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Oriana è sempre Oriana

oriana-e-alekos-593x443Ti rifugi in una stanza, penna, carta e calamaio. Una luce. Forse oggi un notebook. Tu e la scrittura. Soli. In una simbiosi perfetta. Fuori il mondo, semplicemente. La passione dello scrittore, non del giornalista. La differenza. Ma uno scrittore e il suo sogno. Capisci, comprendi, senti condividi. L’empatia, rimanendo in uno spazio chiuso, confinato. Oriana, questo era, questo voleva essere, uno scrittore. Nel suo libro Solo io posso scrivere la mia storia, Autoritratto di una donna scomoda, questa passione permea ogni pagina, ogni riga, ogni parola, ogni singola sillaba. Ogni fatto ha la sua anima, ogni descrizione il suo respiro, una sensazione. E Oriana crede che il racconto sia la sostanza di ogni evento.

Dai suoi incontri del periodo della Resistenza, quando da bambina, di nascosto dal padre, aveva visto sfilare, a Firenze, Hitler e Mussolini, con una zia sposata a un fascista, a quelli con Soraya, Khomeini e Kissinger fino alle fangose trincee del Vietnam e alla tenda discussa di Gheddafi, emerge sempre l’anima di uno scrittore. Forse un po’ la distinzione che l’inglese riesce a fare bene, con la sua precisione: non history ma story. Un’avventura che si vive fino in fondo. E se un giornalista deve stare in strada per scrivere, vivere l’asfalto, uno scrittore ha invece bisogno del silenzio, di uno spazio chiuso dove raccogliersi e isolarsi. Oriana così ha fatto, nel tempo, per scrivere pagine memorabili come quelle dedicate ad Alekos Panagoulis, in una ricerca spasmodica della perfezione della lingua. Scrivere bene, come diceva Hemingway, è come un campo di neve privo di buche, sassi o inciampi, accarezzare gli occhi di chi legge, farlo sentire come portato via dal vento, scivolando delicatamente.

7294252_1953448Ogni parte di questo bel libro riporta nella storia, in quella vissuta emozionandosi, con la consapevolezza di avere la fortuna di fare parte. Anche l’amore, non solo quello per la scrittura, pervade l’inchiostro della penna di Oriana, quell’amore intenso per un uomo rimasto solo, il suo Alekos, dal volto di un Gesù crocifisso, un compagno di vita ucciso dai nemici del Watergate greco, incontro anche politico e intellettuale, grido d’amore e disperazione, inno alla libertà. Ma cos’è mai la libertà? “Una somma di idee non riconducibili a una singola idea, un mosaico di interpretazioni, quindi contraddizioni implicite. Forse perché, più che un concetto, la libertà è un sentimento e razionalizzare un sentimento è impossibile. … ho visto libertà ferite, anzi assassinate, in nome di quella libertà. Ho visto apostoli della libertà trasformarsi in carnefici della libertà, in nome di quella libertà. Ho visto promuovere e fare guerre ingiuste, rivoluzioni false, in nome di quella libertà”. Se poi non abbiamo anche la libertà di scegliere se nascere o meno, perché qualcun altro sceglie per noi, cosa significa veramente questa parola? La libertà in assoluto, in fondo, non esiste.

“Nella mia vita ho visto molte brutte cose. Molte. Sono nata in una tirannia, sono cresciuta in una guerra, e per gran parte della mia esistenza ho fatto il corrispondente di guerra. Per anni (in Vietnam, otto) ho vissuto al fronte. Ho seguito battaglie, ho subito sparatorie e cannoneggiamenti e bombardamenti, ho testimoniato l’umana crudeltà e imbecillità”. Questo il filo conduttore di una biografia che mai Oriana avrebbe autorizzato. Eppure questa donna scomoda, come lei stessa si definisce, non ha fatto altro che scrivere e raccontare la sua storia incredibile e straordinaria, fino alla malattia che non l’ha fermata. Queste pagine la delineano nella sua più intensa profondità, pensieri trancianti e precisi tratti dai suoi quaderni che utilizzava per preparare meticolosamente ogni intervista: i numerosi, fitti e concitati appunti autobiografici, note che utilizzava ampliate nei suoi libri. E anche bozze di letture pubbliche o di interventi in cui si metteva nei panni dell’intervistatore che avrebbe incontrato provando a rispondere a domande su di sé e la propria vita. Questi scritti, che trattano anche di temi come malattia, matrimonio e figli mai nati, restituiscono con precisione il carattere e il pensiero di una donna unica, capace di maltrattare grandi leader politici e famosi ed eleganti divi di Hollywood, consegnando ai suoi lettori il testamento di una vita leggendaria. Solo lei poteva raccontarsi. E così intensamente. Nessun altro.

Oriana Fallaci, Solo io posso scrivere la mia storia, Autoritratto di una donna scomoda, Rizzoli, 2016, 272 p.

Terra Matrigna: il caporalato nelle campagne italiane

È entrata in vigore ieri, 4 novembre, la nuova legge sul contrasto al lavoro nero e allo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura, meglio nota nel dibattito pubblico come ‘legge sul caporalato’, approvata dalla Camera dei Deputati a fine ottobre. Il testo affronta il fenomeno criminale del caporalato aggiornandone la definizione, inasprendo le pene per gli sfruttatori e prevedendo nuove misure, come la confisca dei beni e l’adozione di misure che preservano l’operatività dell’azienda e, di conseguenza, l’occupazione dei lavoratori, oppure ancora il reinserimento per le vittime.
La legge riconosce finalmente un fenomeno di dimensioni troppo estese per poter essere ignorato. In particolare, come spiega sulle pagine di Internazionale Enzo Ciconte – uno dei massimi esperti italiani di associazioni mafiose – modifica “in maniera sostanziale l’articolo 603 bis del codice penale (intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro)”, riformula così il reato di caporalato, in particolare allargando “le maglie della responsabilità al datore di lavoro che “sottopone i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno”. Come a dire che non deve esserci per forza un “caporale” o un’organizzazione criminale perché un bracciante sia sfruttato”.

Un momento della presentazione di The Harvest alla Sala Boldini
Un momento della presentazione di The Harvest alla Sala Boldini

Mercoledì sera alla Sala Boldini, nell’ambito della Festa della legalità e della responsabilità 2016, un incontro ha messo insieme proprio il tema del caporalato con un altro di scottante attualità: quello dell’immigrazione. Durante la serata, infatti, è stato presentato il progetto cinematografico “The Harvest”, il raccolto, sullo sfruttamento della comunità Sikh – originaria della regione indiana del Punjab – nelle campagne dell’Agro Pontino, in particolare nei lavori di semina e raccolta che si svolgono sotto le serre. Il regista, Andrea Paco Mariani, ha parlato di “un sistema ben strutturato e scientifico di sfruttamento”, un fenomeno tanto più inquietante perché si svolge “alla luce del sole” e insinuandosi fra legalità e illegalità.
La comunità Sikh nella provincia di Latina è numerosa, 25-30 mila persone circa, ed è presente ormai da diversi anni, tanto che ormai si parla già di seconde generazioni. Quasi tutti i componenti risiedono in Italia con regolari documenti e lavorano nei campi e nelle serre con regolari contratti: il problema è che se su questi ultimi compaiono “otto giorni mensili”, i braccianti ne lavorano “ventinove e mezzo, perché non ci sono nemmeno le domeniche”, ha spiegato Mariani. Lo sfruttamento riguarda anche il salario e le condizioni di lavoro: le paghe vanno dai due ai massimo quattro euro l’ora, ben al di sotto del minimo contrattuale, si pratica il cottimo, e le giornate lavorative sono di dodici ore, senza rispettare un ciclo stagionale, perché si lavora anche in serra. Per mantenere questi ritmi, ha detto Paco Mariani, “i lavoratori assumono anfetamine, oppiacei e antispastici”, “di nascosto”, perché la comunità stigmatizza fortemente questi comportamenti. Proprio dal consumo di droghe nel febbraio 2015 sono partiti Paco Mariani e collettivo Smk Videofactory, ma quando sono scesi a Latina fra aprile e giugno di quest’anno, si sono resi conto che “era solo la punta di un iceberg”. “Spesso i caporali stessi sono indiani ed esistono addirittura agenzie in India che convincono gli agricoltori a vendere i loro pochi averi per racimolare il denaro necessario a comprare il loro pacchetto completo: viaggio, lavoro, vitto e alloggio”, naturalmente in Italia non li attende “niente di tutto ciò” e quindi si può parlare di una vera e propria truffa se non di “una tratta”, come l’ha definita il regista.

Un momento della presentazione di The Harvest alla Sala Boldini
Un momento della presentazione di The Harvest alla Sala Boldini

Per parlare di questi temi Mariani e Smk Videofactory hanno scelto di percorrere una strada due volte originale: per il mix di linguaggi utilizzati nel film e per il metodo di finanziamento.
Per ri-narrare le testimonianze raccolte, “The Harvest” utilizza tre linguaggi diversi: il reportage; il racconto di una giornata vissuta da tre personaggi, un ragazzo Sikh in Italia da otto anni, che ha perso il lavoro diverse volte “perché ha provato ad alzare la testa”, una ragazza della seconda generazione e un giornalista, arrivato sul luogo per fare un’inchiesta sui lavoratori sikh della zona; infine il musical. Questa scelta, ha spiegato Paco Mariani, nasce non solo “dalla nostra volontà di sperimentare linguaggi nuovi, oltre quello del reportage che sentiamo più nostro”, ma anche dalla necessità di “tutelare chi si è fidato di noi e ci ha raccontato la sua storia” e recuperare parte della cultura Sikh all’interno del lavoro, in modo da far diventare queste persone non solo oggetti, ma soggetti della narrazione: “ci interessava contaminarci con la cultura del Punjab e volevamo uscire dal racconto pietistico del povero ragazzo sfruttato”.
Per quanto riguarda il finanziamento del progetto, invece, è stata avviata una campagna di crowdfunding, che è tuttora in corso. La “coproduzione popolare”, come la chiamano i ragazzi del collettivo bolognese, è una scelta sia pratica sia etica: è “la sintesi fra accessibilità e diffusione delle opere e loro nuove forme di sostenibilità”, inoltre permette al progetto di acquisire una “maggiore legittimità”, perché la comunità investe perché vuole che si parli di quel tema.

Ed è importante che se ne parli perché, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il caporalato in agricoltura non è un fenomeno solo delle terre del Sud e del Centro Italia, ma riguarda anche le campagne del Nord. Sul “Il Venerdì di Repubblica” del 28 ottobre un articolo di Daniele Castellani Pirelli basato sull’ultimo rapporto “Agromafie e Caporalato” dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, parla di 430 mila lavoratoriitaliani e stranieri – vittime del caporalato, tra i 30 e i 50 mila in più rispetto a quelli riscontrati nel rapporto precedente (2014). Lavoratori che, come si legge ancora nell’articolo, possiamo trovare per esempio a raccogliere i meloni nella vicina Sermide, oppure qui a Ferrara nelle campagne di Gallo, come è emerso da una testimonianza di un ragazzo durante la stessa serata di mercoledì: “Quello che voi fate vedere in questo documentario, io l’ho vissuto anche a Ferrara per tre anni, insieme ad altri ragazzi pakistani e africani”.

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Fonte: Terzo Rapporto Agromafie e Caporalato, Osservatorio Placido Rizzotto
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Fonte: Terzo Rapporto Agromafie e Caporalato, Osservatorio Placido Rizzotto

Per partecipare e sostenere il progetto “The Harvest” visita il sito: www.theharvest.it.
Pagina fb: www.facebook.com/theharvestdocumentary

Guarda i trailer
Lo spiegone

L’assemblea dei braccianti

Il blitz

L’ANNIVERSARIO
Una nuova edizione come regalo di compleanno all’Antologia di Spoon River

“…Al fianco di Mary, baciandola con l’anima sulle labbra
all’improvviso questa prese il volo”.

Questo verso fu letto casualmente da una giovanissima Fernanda Pivano, scorrendo le pagine di un libro avuto in prestito dal suo Cesare Pavese: Fernanda voleva sapere che differenza ci fosse tra letteratura inglese e quella americana e la risposta di Pavese fu consegnarle una raccolta di epitaffi scritti dall’avvocato e poeta Edgar Lee Masters.
Quei versi, quelle storie, quelle voci narranti, così vibranti entrarono profondamente dentro la giovane Pivano che da allora si dedicò anima e corpo alla loro traduzione in italiano, per poi consegnare alla stampa nel 1943: la prima versione tradotta dell’Antologia di Spoon River.
C’era il Fascismo allora in Italia e il libro poté uscire solo grazie allo stratagemma di Cesare Pavese e Fernanda Pivano, che lo intitolarono “Antologia di S.River”, facendo intendere il riferimento a chissà quale santo. Poco tempo dopo la diffusione del libro fu bloccata dal regime che lo bollò come “immorale” e la sua traduttrice pagò con il carcere l’aver sfidato i dettami della dittatura fascista. Come lei stessa ha successivamente dichiarato: “Era superproibito quel libro in Italia. Parlava della pace contro la guerra, contro il capitalismo, contro, in generale, tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare. Mi hanno messo in prigione e sono molto contenta di averlo fatto”.
La missione era però compiuta: Fernanda non solo aveva capito la differenza tra la letteratura inglese e quella americana, ma aveva consegnato ai posteri quella che rimane una pietra miliare della letteratura statunitense, di cui quest’anno si festeggia il centenario. La pubblicazione dell’Antologia di Spoon River, nella sua versione definitiva, risale infatti al 1916.
Tra il 1914 e il 1915 il poeta americano Edgar Lee Masters aveva pubblicato sul “Mirror” di St. Louis una serie di epitaffi successivamente raccolti nell’Antologia di Spoon River. Composto di 19 storie, per un totale di 244 personaggi, ogni poesia descrive la vita di un personaggio, a coprire quasi tutte le tipologie umane: la giovane fanciulla, il vecchio ubriacone, il ragazzo infermo, la maestra zitella e l’ottico. E molte altre ancora che suscitano un sorriso, una lacrima oppure la totale indifferenza, se non disappunto e disprezzo, al lettore che diventa visitatore del cimitero di un immaginario paesino perso nelle colline dell’Illinois.
Nella prefazione a una delle edizioni italiane dell’opera, Fernanda Pivano scrive che “l’autore definiva questo libro qualcosa di meno della poesia e di più della prosa”. Il tono degli epitaffi è narrativo e mai declamatorio: la voce dei protagonisti, fantasmi narratori della propria vita, è vibrante seppur lontana. Hanno perso la vita, ma non sono scevri da passioni del tutto umane: Constance Hately ci confessa di aver odiato le figliastre, il giudice Somers si lamenta di essere stato meno amato dell’ubrico del paese, Minerva Jones è stata poetessa e donna violata e derisa. Francis Turner, la cui anima volò via baciando Mary, Herbert Marshall che ci lascia una verità struggente -“Questo è l’amaro della vita: che solo in due si può essere felici; e che i nostri cuori sono attratti da stelle che non ci vogliono”- senza dimenticare l’inno alla gioventù di Alexander Throckmorton “il genio è saggezza e gioventù”.
E così, di tomba in tomba, di vita in vita, di lamento in lamento, nell’abisso dei sentimenti umani, innalzati o derisi, nell’amore o nella incomprensione, la voce dei morti diventa quella dei vivi.
Oltre a Fernanda Pivano, come detto prima traduttrice del capolavoro di Masters, non si può dimenticare l’elegante versione del compianto poeta Antonio Porta e la celebrazione in musica che ispirandosi all’opera fece Fabrizio De Andrè nel suo celeberrimo “Non al denaro non all’amore nè al cielo”.
Ora, in occasione della celebrazione del centenario, Mondadori, per sottrarre i versi al logorio della fama, propone una nuova traduzione, affidata a Luigi Ballerini, poeta, critico, italianista nelle università americane, il quale si propone di seguire più il metro e la lirica che la prosa, rileggendo l’Antologia come un testo classico.
Gli abitanti della Collina tornano a parlarci delle loro vite… e anche delle nostre.

La pecora nera in Università:
incontro con José ‘Pepe’ Mujica,
ex presidente dell’Uruguay

Da Unife

Incontro pubblico con il senatore della Repubblica Orientale dell’Uruguay, José ‘Pepe’ Mujica, mercoledì 9 novembre 2016 ore 16 nell’aula magna del Dipartimento di Economia e Management dell’Università degli studi di Ferrara, in via Voltapaletto 11.

Programma
Saluti istituzionali

Giorgio Zauli
Magnifico Rettore dell’Università di Ferrara

Simonetta Renga
Direttrice del Dipartimento di Economia e Management

Riccardo Bizzarri
Sindaco del Comune di Masi Torello

Introduzione

Giangi Franz
Dipartimento di Economia e Management

Conferenza
José ‘Pepe’ Mujica,
Senatore della Repubblica Orientale dell’Uruguay
‘Economia e società. Il tempo della vita non va sprecato’

Segue dibattito con il pubblico

Per saperne di più su José ‘Pepe’ Mujica leggi
Discorso per la terra della nostra Simonetta Sandri

Dal teatro al cinema: un viaggio fra due mondi.

 

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“Dal teatro al cinema: un viaggio fra due mondi” (Scuola di teatro e audiovisivi). Una scuola di racconti teatrali e digitali. Non si tratta di un corso ma di una vera e propria scuola della durata di due anni e con diversi insegnanti, specifici per le diverse materie trattate. La filosofia che ispira il nostro lavoro è quella di tracciare un percorso che fonda nella forza del teatro, capace di raccontare storie nello spazio, quella di raccontarle anche su di uno schermo, che questo sia quello del computer, del video o del cinema. Recitare è “essere veri in una situazione finta”, una definizione bella e semplice, che descrive il processo profondo che sta alla base del lavoro creativo, in teatro e su uno schermo, ovunque vi sia una storia raccontata attraverso gli attori ed i personaggi cui essi danno vita. La regia teatrale è raccontare una storia nello spazio, componendo tutti i linguaggi, da quelli del testo, delle luci e dei suoni, dell’organizzazione visiva e dinamica della scena, fino a quelli degli attori.

