando è suonato divinamente, il jazz può diventare davvero terapeutico.

Lo verifico anche a scuola, con i bambini e le bambine, perché spesso ascoltiamo il jazz in sottofondo ai momenti di concentrazione in classe o in primo piano quando proviamo ad intrepretare il significato di quelle note sincopate con i disegni, le parole o i movimenti.

Certamente nei prossimi giorni farò ascoltare in classe le note di quel fantastico Maestro unico che è Ron Carter perché possano trasmettere direttamente e far sentire il vero significato della parola “classe”, intesa sia come ottima qualità che come interscambio di relazioni che può arricchire ciascuno dei componenti, che siano di un quartetto jazz o di una classe.

Tutte le foto, compresa quella di copertina, sono di Mauro Presini

Cover: Primo piano delle mani di Ron Carter sul suo contrabbasso – Ph Mauro Presini

In occasione della Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, SonArte & Ultimo Rosso presentano lo spettacolo “Il Cammino delle Donne – Canto e Poesia”

In occasione della
Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne

il Coro Femminile SonArte diretto da Sonia Mireya Pico
l’Associazione Culturale l’Ultimo Rosso

presentano
IL CAMMINO DELLE DONNE – canto e poesia
SABATO 25 NOVEMBRE ALLE ORE 17

Salone delle “Carte geografiche” del Museo Archeologico
Nazionale di Ferrara in via XX settembre, 122
IL MUSEO OFFRIRÀ UNA VISITA GUIDATA ALLE ORE 15,30
SI PREGA DI FARE LA PRENOTAZIONE – 0532/66299

Costo del biglietto
Intero solo museo €7,00
Ridotto €3,00 (da 18 ai 25 anni)

VI ASPETTIAMO NUMEROSI!

Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne

Ricorrenza istituita il 17 Novembre 1999.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 Novembre come la giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Art.1  Ai fini della suddetta (presente) Dichiarazione l’espressione “Violenza contro le donne “significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato un Danno o una Sofferenza Fisica, Sessuale o Psicologica per le donne, incluse le Minacce di tali atti, la Coercizione o la Privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata.