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Giorno: 10 Novembre 2018

Il 10 novembre Non Una Di Meno – Ferrara è scesa in piazzacome in tutta Italia per chiedere il ritiro immediato del ddl Pillon.

Da: Non Una Di Meno Ferrara

Consideriamo questa proposta in perfetta continuità con il decreto sicurezza e la mozione antiabortista cittadina che mirano adindebolire l’autodeterminazione delle donne italiane e migrantinella propria definizione di soggetto libero dal patriarcato, dal razzismo e dal neoliberismo. Infatti, tutti questi attacchi istituzionali alla nostra libertà sono complici nell’ostacolare in maniera subdola il divorzio, nel diffondere notizie falsate sull’interruzione di gravidanza e fuorvianti rispetto ai reali problemi connessi con la maternità, nell’impedire, con il pretesto della sicurezza, di fornire degna accoglienza e assistenza a tutti i migranti e le migranti, in particolare alle donne vittime di violenza.

Nello specifico:

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché promuove un modello di giustizia privata che rappresenta un arretramento per le libertà e i diritti di tutte e tutti. Il ddl Pillon infatti: nega l’accesso alla giustizia per coloro che non possono sostenere le spese legali; limita la libertà di educare i figli e le figlie con l’imposizione della figura del coordinatore genitoriale a titolo non gratuito; impone un modello di regolamentazione delle attività genitoriali precostituita ed obbligatoria che impedisce di prendere in esame ogni caso specifico, valutando l’interesse dei e delle minori.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché impone la mediazione familiare obbligatoria non gratuita in tutte le separazioni in cui siano coinvolte figlie e figli minorenni. Il ddl Pillon rappresenta la complicità dell’apparato statale con il patriarcato laddove trascura l’ipotesi che una separazione possano scaturire da violenza fisica, sessuale, psicologica o economica. Le donne che cercano di sottrarsi a questi soprusi attraverso il divorzio, vengono costrette a trattare con il loro stesso aggressore. In questi casi la mediazione obbligatoria è inapplicabile come previsto dalla Convenzione di Istanbul a cui l’Italia ha aderito. In generale, la mediazione ha un costo e può gravare in particolare sulla parte più debole economicamente delle coppie che in Italia sono le donne. Al danno si aggiunge la beffa se si considera che il Senatore Pillon possiede uno studio di mediazione familiare.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché presuppone l’esistenza della sindrome da alienazione parentale. Il ddl Pillon prevede che il bambino o la bambina che sceglie di non restare con uno dei due genitori sia allontanata dalla sua casa, collocata presso un parente o inviato in una “apposita struttura specializzata”, la cosiddetta casa-famiglia. Di nuovo, si ignorano i possibili casi di violenza assistita che viene misconosciuta nel testo della legge. Il legislatore si pone in una relazione punitiva nei confronti dei e delle minori limitando la loro libertà di manifestare sentimenti e bisogni.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché strumentalizza l’errata sovrapposizione di conflittualità e violenza intra-familiare. Il ddl Pillon introduce un pesante ricatto per scoraggiare la denuncia di violenza subita dal marito. Infatti, se la donna sarà sospettata di manipolare i figli contro il padre, rischia di perdere la «responsabilità genitoriale». Le donne dovranno trattare col proprio aggressore e lasciare che i figli lo frequentino fino al passaggio in giudicato di una condanna penale definitiva. Il ddl Pillon è esemplare della natura patriarcale dello stato e mette a rischio l’incolumità psico-fisica delle donne e dei e delle minori che subiscono violenza.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché in nome della bi-genitorialità, favorisce la condotta del genitore abusante. Il ddl Pillon prevede che il 50% del tempo venga passato con ognuno dei genitori. Anche in questo caso, le e i minori vengono trascurati: la stabilità psicologica dei/delle bambini/e viene minata dall’assegnazione di un doppio domicilio. Anche in questo caso, la violenza domestica viene ridotta al grado di lite coniugale rendendo la frequentazione dei genitori obbligatoria anche in caso di condotte violente. Anche in questo caso, la situazione economica femminile è resa ancora più precaria dall’assenza dell’assegno di mantenimento sancita dalla bigenitorialità perfetta.