Tutto questo costituisce il fondamento della possibilità di raccontare storie sugli schermi Finalità Attraverso l’antica e nobile radice teatrale intendiamo quindi dare una nuova dignità a tante forme di racconto contemporaneo di grande facilità tecnica ma spesso realizzate senza alcuna qualità artistica e con pessimi risultati comunicativi, come il video, il cortometraggio o la web serie, nonché contribuire alla qualità del lavoro cinematografico.

La struttura
I due anni e gli insegnamenti.Primo anno, insegnamenti: “Recitazione I: storie, personaggi, situazioni. La finzione, la presenza fisica e il personaggio”. “Regia I: i mondi possibili del racconto scenico” “Recitazione per lo schermo, davanti all’obiettivo. Acting e micromimica facciale”. “Realizzazione di un cortometraggio” Secondo anno, insegnamenti: “Recitazione II: La finzione, la presenza fisica e il personaggio, a confronto con vari tipi di testualità” “Regia II: storie, personaggi e situazioni da vari testi e sceneggiature: le diverse modalità del racconto spettacolare” “Sceneggiatura” “Realizzazione di un video originale degli allievi” .

“Caratteristica che riteniamo unica della scuola, sarà quella di presentare, come esercitazione di fine anno, una performance teatrale dalla quale trarremo spunto per creare un video su quello stesso soggetto, ma questa volta sceneggiato e montato secondo il linguaggio dell’audiovisivo, e quindi come racconto filmico per lo schermo.” La scuola è rivolta in particolare al mondo dei giovani e degli studenti universitari che abbiano avuto esperienze o abbiano un forte interesse per le arti dello spettacolo, la comunicazione, la recitazione e la fiction, attraverso i media “in presenza”, come quello teatrale, o il mezzo tecnologico, vissuto con una nuova qualità del messaggio e una diversa incisività del racconto sul piano emotivo, comunicativo, significativo. Opportunità create dalla scuola I prodotti, risultato del percorso fatto insieme, potranno partecipare a festival e rassegne, italiane e straniere, e girare su piattaforme web dedicate. Avremo l’opportunità di sottoporre il nostro lavoro al “Giffoni Film festival”, con cui collaboriamo, nonché network televisivi con i quali cooperiamo da tempo. Al termine del secondo anno sarà consegnato un diploma riconosciuto da Fonè e i suoi collaboratori e patrocinatori, come il “Giffoni Film Festival”, l’ARCI provinciale di Ferrara, il Comune di Ferrara

Organizzazione
Direttore artistico: Massimo Malucelli
Prima lezione gratuita: martedì 8 novembre 2016 ore 20,30 – 23 Periodo: novembre – maggio Frequenza: martedì e venerdì ore 20,30 – 23 Sede: associazione “Fonè”, via Arianuova, 128 Costi: 7 mesi per 20h al mese, tot 140h = Euro 665 totali, divisi in rate da 95€ mensili + 60 euro di iscrizione associativa annuale (comprensivi di materiali di consumo e saggio finale). Per gli studenti universitari c’è un forte sconto: 7 mesi per 20h al mese, tot 140h = Euro 455 totali, divisi in rate da 65€ mensili + 60 euro di iscrizione associativa annuale (comprensivi di materiali di consumo e saggio finale).

Pagamento
Alla prima lezione del mese al nostro incaricato.
Per motivi amministrativi questa regola dovrà essere rispettata con rigore.
Il pagamento sarà effettuato mese per mese 
A dicembre però si richiede anche il versamento della quota corrispondente al mese di maggio, a titolo di cauzione ed impegno da parte dello studente. Le lezioni saranno quindi pagate fino ad aprile compreso, in quanto maggio sarà già stato pagato.
Si capirà che l’organizzazione del corso è onerosa e soggetta a spese fisse, inoltre pensiamo che aderire a quest’esperienza debba essere un impegno che va rispettato seriamente, tanto da parte di chi la organizza come da parte di chi la frequenta, per cui, comunque, il pagamento dell’intera quota annuale rateizzata secondo cadenza mensile, è obbligatorio. Numero chiuso: minimo 8 massimo 20 persone.

Contatti
Vedi sito: www.foneteatro.com  Per info: foneteatro@gmail.com     Tel: 347 5997889 Si prega di prenotare la lezione di prova tramite mail

Goro, Gorino e il capitano Achab

Da: Organizzatori

Alla notizia della ‘eroica’ difesa del proprio territorio da parte dei cittadini di Gorino a fronte dell’invasore rappresentato da dodici profughe esauste e disperate, la prima reazione è stata per me di grande arrabbiatura. Ma a mente fredda mi pare che questo fatto, comunque da condannare, ponga in primo luogo degli interrogativi.
Le foto dei giornali e i Tg mostravano persone, maschi, con i volti solcati dalle asperità del mare e della terra ed era facile immaginare mani grandi e callose. Lì accanto l’immagine di una grigliata richiamava le certezze anche gastronomiche di una festa paesana. A prescindere dagli agitatori di professione, da evitare come la peste, specie se incarnati da politici sfascisti, solo un sentimento di ossessione può spiegare quei fatti, ossessione rivolta contro il diverso, contro l’altro da sé; intanto si trattava di donne, per di più nere, e persino, forse, musulmane. Il cardine interiorizzato di Dio, Patria e Famiglia ne risultava disturbato e questo era causa di disagio profondo: di qui ecco una reazione quasi ancestrale, un atto dettato dall’arcaismo. Un luogo isolato e con residui istinti tribali, per altro crescenti in tutta la società, reagiva come se fosse turbato dal tentativo di profanare un immaginario muro rassicurante e di protezione con in cima “cocci aguzzi di bottiglia”, posto tutto attorno all’abitato.
Quelle donne non bisognava neppure vederle, tanto meno parlare con loro e ascoltare le sofferenze disumane dalle quali erano state sfregiate; se fosse avvenuto potevano riaffiorare o comunque manifestarsi istinti di umanità, innati in tutti coloro che appartengono alla stessa specie homo sapiens.
Ossessione che in qualche modo rimanda in altissima forma letteraria al capitano Achab, l’ossessione disperata e la paura atavica del grande Leviatano, del diverso; paura del nemico inconoscibile ma anche brama di conoscere legati in forma indissolubile. Forse soprattutto paura dei propri demoni profondi e nascosti e rifiuto di indagarli: in Melville la terribile balena bianca Moby Dick, a Goro povere donne indifese. Deficit di identità o identità confusa, anche.
Il sindaco di Goro, a qualche ora dai fatti, parla giustamente di reazione a caldo, ovvero di reazione immediata, prerazionale e profonda. Più che ai sociologi direi che sarebbe utile rivolgersi e interrogare quanti scavano nel profondo, antropologi e psicanalisti, non per condannare ma per cercare di capire. Per cercare di risolvere conflitti nascosti e irrisolti. Mi auguro che ci sia la possibilità di farlo.

Mario Zamorani
Pluralismo e dissenso

Noi, fuggite per colpa di un padre, di un marito…
Belinda, Joy e Faith respinte dalle barricate:
“Perché non capite la nostra storia?”

Sono segnate dal viaggio e parlano con un filo di voce, guardando in basso. Sono tre delle dodici ragazze che ieri notte sono state catapultate a Ferrara dopo l’increscioso avvenimento di Gorino, dove gli abitanti hanno alzato le barricate contro il pulmann che le stava portando nel bar ostello Amore-Natura. Belinda, Joy e Faith hanno hanno accettato di rispondere alle domande dei giornalisti nella struttura di Asp in via Porta Reno, dove hanno trovato momentanea sistemazione.
Sono arrivate in Italia sabato in serata e a Bologna già domenica mattina: sono dodici ragazze, tutte molto giovani, di età compresa tra i venti e i ventidue anni. Le altre nove sono state provvisoriamente suddivise in altre strutture: quattro risiedono in un hotel a Massafiscaglia (Ferrara), quattro in una casa famiglia a Codigoro (Ferrara) e una nel centro Caritas in città.

Belinda, Joy e Faith aspettano frastornate in una stanza della struttura Asp, dove ancora incredule e imbarazzate cercano di capire e rispondere alle domande dei giornalisti, grazie anche all’aiuto di un traduttore Kevin.
Forse per sfogarsi o forse per cercare una ragione dell’inspiegabile trattamento della notte precedente, Belinda dice: “Non capiscono la nostra storia”. “All’inizio non abbiamo capito quale fosse il problema; poi, quando abbiamo compreso che non ci volevano, ci siamo rimaste male”, aggiunge l’altra ragazza di nome Faith.

Non è facile perché si legge sulle loro facce l’odissea che hanno passato, ma proviamo ugualmente a chiedere qualcosa della loro vita e del loro viaggio prima dell’arrivo qui a Ferrara.
Presi quasi da compassione e a volte sgomento a vedere queste ragazze ridotte in quello stato, proviamo chiedere con accortezza qualcosa della loro vita prima dell’arrivo a Ferrara.

Ci risponde per prima quella che sembra la più forte del trio, Belinda: ‘Vengo dalla Sierra Leone, lì facevo l’infermiera, sono dovuta fuggire per non essere catturata dalle autorità dopo che mio marito, prigioniero politico, è fuggito dal carcere”. “Dalla Siera Leone in Libia – continua Belinda – ho pagato cento dollari, dalla Libia a qui niente” e aggiunge “non sapevo niente dell’Italia in particolare, ma da quando ci sono mi piace molto. Prima di partire conoscevo solo qualcosa dell’Europa”. Anche Joy e Faith, le altre due ragazze provenienti dalla Nigeria, non conoscevano l’Italia, ma la pensano come la compagna.
Joy, incinta all’ottavo mese, ci racconta invece che è fuggita dalla sua stessa famiglia: “sono partita perchè io sono cristiana e mio padre no”. “Vorrei solo trovare un po di pace, tranquillità e non aver più paura, vorrei che mio figlio Michael – non è ancora nato ma lei spera sia un maschietto – “nascesse sereno, che potesse andare a scuola come gli altri bambini’. Per il viaggio dalla Nigeria alla Libia lei e il marito, di cui ha perso le tracce sulle coste africane, hanno pagato 420 euro circa.
L’ultima a parlare è Faith: “sono scappata dalla zona occupata da BoKo Haram, sono andata a nord verso il Mali. Non so più nulla della mia famiglia, nemmeno se sono ancora vivi” dice sussurrando per la troppa stanchezza accumulata. “Arrivate in Libia mi ha accolta un uomo arabo che ci ha aiutate a raggiungere la barca per fare la traversata” spiega la ventenne nigeriana.

Tra loro sembrano molto affiatate, ormai abituate a darsi forza a vicenda costantemente, cercando di reprimere il ricordo di ciò che hanno lasciato e cercando di pensare al presente. In una confidenza ci raccontano che il trio si è formato per caso durante il loro lungo e difficoltoso viaggio, ma Belinda aggiunge:”Io e Joy siamo ‘sorelle’, le nostre mamme sono sorelle”, è una loro usanza chiamarsi sorelle quando ci sono legami di parentela, ma capiamo e poi ci confermano che sono cugine.
Sono partite per i motivi più diversi, inizialmente senza avere una meta precisa, solo con l’idea di doversi allontanare da quell’infausto posto che loro chiamavano ‘casa’.
Si fidano dell’Italia, piace molto a tutte e tre: tra la paura sboccia anche un barlume di speranza per una vita migliore, per un po’ di serenità, anche per un bimbo che deve ancora nascere.
Finalmente, anche se con un po di sforzo, riescono a salutarci con un accenno di sorriso e si allontanano per riposare e ritornare nella loro stanza, come normali persone che hanno bisogno di riposare dopo un lungo viaggio.

Gorino, il prefetto Tortora: “La requisizione era l’unica strada”
“Ci sono altre 450 persone da sistemare”

“Sono mesi che stiamo tentando di trovare disponibilità presso alberghi, strutture e tutti quanti ci dicono che sono al completo appena sentono parlare di profughi. Lascio a voi considerare se questa risposta può essere o meno plausibile. L’unico strumento per trovare posto era quello della requisizione, non avevamo alternative. Ho fatto una requisizione parziale pensando che, così facendo, l’ostello di Gorino potesse comunque essere in grado di continuare a svolgere un minimo di attività economica”.
A parlare è il Prefetto Michele Tortora alla conferenza stampa di martedì 25 indetta per dare la sua versione riguardo la vicenda dell’autobus diretto a Gorino per alloggiare 12 donne in arrivo da Bologna, tra loro una giovane all’ottavo mese di gravidanza.

Sabato scorso la prefettura del capoluogo emiliano si è appellata a Ferrara per ospitare una trentina di profughi che sarebbero giunti in zona nel weekend. Questo ha rotto definitivamente gli equilibri fin troppo precari e al limite della resistenza. Il Prefetto, cercando tempestivamente una soluzione ha pensato di requisire parte di un ostello situato a Gorino per indirizzare lì 12 degli immigrati in questione.
Lunedì 24 in serata, non appena si è sparsa nella comunità di Gorino la notizia che stava arrivando un autobus con a bordo migranti da alloggiare presso l’unico esercizio pubblico del paese, il bar ostello Amore-Natura, tutti si sono uniti contro questa decisione. A nulla è servita la mediazione attuata per placare la folla: errate voci di corridoio avevano già invaso l’opinione pubblica e il risultato è stato un muro eretto non solo con barriere fisiche, ma anche mentali che non hanno permesso l’arrivo a destinazione dell’autobus. Il prefetto dunque, dopo alcune ore, ha dovuto cedere e le donne sono state smistate in altri centri di accoglienza.

Se questa è stata la reazione per 12 persone, cosa succederà quando arriveranno le “altre 450 persone” che il Prefetto ha annunciato essere ancora in attesa di un alloggio da trovare in Regione?
Tortora, ha dunque rivolto un appello a tutte le istituzioni, alle associazioni e ai privati che dispongano di posti nei quali far alloggiare i migranti in arrivo. “Spesso con preavviso ridottissimo, in meno di 24 ore ci viene detto che i profughi stanno arrivando e dobbiamo, con affanno ed estrema urgenza, trovare luoghi per l’ accoglienza. Attualmente sono 800 i profughi che abbiamo in gestione, sparsi in una cinquantina di luoghi, ma i numeri sono in continuo aumento”.
Ci sono problematiche che non possono essere rimandate o tenute nel silenzio. Spargere la voce, continua il Prefetto, può essere il primo passo per affrontare questa situazione che diventerà inesorabilmente sempre più difficile se tralasciata.
Il Prefetto in chiusura ha rivolto alle comunità con un ultimo appello: “Sono molto amareggiato: credo che questo fenomeno o si gestisce insieme con buon senso e senso di responsabilità oppure non si gestisce. Mi appello a tutte quelle persone di buona volontà, alle istituzioni, agli enti locali, alle associazioni di volontariato, dateci una mano”.

Vergognosa astensione dell’Italia sul Muro del Pianto

Al popolo ebraico non è concesso vivere in pace.
La vergognosa astensione dell’Italia in sede UNESCO durante il voto sulla risoluzione sul Muro del Pianto a Gerusalemme è stato un atteggiamento alquanto ambiguo: una risoluzione che offende la verità storica, non solo ebraica ma anche cristiana.
L’Unesco, nonostante le critiche veicolate da migliaia di mail e manifestazioni di piazza, non ha inteso ripassare la storia ed ha cancellato le origini ebraiche del Muro Occidentale e del Muro del Pianto di Gerusalemme. Si sono voluti cancellare tremila anni di storia ebraica: un vero stupro.
Fra le moltissime dichiarazioni pubbliche, condivisibile quella di Rav Giuseppe Laras: “Da superstite della Shoah, da italiano e da ebreo, dinanzi a tale sì vile e infamante astensione, ritengo che lor signori politici italiani, alla Giornata della Memoria e della Cultura Ebraica, dovreste starvene a casa vostra e non nausearci con discorsi melensi e ipocriti, per di più postumi, sconfessati dalle vostre stesse pratiche.”
La Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, ha affermato: “…un voto sconcertante e fuori dalla Storia su cui anche l’Italia ha delle responsabilità…”

E ora? Ora interviene il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che non solo condanna la Risoluzione dell’UNESCO, ma anche l’astensione dell’Italia, dove sembrerebbe che “l’astensione sia avvenuta a sua insaputa”.
Poteva non sapere? Ora servono fatti concreti e non solo chiacchiere.

Solidali a Capodanno… solidali tutto l’anno?

Ecco che si avvicina uno dei momenti più attesi dell’anno, non solo dai bambini, ma anche da qualche adulto particolarmente sensibile alla magia di questo periodo. Ebbene sì, il Natale è alle porte e anche quest’anno la città di Ferrara si sta preparando al meglio per accogliere i numerosi turisti e per esaudire i desideri e le aspettative della comunità.
“A Natale si è tutti più buoni” dicono… e se nell’intento è riuscito pure Scrooge (protagonista del celebre romanzo di Dickens “A Christmas Carol”) Ferrara non vuole certamente essere da meno! Per questo si mette in gioco con nuove proposte che mirano alla solidarietà.
Il vecchio albero in vetro di Murano quest’anno non potrà essere presente, ma rimarrà il suo ricordo negli addobbi che riempiranno il nuovo albero. Saranno proprio questi addobbi ad esser venduti a fine manifestazione e il ricavato verrà devoluto all’Emporio Solidale “Il Mantello”.
Il countdown inizierà sabato 19 novembre con l’accensione delle luminarie che percorreranno il centro storico e le vie della città e quest’aria di festa durerà fino a domenica 8 gennaio.
A parlare delle svariate iniziative sono stati gli organizzatori Riccardo Cavicchi, Alessandro Pasetti e Mauro Spadoni alla conferenza stampa di lunedì 24 ottobre.
La città offrirà numerose iniziative. Spettacoli, concerti, cene e fontane danzanti sono solo alcune delle proposte di quest’inverno. Proposte, che verranno estese anche al quartiere Giardino.
Ricordando le trentamila persone dell’anno scorso, uno degli eventi dal quale ci si aspetta la maggior affluenza sarà l’incendio del castello allo scoccare dell’anno nuovo. Lo spettacolo pirotecnico ormai consolidato da anni continuerà ad essere uno dei fiori all’occhiello della città. La festa proseguirà fino alle 3 di notte in compagnia con Dj Set.
“Anno nuovo, vita nuova” e, tra proposte d’iniziativa solidale, e festa “col botto” in piazza si saluterà questo 2016 per dare il benvenuto a un nuovo anno, carico di aspettative, speranze e… solidarietà.

