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Il rifiuto di combattere è il vero patriottismo

Il rifiuto di combattere è il vero patriottismo

La guerra la dichiarano coloro che non la combattono, e la combattono coloro che non la dichiarano. Quasi sempre, i figli dei poveri. Con un corollario magnifico: nelle guerre contemporanee, nove vittime su dieci non stanno combattendo. Sono civili, bombardati, bruciati o uccisi a sangue freddo nelle proprie abitazioni. A questa costante si aggiunge (ma anche questa non è una novità) il valoroso esempio dei potenti: dall’ayatollah capo che si dilegua tra rifugi e stati salvacondotto mentre la sua nazione muore sotto le bombe, al primo ministro israeliano che cita il rinvio del matrimonio del figlio come disagio della guerra, mentre centinaia di testimoni (pediatri d’emergenza soprattutto) che ritornano da Gaza raccontano l’orrore delle migliaia di famiglie arabe, bambini compresi, affamate e massacrate dal suo esercito. Questa merda è la guerra. Eppure la specie umana adora la guerra. Se ne allontana per brevi periodi, per poi lasciarsene fatalmente sedurre. Lontanissimi da Kant, vicinissimi a Freud: una pulsione di morte.

L’ impotenza nostra, mia, tua, dell’ uomo della strada di fronte agli eventi tragici, inenarrabili ormai, di queste settimane, è dannatamente frustrante: più di manifestare in piazza contro gli ayatollah, contro i rabbini assassini e contro un puttaniere palazzinaro divenuto Presidente (vi ricorda qualcosa?), di firmare appelli, di gridare il dissenso, di dare denaro a Emergency o a MSF, non sai cosa fare. Se dovessi imbarcarti su una nave per provare a portare cibo in Palestina, verresti bloccato e rimandato indietro, e nessun cibo sarebbe comunque arrivato ai disperati. Eppure, questo senso di inutilità del tuo agire è strettamente legato al tuo (attuale) e confortevole ruolo: quello di spettatore. Inorridito, ma spettatore. Qualora da spettatore dovessi diventare attore o bersaglio: qualora l’incendio che divampa attorno, sulle colline, portato dal vento arrivasse a casa tua, allora ti troveresti nella condizione di dover fare qualcosa. Non in mio nome è una frasetta bella ma comoda, finché ci fai un post seduto in poltrona. Quando il Potere, la Nazione, la Patria arriva a casa tua e ti ordina di combattere anche se non sei un soldato, è allora che dissentire, obiettare diventa pericoloso. E tu non sei abituato a correre un rischio. Noi non siamo abituati a rischiare sul serio. Qualcosa, intendo, che metta a repentaglio la permanenza nella nostra casa, nella nostra città, che potrebbe obbligarci a lasciare il nostro lavoro e la nostra nazione, a varcare le porte di una prigione, ad abbandonare le relazioni con le persone care, a salutare la nostra vecchia vita. A dire addio a tutto.

In alternativa, puoi obbedire agli ordini. Se la tua Nazione ti ordina di andare in guerra per difenderla, o perchè semplicemente è stata dichiarata una guerra e la tua nazione partecipa, puoi scegliere di farlosempre una scelta: ti diranno che è un dovere verso la Patria). In quel caso, rischi di dover ammazzare degli sconosciuti che non ti hanno fatto niente perchè la tua nazione ha deciso che sono dei nemici (se poi sono militari dovrai farlo per non farti ammazzare a tua volta). Per riuscire a sopportare questa dimensione contronaturale in cui diventi un assassino autorizzato dallo Stato, dovrai disumanizzarle, le persone. Come se fossero una infestazione di blatte. A me persuade molto l’esempio del nido di vespe in casa, perché mi sono simpatiche. All’inizio potrà anche dispiacere di doverle sterminare, ma se non lo fai loro ti pungeranno e pungeranno i tuoi figli, quindi devi farlo, e lo fai. Dovrai azzerare in loro (gli ebrei, i curdi, i palestinesi, gli armeni, gli iraniani, rendiamoci conto) ogni traccia di umanità, e quindi progressivamente azzerarla in te. Fino a che qualcuno che ha fatto lo stesso percorso dall’altra parte, ma inglobando molto più odio di te, non ti farà saltare in aria. Potrà succedere che ti faccia esplodere mentre guardi una vetrina lungo una strada, ad un concerto, mentre mangi un gelato coi tuoi figli. Nulla di personale, proprio perchè non sei una persona, per il tuo omicida suicida.

