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“Uno strumento per risollevare dalla difficoltà nove milioni di cittadini, formarli e reinserirli nel mondo del lavoro. L’obiettivo è che nessuno prenda più il reddito di cittadinanza.” Così Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera dei deputati, esponente del Movimento 5 stelle.
E’ il cavallo di battaglia del M5s. La proposta di un reddito di cittadinanza raccoglie fondamentalmente due critiche: la prima, che ricevere reddito senza lavoro bloccherebbe la produzione (vedi Abc economics, ad esempio, che cita addirittura Paperino e Paperoga a supporto dell’obiezione) e la seconda, ovviamente, riguarda le coperture.

Sulla prima obiezione l’onorevole Di Maio ripete spesso che l’erogazione riguarderebbe chi momentaneamente non riuscisse a trovare un lavoro o lo avesse perso. Il ‘fortunato’ dovrebbe accettare di frequentare corsi di reintroduzione al lavoro che, una volta trovato, interromperebbe la fruizione del reddito. Quindi, così impostato, questo reddito di cittadinanza sarebbe una proiezione al lavoro e un incentivo alla continuazione della produzione e non, invece, una misura contro il lavoro e la produzione stessa.

Anche in merito alle coperture il messaggio mi sembra chiaro: devono provenire dalla lotta agli sprechi. Poiché tutti i governi cercano soldi per le loro manovre e quando vogliono li trovano, anche il M5s pensa di poterlo fare, operando però delle scelte di carattere eticamente e moralmente diverse. Per eliminare la Tasi, per esempio, si può tagliare il Senato, oppure privatizzare, oppure diminuire i trasferimenti a Scuola e Sanità. Il M5s per elargire un reddito di cittadinanza taglierebbe i privilegi e gli stipendi dei politici, le pensioni d’oro e magari le spese militari.

Scorrendo un po’ la storia impariamo che dopo l’accantonamento delle teorie keynesiane, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, inizia la lotta all’inflazione e al debito pubblico. Lo Stato diventa un’azienda e assomiglia sempre di più a una famiglia che deve fare attenzione ai deficit. Si dà dunque il via ai pareggi o ai surplus di bilancio e l’Italia dimostra di essere la prima della classe facendo meglio di tutte le concorrenti europee nel regalare ai mercati finanziari miliardi su miliardi di lire/euro tolti ai cittadini grazie anche a una tassazione che da poco più del 20% arriva a circa il 44% di oggi. Quindi, riportando il discorso da dove eravamo partiti, ogni governo nel momento in cui decide di dare qualcosa è costretto a togliere qualcos’altro, in nome della crociata intrapresa dagli anni Settanta e Ottanta.

Grazie a questa ‘guerra anti benessere del cittadino’ non esiste un trasferimento di ricchezza a costo zero, ma esistono solo dei passaggi da un settore all’altro a seconda della scelta politica operata alla fonte. Cioè l’occupazione preferita dei governi sembra quella di ‘coprire i buchi’ e pareggiare i conti, osservando passivamente gli andamenti di borse e mercati, piuttosto che intervenire nel processo economico e nelnome dell’interesse collettivo.

Una novità sembra però esserci e parte sempre dal M5s: l’idea di nazionalizzare la Banca d’Italia. Questa mi è sempre parsa una buona idea e, ormai tre anni fa, con l’aiuto imprescindibile di Giovanni Zibordi e Marco Cattaneo, il Gruppo Economia di Ferrara l’aveva presentata agli stessi pentastellati che oggi sembrano interessarsene. Il ‘pacchetto’ conteneva anche l’idea dei ‘certificati di credito fiscale’ e dei ‘bot fiscali’, tutte misure per reperire risorse nuove senza spostamenti né creazione di ulteriore debito. Indispensabili tra l’altro per chi volesse pensare a un’uscita dall’eurosistema senza eccessivi traumi.

In cifre, comunque, solo la prima di queste proposte potrebbe assicurare un risparmio di circa 80 miliardi all’anno in quanto una Banca Pubblica permetterebbe l’accesso diretto ai finanziamenti della Bce, saltando i passaggi delle banche private, quindi riducendo gli interessi sugli stessi. 80 miliardi all’anno potrebbero bastare per un reddito di cittadinanza? E si consideri – qui sta il punto, perciò lo ripeto – che lo si potrebbe fare senza dover spostare risorse da una parte all’altra, perché anche se taglio gli stipendi alla politica non faccio altro che spostare risorse già in circolo, pur accettandolo come eticamente, moralmente e profondamente giusto.

Personalmente in questo momento faccio il tifo per Luigi Di Maio, perché lo trovo onesto e quindi dotato di una qualità rara in politica, ma mi piacerebbe maggiore chiarezza sul destino dell’euro, su come si intenderebbe intervenire sulle banche e sulla finanza, su come attuare piani di occupazione che prescindano dagli spostamenti di risorse da una parte all’altra.
Mi piacerebbe essere sicuro che i limiti neo liberisti al benessere delle persone reali non appartengano al M5s e capire quale sia la sua teoria economica di base. Oltre agli attivisti, e simpatizzanti a volte anche di un certo peso, che propongono, intervengono e stimolano il variegato dibattito sulla rete e sui social, vorrei conoscere il pensiero economico del partito/movimento e se pensano di dotarsi di economisti di riferimento, qualcuno che magari potrebbe occuparsi di un futuro Ministero dell’Economia e che comprenda il funzionamento di banche, moneta e mercati perché il nemico, per poterlo sconfiggere, lo devi conoscere.

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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