Impara l’arte… Ferrara Off riparte!!

di Chiara Argelli

Si apre un nuovo capitolo, anzi un nuovo sipario per Ferrara Off, l’organizzazione che da qualche anno a questa parte riesce a fondere teatro e cultura coinvolgendo grandi e piccoli con le sue iniziative.
Questo spazio, che ha trovato sede in Corso Alfonso I d’Este, cerca ogni anno collaborazioni nuove e workshop creativi da proporre alla comunità.
Infatti, riapre la stagione con l’iniziativa “Fuori dai coppi” presentata nella conferenza stampa di Giovedì 20 Ottobre tenutasi proprio nella sede di Ferrara Off. Introdotta da Monica Pavani, responsabile delle attività culturali e delle relazioni esterne, la conferenza ha visto anche la partecipazione di responsabili della programmazione come Marco Sgarbi, e ballerine professioniste quali Astrid Boons e Maria Chiara Mezzadri. Ogni responsabile e portavoce ha esposto le proprie proposte di incontri e workshop, che si terranno a partire da questo mese, svelando l’arte in tutte le sue sfaccettature, dalla danza al teatro, dalla pittura al cinema.
Si parte sabato 29 Ottobre e sabato 17 Dicembre con l’appuntamento “3 regine, 2 re, 1 trono” uno spettacolo prodotto da Ferrara Off per far ridere i più piccini e far riflettere i più grandi, adatto dunque ad un pubblico di qualsiasi età. Interpretato da 5 ragazzi, sarà anche un interessante modo per avvicinare i bambini al mondo del teatro.
Da domenica 30 Ottobre, per 4 settimane, vi saranno le proiezioni dei film “La donna che canta” di Denis Villeneuve, “Il giardino dei limoni” di Eran Riklis, “Private” di Saverio Costanzo e “Omar” di Hany Abu-Assad. Questo ciclo di incontri chiamato “Domeniche d’autunno” continuerà con altri tre appuntamenti, ognuno incentrato sulle opere di un grande artista italiano, Mantegna, Raffaello e Tiziano. Questi eventi saranno condotti da Giacomo Cossio.
Lunedì 31 Ottobre al Teatro Boldini verrà messo in mostra la rappresentazione teatrale del film “Rocky horror picture show” in collaborazione con Circo Massimo.
Sabato 5 e 19 Novembre sarà “Molly Bloom” la protagonista. Si tratta della riduzione del celebre monologo finale dell’ “Ulisse” di Joyce, interpretato da Diana Hobel. Lo spettacolo risulterà un ottimo spunto per riflettere su delle tematiche che spesso costituiscono ancora un tabù per la nostra società.
Sabato 12 Novembre verrà messo in scena lo spettacolo “Lontano nella neve. Storie d’ amore e di resistenza” dove le testimonianze partigiane ci riporteranno indietro per rivivere, con una serie di racconti, uno dei periodi più intensi della storia italiana.
Sabato 26 Novembre vi sarà l’omaggio al capolavoro di Ludovico Ariosto con “Orlando furiosamente solo rotolando”, ideale per chi vuole rivivere battaglie, accampamenti, amori e magie dell’ epoca di Carlo Magno.
Sabato 10 Novembre doppio incontro con “piantine che salvano in mondo” un racconto teatrale, pensato per i bambini dai 7 agli 11 anni, che cerca di dare una spiegazione visiva leggermente romanzata della nascita del genere umano. A seguire “Sidera, le stelle” dove verranno recuperate storie della tradizione greca e latina per raccontare il cielo notturno e i suoi misteri.
Tutto questo, è solamente una fugace “sbirciata dietro le quinte” di ciò che Ferrara Off propone. Come spiega Marco Sgarbi “Questa realtà culturale che continua ad esercitare un ruolo importante sul nostro territorio non vuole essere solo un luogo di spettacolo ma anche di incontro e di crescita personale”. Riaprono così i corsi di danza e teatro per grandi e piccini, donne e uomini, studenti e dottori… per tutti coloro che desiderano salire sul palco e dare forma ai propri sogni.

Maya: il linguaggio della bellezza

di Maria Paola Forlani

Al Palazzo della Gran Guardia di Verona, dall’8 ottobre al 5 marzo 2017, è aperta una interessantissima mostra dedicata ai Maya, ricca di reperti e opere dell’arte e dell’artigianato dell’antica civiltà amerinda.

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Si è aperta nelle sale di Palazzo della Gran Guardia a Verona la mostra Maya. Il linguaggio della bellezza, fino al 5 marzo 2017.
A 18 anni di distanza dalla mostra del 1998 sui Maya di Venezia, è tornato in Italia il racconto della storia di un popolo che non cessa di affascinare per le sue conoscenze matematiche, per i suoi raffinatissimi sistemi calendariali e per le sue realizzazioni artistiche.
L’esposizione – risultato della particolare attenzione per le tematiche specificamente artistiche di questa civiltà – presenta sculture, stele monumentali, elementi architettonici, figure in terracotta, maschere in giada, strumenti musicali e incensieri, che danno la possibilità, al visitatore, di esplorare gli aspetti artistici di una delle civiltà più affascinanti della storia, attraverso il tema della bellezza.
La mostra di Verona affronta per la prima volta il tema della cultura di questo antico popolo attraverso le parole e i testi degli stessi Maya, utilizzando – come mai è avvenuto in passato – la più grande rivoluzione antropologica dell’ultimo secolo: la decifrazione della loro scrittura.
Parallelamente, l’esposizione offre uno sguardo nuovo, innovativo e sorprendentemente attuale sull’arte maya a partire dall’individuazione dei maestri, delle scuole e degli stili: finalmente si ha la possibilità di rapportarsi alle opere attraverso una lettura storico-artistica e non solo archeologica.
Sculture dalle forme umane e animali, oggetti d’uso comune, maschere, urne funerarie e altri reperti di pregio raccontano il mondo Maya nelle quattro sezioni tematiche della mostra: Il corpo come tela, Il corpo rivestito, La controparte animale e I corpi delle divinità.
Fregi e architravi che ricostruiscono antichi ambienti, frammenti di testi, mappe e simboli di potere ripercorrono duemila anni di storia lungo un articolato percorso espositivo che racconta la cultura Maya attraverso la decorazione dei corpi (i Maya erano molto attenti alla bellezza e per questo ornavano il corpo con interventi temporanei o permanenti come pitture corporali, elaborate pettinature, tatuaggi e decorazioni dentali); gli abiti e gli ornamenti utilizzati per indicare lo stato sociale; il loro rapporto con gli animali simbolo delle forze naturali, dei livelli del cosmo e degli eventi dei miti cosmogonici; le diverse divinità ed entità sacre adorate da questo popolo, i sacerdoti che le rappresentavano e i paraphernalia dei rituali per la prima volta si presenta l’arte maya a partire da rigorose e specifiche analisi storico-artistiche che sviluppano la tematica delle attribuzioni e arrivano a individuare i grandi artisti della pittura e della scultura.
A prima vista l’arte maya sembra essenzialmente naturalista e con una marcata preferenza per l’uso di figure umane, animali e vegetali. Tuttavia, osservando più attentamente le raffigurazioni su terracotta, scultura e pittura murale, è sorprendente l’enorme diversità di immagini nelle quali un personaggio assume le caratteristiche e le qualità di un altro o di altri, siano essi uno o diversi essere soprannaturali, uno o più animali o uno o varie piante o alberi. Tale personificazione o interpretazione di esseri fantastici, è il risultato di una visione complessa del mondo sviluppata dai Maya nel corso di interi secoli di scambi di idee, non solo fra i diversi popoli maya, ma anche fra altre regioni del Mesoamerica, come il centro del Messico, Oaxaca e la Costa del Golfo, inclusi popoli allora scomparsi, come gli Olmechi, da cui ereditarono alcune delle idee fondamentali per elaborare tale visione del mondo.

Prima sezione: Il corpo come tela
Elemento comune a tutte le società, attuali e del passato, risultano essere gli interventi sul corpo umano. Soprattutto nel mondo maya, in cui la bellezza aveva un ruolo preminente, la popolazione era solita realizzare quotidianamente acconciature per capelli e pitture su viso e corpo, riservandone invece di specifiche e particolari in occasione delle festività, al fine di modificare l’aspetto fisico per ragioni estetiche.
Alcune di queste pratiche, come le cicatrici e i tatuaggi, hanno cambiato per tutta la vita l’aspetto delle persone che li avevano ed erano infatti considerati espressioni visibili di identità culturale e di appartenenza sociale. Tra le modifiche permanenti hanno acquisito particolare importanza la scarificazione del viso, la decorazione dei denti e la modifica artificiale della forma della testa, lo strabismo intenzionale e la foratura per poter portare ornamenti applicati su orecchie, naso e labbra.
Seconda sezione: Il corpo rivestito
L’abbigliamento rappresenta un vero e proprio linguaggio, con un suo vocabolario e una grammatica e benchè sembri manifestarsi nell’effimero e nel superficiale – va invece a toccare elementi essenziali e basilari. Per i Maya l’abito è indicativo dello statu sociale dell’individuo. La maggior parte della popolazione impegnata in lavori agricoli presenta un abbigliamento semplice: le donne con la tradizionale blusa chiamata “hulpil” e la gonna o la tunica, mentre gli uomini con il perizoma legato intorno alla vita e talvolta un lungo mantello.
La classe nobile indossava costumi elaborati con accessori come cinture, collane, copricapo e pettorali tempestati di pietre preziose e piumaggi. I tessuti, ricchi di colori, erano tinti con indaco, cocciniglia o porpora ed erano lavorate con tecniche molto complesse – come il broccato, ad esempio – e spesso presentavano integrazioni di piume.
Terza sezione: La controparte animale
Gli animali hanno sempre avuto un posto privilegiato nel simbolismo religioso di diverse culture.
Molti esseri provenienti dal mondo degli animali erano considerati sacri dai Maya. Gli animali erano simboli di forze naturali e livelli cosmici, epifanie di energie divine, demiurghi tra gli dei e l’uomo, protettori di stirpi e alter ego degli esseri umani.
Quarta Sezione: I corpi delle divinità
I Maya adoravano molte divinità ed entità sacre di diversa natura, che potevano incarnare i poteri più grandi o essere custodi di piccole piante, di piccoli corsi d’acqua o delle montagne. Le loro rappresentazioni includono caratteristiche umane e animali, elementi naturali o immaginari. A questi dei ed esseri sacri è stata attribuita l’origine di quei terrificanti fenomeni naturali di cui avevano paura e dell’espressione materiale e spirituale di tutto ciò che esiste.
I tre grandi periodi – preclassico, classico e postclassico – che dal 200 a.C. al 1542 d.C. hanno visto fiorire questo popolo, sono spiegati attraverso straordinari capolavori dell’arte maya come il Portastendardi, pregiata scultura risalente all’XI secolo realizzata da un maestro di Chichen Itza ; la Testa raffigurante Pakal il Grande che visse dal 603 al 683 dopo Cristo e fu il più importante re di Palenque;
la Maschera a mosaico di giada raffigurante un re divinizzato tipico esempio di maschera funeraria, fondamentale per il defunto per raggiungere il mondo sotterraneo; e infine come l’Adolescente di Cumpich, importante scultura risalente al periodo tardo classico ritrovata nel sito archeologico di Cumpich.
Per informazioni sulla mostra: www.mayaverona.it

 

 

 

INSOLITE NOTE
Hyris Corp Ltd, sotto il segno della musica

La matrice è progressive rock e metal, un biglietto da visita inequivocabile, così come lo sono le emozioni che corrono veloci sulle note eseguite dal polistrumentista Bljak Randalls, alias Dario Stoppa, in questo suo album dalle vibrazioni convertite in impulsi elettrici da pick-up viscerali. Il prog, in senso classico, rappresenta un insieme di tempi, dimensioni e dinamiche, uno scenario di situazioni futuribili che, nelle intenzioni dell’autore, arrivano sino alla fine dei tempi per mezzo dello scorrere degli eventi, in questo caso dei brani. Il nome Hyris Corp. Ltd. nasce per dare una connotazione “british” al progetto, l’idea di aggiungere il nome del fiore è del bassista John Gordio.

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Figura 1: Il disco omonimo di Hyris Corp Ltd è pubblicato da Seahorse Recordings e promosso da New Model Label di Ferrara

L’album è basato su emozioni e matematica, con riferimenti musicali, filosofici e artistici così spiegati dall’autore: “Il mio legame con la matematica ha a che fare con la matematica “personale” (concetto che potrebbe sembrare assurdo). Come in ogni sistema chiuso che obbedisce alle proprie regole, il mio è costituito da una matematica che ovviamente si deve per forza basare su quella ufficiale, ma che si è sviluppata e ha maturato un insieme di regole del tutto personali, attribuendo ai numeri e alle funzioni, delle valenze quasi esoteriche e spirituali”.
I 14 brani strumentali si sviluppano in un percorso di colori e memoria, come in “American tears”, in cui rivive l’assassinio di John Kennedy, con le immagini girate da Abraham Zapruder, il sarto statunitense divenuto celebre per aver ripreso con una cinepresa 8 mm il corteo presidenziale a Elm Street nel momento dell’omicidio del presidente degli Stati Uniti. Il brano, suonato da archi, rivela da subito un tono drammatico e distorto, un’enfasi d’attesa che sfocia nel dramma. Sulla stessa linea “Tower farther”, in cui la chitarra elettrica prende il sopravvento sulla narrazione visiva, e dove, citando l’autore: “Ogni strumento si trova a una certa frequenza e velocità di scorrimento rispetto a un altro, generando fra essi “livelli” di parallasse. Ogni micro-struttura, veloce, è incorporata da una macro-struttura (suonata da un altro strumento), che, con uno scorrimento più lento, richiama comunque il mood della prima e viceversa”.
Nelle canzoni, molto diverse tra di loro, coesistono tutti i segni zodiacali e le relative personalità, dal segno del Cancro in “Marianne” sino a “One million times”, un pezzo sulla comunicazione, di cui i nati sotto il segno dei gemelli sono maestri. La musica di Bljak riporta alla mente decine di anni di progressive ma le chiavi di lettura sono l’originalità e le sottotracce, così come il luogo in cui sono nati i brani. In “One million times” c’è un legame tra Venezia e un qualsiasi posto della terra, come potrebbe essere Los Angeles, rievocato dagli echi di un Laserium di cui ci fece omaggio Tolo Marton nell’album “Smogmagica” inciso con Le Orme.

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Figura 2: Bljak Randalls, alias Dario Stoppa

“Marianne” è un pensiero triste del passato, come suggeriscono le note struggenti del piano, in ricordo della forza d’animo di un’amica e della sua bimba mai nata, una sorta di rilettura in chiave moderna della “Pavane pour une infante défunte” di Ravel.
La chitarra e la batteria quantizzata in midi, sostengono la ritmica di “Plasters Inc”, un viaggio nel tempo proiettato nel futuro, con sonorità che echeggiano gli anni ’70, un paradosso temporale sostenuto dalla forza del rock.
Ogni brano ha la sua anima musicale, “Ocean/One” e “Cielo blu” evocano un prog di matrice italiana, ma la forza del disco è nel suo insieme. Non ci sono singoli da scoprire, si deve soltanto seguire il sentiero tracciato dall’autore, entrare nel suo mondo e ritrovare parti del proprio. Il punto d’arrivo è “The powers that were”, in cui l’assolo, nel passaggio in cui sfocia nell’arpeggio, stacca il fusibile dal circuito dimensionale dello spaziotempo, per tornare al presente.
Ci sono voluti 10 anni per comporre i 14 brani dell’album, un mosaico composto di altrettante metafore di vita, capace di riunire insieme, idee, emozioni, ritmi, armonie ed epoche diverse differenti.
Matteo Anelli, autore di quasi tutti i drums, accompagna gli Hyris/Bljak in questo percorso, con il “magico” intervento di Paolo Messere e il suo mixer. E’ pleonastico elencare i generi e sottogeneri cui sono legate le canzoni, così come spiegare nei dettagli il piano zodiacale dell’album, il suggerimento è di ascoltarlo e non perdere la traccia fantasma inserita dopo l’ultimo brano!

Il canale YouTube di Hyris Corp Ltd – Le canzoni
https://www.youtube.com/channel/UCwsrDOqbrl8aF_wZNZ72_CA

L’EVENTO
Il ‘kit’ anti-mafia? Responsabilità, legalità e piccole scelte quotidiane

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“Il problema più grande non è chi fa il male, ma quanti guardano e lasciano fare. L’omertà uccide la speranza delle persone, noi dobbiamo uccidere l’omertà avendo il coraggio di avere più coraggio. Il coraggio dell’impegno quotidiano”.
Sono parole di don Luigi Ciotti, il fondatore di Libera-Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Le ha pronunciate ieri a Crotone durante la manifestazione organizzata per festeggiare il compleanno di Domenico Gabriele: Dodò, come lo chiamavano tutti, ieri avrebbe compiuto 18 anni, se non fosse stato ucciso quando ne aveva 11 su un campo di calcetto dai colpi di fucile esplosi nel corso di un regolamento di conti tra bande mafiose.
Sono le parole che ha ripetuto il referente del Coordinamento Provinciale di Libera di Ferrara, Donato La Muscatella, durante la conferenza stampa di presentazione della settima edizione della Festa della Legalità e della Responsabilità, che si terrà a Ferrara dal 22 ottobre al 7 novembre, dedicata quest’anno al tema “Crescere la legalità”.
È ancora don Ciotti a ricordare che la legalità non è solo un valore in quanto tale: è l’anello che salda la responsabilità individuale alla giustizia sociale, l’io e il noi. “Le regole funzionano se incontrano coscienze critiche, responsabili, capaci di distinguere, di scegliere, di essere coerenti con quelle scelte. La regola parla a ciascuno di noi, ma non possiamo circoscrivere il suo messaggio alla sola esistenza individuale: in ballo c’è il bene comune, la vita di tutti, la società”. Legalità, responsabilità e comunità: senza l’una non si danno le altre. Insomma, ha concluso La Muscatella, “la legalità e il valore, il fine cui tendere, ma il mezzo per perseguirlo e la strada da percorrere è l’educazione alla responsabilità”.