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché arma padri violenti.Finché la violenza domestica non è “comprovata” bambini e bambine saranno costretti ad avere rapporti con il padre violento, in tutela della cosiddetta «bigenitorialità». In Italia la giustizia penale è più lenta di quella civile, perciò il/la minore in attesa del giudizio in sede penale dovrà obbligatoriamente frequentare la casa del genitore violento.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché sostituisce l’assegno di mantenimento con il mantenimento diretto. Il ddl Pillon abolisce l’assegno di mantenimento: chi si trova in una situazione di maggiore dipendenza economica e povertà – quasi sempre le donne – sarà sottoposta a un vero e proprio ricatto economico, affronterà la separazione o il percorso di liberazione dalla violenza domestica al prezzo di una crescente precarietà. Non si tiene inoltre in nessun conto il gap salariale di genere e il fatto che una donna su 4 perde il lavoro dopo la maternità.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché è uno strumento di controllo sociale. In nome della «bigenitorialità», bambine e bambini non avranno alcuna possibilità di scelta e dovranno sottostare al «piano genitoriale» redatto (a pagamento) da un «mediatore familiare»: obbligate/i a vedere entrambi i genitori per almeno 12 giorni al mese, potranno essere costrette/i a un trasloco costante da una casa all’altra. Ogni attività del/della minore sarà inserita nel piano genitoriale, riducendo la libertà educativa di ogni genitore. Il piano genitoriale ripristina la potestà genitoriale in luogo della responsabilità genitoriale.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché rappresenta un modello familiare unico, tradizionale, patriarcale ed eteronormato. Il ddl Pillon prende a modello la famiglia mononucleare eterosessuale di matrice patriarcale e lo impone a tutte e tutti. Reintroduce la patria potestà del capofamiglia e la subordinazione della figura femminile; limita il riconoscimento dei diritti di bambine e bambini; rende separazione e divorzio un lusso per poche e pochi. Quello immaginato dal ddl Pillon è un mondo in cui tutti gli uomini sono padri, mariti e padroni e tutte le donne devono essere madri e mogli subordinate.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché opprime doppiamente le donne migranti. La scelta di libertà sarà resa ancora più pesante per le donne migranti il cui permesso disoggiorno è legato a quello dei mariti. In questo senso, il ddl Pillon è in perfetta coerenza con la xenofobia istituzionale nel nostro paese e rappresenta un valido alleato del decreto sicurezza.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché utilizza la dipendenza economica come leva del comando patriarcale. Il ddl Pillon si pone in continuità con le politiche di precarizzazione del governo grillo-leghista e di tutti i precedenti. Così come il reddito di cittadinanza rappresenta uno strumento per obbligare al lavoro gratuito, per abbassare i salari ed irrigidire le gerarchie razziste della società, i provvedimenti del ddl Pillon che ignorano le disparità lavorative, retributive ed economiche tra uomini e donne in Italia rafforza l’ordine patriarcale di subordinazione femminile.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché considera la violenza come uno strumento legittimo per garantire l’equilibrio familiare. Il ddl Pillon replica l’approccio del decreto Salvini per il quale gli stupri subiti dalle donne migranti durante il viaggio non sono più considerati ragione per concedere un permesso di soggiorno. La violenza maschile e di genere diventa quindi uno strumento legittimo per impedire l’autodeterminazione delle donne e la libertà di movimento. In linea con il decreto Minniti e il piano nazionale per la fertilità, questo governo attacca per prime donne e migranti perché si rifiutano di abbassare la testa.

Pretendiamo il ritiro del ddl Pillon perché promuove stereotipi e pregiudizi di genere. Il ddl Pillon presume che le donne accusino falsamente i partner di violenza, che utilizzino le e i minori contro i padri e che strumentalizzino il contributo economico del mantenimento. In questo senso, rappresenta solo una faccia della medaglia del patriarcato che dall’altro lato vuole che le donne siano madri e sole. Come dimostra il mancato rifinanziamento al congedo paternità previsto dalla Manovra 2019 che relega la cura dei figli alle donne, limitando la loro possibilità di mantenere un lavoro e rendendoli dipendenti economicamente dal partner in un circolo vizioso di sottomissione e subordinazione.

