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E’ un pensiero laterale sui migranti quello che ci regala Gian Pietro Testa, giornalista, scrittore, pittore e molto altro…

 

Ho fuggito la terra bruciata
Dove le sabbie coprono il fuoco
Di un inferno che emerge di giorno
Dal ventre sconvolto del mondo.

 

Ho fuggito l’orrida fine
Dei miei fratelli morti di fame
Ho fuggito il pianto silente
Della donna dall’arido grembo.

 

Mia madre, gli occhi suoi neri
Asciutti di pianto
Vai mi disse vai
Cammina la sabbia infuocata.

 

Vai, mi disse, cammina
Corre verso il sole che cala
Vai, mi disse, cammina
Il nostro è soltanto un addio.

 

E camminai le cento e più leghe
Del mio amaro destino
Camminai il rosso deserto
Il mondo alla fine del sole.

 

E le notti, quelle notti
Il buio rotto dai fallo
A bere un tè bollente
Spiato da mille occhi curiosi.

 

Occhi lucenti senza speranza
Piccoli fari accesi nel buio
Il buio deserto di luce
Vivo se il giorno è già morto.

 

E sopra gli occhi curiosi
Cadevano lacrime di stelle
A cui le volpi chiedevano consiglio
Per sfuggire al nero serpente.

 

Mi avvolgeva una fredda coperta
Ti silenzio pauroso
Brutto da improvvisi lamenti
E si sentiva da fughe lontane.

 

Chi è? Domandavo tremando
Attorno a me danzavano
Ignudi i neri fantasmi del mio
Terrore sei nostro dicevano in coro.

 

Come sarà – chiedevo – il mondo
Alla fine del mondo?
E i fantasmi dicevano
Siamo già alla fine del mondo.

 

Via, gridavo allora non andate lontano
Orribili sagome nere fuggite
Della mia fantasia
E dei miei occhi smarriti.

 

Ho ripreso il lungo cammino
Della speranza e piangevo
La infondo dov’era finito il
Sole c’era infine la vita.

 

Tenevo stretto nel pugno
Una piccola croce di legno
Tieni mi disse mia madre
Stringi la mano ti guiderà lontano.

 

Io aggiunsi ti seguirò col cuore.
Col cuore duro di madre ferita
con tenero cuore di madre lontana
Col cuore, figlio mio, ti seguirò.

 

Ho camminato le cento e più leghe
Del mio cupo destino
Fino alla distesa azzurra
Di un mare omicida.

 

La barca affollata di grida
Piombava nel vortice nero
Di una tempesta a me sconosciuta
E poi salivo in alto verso le stelle.

 

Gridavano gli uomini folli
Gridavano le madri con loro fagotto
Il duro fagotto di tenera carne
L’urlo del mare l’urlo del cielo.

 

Infine approdammo un mattino di sole
Su una spiaggia dorata
Ci misero addosso coperti di carta
Ci dettero il pane duro degli altri.

 

Ma eravamo salvi nel mondo
Al di qua del sole
Poi ci chiusero in un campo spinato
Dove la vita non era più mia.

 

Alzai la mano oltre le sbarre
A chiedere un piccolo soldo
Mille leghe per essere ancora
Soltanto un povero Cristo.

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Gian Pietro Testa


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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