La storia del Golem: una favola moderna
La storia del Golem: una favola moderna
Secondo la Kabbala (volgarizzazione della mistica ebraica) la creazione del mondo è avvenuta per un processo di emanazione di ogni cosa dal nome divino.
Il principio fondamentale di tale concezione mistica considera ogni elemento del creato come derivato dalla composizione e scomposizione dei numeri e delle lettere dell’alfabeto ebraico, in particolare di quelle che compongono il nome di Dio.
La parola è quindi considerata come elemento di base e principio creativo dell’universo.
Questo si ricollega direttamente al Golem: esso prende vita dal nome di Dio o da altre lettere con valore e significato particolare che gli vengono o scritte in fronte, o scritte su un foglio, o infilate in bocca; col procedimento inverso è possibile invece farlo ‘morire’, togliergli vita e movimento.
Nel XIII secolo esisteva una tradizione che si richiamava al IV secolo A.C. secondo cui il Golem, che aveva scritto in fronte il nome di Dio, prendeva vita aggiungendo ad esso la parola “verità”, cosicché ne risultava la frase “Dio è verità (emeth). Cancellando dalla frase una delle lettere, la aleph, la parola che restava significava “morto” (meth) la frase diventava “Dio è morto” e il Golem diventava inerte.
Sulla base di questi precedenti della tradizione sono sorte nel corso dei secoli diverse leggende, talvolta versioni diverse della stessa leggenda. Nelle sue diverse interpretazioni il Golem è stato ora un fedele servitore domestico e difensore del suo padrone, ora un difensore degli ebrei dalle persecuzioni, per arrivare alle sue derivazioni più moderne: l’automa robotico, o il mostro alla Frankenstein.
“Io sono il Golem”
Sono Il Golem, un gigante d’argilla. Non possiedo intelligenza, sono incapace di pensare e di parlare. In compenso sono dotato di una straordinaria forza e resistenza e so eseguire alla lettera gli ordini del mio creatore.
Sono nato dagli studi di un sapiente europeo Rabbi Löw, il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel che mi ha plasmato dall’argilla. Mi ha risvegliato dalla terra inerte scrivendo dentro ad un pendaglio che mi porto addosso la parola “verità” ( emeth). Purtroppo ciò non era sufficente per farmi provare qualsiasi tipo di emozione, perché ero privo di un’anima e nessuna magia è in grado di fornire un anima.

Il mio compito era difendere il mio padrone e il suo popolo da tutti i suoi nemici e distruggerli.
Ma un giorno, fuori dai confini del ghetto, in una delle sortite comandate, ho incontrato una bellissima ragazza, non so cosa mi è successo ( ricordate non ho emozioni) ma ho perso il controllo e ho cominciato a distruggere tutto ciò che incontravo, non solo fuori ma anche dentro il ghetto. Una forza bruta, un senso di ribellione cieca verso tutto, persino verso il mio padrone.
Non riuscivo più a distinguere tra amici e nemici. Non sono stato dotato di libero arbitrio e, senza una volontà saggia, più grande che mi guidasse, non potevo distinguere il bene dal male.
Non era da me ma non riuscivo a fermarmi . Da protettore a devastatore, da servo a tiranno.
Si è scatenata nel ghetto una caccia spietata.
Allora il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel, per riprendere il controllo della situazione, ha deciso di smettere di servirsi dei me, bastava rimuovere il pendaglio contenente la scritta emeth .
Non volevo essere distrutto e così ho difeso strenuamente il mio pendaglio.
Sono scappato finché nel mio girovagare mi sono imbattuto in un gruppo di bambini festosi, non avevano paura di me e si sono avvicinati. Sono stato colto dallo stupore erano così diversi dai miei inseguitori furiosi. Preso da un moto sconosciuto ( si chiama forse innocenza? tenerezza? compassione?) la rabbia e la forza sono venute a mancare, al loro posto, in maniera automatica mi è venuto da alzare con gentilezza verso di me una piccola bambina sorridente. La bimba, continuava a sorridermi, ha afferrato per gioco il pendaglio al mio petto e me lo ha tolto.
Immediatamente e inaspettatamente sono morto.
Così il sortilegio è finito tra il sollievo generale dei rabbini nel frattempo accorsi, pentiti di aver voluto sostituirsi al dio creatore e onnipotente che, solo, dà e toglie la vita.
Il pendaglio è stato preso, sigillato e nascosto. Spero che nessuno lo trovi mai più.
Cover: Reinhard Dietrich, Golem_Judisches_Museum_Worms – Wikimedia Commons
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Giovanna Tonioli
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
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