Pretendiamo un piano femminista antiviolenza contro la violenza domestica e l’oppressione familiare, contro i ruoli e le gerarchie di genere. Pretendiamo educazione sessuale diffusa, contraccezione gratuita e libera e aborto sicuro contro gli attacchi ripetuti alla nostra libertà di abortire da parte dello Stato o delle istituzioni locali come a Ferrara. Pretendiamo un reddito di autodeterminazione senza vincoli morali e di cittadinanza, universale ed incondizionato contro lo sfruttamento e la subordinazione del capitale. Pretendiamo un permesso di soggiorno europeo svincolato da lavoro, reddito e matrimonioperché crediamo che la libertà di movimento praticata ogni giorno dalle migranti e dai migranti sia la condizione della nostra libertà. Siamo in stato di agitazione permanente verso la manifestazione nazionale del 24 novembre a Roma e lo sciopero globale femminista dell’8 marzo.

Diaday: torna la campagna nazionale di prevenzione del diabete Federfarma offre lo screening gratuito a tutti i cittadini: dal 12 al 18 novembre in oltre 500 farmacie dell’Emilia-Romagna. In Emilia-Romagna la patologia colpisce il 7% dei residenti.

Da: Ufficio Stampa – Federfarma Emilia-Romagna

Circa il 7% dei residenti in Emilia-Romagna ha il diabete: una patologia in crescita, anche nella nostra regione, in linea con il dato nazionale e internazionale. Il Diabete Mellito rappresenta infatti ormai a livello planetario una delle maggiori emergenze sanitarie del nostro tempo: le persone che soffrono di questa patologia in tutto il mondo sono 422 milioni: un numero che si è quadruplicato in meno di quarant’anni (erano 108 milioni nel 1980). Con questo ritmo di incremento si prevede che nel 2025 avremo oltre 700 milioni di diabetici. Si configura cioè una vera e propria epidemia a livello globale con costi altissimi per i singoli individui come per gli stati e con la necessità urgente di mettere in campo una efficace politica di prevenzione.

E, in occasione della giornata mondiale contro il diabete (14 novembre) Federfarma si è mobilitata anche in Emilia-Romagna con la seconda edizione del DiaDay: dal 12 al 18 novembre oltre 500 farmacie della regione offrono gratuitamente ai cittadini l’autoanalisi della glicemia e la compilazione di un questionario anonimo per calcolare il rischio di sviluppare la malattia nell’arco dei prossimi dieci anni. Quest’anno è previsto anche un questionario con domande sull’aderenza alla terapia per le persone che già sanno di essere affette da diabete.

Le farmacie che hanno aderito all’iniziativa DiaDay, riconoscibili dalla locandina che promuove la campagna, sono 6.500 sul territorio nazionale e i cittadini possono trovare quella più vicina sul sito www.federfarma.it, tramite un sistema di geolocalizzazione.

E’ importante sottoporsi al test perché scoprire per tempo il diabete o accertarne la predisposizione è un grande vantaggio per il cittadino che può tempestivamente, insieme al suo medico curante, individuare le terapie ed i comportamenti più opportuni. Alla fine della campagna i dati saranno elaborati da un board scientifico e resi disponibili alle Istituzioni sanitarie che, sulla base di essi, potranno individuare gli interventi sanitari più opportuni per contrastare la malattia e le sue complicanze, riducendo così i costi per la collettività.

“È un’importante iniziativa di educazione sanitaria e di prevenzione sul territorio, che sfrutta appieno la capillarità della rete delle nostre farmacie, che confermano così il proprio ruolo di primo presidio del SSN. – dichiara il Presidente di Federfarma Emilia Romagna Achille Gallina Toschi – Il diabete è ormai un’emergenza planetaria, ma al tempo stesso possiamo fare tantissimo con la prevenzione e individuando la malattia al suo esordio. Per questo la farmacia non può che essere in prima linea, per la salute del cittadino, ma anche per il contenimento dei costi derivanti dal trattamento di una patologia cronica complessa. Noi farmacisti siamo il primo anello di congiunzione tra cittadini e sistema sanitario: per questo abbiamo deciso di lanciare una campagna di sensibilizzazione e screening, che ci aiuti a individuare il maggior numero di soggetti a rischio di sviluppare questa patologia”.