Ecco perché nel programma 2016 tanti sono gli appuntamenti dedicati all’approfondimento e alla formazione, non solo per addetti ai lavori, ma anche e soprattutto per i cittadini di oggi e di domani. Due seminari per giornalisti aperti alla cittadinanza: sabato 22 alle 9.30 in Sala della musica “Legalità e Lavoro: Fondi rubati all’Agricoltura” e martedì 25 ottobre alla Sala Arengo alle 20.30 “La criminalità in Italia: tendenze, evoluzione e caratteristiche dei fenomeni criminosi”. E poi due incontri formativi per i docenti nelle aule dell’Istituto di Istruzione Superiore Carducci: “Non era un gioco – riflessioni e strumenti per educare gli adolescenti alla legalità. A cosa serve punire in educazione?” e “Non era un gioco: kit per l’educazione alla legalità”.

Parlare di responsabilità di ciascuno significa però anche puntare i riflettori sulle possibili connessioni che la criminalità crea con diversi soggetti della società civile. Se ne parla soprattutto grazie alla collaborazione con il Laboratorio MaCrO del dipartimento di giurisprudenza, presso il quale si terranno due incontri: giovedì 27 ottobre alle 15 “Misure patrimoniali e contrasto alla criminalità organizzata”, con Antonio Balsamo (Procura generale della Corte di Cassazione), Roberto Chenal (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), Alberto Ziroldi (Tribunale di Bologna) e l’incontro conclusivo del 7 novembre, “La criminalità economica e le sue connessioni con i network politico-mafiosi”, che avrà come ospite d’onore il procuratore generale della corte d’appello di Palermo, Roberto Scarpinato.

Infine, terzo filo conduttore sarà la terra: forse niente più della terra esprime il legame fra singolo e comunità e diventa nello stesso tempo “luogo di lavoro e simbolo di riscatto”, in particolare quando si tratta di terre sottratte alla criminalità. Due appuntamenti la vedranno protagonista: la docu-inchiesta “Fondi rubati all’agricoltura”, che indaga come la criminalità si infiltra nel sistema delle sovvenzioni europee di sostegno al reddito degli agricoltori, presentata il 22 ottobre dall’autore Alessandro Di Nunzio (insieme a Diego Gandolfo vincitore del Premio Roberto Morrione 2015 proprio per questo lavoro); la presentazione del progetto “The Harvest” il 2 novembre al cinema Boldini, un documentario sulla vita delle comunità Sikh stanziate stabilmente nella zona dell’Agro Pontino, dove episodi di sfruttamento (caporalato, cottimo, basso salario, violenza fisica e verbale) sono stati rilevati in numerosi casi, quasi sempre da associazioni che operano sul territorio locale.

Non mancheranno gli Aperitivi della Legalità organizzati il 22 e il 23 ottobre in piazza municipale dal Coordinamento Provinciale di Libera, dal Presidio Studentesco “Giuseppe Francese” e da Pro Loco Voghiera. E poi un concerto, uno spettacolo teatrale e una rassegna cinematografica, perché ogni linguaggio è utile per parlare di legalità e responsabilità: venerdì 28 ottobre alle 9 presso la Sala Boldini “F(ilm)a la cosa giusta – Il rapporto tra comunicazione audiovisiva e legalità”; sabato 29 ottobre dalle 21 alla Sala Estense “Musica Libera – una canzone per la legalità”; venerdì 4 novembre in Sala Estense alle 10 lo spettacolo “Keep calm and follow the law”, ideato dall’IIS N. Copernico A. Carpeggiani nell’ambito del progetto: “Educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva”.

Leggi il programma della Festa della Legalità e della Responsabilità 2016

ECOLOGICAMENTE
All’evento CH4 a Bologna si discute di energia sostenibile

All’evento H2O di Bologna si parla anche di CH4: un “evento nell’evento” per approfondire il tema dell’utilizzo di gas naturale e di energia sostenibile

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Ad H2O (vedi http://www.ferraraitalia.it/levento-a-bologna-torna-h2o-la-fiera-europea-sullacqua-105361.html) si è parlato anche di…CH4. Il metano infatti continua ad essere un grande mercato e le novità in questo periodo sono state molte e importanti. CH4, evento nel settore della distribuzione e misura gas, ha rappresentato infatti un “evento nell’evento” all’interno di H2O in cui sono stati affrontati tutti i principali temi del settore con un’attenzione particolare allo sviluppo industriale in corso e atteso e alle opportunità di business che il sistema offre a investitori, fornitori, imprese.

Il settore gas rappresenta una tipica industria a rete, così come i servizi idrici, tuttavia presenta specifiche peculiarità e uno sviluppo tuttora in evoluzione: conoscerà infatti nei prossimi anni una notevole spinta visto il definitivo avvio delle tanto attese gare gas, e l’impatto di tale fenomeno sugli investimenti del settore.
Ricordiamoci che l’UE è il più grosso importatore di energia mondiale e che consuma nel suo insieme un quinto dell’energia prodotta a livello mondiale con una posizione di leader nel campo delle tecnologie energetiche. Per tale ragione è necessario promuovere l’integrazione dei mercati energetici, la creazione di partenariati privilegiati con alcuni attori chiave, la promozione del ruolo dell’UE in una futura energia a basse emissioni di carbonio e la promozione della sicurezza nucleare. In generale il sistema energetico europeo si è andato sviluppando verso tre direttrici:
– Garantire il funzionamento del mercato dell’energia;
– Garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico nell’Unione;
– Promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili.

In Italia l’impiego di gas naturale ha conosciuto negli anni uno sviluppo sempre maggiore, sia perchè si tratta di una fonte energetica con minore impatto ambientale rispetto alle altre fonti energetiche come carbone e petrolio, sia perché presenta un’elevata efficienza in taluni impieghi. Al contempo l’Italia è un paese notoriamente carente di un proprio approvvigionamento autonomo, il che ha posto un problema di liberalizzazione totale nel settore del down-stream della filiera del gas naturale. Lo scenario di riferimento pertanto ha visto lo sviluppo di nuove tecnologie (di trasporto, di liquefazione, etc.) e la presenza di nuovi soggetti offerenti, rendendo più dinamica un’offerta in passato fortemente limitata da vincoli di natura pubblica.

In considerazione dell’importanza delle fonti energetiche per l’industria e l’economia del Paese, le tematiche sono state affrontate con un occhio di riguardo al tema degli investimenti e anche del finanziamento degli investimenti stessi, con la consapevolezza che un forte intervento in questo settore, in parallelo all’assegnazione delle prime gare gas, possa essere un veicolo di sviluppo complessivo. I temi energetici sono inoltre fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi ambientali di riduzione delle emissioni e rimodulazione dell’uso delle fonti. Per questo i distributori del gas sono i destinatari di un impegno a raggiungere, attraverso investimenti nel settore del risparmio energetico, gli obiettivi annualmente posti a livello nazionale.

Le principali direttive di sviluppo di settore, che hanno trovato spazio in specifici eventi di approfondimento, hanno riguardato i seguenti temi:
• Efficienza energetica
Incrementare l’efficienza energetica rappresenta il primo passo per ridurre in modo economico le emissioni, ma anche per migliorare la sicurezza energetica europea e la competitività e per rendere più accessibile il consumo energetico per i consumatori. Tale obiettivo è da perseguire per l’intera catena dell’energia (dalla produzione alla trasmissione e alla distribuzione, fino al consumo finale).
• Tecnologie a servizio dell’efficienza energetica

I Titoli di Efficienza Energetica (TEE), denominati anche “certificati bianchi”, sono istituiti dai Decreti del Ministro delle Attività Produttive, di concerto con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e sono emessi dal Gestore dei Mercati Energetici (GME) in favore dei vari soggetti interessati: distributori di energia elettrica e gas; società operanti nel settore dei servizi energetici (E.S.Co.); soggetti che hanno effettivamente provveduto alla nomina del responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia; imprese operanti nei settori industriale, civile, terziario, agricolo, trasporti e servizi pubblici, ivi compresi gli Enti pubblici

In CH4 è stato dato infatti grande rilevanza ai processi e alle tecnologie per l’uso efficiente dell’energia con l’obiettivo di efficientare i costi, migliorare i servizi e la qualità e favorire la sostenibilità ambientale nei settori dell’industria, dell’agricoltura, dei trasporti, dei servizi, dell’edilizia e dello sviluppo urbano.
Abbiamo inoltre fatto il punto sul mercato del gas, dove le gare per il servizio di distribuzione sono in fase di start up e portano con loro importanti percorsi di ristrutturazione industriale. Si assiste infatti a un’evoluzione che va verso la creazione imprese di maggiori dimensioni e con bacini di intervento sempre più strutturati. Tale modifica, che non può prescindere dalla presenza di regole chiare e condivise, potrà portare a uno sviluppo di innovazione, investimenti e tecnologie

In proposito grande importanza si è dato agli Ambiti per la distribuzione del gas naturale in Emilia Romagna. Il D.M. 19/1/20111 ha definito il numero di ATEM pari a 177 a livello nazionale e ha imposto che gli Enti locali di ciascun ambito territoriale minimo affidino il servizio di distribuzione gas tramite gara unica. Con l’emissione del D.M. 18/10/2011 vengono inoltre specificati i Comuni compresi in ogni ATEM, in forma tabellare. La Regione Emilia Romagna comprende 12 ambiti territoriali. I confini degli ATEM non sono perfettamente coincidenti con quelli provinciali in quanto ricalcano la topologia delle connessioni di rete. Quindi in tutti gli ATEM sono ricompresi comuni esterni al confine provinciale o sono assenti comuni della stessa provincia. Ciò non vale per il solo ambito di Ferrara i cui confini coincidono con i confini amministrativi dei 26 comuni della provincia.

Inoltre dopo oltre quindici anni dalla sua emanazione, si potranno vedere, a partire dalla fine del 2016, gli effetti del D.Lgs. n. 164/2000 (Decreto Letta) e s.m.i. rispetto alle gare per la concessione del servizio di distribuzione di gas naturale. Si tratta di una normativa molto importante perché include nella procedura di gara (normata dal DM 226/2011 e s.m.i.) tutti i comuni italiani, quindi anche gli oltre 1200 non metanizzati, in quanto la concessione verrà affidata sulla base dei 177 ambiti previsti in Italia, che includono appunto tutti i comuni italiani, senza eccezioni. Tuttavia, il gestore aggiudicatario della concessione non è obbligato ad estendere ai comuni non metanizzati la rete di distribuzione del metano, a meno che non siano garantiti finanziamenti pubblici in conto capitale, pari almeno al 50% del valore complessivo dell’opera da realizzare.

Pertanto, l’eventuale metanizzazione del comune privo della rete potrà risultare, a causa dell’eccessiva distanza dalla rete nazionale e/o dell’esiguo numero di utenti, molto onerosa per il gestore e, quindi, non sostenibile.
Insomma un evento di grande interesse che verrà ampliato e approfondito anche nei prossimi anni.

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Tempo di compiti, tempo di vita

Oltre oceano sono gli homework, da noi i compiti a casa. Un tormentone di questo scorcio d’inizio d’anno scolastico che fa dibattere non solo i nostri genitori e insegnanti, ma anche quelli degli Stati Uniti. Tutto il mondo è paese, dunque. Il Time del 30 agosto riporta i dati di una ricerca su pregi e difetti dei compiti a casa condotta dal professor Harris Cooper, psicologo della Duke University.
C’è da notare che oltre oceano sono più virtuosi di noialtri, perché da tempo il National PTA e la National Education Association hanno dettato le linee standard per l’assegnazione dei compiti a casa. Sostanzialmente dieci minuti al giorno per gli alunni della scuola primaria, venti per quelli della scuola media di primo grado, per poi passare a due ore per gli studenti delle superiori. Ciò nonostante alcune scuole elementari dal Massachusetts a New York hanno deliberato di abolire i compiti a casa. Sulla decisione non è che tutti i genitori siano concordi, soprattutto preoccupati che il non fare i compiti a casa possa compromettere l’accesso dei loro figli al college.
Di tutta questa vicenda fa sorridere la conclusione pilatesca della tanto sbandierata ricerca del professor Cooper per il quale i compiti a casa sono come le medicine e le diete, se ne prendi troppo poche sono inefficaci, se ne prendi troppe possono uccidere, se ne prendi la giusta dose non possono che far bene.
Se qualcuno pensava di ottenere suggerimenti per la risoluzione della diatriba dagli amici americani non può che rimanere deluso e continuare ad arrovellarsi sulla necessità o meno dei compiti a casa.
Compito è qualcosa che deve essere compiuto, portato a compimento. Nel caso specifico il luogo del compimento non è più la scuola, luogo da cui nasce la consegna, ma la casa, quindi un impegno disancorato dal suo ambiente originario, che deve essere eseguito in un altro contesto, un compito generalmente di apprendimento al difuori dell’ambiente consueto. È come uscire dall’ospedale e proseguire la cura a casa, senza però avere la certezza di prendere le medicine nelle giuste dosi.
Esercizio, memorizzazione, consolidamento di solito sono le prescrizioni dei compiti a casa, attività squisitamente scolastiche, se ancora non vigesse la consuetudine di fare dell’aula un luogo preminentemente di ascolto della lezione e di esecuzione dei compiti che lì non si chiamano più “compiti a casa”, e come potrebbe essere altrimenti, ma “compiti in classe” che sono la sintesi giudicante dell’efficacia delle lezioni più i compiti a casa.
Il compito a casa è una attività passiva, condotta in solitudine. Non esiste altro luogo capace di coltivare la solitudine collettiva, la solitudine dei tanti, come la scuola. Ognuno di fronte al sapere è da solo, è da solo che si deve misurare con il sapere e con la sua capacità di padroneggiarlo. Che il sapere e la conoscenza non siano una impresa collettiva è solo una convinzione delle nostre scuole, dove i nostri giovani se la devono sempre vedere in solitaria con le discipline. A scuola almeno puoi scorgere dall’espressione del volto di un compagno o di una compagna come se la sta cavando e così sentirti un po’ meno diverso, ma a casa che fai? Chiedi a mamma e papà, al fratello o alla sorella maggiori, ma allora cosa serve portare a compimento un compito che non sai compiere?
L’assurdità esercitante dei compiti, l’assurdità di prolungare a casa la scuola, che non c’è, è qualcosa che sa di seminario, di stanzoni dei collegi di una volta, con i ragazzi chini a fare i compiti in silenzio sotto la vigilanza di un chierico in cattedra. È l’aria mefitica di cui respirano ancora le nostre scuole incapaci di rinnovarsi, incapaci di dimostrarsi autosufficienti, concluse in sé agli occhi dei giovani. Di scuole totalizzanti, per le quali non c’è altro apprendimento al di fuori di esse, come se il tempo extrascolastico non fosse già colmo di compiti, di apprendimenti, che non avranno il blasone della formalità, che solo la scuola pretende di detenere, ma più modestamente hanno tutta l’importanza dell’esperienza personale propria degli apprendimenti informali e non formali.
Mentre l’Europa, dalla strategia di Lisbona del 2000 in poi, ha scoperto e rilanciato il valore e la necessità degli apprendimenti informali e non formali, la nostra scuola, quella dei compiti a casa, denuncia tutta la sua ignoranza e arretratezza. Ignoranza e arretratezza che le impediscono di dialogare e valorizzare le esperienze extrascolastiche dei suoi giovani, di integrarle ai propri curricoli e progetti, valorizzando l’iniziativa di ragazze e ragazzi anziché mortificarli nella impersonale solitudine dei compiti a casa.
Scuola e territorio ancora non hanno appreso a dialogare ed a integrarsi a favore dei giovani, del loro tempo di vita che viene prima di qualunque altro compito. Siamo ancora in attesa delle scuole aperte, tanto proclamate, anziché delle scuole chiuse e dei compiti a casa.
Sarebbe opportuno che prima di tutti fossero le famiglie e gli insegnanti a uscire dall’angustia dei loro argomenti e ragionassero seriamente del tempo di vita dei giovani, soprattutto come qualificarlo ed arricchirlo di esperienze utili alla loro realizzazione e ai progetti che ognuno di loro coltiva per sé.

Come cambia la città del futuro: l’Italia, un interessante banco di prova

di Marco Mari

Casa, dolce casa
Comunemente il concetto di casa è associato a valenze positive, soprattutto nella cultura italiana, possedere la propria abitazione è da sempre un valore che va ben oltre il pur importante aspetto economico. Ma siamo in presenza di una evoluzione economica, tecnologica e culturale senza precedenti.
Proprio le nuove tecnologie, si pensi anche a una semplice termocamera, stanno portando a una maggior consapevolezza sul reale funzionamento e sugli impatti di quel sistema sempre più complesso e monitorato che chiamiamo edificio. Uno degli aspetti che tra i primi è emerso nella percezione collettiva è quello economico. La percezione del costo di mantenimento per i consumi di acqua, luce e gas sta sempre più incidendo nel bilancio economico di fatto favorito dalla attuale crisi. Basterà a tal fine ricordare che considerando la totalità dei costi di un edificio nel suo intero ciclo di vita, ben l’80%, è imputabile ai costi di gestione e che, anche solo usando le tecnologie collaudate e disponibili in commercio, il costo per il consumo di energia può essere ridotto dal 30 all’80% e quello per i consumi di acqua fino al 40%. Ma non è tutto, gli aspetti finanziari da soli non sono sufficienti per comprendere una crisi che è ben più ampia e riguarda ben altre risorse.
Più di recente la terra, anche per i movimenti tellurici, ha riportato al centro dei nostri pensieri vecchie preoccupazione per i cambiamenti climatici e la relativa scarsità di risorse ambientali. Parimenti, la consapevolezza dell’impatto degli edifici sugli aspetti che governano tali equilibri, e viceversa, si è fatta strada. Se ne sono accorti anche a COP21, che per la prima volta ha aperto un tavolo dedicato alla filiera dell’edilizia, il “Buildings Day”.