Il male estremo è banale. Lo ha mostrato mirabilmente Hannah Arendt nel descrivere la figura di Adolf Eichmann, uno dei funzionari delle SS che prima deportarono, poi mandarono a morire più ebrei di ogni altro nel periodo nazista. Eichmann (peraltro affascinato, come molti psicotici, dalla civiltà che tentò di eliminare) non si pentì mai, perchè riteneva non vi fosse nulla di cui pentirsi. Eseguì in modo zelante gli ordini che gli vennero impartiti. Ecco, uno di questi giorni ti potrebbe essere ordinato di essere un certo tipo di individuo: non voglio dire esattamente quel tipo di individuo, ma uno che esegua degli ordini perchè glielo chiede la sua Patria. A quel punto dovresti fare una scelta: eseguire gli ordini, anche quelli manifestamente criminosi. Oppure potresti fare come i centomila ucraini (cinque ogni uno che ha imbracciato i fucili) che si sono rifiutati di combattere. Come i ventimila russi, sicuramente sottostimati, che scappano dal processo per diserzione cercando asilo politico in un altro paese. O come i diecimila riservisti dell’esercito israeliano, che stanno disobbedendo al richiamo alle armi. Max Hirsch, pur essendo giovane (29 anni), è un veterano dell’esercito israeliano, ed è uno degli iniziatori di questa obiezione collettiva. Ha dichiarato: «Il rifiuto di combattere è il vero patriottismo».(leggi qui)

Quante volte, nei dibattiti su questi tragici mesi, abbiamo pronunciato o ascoltato l’epiteto di “criminale di guerra” per questo o quel primo ministro, o presidente. Eppure, se ci pensi un attimo, nessun criminale di Stato ha mai bisogno di ammazzare la gente con le proprie mani. C’è sempre qualcuno che lo fa per lui. Un enorme braccio militare e burocratico che si lordi le mani del sangue che lui invoca come il sacrificio necessario per il Bene Supremo della Nazione, lo trova sempre. Parliamo di migliaia e migliaia di impiegati del Male. Ci può essere nella psicopatologia del potente persino un’idea originaria, che assomigli alla profondità di un pensiero, per quanto pervertito e malato. Ma il male di coloro che eseguono il male, negli apparati militari, scientifici, amministrativi, spionistici, giudiziari, carcerari, non è profondo, rifugge il pensiero. La psicologia collettiva di chi applica il male rimane sulla superficie, ma si allarga come una macchia d’olio. E’ pura esecuzione, è meccanica, è funzionamento. Io, te, tutti noi, possiamo scegliere se fare parte di questo meccanismo e diventare assassini funzionali o militi, ignoti e caduti, per la Patria o per la Nato. Con una vecchiaia da reduci in disturbo post traumatico, se ne usciamo vivi. Oppure possiamo scegliere di non farne parte. Rifiutare. Obiettare. Disertare. Rischiando la fuga, la clandestinità, il ludibrio, il carcere, in casi estremi la vita. Io ho già scelto.

In piena facoltàegregio presidentele scrivo la presenteche spero leggerà
La cartolina quimi dice terra terradi andare a far la guerraquest’altro lunedì
Ma io non sono quiegregio presidenteper ammazzar la gentepiù o meno come me
Io non ce l’ho con leisia detto per incisoma sento che ho decisoe che diserterò.
Ho avuto solo guaida quando sono natoi figli che ho allevatohan pianto insieme a me.
Mia mamma e mio papàormai son sotto terrae a loro della guerranon gliene fregherà
Quand’ero in prigioniaqualcuno mi ha rubatomia moglie e il mio passatola mia migliore età
Domani mi alzeròe chiuderò la portasulla stagione mortae mi incamminerò.
Vivrò di caritàsulle strade di Spagnadi Francia e di Bretagnae a tutti griderò
Di non partire piùe di non obbedireper andare a morireper non importa chi.
Per cui se serviràdel sangue ad ogni costoandate a dare il vostrose vi divertirà
E dica pure ai suoise vengono a cercarmiche possono spararmiio armi non ne ho.
Le déserteur
Boris Vian
Immagine di copertina: il disertore di Octav Băncilă, 1906, da wikipedia.org

 

 

 

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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PAESE REALE
di Piermaria Romani

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)