In Italia sono circa 5 milioni le persone affette da diabete (l’8.5% della popolazione adulta) e si stima che almeno 1 milione e mezzo di persone non sappiano di esserlo (indagine GFK Eurisko 2016: i dati del diabete in Italia). Cifre che fanno riflettere perché il Diabete riduce ancora oggi la vita di 5-10 anni ed è una delle cause principali di malattie cardiovascolari, di cecità, di insufficienza renale e di amputazione degli arti.

L’elevata incidenza di Diabete e Prediabete grava pesantemente anche sui costi sanitari. In Italia i costi diretti sono stati calcolati in 15 miliardi di euro per anno, pari al 13% del Fondo Sanitario Nazionale. A questi vanno aggiunti i costi diretti personali calcolati in 3 miliardi ed i costi indiretti calcolati nella misura di 12 miliardi. Tutto questo a prescindere dai costi morali in termini di ridotta qualità della vita, di invalidità, di inabilità lavorativa e di eccesso di mortalità.

“Campagne di screening e di educazione, mirate a favorire un corretto stile di vita – conclude Gallina Toschi – sono la migliore arma per fare vera prevenzione. Aspettiamo i cittadini in farmacia: un controllo di pochi minuti può davvero salvarci la vita”.
La campagna Diaday è realizzata da Federfarma in collaborazione con SID (Società italiana di diabetologia) e AILD (Associazione italiana Lions per il diabete) ed ha il patrocinio di FOFI, Intergruppo parlamentare Qualità di vita e diabete, Fenagifar (Federazione nazionale associazioni giovani farmacisti) e AMD (Associazione medici diabetologi).

Ciclo “Economia e Democrazia”, Oratorio San Crispino di piazza Trento e Trieste – Mercoledì 14 novembre 2018 alle 17 incontro con Francesco Amodeo

Da: Gruppo Economia di Ferrara

“Economia e Democrazia”, il ciclo di incontri in programma all’Oratorio San Crispino di piazza Trento e Trieste, organizzato dal Gruppo Economia in collaborazione con l’Associazione Stampa di Ferrara, prosegue con con Francesco Amodeo che mercoledì 14 novembre alle 17 presenta il proprio libro “La matrix europea”. Dialogheranno con l’autore Claudio Pisapia (Gruppo Economia) e Riccardo Forni (Assostampa).

Il libro, anticipato da un video che ottenne oltre 6 milioni di visualizzazioni, apre uno spiraglio di luce sulle organizzazioni elitarie che hanno dichiarato guerra ai popoli e alle democrazie e che trovano nell’Unione Europea il loro quartier generale; indaga sulle lobby del Cartello finanziario che stanno decidendo le sorti del nostro Paese e del mondo intero; elenca gli italiani che prendono parte alle loro riunioni, quelli che fanno parte dei quadri direttivi e descrive i ruoli che hanno avuto nei vari governi.

Francesco Amodeo, giornalista e blogger napoletano, è uno dei protagonisti della contro-informazione sul web che decide di affrontare in prima persona argomenti scottanti e censurati dai media tradizionali. Ha realizzato due video inchiesta diffusi su youtube raggiungendo milioni di italiani. La sua meticolosa ricerca fa luce sui veri assetti del potere in Italia e sui rapporti fra personaggi come Monti, Letta, Draghi, Prodi e le grandi lobby internazionali.