Edifici, problema o opportunità?
Gli edifici utilizzano circa il 40% dell’energia mondiale, il 25% di acqua globale, il 40% delle risorse globali, ed emettono circa 1/3 delle emissioni di gas serra – dichiara l’UNEP (United Nations Environment Programme environment for development). Inoltre, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’incremento delle patologie allergiche e dell’asma è direttamente correlabile a fenomeni di urbanizzazione ed alla crescente tendenza delle popolazioni occidentali a vivere gran parte del tempo in ambienti chiusi. Secondo dati ISTAT del 2009 in Italia le malattie respiratorie, dopo le malattie cardiovascolari e neoplastiche, rappresentano la terza causa di morte.
Non bastasse ciò, aggiungiamo quanto ai recenti terreoti, ci accorgiamo immediatamente delle vittime che potevano essere evitate, ma l’amarezza aumenta quando consideriamo che in assenza di una politica di prevenzione, scopriamo che tra il 2010 e il 2012 sono stati spesi più di 3 miliardi e mezzo all’anno per i terremoti e per la riparazione dei danni e che dall’immediato dopoguerra ad oggi sono stati spesi più di 180 miliardi.

Non credete sia il caso di realizzare un serio piano di prevenzione?
Dunque siamo nella necessità di dover affrontare molti aspetti, ma quale per primo? Probabilmente il tema vero è proprio un cambio di passo sulle politiche della prevenzione. Seppure l’attuale Governo ha iniziato ad attuare alcune politiche, il progetto “Casa Italia” ad esempio, è chiaro che ancora non ci siamo, si tratta di uno sforzo mirato a una gestione dell’immediato e focalizzato sulle criticità più evidenti. Serve affrontare il problema ambientale, trasformandolo in una opportunità e iniziare a diffondere in modo concreto una cultura della prevenzione che non sia preda delle priorità contingenti o delle paure, ma sia frutto di una analisi oggettiva, lucida, ma soprattutto sistemica.
È necessaria una vera e propria ridefinizione delle politiche finalizzate al bene comune che deve essere progettata partendo proprio da una profonda conoscenza del territorio. In primo luogo ascoltando le istanze dei cittadini, coinvolgendoli in un processo di ascolto e analisi partecipata, poi mappando i rischi ambientali, ricordandosi che non esiste solo il terremoto, ma anche i rischi idrogeologici, o altri come ad esempio la presenza di radon (gas cancerogeno che esala dal terreno). Dunque il primo punto è legato alla conoscenza, perché senza un’analisi completa si rischia di fornire soluzioni parziali, non sistemiche e aggiustare una parte peggiorando l’altra. Un ulteriore tema è legato alla finanziabilità delle opere ed al relativo reperimento di risorse: si può iniziare integrando quanto già esistente, fornendo gli attuali strumenti di finanziamento (sismico, idrogeologico, efficientamento energetico) in modo da supportare e valorizzare quegli interventi che affrontano in modo integrato, olistico, il “sistema edificio”. Altro ingrediente di una pianificazione integrata è la definizione di uno sforzo congiunto per una “formazione diffusa”, che permetta agli attori (RUP, progettisti, costruttori, etc.) di poter operare in modo trasparente e corrente. Infine, serve ricordarsi che l’ambiente costruito ha un sostanziale impatto sull’ambiente ed oggi il pianeta, in senso letterale, richiede strategie ambientalmente, socialmente ed economicamente sostenibili.
Mi piace a tal fine ricordare quanto già scriveva, non molto tempo fa, la persona che più ha influito sulla community italiana dell’edilizia sostenibile, Mario Zoccatelli: “Un piano nazionale per la riqualificazione edilizia e urbana non può infatti essere concepito come un semplice dispositivo amministrativo accompagnato da qualche incentivo finanziario. Come già evidente in alcuni paesi. In tal senso, riteniamo la sostenibilità come una visione d’insieme dell’economia e del vivere; per quanto riguarda l’edilizia, è una prospettiva di medio‐lungo periodo che coinvolge la cultura dei cittadini e degli operatori, i sistemi tecnici, quelli produttivi, quelli economici e finanziari, nonché leggi, regolamentazioni, ruoli delle istituzioni.”

Il Green Building: un trend in crescita a livello mondiale
In questo contesto, qualsiasi piano l’Italia o i singoli territori andranno a definire, non ci si può scostare dalle principali prassi consolidate a livello internazionale, per dirla con le parole di un altro caro amico e maestro, Andrea Cirelli, “non ci si può reinventare l’acqua calda”. Serve legare l’azione alla innovazione e ai nuovi approcci alla sostenibilità. In tal senso il mercato internazionale, e più timidamente quello nostrano, hanno già definito la traiettoria. La rapida diffusione dei diversi protocolli di certificazione di sostenibilità degli edifici sta infatti trasformando radicalmente la domanda di materiali, sistemi e tecnologie per l’edilizia. Gli studi internazionali relativi ai trend di crescita del settore delle costruzioni sostenibili parlano di un incremento del mercato di dati senza precedenti:
1 – 462 milioni di metri quadrati di edifici certificati con i principali protocolli internazionali (LEED, BREEAM, GREEN STAR)
2 – 1,5 miliardi di metri quadrati di edifici attualmente in corso di certificazione
3 – 960 miliardi di dollari di investimenti previsti entro il 2023 per la riqualificazione sostenibile del costruito
4 – 70% di incremento del mercato globale del green building entro il 2025
Ulteriori studi effettuati negli ultimi dieci anni, soprattutto sulla base dei dati raccolti da edifici realizzati negli USA per edifici certificati secondo i protocolli LEED, hanno dimostrato che gli edifici “verdi” tendono ad avere maggiore valore patrimoniale rispetto agli edifici tradizionali.
Inoltre, sono a loro volta collegati con vari vantaggi oltre quello del risparmio energetico, tra i quali la salubrità degli ambienti abitati, la valorizzazione della bonifica del terreno (quando necessaria), la riduzione dei consumi di acqua, la gestione dei rifiuti (sia in fase di cantiere che di gestione dell’immobile), l’accessibilità e i trasporti, l’assetto idrogeologico, la biodiversità, la qualità economica e sociale, le logiche di circular economy e di sharing economy.
Ulteriori vantaggi sono direttamente collegabili alla creazione di nuove professionalità legate al green building, sopratutto nei casi in cui le città si impegnino in programmi di riqualificazione.

L’ Italia? Un interessante laboratorio
L’Italia costituisce, sotto questo profilo, un formidabile banco di prova per quanto riguarda la capacità di raccogliere le sfide che attendono l’economia mondiale nei prossimi decenni. Un settore edilizio dove ancora oggi la quantità fa premio alla qualità, un territorio tradizionalmente “sfruttato” più che pianificato, un patrimonio paesaggistico, naturalistico, culturale ed artistico che, nonostante tutto, continua a rappresentare un asset di primaria importanza a livello mondiale; ma anche una tradizione architettonica e ingegneristica che affonda le radici nella storia antica, un tessuto economico e produttivo che, nonostante la lunga crisi, vede tuttora la presenza di esperienze pilota e di eccellenza.
Anche per il quadro normativo nazionale ci sono interessanti novità in costante evoluzione, come ad esempio il Piano di Azione Nazionale sul Green Public Procurement (Decreto Interministeriale 135 dell’11 aprile 2008), la legge 221 del 18 dicembre 2015 (cosiddetto collegato ambientale) concernente disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali, il Nuovo Codice Appalti (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) con particolare riferimento all’ Art. 34 (Criteri di sostenibilità energetica e ambientale, nonché i Criteri Ambientali Minimi per l’edilizia (CAM Edilizia, DM 21 gennaio 2016), alla cui redazione ho fornito un piccolo contribuito in rappresentanza di GBC Italia, partecipando attivamente al Gruppo di Lavoro proponendo un approccio integrato e olistico, che consenta di valutare la sostenibilità dell’edificio in quanto struttura complessa e “progettata”, coerentemente con i principali sistemi di rating e certificazione dell’edilizia sostenibile nazionali e internazionali.
Tutto questo porta a individuare nel settore edilizio (e più generalmente nella progettazione e manutenzione dell’ambiente costruito) uno dei settori su cui puntare per una nuova economia, recuperando con il concetto di prevenzione anche quelle prassi e modalità che anticamente hanno reso il nostro Paese tra i più apprezzati al mondo, restituendo dignità a un settore edilizio, consapevolmente e decisamente orientato verso la qualità e la sostenibilità, che possa riprendere un ruolo guida.

Marco MariLaureato in ingegneria elettronica con specializzazione in ingegneria gestionale, master in sistemi di gestione della qualità, ha una ventennale esperienza nei temi della sostenibilità e della certificazione, con particolare focalizzazione nella filiera dell’Edilizia Sostenibile, su aspetti inerenti i sistemi di rating per green building, commissioning, green product, asset management, sistemi di gestione della qualità e dell’ambiente nel settore pubblico e privato.
Opera a livello nazionale e internazionale con importanti organizzazioni tra le quali Bureau Veritas come Senior Advisor; GBC Italia, già come Vice Presidente e responsabile degli schemi di certificazione (per protocolli LEED Italia NC e protocolli GBC Italia) e attualmente Membro del Consiglio di Indirizzo; Fondazione Montagne Italia, quale Membro del Comitato Scientifico; è attualmente Presidente dell’Advisory Board di Ongreening.com l’innovativa piattaforma internazionale sul green building e i green product; ha partecipando a gruppi di lavoro in ambito UNI, UNCEM, FEDERESCO, WorldGBC, USGBC, GBC Brasil, Provincia Autonoma di Trento ed altri. Recentemente ha contribuito alla definizione dei Criteri Ambientali Minimi per l’Edilizia collaborando attivamente nel gruppo di lavoro in seno al Ministero dell’Ambiente.
Nell’ambito del green building vanta una eccellente esperienza nel coordinamento di molti progetti di alto profilo, anche nel coordinamento di team di commissioning dei sistemi HVAC, nazionali ed internazionali.

Come cambia la professione del progettista alla luce della green economy

di Marco Mari

Sostenibilità ed edilizia
Il tema del Green Building è sempre più preponderante, per procedere verso gli obiettivi recentemente previsti da COP21 in merito alla meta degli edifici di nuova costruzione “quasi zero energy building”, ma anche e soprattutto per favorire l’ammodernamento degli edifici esistenti secondo la logica della “deep renovation” coerentemente a quanto anche richiesto dalle recenti Direttive UE. La rapida diffusione dei diversi protocolli di certificazione di sostenibilità degli edifici sta infatti trasformando radicalmente la domanda di materiali, sistemi e tecnologie per l’edilizia. Gli studi internazionali relativi ai trend di crescita del settore delle costruzioni sostenibili parlano di un incremento del mercato di dati senza precedenti . Anche in Italia i segnali non mancano, seppure in un quadro non sempre omogeneo, la direzione appare obbligata alla luce del Nuovo Codice Appalti, e dei requisiti per il GPP definiti nei Criteri Ambientali Minimi per l’Edilizia emanati con decreto ministeriale in gennaio 2016.
L’importanza di coniugare Cultura e Sostenibilità
Come dimostrano le esperienze di altri molti paesi europei, e alcuni casi italiani, la rigenerazione urbana e territoriale è un ambito dove l’azione congiunta di pubblico e privato può sviluppare rilevanti vantaggi economici, sociali e culturali valorizzando patrimoni edilizi e territoriali ora degradati, o comunque inadeguati sotto il profilo strutturale, tipologico, energetico e ambientale. Condizione essenziale per un’azione realmente “costruttiva” è, ovviamente, costituita dal totale e convinto rispetto delle radici culturali e del genius loci.
In particolare in Italia il tema degli “edifici storici” è di cruciale importanza. Considerato che per “edificio storico” si intende un manufatto edilizio che costituisce “testimonianza materiale avente valore di civiltà”. Sono dunque così identificati i manufatti edilizi riconducibili all’interno dell’ultimo ciclo storico concluso, che per la zona europea coincide con l’industrializzazione edilizia e, quindi, devono essere realizzati prima del 1945. Circa il 30% del parco immobiliare italiano è stato costruito prima del 1945 e costituisce un ambito di particolare interesse in relazione sia ad interventi di sostenibilità, sia di restauro e conservazione, costituendo una parte importante del patrimonio storico-culturale del nostro paese.
Ferrara? Un interessante laboratorio internazionale.
Non è dunque un caso che proprio nel nostro paese sia stato elaborato GBC Historic BuildingTM, uno strumento innovativo che nasce – ad opera di GBC Italia – dalla sintesi dei criteri internazionali di sostenibilità dello standard GBC-LEED® e del vasto patrimonio di conoscenze ed esperienze proprie del mondo del restauro italiano. Operazione a suo tempo coordinata dalla Facoltà di Architettura di Ferrara.
Così come non è un caso, che proprio a Ferrara, città patrimonio dell’umanità, si stiano sperimentando i concetti legati alla riqualificazione e al restauro in importanti edifici storici, tra i quali citiamo la Riqualificazione del Museo della Shoah, quella di Palazzo Gulinelli e in fine il restauro del Castello Estense.
Un dibattito aperto, che Ongreening coordinerà a SAIE 2016.
Nello specifico, Ongreening in qualità di Main Partner di SAIE 2016, ha siglato un accordo con SAIE, H2O ed Edilio, finalizzato alla valorizzazione di edifici, prodotti e sistemi per l’edilizia al fine di promuovere una visione sostenibile e resiliente del mercato, ha strutturato un percorso di seminari parte della SAIE ACADEMY .
In questo quadro, Ongreening ha progettato un percorso di 8 brevi seminari (con crediti formativi) che verranno realizzati presso l’arena di SAIE Innovation.
Vari i temi posti ai quali autorevoli relatori forniranno un contributo:
quali sono le sfide che dovranno affrontare i professionisti?
Come prepararsi a una evoluzione della professione che riafferma la centralità del progetto e chiede garanzie delle prestazioni delle opere?
Quali competenze devono avere i progettisti?
Quali scelte devono operare i produttori di materiali, prodotti e sistemi per l’edilizia?
Quali strumenti di supporto possono essere individuati nel mercato per far fronte alla sempre più pressante domanda di una economia basata su principi di sostenibilità?
La struttura dei seminari è stata pensata per offrire ai professionisti e alle imprese informazioni ed aggiornamenti sulle tematiche collegate alle principali evoluzioni nazionali ed internazionali del mercato dell’edilizia sostenibile.
Per gli interessati, a questo link, il programma completo http://intro.ongreening.com/618957/
Per ulteriori informazioni sulla community Ongreening
Un rapido video che rende sinteticamente l’idea della nostra missione:
https://m.youtube.com/watch?v=EJChcRkXXLA&feature=youtu.be
Il portale Ongreening.com, Ongreening è main partner di SAIE 2016:
https://www.youtube.com/watch?v=ZAR1Sr-zAko
http://www.saie.bolognafiere.it/iniziative/ongreening-nest/6502.html

Marco MariLaureato in ingegneria elettronica con specializzazione in ingegneria gestionale, master in sistemi di gestione della qualità, ha una ventennale esperienza nei temi della sostenibilità e della certificazione, con particolare focalizzazione nella filiera dell’Edilizia Sostenibile, su aspetti inerenti i sistemi di rating per green building, commissioning, green product, asset management, sistemi di gestione della qualità e dell’ambiente nel settore pubblico e privato.
Opera a livello nazionale e internazionale con importanti organizzazioni tra le quali Bureau Veritas come Senior Advisor; GBC Italia, già come Vice Presidente e responsabile degli schemi di certificazione (per protocolli LEED Italia NC e protocolli GBC Italia) e attualmente Membro del Consiglio di Indirizzo; Fondazione Montagne Italia, quale Membro del Comitato Scientifico; è attualmente Presidente dell’Advisory Board di Ongreening.com l’innovativa piattaforma internazionale sul green building e i green product; ha partecipando a gruppi di lavoro in ambito UNI, UNCEM, FEDERESCO, WorldGBC, USGBC, GBC Brasil, Provincia Autonoma di Trento ed altri. Recentemente ha contribuito alla definizione dei Criteri Ambientali Minimi per l’Edilizia collaborando attivamente nel gruppo di lavoro in seno al Ministero dell’Ambiente.
Nell’ambito del green building vanta una eccellente esperienza nel coordinamento di molti progetti di alto profilo, anche nel coordinamento di team di commissioning dei sistemi HVAC, nazionali ed internazionali.

