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Sara Salar
Sara Salar

Dal vetro della macchina guardo il cielo, il cielo color piombo di Teheran… Ho detto al dottore: – E’ come mi fossi persa anni fa, persa nel cielo nero stellato di Zahedan. (Probabilmente mi sono persa, Sara Salar)

Un libro coinvolgente, pagine che si leggono d’un fiato dribblando le macchine, gli incroci e i semafori di una Teheran affollata e persa nei suoi pensieri. Romanzo rivelazione di Sara Salar, nota al pubblico iraniano principalmente per le sue traduzioni di Haruki Murakami, “Probabilmente mi sono persa” (pubblicato nel 2009 e vincitore del prestigioso premio letterario Golshiri) è oggi, nella sua versione italiana, la prima traduzione straniera che esce dai confini dell’Iran.

La protagonista è un’inquieta giovane donna, di cui si ignora il nome, mai pronunciato, che si risveglia confusa e con un occhio pesto. Ignoreremo anche la causa di questo. Quello che la trentacinquenne sa è di avere un figlio di cinque anni, Samiar, ma quella mattina al riveglio non lo trova nella sua stanza. Crede di ricordarsi di averlo infilato in un taxi e spedito all’asilo. Un pensiero ricorre però sempre su tutti, potente come una voragine, insopportabile come una trottola che gira vertiginosamente e che ossessiona: Gandom, l’ex amica, conosciuta al primo anno di liceo e poi persa, scomparsa. Gandom si presenta nei sogni, si intrufola nei ricordi, si fa rimpianto e dolore, è sempre nella sua mente affollata dal quell’unico pensiero di un’amicizia che non c’è più. “Come era potuto succedere che quel giorno, al liceo, tra tutte quelle ragazze, lei guardasse proprio me, che sorridesse proprio a me?… ridicolo! In tutta la mia vita non mi era mai capitata una cosa così: tra tutte quelle ragazze, una mi guardava e mi sorrideva”. Gandom è bella, sfrontata, magnetica, eccitante, coraggiosa, colorata, solare, instancabile, elegante, ricca, piace ai ragazzi e agli uomini, ama la vita, sfida il destino, non teme nulla e nessuno. Ha tutto ciò che la protagonista sa di non avere, è tutto quello che sa di non essere e non poter mai essere.

Eccoci persi fra le strade di Teheran, quasi seduti accanto alla protagonista, che guida una macchina che sfreccia tra smog, traffico e cartelloni pubblicitari enormi, che sfilano lungo strade polverose e rumorose. E’ un viaggio a ritroso nel tempo, dove il presente si mescola con il passato, dove si intrecciano dialoghi di ora e di allora. La confusione è ovunque, ma i dialoghi si seguono, sbalzati destra e sinistra in una montagna di emozioni he travolgono, inframezzati da un dialogo/confessione con uno psicologo. Ma sempre c’è Gandom, luminosa come un miraggio, onnipresente come una stella in cielo. Lassù.

La copertina del volume

Straniamento, ossessione, fastidio per un corteggiatore insistente, Mansur, il socio del marito (in realtà timore che quell’avvicinamento non dispiaccia, mai i ruoli vanno mantenuti, i limiti rispettati), senso di inadeguatezza, paura di non essere una buona madre, nostalgia per un passato che se ne è andato e che non ritornerà. Tutto è difficile, ci si affanna, ogni cosa pare in salita, una salita che non vede arrivo, che non vede discesa, che non trova la sua fine naturale. Raccontare questi timori di donna non è sicuramente semplice, mai, immaginiamo in Iran, dove in effetti il libro è stato a lungo censurato. Ci si può perdere, e ci si perde, e in società che non ammettono cedimento o disorientamento sarebbe dura per chiunque. Invece qui si mettono a nudo fragilità e inquietudini, attrazione e repulsione, in una scrittura serrata e quasi compulsiva. “Dico, dice, ho detto, ho esitato, dissi, disse”, questo il ritmo, come se si picchiasse con forza e rabbia sui tasti di un pianoforte. Tin tin, ton ton, tum tum. Boom. Nell’utilizzo di tanti puntini di sospensione ritroviamo esitazioni, frenesia, fastidio. Una girandola di emozioni che giocherella con i nostri pensieri quasi parcheggiati in una rumorosa e pericolosa doppia fila. Bisogna essere pronti per una lettura non sempre semplice come questa, ma che resta raccomandata.

 

Sara Salar, Probabilmente mi sono persa, Ponte33, 2014, pagg. 119

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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