Per informazioni: Gruppo Economia di Ferrara, sito internet www.gecofe.it E-mail gruppoeconomia.fe@gmail.com

DIARIO IN PUBBLICO
La noia dei campus e le nostre scassate ma vive università

Intrappolato tra centenari e ricorrenze, Canova, Ariosto, Bassani; incattivito dai mille umori che colano da versioni diverse di uno stesso problema; incavolato da chi con sorriso ebetino imbandiera proditoriamente il pennone destinato al Tricolore di notte, baciando una bandiera di parte. M’abbatto dopo una splendida cena di lasagne con tartufi (offerta) in poltrona. Puntuale come il destino, o il rimorso, comincia in tv la più grande ciofeca della storia del cinema: ‘Love Story’.
E i ricordi cominciano a mulinare. Mia moglie insegnava in provincia; mia madre e io ci trasferimmo al Lido degli Estensi, aspettando l’arrivo della consorte. In giugno era attivissimo il cinema . All’apertura serale – due spettacoli – mamma si piazzò in quarta fila munita di abbondanti fazzoletti e si pappò entrambi gli spettacoli. Noi la raggiungemmo all’ultimo. Il sommesso singhiozzare del pubblico, quasi tutto femminile, accompagnava la celeberrima frase “amare significa mai dire mi dispiace”; mentre anche dal mio ciglio inumidito, forse dalla spaventosa ovvietà del racconto, colava una lacrima sul viso mentalmente cantata da Bobby Solo, di cui invidiavo rabbiosamente la chioma. Passano gli anni e vado a insegnare per un anno in Massachussets, poi vengo invitato ad Harvard da fraterni amici che mi preparano alla Eliot House sontuosa camera da letto. Beh! Quegli studenti erano simili a quelli del film! Molto sport, molta attività sessuale, doverosi studi, pantofole infradito in dicembre – ricordate i giochi sulla neve dei protagonisti del film? – tutto quello che ci aspettavamo dall’immagine dell’America che amavamo e che ci pareva un ‘Paradise’. Non a caso nell’Università dove insegnavo abitavamo in ‘Paradise Road’. Francamente un modo di vivere noioso rispetto alle nostre scassate sedi universitarie, dove tutto era ed è precario ma originale, imprevedibile, nuovo.
E allora appare di una verità sorprendente il commento che Michael Moore mette in bocca ai giovani del suo nuovo film-documentario ‘Fahrenheit 11/9’: “forse noi amavamo un’America che non è mai esistita”. Poi, una delle sere seguenti, acchiappo per caso uno dei film più sconvolgenti e belli della storia del cinema: ‘Sunset Boulevard’ – ‘Viale del tramonto’ – il capolavoro di Billy Wilder. E quell’America che forse non è mai esistita appare reale e vera in quel melodramma che ha la stessa forza di un’opera di Verdi o di Puccini.

Chi, dunque, nel passare e col trascorre degli anni raggiunge una maturità (anche) intellettuale, a quale immagine dell’America deve dare ascolto? Quella di Trump o quella di una straordinaria favolosa cultura che sembra nascere dal nulla? Quella del cittadino ‘comune’ che entra in una sinagoga e uccide gli ebrei ‘vil razza dannata’ o in un dancing fa fuori undici ragazzi che ballano? Oppure quell’America che ci prometteva un nuovo mondo con le rivoluzioni sessantottine o la liberazione sessuale? L’America di Melville o di Hemingway, oppure dei votanti di Trump, il quale minaccia o promette disastri col ditino alzato e la chioma color pannocchia? L’America che produce le soap opera come ‘Love Story’ o l’America che si riconosce nel fondo oscuro della follia di Norma Desmond o del suo banalissimo Guy-Toy?
Allora, in conclusione, quella nazione rimane esempio lacerato delle contraddizioni che ci inquietano e ci turbano.

Frattanto l’intensa attività della Ferrara città d’arte e di cultura procede implacabile. Conto per caso ciò che accade un sabato 17 novembre: Premio Bassani; conferenza alla Fondazione Bassani; cena storica per la Lilt a Palazzo Roverella intitolata ‘La spada nel piatto’; commemorazione degli eccidi al cippo del Doro; la mostra di Courbet e forse un concerto o due.
Potremmo darci ammalati per troppa cultura. Ma per chi ci crede non è mai abbastanza. E speriamo che non ce la tolgano, non ce la limitino perché allora il mondo davvero diverrebbe molto, ma molto più piccolo.