DIARIO IN PUBBLICO
Da Roma a Varsavia

Nella pletora delle iniziative dei centenari spiccava per qualità e interesse l’invito dell’Istituto di cultura italiano e dell’Università di Varsavia al convegno internazionale su ‘Giorgio Bassani: ‘sostanzialmente un poeta’.
Così dalla tre giorni romana si passa alla due giorni nella capitale polacca. Ma prima di prendere l’aereo val la pena di ritornare al resoconto delle giornate romane per sottolineare una visita che il capogabinetto del ministro Franceschini, il ferrarese dottor Daniele Ravenna ci ha voluto offrire: una visita di straordinario interesse alla Crociera del Collegio Romano sede del Ministero dei Beni culturali. Qui è custodita parte della Biblioteca di Archeologia e storia dell’arte e qui attraverso i libri è possibile viaggiare, come è stato sottolineato, ‘nel luogo della memoria scritta’. Un’opportunità unica concessa da un ferrarese ai ferraresi. E’ un importante segno di quanto il Ministero tenga alla buona riuscita dei centenari ‘ferraresi’.
Mi si rimprovera inoltre di non avere menzionato la visita alla Domus aurea, luogo un po’, come dire, funesto per la sua solennità e sotterraneità, ma immagini immortali ci consegnano l’ingresso degli intrepidi visitatori ferraresi muniti di una specie di cuffia da bagno e dal caschetto giallo che fa molto radical chic.
Varsavia ci accoglie sotto un diluvio di acqua e di vento con i quali si doveva lottare per arrivare attraverso sconcertanti passaggi dall’aereo (ovviamente low cost) all’uscita. Poi il sole spunta e i curiosi relatori ammirano i bellissimi colori dell’autunno polacco. Sempre per rendere le cose facili l’albergo universitario e rigorosamente essenziale (!) in cui alloggiamo è solo a sei chilometri dalla sede del convegno che si tiene in pieno centro storico. Comincia una straordinaria caccia al taxi che se non è contattato telefonicamente ti sfugge, si nasconde, s’infratta e a seconda delle compagnie può richiederti una somma assolutamente spropositata per gli standard di laggiù oppure ridicolmente bassa, e alla fine, con il sole che ritorna, ecco dispiegarsi la Varsavia che non conoscevo: elegante, mondana, ridipinta. Una capitale che niente ha da invidiare alle altre capitali europee. Ci si aggira per i luoghi deputati accompagnati da una giovane storica dell’arte che parla perfettamente l’italiano. E tra il cuore di Chopin e il ghetto ebraico è tutto un susseguirsi di Oh! Oh! Un po’ come gli scolari in gita premio. Già sogno un giretto in carrozzella, ma sono immediatamente sconfitto. Anna Dolfi, mai sazia e instancabile camminatrice, continua a proporre cose nuove e lunghe, lunghissime passeggiate mentre, il dolente Venturi ad ogni piè sospinto invoca ‘taxi, taxi…’
Il laborioso pomeriggio si conclude in un ristorante ebraico dove squisite specialità vengono imbandite senza soluzioni di continuità e per le quali secondo l’esigenza di chi scrive tocca l’onore di un assaggio, per cui l’immediato soprannome affibiatomi ‘mezza porzione’. Il giorno seguente, le visite canoniche al Castello che custodisce due straordinari Rembrandt e nove Bernardo Bellotto, che solo lì viene chiamato Canaletto in quanto lo zio, il vero Antonio Canal, concede a lui, autore delle vedute di Varsavia, di potersi fregiare del suo nome. Nelle innumeri sale, tutte rifatte dopo la guerra, schiere di bimbi con in testa corone di carta sfilano vocianti, e con loro intrattengo interessantissimi colloqui a base di smorfie e gesti. E di nuovo il Ghetto ci accoglie con le sue accoglienti latterie che altro non sono che trattorie mentre, ispirato, il poeta e critico Alberto Bertoni tra le voci più interessanti intervenute nel convegno così racconta la visita al Castello nel suo prosimetro in viaggio:
“E in effetti muoversi senza capir nulla della lingua né parlata né scritta del luogo in cui ci si trova, crea molto spesso effetti distorti, scene di aperto straniamento. Varsavia è stata quasi integralmente rasa al suolo dai tedeschi, durante la Seconda guerra mondiale, e quindi tutti gli edifici “antichi” che ne popolano il centro storico sono ricostruiti pietra su pietra, talvolta coi materiali originali, molto più spesso no. Il centro è dunque un falso, per chi pretende l’autenticità originaria del reperto: tuttavia, la ricostruzione è riuscita, quasi mai kitsch, e le scolaresche di ogni ordine e grado partecipano in massa, e non poco interessate, a questo loro teatro della Patria Inautentica. A ciò pensavo, osservando una figura sbilenca e grottesca che attraversava un salone del Palazzo Reale ondeggiando verso di me e il mio amico Gianni Venturi, per scomparire subito dietro una porticina proibita ai visitatori. Viene avanti, oscilla en travesti vigile urbano o commodoro dal fondo del pavimento a scacchi suo centro e tutto il berretto con gli alamari d’oro che gli avvolge la testa, nuca compresa, viene avanti e imbocca una porta altamente proibita ai non polacchi, facendo ciao con la mano a scolari incoronati di cartoni multicolori alle segrete dei nostri cuori.”
E Varsavia ci regala sorprese inaudite come lo sbalorditivo Polin Museum, il museo dell’Ebraismo, giustamente premiato come il più importante Museo del 2016.
Aggirarsi tra quelle sale, nella ricostruzione di una via del Ghetto con la sala cinematografica dei film ebraici degli anni trenta o un pavimento in cui, seguendo i passi dipinti sulla superficie in legno e al ritmo della musica, s’impara a ballare o aggirarsi tra le sale infinite della Shoah, dove una moderna tecnica fa muovere le celebri fotografie dell’esodo del Ghetto, è un’esperienza sconvolgente. Si muovono pure deliziosi e umoristici disegni di rabbini che entrano ed escono dalla sinagoga rifatta e completamente decorata e come bambini ci si perde a stampare su torchi lignei alcune litografie. Un viaggio a Varsavia val la pena farlo solo per visitare questo museo. Poi si esce e si ritorna nella grande piazza del Castello attratti da eleganti panchine in marmo nero. Ci si siede, ed ecco: premendo un bottone sulla seduta si diffonde una mazurka o una polonnaise di Chopin. Non sono né scherzi né adesioni alla tecnologia imperante ma un modo intelligente e nuovo di adeguarsi al proprio tempo e alle nuove conoscenze.
E finalmente giunge il primo giorno del convegno impeccabilmente organizzato dall’amico e collega Alessandro Baldacci e sostenuto dalla direttrice del Dipartimento Hanna Serkowska a cui mi lega la passione per Elsa Morante. Arriva l’ambasciatore, arriva il direttore dell’istituto di cultura, persone affabili e che ‘non se la tirano’ poi, dopo il bellissimo discorso di Anna Dolfi, il mio intervento che è una testimonianza affidata alla voce di Bassani che legge Rolls Royce e Le leggi razziali. Gli occhi dei giovani dottorandi si accendono di luce nuova e la giornata trascorre nel tentativo riuscito di riportare proprio lì nella citta martire la poesia di un ebreo ‘sostanzialmente poeta’.
Forza della poesia, forza della memoria, e nemmeno ci pesa, pur con il rimpianto di lasciare una nuova patria dell’animo, di trascinare i nostri bagagliucci nell’abitacolo dell’aereo che ci riporta a casa sotto lo sguardo annoiato di una hostess severa e leggermente fanée.

DOPO SISMA
La ricostruzione è arrivata all’apice: riaperta la Torre dei Leoni

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Il panorama visto dalla Torre dei Leoni del Castello Estense è bellissimo. E non ne ha scalfito il fascino neanche la pioggia che, venerdì 14 ottobre, cadeva insistente durante la cerimonia di inaugurazione della riapertura della Torre, tenutasi nella Sala dei Comuni del Castello alla presenza del sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani, la responsabile U.O. Castello Estense del Comune di Ferrara Ethel Guidi, la responsabile UOC Progettazione Sismica della Provincia di Ferrara Angela Ugatti e il vicesindaco e assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Ferrara Massimo Maisto.

La Torre dei Leoni è la più antica del Castello Estense ed intorno ad essa fu successivamente edificata l’intera fortezza, residenza per secoli dei duchi d’Este. Prima dell’edificazione del Castello di San Michele, infatti, la Torre dei Leoni era un’antica torre di guardia posta a presidio delle mura poste a nord della città e della vicina ed importante porta detta del Leone, oltre la quale si stendeva un piccolo borgo che portava lo stesso nome. Resa inagibile dal sisma del 2012, dopo una serie di lavori di rifacimento e consolidamento della struttura, finalmente la Torre dei Leoni torna ad essere fruibile anche dai cittadini ferraresi che da sabato 15 ottobre, risalendo i suoi 120 gradini, potranno godere di una vista mozzafiato sulla città estense. In collaborazione con la società Itinerando s.n.c., per festeggiare la riapertura della torre, sono state organizzate una serie di “vedute guidate” di Ferrara e dalle balaustre della torre si potrà ammirare tutto il centro storico, con le sue piazze ed i suoi palazzi, fino alla cinta muraria.

Chi visiterà il Castello sabato 15 e domenica 16, nella fascia oraria tra le 11 e le 13 e tra le 14.30 e le 16.30, potrà ascoltare sulla torre i racconti e le spiegazioni di una guida dedicata (per l’accesso alla torre è previsto un supplemento di € 2 al costo del biglietto d’ingresso al museo del Castello).

La visita al monumento e la salita alla torre sono possibili secondo il consueto orario 9.30-17.30 (chiusura biglietteria Torre+museo Castello: 16.00; chiusura biglietteria museo: 16.45). In occasione della riapertura al pubblico la Torre dei Leoni, dal 14 al 23 Ottobre, sarà inoltre oggetto di un’illuminazione temporanea che sottolineerà, grazie ad un sapiente gioco di luci, gli aspetti caratteristici dell’edificio valorizzandone il fascino immutato nei secoli.

Riflessioni sulla scuola che ci aspetta: salvare il desiderio di aggregazione dalla deriva individualista

di Loredana Bondi

Vorrei riprendere le parole e i pensieri espressi da un caro amico, Giovanni Fioravanti che nella rubrica “La città della conoscenza” di questo giornale, ha offerto spunti di riflessione interessanti e di rilevanza politico sociale notevole. Se solo la gente potesse ancora essere attenta a ciò che sta succedendo intorno e su di sé, in un tempo così veloce che sfiora l’impensabile e che spesso non dà modo al pensiero critico di misurarsi con la realtà.
L’ultimo articolo dal titolo “Morte annunciata di una mensa” mi ha particolarmente “costretta” a reagire, ad esprimere delle ragioni, in sintonia completa con l’autore, anche perché, nel mio lavoro di Direzione dell’Istituzione dei servizi educativi-scolastici di integrazione per le famiglie del Comune di Ferrara, ho avuto a che fare con il mondo dell’educazione, per cui il momento mensa era visto in ogni grado di scuola, un momento socioeducativo importante al pari, per qualità e obiettivi, di altri momenti della vita scolastica. Ne ho gestito tecnicamente l’organizzazione tenendo conto di ogni condizione sociosanitaria che poteva frapporsi alla normale fruizione di un momento comune di sana e corretta alimentazione. Tralascio la definizione dei controlli preventivi e periodici durante la fruizione degli stessi pasti, sia fatti in cucine interne che esterne, la loro diversificazione in rapporto ad un dietetico equilibrato sia nella comune alimentazione che in quella diversificata (per i bambini soggetti a patologie e/o allergie preparati con apposite procedure di cottura), i loro valori nutrizionali, la provenienza prevalentemente biologica dei cibi, sulla cui qualità d’insieme siamo addirittura stati chiamati a presentarne l’organizzazione in diversi paesi Europei, a dimostrazione, tra l’altro, dell’alto valore delle scelte “politico-educative” fatte dal nostro Comune negli ultimi due decenni.
Che oggi un giudice giunga addirittura a sentenziare che sul diritto alla mensa prevalga il panino fai da te, perché prima di tutto viene il singolo, l’individuo, la persona, mi lascia davvero sconcertata. Andrò anche a leggermi la sentenza perché a quel giudice vorrei illustrare altre motivazioni di cui forse non ha assolutamente tenuto conto. Ma ciò che più mi sconcerta è l’atteggiamento dei genitori, delle nuove famiglie, e non dimentico certo alcune concrete motivazioni addotte, da quelle di tipo economico a quelle di esigenza sanitaria a cui alcuni bambini devono soggiacere, alle condizioni non sempre giuste e corrette con cui l’organizzazione delle mense viene proposta. Sul piano economico, nel Comune di Ferrara, si è sempre fatto fronte con la richiesta del reddito familiare (ISEE) e, in molti casi, la retta per i pasti poteva essere ridimensionata o addirittura eliminata.
Non voglio entrare nei dettagli, ma su questo intervento, che si fonda sulla libera scelta del genitore, credo si dovrebbe discutere molto, e soprattutto dovrebbero parlare le educatrici, le insegnanti dei vari ordini di scuola, ponendo il tema come tanti altri importanti problemi educativi, per una crescita sana ed equilibrata dei bambini, attivando davvero “quell’alleanza educativa” che prevede la definizione di un vero e proprio patto di corresponsabilità fra scuola e famiglia.
Per restare al tema specifico della scuola, sottoscrivo ogni parola dell’articolo di Fioravanti, soprattutto a proposito del percorso di conquista attivato dalla scuola pubblica anche riguardo al “momento mensa” come momento educativo al pari di ogni altra attività di apprendimento-insegnamento scolastico. Quello che più mi affligge, purtroppo, è il silenzio del mondo della scuola, dei dirigenti, degli insegnanti e non so se ciò sia imputabile alla confusione generale che aleggia nel paese. Mi sembra, d’altro canto, che il diritto dei figli sia spesso “avvilito” dalla pratica quasi “padronale” del dovere del genitore di decidere su come deve essere tutto ciò che il figlio deve fare e che nessuno possa mettere in discussione questa posizione, tantomeno la scuola. Fatto salvo che quando sorgono problemi (manifestazioni di violenza, passività, indifferenza o condizionamenti pericolosi), sempre più spesso il genitore non sa dove sbattere la testa, difficilmente sa mettersi in discussione e accusa il sistema scolastico di colpe che spesso albergano altrove…
Ma dopo tutte le lotte passate molti di noi ancora sostengono il valore vero della scuola pubblica, dell’apprendimento, insomma dell’educare alla libertà e al rispetto dell’altro come emancipazione non solo del singolo, ma della società. Mi chiedo cosa e dove abbiamo sbagliato, se i risultati sono quelli che vediamo scorrere sotto i nostri occhi, nelle forme più o meno preoccupanti del rapporto famiglia-scuola-società.
Unitamente ad una profonda indignazione per le troppe situazioni di disagio dei giovani, mi assale una profonda tristezza sul grado di indifferenza, sul chiuso individualismo della gente di fronte ai problemi della vita sociale, sull’incapacità di discernere ciò che è utile e importante perseguire e ciò che invece è superfluo. Insomma credo, contrariamente al principio matematico, che occorra cambiare i fattori perché il prodotto umano non cambi rispetto all’obiettivo fondamentale della vita sociale: un serio investimento nell’educazione alla conoscenza come principio fondante della libertà e del pensiero critico.
Penso che non occorra ricorrere a disquisizioni particolari per capire che la facile strada percorsa dai nostri politici negli ultimi anni, a proposito della gestione pubblica dei servizi, del welfare e della sanità, abbia aiutato a produrre una vera e propria mutazione del contesto sociale, affiancata da una perdita della partecipazione, della condivisione dei principi democratici, delle scelte individuali e collettive, in una favorevole condizione “distrattiva” da parte dei beni di consumo mediatici, che stanno letteralmente addormentando le coscienze di tutti, perché da utile strumento, si sono trasformati in unico, isolato, canale di comunicazione sociale.
D’altro canto i fatti e i misfatti della competizione economico-finanziaria mondiale ha generato quei mostri che affondano nel consumismo e nella innovazione tecnologica la propria metodologia d’azione per cambiare il mondo a proprio vantaggio. Ciò detto, non occorre arrivare a disquisire sui massimi sistemi per capire che più si impoverisce la scuola pubblica di valori, contenuti, strutture innovative oltre che tempi, spazi e strumenti adeguati per l’educazione, più tale scuola perde di credibilità. Quindi le “piccole cose” che riguardano poi la priorità del diritto di “portarsi il panino da casa”, anziché mangiare insieme agli altri alla mensa scolastica, condividendo un eguale momento di vita in comune, sono solo un tassello delle tante contraddizioni di questo tempo, che ben identificano come “l’epoca delle passioni tristi“.
Che fare dunque? Come diceva Ignazio Silone chiudendo il suo romanzo “Fontamara”…
Credo che gli anni e le esperienze che ci portiamo addosso condizionino lo sviluppo del pensiero critico, utile alla comprensione e modificazione delle contraddizioni sociali, ma dinnanzi a ciò che sta succedendo intorno a noi (e non mi riferisco certo solo al tema dell’intervento) vorrei urlare ogni giorno di più che a forza di “rottamare” quel modo di vedere il mondo che ci portiamo dietro, basato su valori universali, giuridicamente, psicologicamente ed antropologicamente giustificati da lunghe e sofferte lotte sociali e politiche per dare risposte concrete al bisogno di stare insieme, sani e liberi di corpo e di mente, ci ritroveremo ad uno stato di indifferenza e anarchia sociale davvero pericoloso.
Il livello di dipendenza mediatica e la sudditanza a stereotipi socio-comportamentali sempre più assillanti ridurranno sempre più il nostro pensiero critico e l’esito non potrà che essere l’omologazione, lo smarrimento dinnanzi ad un nuovo processo di schiavitù reale e quindi di perdita dell’identità dei singoli, di fronte ai veloci mutamenti sociali e politici.
Forse occorrerebbe prendersi un po’ di tempo per ragionare insieme, confrontandoci seriamente sul valore delle cose che andiamo facendo, sia come famiglia che come scuola, perché i pericoli di questo tempo possono essere davvero tanti, come sostengono Benasayag e Schmit “…La nostra epoca, crollato il mito dell’onnipotenza, rischia di farsi trascinare in un discorso sulla sicurezza che giustifica la barbarie e l’egoismo e che invita a rompere tutti i legami… Quando una società in crisi, per proteggersi e sopravvivere, aderisce massicciamente e in modo irriflesso ad un discorso di tipo paranoico, è la barbarie che bussa alla porta…”.
A proposito di queste tesi, ricordo un commento di qualche anno fa del filosofo Umberto Galimberti, che tra l’altro sostiene: “…Ma è anche vero che le passioni tristi sono una costruzione, un modo di interpretare la realtà, non la realtà stessa, che ancora serba delle risorse se solo non ci facciamo irretire da quel significante oggi dominante che è l’insicurezza. Certo la nostra epoca smaschera l’illusione della modernità che ha fatto credere all’uomo di poter cambiare tutto secondo il suo volere. Non è così. Ma l’insicurezza che ne deriva non deve portare la nostra società ad aderire massicciamente a un discorso di tipo paranoico, in cui non si parla d’altro se non della necessità di proteggersi e sopravvivere, perché allora si arriva al punto che la società si sente libera dai principi e dai divieti, e allora la barbarie è alle porte. Se l’estirpazione radicale dell’insicurezza appartiene ancora all’utopia modernista dell’onnipotenza umana, la strada da seguire è un’altra, e precisamente quella della costruzione dei legami affettivi e di solidarietà, capaci di spingere le persone fuori dall’isolamento nel quale la società tende a rinchiuderle, in nome degli ideali individualistici…”.
Concordo con Galimberti e mi auguro che qualcosa cambi davvero, insieme a voi.

