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La generazione delle reti, la generazione sempre connessa si trova disorientata ora che le scuole sono chiuse. La scuola rischia di lasciarli a piedi. Non sa come intercettarne l’impegno, come tenere attiva la comunicazione. Eppure pensavamo che al tempo dei Millennials e della Generazione Z qualcosa fosse cambiato.
Ora che studenti e scuole si devono parlare da lontano, diventano buoni anche gli smartphone, banditi in tempi normali dalle aule, dimostrando quanto perniciosa possa essere a volte la stupidità umana.
Oggi, che tra le competenze chiave della cittadinanza è compresa quella digitale, sarebbe stato normale attendersi che la prima a dimostrare di possedere una simile competenza fosse la scuola.
Invece balbetta, ancora una volta si muove a macchie di leopardo con improvvisazioni e approssimazioni.
La sindrome della cattedra, la sindrome trasmissiva continuano ad opporre resistenza alle ICT e ai linguaggi della digitalizzazione, in particolare per supportare nuovi modi di insegnare, di apprendere e di valutare.
Così l’innovazione che sarebbe venuta buona, adesso ci manca.
Non ci è dato di sapere lo stato di salute del Piano Nazionale di Digitalizzazione, promesso nel 2015 dalla legge che ha assunto la vulgata di ‘Buona Scuola’.
Come pure, a cercare nel sito del Miur, non si trova un dato che sia aggiornato sulle ‘Classi 2.0’, i cui studenti non dovrebbero avere difficoltà ad affrontare la chiusura delle scuole, considerato che dispongono di pc personali e la didattica in aula usa quotidianamente i device tecnologici.
Poco si sa, anche consultando il sito dell’Indire, circa lo stato dell’arte della sperimentazione delle Flipped classroom (la classe capovolta). Esperienze in cui l’insegnante. da megafono della trasmissione dei saperi, assume il ruolo di facilitatore degli apprendimenti, sceneggiatore dell’ambiente di apprendimento, regista dell’azione didattica.
E di sceneggiatori e registi della didattica a distanza avremmo bisogno oggi, capaci di scrivere i copioni del sapere in epoca di apprendimento attraverso la rete.
Le responsabilità dei ritardi, delle trascuratezze e delle incompetenze, nel momento del bisogno, assumono il volto tragico degli atti mancati. Le conseguenze dei tagli ai bilanci, di un paese indebitato oltre misura, estendono ora i loro effetti dannosi non solo sulla sanità, ma anche sull’istruzione pubblica.
“Educare digitale” è il rapporto dellAGCOM (Autorità per la Garanzia delle Comunicazioni), uscito un anno fa, a febbraio del 2019. Ci informa che nell’attuazione dell’Agenda Digitale, con cui l’Unione Europea ha fissato gli obiettivi da raggiungere entro il 2020, noi, Italia, ci troviamo al 25esimo posto su 28 paesi.
Il gap digitale che abbiamo accumulato rispetto alle altre nazioni europee avrebbe dovuto imporre un passo più accelerato alle politiche di digitalizzazione, dalla Pubblica Amministrazione, ai servizi, alle scuole. E i tempi che si prospettano non favoriranno certo il recupero che avrebbe dovuto avvenire prima.
Il gap non è solo relativo alle tecnologie digitali, il gap vero è quello sociale, in particolare con i più giovani, per i quali le tecnologie sono parte pervasiva delle loro esperienze di vita quotidiana.
In tutto questo, il sistema scolastico avrebbe dovuto svolgere un ruolo decisivo, invece la chiusura delle scuole trova il nostro sistema formativo impreparato a realizzare un piano di insegnamento a distanza diffuso sull’intero territorio nazionale.
Non sarebbe comunque possibile, almeno per la stragrande maggioranza dei nostri Istituti, perché, oltre agli aspetti tecnici, manca la disponibilità di adeguate competenze a livello didattico e, più in generale, alla diffusione di una cultura orientata al digitale.
Il 97% delle scuole italiane risulta connesso a internet, solo il 3% non lo è, con prevalenza al Sud.
Il problema è che, di quel 97%, solo l’11,2% dispone di una connessione superiore ai 30 Mbps, condizione indispensabile per una didattica digitalizzata, e ancora di più per una didattica a distanza. A questo si deve aggiungere che solo il 17,4% delle famiglie italiane dispone della banda-ultralarga. Gli ostacoli da superare non sono, dunque, solo interni alle scuole, ma anche esterni.
Inoltre, per le scuole la strada è difficoltosa per i costi elevati e per la complessità degli aspetti di natura tecnica. Difficoltà che si moltiplicano là dove ancora persiste una bassa propensione all’uso delle tecnologie digitali a scopi didattici.
La chiusura delle scuole mette il dito nella piaga di un sistema formativo arretrato, non all’altezza della società della conoscenza che corre in rete.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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