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Al mercato del mio paese oggi la gente è poca: colpa del vento insolitamente sferzante e fastidioso? Oppure del coronavirus, pronuncio la parola tutta d’un fiato così la esorcizzo.
Fatto sta che i banchi dei venditori, privi di copertura per le intense folate, sembrano un po’ surreali così esposti alla luce e con una mancanza totale di intimità.
Se ne crea sempre, tra acquirente e venditore, nella penombra del tendone, spesso il cliente abituale condivide con chi gli riempie le sporte di frutta e verdura un piccolo lessico famigliare pieno di sottintesi del tipo ”Dammi il solito mezzo chilo”, oppure, dall’altro lato del bancone, “Ho finito quello dell’altra volta, ma questo è ancora più buono”.
Così incontro meno esseri umani, ma scambio due chiacchiere si può dire con tutti. È così che porto a casa un bel po’ di complimenti. Saranno almeno tre le persone che, non vedendomi da tempo, si deliziano nel trovarmi “sempre uguale”. “Sei già in pensione?”, è la prima domanda, quella rituale che mi inchioda all’età che ho e che mi viene rivolta dai quasi coetanei, quelli che già se la (s)passano a casa dal lavoro. Seguono le precisazioni sulle rispettive date di nascita.
Anche oggi mi sono sentita raccontare i dettagli dell’altrui pensionamento. Mi è venuta in mente, allora, una delle pagine finali de I promessi sposi, quando il narratore svela che è Renzo la fonte di tutta la storia, che l’ha raccontata in giro a molti e l’ha anche ‘tenuta piuttosto lunga’.
Non è dunque il manoscritto ritrovato del ”buon secentista” la fonte originaria del libro, ma è stato Renzo a raccontare in giro le proprie avventure, “e tutto conduce a credere che il nostro anonimo l’avesse sentita da lui più d’una volta”.
E così, come faccio notare agli studenti nel lavoro in classe, eccoci arrivati al penultimo capitolo col suo doppio colpo di scena: da una parte scopriamo il narratore numero uno, Renzo, che scalza lo scrittore anonimo del Seicento (ora al secondo posto) e manda addirittura in terza posizione il nostro narratore, quello che ha avuto a che fare con noi per tutte le pagine del romanzo e che ci ha spesso strizzato l’occhio mentre srotolava la storia facendoci sapere molte più cose rispetto ai personaggi.
”Ma quanti sono in definitiva quelli che hanno raccontato questa storia, profe?”. “Contali, sono tre. Tre che è il numero perfetto ed è un numero altamente simbolico.”.
Secondo colpo di scena del Manzoni: risaliamo alle origini di questo racconto che definiamo romanzo e ci accorgiamo che sono le stesse dell’epica: come nel racconto epico, anche qui avviene il passaggio dalla oralità alla scrittura. Ancora, possiamo spingerci a paragonare Renzo agli aedi che nelle corti dei re andavano narrando le imprese degli antichi eroi greci, e analogamente mettere Manzoni nei panni di Omero che nell’VIII secolo a.C. ha fissato per sempre quei racconti con la parola scritta. Che potenza ha la scrittura!
Ah, stavo dicendo che la mia ultima interlocutrice la tiene lunga con la storia del suo pensionamento e intanto la mia mente ha cercato rifugio in una maliziosa analogia con i racconti di Renzo. E allora riprendo contatto con questa signora dalla voce squillante nel momento in cui ha finito di narrare le sue vicende e si è messa a vaticinare sul mio delizioso futuro di pensionata, quando toccherà anche a me. E non manca molto.
Intanto, qualche tempo ancora ce l’ho per essere ‘sempre uguale’, per continuare ad insegnare la letteratura italiana. Mentre cammino verso casa, decido di approfittarne: il “non cambi mai” che mi è stato detto prima sprigiona dentro di me una seconda analogia tentatrice. Mentre apro la porta di casa il cuore mi si apre alla speranza che anche nel mio studio ci sia una foto (grandi ritratti alla parete non ne ho) in cui si siano riversate tutte le rughe del mio viso, tutte le pieghe del collo…
Come ne Il Ritratto di Dorian Gray, dove Oscar Wilde vede la bellezza come “la meraviglia delle meraviglie”. La giovinezza di Dorian è il bene più prezioso da preservare: è il suo ritratto a farsi vecchio al posto suo, a riprodurre il passare del tempo e i segni lasciati dal vizio. Lui resta bellissimo ed affascinante per lunghi anni, fino a quando si sente estenuato da una vita dedita ai piaceri e nel disperato tentativo di ‘diventare buono’ uccide il proprio ripugnante ritratto. La fine è nota e comunque non va svelata per omertà verso gli altri lettori.
Arriviamo alla fine anche del mio racconto, al quale manca la suspense del Dorian Gray, e meno male perché alla mia foto devo dare solo una controllata, senza bilanci così funesti sul mio vissuto. Alla prima occhiata non mi sfugge che la mia figura di ventenne vestita di rosso è rimasta intatta. Ok, sono tornata di nuovo in situazione.
Mentre mi sfilo i guanti e ripongo le buste della spesa, penso a Renzo. È pur vero che con lui gli umili hanno fatto il loro ingresso trionfale nella narrativa ottocentesca, ma non esageriamo.
Quanto a Dorian, ho poco da spartire con la sua visione della vita, però in tutti questi anni è stato un piacere conoscerlo. Penso al bene che mi ha fatto e mi fa la letteratura. Oggi l’ho rivisitata con leggerezza, ‘affibbiando’ alla conoscente che mi adulava il confronto con Renzo e alla mia persona il sortilegio che lega Dorian al proprio ritratto. Quanto mi sono divertita.
Per leggere gli altri articoli e indizi letterari di Roberta Barbieri nella sua rubrica Vite di carta, clicca [Qui]
Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.
Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
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