RiCiclettiamo

mg_4026Ma dove vai bellezza in bicicletta …così di fretta pedalando con ardor… Sei davvero bella e se poi se anche ecologica e rispettosa dell’ambiente… Eh sì, perché si possono recuperare numerose biciclette (o parti di esse) abbandonate in città, nei cortili dei palazzi o dentro i garage, ridare loro nuova vita. E Ferrara primeggia. Ferrara vive di biciletta, l’utilizzo di questo mezzo da parte dei cittadini è tra i più alti in tutta Europa: da dati e recenti analisi marketing, risulta che il popolo dei ciclisti ferraresi è pari a circa l’89,5% dei suoi 135.000 abitanti. A ogni accesso della città è posto un cartello con la scritta “Ferrara città delle biciclette”, seguito dalla citazione dell’adesione alla rete europea delle città amiche della bicicletta Cities for Cyclists e dal riconoscimento Unesco di città patrimonio dell’umanità. La città storica viene infatti considerata come un’unità urbanistica che privilegia l’integrazione della componente ciclistica, mentre per l’esterno-città sono state realizzate apposite piste ciclabili che consentono di raggiungere numerosi quartieri periferici (vedi). Un bel primato. Se le iniziative legate a questo modello di locomozione sono tante, non potevano mancare quelle che coniugano il suo aspetto salutare con quello ambientale. Ecco allora che nasce il bel progetto Officine RiCicletta (vedi), che, in realtà risale all’idea di un signore anziano, appassionato di biciclette, presidente di un centro anziani di Boara, che ogni anno, a Natale, ospitava pazienti del centro diurno di psichiatria di Ferrara. Così, durante una chiacchierata con il fondatore, nel 2002,  gli aveva parlato del suo progetto di coinvolgere i pazienti del centro nella creazione di un laboratorio per riciclare le bici (la biga, direbbe il ferrarese tipico). Si voleva insegnare che cosa fosse una bicicletta e allo stesso tempo realizzare un percorso finalizzato a creare integrazione fra le persone, coniugando l’aspetto ecologista a quello sociale.

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Officine RiCicletta voleva (e vuole) creare percorsi di professionalizzazione per persone a rischio di esclusione sociale (legge 381/1991) attraverso il processo di recupero, ri-assemblaggio e vendita di queste biciclette rigenerate, appunto le RiCiclette. Queste ultime, oltre al valore sociale, contengono anche un forte impegno ecologico nel riutilizzare ciò che altrimenti sarebbe rifiuto e nell’incentivare l’uso della bicicletta come mezzo di mobilità sostenibile. Questo aspetto culturale si esprime anche nelle tante iniziative a cui gli operatori e i volontari del progetto partecipano in collaborazione con altre realtà del territorio. Le parole d’ordine: meno rifiuti (le biciclette abbandonate da tempo sono destinate a diventare rifiuto, tanto vale intervenire prima che lo diventino), più riciclo (recupero delle parti o loro utilizzo in riparazioni o assemblaggio di una nuova e fiammante RiCicletta), più ambiente e salute (muoversi in bicicletta aiuta ambiente e salute, promuovendo uno stile di vita sano), più formazione e lavoro (le officine sono un luogo speciale dove si formano e lavorano persone che si trovano in uno stato di cosiddetto svantaggio sociale). Le biciclette si possono anche noleggiare, vi sono anche tandem tricicli e bici-taxi, oltre che 3 cargo-bike gestite per il Comune di Ferrara. E, ovviamente, si possono acquistare, anche personalizzate e “targate”. Puoi donare, uno scambio reciproco: tu non getti via nulla, loro recuperano e salvano l’anima della tua bici per un altro motivato corridore. Allora, pronti e via!

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L’attività di Ricicletta è gestita dalla Cooperativa Sociale Il Germoglio Soc. Coop ONLUS, che nasce a Ferrara nel 1991 per gestire e progettare servizi educativi per bambini e adolescenti; la Cooperativa il Germoglio ha via via modificato e ampliato i suoi settori di intervento, includendo tra i destinatari anche giovani e adulti, e quindi molteplici attività.

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REALITY ON THE ROAD/SECONDA PARTE
Australia, il racconto della nostra giornalista in viaggio tra music contest, tappe segrete e… canguri

Nel bosco… danza di benvenuto!
Prosegue l’avventura della nostra giornalista Silvia Malacarne sul suolo australiano, e ogni giorno… una sorpresa!

Qui in Australia non sappiamo mai cosa aspettarci. Dopo una colazione abbondante, durante la quale penso di essere stata l’unica in tutto l’albergo a non mangiare uova, bacon e fagioli, ci siamo ritrovati in mezzo ai vigneti, in un posto chiamato “The Covert”, una piccola zona ubicata nel sobborgo di Pokolbin, nella regione di Hunter Valley. Lì sono iniziate le riprese del nostro secondo giorno in questa vasta terra. Ci hanno fatto “sfilare” con le auto della Toyota (sponsor ufficiale dell’evento), hanno scattato foto e condotto interviste personali. Abbiamo pranzato immersi nel verde in una location estremamente suggestiva. La band si è esercitata per la performance che si terrà alla fine di questo assurdo viaggio; le prove si sono tenute all’interno di una piccola chiesa moderna situata accanto ai vigneti.
Verso le quattro del pomeriggio ci hanno portato in un campo da golf, facendoci credere che avremmo giocato e ci hanno così diviso in squadre. All’improvviso però un elicottero è atterrato in mezzo a noi, a coppie siamo saliti e abbiamo sorvolato la zona dall’alto vedendo immense distese di verde. E’ stata una bella sorpresa per tutti che si è conclusa con un altro avvistamento di canguri, questa volta molto più vicini a noi.
Giorno dopo giorno scopriamo una piccola e sorprendente parte di questo sterminato continente, ma uno degli aspetti che preferisco di questo viaggio è l’essere costantemente a contatto con persone di nazionalità e cultura diverse dalla mia. Ho cenato con una francese, un cileno, un argentino e un colombiano; ciascuno ha raccontato la propria vita, ma ha soprattutto parlato dei propri sogni, della voglia di provare a raggiungerli nonostante questo mondo ci metta spesso a dura prova. Abbiamo età diverse, aspetti diversi, ma siamo tutti giovani, e nonostante le nostre personalità non si assomiglino, è bello scoprire che abbiamo tutti la stessa voglia di continuare a sognare.
Non sono mai riuscita ad immaginarmi l’Australia in maniera chiara perché, nella sua vastità, cambia aspetto appena ci si sposta in macchina di qualche ora. Ieri sera eravamo a Sidney, metropoli ricca di gente e locali notturni; questa mattina ci siamo ritrovati in mezzo ai vigneti, in una valle immersa nel verde.
Il posto in cui alloggeremo per i prossimi tre giorni si chiama appunto Hunters Valley ed è natura allo stato puro. Dopo un pranzo su una terrazza soleggiata davanti ad una piscina e ai campi da golf, ci hanno portato in un posto isolato dal resto del mondo. lungo il tragitto non abbiamo incontrato negozi, ristoranti o alberghi, ma solamente immense distese di verde in cui saltavano meravigliosi canguri.
Siamo arrivati in un posto chiamato Yengo National Park, una sorta di riserva in cui è severamente vietato fumare e lasciare rifiuti. Appena arrivati, la gente del luogo ha dato fuoco a delle foglie fresche e, come in una processione, abbiamo tutti dovuto attraversare una spessa coltre di fumo che si innalzava compatta verso il cielo: “Serve per purificare il nostro spirito e per liberarci da ogni negatività” ci hanno spiegato.
Dopo questo rituale, la band si è esibita mentre la gente locale ci ha servito la cena ad un orario decisamente impensabile per gli italiani: alle 17,45. Successivamente i sei musicisti vincitori hanno fatto una prima esibizione improvvisata, mentre le telecamere giravano sempre intorno a noi. Ma è al tramonto che ci hanno coinvolto in un’esperienza culturale a me nuova. Da una collina sono sbucati all’improvviso degli uomini mezzi nudi con il viso e il corpo dipinti di rosso e bianco e, producendo canti e versi alquanto particolari, si sono esibiti in danze ancora più strane. Ci siamo trovati davanti un gruppo di discendenti degli aborigeni che ci hanno spiegato che è proprio grazie a loro che riescono a ridare vita a danze e tradizioni antiche che altrimenti sarebbero già andate perdute.
Eravamo immersi nel buio, la poca luce presente proveniva da due falò che erano stati precedentemente accesi. E’ stata un’esperienza assurda, a metà tra l’inquietante, il suggestivo e il magico. Non solo ci hanno dato il benvenuto rappresentando, attraverso le loro danze, gli animali tipici dell’Australia, ma ci hanno invitato a ballare con loro in una notte particolarmente fredda, ma che hanno saputo scaldare con la loro accoglienza e il loro amore per Madrenatura.

[continua]

La fine del lavoro in attesa di una nuova società

L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Un’affermazione così forte, posta a fondamento della Costituzione, dovrebbe necessariamente spingere a riflettere sul significato profondo del lavorare e sulla dignità del lavoro nel nostro ordinamento civile. Parlare di lavoro però, di questi tempi, è quanto mai difficile. Specie se il lavoro manca, se si fatica a fronteggiare il flusso implacabile delle bollette e dei pagamenti mensili, se si deve cercare di vendere tutto per restare a galla. A maggior ragione se tocca subire il rito quotidiano della celebrazione del Pil e degli indici di borsa, l’insulto della glorificazione mediatica dell’iper-ricchezza, il bombardamento pubblicitario che invade ogni spazio, ogni luogo e ogni orario, per convincere tutti che solo il consumo è la via per raggiungere la felicità. L’attenzione sul consumo mortifica la dignità del lavoro rendendolo meramente strumentale, un mezzo che, in quanto tale, non porta con se né l’attributo della qualità né quello del significato.
L’Italia è (o è stata?) una Repubblica (democratica?) fondata sul consumo e, il lavoro, per chi ha la fortuna di averne uno ben remunerato, è il mezzo per ottenere il denaro necessario ad accedere all’acquisto di beni e servizi sempre più inutili e perciò stesso assolutamente indispensabili. Il lavoro espresso in termini di occupazione è una variabile sempre meno importante nelle equazioni che descrivono l’obbligatoria crescita del Pil e alimentano il feticcio intoccabile della crescita. E’ finita l’epoca del posto di lavoro fisso e garantito (che permane però come un miraggio nella mente di molte persone), è tramontata in buona parte l’idea del lavoro come investimento per costruire un futuro migliore che richiede anche fatica e sacrificio (molti lavori si rifiutano malgrado la crisi), è venuta meno la convinzione che il lavoro possa essere un mezzo per la realizzazione di sé attraverso lo sviluppo dei propri talenti.
Nell’era della flessibilità globale viene proposta la retorica del soggetto come imprenditore di sé stesso, libero di inventarsi un lavoro o, meglio, obbligato a competere e a combattere in un mercato al quale sono ormai attribuite funzioni trascendenti quasi magiche. Viviamo in società che producono più di quello che riescono a consumare, con uno spreco scandaloso, che riguarda soprattutto i beni essenziali, a cominciare dal cibo. Malgrado questo, o forse a causa di questo, i ricchi diminuiscono e diventano sempre più ricchi, i poveri aumentano e diventano sempre più poveri. Lo Stato – che dovrebbe garantire l’attuazione dei principi costituzionali – privato delle leve attraverso le quali poter agire nell’economia, trasferite all’Europa e ormai saldamente in mano alle forze finanziarie (private) che la dominano, non è più in grado né di ridistribuire ricchezza in modo equo ne di rilanciare e ridare dignità al lavoro. E intanto migrazioni bibliche riversano nel Belpaese un flusso incessante di persone ora attirate dai benefici e dei vantaggi di quel che resta dello stato sociale, ora impegnate nella ricerca con ogni mezzo dei denari per la sussistenza, raramente in grado di raggiungere il sogno di uno stipendio che, giudicato col metro dei paesi di provenienza, rappresenta spesso un’autentica fortuna economica.

Inesorabilmente, l’automazione distrugge posti di lavoro a un ritmo crescente; grandi infrastrutture tecnologiche e digitali sempre più integrate ed efficienti interconnettono sistemi e sottosistemi che a loro volta rapidamente si industrializzano e finanziarizzano. Le piattaforme produttive intelligenti e automatizzate consentono di produrre a costi così bassi da rendere svantaggiosa e inutile perfino la delocalizzazione, con conseguente impiego della manodopera sottopagata dei paesi più miseri. Siamo entrati, sembra, nell’epoca della fine del lavoro preconizzata ormai 20 anni fa da Jeremy Rifkin. Stiamo entrando, forse, nell’epoca della liberazione dalla schiavitù del lavoro anticipata dagli utopisti politici ma, paradossalmente, quello che potrebbe essere un sogno di prosperità prende le forme di un incubo, che apre davanti a milioni di persone il baratro della povertà, della paura e dell’insicurezza. Infatti, in barba ai dichiarati impegni verso le generazioni future, sembra mancare una visione comune di lungo periodo, che aiuti a riflettere sui modi attraverso i quali 7 miliardi di persone dovranno imparare a vivere, in pace, in questo nuovo mondo. Tra i detentori del potere nessuno sembra voler mettere in dubbio l’assioma della crescita illimitata basata sul materialismo irresponsabile e l’esaltazione dell’egoismo privato: nessuno di loro sembra avere pensato seriamente a come possa funzionare una società globale senza lavoro, nessuno vuole dichiarare pubblicamente l’ovvietà che le tecnoscienze si sposano altrettanto bene sia con il sogno utopico sia che con l’incubo distopico. Quanti di questi potenti palesi e occulti si saranno posti seriamente la fatidica domanda: che fare?
Se ancora si vive in democrazia questa domanda riguarda tutti. Vivere con una diversa idea di lavoro tutta da inventare, in un contesto caratterizzato dall’abbondanza di beni materiali, superando definitivamente la logica del consumismo bruto e la cultura dell’usa e getta, è una sfida che ricade direttamente nelle pieghe del quotidiano di ognuno. Per affrontarla serviranno grandi cambiamenti istituzionali oltre che un deciso salto nel livello di consapevolezza della persone. In una civiltà globale il cui ambiente è sempre più infrastrutturato e interconnesso dalle tecnologie digitali, che, in prospettiva, potrebbero favorire una migliore e più efficiente allocazione delle risorse e dei beni prodotti dall’industria integrata, a vantaggio di ogni abitante della terra, nasce l’esigenza di rivedere completamente l’idea di lavoro a cui molti di noi sono ancora legati. Per farlo bisogna però uscire da stereotipi consolidati e da logiche autoreferenziali dove siamo tutti più o meno intrappolati, bisogna imparare a guardare l’insieme senza perdersi nel confortante specialismo del particolare. Per abbracciare l’intero l’economista deve uscire dall’economia, l’uomo d’affari dalla finanza, l’imprenditore dalla sua azienda, il cittadino qualunque dal senso comune costruito dai media.

Se le macchine hanno sostituito gran parte del lavoro manuale, se poco alla volta diventano capaci di svolgere buona parte dei compiti cognitivi associati a molti lavori, se sono in grado di gestire processi sempre più complessi, è compito degli uomini (in particolare di quanti si occupano di politica) trovare nuove strutture sociali che consentano di trarne beneficio diffuso e condiviso. Se mancano posti di lavoro, bisogna individuare forme di remunerazione non fondate esclusivamente sul lavoro, invertendo un meccanismo secolare basato sul concetto di colpa, fatica e punizione (“ti guadagnerai il pane col sudore della fronte”), bisogna ripensare il lavoro come strumento generativo, capace di costruire relazioni e capitale sociale, bisogna recuperare l’idea del lavoro come atto amorevole del prendersi cura di qualcosa o qualcuno, assumendosene liberamente la responsabilità, bisogna imparare a vivere con pienezza l’ozio creativo, capace di generare senso e identità. Serve un uomo nuovo per vivere in questa nuova società possibile.
Intanto però, pensando al futuro possibile, bisogna riuscire a cavarsela: se la politica sembra far poco, se mancano i leaders e gli statisti capaci di guardare alle future generazioni, anziché alle prossime elezioni, se tutto sembra essere in mano a una finanza totalmente impersonale, e sostanzialmente amorale, ricordiamo che l’Italia è (anche) una Repubblica fondata sull’arte di arrangiarsi. Insieme alla creatività diffusa (che molti ci invidiano) e alla capacità di non perdersi d’animo, essa rappresenta quasi una virtù che, in tempi turbolenti, non è affatto da sottovalutare.

LA CITTA’ DELLA CONOSCENZA
Abitare la conoscenza

Mobilità, accelerazione della conoscenza, la conoscenza può girare e arrivare ovunque. Crollino le mura dei Sancta Sanctorum. Cada Sansone con tutti i suoi Filistei. Mentre il mondo della conoscenza va profondamente trasformandosi intorno a noi, restano pressoché identici i nostri approcci, i nostri modi di gestire la conoscenza.
E poi ci sarebbe la solitudine dei numeri primi, abitanti digitali dei mondi virtuali? Non è che gli amanuensi fossero così socievoli, così calati nel reale dai loro scriptoria. Per di più la cultura non girava, se ne stava impettita nei tomi tra gli scaffali di biblioteche dalla Malatestiana alla Bodleiana, che per loro prestigio altra funzione non avevano che conservare piuttosto che far circolare.
Abbiamo appena celebrato la Notte dei ricercatori, promossa dalla Commissione Europea con l’obiettivo di creare occasioni di incontro tra ricercatori e cittadini e di diffondere la cultura scientifica.
Ecco un bell’esempio, seppure limitato, di uscita dei saperi dai luoghi in cui si producono, di mobilitazione delle conoscenze, di quello che i teorici della materia come Francisco Javier Carrillo chiamano Knowledege Mobilization (KM). Carrillo, che è docente al Monterrey Institute of Technology and Higher Education, oltre che presidente del World Capital Institute, è il maggiore studioso mondiale di Knowledege Systems e di Knowledege Economy; non ho mai capito perché in Italia non ci sia una, che sia una, delle sue opere tradotte. Altro segno dei tempi e dei nostri ritardi mentali e culturali sempre più ardui da colmare.
Mentre internet, se non l’avevamo compreso prima, ci insegna praticamente che la conoscenza abita dappertutto, noi ancora facciano fatica a renderci famigliare questo concetto. Invece di mobilitare le conoscenze, che fortunatamente oggi, volenti o nolenti, girano, circolano, si diffondono, quando decidiamo di rendere la nostra conoscenza mobile la ipostatizziamo.
E allora le nostre ipostasi sono le mostre tematiche, le rassegne, i festival. Facciamo uscire i saperi, le conoscenze, la cultura dai loro contenitori usuali per esporli, per esibirli, per costruirci mercati e commerci, per farci un’economia di guadagni anziché di investimenti.
Mobilitare le conoscenze serve alle persone, significa investire sul capitale umano, su cui fonda l’economia della conoscenza. Perché il capitale umano idea, inventa, crea, ricerca, fa progredire, e questo è possibile se la stimolazione dei saperi, delle conoscenze, delle culture è ampiamente diffusa e ovunque accessibile.
Più che di eventi abbiamo bisogno di abitare le conoscenze, di strutture aperte, permanenti, dinamiche, interconnesse, distributori di saperi come una volta le fontane nelle piazze fornivano quel bene prezioso che è l’acqua. Ora il bene indispensabile è la conoscenza, il più possibile diffusa, per stimolare le menti, le idee, le intelligenze, per far crescere un’umanità di cittadini sempre più padroni di se stessi. Questo non vuol dire che vengono meno i luoghi dove lo studio è rigoroso, sistematico, metodologico, dalle scuole alle università, dai musei alle biblioteche.
Ma non è più sufficiente solo questo, non è più sufficiente istruire e studiare, bisogna esporsi al sapere come ci si espone al sole, se vogliamo essere un’umanità matura in grado di far fronte alle sfide della complessità, per le quali non ci sono scorciatoie, se non apprendere per tutto l’arco della vita.
Apprendimento e collaborazione, apprendimento e circolazione dei saperi sono necessari per innalzare il livello del pensiero umano, per comprendere come proteggere, difendere e sostenere l’umanità. Persona, conoscenza e azione sono i fattori fondamentali per una mobilitazione efficace delle conoscenze. Possono sembrare fattori semplici, ma in realtà sono straordinariamente complessi. Richiedono politiche e governo, richiedono riflessioni nuove su come impegniamo le nostre risorse, su come oggi si fa cultura.

ECOLOGICAMENTE
Acqua e agricoltura

Bello il supplemento sull’agricoltura della regione Emilia Romagna. Lo ha pubblicato Arpa Emilia Romagna dedicandolo al tema dell’irrigazione con il titolo “Le nuove frontiere dell’irrigazione”. Nella rivista si propongono temi inerenti alla ricerca e all’innovazione del settore del risparmio idrico nell’irrigazione, nonché alla gestione ottimale dell’acqua finalizzata al risparmio idrico. Si tratta di un tema di grande interesse anche per persone sensibili al rispetto dell’ambiente e non solo per addetti ai lavori.
Da molti anni (dal dopoguerra) la gestione irrigua in agricoltura è un tema delicato e critico in quanto si sono succeduti vari effetti negativi a partire da una crescente temperatura estiva e da fenomeni temporaleschi brevi e intensi che non hanno favorito l’irrigazione, anzi hanno portato siccità. Da tempo dunque si studiano strumenti innovativi che consentano di incrementare la capacità di adattamento (resilienza) del sistema e facilitare l’adeguamento alle nuove condizioni climatiche.
Ci ricorda Arpa che quest’estate e l’estate scorsa sono state le più calde da trenta anni e che le rare e pesanti piogge non hanno aiutato il terreno. Anche la primavera di quest’anno ha portato la metà delle piogge attese. Anzi, i temporali con grandine del maggio scorso hanno rovinato i raccolti. Per valutare tutto questo si sono ampliati i monitoraggi dai satelliti e le informazioni irrigue sul territorio. Sulla base di queste valutazioni è stato avviato un nuovo progetto denominato Moses. Cito una frase del prof. Viaggi di Unibo che mi pare renda bene il tema: “La disponibilità e i costi dell’acqua sono molto differenziati sul territorio a causa della diversa accessibilità delle risorse idriche. L’evoluzione del contesto produttivo negli ultimi decenni ha aumentato l’attenzione agli aspetti economici dell’irrigazione e ne ha cambiato la configurazione”.
Per questo, come coordinatore scientifico, l’ho invitato a tenere un seminario ad H2O il 19 ottobre prossimo. Il convegno intende discutere le prospettive di innovazione nell’uso dell’acqua da parte del settore agricolo, sia in un’ottica di competitività del settore e delle industrie ad esso collegate, sia in un’ottica di sostenibilità. Tra i temi che verranno trattati: approvvigionamento idrico e riuso delle acque reflue depurate in agricoltura; agricoltura di precisione; valutazioni economiche e decisioni sull’uso delle acque; gestione e uso delle informazioni agrometeorologiche; tecniche agronomiche per la gestione della risorsa idrica; ruolo dell’ecofisiologia, della genetica e della nutrizione delle piante; legame tra uso dell’acqua e difesa delle colture; gestione dell’acqua negli edifici agricoli e agroindustriali; qualità delle acque e gestione degli inquinanti.
Sempre il prof. Viaggi ha scritto:”Molti dei temi affrontati mettono in evidenza che la gestione economica dell’irrigazione non è un problema risolvibile solo a livello aziendale, ma richiede un approccio coerente sul territorio e una visione aggregata delle scelte delle diverse aziende. Di per sé questa esigenza non è nuova. Il tessuto costituito dai Consorzi di bonifica e irrigazione costituisce un esempio storicamente consolidato di tale necessità”. Ecco perché in occasione della Fiera internazionale dell’acqua ho invitato anche Anbi, l’associazione che riunisce i Consorzi di Bonifica, che offrirà il suo importante contributo il giorno dopo, giovedì 20. L’evento è interessante fin dal titolo “Il cibo in Emilia Romagna è irriguo” perché larga parte del cibo in Emilia Romagna viene prodotto da terreni irrigui. 500.000 ettari irrigabili, per i due terzi gestiti dagli 8 Consorzi di Bonifica e dal Canale Emiliano Romagnolo, producono l’80% della produzione agricola della Regione.
Insomma un tema importante in una Fiera importante
Per il futuro sarà infine utile seguire il Programma di sviluppo rurale 2014-2020 che raccogliera’ le iniziative volte a sostenere interventi per un uso più efficiente dell’acqua in agricoltura all’interno del macro tema ambiente e clima, dedicando a queste operazioni la specifica focus area “P5A”.
Speriamo che sui temi dell’uso dell’acqua in agricoltura sappiamo crescere nella cultura della sostenibilità e soprattutto che cresca l’attenzione da parte del territorio ferrarese storicamente di alta vocazione agricola.

Il supplemento sulla agricoltura della regione Emilia Romagna lo si può scaricare su: http://agricoltura.regione.emilia-romagna.it/archivio-agricoltura/2016/giugno-2016/SpecAgric_irrigazione_2016ok.pdf/at_download/file/SpecAgric_irrigazione_2016ok.pdf
Mentre per approfondire su H2O si può andare sul sito www.accadueo.com

EVENTI
La notte si fa ‘Rossa’. E risorgeranno le Case del Popolo

 

img_0045“Vogliamo il pane e anche le rose”, è il celebre slogan della leader femminista e socialista Rose Schneiderman, ripreso dai lavoratori durante lo storico sciopero svoltosi a Lawrence nel 1912. Lo stesso famoso slogan è stato citato oggi, durante la conferenza stampa di presentazione della terza edizione ferrarese della ‘Notte Rossa 2016’, dal vice sindaco Massimo Maisto : “Il popolo vuole il pane ma anche i diritti, vuole essere non solo popolo ma anche cittadini”. Il riferimento, in questo caso, è alle ‘Case del Popolo’: a ciò che esse hanno rappresentato in passato e a ciò che si vuole continuino a rappresentare in futuro. La Notte Rossa è una manifestazione popolare che valorizza l’importanza storica delle ‘Case del Popolo’ e, attraverso una nutrita serie di eventi culturali e sociali, vuole farle tornare ad essere centri di aggregazione anche per le nuove generazioni. In occasione di questa manifestazione, infatti, sedici ‘Case del Popolo’ della provincia di Ferrara hanno messo a punto un programma che, per tutto il fine settimana dal 14 al 16 ottobre, coinvolgerà i cittadini ferraresi in concerti, cene sociali, serate per bambini con la speranza di avvicinarli nuovamente a questi importanti centri di aggregazione e cultura. Presenti alla odierna conferenza stampa, oltre il vice sindaco Maisto, Michele Dolcetti di Sabir Network, Francesca Tamascelli per Lega Coop Estense, Enrico Balestra di Uisp, Marco Ascanelli dell’Anpi e Giuliano Campana di Emergency ed Eris Gianella della Cooperativa Camelot.
Numerose e variegate le proposte culturali che animeranno la manifestazione: si va dalla presentazione di Achille Occhetto del libro “Utopia del possibile” , sabato 15 ottobre presso la libreria Feltrinelli alle 17, alla proiezione, sempre sabato 15 ottobre presso il circolo Arci Bolognesi alle 18.30, del documentario ‘To Kyma’ sulla ONG catalana Proactiva Open Arms, impegnata nel salvataggio di profughi nel mar Mediterraneo. Inoltre si terrà la prima edizione della maratona serale ‘Stay Human keep running’ organizzata in collaborazione con i comitati Uisp, prevista per venerdì 14 ottobre alle 21.30 con ritrovo in via Poledrelli presso la Factory Grisù.
Per una completa visione del programma della Notte Rossa consultare il sito www.notterossa.it. Come rimarcato dal vice sindaco Maisto: “Per il benessere della comunità di cittadini ci vogliono spazi. Sembra una banalità ma c’è una continua richiesta di spazi perché c’è un grande ritorno alla condivisione. Le ‘Case del Popolo’ erano i centri culturali del passato e sono state realtà molto forti ed importanti in tutto il Nord Italia”. La volontà degli organizzatori e dei tanti partner aderenti alla manifestazione è quella che esse non rimangano dei cimeli storici ma tornino ad essere spazi condivisi dai cittadini.

DIARIO IN PUBBLICO
Una tre giorni romana

Partiam partiamo! Tra le ultime ansie di chi non ha dimestichezza con il treno, i 25 paladini/e s’imbarcano per raggiungere l’Orlando romano. Grandi preparativi per rendere la gita degna della tradizione degli Amici dei Musei. I nomi in campo di fama nazionale e oltre: Francesca Cappelletti, studiosa del Seicento, ma soprattutto di Caravaggio; Lucia Menegatti, di cui si sta pubblicando il libro definitivo del ‘padrone’ dell’Ariosto, Ippolito d’Este vescovo a 16 anni, cardinale a 20; Claudio Cazzola, antichista e anch’egli frequentatore delle ottave ariostesche.
Lo scopo, non certo nascosto, era quello di mettere a confronto la mostra di Tivoli con quella ferrarese, dedicate entrambe al poeta e su cui – anche a livello scientifico – si stanno organizzando e diffondendo interventi mirati. E questo alla vigilia del convegno su Ariosto, organizzato dall’Istituto di Studi Rinascimentali, a cui parteciperà il valoroso studioso che ha prodotto l’edizione moderna dell’Orlando 1516, Marco Dorigatti.

L’impatto con la città eterna è devastante. Nel tentativo di frenare il traffico ormai ingovernabile si è deciso di lasciare qualsiasi tipo di bus privati fuori dal centro storico, cosicché gli incauti che avevano prenotato un noto albergo a ridosso di via del Tritone sono spicciatamente ‘scaricati’ al Tritone e poi s’arrangino. Sfilano le pecorelle a una a una trascinando i loro velli contenuti nelle valigie, mentre il pastore, o meglio la pastora Cristina esorta a non lasciarsi andare a crisi isteriche già evidentissime in chi scrive. Poi tutto è cancellato dalla prepotente bellezza che ci avvolge e ci sconvolge. Caravaggio spiegato come mai udimmo tra gli inviti al silenzio dei rigorosissimi preti francesi che custodiscono San Luigi, ignorati da Francesca, sempre più la miglior studiosa del pittore, che ci conduce anche a Sant’Agostino alla contemplazione della Madonna dei Pellegrini, con tutta l’aura della sua composizione e destinazione. Non contenta la Cappelletti ci sbatte sotto il naso nella stessa chiesa anche un semi-ignoto Raffaello.

Una radiosa e soleggiata mattinata romana ci accoglie il giorno dopo a Tivoli nella Villa d’Este del cardinal Ippolito. Gentilezza e sollecita cura ci vengono riservate, Lucia nella pergola sotto la Fontana dell’Orologio ci spiega fatti e misfatti di Ippolito e il suo controverso rapporto con il poeta non particolarmente amato, ma piuttosto sopportato dal suo primo padrone. Poi l’ascesa alla Villa mentre sotto i nostri occhi s’aprono le prospettive delle terrazze che si organizzano come complementi del giardino: a sinistra la Rometta con i suoi monumenti antichi riprodotti con artificio e arte secondo uno stupefacente rapporto tra simbolo e allegoria, tra esaltazione del potere e gloria estense. Infine, nel salone, l’anticipo e la conclusione della mostra ariostesca. I cavalli che, su disegni di Ceroli e di Pieluigi Pizzi, vengono riproposti nelle loro dimensioni colossali e ricostruiti con materiali di cartapesta e colori. In mezzo un albero dalle foglie cedue ormai rosse, anche questo ricostruito ad arte, s’impone in una gloria di colori e forme. Poi la visita all’ultimo piano dove tra i tesori esposti spiccano, nella dotta e ordinata esposizione legata alla figuratività dell’Ariosto o meglio alla traduzione in forme pittoriche e artistiche delle ottave e degli episodi più famosi del poema dal Cinquecento al Novecento, un Dosso strepitoso e Ingres e Dorè e gli incantevoli paesaggi della tradizione settecentesca. Si conclude con il Novecento e con la sala dedicata all’Orlando Furioso di Sanguineti-Ronconi che noi ferraresi ben conosciamo.

Allora a chi va la palma tra la mostra ferrarese zeppa di capolavori e la piccola, ma raffinata, esposizione romana?
A entrambe perché complementari.
Quella di Tivoli conclude un lungo percorso cominciato con la splendida mostra del Louvre, “L’Arioste et les arts” e il relativo convegno, ed è sorretta nella sua pur evidente compattezza – ma anche costretta nella selezione – da un progetto scientifico rigoroso che non intende far sognare lo spettatore, ma indurlo a prendere consapevolezza di un tema – il rapporto tra il poema e le arti – irrinunciabile per chi voglia e desideri percorrere un così fondamentale aspetto della poesia ariostesca.
Differente l’impostazione di quella ferrarese, ben più lussuosa e munita da pezzi da novanta, come testimoniano le favolose opere in mostra. Qui non si tratta di rendere conto di ciò che è la tradizione del rapporto tra il poema e la sua versione figurativa quanto di puntare su un’evocazione – una volta si diceva l’immaginario – del mondo cavalleresco presentato nella sua necessaria improbabilità o verità. Salta dunque il concetto di Storia nella sua accezione filologico-interpretativa, ma l’occhio si perde ammirato ed emozionato tra capolavori restituiti assieme nel sogno del concetto di cavalleria. Certo non aiuta l’infelice situazione delle sale dove il buio necessario per l’esposizione lascia il posto alla brutale cesura del passaggio per il giardino.
Alcune perplessità, ma sono considerazioni di un visitatore ammirato, mi sorgono: quale la necessità espositiva della Venere di Botticelli o la disposizione della sala clou della mostra, quella che accosta il Baccanale degli Andrii con la tapisserie della battaglia di Pavia e la copia michelangiolesca della Leda con il Cigno? A mio avviso manca un fil rouge necessario tra le tre opere. Perchè quelle?

Il pomeriggio romano si conclude con la visita al tempio della Fortuna Primigenia dove un ispirato Claudio Cazzola racconta alla comitiva seduta sui gradoni davanti al tempio il senso e il significato di quel monumento famoso. Dopo la visita del palazzo e del tempio al didattico Venturi non resta che parlare della composizione di un libro fondamentale della cultura del Novecento, quel “Doctor Faustus” che Thomas Mann scrisse proprio qui a Palestrina in vista del tempio.
Segue una salutare cena consumata in un luogo canonico della Roma mangereccia poi, l’ultima giornata ci riserva la spettacolare visita al Casino dell’Aurora, che la principessa Rospigliosi ci ha offerto grazie alla intermediazione della ‘nostra’ Francesca Cappelletti.
Riparte la compagnia dopo le auspicate visite ai luoghi mondani della capitale e quindi il ritorno a ‘Ferara, stazione di Ferara’ con una testimonianza in più della grandezza della nostra storia e della nostra tradizione artistica.